Il "nuovo" governo Renzi

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camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

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ALLACCIATE LE CINTURE

(Antonio Padellaro).
12/03/2014 di triskel182


Ora la domanda è: farà prima Renzi a eliminare il Senato o farà prima il Senato a eliminare Renzi? Soltanto l’altro ieri sembrava che niente e nessuno potesse impedire al turbo-premier di “cambiare verso” all’Italia, in cinque mesi o giù di lì. E però già al primo ostacolo, il famoso Italicum, il nostro eroe destatosi dai sogni d’oro ha dovuto affrontare la dura realtà quotidiana. Ieri pomeriggio alla Camera l’hanno visto per la prima volta spaventato sul serio, quando ha rischiato di finire sotto sul nuovo tentativo di introdurre la rappresentanza di genere nelle liste (metà uomini e metà donne). Emendamento sostenuto dal M5S, che a far ballare il governo comincia a divertirsi un mondo. Ha salvato la pelle per 20 miseri voti grazie alla precettazione di ministri e sottosegretari rastrellati qua e là. Ma per quanto ancora potrà resistere, quando a giorni il nuovo sistema elettorale approderà a Palazzo Madama, dove la maggioranza è risicata assai e dove – stante l’annunciata abolizione della seconda camera – ai senatori non garberà molto fare la figura dei tacchini invitati al pranzo di Natale. Il fatto è che Renzi subisce una sorta di legge del contrappasso. Ha stretto un patto con Berlusconi che adesso gli viene rinfacciato come un tradimento. Ha voluto un governo al femminile e sono le femmine a fargliela pagare cara. Ha teorizzato la rottamazione della vecchia guardia pd e (mentre riciccia Bersani) è una energica signora dai capelli argentati, Rosy Bindi, a guidare la rivolta di genere contro il giovanotto del“qui si fa come dico io”: con l’appoggio convinto dei tanti che dentro e fuori via del Nazareno ce l’hanno cordialmente sulle scatole. Perciò nei retroscena di palazzo si torna a parlare di voto a ottobre e in questa chiave i 10 miliardi per le famiglie oggi all’esame del Consiglio dei ministri possono apparire un cadeau elettorale anticipato. Si vedrà. Del resto è stato il fedele sottosegretario Reggi a dire che Matteo “spara razzi nel cielo”. E non sembra più un complimento.

Da Il Fatto Quotidiano del 12/03/2014.
camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

Messaggio da camillobenso »

Erano almeno 4 anni che non mi capitavano discussione accese con i berluscones del luogo. Con l'esplosione delle olgettine e di tante altre cose, i berluscones hanno cessato di sostenere ogni tipo di confronto.

In questi ultimi venti giorni le discussioni sono riprese con grande animosità. Ma non con i vecchi berluscones, ma con quelli nuovi, i sinistri di fede renziana.

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Parla l’avvocato che “uccise” il Porcellum: “Anche l’Italicum è incostituzionale”.
13/03/2014 di triskel182

Video
https://triskel182.wordpress.com/2014/0 ... tuzionale/

Felice Besostri è uno dei legali dal quale partì l’iter giudiziario che portò la legge Calderoli alla bocciatura davanti alla Consulta. E non è tenero nemmeno nei riguardi dell’Italicum, il testo frutto dell’accordo Renzi-Berlusconi che ha ricevuto il primo via libera dalla Camera. “E’ un trucco, un tradimento della libera volontà degli elettori, in violazione di precise norme costituzionali“, dice commentando il premio di maggioranza così come previsto dal nuovo testo. E il gran dibattito sulle quote rosa? “Cosmesi sui cadaveri, le liste bloccate sono comunque incostituzionali, anche con il cinquanta per cento di donne”. E i tempi per un nuovo giudizio costituzionale? “Se la legge viene approvata in fretta, il ricorso potrebbe rientrare in un procedimento ancora aperto in Cassazione come strascico della questione Porcellum ed essere in breve mandato alla Consulta”. Altrimenti, conclude l’avvocato, si percorrerà la via ordinaria.

Da tv.ilfattoquotidiano.it
camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

Messaggio da camillobenso »

EDITORIALE
Berlusconi batte Renzi 4–1
—Massimo Villone, 12.3.2014



Renzi dice di aver vinto uno a zero la par­tita sulla legge elet­to­rale. A suo avviso, qual­cuno voleva dimo­strare che pur avendo lasciato a lui il par­tito e Palazzo Chigi, altri ave­vano i numeri. Invece – chiosa Renzi – «i numeri ce li abbiamo noi». La sag­gezza popo­lare ci dice che quando si danno i numeri biso­gna sem­pre essere cauti. Molti non l’hanno pro­prio visto il gol dell’uno a zero per Renzi, e hanno anzi con­tato qual­che pal­lone nella porta del pre­mier. Il pol­ve­rone ultimo sulle quote rosa ha fatto comodo per occul­tare una più com­ples­siva realtà.A una parte di noi può dispia­cere che non siano pas­sati gli emen­da­menti sulla parità.

Ma la verità è che que­sta legge è pes­sima, e tale rimar­rebbe anche se fos­sero stati appro­vati.

È chia­ra­mente inco­sti­tu­zio­nale e in con­tra­sto con i prin­cipi affer­mati dalla Corte costi­tu­zio­nale.

Lascia intatte le distor­sioni e le pre­ca­rietà isti­tu­zio­nali che si sono tra­dotte in vent’anni di governo debole, inca­pace di cogliere i biso­gni del paese e tra­durli in indi­rizzo poli­tico.


L’omaggio ver­bale al popolo sovrano come domi­nus della scelta dei governi non vale a smen­tire la tor­pida rispo­sta degli ese­cu­tivi di vario colore che si sono suc­ce­duti nel tempo.Ancora, la legge non rispetta le pro­messe fatte, nem­meno quelle che hanno giu­sti­fi­cato il licen­zia­mento di Letta e il cam­bio a Palazzo Chigi. L’obiettivo essen­ziale della resti­tu­zione della scelta agli elet­tori non è stato rag­giunto, e nem­meno in realtà per­se­guito. Ci sono due modi per rea­liz­zarlo pie­na­mente: un sistema di col­le­gio uni­no­mi­nale, o uno di lista e pre­fe­renza. Dopo tre legi­sla­ture di par­la­men­tari nomi­nati, decenza avrebbe voluto che si sce­gliesse uno dei due. Si può capire il no alla pre­fe­renza, mec­ca­ni­smo secondo molti oggi ingo­ver­na­bile, foriero di costi ele­vati della poli­tica e per­ciò espo­sto a un alto rischio di cor­ru­zione e clien­tela. Ma per­ché non il col­le­gio, che pure lo stesso Renzi aveva ini­zial­mente spon­so­riz­zato tra le opzioni pos­si­bili? Per­ché non – almeno – un sistema misto di col­le­gio uni­no­mi­nale e liste bloc­cate par­ziali, sul modello tede­sco? Qui la rispo­sta è sem­plice e poco com­men­de­vole: per­ché alla fine il col­le­gio non piace a Ber­lu­sconi, che da sem­pre lo ritiene favo­re­vole alla sini­stra, capace di can­di­da­ture più competitive.I cor­ret­tivi inven­tati per risol­vere il pro­blema e pre­sen­tati di volta in volta come deci­sivi in realtà non danno rispo­ste effi­caci. Tale è il caso per le liste bloc­cate brevi, con l’eventuale foglia di fico delle pri­ma­rie. Qui la domanda è una sola: l’elettore deve poter votare la per­sona, o no? Basta la cono­scenza dei (pochi) can­di­dati di una lista breve, da votare in blocco? La rispo­sta è sem­plice: se si vuole dav­vero resti­tuire la scelta all’elettore, allora la libertà di voto deve potersi eser­ci­tare indi­cando un nome per un seg­gio. Nulla cam­bia se il pac­chetto di pochi nomi da votare in blocco in una lista breve è for­mato attra­verso pri­ma­rie. Si toglie l’individuazione dei nomi all’organizzazione di par­tito, ma non la si dà all’elettore che sce­glie il suo rap­pre­sen­tante nell’urna. Per quell’elettore, il voto rimane vin­co­lato come e quanto lo sarebbe se i can­di­dati fos­sero scelti dal par­tito. Som­man­dosi le liste brevi, è ancora un par­la­mento di nominati.E che dire delle soglie per i pic­coli par­titi e per il pre­mio di mag­gio­ranza? Qui si mostra vin­cente la stra­te­gia di Ber­lu­sconi, sia verso Alfano che per la Lega. Le regole e le per­cen­tuali si mostrano sin­go­lar­mente atte a favo­rire le stra­te­gie coa­li­zio­nali e di com­pe­ti­zione elet­to­rale del cava­liere. O pen­siamo che siano un caso le dichia­ra­zioni già messe agli atti da Alfano e Casini sul rien­tro a casa nel cen­tro­de­stra? Con il para­dosso dav­vero non banale che Renzi, lar­ga­mente privo di mag­gio­ranza al senato senza i 31 di Alfano, è affi­dato — per la pro­pria soprav­vi­venza e per il suc­cesso del pro­gramma di governo in ter­mini di costru­zione del con­senso — a chi cor­rerà con­tro di lui nel pros­simo turno elet­to­rale. È come se Mont­go­mery avesse chie­sto a Rom­mel in pre­stito i carri armati per vin­cere a El Alamein.Rias­su­miamo tutto que­sto nell’uno a zero per Renzi, o nel tre o quat­tro a zero per Ber­lu­sconi, con­si­de­rando anche il gol ini­ziale che ha riqua­li­fi­cato il cava­liere come aspi­rante padre della patria? Forse nel ristretto campo del par­tito ha vinto dav­vero, e nem­meno di misura. Non è la bat­tuta di Ber­sani sulla movida che dimo­stra il con­tra­rio. Ma Renzi dovrebbe ricor­dare che non importa se ha la mag­gio­ranza nel par­tito, da lui costruito con, e attra­verso, le pri­ma­rie. Importa se ha una mag­gio­ranza di governo su cui con­tare fino in fondo. E quella non ce l’ha, come dimo­strano ine­qui­vo­ca­bil­mente i numeri del senato, e in sostanza anche i numeri che tra­spa­iono nella bat­ta­glia della camera.Quindi, ci per­met­tiamo di con­si­gliare pru­denza al nostro focoso primo mini­stro, che per ora vede solo la fine del primo tempo alla camera e si avvia verso una dif­fi­cile ripresa al senato. Diver­sa­mente, affron­terà il peri­colo per lui mag­giore: che il Renzi di Crozza sia più vero del Renzi di Renzi.

http://ilmanifesto.it/berlusconi-batte-renzi-4-1/#
camillobenso
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http://www.youtube.com/watch?v=amK4GBT7DGA&hd=1





LA PROMESSA: 1000 EURO IN PIÙ MA PER VINCERE LE EUROPEE

(Wanda Marra).
13/03/2014 di triskel182


RENZI AMMETTE: “PER IL PRIMO APRILE NON JA FAMO”. NONOSTANTE UNA NOTTE DI INSISTENZA CON I TECNICI, I SOLDI ARRIVERANNO A MAGGIO, DOPO IL VOTO.

Vi potrei dire che le tasse le tagliamo dal primo maggio, perché dire il primo aprile sembrava un pesce d’aprile”. Però vi dico la verità: ’Non ja famo’”. Un Matteo Renzi, istrionico, energico e di sfondamento risponde così a chi in conferenza stampa gli chiede perché non taglia l’Irpef dal primo aprile, come aveva annunciato. “Volevo farlo, ma sono stato respinto con perdite. Non ci sono i tempi tecnici, bisogna modificare le buste paga”. E però: “Sono 20 anni che si annuncia di abbassare le tasse, uno le abbassa e fateci pure le pulci…”. Al di là delle pulci, il problema è (elettoralmente) serio e il presidente del Consiglio lo sa benissimo. 1000 euro in più all’anno in busta paga per 10 milioni di lavoratori sono un annuncio a effetto, una promessa mirabolante. E anche una misura evidentemente portatrice di voti e di consensi. E cosa cambia dal primo aprile al primo maggio? Che il 25 maggio ci sono le europee, il primo vero test elettorale del premier-segretario. Che si gioca tutto: se va bene, è ossigeno per il governo e per il suo futuro. Se no, è l’inizio della fine. Per essere una vittoria il Pd deve prendere dal 30 per cento in su (Bersani alle politiche arrivò al 25,4%, guai ad andare sotto). Gli stipendi arrivano al 27 del mese: dunque, primo maggio significa in realtà 27, come ammette lo stesso Matteo. “A chi ha dubbi suggerisco di aspettare il 27 maggio per vedere santommasianamente se i denari ci sono”. Non a caso mentre ieri Renzi lavorava sui dossier economici, Lorenzo Guerini, il portavoce della segreteria (in questo momento il segretario in pectore) stava al Nazareno a lavorare sul Pd: prima di tutto, proprio le liste per le europee. E poi, questioni locali, in generale gestione del potere renziano.

RENZI in conferenza stampa recupera la sua forza persuasiva. Però viene da 24 ore difficili. La cabina di regia a Palazzo Chigi (oltre a Renzi, anche il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Del Rio e uno dei consiglieri economici, Yoram Gutgeld) è stata sveglia tutta la notte tra martedì e mercoledì. Motivo, proprio la ricerca delle coperture per il taglio dell’Irpef. Renzi ha insistito, si è arrabbiato, ha spinto per riuscire a portare a casa la misura nella data desiderata. Ma la struttura del ministero dell’Economia, la ragioneria di Stato, gli ha detto di no. Non si fa in tempo, punto e basta. In preda al nervosismo. martedì sera lo stesso premier rilasciava interviste a tutto spiano per dire che lui i soldi ce li ha. Pure la mattinata di ieri non è stata delle più rilassate: sul voto finale alla legge elettorale temeva di andare sotto e mandava messaggi per tutto il dibattito ai fedelissimi. L’Aula stavolta non l’ha tradito. Subito un tweer: “Grazie alle deputate e ai deputati . Hanno dimostrato che possiamo davvero cambiare l’Italia. Politica1~Disfattismo0. Questa è #laSvoltabuona”. In serata la rivendicazione: “A dispetto dei gufi l’Italicum è passato con 200 voti di scarto”. Ed è “una rivoluzione per l’Italia”. Il Pd gli ha messo i bastoni tra le ruote, l’ha fatto penare, annuncia battaglia a Palazzo Madama? Renzi alza il tiro. E butta lì la promessa/minaccia: “Se non passa la fine del bicameralismo perfetto non finisce solo il governo, ma considero chiusa la mia esperienza politica”. Insomma, o me o il Senato. Come i perfetti giocatori di poker, ancora una volta il presidente del Consiglio la mette giù durissima: si fa come dico lui. “Io ascolto tutti, ma siamo noi che decidiamo”. Per adesso la riforma del Senato è una bozza. Nei prossimi 15 giorni verrà sottoposta a tutti, poi diventerà un disegno di legge. Anche qui, guai in arrivo: Renzi si dovrà sedere al tavolo con tutti, con i gruppi di maggioranza, ma anche con Fi. Forse di nuovo con lo stesso Berlusconi: nel patto del Nazareno fu siglato nel dettaglio l’accordo sulla legge elettorale. Adesso bisognerà fare lo stesso con il Senato. Sempre più difficile. Ma la specialità di Renzi è proprio spingere le situazioni fino al punto di rottura, arrivare fino al ciglio del burrone. Raccontano che ieri in Cdm c’è stata qualche alzata di ciglia. E che Padoan ha fatto qualche puntualizzazione sulle coperture. Ma alla fine Renzi ha strappato l’approvazione politica al suo piano (si è fatto votare la sua relazione, un inedito). E ha persino incassato qualche apertura inaspettata. Come la nemica Camusso che plaude al taglio delle tasse sul lavoro. E si scambia di ruolo con Landini, che avverte: “I sindacati vanno ascoltati”. Per dirla con Del Rio: “Una rivoluzione”. E gli altri ministri? “Uniti nella lotta”. Nel suo mercoledì, Il leone non ha dato la zampata, ma il ruggito s’è sentito forte e chiaro.

Da Il Fatto Quotidiano del 13/03/2014.
camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

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Finemondo

di Marco Damilano

13 mar Se nasce la Renzi Coalition


A chiudere gli occhi, certo, sembrava di ascoltare il fin troppo noto modello dell’ultimo ventennio, “Una casa per tutti” come “Meno tasse per tutti”, “Un piano per le scuole” come le tre I (inglese, internet, impresa), “Il lavoro svolta” come “Un buon lavoro anche per te”… E poi vendesi auto usata (blu ministeriale), spade da samurai contro i gufi che pensano «non ce la può fare» e pesciolini rossi, «che volevate di più?» con l’aria di chi non vende sogni ma comode realtà, come recita lo slogan di una nota agenzia immobiliare. Solo che questa volta non eravamo nel pieno di una campagna elettorale, ma all’uscita di un Consiglio dei ministri, non c’erano i manifesti sei per tre affissi sui muri o uno studio televisivo da cui far partire contratti con gli italiani ma le slides sul pannello della sala conferenze stampa di Palazzo Chigi, il venditore di sogni non era un candidato premier ma il premier in carica. E da quelle false promesse di Silvio Berlusconi sono passati tredici anni, invano. Mentre Matteo Renzi, di fronte a sé, ha un tempo breve per dimostrare che non è solo un nuovo e più giovane Vanna Marchi della politica. Una verifica immediata. Cento giorni.

Cento giorni è l’evocazione di un modello che non abita ad Arcore, va cercato altrove. Una citazione nascosta, una scopiazzatura, una suggestione. Il modello va cercato oltreoceano e indietro nel tempo, all’inizio degli anni Trenta. Il presidente americano che cominciò il suo mandato con un discorso tra i più famosi della storia: «Sono convinto se c’è qualcosa da temere è la paura stessa, il terrore sconosciuto, immotivato e ingiustificato che paralizza. Dobbiamo sforzarci di trasformare una ritirata in una avanzata…». Era Franklin Delano Roosvelt, eletto nel 1932, nel bel mezzo della grande depressione, che rilanciò l’economia con le misure dei cento giorni, il New Deal, il nuovo patto. Era un grande comunicatore, non usava twitter ma si rivolgeva agli elettori parlando alla radio, con i “discorsi dal caminetto”. Aveva in mente una dottrina economica, quella keynesiana. E un blocco sociale di riferimento: la coalizione roosveltiana, democratica, che dominò la politica americana per decenni. Sostituita, solo negli anni Ottanta, dalla rivoluzione conservatrice del repubblicano Ronald Reagan: la Reagan Coalition.

In molti hanno provato a imitarlo. Anche il celebratissimo Barack Obama, come dimostra questa copertina di “Time” del 2008, al momento della prima elezione a presidente:


Non è andata bene a Obama, figuriamoci a Renzi che non è certo Roosvelt e che semmai può accarezzare un riferimento più vicino. C’era una volta l’interclassismo, parola magica della Democrazia cristiana al governo per decenni: rappresentare insieme contadini e operai, piccoli imprenditori settentrionali e pubblico impiego, soprattutto il grande, infinito ceto medio italiano indispensabile per governare il Paese. A questo blocco sociale si contrapponeva quello della sinistra che ruotava attorno al Pci. Negli ultimi venti anni, quelli della Seconda Repubblica, gli unici che hanno provato a definire e a rappresentare un blocco sociale di riferimento sono stati Berlusconi e la Lega. Forza Italia è stata un partito di plastica attorno a un Capo ma aveva un’idea precisa, feroce degli interessi che intendeva tutelare, la Padania era una creatura della fantasia che copriva solidissime realtà sociali in cerca di partiti che a Roma difendessero le ragioni del «territorio». Mentre, negli stessi anni, la sinistra ha quasi totalmente smarrito un’idea sull’Italia da rappresentare. Ha sostituito l’ideologia con la cinematografia. Ha confuso la conquista del centro della società con l’inciucio con il centro del Palazzo, con Casini, o con il centro storico o con il centro Italia, l’immaginario della Meglio gioventù. È rimasta a coltivare sentimentalmente i riferimenti sociali del passato, o ha inseguito una visione tutta politicistica, alleanze di vertice, della rappresentanza politica.

Incredibile, anzi «in-cre-di-bil-le», come ha detto lui accentuando il tono da banditore, che sia Renzi il leggero, Matteo il superficiale, a coltivare un’idea pazzesca che va ben al di là del pacchetto annunciato ieri: ricostruire un blocco sociale, una coalizione di consenso non politica ma sociale. Eppure nel piano dei cento giorni, nei referenti individuati come destinatari delle misure economiche, questa ambizione è ben visibile. I dieci miliardi per dieci milioni di italiani che guadagnano meno di 1500 euro al mese arrivano a un ceto medio diffuso e impoverito, il più aggredito dalla crisi negli ultimi anni, dimenticato dalla destra berlusconiana, dai tecnici ma anche dalla sinistra vecchio stile. Il pacchetto lavoro, il Jobs Act che fa tanto America, parla ai giovani senza lavoro, flessibili ormai per condizione esistenziale più che scelta o per costrizione. Il taglio dell’Irap finanziato con l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie è, addirittura, una cosa di sinistra («riequilibrio, equità», dice Renzi) mescolata con una di destra: Bertinotti e Berlusconi insieme. Perfino l’istituzione di un fondo di cinquecento milioni per le imprese sociali è un amo lanciato alla Compagnia delle Opere e alla Lega Coop, ben piazzate nel governo con i ministri Lupi e Poletti. Un tassello dell’obiettivo che Renzi vuole costruire: una grande coalizione, non nel Palazzo, ma nel Paese. Non la coalizione alla tedesca, tra partiti, ma all’americana, nella società. Una larga intesa che non si salda con le alchimie di gruppi parlamentari inesistenti nella società ma parlando agli italiani smarriti e senza riferimenti politici. Quasi tutti, ormai.

Nessuno meglio di lui, negli ultimi decenni, può riuscirci, nessuno più del post-ideologico Matteo Renzi. Con la sua indifferenza ai dettagli (le coperture? il provvedimento in cui arrivano i mille euro? boh… la riforma del Senato con i ventuno nominati dal presidente della Repubblica per sette anni: e perché non ventidue, come i convocati in Nazionale?) e la sua identità politica oltre la destra e la sinistra. Con la sua disinvoltura istituzionale (i ministri lasciati in piedi ad ascoltare il Verbo) e il presidenzialismo di fatto. Perché la Dc conquistava una maggioranza relativa di italiani ma il suo serbatoio di voti aveva un limite nella guerra fredda e nella presenza fortissima e ben organizzata del Pci e nella laicità di chi non voleva morire democristiano. Berlusconi ha colonizzato le speranze di una parte degli italiani, ma tutto il resto lo ha ritenuto un virus da cui liberarsi. In più, fin dalla discesa in campo, ha spaccato gli italiani, di qua o di là, la scelta di campo, o con me o con la morte e la distruzione, i comunisti, aveva recuperato la parola destra uscita dal vocabolario italiano dopo il fascismo. Mentre Renzi è un autentico leader generalista, è la Rai democristiana e la Mediaset berlusconiana insieme. Gli anni Cinquanta, con quel sapore di ottimismo che precedeva il boom economico e anche quell’intolleranza soft verso il dissenso, «il disfattismo» (ma nessun democristiano avrebbe chiamato un giornalista per chiedergli di ritirare il pezzo e minacciando di quererarlo come ha fatto con Lucia Annunziata Madonna Maria Elena Boschi che tanto gentile e onesta appare: prenda esempio da Giulio Andreotti che è entrato al governo più giovane di lei e che non ha mai querelato nessuno) e gli anni Ottanta. Tra De Gasperi e gli U2, come si intitolava un aureo libretto del futuro premier.

Il suo è un interclassismo liquido, gassoso e perciò pervasivo, in grado di infilarsi ovunque, nel vuoto lasciato a destra dagli ex berlusconiani allo sbando, i grillini delusi, perfino in una parte di sinistra priva di bussola e di identità. Renzi è il primo leader potenzialmente senza confini elettorali pre-definiti, in grado di acchiappare ovunque. E dunque è ozioso sovrapporre l’immagine del venditore di Pontassieve a quella del piazzista di Arcore. Quello che più interessa ora è vedere se riuscirà a incrociare il solido e il pesante, gli interessi e i valori di una parte degli italiani. Se ce la fa, nasce la coalizione renziana, la Renzi Coalition, in grado di durare decenni. Se invece tra cento giorni tutto svanisce in una nuvola di cerone o si esaurisce in un tweet, altro che new deal roosveltiano, Renzi perderà disastrosamente le elezioni europee, proverà a riprendersi la rivincita anticipando le elezioni politiche. E amen.
camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

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Piovono Rane
di Alessandro Gilioli
13 mar Alto gradimento
Schermata 2014-03-13 alle 06.58.53

D’accordo, c’è una questione di metodo, o se preferite di estetica: era imbarazzante a vedersi e a sentirsi, con quelle slide che nemmeno in un supermercato. E con quella parlantina da giocatore delle tre carte, che quando lo ascoltavi ti veniva da toccarti la giacca per controllare che un suo amico non ti avesse fregato il portafogli mentre lui cercava di imbambolarti.

Una questione di metodo che poi è la stessa di sempre, in Italia, da vent’anni: dalla “spilla acchiappaburini” che brillava in tivù nel 1994 (cit. Enrico Deaglio) fino a quel «sì, avete capito bene!» con cui Berlusconi sdoganò definitivamente lo stile Vanna Marchi promettendo l’abolizione del bollo auto nel 2006.

Non la sottovaluto, per carità, la questione di metodo: è il segno che siamo ancora lì, alla convinzione da parte della politica che qui sotto i cittadini siano tutti «bambini di terza elementare e nemmeno i più svegli», la famosa frase con cui il Cavaliere spiegava ai suoi come parlare alle persone. Siamo insomma all’eterna scontatezza della nostra presunta minorità mentale: ne prendiamo atto, chiedendoci silenziosamente se non ci meritiamo qualcuno che ci tratti da adulti, un giorno.

Ma pazienza, perché poi però ci sono anche le “cose”: i provvedimenti promessi, i soldi magicamente apparsi dal nulla. E premetto subito che non sono tra quelli che sperano in un flop colossale, perché il “tanto peggio tanto meglio” appartiene anch’esso al tempo della minorità e della superficialità.

Ci sono le cose decise e quelle vagheggiate, in un mix talmente ridondante e multiforme che solo uno molto prevenuto in un senso o nell’altro può dire che fa tutto schifo o è tutto bellissimo.

Raffaele Cantone all’anticorruzione, ad esempio, per me è un’ottima idea, se gli danno i mezzi per fare qualcosa e magari anche qualche leggina seria: di quelle che lo stesso Cantone invoca da anni. Altrimenti è solo vetrina: ma vedremo.

Personalmente, considero molto positivo anche il proposito di dedicare tre miliardi e mezzo alla sistemazione delle scuole (parlava solo di quelle pubbliche vero?), visto che cadono a pezzi. Ah, auspicabile che questa decisione sia in qualche modo collegata con la precedente, visto come finiscono gli appalti pubblici con la compagnia di governo di cui si è circondato anche questo premier.

Poi – per rimanere solo ad alcuni degli infiniti punti toccati ieri da Renzi – c’è il megapacchetto degli interventi economici, a partire dagli ottanta euro promessi a chi ne guadagna meno di 1.500 netti, con una spesa totale per lo Stato di dieci miliardi.

Faranno piacere a chi li riceve, ovvio, e porteranno consenso a chi li distribuisce, certo: così come la social card o le dentiere agli anziani meno abbienti, il giro scorso.

Sia chiaro che non è tuttavia, se non in minuscola parte, una redistribuzione delle ricchezze: quei dieci miliardi scovati nella nostra cassa comune, se c’erano, appartenevano già quasi tutti a chi li aveva pagati in tasse, cioè agli stessi dieci milioni di italiani a cui, forse, ora ritorneranno.

È una “misura di sinistra”, come strillano i miei amici renziani? Beh, dipende da cosa si intende per sinistra, as usual. Oggi sul “Giornale” Nicola Porro, che ha idee limpidamente di destra, ne elogia il contenuto ma si lamenta che Renzi lo abbia “scippato” alla destra economica. Quella della definizione è comunque una questione scivolosa, si sa, e che in ogni caso riguarda solo il nostro circoletto di impallinati di politica: fuori, è tutta una ola tra chi riceverà gli 80 euro, a cui di destra e sinistra non frega proprio nulla. Un po’ come se il premier in persona si fosse messo a distribuire banconote in piazza, del resto.

Di sicuro, se si concretizzerà, quella degli 80 euro sarà quindi una misura “di successo”, di alto gradimento. Del resto veniamo da trent’anni di lotta di classe dall’alto verso il basso, in cui i few rich hanno sapientemente rapinato le tasche di tutti gli altri, allargato a dismisura la forbice dei redditi, scarnificato il welfare, azzerato le garanzie sociali ed esteso ovunque la precarietà: ottenendo l’obiettivo di una società mostruosa in cui un Ceo guadagna cinquemila volte un suo dipendente. Insomma, a chi non procura sollievo, dopo una tortura tanto lunga e inumana, un bicchiere d’acqua fresca?

Certo, se il giorno dopo la tortura non ricominciasse, forse sarebbe anche meglio. E un po’ più importante.

Ma mi rendo conto che questo sommesso parere, stamattina, andrà rapidamente incontro al facile destino di essere bollato come “disfattismo”, perché ormai gira così.

Succede, quando su tutto prevale l’alto gradimento.


http://gilioli.blogautore.espresso.repu ... radimento/
camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

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Piovono Rane
di Alessandro Gilioli
13 mar Alto gradimento
Schermata 2014-03-13 alle 06.58.53

D’accordo, c’è una questione di metodo, o se preferite di estetica: era imbarazzante a vedersi e a sentirsi, con quelle slide che nemmeno in un supermercato. E con quella parlantina da giocatore delle tre carte, che quando lo ascoltavi ti veniva da toccarti la giacca per controllare che un suo amico non ti avesse fregato il portafogli mentre lui cercava di imbambolarti.

Una questione di metodo che poi è la stessa di sempre, in Italia, da vent’anni: dalla “spilla acchiappaburini” che brillava in tivù nel 1994 (cit. Enrico Deaglio) fino a quel «sì, avete capito bene!» con cui Berlusconi sdoganò definitivamente lo stile Vanna Marchi promettendo l’abolizione del bollo auto nel 2006.

Non la sottovaluto, per carità, la questione di metodo: è il segno che siamo ancora lì, alla convinzione da parte della politica che qui sotto i cittadini siano tutti «bambini di terza elementare e nemmeno i più svegli», la famosa frase con cui il Cavaliere spiegava ai suoi come parlare alle persone. Siamo insomma all’eterna scontatezza della nostra presunta minorità mentale: ne prendiamo atto, chiedendoci silenziosamente se non ci meritiamo qualcuno che ci tratti da adulti, un giorno.

Ma pazienza, perché poi però ci sono anche le “cose”: i provvedimenti promessi, i soldi magicamente apparsi dal nulla. E premetto subito che non sono tra quelli che sperano in un flop colossale, perché il “tanto peggio tanto meglio” appartiene anch’esso al tempo della minorità e della superficialità.

Ci sono le cose decise e quelle vagheggiate, in un mix talmente ridondante e multiforme che solo uno molto prevenuto in un senso o nell’altro può dire che fa tutto schifo o è tutto bellissimo.

Raffaele Cantone all’anticorruzione, ad esempio, per me è un’ottima idea, se gli danno i mezzi per fare qualcosa e magari anche qualche leggina seria: di quelle che lo stesso Cantone invoca da anni. Altrimenti è solo vetrina: ma vedremo.

Personalmente, considero molto positivo anche il proposito di dedicare tre miliardi e mezzo alla sistemazione delle scuole (parlava solo di quelle pubbliche vero?), visto che cadono a pezzi. Ah, auspicabile che questa decisione sia in qualche modo collegata con la precedente, visto come finiscono gli appalti pubblici con la compagnia di governo di cui si è circondato anche questo premier.

Poi – per rimanere solo ad alcuni degli infiniti punti toccati ieri da Renzi – c’è il megapacchetto degli interventi economici, a partire dagli ottanta euro promessi a chi ne guadagna meno di 1.500 netti, con una spesa totale per lo Stato di dieci miliardi.

Faranno piacere a chi li riceve, ovvio, e porteranno consenso a chi li distribuisce, certo: così come la social card o le dentiere agli anziani meno abbienti, il giro scorso.

Sia chiaro che non è tuttavia, se non in minuscola parte, una redistribuzione delle ricchezze: quei dieci miliardi scovati nella nostra cassa comune, se c’erano, appartenevano già quasi tutti a chi li aveva pagati in tasse, cioè agli stessi dieci milioni di italiani a cui, forse, ora ritorneranno.

È una “misura di sinistra”, come strillano i miei amici renziani? Beh, dipende da cosa si intende per sinistra, as usual. Oggi sul “Giornale” Nicola Porro, che ha idee limpidamente di destra, ne elogia il contenuto ma si lamenta che Renzi lo abbia “scippato” alla destra economica. Quella della definizione è comunque una questione scivolosa, si sa, e che in ogni caso riguarda solo il nostro circoletto di impallinati di politica: fuori, è tutta una ola tra chi riceverà gli 80 euro, a cui di destra e sinistra non frega proprio nulla. Un po’ come se il premier in persona si fosse messo a distribuire banconote in piazza, del resto.

Di sicuro, se si concretizzerà, quella degli 80 euro sarà quindi una misura “di successo”, di alto gradimento. Del resto veniamo da trent’anni di lotta di classe dall’alto verso il basso, in cui i few rich hanno sapientemente rapinato le tasche di tutti gli altri, allargato a dismisura la forbice dei redditi, scarnificato il welfare, azzerato le garanzie sociali ed esteso ovunque la precarietà: ottenendo l’obiettivo di una società mostruosa in cui un Ceo guadagna cinquemila volte un suo dipendente. Insomma, a chi non procura sollievo, dopo una tortura tanto lunga e inumana, un bicchiere d’acqua fresca?

Certo, se il giorno dopo la tortura non ricominciasse, forse sarebbe anche meglio. E un po’ più importante.

Ma mi rendo conto che questo sommesso parere, stamattina, andrà rapidamente incontro al facile destino di essere bollato come “disfattismo”, perché ormai gira così.

Succede, quando su tutto prevale l’alto gradimento.


http://gilioli.blogautore.espresso.repu ... radimento/
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Re: Il nuovo governo Renzi

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INTERVISTA
"Matteo Renzi? E' una caricatura"
Emanuele Macaluso dà il voto ai leader


Lo storico dirigente del Pci e giornalista compie 90 anni e racconta i vertici della sinistra, da Togliatti in poi. E sul presidente del Consiglio dice: "E' il prevalere dell'immagine mediatica sul progetto. Ma dopo di lui cosa c'è?"
Matteo Renzi? E' una caricatura
Emanuele Macaluso dà il voto ai leader
“Renzi è una caricatura, è l'interclassismo del cioccolatino: uno a Landini e uno a Squinzi. Ma ho un'angoscia: se fallisce lui dopo cosa c'è?”. Il giudizio e il timore sono di Emanuele Macaluso, intervistato da Marco Damilano su “l'Espresso” in edicola domani in occasione dei suoi 90 anni (li compirà il 21 marzo) dal titolo “Sinistra mia non star serena”.

Il leader storico del Pci ripercorre la sua lunga carriera politica e misura per paragone i vari leader, da Togliatti a Renzi. Del primo dice: “Togliatti ha costruito una sinistra che pensa al governo. I suoi eredi, tranne il povero Occhetto, sono andati tutti al governo, tutti ministri, ma senza un progetto, senza un orizzonte politico. La crisi della sinistra nasce da qui. L'obettivo di andare al governo è totalmente scisso da un'idea di società”.

L'attuale premier, secondo Macaluso, segna “il prevalere dell'immagine mediatica e della comunicazione sul progetto” . E prosegue: “La mia preoccupazione è che andrà a fare il botto, come si dice in Sicilia. Fa un grande gioco, sta con Landini e con Squinzi, con Berlusconi e con Alfano e con la sinistra del Pd. Ritiene che il suo carisma gli consentirà una manovra a maglie così larghe da portargli rapidamente i risultati. Perché appena dovesse mostrarsi una difficoltà lui andrà alle elezioni. Dirà: non mi fanno fare le cose, con questi non posso lavorare, andiamo al voto. Per questo ha cominciato con la legge elettorale”.

Macaluso fa anche un pronostico su quando il suo amico Giorgio Napolitano lascerà la presidenza della Repubblica: “Resta al Quirinale perché vuole che si faccia la riforma elettorale. Ma ritengo che manterrà fede a quello che ha detto in Parlamento al momento della rielezione. Approvata la legge elettorale Napolitano farà un ragionamento, ricorderà che a tutto pensava tranne che a un secondo mandato, che ha cercato di sanare una situazione di crisi e di paralisi istituzionale, che c'era un tempo di 18 mesi per fare le riforme. Se ne andrà prima. E questo Parlamento dovrà eleggere il suo successore: lì ti voglio”.

L'INTERVISTA INTEGRALE SULL'ESPRESSO IN EDICOLA DA VENERDI' 14 MARZO

http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... r-1.157098
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Re: Il nuovo governo Renzi

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Piano Renzi, Alfano (Ncd): “E’ la ricetta giusta. C’è tanto centrodestra”

Video
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/03/ ... ra/269716/

“Meno tasse finanziate con meno spese: è la ricetta giusta, è la nostra ricetta, è la ricetta del Ncd”. E’ entusiasta Angelino Alfano, leader di Ncd e ministro dell’Interno, il giorno dopo la conferenza stampa del premier Matteo Renzi. “Ncd – spiega dalla sede del suo partito – rivendica con forza di aver preso parte al programma, abbiamo ottenuto uno slancio, un turbo sui pagamenti delle Pa, mentre il fatto che la riduzione vada ai lavoratori dipendenti non significa che il beneficio sia solo loro”. Poi Alfano assume toni da piena campagna elettorale: “Vogliamo dirlo a tutti gli elettori del centrodestra: vi sono partiti di centrodestra all’opposizione che diranno no alla diminuzione delle tasse e a tante altre cose. Noi, invece, diciamo sì alla riduzione tasse, abbiamo chiesto e ottenuto importante segnale su Irap, un’imposta ingiusta e sbagliata”. Il ministro dell’Interno poi attacca il partito di Silvio Berlusconi: “Forza Italia si schiera ufficialmente contro la diminuzione delle tasse. E’ evidente – aggiunge – che il taglio di 10 miliardi di euro della spesa farà rimanere male qualcuno”

di Manolo Lanaro

13 marzo 2014
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Re: Il nuovo governo Renzi

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Dopo il "padre", "il figlio".............se ci va male ce lo terremo per il prossimo ventennio.


Parole non dissimili da quelle pronunciate dal neopremier: «Se non riusciremo ad arrivare al superamento del bicameralismo perfetto, non dico che terminerà questa esperienza di governo: dico che io lascerò la politica».



«Nel caso che al termine di questi cinque anni di governo almeno quattro su cinque di questi traguardi non fossero stati raggiunti», diceva il contratto firmato dal Cavaliere sotto gli occhi benedicenti di Bruno Vespa, cerimonioso ospite oggi di Renzi, «Silvio Berlusconi si impegna formalmente a non ripresentare la propria candidatura alle successive elezioni politiche».








PARALLELISMI
Silvio, Matteo e l’Arte dei perfetti Venditori
I punti di contatto tra i due leader che hanno un’ottima opinione di se stessi

di Gian Antonio Stella



«Meno rughe per tutti!», strillava uno dei manifesti finti che ridevano delle promesse del Cavaliere. E poi «Più dentiere per tutti», «Meno tosse per tutti», «Più Totti per tutti»... Un diluvio.

Figuratevi quindi cosa sarebbe successo se fosse andato lui, in tv, a promettere come ha fatto Renzi, «Una casa per tutti». Apriti cielo!

Quello slogan, per gli amici ma più ancora i nemici, è la prova: Matteo si muove nel solco di Silvio.

Sull’età, a dire il vero, tra il giovane Silvio degli esordi e il giovane Matteo di oggi non c’è gara.

Ricordate cosa scrisse anni fa, allegramente perfido, Mattia Feltri sul «Foglio» di Giuliano Ferrara? «Che bello il Cav. con il lifting. Non gli si darebbe più di quarant’anni. Con le attenuanti generiche, anche trentacinque».

Ecco, Renzi non ha bisogno, come rise Le Monde, «di mantenere un aspetto giovanile, a volte con uno zelo quasi comico». A Palazzo Chigi lui c’è arrivato prima di spegnere 40 candeline e con una ventina di anni di anticipo rispetto al Cavaliere che al momento della discesa in campo andava per la sessantina.

È vero però che i punti di contatto fra i due, esaltati dalle stralunate imitazioni di Maurizio Crozza, sono diversi.

Per cominciare, hanno un’ottima opinione di se stessi.

Silvio, chiamato a descriversi, rispose: «Il mio ruolo? Attaccante, centrocampista, difensore e anche regista in panchina. Sono fruibile per qualsiasi ruolo... Sapete, sono un po’ montato».

Matteo, quando strappò a Lapo Pistelli la candidatura a sindaco di Firenze, il trampolino di lancio della sua ascesa, mandò un amico (o almeno così dicono i suoi avversari) ad appiccicare fuori dalla porta del comitato elettorale dello sconfitto un cartello irridente: «Chiuso per manifesta superiorità».

Certo, entrambi sorridono del vizietto sdrammatizzando con l’autoironia.

A tutti e due, in tempi diversi, l’Italia chiede miracoli?

Il primo ne rise così: «All’Ospedale San Raffale una madre mi pregò di convincere il figlio bloccato provvisoriamente su una sedia a rotelle a riprendere a camminare.

Mi presentai dal ragazzo e gli dissi: “Giacomo, fatti forza. Alzati e cammina...” Lui, dopo alcuni giorni, si alzò».

Il secondo, ogni tanto ammicca: «Un amico mi ha detto: Dio esiste ma non sei tu».

Stessa tecnica: meglio prendersi in giro, sul tema della vanità, prima che lo facciano gli altri...

C’è da capirli: mica facile tenere la testa sul collo tra i cori di certi laudatores dediti al turibolo e all’incenso.

Tra gli adoranti del Cavaliere c’è chi si spinse, come Claudio Scajola, a dire: «Berlusconi è il sole al cui calore tutti si vogliono scaldare. Ha capacità di attrazione molto forti. È geniale. Di persone come lui ne nascono due in un secolo».

«Chi è il secondo?», gli chiese mariuolo Claudio Sabelli Fioretti.

E lui: «John Kennedy».

Per Renzi, Carlo Rossella si è avventurato più in là: «Un magnifico incrocio tra Pico della Mirandola e Niccolò Machiavelli».

Non lavorano forse entrambi per la storia? «Conto di rivedere tutti i codici giuridici e, in primo luogo, quello delle imposte. Nel mio piccolo sarò Giustiniano o Napoleone», dichiarava il Cavaliere.

«Io non voglio cambiare governo, voglio cambiare l’Italia», ha giurato il sindaco di Firenze.

Va da sé che, con tanti violini, trombe e grancasse intorno, capita perfino a loro due, nonostante le proverbiali sobrietà, modestia e riservatezza, di avere qualche brividino di importanzite.

Come la volta che Matteo lanciò nell’aere un tweet in cui parlava di sé in terza persona come faceva Diego Armando Maradona: «Dicono Renzi non è di sinistra perché legati all’idea che è di sinistra solo quello che perde».

Niente in confronto, tuttavia, con l’ego a soufflé dell’allora giovine (politicamente) Berlusconi: «Non voglio parlare di me in terza persona ma molto spesso mi viene comodo. Questo però non significa nessuna aumentata considerazione di me stesso. Anche perché più alta di così non potrebbe essere».

Niente, però, li accomuna, quanto la fissa del record.

Ricordate Sua Emittenza? Primo in tutto.

Nel calcio: «Sono il presidente più vincente di tutti e la storia del football si ricorderà di me».

Nell’imprenditoria: «Io ho una caratura non paragonabile a nessun europeo. Solo Bill Gates, in America, mi fa ombra...».

In politica: «Sono il recordman come presidente del Consiglio, visto che ho superato il grande politico Alcide De Gasperi che ha governato 2.497 giorni mentre io credo di aver toccato i 2.500 giorni».

Matteo Renzi non è da meno: il presidente di provincia più giovane d’Italia, il sindaco di Firenze più giovane di sempre, il premier più giovane di tutti i tempi, l’inventore del governo con più donne che mai si sia visto...

E via con le riforme a raffica: o la va o la spacca.

«Nel caso che al termine di questi cinque anni di governo almeno quattro su cinque di questi traguardi non fossero stati raggiunti», diceva il contratto firmato dal Cavaliere sotto gli occhi benedicenti di Bruno Vespa, cerimonioso ospite oggi di Renzi, «Silvio Berlusconi si impegna formalmente a non ripresentare la propria candidatura alle successive elezioni politiche».

Parole non dissimili da quelle pronunciate dal neopremier: «Se non riusciremo ad arrivare al superamento del bicameralismo perfetto, non dico che terminerà questa esperienza di governo: dico che io lascerò la politica».


Spiegò una volta Silvio Magnago che «il segreto di una politica di successo consiste in tre cose.

Primo: avere buone idee.

Secondo: crederci fermamente.

Terzo: metterci un pizzico di demagogia perché anche la merce buona bisogna poi saperla vendere».


E su questo lo stesso Renzi, che pure ha mostrato di soffrire un po’ i paragoni, deve convenire: nel saper «vendere la merce» (buona o cattiva che sia) è difficile non vedere un parallelo.

L’uno e l’altro, che siano intervistati da un giornale, ospiti in tv o chiamati a intervenire in Aula, non parlano ai giornalisti o ai colleghi: parlano direttamente ai loro elettori. Al popolo.


Antonio Ricci, che conosce bene entrambi, l’ha detto: «Matteo è un venditore straordinario, al livello di Silvio giovane».

I parallelismi gli danno fastidio?


Si consoli: il titolone «Renzi si sgonfia subito» fu preceduto nel 1994 dal giudizio di Roberto Maroni dopo l’esordio del Cavaliere: «Ho capito di che pasta è fatto. Fin che si parla si parla, ma poi... Magari arriverà pure alla presidenza del Consiglio ma poi quanto ci resta? Alla prima rogna si sgonfia e torna ad Arcore con la coda fra le gambe».

È rimasto vent’anni.

14 marzo 2014 | 07:23
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http://www.corriere.it/politica/14_marz ... 7b5e.shtml
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