I paraguru sfascisti ci stanno portando al fascismo
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Re: I paraguru sfascisti ci stanno portando al fascismo
Quella maledetta voglia di tornare alla Camera dei fasci - 3
Quando un'intellettuale di professione anche giornalista, si abbassa a definire Gustavo Zagrebeslky appartenente ad un ceto intellettuale incline ad un certo radicalismo, significa che:
1) E' andato completamente fuori di cotenna (di testa) come si dice da queste parti, oppure,
2) E' al soldo di qualche lobby potente ed oscura.
Un certo mondo reazionario è rimasto in silenzio in questi giorni. S'incarica di rompere il silenzio Galli della Loggia attaccando chi alza la voce per difendere la Costituzione e l'ordine repubblicano.
Da :
IL PD E GLI INTELLETTUALI CONTRO
I sacerdoti del non si può
di Ernesto Galli della Loggia
pubblicato nel 3D "Cosa c'è dietro l'angolo"
Ma per ragioni ben note la storia ha dato al Pd un interlocutore particolare che la Dc non aveva: il ceto degli intellettuali.
I quali, inclini in genere a un certo radicalismo, non impazziscono certo per la categoria delle riforme in quanto tale, specie poi quando queste non sono in armonia con il loro punto di vista o ancor di più quando contrastano con i loro feticci ideologici. Ed ecco infatti un nutrito e autorevolissimo gruppo di essi (da Gustavo Zagrebelsky a Stefano Rodotà, da Roberta De Monticelli a Salvatore Settis) scendere in campo venerdì scorso con un vibrante appello pubblicato sul Fatto Quotidiano contro le riforme costituzionali proposte dal Pd di Renzi.
Altro che riforme: si tratterebbe nei fatti, scrivono i nostri, di «un progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato (...) per creare un sistema autoritario che dà al presidente del Consiglio poteri padronali».
Con il monocameralismo, ma in realtà «grazie all’attuazione del piano che era di Berlusconi», nascerebbe «l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi», «una democrazia plebiscitaria (...) che nessun cittadino che ha rispetto per la sua libertà politica e civile può desiderare». Questo il tono e questi gli argomenti.
Che per la loro qualità non meritano commenti ma solo un’osservazione: che razza di Paese è quello in cui le migliori energie intellettuali non esitano a tradurre la loro legittima passione politica in pura faziosità, ignorando decenni (decenni!) di studi, di discussioni, di lavori di commissioni parlamentari, che hanno messo a fuoco in maniera approfonditissima i limiti del nostro impianto costituzionale di governo?
E dunque la necessità di modificarlo spesso proprio nel senso che oggi si discute?
È ammissibile che tuttora si possa sostenere che avere anche in Italia un capo dell’esecutivo dotato dei poteri che hanno tanti suoi omologhi in Europa, o una sola Camera rappresenti l’anticamera del fascismo?
In verità la scelta a cui l’appello degli intellettuali radicali chiama il Partito democratico è una scelta cruciale per la sua identità di partito riformista, ma fin qui sempre rimandata: e cioè tracciare sulla propria sinistra una netta linea di confine e di deciso contrasto ideologico-culturale.
Per decenni il Partito comunista unì a una pratica in larga misura socialdemocratica una benevola tolleranza nei confronti del più multiforme estremismo teorico, verso rivoluzionarismi di varia foggia e conio, verso le critiche radicaleggianti di ogni tipo all’ordine borghese.
Si poteva essere iscritti al Pci e insieme essere luxemburghiani, filomaoisti, marcusiani, stalinisti.
Fino a un certo punto si potè perfino guardare con qualche simpatia alla lotta armata: fino a quando cioè il Partito comunista stesso - resosi conto del pericolo mortale che ne veniva a lui e alla Repubblica - decise di reagire con brutale fermezza.
Ma fu l’unica volta.
Per il resto questa benevola tolleranza non solo appariva politicamente innocua (tanto a governare erano sempre gli altri) dando per giunta l’idea di un partito aperto che sapeva rendersi amici gli strati intellettuali ma, cosa più importante, consentiva pure di fare regolarmente il pieno dei voti a sinistra.
Il Partito democratico dovrebbe capire che per lui però le cose stanno in modo affatto diverso.
Oggi specialmente, quando è al governo in una situazione di crisi grave del Paese e con una responsabilità mai così preponderante e diretta.
È questa una responsabilità che dovrebbe implicare alcune ovvie incompatibilità.
Tra le quali, per l’appunto, l’incompatibilità tra una linea riformatrice di governo e il sinistrismo radicaleggiante caro a non pochi intellettuali, sempre pronto, peraltro, all’agitazione piazzaiola o a divenire carburante per qualche formazione goscista.
Un sinistrismo che dovrebbe obbligare il Pd, se non vuole alla fine restarne vittima, come altre volte gli è capitato, a fare muro esplicitamente, a uscire allo scoperto senza mezzi termini, e magari a contrattaccare; non già a tacere.
Come invece tace singolarmente, ad esempio, l’Unità di ieri, la quale, invece che spendersi in qualche difesa delle riforme costituzionali del governo preferisce occuparsi di riservare una gelida accoglienza alle ragionevolissime critiche mosse dal governatore Visco ai vari corporativismi italiani (inclusi quelli dei sindacati), lasciandone il commento ai sarcasmi caricaturali di Staino.
Ma non è così, non è con questa mancanza di chiarezza, mi pare, che ci si può inoltrare in quel cammino sul quale tanta parte dell’opinione pubblica oggi aspetta di vedere avanzare il partito di maggioranza.
Quando un'intellettuale di professione anche giornalista, si abbassa a definire Gustavo Zagrebeslky appartenente ad un ceto intellettuale incline ad un certo radicalismo, significa che:
1) E' andato completamente fuori di cotenna (di testa) come si dice da queste parti, oppure,
2) E' al soldo di qualche lobby potente ed oscura.
Un certo mondo reazionario è rimasto in silenzio in questi giorni. S'incarica di rompere il silenzio Galli della Loggia attaccando chi alza la voce per difendere la Costituzione e l'ordine repubblicano.
Da :
IL PD E GLI INTELLETTUALI CONTRO
I sacerdoti del non si può
di Ernesto Galli della Loggia
pubblicato nel 3D "Cosa c'è dietro l'angolo"
Ma per ragioni ben note la storia ha dato al Pd un interlocutore particolare che la Dc non aveva: il ceto degli intellettuali.
I quali, inclini in genere a un certo radicalismo, non impazziscono certo per la categoria delle riforme in quanto tale, specie poi quando queste non sono in armonia con il loro punto di vista o ancor di più quando contrastano con i loro feticci ideologici. Ed ecco infatti un nutrito e autorevolissimo gruppo di essi (da Gustavo Zagrebelsky a Stefano Rodotà, da Roberta De Monticelli a Salvatore Settis) scendere in campo venerdì scorso con un vibrante appello pubblicato sul Fatto Quotidiano contro le riforme costituzionali proposte dal Pd di Renzi.
Altro che riforme: si tratterebbe nei fatti, scrivono i nostri, di «un progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato (...) per creare un sistema autoritario che dà al presidente del Consiglio poteri padronali».
Con il monocameralismo, ma in realtà «grazie all’attuazione del piano che era di Berlusconi», nascerebbe «l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi», «una democrazia plebiscitaria (...) che nessun cittadino che ha rispetto per la sua libertà politica e civile può desiderare». Questo il tono e questi gli argomenti.
Che per la loro qualità non meritano commenti ma solo un’osservazione: che razza di Paese è quello in cui le migliori energie intellettuali non esitano a tradurre la loro legittima passione politica in pura faziosità, ignorando decenni (decenni!) di studi, di discussioni, di lavori di commissioni parlamentari, che hanno messo a fuoco in maniera approfonditissima i limiti del nostro impianto costituzionale di governo?
E dunque la necessità di modificarlo spesso proprio nel senso che oggi si discute?
È ammissibile che tuttora si possa sostenere che avere anche in Italia un capo dell’esecutivo dotato dei poteri che hanno tanti suoi omologhi in Europa, o una sola Camera rappresenti l’anticamera del fascismo?
In verità la scelta a cui l’appello degli intellettuali radicali chiama il Partito democratico è una scelta cruciale per la sua identità di partito riformista, ma fin qui sempre rimandata: e cioè tracciare sulla propria sinistra una netta linea di confine e di deciso contrasto ideologico-culturale.
Per decenni il Partito comunista unì a una pratica in larga misura socialdemocratica una benevola tolleranza nei confronti del più multiforme estremismo teorico, verso rivoluzionarismi di varia foggia e conio, verso le critiche radicaleggianti di ogni tipo all’ordine borghese.
Si poteva essere iscritti al Pci e insieme essere luxemburghiani, filomaoisti, marcusiani, stalinisti.
Fino a un certo punto si potè perfino guardare con qualche simpatia alla lotta armata: fino a quando cioè il Partito comunista stesso - resosi conto del pericolo mortale che ne veniva a lui e alla Repubblica - decise di reagire con brutale fermezza.
Ma fu l’unica volta.
Per il resto questa benevola tolleranza non solo appariva politicamente innocua (tanto a governare erano sempre gli altri) dando per giunta l’idea di un partito aperto che sapeva rendersi amici gli strati intellettuali ma, cosa più importante, consentiva pure di fare regolarmente il pieno dei voti a sinistra.
Il Partito democratico dovrebbe capire che per lui però le cose stanno in modo affatto diverso.
Oggi specialmente, quando è al governo in una situazione di crisi grave del Paese e con una responsabilità mai così preponderante e diretta.
È questa una responsabilità che dovrebbe implicare alcune ovvie incompatibilità.
Tra le quali, per l’appunto, l’incompatibilità tra una linea riformatrice di governo e il sinistrismo radicaleggiante caro a non pochi intellettuali, sempre pronto, peraltro, all’agitazione piazzaiola o a divenire carburante per qualche formazione goscista.
Un sinistrismo che dovrebbe obbligare il Pd, se non vuole alla fine restarne vittima, come altre volte gli è capitato, a fare muro esplicitamente, a uscire allo scoperto senza mezzi termini, e magari a contrattaccare; non già a tacere.
Come invece tace singolarmente, ad esempio, l’Unità di ieri, la quale, invece che spendersi in qualche difesa delle riforme costituzionali del governo preferisce occuparsi di riservare una gelida accoglienza alle ragionevolissime critiche mosse dal governatore Visco ai vari corporativismi italiani (inclusi quelli dei sindacati), lasciandone il commento ai sarcasmi caricaturali di Staino.
Ma non è così, non è con questa mancanza di chiarezza, mi pare, che ci si può inoltrare in quel cammino sul quale tanta parte dell’opinione pubblica oggi aspetta di vedere avanzare il partito di maggioranza.
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Re: I paraguru sfascisti ci stanno portando al fascismo
Il piccolo Duce (per il momento) - 1
Il piazzista di "Pentole e ombrelli di Altan" ha esordito facendo fessi milioni di merli tricolori sostenendo che l'abolizione del Senato avrebbe comportato un risparmio di un miliardo di euro.
Figuriamoci i milioni di italiani che hanno il cervello nella panza. Hanno abboccato subito come pesciotti.
A fare fessi gli italiani in questa forma ci aveva provato prima Benito Mussolini. Poi Bettino Craxi seguito dal Berluscone che oggi si affida a Dudù per raccattare voti, e adesso al bullo fiorentino.
Riforme, Grasso contro Renzi: “Italicum più abolizione Senato rischio democrazia”
Il presidente di Palazzo Madama: "Non si possono fare modificare le istituzioni a colpi di fiducia. E io voglio aiutare Matteo: rischia di non avere i numeri". Ma il premier ribatte: "Rispetto il presidente, ma non mollo. Musica deve cambiare anche per politici". La controreplica: "Io non sono un parruccone. Si dice: accettiamo contributi. Ma la Boschi non mi ha mai risposto". Intanto la discussione in Aula - tra alleati di governo e Forza Italia - si annuncia complicata
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 30 marzo 2014Commenti (1664)
“Il Senato resti eletto dai cittadini”. “Vuoi mantenere lo status quo”. “Non sono un parruccone”. “I politici facciano sacrifici”.
“Italicum e riforma del Senato insieme sono un rischio per la democrazia”.
Chi ha scommesso su Berlusconi ha perso: a girare le spalle a Matteo Renzi al tavolo delle riforme è il presidente del Senato Piero Grasso.
Lo scontro è aperto, nel merito e nel metodo.
Nel merito: “Almeno una quota di senatori deve essere eletta” dice la seconda carica dello Stato.
Nel metodo: “Si dice: aspettiamo contributi. Ma ne ho parlato con il ministro Boschi e non ho avuto nessun ritorno”.
Grasso arriva dove sono arrivati solo i giuristi di Libertà e Giustizia: “Italicum e abolizione del Senato insieme porterebbero a un sistema senza contrappesi” e ciò rappresenterebbe “un rischio per la democrazia“.
Avviene tutto a ritmo serrato – intervista di Grasso, replica di Renzi, controreplica di Grasso – a meno di 24 ore dall’arrivo in consiglio dei ministri della bozza del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi.
Uno scambio sul quale la dirigenza del Pd rischia di finire fuori strada, e non solo sulle riforme: la vicesegretaria in pectore Debora Serracchiani arriva alla tentazione di rimettere “in riga” il presidente del Senato.
“Grasso – dice la Serracchiani – è un presidente di garanzia, ma credo anche che, essendo stato eletto nel Pd, debba accettarne le indicazioni”.
Risuonano tonalità berlusconiane del passato (criticate da sinistra) e infatti il primo a opporsi è un deputato del Pd, Giuseppe Fioroni: “Il Pd rispetta le istituzioni e le cariche istituzionali, non le occupa né le pressa, né le indirizza. Per questo non siamo la destra”.(Minchia signor tenente, ....pure Fioroni????-ndt)
La mossa di Grasso
L’alt di Piero Grasso (“Il Senato non va abolito, resti eletto dai cittadini”) è significativo non solo perché arriva dalla seconda carica dello Stato, ma perché evidentemente è il messaggio di chi sa di rappresentare un sentimento diffuso nell’assemblea di Palazzo Madama.
Lì, infatti, si comincerà a chiedere ai senatori di abolire se stessi.
E quindi il presidente del Consiglio e le sue proposte di riforme istituzionali sembrano poter scivolare in un vicolo cieco: da una parte Grasso (e una parte del Pd) che vuole almeno una quota di un centinaio di rappresentanti eletti direttamente; dall’altra l’alleato delle riforme, Forza Italia, furibondo perché è stato invertito l’ordine dei lavori al Senato (doveva arrivare prima l’Italicum e invece è andato in coda).
Su tutto, infine, i numeri che sostengono Renzi al Senato: se tutti i partiti dovessero far pesare il proprio pacchetto di voti, il testo del disegno di legge di Renzi potrebbe essere logorato a dir poco.
E una prova di forza sarebbe un azzardo per l’esecutivo.
Lo stesso Grasso cerca di comunicare con il capo del governo: “Io voglio aiutare il presidente Renzi per non farlo trovare davanti a ostacoli.
I numeri a palazzo Madama rischiano di non esserci, basta ascoltare le prese di posizione di Forza Italia”.
Renzi: “Rispetto Grasso, ma è ora di cambiare pagina”
Eppure il presidente del Consiglio non sembra spaventato: “C’è massimo rispetto nei confronti del presidente Grasso – dice al Tg2 - ma abbiamo preso un impegno nei confronti dei cittadini che hanno diritto al cambiamento. E’ ora di cambiare pagina. Capisco le resistenze di tutti, ma la musica deve cambiare. I politici devono capire che se per anni hanno chiesto di fare sacrifici alle famiglie ora i sacrifici li devono fare loro. Il vero modo per difendere il Senatonon è una battaglia conservatrice, ma difendere le riforme che stiamo portando avanti”. Se le riforme falliscono “me ne vado – aveva detto l’altro giorno nell’intervista a Enrico Mentana - Rischio l’osso del collo”. Dipende però quali riforme usciranno.
La replica: “Avevo già espresso le mie perplessità. Ma dalla Boschi silenzio”
E infatti Grasso sembra avere buon gioco nella controreplica: ”Non è una compagna conservatrice – spiega intervistato a In mezz’ora, su Rai3 – Io sono il primo rottamatore del Senato, il primo che vuole eliminare questo tipo di Senato”. Ma il Senato proposto nella bozza di riforma del governo è “una contraddizione in termini“. E non ci sta a passare dal conservatore che resiste ai riformatori: “Assolutamente non sono un parruccone né un conservatore – afferma il presidente del Senato – Io sono un riformista, ma le riforme devono essere fatte in un quadro istituzionale, né sono il portavoce dei senatori”. Con il presidente della Repubblica “siamo vicini”, precisa, ma della riforma del Senato “non ne ho parlato. Parlo solo a nome di me stesso, non porto opinioni di altri”. “Se dobbiamo fare una riforma costituzionale – dichiara – bisogna ponderarla e ottenere anche l’apporto dell’opposizione. Non si può cambiare la Costituzione a colpi di fiducia come si è fatto per le Province”.
Eppure Grasso, come già ricostruito dall’Unità, aveva già parlato con il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi. Ma dall’altra parte niente, il silenzio. “Avevo parlato con il ministro di queste mie perplessità – racconta il presidente del Senato – Non ho difficoltà a confermarlo. Ho prospettato quelle che sono le mie idee. Si dice è una bozza e ‘accettiamo dei contributi’ ma vedo che questo non è avvenuto. Non ho avuto nessun ritorno”. Dopo l’intervista a Repubblica, insiste, “ho sentito tanti senatori che mi hanno detto ‘finalmente qualcuno che osa dire le cose’”.
Grasso: “Accelerare iter legislativo senza indebolire la democrazia”
E forse non è un caso che Grasso abbia lanciato il primo messaggio attraverso un’intervista a Repubblica e, con un retroscena, dall’Unità, entrambi giornali vicini alle posizioni del Pd. Tuttavia le sue opinioni sono divenute note oggi al pubblico, ma sono conosciute da qualche tempo da Renzi e dal ministro per le Riforme Maria Elena Boschi. Proprio a lei Grasso ha illustrato nei giorni scorsi la sua idea. E cioè: una quota di senatori deve continuare ad essere eletta direttamente dai cittadini e deve avere piene funzioni da “sentinelle” su alcune materie come il bilancio, le riforme costituzionali, i temi etici. “Aldilà delle semplificazioni mediatiche – dice Grasso – nessuno parla di abolire il Senato, ma di superare il bicameralismo attuale. L’urgenza è prima istituzionale che economica: dobbiamo accelerare il processo legislativo, senza indebolire la democrazia”.
Et voilà: smontato il progetto di punta del presidente del Consiglio sulle riforme istituzionali. “Da fuori – spiega il presidente del Senato a Repubblica - mi vedono come l’ultimo imperatore, io mi sento l’ultimo dei mohicani”. Afferma di non voler rinunciare alla parola Senato, ma lo vorrebbe “composto da rappresentanti delle autonomie e componenti eletti dai cittadini”, un Senato “composto da senatori eletti contestualmente alle elezioni dei consigli regionali, e una quota di partecipazione dei consiglieri regionali eletti all’interno degli stessi consigli. Per rendere più stretto il coordinamento tra il Senato così composto e le autonomie locali, prevederei la possibilità di partecipazione, senza diritto di voto, dei presidenti delle Regioni e dei sindaci delle aree metropolitane”.
E la riduzione dei costi della politica, la ragione principe che spinge Renzi a promettere l’abolizione dell’Assemblea, oltre al tentativo di rendere più spedito il processo di approvazione delle leggi? “Possiamo ottenere risparmi maggiori – afferma – diminuendo il numero complessivo dei parlamentari e riducendo le indennità, solo per iniziare. Poi mi faccia dire che non si può incidere sulla forma dello Stato solo con la calcolatrice in mano”.
Le differenze tra il progetto di Renzi e il piano di Grasso
Ma sotto il profilo tecnico quali sono le differenze con il progetto di Renzi pubblicato un paio di settimane fa sul sito del governo? Il ddl pensato dal segretario del Pd e dalla sua responsabile delle riforme Boschi è puntellato su tre elementi principali: una sola Camera dà la fiducia, stop alle leggi che fanno la “navicella” (tra Camera e Senato), Senato con elezione di secondo grado (cioè indicati dai consigli regionali e non dagli elettori) con conseguente taglio di 315 indennità. Nel piano di Grasso resta il fatto che il Senato non darà la fiducia, ci sarà un tempo di 60 giorni per approvare i disegni di legge del governo (al bando tagliole e ghigliottine, ma anche ostruzionismi vari), ma appunto una quota di un centinaio di senatori eletti direttamente. Il perché eccolo: “Ritengo che per una vera rappresentatività sia indispensabile che almeno una parte sia eletta dai cittadini, come espressione diretta del territorio e con una vera parità di genere. Una nomina esclusivamente di secondo grado comporterebbe una accentuazione del peso dei partiti piuttosto che di quello degli elettori”. Nel merito Renzi nella sua replica non entra nel dettaglio ma ribadisce: “Mai più bicameralismo perfetto”. “Il modello che proponiamo – aggiunge – rispetta la Costituzione. La nostra proposta dice basta con il Senato come lo conosciamo adesso” e porta alla “semplificazione del processo legislativo”.
Gli equilibri del Senato
Ma non ci si può dimenticare quanto pesano su questo dibattito le forze in gioco. Perché se all’interno del Pd tutto sembra essere filato liscio (in direzione nazionale è finita 93 a 12 per la relazione di Renzi), gli emendamenti democratici sono ancora lì e molti vanno nella direzione di Grasso. Rispunta, per esempio, Giuseppe Lauricella, già autore delle “performance” con l’Italicum: suo l’emendamento poi approvato per far valere la nuova legge elettorale solo per la Camera e non per il Senato. Lauricella propone – come Grasso – una quota di eletti con un sistema proporzionale e una quota di rappresentanti delle professioni. Un’impostazione non lontana da quella degli altri partiti di maggioranza, Nuovo Centrodestra e Scelta Civica, per esempio. Dall’altra parte c’è Forza Italia - il “grande alleato” – che lascia partire sbuffi come il Vesuvio. I berlusconiani hanno la luna girata perché Renzi ha anticipato la discussione sulla riforma del Senato mettendo a data da destinarsi il dibattito sulla riforma elettorale. In più sono d’accordo sull’elezione diretta di una parte dei senatori e soprattutto sostengono la tesi del “premierato forte”. Tutti all’arrembaggio, dunque. Cosa rimarrà. Difficile da capire, ma quello di Grasso appare un avvertimento: “Non penso che si possa riformare la Costituzione con un maxi-emendamento e senza alcun contributo delle opposizioni”.
Tanto è vero che la lettura del capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta è questa: quello tra Grasso e Renzi “è un doppio conflitto – spiega a SkyTg24 – il presidente del Senato contro il governo e il presidente del Senato del Pd contro il suo segretario. Basta e avanza per dichiarare la fine di questa esperienza di governo di Renzi”. Ci sono tante voci che dicono di una Forza Italia pronta a supportare la maggioranza, in caso di problemi, in Senato. “Né sopportare, né supportare. Noi siamo – risponde Brunetta – all’opposizione di questo governo, siamo all’opposizione di Renzi, siamo per una riforma elettorale istituzionalmente concordata. Se questo non è più possibile, ognuno per la propria strada. A casa Renzi e si vada alle elezioni”.
Sul fronte della legge elettorale”noi non possiamo votare qualunque cosa: su questo punto arriveremo al momento della verità”. Lo ha detto, nel suo intervento ad un incontro a Bologna, Gianni Cuperlo. “Io parlo per me, solo ed esclusivamente per me, non sono disposto a sacrificare la bibbia costituzionale sull’altare dell’accordo con Verdini. Aiuteremo le riforme – ha concluso – ma rivendicando rispetto nei principi e nel merito”.
Monti: “L’urgenza non si trasformi in precipitazione”
Dopo l’appello di Libertà e giustizia perché “Renzi non stavolga la costituzione e non delegittimi il Parlamento” si moltiplicano le voci che raccomandano prudenza. L’urgenza non si trasformi in “precipitazione e scarsa ponderazione. Questo sarebbe pericoloso, soprattutto nelle riforme costituzionali – scrive l’ex presidente del Consiglio e senatore a vita Mario Monti in una lettera inviata al Corriere della sera - Vedo questo rischio, grave, nel provvedimento per il superamento del bicameralismo paritario e per la riforma del Senato, che sarà domani sul tavolo del Consiglio dei ministri”. Secondo il Professore “gli intenti che muovono il presidente Renzi sono sacrosanti. L’attuale bicameralismo perfetto è in realtà un monumento all’imperfezione: lento, costoso, di ostacolo ad un’azione efficace di governo, obsoleto per un Paese articolato su autonomie territoriali e membro dell’Unione Europea. È perciò essenziale che quegli intenti vengano realizzati”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03 ... ia/931316/
Il piazzista di "Pentole e ombrelli di Altan" ha esordito facendo fessi milioni di merli tricolori sostenendo che l'abolizione del Senato avrebbe comportato un risparmio di un miliardo di euro.
Figuriamoci i milioni di italiani che hanno il cervello nella panza. Hanno abboccato subito come pesciotti.
A fare fessi gli italiani in questa forma ci aveva provato prima Benito Mussolini. Poi Bettino Craxi seguito dal Berluscone che oggi si affida a Dudù per raccattare voti, e adesso al bullo fiorentino.
Riforme, Grasso contro Renzi: “Italicum più abolizione Senato rischio democrazia”
Il presidente di Palazzo Madama: "Non si possono fare modificare le istituzioni a colpi di fiducia. E io voglio aiutare Matteo: rischia di non avere i numeri". Ma il premier ribatte: "Rispetto il presidente, ma non mollo. Musica deve cambiare anche per politici". La controreplica: "Io non sono un parruccone. Si dice: accettiamo contributi. Ma la Boschi non mi ha mai risposto". Intanto la discussione in Aula - tra alleati di governo e Forza Italia - si annuncia complicata
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 30 marzo 2014Commenti (1664)
“Il Senato resti eletto dai cittadini”. “Vuoi mantenere lo status quo”. “Non sono un parruccone”. “I politici facciano sacrifici”.
“Italicum e riforma del Senato insieme sono un rischio per la democrazia”.
Chi ha scommesso su Berlusconi ha perso: a girare le spalle a Matteo Renzi al tavolo delle riforme è il presidente del Senato Piero Grasso.
Lo scontro è aperto, nel merito e nel metodo.
Nel merito: “Almeno una quota di senatori deve essere eletta” dice la seconda carica dello Stato.
Nel metodo: “Si dice: aspettiamo contributi. Ma ne ho parlato con il ministro Boschi e non ho avuto nessun ritorno”.
Grasso arriva dove sono arrivati solo i giuristi di Libertà e Giustizia: “Italicum e abolizione del Senato insieme porterebbero a un sistema senza contrappesi” e ciò rappresenterebbe “un rischio per la democrazia“.
Avviene tutto a ritmo serrato – intervista di Grasso, replica di Renzi, controreplica di Grasso – a meno di 24 ore dall’arrivo in consiglio dei ministri della bozza del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi.
Uno scambio sul quale la dirigenza del Pd rischia di finire fuori strada, e non solo sulle riforme: la vicesegretaria in pectore Debora Serracchiani arriva alla tentazione di rimettere “in riga” il presidente del Senato.
“Grasso – dice la Serracchiani – è un presidente di garanzia, ma credo anche che, essendo stato eletto nel Pd, debba accettarne le indicazioni”.
Risuonano tonalità berlusconiane del passato (criticate da sinistra) e infatti il primo a opporsi è un deputato del Pd, Giuseppe Fioroni: “Il Pd rispetta le istituzioni e le cariche istituzionali, non le occupa né le pressa, né le indirizza. Per questo non siamo la destra”.(Minchia signor tenente, ....pure Fioroni????-ndt)
La mossa di Grasso
L’alt di Piero Grasso (“Il Senato non va abolito, resti eletto dai cittadini”) è significativo non solo perché arriva dalla seconda carica dello Stato, ma perché evidentemente è il messaggio di chi sa di rappresentare un sentimento diffuso nell’assemblea di Palazzo Madama.
Lì, infatti, si comincerà a chiedere ai senatori di abolire se stessi.
E quindi il presidente del Consiglio e le sue proposte di riforme istituzionali sembrano poter scivolare in un vicolo cieco: da una parte Grasso (e una parte del Pd) che vuole almeno una quota di un centinaio di rappresentanti eletti direttamente; dall’altra l’alleato delle riforme, Forza Italia, furibondo perché è stato invertito l’ordine dei lavori al Senato (doveva arrivare prima l’Italicum e invece è andato in coda).
Su tutto, infine, i numeri che sostengono Renzi al Senato: se tutti i partiti dovessero far pesare il proprio pacchetto di voti, il testo del disegno di legge di Renzi potrebbe essere logorato a dir poco.
E una prova di forza sarebbe un azzardo per l’esecutivo.
Lo stesso Grasso cerca di comunicare con il capo del governo: “Io voglio aiutare il presidente Renzi per non farlo trovare davanti a ostacoli.
I numeri a palazzo Madama rischiano di non esserci, basta ascoltare le prese di posizione di Forza Italia”.
Renzi: “Rispetto Grasso, ma è ora di cambiare pagina”
Eppure il presidente del Consiglio non sembra spaventato: “C’è massimo rispetto nei confronti del presidente Grasso – dice al Tg2 - ma abbiamo preso un impegno nei confronti dei cittadini che hanno diritto al cambiamento. E’ ora di cambiare pagina. Capisco le resistenze di tutti, ma la musica deve cambiare. I politici devono capire che se per anni hanno chiesto di fare sacrifici alle famiglie ora i sacrifici li devono fare loro. Il vero modo per difendere il Senatonon è una battaglia conservatrice, ma difendere le riforme che stiamo portando avanti”. Se le riforme falliscono “me ne vado – aveva detto l’altro giorno nell’intervista a Enrico Mentana - Rischio l’osso del collo”. Dipende però quali riforme usciranno.
La replica: “Avevo già espresso le mie perplessità. Ma dalla Boschi silenzio”
E infatti Grasso sembra avere buon gioco nella controreplica: ”Non è una compagna conservatrice – spiega intervistato a In mezz’ora, su Rai3 – Io sono il primo rottamatore del Senato, il primo che vuole eliminare questo tipo di Senato”. Ma il Senato proposto nella bozza di riforma del governo è “una contraddizione in termini“. E non ci sta a passare dal conservatore che resiste ai riformatori: “Assolutamente non sono un parruccone né un conservatore – afferma il presidente del Senato – Io sono un riformista, ma le riforme devono essere fatte in un quadro istituzionale, né sono il portavoce dei senatori”. Con il presidente della Repubblica “siamo vicini”, precisa, ma della riforma del Senato “non ne ho parlato. Parlo solo a nome di me stesso, non porto opinioni di altri”. “Se dobbiamo fare una riforma costituzionale – dichiara – bisogna ponderarla e ottenere anche l’apporto dell’opposizione. Non si può cambiare la Costituzione a colpi di fiducia come si è fatto per le Province”.
Eppure Grasso, come già ricostruito dall’Unità, aveva già parlato con il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi. Ma dall’altra parte niente, il silenzio. “Avevo parlato con il ministro di queste mie perplessità – racconta il presidente del Senato – Non ho difficoltà a confermarlo. Ho prospettato quelle che sono le mie idee. Si dice è una bozza e ‘accettiamo dei contributi’ ma vedo che questo non è avvenuto. Non ho avuto nessun ritorno”. Dopo l’intervista a Repubblica, insiste, “ho sentito tanti senatori che mi hanno detto ‘finalmente qualcuno che osa dire le cose’”.
Grasso: “Accelerare iter legislativo senza indebolire la democrazia”
E forse non è un caso che Grasso abbia lanciato il primo messaggio attraverso un’intervista a Repubblica e, con un retroscena, dall’Unità, entrambi giornali vicini alle posizioni del Pd. Tuttavia le sue opinioni sono divenute note oggi al pubblico, ma sono conosciute da qualche tempo da Renzi e dal ministro per le Riforme Maria Elena Boschi. Proprio a lei Grasso ha illustrato nei giorni scorsi la sua idea. E cioè: una quota di senatori deve continuare ad essere eletta direttamente dai cittadini e deve avere piene funzioni da “sentinelle” su alcune materie come il bilancio, le riforme costituzionali, i temi etici. “Aldilà delle semplificazioni mediatiche – dice Grasso – nessuno parla di abolire il Senato, ma di superare il bicameralismo attuale. L’urgenza è prima istituzionale che economica: dobbiamo accelerare il processo legislativo, senza indebolire la democrazia”.
Et voilà: smontato il progetto di punta del presidente del Consiglio sulle riforme istituzionali. “Da fuori – spiega il presidente del Senato a Repubblica - mi vedono come l’ultimo imperatore, io mi sento l’ultimo dei mohicani”. Afferma di non voler rinunciare alla parola Senato, ma lo vorrebbe “composto da rappresentanti delle autonomie e componenti eletti dai cittadini”, un Senato “composto da senatori eletti contestualmente alle elezioni dei consigli regionali, e una quota di partecipazione dei consiglieri regionali eletti all’interno degli stessi consigli. Per rendere più stretto il coordinamento tra il Senato così composto e le autonomie locali, prevederei la possibilità di partecipazione, senza diritto di voto, dei presidenti delle Regioni e dei sindaci delle aree metropolitane”.
E la riduzione dei costi della politica, la ragione principe che spinge Renzi a promettere l’abolizione dell’Assemblea, oltre al tentativo di rendere più spedito il processo di approvazione delle leggi? “Possiamo ottenere risparmi maggiori – afferma – diminuendo il numero complessivo dei parlamentari e riducendo le indennità, solo per iniziare. Poi mi faccia dire che non si può incidere sulla forma dello Stato solo con la calcolatrice in mano”.
Le differenze tra il progetto di Renzi e il piano di Grasso
Ma sotto il profilo tecnico quali sono le differenze con il progetto di Renzi pubblicato un paio di settimane fa sul sito del governo? Il ddl pensato dal segretario del Pd e dalla sua responsabile delle riforme Boschi è puntellato su tre elementi principali: una sola Camera dà la fiducia, stop alle leggi che fanno la “navicella” (tra Camera e Senato), Senato con elezione di secondo grado (cioè indicati dai consigli regionali e non dagli elettori) con conseguente taglio di 315 indennità. Nel piano di Grasso resta il fatto che il Senato non darà la fiducia, ci sarà un tempo di 60 giorni per approvare i disegni di legge del governo (al bando tagliole e ghigliottine, ma anche ostruzionismi vari), ma appunto una quota di un centinaio di senatori eletti direttamente. Il perché eccolo: “Ritengo che per una vera rappresentatività sia indispensabile che almeno una parte sia eletta dai cittadini, come espressione diretta del territorio e con una vera parità di genere. Una nomina esclusivamente di secondo grado comporterebbe una accentuazione del peso dei partiti piuttosto che di quello degli elettori”. Nel merito Renzi nella sua replica non entra nel dettaglio ma ribadisce: “Mai più bicameralismo perfetto”. “Il modello che proponiamo – aggiunge – rispetta la Costituzione. La nostra proposta dice basta con il Senato come lo conosciamo adesso” e porta alla “semplificazione del processo legislativo”.
Gli equilibri del Senato
Ma non ci si può dimenticare quanto pesano su questo dibattito le forze in gioco. Perché se all’interno del Pd tutto sembra essere filato liscio (in direzione nazionale è finita 93 a 12 per la relazione di Renzi), gli emendamenti democratici sono ancora lì e molti vanno nella direzione di Grasso. Rispunta, per esempio, Giuseppe Lauricella, già autore delle “performance” con l’Italicum: suo l’emendamento poi approvato per far valere la nuova legge elettorale solo per la Camera e non per il Senato. Lauricella propone – come Grasso – una quota di eletti con un sistema proporzionale e una quota di rappresentanti delle professioni. Un’impostazione non lontana da quella degli altri partiti di maggioranza, Nuovo Centrodestra e Scelta Civica, per esempio. Dall’altra parte c’è Forza Italia - il “grande alleato” – che lascia partire sbuffi come il Vesuvio. I berlusconiani hanno la luna girata perché Renzi ha anticipato la discussione sulla riforma del Senato mettendo a data da destinarsi il dibattito sulla riforma elettorale. In più sono d’accordo sull’elezione diretta di una parte dei senatori e soprattutto sostengono la tesi del “premierato forte”. Tutti all’arrembaggio, dunque. Cosa rimarrà. Difficile da capire, ma quello di Grasso appare un avvertimento: “Non penso che si possa riformare la Costituzione con un maxi-emendamento e senza alcun contributo delle opposizioni”.
Tanto è vero che la lettura del capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta è questa: quello tra Grasso e Renzi “è un doppio conflitto – spiega a SkyTg24 – il presidente del Senato contro il governo e il presidente del Senato del Pd contro il suo segretario. Basta e avanza per dichiarare la fine di questa esperienza di governo di Renzi”. Ci sono tante voci che dicono di una Forza Italia pronta a supportare la maggioranza, in caso di problemi, in Senato. “Né sopportare, né supportare. Noi siamo – risponde Brunetta – all’opposizione di questo governo, siamo all’opposizione di Renzi, siamo per una riforma elettorale istituzionalmente concordata. Se questo non è più possibile, ognuno per la propria strada. A casa Renzi e si vada alle elezioni”.
Sul fronte della legge elettorale”noi non possiamo votare qualunque cosa: su questo punto arriveremo al momento della verità”. Lo ha detto, nel suo intervento ad un incontro a Bologna, Gianni Cuperlo. “Io parlo per me, solo ed esclusivamente per me, non sono disposto a sacrificare la bibbia costituzionale sull’altare dell’accordo con Verdini. Aiuteremo le riforme – ha concluso – ma rivendicando rispetto nei principi e nel merito”.
Monti: “L’urgenza non si trasformi in precipitazione”
Dopo l’appello di Libertà e giustizia perché “Renzi non stavolga la costituzione e non delegittimi il Parlamento” si moltiplicano le voci che raccomandano prudenza. L’urgenza non si trasformi in “precipitazione e scarsa ponderazione. Questo sarebbe pericoloso, soprattutto nelle riforme costituzionali – scrive l’ex presidente del Consiglio e senatore a vita Mario Monti in una lettera inviata al Corriere della sera - Vedo questo rischio, grave, nel provvedimento per il superamento del bicameralismo paritario e per la riforma del Senato, che sarà domani sul tavolo del Consiglio dei ministri”. Secondo il Professore “gli intenti che muovono il presidente Renzi sono sacrosanti. L’attuale bicameralismo perfetto è in realtà un monumento all’imperfezione: lento, costoso, di ostacolo ad un’azione efficace di governo, obsoleto per un Paese articolato su autonomie territoriali e membro dell’Unione Europea. È perciò essenziale che quegli intenti vengano realizzati”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03 ... ia/931316/
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Re: I paraguru sfascisti ci stanno portando al fascismo
La vox populi
dgd48 • 2 ore fa
A Renzi piacerebbe decidere da solo! ... Via, anche la Camera dei Deputati!!!
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dgd48 • 2 ore fa
A Renzi piacerebbe decidere da solo! ... Via, anche la Camera dei Deputati!!!
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Re: I paraguru sfascisti ci stanno portando al fascismo
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Riccardo Revilant • 2 ore fa
No, qui non e' Grasso contro Renzi ma Renzi contro la Costituzione.
E' stato previsto che di camere ce ne fossero due, qualcuno si e' mai chiesto il perche'?
FORSE, PARE, si sente dire in giro che...sia stata una scelta VOLUTA e non un tiro di dadi.
Un esempio semplice del perche' esiste e' la possibilita' di RIVEDERE decreti "alternativi" in cui qualcuno all'ultimo prevede di infilare qualche porcata o di cambiare senso ad una frase...e magari bloccarli.
Certo che nell'ottica di Renzi o di BERLUSCONI, avere una sola camera , magari manovrabile, in cui infilarci ogni porcata e farla approvare senza intoppi e nel breve, e' un bel modo per comandare di fatto dando ancora una volta la parvenza di essere in democrazia.
La vera scelta sarebbe di talgiare delle teste...ridurra di parecchio il numero di persone e di fare in modo che non si possano comprare , non far sparire il senato e il suo CONTROLLO.
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piccolo K. • 2 ore fa
renzi sta al buon Governo come il berlusca alla corruzione.
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porfirio • 2 ore fa
Di solito i Presidenti del Senato rimangono imparziali rispetto alle opzioni politiche,sopratutto quando riguardano gli assetti istituzionali.Il silenzio della Boschi va letto come una cortesia nei confronti di Grasso,altrimenti il ministro avrebbe dovuto chiarire che non lo accettava come interlocutore nella materia, a meno che lo stesso si fosse prima dimesso dalla carica.
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Salvatore • 2 ore fa
Berlusconi a confronto era un principiante Questo cantastorie illusionista venditore di fumo si sta facendo la campagna elettorale a spese di un popolo ormai asservito e depresso.
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rudy49 • 2 ore fa
dopo 40 anni di P2 avremo 30 anni di P4 toscano brianzolo?
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Gollum rudy49 • 2 ore fa
Guarda in Toscana...di Renzino se ne farebbe volentieri a meno! ;-)
Ci è nato a "nostra insaputa" purtroppo.....
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beppetre • 2 ore fa
E scusate, tanti commentatori del Fatto che vedete complotti massonici o neo fascisti ovunque: Gelli e le altre evocazioni superficiali richiamate nei commenti al post... in questo caso c'entrano davvero proprio niente... capisco che la mediocrità intellettuale si alimenta di banalità, verità trascendenti, scenari apocalittici e soprattutto del coro petulante e autocelebrativo (... lo diciamo tutti per forza deve essere vero!) ma, per favore, un po' di conoscenza della storia recente e passata prima di scrivere sulla tastiera!
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Gollum • 2 ore fa
Grasso ha già paura di perdere il posto? :-)
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Enzo Perrucci • 2 ore fa
il pd deve solo BACIARE LE MANI ALLA DITTATURA DEL QUIRINALE.
SE QUESTI BAMBINI FOSSERO PASSATI DALLE ELEZIONI,OGGI PARLEREI DI ALTRO,E NON DI GOVERNO DA ASILO NIDO.
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ivo • 2 ore fa
La Serracchiani che richiama all' "ordine" Grasso?
Ahahahahahahahahahah!
Alla faccia dei "democratici".
Grasso non ha avuto paura della mafia, deve avere paura di lei?
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Savoia Marchetti ivo • 2 ore fa
la Racchiani ha dimostrato quanto valgono gli 'indipendenti' dentro il PD.
Servono solo per raccogliere voti per il boss.
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dimmelotu ivo • 2 ore fa
LA SERRACCHIANI COME STA CON IL CONFLITTO DI INTERESSI CON LE 7/8 CARICHE CHE RICOPRE??????
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Enzo Perrucci • 2 ore fa
RENZI ??'...NON MOLLO.
LA SERRACCHIANI A GRASSO:"e stato eletto dal PD adesso segua le indicazioni".
MA CHI SI CREDONO DI ESSERE QUESTI BAMBOCCI VIZIATI??
PICCOLI DITTATORI DEL FUTURO.
la serracchiani,propio lei ,se non fosse per un controllo dei 5 stelle,nella sua regione,avrebbe PRESO UN SUPER FINANZIAMENTO ILLECITO.nessuno ne parla.
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Savoia Marchetti Enzo Perrucci • 2 ore fa
bravo, ben detto.
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rudy49 • 2 ore fa
il baffino austriaco distruttore dell'europa andò al potere stravolgendo la costituzione come vuol fare la P4 toscana!
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Angela • 2 ore fa
Un Berlusconi basta ed avanza, 20 anni di bugie e ladrocinio bastano ed avanzano. Un nuovo Renzusconi non ce la faremmo a sopportare. Basta.
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beppetre • 2 ore fa
MI pare che l'intervento di Grasso sia decisamente fuori luogo oltrechè viziato da un conservatorismo fastidioso: fuori luogo perché una "carica istituzionale" non dovrebbe lasciarsi coinvolgere nelle proposte o disegni di legge a motivo del suo ruolo di "arbitro". Al limite prudenza politica imporrebbe un contatto riservato, non certo l'utilizzo dei mass media.
Se invece interviene come senatore (eletto nel Pd) gli ambienti giusti di discussione sono la direzione del suo partito, o al limite la commissione parlamentare preposta, non certo una trasmissione giornalistica.
Trovo invece fastidioso questo neo - conservatorismo di sinistra in quanto il programma sia della eliminazione delle province, sia della riduzione del numero dei parlamentari, sia il ridimensionamento del senato a "camera delle regioni" ... erano TUTTI impegni presi con sfumature diverse dal PD in campagna elettorale... sotto Bersani !!
Le differenze sulle modalità tra Bersani e Renzi sono evidenti ma certo non le finalità che - a memoria di tutti - sono sempre state quelle... forse che Grasso non aveva letto il programma del suo partito quando è stato eletto?
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Savoia Marchetti beppetre • 2 ore fa
che bugiardi patologici che siete, voi trollanti PD.
Perché, Boldrini quando porta avanti la sua visione politica, non fa male?
Perché, il PdR, non dovrebbe solo VIGILARE SULLA COSTITUZIONE, invece di decidere governi e ministri?
E se Grasso parla da persona libera, diventa 'sconveniente'?
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Riccardo Revilant • 2 ore fa
No, qui non e' Grasso contro Renzi ma Renzi contro la Costituzione.
E' stato previsto che di camere ce ne fossero due, qualcuno si e' mai chiesto il perche'?
FORSE, PARE, si sente dire in giro che...sia stata una scelta VOLUTA e non un tiro di dadi.
Un esempio semplice del perche' esiste e' la possibilita' di RIVEDERE decreti "alternativi" in cui qualcuno all'ultimo prevede di infilare qualche porcata o di cambiare senso ad una frase...e magari bloccarli.
Certo che nell'ottica di Renzi o di BERLUSCONI, avere una sola camera , magari manovrabile, in cui infilarci ogni porcata e farla approvare senza intoppi e nel breve, e' un bel modo per comandare di fatto dando ancora una volta la parvenza di essere in democrazia.
La vera scelta sarebbe di talgiare delle teste...ridurra di parecchio il numero di persone e di fare in modo che non si possano comprare , non far sparire il senato e il suo CONTROLLO.
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piccolo K. • 2 ore fa
renzi sta al buon Governo come il berlusca alla corruzione.
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porfirio • 2 ore fa
Di solito i Presidenti del Senato rimangono imparziali rispetto alle opzioni politiche,sopratutto quando riguardano gli assetti istituzionali.Il silenzio della Boschi va letto come una cortesia nei confronti di Grasso,altrimenti il ministro avrebbe dovuto chiarire che non lo accettava come interlocutore nella materia, a meno che lo stesso si fosse prima dimesso dalla carica.
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Salvatore • 2 ore fa
Berlusconi a confronto era un principiante Questo cantastorie illusionista venditore di fumo si sta facendo la campagna elettorale a spese di un popolo ormai asservito e depresso.
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rudy49 • 2 ore fa
dopo 40 anni di P2 avremo 30 anni di P4 toscano brianzolo?
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Gollum rudy49 • 2 ore fa
Guarda in Toscana...di Renzino se ne farebbe volentieri a meno! ;-)
Ci è nato a "nostra insaputa" purtroppo.....
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beppetre • 2 ore fa
E scusate, tanti commentatori del Fatto che vedete complotti massonici o neo fascisti ovunque: Gelli e le altre evocazioni superficiali richiamate nei commenti al post... in questo caso c'entrano davvero proprio niente... capisco che la mediocrità intellettuale si alimenta di banalità, verità trascendenti, scenari apocalittici e soprattutto del coro petulante e autocelebrativo (... lo diciamo tutti per forza deve essere vero!) ma, per favore, un po' di conoscenza della storia recente e passata prima di scrivere sulla tastiera!
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Gollum • 2 ore fa
Grasso ha già paura di perdere il posto? :-)
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Enzo Perrucci • 2 ore fa
il pd deve solo BACIARE LE MANI ALLA DITTATURA DEL QUIRINALE.
SE QUESTI BAMBINI FOSSERO PASSATI DALLE ELEZIONI,OGGI PARLEREI DI ALTRO,E NON DI GOVERNO DA ASILO NIDO.
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ivo • 2 ore fa
La Serracchiani che richiama all' "ordine" Grasso?
Ahahahahahahahahahah!
Alla faccia dei "democratici".
Grasso non ha avuto paura della mafia, deve avere paura di lei?
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Savoia Marchetti ivo • 2 ore fa
la Racchiani ha dimostrato quanto valgono gli 'indipendenti' dentro il PD.
Servono solo per raccogliere voti per il boss.
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dimmelotu ivo • 2 ore fa
LA SERRACCHIANI COME STA CON IL CONFLITTO DI INTERESSI CON LE 7/8 CARICHE CHE RICOPRE??????
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Enzo Perrucci • 2 ore fa
RENZI ??'...NON MOLLO.
LA SERRACCHIANI A GRASSO:"e stato eletto dal PD adesso segua le indicazioni".
MA CHI SI CREDONO DI ESSERE QUESTI BAMBOCCI VIZIATI??
PICCOLI DITTATORI DEL FUTURO.
la serracchiani,propio lei ,se non fosse per un controllo dei 5 stelle,nella sua regione,avrebbe PRESO UN SUPER FINANZIAMENTO ILLECITO.nessuno ne parla.
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Savoia Marchetti Enzo Perrucci • 2 ore fa
bravo, ben detto.
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rudy49 • 2 ore fa
il baffino austriaco distruttore dell'europa andò al potere stravolgendo la costituzione come vuol fare la P4 toscana!
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Angela • 2 ore fa
Un Berlusconi basta ed avanza, 20 anni di bugie e ladrocinio bastano ed avanzano. Un nuovo Renzusconi non ce la faremmo a sopportare. Basta.
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beppetre • 2 ore fa
MI pare che l'intervento di Grasso sia decisamente fuori luogo oltrechè viziato da un conservatorismo fastidioso: fuori luogo perché una "carica istituzionale" non dovrebbe lasciarsi coinvolgere nelle proposte o disegni di legge a motivo del suo ruolo di "arbitro". Al limite prudenza politica imporrebbe un contatto riservato, non certo l'utilizzo dei mass media.
Se invece interviene come senatore (eletto nel Pd) gli ambienti giusti di discussione sono la direzione del suo partito, o al limite la commissione parlamentare preposta, non certo una trasmissione giornalistica.
Trovo invece fastidioso questo neo - conservatorismo di sinistra in quanto il programma sia della eliminazione delle province, sia della riduzione del numero dei parlamentari, sia il ridimensionamento del senato a "camera delle regioni" ... erano TUTTI impegni presi con sfumature diverse dal PD in campagna elettorale... sotto Bersani !!
Le differenze sulle modalità tra Bersani e Renzi sono evidenti ma certo non le finalità che - a memoria di tutti - sono sempre state quelle... forse che Grasso non aveva letto il programma del suo partito quando è stato eletto?
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Savoia Marchetti beppetre • 2 ore fa
che bugiardi patologici che siete, voi trollanti PD.
Perché, Boldrini quando porta avanti la sua visione politica, non fa male?
Perché, il PdR, non dovrebbe solo VIGILARE SULLA COSTITUZIONE, invece di decidere governi e ministri?
E se Grasso parla da persona libera, diventa 'sconveniente'?
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Re: I paraguru sfascisti ci stanno portando al fascismo
30 MAR 2014 19:11
LA MINORANZA PD MANDA AVANTI GRASSO PER FAR CAPIRE AL ROTTAM'ATTORE CHE GLI FARANNO LA GUERRA SULLA RIFORMA DEL SENATO - ANCHE IN FORZA ITALIA ED NCD C'È IL MALDIPANCIA. E PER AVERE L'OK SERVE LA MAGGIORANZA QUALIFICATA, CIRCA 213 SENATORI. CIAO CORE...
All’ultima riunione il senatore Minzolini ha evocato La corazzata Potëmkin secondo il giudizio estetico del ragionier Fantozzi: «La riforma del Senato di Renzi è una c... pazzesca». L’ex direttore del Tg1 è stato il più esplicito, ma non è l’unico a pensarla così, anzi. E non solo dentro Forza Italia…
Paolo Bracalini per Il Giornale
All'ultima riunione il senatore Minzolini ha evocato La corazzata Potëmkin secondo il giudizio estetico del ragionier Fantozzi: «La riforma del Senato di Renzi è una c... pazzesca». L'ex direttore del Tg1 è stato il più esplicito, ma non è l'unico a pensarla così, anzi. E non solo dentro Forza Italia. Con i tempi stretti per incassare il via libera a Palazzo Madama prima delle Europee, il pallottoliere diventa fondamentale.
E sempre Minzolini, tornato al vecchio mestiere di insider parlamentare, ha raccolto i malumori striscianti a Palazzo madama, tra Pd e partiti della maggioranza, per fare due conti: «I numeri per approvare la riforma di Renzi non ci sono. Serve la maggioranza qualificata, i due terzi del Senato e basta guardare com'è finito il voto sul decreto Province, soltanto 160 sì, per capire che la strada per Renzi è tutta in salita».
E lì c'era la fiducia, più complicata da mettere su una riforma costituzionale. Per il via libera al nuovo Senato renziano - assemblea non elettiva composta da sindaci e delegati regionali - e permettere così al segretario-premier di presentarsi alle Europee, suo primo test elettorale, con un succulento slogan in più («Abbiamo abolito il Senato, 315 stipendi in meno») servirebbero 213 senatori favorevoli, e anche tolta l'opposizione, i margini restano affilati come rasoi.
C'è la pancia di Forza Italia che si contorce. Sempre in quella riunione, un big dei senatori Fi, nemmeno tra i più avversi alla riforma renziana, ha posto un dubbio politico: «Ha senso dare un assist elettorale così a Renzi a pochi giorni dalle elezioni?». Altri contestano il merito della proposta di Renzi, come il senatore Malan («Non ha senso tenere un Senato non eletto, prima ci si lamentava dei nominati del Porcellum, ma qui sarebbero nominati tutti e non dagli elettori, per cui meglio abolirlo totalmente»), altri come Matteoli pensano che la guerra al Senato sia sbagliata di per sé («Si rischia di fare un doppione della Conferenza Stato-Regioni, in tutte le grandi democrazie ci sono due Camere» spiega l'ex ministro). Secondo l'opinionista-pseudonimo di Panorama, Keiser Söze, anche Berlusconi non sarebbe convinto («Come la vuole Renzi, la riforma del Senato certo non passa...»).
Ma i dubbi attraversano tutto l'emiciclo di Palazzo Madama, a partire dal partito del premier. «Io ho presentato un disegno di legge per il superamento del Senato un anno fa, quindi non sono certo contrario - racconta Stefano Esposito, senatore Pd - Ma dico che c'è molto da discutere e la fretta è cattiva consigliera. Soprattutto se Renzi insiste con le battute sui "315 stipendi che si risparmiano". Se c'è un modo per far incazzare quelli che già non sono contenti è proprio trattarli come mangiapane a tradimento.
Si rischiano le imboscate. E al Senato 20 senatori possono chiedere il voto segreto». E sulla riforma del Senato, coi senatori-tacchini che votano sul menù di Capodanno, con lo scrutinio segreto sarebbe il Vietnam. Gli esperti di contabilità dentro il Pd parlano di una trentina di senatori col mal di pancia sulla rottamazione del Senato. Tutta la minoranza bersaniana, senatori come Migliavacca, Pegorer, lo storico Gotor, che però smentisce di essere contro a priori («Non faccio parte di un "fronte del no" alla riforma del Senato, ma voglio discuterne»).
Poi i sei senatori civatiani, quindi parte di quelli che si riconoscono nel nuovo «correntone Pd» appena inaugurato, e poi, con sfumature diverse, i senatori lettiani, a partire da Francesco Russo, che secondo alcune ricostruzioni avrebbe nel cassetto un foglio con 25 firme di colleghi Pd contrari ad «un Senato dopolavoristico». Ma sulla riforma del Senato si affilano le armi anche in altri partiti della maggioranza.
Come in «Gruppo Per l'Italia» (11 senatori), la pattuglia di Mario Mauro («Stiamo attenti a non fare sciocchezze»), e sacche di resistenza anche nel gruppo Autonomie, con il senatore socialista Buemi che ha proposto, per ripicca, l'abolizione della Camera, e persino dentro Ncd. I tacchini sono pronti alla guerra.
LA MINORANZA PD MANDA AVANTI GRASSO PER FAR CAPIRE AL ROTTAM'ATTORE CHE GLI FARANNO LA GUERRA SULLA RIFORMA DEL SENATO - ANCHE IN FORZA ITALIA ED NCD C'È IL MALDIPANCIA. E PER AVERE L'OK SERVE LA MAGGIORANZA QUALIFICATA, CIRCA 213 SENATORI. CIAO CORE...
All’ultima riunione il senatore Minzolini ha evocato La corazzata Potëmkin secondo il giudizio estetico del ragionier Fantozzi: «La riforma del Senato di Renzi è una c... pazzesca». L’ex direttore del Tg1 è stato il più esplicito, ma non è l’unico a pensarla così, anzi. E non solo dentro Forza Italia…
Paolo Bracalini per Il Giornale
All'ultima riunione il senatore Minzolini ha evocato La corazzata Potëmkin secondo il giudizio estetico del ragionier Fantozzi: «La riforma del Senato di Renzi è una c... pazzesca». L'ex direttore del Tg1 è stato il più esplicito, ma non è l'unico a pensarla così, anzi. E non solo dentro Forza Italia. Con i tempi stretti per incassare il via libera a Palazzo Madama prima delle Europee, il pallottoliere diventa fondamentale.
E sempre Minzolini, tornato al vecchio mestiere di insider parlamentare, ha raccolto i malumori striscianti a Palazzo madama, tra Pd e partiti della maggioranza, per fare due conti: «I numeri per approvare la riforma di Renzi non ci sono. Serve la maggioranza qualificata, i due terzi del Senato e basta guardare com'è finito il voto sul decreto Province, soltanto 160 sì, per capire che la strada per Renzi è tutta in salita».
E lì c'era la fiducia, più complicata da mettere su una riforma costituzionale. Per il via libera al nuovo Senato renziano - assemblea non elettiva composta da sindaci e delegati regionali - e permettere così al segretario-premier di presentarsi alle Europee, suo primo test elettorale, con un succulento slogan in più («Abbiamo abolito il Senato, 315 stipendi in meno») servirebbero 213 senatori favorevoli, e anche tolta l'opposizione, i margini restano affilati come rasoi.
C'è la pancia di Forza Italia che si contorce. Sempre in quella riunione, un big dei senatori Fi, nemmeno tra i più avversi alla riforma renziana, ha posto un dubbio politico: «Ha senso dare un assist elettorale così a Renzi a pochi giorni dalle elezioni?». Altri contestano il merito della proposta di Renzi, come il senatore Malan («Non ha senso tenere un Senato non eletto, prima ci si lamentava dei nominati del Porcellum, ma qui sarebbero nominati tutti e non dagli elettori, per cui meglio abolirlo totalmente»), altri come Matteoli pensano che la guerra al Senato sia sbagliata di per sé («Si rischia di fare un doppione della Conferenza Stato-Regioni, in tutte le grandi democrazie ci sono due Camere» spiega l'ex ministro). Secondo l'opinionista-pseudonimo di Panorama, Keiser Söze, anche Berlusconi non sarebbe convinto («Come la vuole Renzi, la riforma del Senato certo non passa...»).
Ma i dubbi attraversano tutto l'emiciclo di Palazzo Madama, a partire dal partito del premier. «Io ho presentato un disegno di legge per il superamento del Senato un anno fa, quindi non sono certo contrario - racconta Stefano Esposito, senatore Pd - Ma dico che c'è molto da discutere e la fretta è cattiva consigliera. Soprattutto se Renzi insiste con le battute sui "315 stipendi che si risparmiano". Se c'è un modo per far incazzare quelli che già non sono contenti è proprio trattarli come mangiapane a tradimento.
Si rischiano le imboscate. E al Senato 20 senatori possono chiedere il voto segreto». E sulla riforma del Senato, coi senatori-tacchini che votano sul menù di Capodanno, con lo scrutinio segreto sarebbe il Vietnam. Gli esperti di contabilità dentro il Pd parlano di una trentina di senatori col mal di pancia sulla rottamazione del Senato. Tutta la minoranza bersaniana, senatori come Migliavacca, Pegorer, lo storico Gotor, che però smentisce di essere contro a priori («Non faccio parte di un "fronte del no" alla riforma del Senato, ma voglio discuterne»).
Poi i sei senatori civatiani, quindi parte di quelli che si riconoscono nel nuovo «correntone Pd» appena inaugurato, e poi, con sfumature diverse, i senatori lettiani, a partire da Francesco Russo, che secondo alcune ricostruzioni avrebbe nel cassetto un foglio con 25 firme di colleghi Pd contrari ad «un Senato dopolavoristico». Ma sulla riforma del Senato si affilano le armi anche in altri partiti della maggioranza.
Come in «Gruppo Per l'Italia» (11 senatori), la pattuglia di Mario Mauro («Stiamo attenti a non fare sciocchezze»), e sacche di resistenza anche nel gruppo Autonomie, con il senatore socialista Buemi che ha proposto, per ripicca, l'abolizione della Camera, e persino dentro Ncd. I tacchini sono pronti alla guerra.
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Re: I paraguru sfascisti ci stanno portando al fascismo
MONTI, LETTA E RENZI
siamo in una situazione da follia
Monti era il peggior cameriere dei poteri finanziari poi Letta il nipotino , il cagnolino poi Renzi.
Il Renzi migliore è quello del comico.
Il Renzi in carne ed ossa deve aver avuto un trauma cranico a 10 anni, li è rimasto .
La differenza tra ABOLIZIONE DEL SENATO e ELIMINAZIONE DEL BICAMERALISMO PERFETTO
qualcuno gli è lo puo spiegare ?
I famosi 80 euro per ha stipendi inferiori a 1500 euro netti sembrano ora 1300 netti, se togliamo gli incapienti i famosi 10 miliardi diventano 3 miliardi !!
le 100 auto se le tenga lui nel garage di casa
il decreto legge sui contratti a termine è ESTREMISMO DI DESTRA peggio della fornero.
abbiamo un governo PD piu a destra del governo neoliberista e anticostituzionale di Monti.
un governo eletto con il 2 % degli elettori ( primarie PD ).
infine la pensione di Renzi pur nel complessità della questione solleva molto dubbi.
Fonzi è piu furbo di Fonzi.
siamo in una situazione da follia
Monti era il peggior cameriere dei poteri finanziari poi Letta il nipotino , il cagnolino poi Renzi.
Il Renzi migliore è quello del comico.
Il Renzi in carne ed ossa deve aver avuto un trauma cranico a 10 anni, li è rimasto .
La differenza tra ABOLIZIONE DEL SENATO e ELIMINAZIONE DEL BICAMERALISMO PERFETTO
qualcuno gli è lo puo spiegare ?
I famosi 80 euro per ha stipendi inferiori a 1500 euro netti sembrano ora 1300 netti, se togliamo gli incapienti i famosi 10 miliardi diventano 3 miliardi !!
le 100 auto se le tenga lui nel garage di casa
il decreto legge sui contratti a termine è ESTREMISMO DI DESTRA peggio della fornero.
abbiamo un governo PD piu a destra del governo neoliberista e anticostituzionale di Monti.
un governo eletto con il 2 % degli elettori ( primarie PD ).
infine la pensione di Renzi pur nel complessità della questione solleva molto dubbi.
Fonzi è piu furbo di Fonzi.
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Re: I paraguru sfascisti ci stanno portando al fascismo
Un gruppo di truffatori è all’opera per completare il piano della P2.
Purtroppo, c’è un gruppo di piscia a letto come Gozi, Serracchiani, Boschi ed altri che hanno smesso di usare ieri il pannolino, che prendono posizioni senza capire cosa stanno dicendo e facendo. E VENGONO PURE PAGATI.
A Piazzapulita, nessuno si scandalizza più se Renzi e Berlusconi sono d’accordo per completare il piano della P2.
Parrucconi che hanno fatto fallire la democrazia, è il parere del fascista Sallusti su Rodotà e Zagrebelsky, che ci ha tenuto a mettere in evidenza che non si tratta della riforma Renzi, ma Renzi – Berlusconi.
Quella italiana non è mai stata una democrazia nel senso compiuto, come possono esserlo le nazioni a Nord di Chiasso. Siamo da anni una oligarchia compiuta che milioni merli chiamano “democrazia”.
Ma il nodo centrale del problema che ha fatto sobbalzare anche Formigli è:
Noto, di Ipr – Marketing, ha sondato che il 72 % degli italiani è favorevole alla soppressione, MA, HA AGGIUNTO:
SE SI SONDASSE ANCHE LA VOLONTA’ DI SOPPRIMERE ANCHE LA CAMERA I RISULTATI POTREBBERO ESSERE POCO DIFFERENTI DA QUEL 72 %.
Un gruppo di furbetti ci vogliono portare per mano verso il FASCISMO.
Purtroppo, c’è un gruppo di piscia a letto come Gozi, Serracchiani, Boschi ed altri che hanno smesso di usare ieri il pannolino, che prendono posizioni senza capire cosa stanno dicendo e facendo. E VENGONO PURE PAGATI.
A Piazzapulita, nessuno si scandalizza più se Renzi e Berlusconi sono d’accordo per completare il piano della P2.
Parrucconi che hanno fatto fallire la democrazia, è il parere del fascista Sallusti su Rodotà e Zagrebelsky, che ci ha tenuto a mettere in evidenza che non si tratta della riforma Renzi, ma Renzi – Berlusconi.
Quella italiana non è mai stata una democrazia nel senso compiuto, come possono esserlo le nazioni a Nord di Chiasso. Siamo da anni una oligarchia compiuta che milioni merli chiamano “democrazia”.
Ma il nodo centrale del problema che ha fatto sobbalzare anche Formigli è:
Noto, di Ipr – Marketing, ha sondato che il 72 % degli italiani è favorevole alla soppressione, MA, HA AGGIUNTO:
SE SI SONDASSE ANCHE LA VOLONTA’ DI SOPPRIMERE ANCHE LA CAMERA I RISULTATI POTREBBERO ESSERE POCO DIFFERENTI DA QUEL 72 %.
Un gruppo di furbetti ci vogliono portare per mano verso il FASCISMO.
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Re: I paraguru sfascisti ci stanno portando al fascismo
“Una Grande Riforma piena di pasticci fuori dalla Costituzione”
(LIANA MILELLA).
03/04/2014 di triskel182
Il giurista: “L’adesione di Beppe Grillo al nostro appello non mi imbarazza, anzi è un buon segno Quanto c’è di Berlusconi nel progetto del premier? Essendo d’accordo, tutto è di tutti e due”.
ROMA -
Una definizione della riforma Renzi?
«Un annuncio di rischio».
È in sintonia con il resto della Costituzione?
«L’insieme, sottolineo l’insieme, mi pare configuri, come si usa dire, una fuoriuscita».
Il governo avrà troppi poteri?
«La questione è piuttosto chi ne avrà troppo pochi o nessuno: le minoranze, la partecipazione, le istanze di controllo».
Il Senato sarà ancora degno di questo nome?
«I Senati storici erano altra cosa, ma con le parole si può far quel che si vuole».
Governatori e sindaci sono degni di starci?
«Dipende dai compiti, cosa non chiara. Piuttosto che farne un pasticcio, sarebbe meglio abolirlo del tutto».
Tra Renzi e Grasso chi ha ragione?
«Francamente, più saggio m’è parso il presidente del Senato».
Quanto c’è di Berlusconi nel disegno di Renzi?
«Essendo d’accordo, tutto è di tutti e due. Le schermaglie non sono divergenze sui contenuti, ma timori reciproci di mancamenti ai patti o calcoli d’utilità politica contingente».
Il professor Gustavo Zagrebelsky spiega a Repubblicale ragioni del suo dissenso.
Lei non è mai stato tenero con chi ha messo o tentato di mettere mano alla Carta. Sono storiche le bacchettate a Berlusconi. Con Renzi non è che si sta superando?
«C’è un disegno istituzionale che cova da lungo tempo e che, oggi, a differenza di allora, viene alla luce del sole.
Gli oppositori d’un tempo sono diventati sostenitori. Delle due, l’una: o tacere, con ciò acconsentendo di fatto, o parlare forte. È quanto s’è fatto col documento di Libertà e Giustizia».
Non la imbarazza che Grillo l’abbia firmato?
«Perché dovrebbe? Se, su una certa materia, si condividono le stesse idee… C’è un fondo d’intolleranza, in questa domanda che da molte parti ci è posta. M5S ha aderito all’appello per la difesa della democrazia costituzionale: è un brutto segno?
Semmai, il contrario.
Poi si vedrà».
È seccato perché Renzi ha detto che
non dà retta a professori come lei e Rodotà?
«Non è questione di “dar retta”, ma di ragionare e soppesare gli argomenti. Sarà lecito invitare chi deve prendere le decisioni a considerare le cose “da tutti i lati”?».
E quale sarebbe il «lato» che manca?
«L’antiparlamentarismo. Ora s’abbatte sul Senato, capro
espiatorio di mali collettivi.
È un sentimento elementare che non s’accontenta di qualcosa ma vuole tutto. “Tutto” significa il demiurgo di turno: fuori i trafficanti della politica, i profittatori, i corrotti, gli incompetenti, i chiacchieroni.
Eppure, negli anni trascorsi, non sono mancati gli avvertimenti.
Si è chiesta “dissociazione”: per riconciliarsi con i cittadini. Siamo stati accusati di antipolitica, di populismo: noi, che ci preoccupavamo di quel che stava accadendo; loro, che preferivano non vedere. E ora, proprio di questo vento gonfiano le vele.
Chi sono allora gli antipolitici, i populisti, i demagoghi?».
Ma è un nostalgico del bicameralismo perfetto?
«Per nulla. Ma per mettere mano a una riforma, bisognerebbe chiarirsene il senso. Qual è la vocazione di tutte le “seconde Camere”? I Senati devono corrispondere a un’esigenza di precauzione. La democrazia rappresentativa ha un difetto: divora risorse, materiali e spirituali. È una vecchia storia, alla quale non ci piace pensare. I Senati dovrebbero servire ai tempi lunghi, dato che la democrazia rappresentativa pensa ai tempi brevi, i Senati dovrebbero servire ai tempi lunghi: dovrebbero essere “conservatori di futuro”».
Il Senato finora non l’avrebbe fatto?
«Non in misura sufficiente. Per questo, non sono un nostalgico. Mi piacerebbe che si discutesse d’un Senato autorevole, elettivo, per il quale valgano rigorose norme d’incompatibilità e d’ineleggibilità, diverso dalla Camera dei deputati, sottratto però all’opportunismo indotto dalla ricerca della rielezione. Una volta, i senatori erano nominati a vita. Oggi, la nomina e la durata vitalizia non sarebbero “repubblicane”. Ma si potrebbe prevedere una durata maggiore, rispetto all’altra Camera (come era originariamente), e il divieto di rielezione e di assunzione di cariche politiche ».
Ciò significherebbe differenziare i poteri delle due Camere?
«Per ciò, si dovrebbe andare oltre il bicameralismo perfetto, non per umiliare ma per valorizzare: eliminare il voto di fiducia, ma prevedere un ruolo importante sugli argomenti “etici”, di politica estera e militare, di politica finanziaria che gravano sul futuro. Altro potrebbe essere il controllo preventivo sulle nomine nei grandi enti dello Stato, sul modello statunitense. Sarebbe uno strumento di lotta alla corruzione e di bonifica nel campo dove alligna il clientelismo. Insomma, ci sarebbe molto di serio da fare».
Da La Repubblica del 03/04/2014.
(LIANA MILELLA).
03/04/2014 di triskel182
Il giurista: “L’adesione di Beppe Grillo al nostro appello non mi imbarazza, anzi è un buon segno Quanto c’è di Berlusconi nel progetto del premier? Essendo d’accordo, tutto è di tutti e due”.
ROMA -
Una definizione della riforma Renzi?
«Un annuncio di rischio».
È in sintonia con il resto della Costituzione?
«L’insieme, sottolineo l’insieme, mi pare configuri, come si usa dire, una fuoriuscita».
Il governo avrà troppi poteri?
«La questione è piuttosto chi ne avrà troppo pochi o nessuno: le minoranze, la partecipazione, le istanze di controllo».
Il Senato sarà ancora degno di questo nome?
«I Senati storici erano altra cosa, ma con le parole si può far quel che si vuole».
Governatori e sindaci sono degni di starci?
«Dipende dai compiti, cosa non chiara. Piuttosto che farne un pasticcio, sarebbe meglio abolirlo del tutto».
Tra Renzi e Grasso chi ha ragione?
«Francamente, più saggio m’è parso il presidente del Senato».
Quanto c’è di Berlusconi nel disegno di Renzi?
«Essendo d’accordo, tutto è di tutti e due. Le schermaglie non sono divergenze sui contenuti, ma timori reciproci di mancamenti ai patti o calcoli d’utilità politica contingente».
Il professor Gustavo Zagrebelsky spiega a Repubblicale ragioni del suo dissenso.
Lei non è mai stato tenero con chi ha messo o tentato di mettere mano alla Carta. Sono storiche le bacchettate a Berlusconi. Con Renzi non è che si sta superando?
«C’è un disegno istituzionale che cova da lungo tempo e che, oggi, a differenza di allora, viene alla luce del sole.
Gli oppositori d’un tempo sono diventati sostenitori. Delle due, l’una: o tacere, con ciò acconsentendo di fatto, o parlare forte. È quanto s’è fatto col documento di Libertà e Giustizia».
Non la imbarazza che Grillo l’abbia firmato?
«Perché dovrebbe? Se, su una certa materia, si condividono le stesse idee… C’è un fondo d’intolleranza, in questa domanda che da molte parti ci è posta. M5S ha aderito all’appello per la difesa della democrazia costituzionale: è un brutto segno?
Semmai, il contrario.
Poi si vedrà».
È seccato perché Renzi ha detto che
non dà retta a professori come lei e Rodotà?
«Non è questione di “dar retta”, ma di ragionare e soppesare gli argomenti. Sarà lecito invitare chi deve prendere le decisioni a considerare le cose “da tutti i lati”?».
E quale sarebbe il «lato» che manca?
«L’antiparlamentarismo. Ora s’abbatte sul Senato, capro
espiatorio di mali collettivi.
È un sentimento elementare che non s’accontenta di qualcosa ma vuole tutto. “Tutto” significa il demiurgo di turno: fuori i trafficanti della politica, i profittatori, i corrotti, gli incompetenti, i chiacchieroni.
Eppure, negli anni trascorsi, non sono mancati gli avvertimenti.
Si è chiesta “dissociazione”: per riconciliarsi con i cittadini. Siamo stati accusati di antipolitica, di populismo: noi, che ci preoccupavamo di quel che stava accadendo; loro, che preferivano non vedere. E ora, proprio di questo vento gonfiano le vele.
Chi sono allora gli antipolitici, i populisti, i demagoghi?».
Ma è un nostalgico del bicameralismo perfetto?
«Per nulla. Ma per mettere mano a una riforma, bisognerebbe chiarirsene il senso. Qual è la vocazione di tutte le “seconde Camere”? I Senati devono corrispondere a un’esigenza di precauzione. La democrazia rappresentativa ha un difetto: divora risorse, materiali e spirituali. È una vecchia storia, alla quale non ci piace pensare. I Senati dovrebbero servire ai tempi lunghi, dato che la democrazia rappresentativa pensa ai tempi brevi, i Senati dovrebbero servire ai tempi lunghi: dovrebbero essere “conservatori di futuro”».
Il Senato finora non l’avrebbe fatto?
«Non in misura sufficiente. Per questo, non sono un nostalgico. Mi piacerebbe che si discutesse d’un Senato autorevole, elettivo, per il quale valgano rigorose norme d’incompatibilità e d’ineleggibilità, diverso dalla Camera dei deputati, sottratto però all’opportunismo indotto dalla ricerca della rielezione. Una volta, i senatori erano nominati a vita. Oggi, la nomina e la durata vitalizia non sarebbero “repubblicane”. Ma si potrebbe prevedere una durata maggiore, rispetto all’altra Camera (come era originariamente), e il divieto di rielezione e di assunzione di cariche politiche ».
Ciò significherebbe differenziare i poteri delle due Camere?
«Per ciò, si dovrebbe andare oltre il bicameralismo perfetto, non per umiliare ma per valorizzare: eliminare il voto di fiducia, ma prevedere un ruolo importante sugli argomenti “etici”, di politica estera e militare, di politica finanziaria che gravano sul futuro. Altro potrebbe essere il controllo preventivo sulle nomine nei grandi enti dello Stato, sul modello statunitense. Sarebbe uno strumento di lotta alla corruzione e di bonifica nel campo dove alligna il clientelismo. Insomma, ci sarebbe molto di serio da fare».
Da La Repubblica del 03/04/2014.
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Re: I paraguru sfascisti ci stanno portando al fascismo
l’Unità 3.4.14
Stefano Rodotà: «Con l’Italicum serve un Senato di garanzia»
«È vero, nel 1985 ero per il monocameralismo, ma allora c’erano grandi partiti e il proporzionale. Grillo condivide l’appello? E che argomento è?»
intervista di Andrea Carugati
«Il mio disegno di legge del 1985 sul monocameralismo? Me lo ricordo perfettamente. Quel testo voleva rafforzare la rappresentanza dei cittadini e la centralità del Parlamento contro i tentativi che c’erano anche allora di spostare l’equilibrio a favore dell’esecutivo. Nel 1985 c’erano il proporzionale, le preferenze, i grandi partiti di massa, regolamenti parlamentari che davano enormi poteri ai gruppi di opposizione. Il nostro obiettivo era dare la massima forza alla rappresentanza parlamentare, mentre oggi la si vuole mortificare».
Stefano Rodotà è un fiume in piena.
Il conflitto tra il premier Renzi e il fronte dei «professoroni» che lo vede in prima fila insieme a Gustavo Zagrebelsky ha ulteriormente rafforzato la sua volontà di lanciare un allarme sui rischi di una «deriva autoritaria».
E tuttavia anche lei il Senato lo voleva eliminare...
«Certo, ma utilizzare questo argomento come obiezione alle mie critiche alle riforme di Renzi è culturalmente imbarazzante. Le critiche che ci arrivarono nel 1985 era che eravamo troppo parlamentaristi. Il nostro riferimento era rafforzare la rappresentanza del Parlamento, lo steso tema al centro della sentenza della Consulta contro il Porcellum. E l’Italicum è chiaramente in violazione di quella sentenza, basti pensare allo sbarramento dell’8% per i partiti non coalizzati. È qui l’abisso che divide le nostre proposte del 1985 da quelle di oggi».
Il vostro appello ha avuto anche l’endorsment di Grillo e Casaleggio...
«Ma che argomento è? Grillo firma quello che vuole, sono affari suoi. Quando c’è una proposta sul mercato chiunque ha il diritto di valutarla nel merito. Grillo vuole il vincolo di mandato per i parlamentari, noi no, mica c’è la proprietà transitiva verso Rodotà e Zagrebeslky».
Rispetto al Senato di Renzi lei che obiezioni muove?
«Ho letto pochi testi così sgrammaticati. Non mi pare neppure emendabile. Vedo poi che cambia continuamente. Ma questa disponibilità a cambiare mi pare soprattutto un segno di debolezza culturale e di approssimazione istituzionale. Gli argomenti portati sono imbarazzanti. Risparmiamo un miliardo? Ma questo è l’argomento più antipolitico che abbia sentito. È questo il metro per misurare la riforma costituzionale? Se aboliamo la presidenza della Repubblica e vendiamo il Quirinale si risparmia ancora di più...».
Non rischia di sottovalutare l’indignazione popolare contro gli sprechi?
«Assolutamente no. E infatti considero sacrosanta la proposta di eliminare i rimborsi nelle regioni che hanno generato fenomeni di corruzione. Ma di qui a tagliare il Senato per risparmiare c’è un salto pericoloso»: il Senato non è il Cnel».
Voi che tipo di riforma vorreste?
«Ci sono state tante proposte da parte dei firmatari del nostro appello. All’inizio del governo Letta alcuni di noi proposero di evitare la modifica del 138 e di fare subito le riforme possibili: la riduzione dei parlamentari e la fine del bicameralismo perfetto. Se si fosse fatto, oggi avremmo già queste due riforme approvate. Altro che conservatorismo».
In quali aspetti le vostre proposte differiscono da quelle del governo?
«Se una sola delle Camera ha la competenza sulla fiducia e sui bilanci, per evitare di modificare gli equilibri costituzionali occorre dare al Senato poteri sulle leggi costituzionali, le grandi leggi di principio, l’attività di controllo e inchiesta parlamentare. E poi un Senato eletto direttamente dai cittadini con il proporzionale. C’è una proposta in Senato firmata da Walter Tocci e altri che riprende alcuni di questi obiettivi. Sarebbe una strada per avere un Senato di garanzia, ancor più necessario se si sceglie per la Camera una legge ipermaggioritaria come l’Italicum. Altrimenti un partito con poco più del 20% rischia di diventare dominus dell’intero sistema. Di un governo con troppi poteri. Ecco perché parliamo di sistema autoritario. E poi c’è il tema della legittimità di questo Parlamento...».
Sarebbe illegittimo?
«Questo Parlamento eletto con un Porcellum incostituzionale non è rappresentativo del Paese. E bisognerebbe interrogarsi sulla sua legittimazione a modificare la Costituzione in modo così radicale. Servirebbe un minimo di cautela, non certo la tracotanza di chi dice “prendere o lasciare”.»
Il ragionamento può essere ribaltato. Istituzioni così delegittimate hanno la necessità di profonde riforme per arginare i populismi.
«Dipende da quale risposta si intende dare. Accentrare i poteri nelle mani di poche persone è una vecchia ricetta già utilizzata più volte. È la ricetta di chi dice basta coi sindacati, con i partitini, con i professoroni. Ma ce n’è un’altra. Visto che c’è un deficit di rappresentanza delle istituzioni, si può fare una buona manutenzione della macchina dello Stato riaprendo dei canali di comunicazione con i cittadini di tipo non populista».
Come si traduce in concreto?
«Si può rafforzare la capacità di decisione senza stravolgere gli equilibri e le garanzie. I cittadini devono poter intervenire valorizzando gli strumenti dell’iniziativa popolare e del referendum, rendendo vincolante la discussione delle proposte dei cittadini. Si potrebbe così canalizzare la rabbia che alimenta i populismi».
È una risposta alla sfida di Grillo?
«È un modo per aprire canali nuovi dopo che i vecchi, a partire dai partiti di massa, si sono rinsecchiti. Ci sono tante forme di partecipazione civica che vanno oltre le forme povere delM5S. Anche Obama ha saputo dare una risposta partecipativa capillare alla crisi della politica».
Stefano Rodotà: «Con l’Italicum serve un Senato di garanzia»
«È vero, nel 1985 ero per il monocameralismo, ma allora c’erano grandi partiti e il proporzionale. Grillo condivide l’appello? E che argomento è?»
intervista di Andrea Carugati
«Il mio disegno di legge del 1985 sul monocameralismo? Me lo ricordo perfettamente. Quel testo voleva rafforzare la rappresentanza dei cittadini e la centralità del Parlamento contro i tentativi che c’erano anche allora di spostare l’equilibrio a favore dell’esecutivo. Nel 1985 c’erano il proporzionale, le preferenze, i grandi partiti di massa, regolamenti parlamentari che davano enormi poteri ai gruppi di opposizione. Il nostro obiettivo era dare la massima forza alla rappresentanza parlamentare, mentre oggi la si vuole mortificare».
Stefano Rodotà è un fiume in piena.
Il conflitto tra il premier Renzi e il fronte dei «professoroni» che lo vede in prima fila insieme a Gustavo Zagrebelsky ha ulteriormente rafforzato la sua volontà di lanciare un allarme sui rischi di una «deriva autoritaria».
E tuttavia anche lei il Senato lo voleva eliminare...
«Certo, ma utilizzare questo argomento come obiezione alle mie critiche alle riforme di Renzi è culturalmente imbarazzante. Le critiche che ci arrivarono nel 1985 era che eravamo troppo parlamentaristi. Il nostro riferimento era rafforzare la rappresentanza del Parlamento, lo steso tema al centro della sentenza della Consulta contro il Porcellum. E l’Italicum è chiaramente in violazione di quella sentenza, basti pensare allo sbarramento dell’8% per i partiti non coalizzati. È qui l’abisso che divide le nostre proposte del 1985 da quelle di oggi».
Il vostro appello ha avuto anche l’endorsment di Grillo e Casaleggio...
«Ma che argomento è? Grillo firma quello che vuole, sono affari suoi. Quando c’è una proposta sul mercato chiunque ha il diritto di valutarla nel merito. Grillo vuole il vincolo di mandato per i parlamentari, noi no, mica c’è la proprietà transitiva verso Rodotà e Zagrebeslky».
Rispetto al Senato di Renzi lei che obiezioni muove?
«Ho letto pochi testi così sgrammaticati. Non mi pare neppure emendabile. Vedo poi che cambia continuamente. Ma questa disponibilità a cambiare mi pare soprattutto un segno di debolezza culturale e di approssimazione istituzionale. Gli argomenti portati sono imbarazzanti. Risparmiamo un miliardo? Ma questo è l’argomento più antipolitico che abbia sentito. È questo il metro per misurare la riforma costituzionale? Se aboliamo la presidenza della Repubblica e vendiamo il Quirinale si risparmia ancora di più...».
Non rischia di sottovalutare l’indignazione popolare contro gli sprechi?
«Assolutamente no. E infatti considero sacrosanta la proposta di eliminare i rimborsi nelle regioni che hanno generato fenomeni di corruzione. Ma di qui a tagliare il Senato per risparmiare c’è un salto pericoloso»: il Senato non è il Cnel».
Voi che tipo di riforma vorreste?
«Ci sono state tante proposte da parte dei firmatari del nostro appello. All’inizio del governo Letta alcuni di noi proposero di evitare la modifica del 138 e di fare subito le riforme possibili: la riduzione dei parlamentari e la fine del bicameralismo perfetto. Se si fosse fatto, oggi avremmo già queste due riforme approvate. Altro che conservatorismo».
In quali aspetti le vostre proposte differiscono da quelle del governo?
«Se una sola delle Camera ha la competenza sulla fiducia e sui bilanci, per evitare di modificare gli equilibri costituzionali occorre dare al Senato poteri sulle leggi costituzionali, le grandi leggi di principio, l’attività di controllo e inchiesta parlamentare. E poi un Senato eletto direttamente dai cittadini con il proporzionale. C’è una proposta in Senato firmata da Walter Tocci e altri che riprende alcuni di questi obiettivi. Sarebbe una strada per avere un Senato di garanzia, ancor più necessario se si sceglie per la Camera una legge ipermaggioritaria come l’Italicum. Altrimenti un partito con poco più del 20% rischia di diventare dominus dell’intero sistema. Di un governo con troppi poteri. Ecco perché parliamo di sistema autoritario. E poi c’è il tema della legittimità di questo Parlamento...».
Sarebbe illegittimo?
«Questo Parlamento eletto con un Porcellum incostituzionale non è rappresentativo del Paese. E bisognerebbe interrogarsi sulla sua legittimazione a modificare la Costituzione in modo così radicale. Servirebbe un minimo di cautela, non certo la tracotanza di chi dice “prendere o lasciare”.»
Il ragionamento può essere ribaltato. Istituzioni così delegittimate hanno la necessità di profonde riforme per arginare i populismi.
«Dipende da quale risposta si intende dare. Accentrare i poteri nelle mani di poche persone è una vecchia ricetta già utilizzata più volte. È la ricetta di chi dice basta coi sindacati, con i partitini, con i professoroni. Ma ce n’è un’altra. Visto che c’è un deficit di rappresentanza delle istituzioni, si può fare una buona manutenzione della macchina dello Stato riaprendo dei canali di comunicazione con i cittadini di tipo non populista».
Come si traduce in concreto?
«Si può rafforzare la capacità di decisione senza stravolgere gli equilibri e le garanzie. I cittadini devono poter intervenire valorizzando gli strumenti dell’iniziativa popolare e del referendum, rendendo vincolante la discussione delle proposte dei cittadini. Si potrebbe così canalizzare la rabbia che alimenta i populismi».
È una risposta alla sfida di Grillo?
«È un modo per aprire canali nuovi dopo che i vecchi, a partire dai partiti di massa, si sono rinsecchiti. Ci sono tante forme di partecipazione civica che vanno oltre le forme povere delM5S. Anche Obama ha saputo dare una risposta partecipativa capillare alla crisi della politica».
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Re: I paraguru sfascisti ci stanno portando al fascismo
POLITICA
03/04/2014
Voleva abolire il Senato e critica Renzi
Verità e bugie sugli attacchi a Rodotà
Il costituzionalista Ceccanti ripesca una proposta di legge del 1985. E piovono accuse di ipocrisia. Ma il testo aveva fini opposti rispetto a quelli del premier
GIUSEPPE SALVAGGIULO
Dunque Stefano Rodotà sarebbe stato beccato con le mani nella marmellata costituzionale. Il costituzionalista del Pd Stefano Ceccanti ha scovato e rilanciato su twitter una vecchia proposta di legge datata 1985 e firmata tra gli altri da Rodotà (all’epoca deputato eletto come indipendente nel Pci) per «sostituire il vigente bicameralismo paritario con il monocameralismo puro». L’argomento legittimamente malizioso è semplice: avendo in questi giorni firmato appelli contro la riforma Renzi che vuole per l’appunto abolire il bicameralismo, Rodotà si contraddice con se stesso (sia pure dopo 29 anni). Inevitabili le polemiche, gli attacchi, le irrisioni e i dileggi nei confronti di colui che «Il Foglio», sostenitore della riforma Renzi, definisce «il capo del partito dei parrucconi», criticando anche il fatto che si esprima sulle riforme costituzionali, lui che non è nemmeno costituzionalista (infatti è solo professore emerito di diritto civile alla Sapienza, la cattedra più prestigiosa e ambita dai giuristi italiani, il che per il quotidiano di Ferrara equivale ad avere «zero tituli»).
Qualunque idea si abbia su Renzi, su Rodotà e sulle rispettive idee, è bene chiarire i termini della vicenda ponendosi una domanda semplice: la riforma Renzi del 2014 è uguale, nella sostanza e negli effetti, a quella Rodotà del 1985? E quindi, il «capo dei parrucconi» si contraddice, rinnega se stesso, sacrifica l’onestà intellettuale all’ipocrita posizionamento politico?
Una analogia tra il Rodotà del 1985 e il Renzi del 2014 è la riduzione del numero dei parlamentari (anche se Rodotà è più renziano di Renzi: oltre a mandare a casa i senatori, voleva solo 500 deputati anziché 630!). Un’altra è la critica alle disfunzioni del bicameralismo. Spiegava allora il professore che due Camere gemelle riducono l’efficienza della produzione normativa, diventando solo casse di risonanza di «microinteressi» capaci per lo più di «reiterazione defatigante e distorcente del procedimento legislativo» per frenare le riforme con «tendenze conservatrici». Pare di sentire il premier rottamatore. Del resto, sia nell’appello di Libertà e Giustizia che nell’intervista al Fatto Quotidiano, il Rodotà del 2014 non contesta l’abolizione del Senato in sé (del resto già nell’assemblea costituente erano per il monocameralismo comunisti e socialisti), ma nell’attuale contesto politico e istituzionale. E qui emergono le differenze.
Prima differenza. Una lettura meno superficiale del testo del 1985 fa capire che quei parlamentari della Sinistra Indipendente (Ferrara, Rodotà, Bassanini...) vogliono il monocameralismo innanzitutto per rafforzare il Parlamento («un’unica istanza rilegittimata») nel rapporto dialettico del governo (di cui si intendeva limitare il potere di decretazione d’urgenza), mentre la riforma Renzi combinata con l’Italicum rafforza il governo contro il Parlamento (già abbondantemente indebolito, ormai da anni si legifera quasi solo con decreto).
Seconda. Come contrappeso alla eliminazione di un ramo del Parlamento, Rodotà nel 1985 propone l’introduzione del referendum propositivo. Di questo nel progetto Renzi non si parla.
Terza. Il Rodotà del 1985 vuole modificare l’articolo 138 sulle procedure di revisione costituzionale «con motivazioni e finalità garantistiche», per rendere più difficile alla maggioranza dell’unica Camera disporre della Carta fondamentale. Nessuna preoccupazione di questo tipo nel testo di Renzi.
Quarta. La proposta Rodotà del 1985 introduce sull’esempio francese e spagnolo una nuova categoria di leggi, dette «organiche» perché incidono su principi e diritti fondamentali (il catalogo è ampio: dalle libertà fondamentali ai sistemi elettorali, dalle confessioni religiose alla giustizia...). Per queste leggi, collocate a un rango «quasi costituzionale», viene prevista una procedura di approvazione rafforzata, per garantire il Parlamento dall’egemonia del governo e i cittadini dallo strapotere della maggioranza parlamentare. Niente decreti legge, niente leggi delega. Obbligo di maggioranza assoluta dei componenti della Camera per l’approvazione. Ancora un’esplicita previsione per limitare il governo. Tutto ciò manca nella riforma Renzi, che rimette tutta la legislazione alla maggioranza parlamentare, senza alcun contrappeso. La logica è opposta.
Quarta. E che maggioranza! Il Rodotà del 1985 si muove all’interno di un impianto costituzionale fondato sulla rappresentanza parlamentare proporzionale: tanti voti, tanti seggi. Un partito del 49 per cento non poteva approvare da solo le leggi, scegliere i presidenti delle Camere e della Repubblica, istituire commissioni d’inchiesta, designare gli organi di garanzia... Inoltre la forma di governo era rigorosamente parlamentare: il governo nasceva in Parlamento e dal voto di fiducia traeva la sua unica legittimazione. Oggi i sistemi elettorali (Porcellum o Italicum, da questo punto di vista, pari sono) garantiscono a partiti con la metà dei voti della Dc o del Pci una maggioranza assoluta in Parlamento e hanno modificato sostanzialmente la forma di governo: il premier ha una legittimazione elettorale sostanzialmente diretta dal popolo, il voto di fiducia del Parlamento è un atto dovuto. L’importanza di questa differenza di impostazione culturale è testimoniata dal fatto che il testo Rodotà del 1985, pur in un contesto proporzionalista e favorevole al Parlamento, vuole «costituzionalizzare» (oggi diremmo «blindare») il principio proporzionale, scelta «imposta dal monocameralismo e dalla riduzione dei parlamentari» proprio per evitare dittature della maggioranza.
Quinta differenza. Rodotà ha posto con Zagrebelsky e gli altri «parrucconi» una questione che è insieme giuridica e politica. Il Parlamento del 1985, eletto con una legge proporzionale conforme a Costituzione, era legittimato a cambiare la Carta fondamentale: rappresentava fedelmente «la nazione». Questo Parlamento, eletto con una legge elettorale anticostituzionale sia per l'abnorme premio di seggi (la maggioranza parlamentare è una minoranza tra i cittadini) che per l’inconoscibilità dei candidati agli occhi degli elettori data dalle liste bloccate, è legittimato a prefigurare un nuovo sistema costituzionale in cui minoranze popolari trasformate artificialmente in maggioranze parlamentari siano dotate di poteri largamente superiori a quelli che la Costituzione (e il Rodotà del 1985) riconoscevano a solide maggioranze popolari?
http://www.lastampa.it/2014/04/03/itali ... agina.html
03/04/2014
Voleva abolire il Senato e critica Renzi
Verità e bugie sugli attacchi a Rodotà
Il costituzionalista Ceccanti ripesca una proposta di legge del 1985. E piovono accuse di ipocrisia. Ma il testo aveva fini opposti rispetto a quelli del premier
GIUSEPPE SALVAGGIULO
Dunque Stefano Rodotà sarebbe stato beccato con le mani nella marmellata costituzionale. Il costituzionalista del Pd Stefano Ceccanti ha scovato e rilanciato su twitter una vecchia proposta di legge datata 1985 e firmata tra gli altri da Rodotà (all’epoca deputato eletto come indipendente nel Pci) per «sostituire il vigente bicameralismo paritario con il monocameralismo puro». L’argomento legittimamente malizioso è semplice: avendo in questi giorni firmato appelli contro la riforma Renzi che vuole per l’appunto abolire il bicameralismo, Rodotà si contraddice con se stesso (sia pure dopo 29 anni). Inevitabili le polemiche, gli attacchi, le irrisioni e i dileggi nei confronti di colui che «Il Foglio», sostenitore della riforma Renzi, definisce «il capo del partito dei parrucconi», criticando anche il fatto che si esprima sulle riforme costituzionali, lui che non è nemmeno costituzionalista (infatti è solo professore emerito di diritto civile alla Sapienza, la cattedra più prestigiosa e ambita dai giuristi italiani, il che per il quotidiano di Ferrara equivale ad avere «zero tituli»).
Qualunque idea si abbia su Renzi, su Rodotà e sulle rispettive idee, è bene chiarire i termini della vicenda ponendosi una domanda semplice: la riforma Renzi del 2014 è uguale, nella sostanza e negli effetti, a quella Rodotà del 1985? E quindi, il «capo dei parrucconi» si contraddice, rinnega se stesso, sacrifica l’onestà intellettuale all’ipocrita posizionamento politico?
Una analogia tra il Rodotà del 1985 e il Renzi del 2014 è la riduzione del numero dei parlamentari (anche se Rodotà è più renziano di Renzi: oltre a mandare a casa i senatori, voleva solo 500 deputati anziché 630!). Un’altra è la critica alle disfunzioni del bicameralismo. Spiegava allora il professore che due Camere gemelle riducono l’efficienza della produzione normativa, diventando solo casse di risonanza di «microinteressi» capaci per lo più di «reiterazione defatigante e distorcente del procedimento legislativo» per frenare le riforme con «tendenze conservatrici». Pare di sentire il premier rottamatore. Del resto, sia nell’appello di Libertà e Giustizia che nell’intervista al Fatto Quotidiano, il Rodotà del 2014 non contesta l’abolizione del Senato in sé (del resto già nell’assemblea costituente erano per il monocameralismo comunisti e socialisti), ma nell’attuale contesto politico e istituzionale. E qui emergono le differenze.
Prima differenza. Una lettura meno superficiale del testo del 1985 fa capire che quei parlamentari della Sinistra Indipendente (Ferrara, Rodotà, Bassanini...) vogliono il monocameralismo innanzitutto per rafforzare il Parlamento («un’unica istanza rilegittimata») nel rapporto dialettico del governo (di cui si intendeva limitare il potere di decretazione d’urgenza), mentre la riforma Renzi combinata con l’Italicum rafforza il governo contro il Parlamento (già abbondantemente indebolito, ormai da anni si legifera quasi solo con decreto).
Seconda. Come contrappeso alla eliminazione di un ramo del Parlamento, Rodotà nel 1985 propone l’introduzione del referendum propositivo. Di questo nel progetto Renzi non si parla.
Terza. Il Rodotà del 1985 vuole modificare l’articolo 138 sulle procedure di revisione costituzionale «con motivazioni e finalità garantistiche», per rendere più difficile alla maggioranza dell’unica Camera disporre della Carta fondamentale. Nessuna preoccupazione di questo tipo nel testo di Renzi.
Quarta. La proposta Rodotà del 1985 introduce sull’esempio francese e spagnolo una nuova categoria di leggi, dette «organiche» perché incidono su principi e diritti fondamentali (il catalogo è ampio: dalle libertà fondamentali ai sistemi elettorali, dalle confessioni religiose alla giustizia...). Per queste leggi, collocate a un rango «quasi costituzionale», viene prevista una procedura di approvazione rafforzata, per garantire il Parlamento dall’egemonia del governo e i cittadini dallo strapotere della maggioranza parlamentare. Niente decreti legge, niente leggi delega. Obbligo di maggioranza assoluta dei componenti della Camera per l’approvazione. Ancora un’esplicita previsione per limitare il governo. Tutto ciò manca nella riforma Renzi, che rimette tutta la legislazione alla maggioranza parlamentare, senza alcun contrappeso. La logica è opposta.
Quarta. E che maggioranza! Il Rodotà del 1985 si muove all’interno di un impianto costituzionale fondato sulla rappresentanza parlamentare proporzionale: tanti voti, tanti seggi. Un partito del 49 per cento non poteva approvare da solo le leggi, scegliere i presidenti delle Camere e della Repubblica, istituire commissioni d’inchiesta, designare gli organi di garanzia... Inoltre la forma di governo era rigorosamente parlamentare: il governo nasceva in Parlamento e dal voto di fiducia traeva la sua unica legittimazione. Oggi i sistemi elettorali (Porcellum o Italicum, da questo punto di vista, pari sono) garantiscono a partiti con la metà dei voti della Dc o del Pci una maggioranza assoluta in Parlamento e hanno modificato sostanzialmente la forma di governo: il premier ha una legittimazione elettorale sostanzialmente diretta dal popolo, il voto di fiducia del Parlamento è un atto dovuto. L’importanza di questa differenza di impostazione culturale è testimoniata dal fatto che il testo Rodotà del 1985, pur in un contesto proporzionalista e favorevole al Parlamento, vuole «costituzionalizzare» (oggi diremmo «blindare») il principio proporzionale, scelta «imposta dal monocameralismo e dalla riduzione dei parlamentari» proprio per evitare dittature della maggioranza.
Quinta differenza. Rodotà ha posto con Zagrebelsky e gli altri «parrucconi» una questione che è insieme giuridica e politica. Il Parlamento del 1985, eletto con una legge proporzionale conforme a Costituzione, era legittimato a cambiare la Carta fondamentale: rappresentava fedelmente «la nazione». Questo Parlamento, eletto con una legge elettorale anticostituzionale sia per l'abnorme premio di seggi (la maggioranza parlamentare è una minoranza tra i cittadini) che per l’inconoscibilità dei candidati agli occhi degli elettori data dalle liste bloccate, è legittimato a prefigurare un nuovo sistema costituzionale in cui minoranze popolari trasformate artificialmente in maggioranze parlamentari siano dotate di poteri largamente superiori a quelli che la Costituzione (e il Rodotà del 1985) riconoscevano a solide maggioranze popolari?
http://www.lastampa.it/2014/04/03/itali ... agina.html
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