Auto a idrogeno.
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Auto a idrogeno.
Auto a idrogeno: stesse prestazioni di quelle a benzina ma non inquinano
Al posto del motore una cella a combustibile che sfrutta l’idrogeno, fonte inesauribile, per produrre elettricità. Un veicolo amico dell’ambiente che non rilascia in atmosfera gas inquinanti ed è in grado di fornire le stesse prestazioni di un auto a benzina.
Pubblicato il 19/06/12 in News, Perugia: tutto il Festival dell'Energia, minuto per minuto| TAGS: auto idrogeno, auto elettrica, mobilità sostenibile, inquinamento, festival energia perugia
Auto a idrogeno al Festival dell'Energia: le foto
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per approfondire
Dai cellulari alle auto, la rivoluzione energetica passa dall'idrogeno
La tecnologia delle celle a combustibile che sfrutta l'idrogeno per produrre energia pulita può rivoluzionare la vita nelle città e rappresentare una soluzione al problema energetico globale. Ci racconta come Angelo Moreno, ricercatore dell'Enea.
lo speciale Festival
Perugia: tutto il Festival dell'Energia, minuto per minuto
Tutte le news dal Festival dell'Energia spiegata: interviste, approfondimenti e novità direttamente da Perugia.
Al posto del motore una cella a combustibile che sfrutta l’idrogeno, fonte inesauribile, per produrre elettricità. Un veicolo amico dell’ambiente che non rilascia in atmosfera gas inquinanti ed è in grado di fornire le stesse prestazioni di un auto a benzina.
«Rispetto alle auto elettriche a batteria, invece di dover essere ricaricata attaccando l’accumulatore a una presa di corrente – sottolinea il Professor Angelo Moreno, ricercatore dell’Enea, che durante il Festival dell’Energia ci ha spiegato il funzionamento del prototipo Hyundai in esposizione – in questo caso a bordo abbiamo l’idrogeno che viene usato dalla cella a combustibile per produrre elettricità». Per saperne di più sul funzionamento delle celle a combustibile e sulla produzione di idrogeno, clicca qui!
Per fare il pieno, poi, una volta esaurito l’idrogeno, basterà recarsi a un distributore – esattamente come funziona con le auto a benzina – e in pochi minuti si potrà ripartire. Un vantaggio non indifferente se si considera che per ricaricare un’auto a batteria possono volerci alcune ore. E per quanto riguarda autonomia e velocità?
«Questo prototipo Hyundai verrà immesso sul mercato nel 2015 (clicca qui per il video e qui per le foto) e su dichiarazione della casa produttrice ha un’autonomia di 600 km». Va però specificato che in Corea si possono inserire nel veicolo bombole di idrogeno con una pressione di 700 bar, più si comprime il gas e più ovviamente se ne può mettere a bordo. In Italia, per legge al momento, la pressione massima a cui è possibile sottoporre un gas è di circa 350 bar, quindi l’autonomia di questo mezzo viene dimezzataa 300 km.
Elemento innovativo per un’auto elettrica è la cilindrata: un “motore” a cella a combustibile è equivalente a un 2000 diesel. Le velocità che può toccare sono quindi uguali a quelle delle macchine che guidiamo attualmente. La questione dei prezzi è più spinosa: sempre la Hyundai ha dichiarato che immessa sul mercato, l'auto a idrogeno costerà un 25-30% in più del corrispettivo modello motorizzato diesel. «Ma questo non perché la tecnologia usata sia più cara - ci tiene a sottolineare Moreno - ma perché se ne produrranno pochi esemplari all'anno, nel momento in cui diventeranno auto di serie i costi si abbatteranno e diventeranno paragonabili a quelli dei mezzi a benzina».
E se è vero che anche fare un pieno costa di più, un litro di idrogeno va dai 5 ai 10 euro secondo le modalità di produzione, bisogna specificare che l’efficienza superiore di queste auto va ad ammortizzare la spesa. Per percorrere 100 km, infatti, questo veicolo ha bisogno di un solo litro di idrogeno contro i 5-6 litri di gasolio normalmente utilizzati.
Attualmente, oltre alla Hyundai, le case automobilistiche che hanno investito in questa direzione sono Mercedes, Toyota e Honda. Sebbene questa tecnologia rappresenti una delle soluzioni del futuro per quanto riguarda la mobilità, in Italia la situazione è critica. Non esiste ancora un quadro di riferimento a livello nazionale che consenta alle aziende - che pure si dimostrano interessate - di impegnarsi in questa direzione.
http://video.virgilio.it/auto-a-idrogen ... 63001.html
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iao
Paolo11
Al posto del motore una cella a combustibile che sfrutta l’idrogeno, fonte inesauribile, per produrre elettricità. Un veicolo amico dell’ambiente che non rilascia in atmosfera gas inquinanti ed è in grado di fornire le stesse prestazioni di un auto a benzina.
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«Rispetto alle auto elettriche a batteria, invece di dover essere ricaricata attaccando l’accumulatore a una presa di corrente – sottolinea il Professor Angelo Moreno, ricercatore dell’Enea, che durante il Festival dell’Energia ci ha spiegato il funzionamento del prototipo Hyundai in esposizione – in questo caso a bordo abbiamo l’idrogeno che viene usato dalla cella a combustibile per produrre elettricità». Per saperne di più sul funzionamento delle celle a combustibile e sulla produzione di idrogeno, clicca qui!
Per fare il pieno, poi, una volta esaurito l’idrogeno, basterà recarsi a un distributore – esattamente come funziona con le auto a benzina – e in pochi minuti si potrà ripartire. Un vantaggio non indifferente se si considera che per ricaricare un’auto a batteria possono volerci alcune ore. E per quanto riguarda autonomia e velocità?
«Questo prototipo Hyundai verrà immesso sul mercato nel 2015 (clicca qui per il video e qui per le foto) e su dichiarazione della casa produttrice ha un’autonomia di 600 km». Va però specificato che in Corea si possono inserire nel veicolo bombole di idrogeno con una pressione di 700 bar, più si comprime il gas e più ovviamente se ne può mettere a bordo. In Italia, per legge al momento, la pressione massima a cui è possibile sottoporre un gas è di circa 350 bar, quindi l’autonomia di questo mezzo viene dimezzataa 300 km.
Elemento innovativo per un’auto elettrica è la cilindrata: un “motore” a cella a combustibile è equivalente a un 2000 diesel. Le velocità che può toccare sono quindi uguali a quelle delle macchine che guidiamo attualmente. La questione dei prezzi è più spinosa: sempre la Hyundai ha dichiarato che immessa sul mercato, l'auto a idrogeno costerà un 25-30% in più del corrispettivo modello motorizzato diesel. «Ma questo non perché la tecnologia usata sia più cara - ci tiene a sottolineare Moreno - ma perché se ne produrranno pochi esemplari all'anno, nel momento in cui diventeranno auto di serie i costi si abbatteranno e diventeranno paragonabili a quelli dei mezzi a benzina».
E se è vero che anche fare un pieno costa di più, un litro di idrogeno va dai 5 ai 10 euro secondo le modalità di produzione, bisogna specificare che l’efficienza superiore di queste auto va ad ammortizzare la spesa. Per percorrere 100 km, infatti, questo veicolo ha bisogno di un solo litro di idrogeno contro i 5-6 litri di gasolio normalmente utilizzati.
Attualmente, oltre alla Hyundai, le case automobilistiche che hanno investito in questa direzione sono Mercedes, Toyota e Honda. Sebbene questa tecnologia rappresenti una delle soluzioni del futuro per quanto riguarda la mobilità, in Italia la situazione è critica. Non esiste ancora un quadro di riferimento a livello nazionale che consenta alle aziende - che pure si dimostrano interessate - di impegnarsi in questa direzione.
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Re: Auto a idrogeno.
Nel 1974 l'avvocato nazionale, per conto della Fiat acquistò da un inventore di Brescia il progetto dell'auto a idrogeno. Ma lo mise nel cassetto.
La Repubblica ha pubblicato questo articolo:
INTERVISTA
Ci siamo, arriva l'auto ad aria
7000 euro e 100 km con 1 euro
In vendita a metà del prossimo anno la famosa MDI che ha fatto innamorare anche il colosso Tata. Il primo modello sarà un quadriciclo leggero. Ecco l'incredibile storia raccontata direttamente dal papà di questa macchina, Cyril Negre
di VINCENZO BORGOMEO
© Riproduzione riservata
(08 giugno 2012)
http://www.repubblica.it/motori/attuali ... ref=search
La Repubblica ha pubblicato questo articolo:
INTERVISTA
Ci siamo, arriva l'auto ad aria
7000 euro e 100 km con 1 euro
In vendita a metà del prossimo anno la famosa MDI che ha fatto innamorare anche il colosso Tata. Il primo modello sarà un quadriciclo leggero. Ecco l'incredibile storia raccontata direttamente dal papà di questa macchina, Cyril Negre
di VINCENZO BORGOMEO
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(08 giugno 2012)
http://www.repubblica.it/motori/attuali ... ref=search
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Re: Auto a idrogeno.
....a idrogeno,.......ma anche elettrica
Mahindra E20, arriva in Europa l’elettrica indiana da 7mila euro
Prezzo e consumi sono a dir poco sorprendenti, ma il design è assai lontano dagli standard europei, con linee piuttosto grossolane che la fanno sembrare un giocattolo
di Daniele Boltin | 21 aprile 2014Commenti (127)
Una nuova auto a emissioni zero si sta per affacciare sul mercato europeo. Il nome non è di quelli che un automobilista si aspetterebbe. Si tratta infatti della E20, una citycar prodotta dalla casa indiana Mahindra. L’utilitaria è stata lanciata sul mercato domestico a marzo del 2013 e dopo il primo periodo di vendite e le esportazioni nei Paesi limitrofi, l’azienda punta a raggiungere il Vecchio Continente entro la fine del 2014. Tra i punti di forza di quest’auto ci sarà il prezzo. In India la Mahindra E20 viene venduta a una base di listino di circa 600mila rupie, pari a 7.250 euro, per arrivare con la versione più accessoriata a 850mila (10.200 euro). Sotto il cofano questa elettrica a basso costo monta un motore alimentato a batterie agli ioni di litio (ricaricabili in cinque ore), che consente di raggiungere una velocità massima di 80 km/, con un’autonomia di circa 100 chilometri.
La potenza di questo propulsore è di 14,8 kW per la versione di base, e di 19 per l’allestimento Premium. Numeri che sembrano adatti a un’auto pensata per spostarsi esclusivamente in città, anche grazie alle dimensioni ridotte, con un lunghezza di 3,2 metri e una larghezza di 151 centimetri. Insomma, una citycar agile, ecologica, economica e a quattro posti. Ma per chi guarda all’estetica dell’auto, le buone notizie sono finite qui. Il design della Mahindra E20, infatti, è molto lontano dagli standard europei, con linee piuttosto grossolane che la fanno sembrare un giocattolo. Accettando il compromesso, però, si potrebbe portare a casa un’auto elettrica spendendo sicuramente meno di 20mila euro.
Anche se il marchio indiano non ha ancora diffuso indicazioni sui listini che vorrebbe adottare in Europa, l’attacco sui prezzi sembra scontato anche dalla politica aziendale. Il management indiano, infatti, ha deciso di partire con le vendite della E20 in Inghilterra e Norvegia. Un banco di prova non casuale per testare le reazioni del mercato, perché i due Paesi sono quelli che hanno gli incentivi più alti per l’acquisto di un’auto ecologica. Nel Regno Unito, per un’elettrica c’è uno sconto di 5mila sterline, mentre in Norvegia, oltre all’incentivo sull’acquisto, ci sono una serie di sgravi fiscali che possono arrivare a 6mila euro l’anno per ogni vettura. Per adattarsi agli standard di sicurezza europei, Mahindra ha dichiarato che ha iniziato a lavorare sull’installazione di componenti come servosterzo, Abs, airbag e batterie migliori. Difficile che in un futuro prossimo l’Italia sia tra i mercati scelti dalla casa indiana per la E20. Ma se l’esperimento in Inghilterra e Norvegia dovesse funzionare, sarebbe l’inizio dell’era low-cost, anche per le elettriche.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04 ... ro/959186/
Mahindra E20, arriva in Europa l’elettrica indiana da 7mila euro
Prezzo e consumi sono a dir poco sorprendenti, ma il design è assai lontano dagli standard europei, con linee piuttosto grossolane che la fanno sembrare un giocattolo
di Daniele Boltin | 21 aprile 2014Commenti (127)
Una nuova auto a emissioni zero si sta per affacciare sul mercato europeo. Il nome non è di quelli che un automobilista si aspetterebbe. Si tratta infatti della E20, una citycar prodotta dalla casa indiana Mahindra. L’utilitaria è stata lanciata sul mercato domestico a marzo del 2013 e dopo il primo periodo di vendite e le esportazioni nei Paesi limitrofi, l’azienda punta a raggiungere il Vecchio Continente entro la fine del 2014. Tra i punti di forza di quest’auto ci sarà il prezzo. In India la Mahindra E20 viene venduta a una base di listino di circa 600mila rupie, pari a 7.250 euro, per arrivare con la versione più accessoriata a 850mila (10.200 euro). Sotto il cofano questa elettrica a basso costo monta un motore alimentato a batterie agli ioni di litio (ricaricabili in cinque ore), che consente di raggiungere una velocità massima di 80 km/, con un’autonomia di circa 100 chilometri.
La potenza di questo propulsore è di 14,8 kW per la versione di base, e di 19 per l’allestimento Premium. Numeri che sembrano adatti a un’auto pensata per spostarsi esclusivamente in città, anche grazie alle dimensioni ridotte, con un lunghezza di 3,2 metri e una larghezza di 151 centimetri. Insomma, una citycar agile, ecologica, economica e a quattro posti. Ma per chi guarda all’estetica dell’auto, le buone notizie sono finite qui. Il design della Mahindra E20, infatti, è molto lontano dagli standard europei, con linee piuttosto grossolane che la fanno sembrare un giocattolo. Accettando il compromesso, però, si potrebbe portare a casa un’auto elettrica spendendo sicuramente meno di 20mila euro.
Anche se il marchio indiano non ha ancora diffuso indicazioni sui listini che vorrebbe adottare in Europa, l’attacco sui prezzi sembra scontato anche dalla politica aziendale. Il management indiano, infatti, ha deciso di partire con le vendite della E20 in Inghilterra e Norvegia. Un banco di prova non casuale per testare le reazioni del mercato, perché i due Paesi sono quelli che hanno gli incentivi più alti per l’acquisto di un’auto ecologica. Nel Regno Unito, per un’elettrica c’è uno sconto di 5mila sterline, mentre in Norvegia, oltre all’incentivo sull’acquisto, ci sono una serie di sgravi fiscali che possono arrivare a 6mila euro l’anno per ogni vettura. Per adattarsi agli standard di sicurezza europei, Mahindra ha dichiarato che ha iniziato a lavorare sull’installazione di componenti come servosterzo, Abs, airbag e batterie migliori. Difficile che in un futuro prossimo l’Italia sia tra i mercati scelti dalla casa indiana per la E20. Ma se l’esperimento in Inghilterra e Norvegia dovesse funzionare, sarebbe l’inizio dell’era low-cost, anche per le elettriche.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04 ... ro/959186/
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Re: Auto a idrogeno.
https://www.youtube.com/watch?v=-YhvXJIMc94&app=desktop
Ecco il piano segreto della Germania per ridurre l'Italia in schiavitù
Ciao
Paolo11
Ecco il piano segreto della Germania per ridurre l'Italia in schiavitù
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Re: Auto a idrogeno.
Che ne dici Camillobenso.
Ciao
Paolo11
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Re: Auto a idrogeno.
paolo11 ha scritto:Che ne dici Camillobenso.
Ciao
Paolo11
L’ho sentito questa mattina ad Agorà. Non citavano però che fosse un patto segreto ma che si deve discutere la materia a giugno 2014, dopo le elezioni.
Il tema però è coincidente.
******
Dalla rete:
Cos'è il fondo di redenzione europeo
Redazione –
La proposta che mira ad affrontare il tema del debito in Europa in maniera radicalmente alternativa e in particolare attraverso una europeizzazione delle quote eccedenti il 60% è tutt'altro che astratta ed anzi è dentro lo stesso dibattito istituzionale. Pubblichiamo qui dei materiali che lo confermano.
A novembre 2011 (in tedesco) e a gennaio 2012 (in inglese), i "5 saggi" del German Council of Economic Expert (che supporta governo e parlamento tedeschi su materie macroeconomiche) presentano un loro documento sul fondo di redenzione. La cosa fece "scalpore" perché fino ad allora si trattava di un'idea che circolava in alcuni ambienti economici vicini in particolare ai socialisti europei, che hanno rilanciato subito nel PE l'idea.
a. Chi sono i 5 saggi, cos'è il Council tedesco;
b. Tre documenti principali in inglese su come concepiscono il fondo (1 - 2 - 3); da una parte si esprimono contro l'ipotesi di emissioni generalizzate di eurobonds e dall'altra si esprimono a favore del fondo.
La Merkel ha poi comunque formalmente "respinto" l'ipotesi del fondo (il governo tedesco è tenuto a esprimere la sua posizione sui documenti dei 5 saggi, entro un determinato numero di settimane).
Il Parlamento europeo si è comunque "appropriato" dell'idea / documenti, in particolare con socialisti, verdi, GUE ma anche liberali (a anche alcuni settori "nazionali" del PPE, in particolare spagnoli ed italiani) e ha continuato ad insistere sul fondo e sugli eurobond, inserendoli in alcune risoluzioni non vincolanti.
c. Una risoluzione del 16 gennaio 2013 (relatrice la liberale francese Sylvie Goulard, che ha co-firmato alcuni libri e articoli con Mario Monti), con un allegato alla risoluzione che propone un "piano globale" del PE sulla gestione mutualistica del debito.
Il 12 marzo 2013, al momento del voto sul two-pack, il Commissario Olli Rehn è stato "costretto" a fare una dichiarazione in aula pochi istanti prima del voto proprio per "impegnare" la Commissione europea sull'istituzione di un PANEL DI ESPERTI che deve esprimersi sulla fattibilità del fondo ma anche degli eurobond (era la condizione posta dai socialisti, che contavano però su un ampio supporto cross-party).
e. La dichiarazione integrale di Rehn fatta in aula il 12 marzo 2013;
f. Il comunicato ufficiale della Commissione del 2 luglio 2013 con il quale l'esecutivo europeoannuncia la creazione del PANEL
Il gruppo di esperti incaricati di studiare la fattibilità del fondo di redenzione sul debito e sugli eurobond ha consegnato ieri le sue conclusioni a Barroso e Rehn:
http://www.altramente.org/europa/27-eur ... ropeo.html
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Re: Auto a idrogeno.
lunedì 13 agosto 2012
La nuova trappola degli eurocrati: il "Fondo Europeo di redenzione"
22:06 | Pubblicato da admin |
Ad Aprile i parlamentari che abbiamo eletto per fare gli interessi degli eurocrati e delle lobby a cui questi sono legati hanno approvato il "pareggio di bilancio" (con tutte le conseguenze del caso). A Luglio hanno ratificato MES e Fiscal Compact, il tutto accompagnato da tagli ai servizi essenziali come la sanità e nuove tasse, che si sono abbattute come una mannaia su un'economia reale che ha subito - secondo Confindustria - danni paragonabili a quelli di una guerra, cosa che comunque non ha impedito ai governanti di dispensare regali e leggi favorevoli alle varie caste e poteri forti, continuando con gli sprechi di sempre, come gli 80.000€ necessari per pagare 9 camere di albergo da Luglio a Settembre ad Orbetello, ai 9 uomini della scorta del Presidente della Camera Fini, per consentirgli di andare al mare con la famiglia.
Chi conosce - anche a grandi linee - i trattati sopracitati (pareggio di bilancio, MES e Fiscal Compact) sa bene quali devastanti effetti questi avranno sull'economia, o meglio sulle nostre vite, effetti la cui gestione, probabilmente tra qualche anno richiederà l'intervento di Eurogendfor;
Ma non è finita!
Gli squali famelici dell'eurocrazia non sono ancora soddisfatti, e per essere sicuri di fare TABULA RASA, hanno tirato fuori dal cilindro anche l'ERF, letteralmente "European Redemption Fund", cioè "Fondo di Redenzione Europeo" di cui abbiamo parlato già un mese fa, con l'articolo "Si chiama ERF l'ultima trappola degli eurocrati per arrivare alla nostra riserva aurea"
Di seguito vi proponiamo alcuni articoli per approfondire la questione:
Fondo europeo di Redenzione. Si chiude la gabbia.
di Italo Romano
Lo scorso 13 Giugno il Parlamento europeo ha approvato il “two-pack“ il provvedimento per il rafforzamento della governance Ue. L’Assemblea riunita a Strasburgo ha adattato entrambe le relazioni in cui era diviso il testo. La prima relazione (relazione Gauze’s) e’ stata approvata con 471 voti a favore, 97 contrari e 78 astensioni, la seconda relazione (relazione Ferreira) e’ stata approva con 501 voti a favore, 138 contrari e 36 astensioni.
Il parlamento Ue ha detto ”si” alla creazione di un (Fondo europeo di ”redenzione” (European redemption fund, ERF).
La proposta, formulata dal Consiglio degli esperti economici della Cancelleria tedesca Angela Merkel, prevede di far confluire nel Fondo l’importo dei debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona per la parte eccedente il 60% del PIL. L’ERF emetterebbe titoli (per complessivi 2.300 miliardi di euro, secondo i calcoli dello stesso Consiglio degli esperti economici) per una durata massima di 20-25 anni garantiti dal gettito delle imposte riscosse a livello nazionale e da asset pubblici, in particolare, riserve auree e di valuta estera dei Paesi assistiti. Gli Stati sarebbero dunque tenuti a rimborsare il fondo entro il periodo indicato 20-25 anni, durante il quale dovrebbero raggiungere (come già imposto peraltro dal Patto di stabilità e dal Fiscal compact) la soglia del 60% di debito/PIL, garantendo una gestione virtuosa dei conti pubblici ed evitando il rischio di azzardo morale.
Secondo i calcoli degli esperti economici tedeschi, l’Italia parteciperebbe al Fondo con una quota parti al 40% (la più alta tra i Paesi partecipanti), e per rimborsare il suo debito entro il termine stabilito (20-25 anni) dovrebbe produrre ogni anno, assumendo una crescita annua del PIL nominale pari al 3%, un avanzo primario pari al 4,2% del PIL. A loro avviso, il raggiungimento di questo obiettivo richiederebbe una rigorosa disciplina fiscale, annullando di fatto il rischio di azzardo morale, ma produrrebbe nel contempo una consistente riduzione dei costi di rifinanziamento del debito. In assenza del Fondo, infatti, per ridurre il debito al di sotto del 60%, l’Italia, assumendo un tasso di interesse sui titoli di Stato pari al 7%, dovrebbe assicurare un avanzo primario superiore all’8% del PIL.
Problema-reazione-soluzione: chiudono la gabbia.
Gli Stati partecipanti devono garantire l’introduzione di norme vincolanti, di rango costituzionale, che assicurino il pareggio di bilancio (come l’Italia ha già fatto), in mondo da evitare che la quota di debito non compresa nel Fondo non ecceda nuovamente la soglia del 60% del PIL.
In pratica, questo fondo, se in Italia sarà approvato, andrà a pignorare le entrate tributarie, dato che abbiamo un debito pubblico superiore al 60% del Pil (oltre il doppio), per un ventennio circa. L’Italia verserà in questo fondo 954 miliardi di euro. Il colmo è che per dare garanzie il fondo, lo Stato italiano, che sarà per così dire beneficiario di questo vero e proprio “pignoramento“, dovrà tirare fuori le proprie riserve di oro, unica certezza rimasta, in quanto il prezioso metallo è l’unica “valuta” universalmente riconosciuta e accettate che non dipende dagli sbalzi d’umore dei mercati finanziari e dalle legnate delle agenzie di rating. Una volta messo l’oro sul piatto, il fondo procederà a pignorarci le entrate tributarie fino al 2035. Ovvio che se le tasse non bastano questi si pappano tutta la riserva aurifera.
Ovviamente in Italia non esiste un dibattito pubblico su questa nuova invenzione europeista. Vige il silenzio totale. Alla faccia della democrazia! Si è parlato di questo anche nel vertice europeo dello scorso 28-29 giugno, ma i telegiornali all’epoca parlavano solo degli europei di calcio e di come affrontare i mitologici cicloni africani.
Si parlava tanto di censura mediatica sotto il Governo Berlusconi, oggi invece gli alfieri della libera informazione sono spariti. Erano milioni, ora si sono dileguati. Misteri d’Italia! I telegiornali sono oramai delle repliche dei rotocalchi pomeridiani, pieni zeppi di cronaca nera, rosa, sport e boiate simili.
Ci stanno trasportando per gradi in una dittatura europea centralizzata, oligarchica e plutocratica.
Noi siamo anestetizzati dalle armi di distrazione di massa e da una scolarizzazione che ci rende schiavi ignoranti ma convinti di sapere.
Con il falso grimaldello del debito pubblico, quell’enorme macigno di Sisifo che ci etichetta tra gli stati cattivi, divenuto erroneamente il male assoluto solo perché ci hanno tolto gli strumenti per rifinanziarcelo da soli, ovvero la sovranità monetaria, ci stanno trasportando dolcemente e con sobria austerità nel totalitarismo europeo.
L’Erf è solo l’ennesimo fondo gestito da un’organizzazione intergovernativa e finanziaria anonima, non eletta dal popolo, sul quale non potremo avere nessun tipo di informazioni, in quanto la documentazione è stata dichiarata secretata e inviolabile.
Se questa non è dittatura, lascio a voi l’onere di trovare il nome che più gli si addice…
Fonte: informarexresistere.fr
L’European Redemption Fund, è quasi-Realtà ( la Pietanza Tedesca di cui non si parla Mai)
E’ incredibile che non se ne parli MAI su nessun media sussidiato, forse non sapete che il famoso Redemption Fund a Settembre con tutta probabilità sarà approvato definitivamente dalla UE e sarà pronto per la ratifica nei singoli paesi.
Ok ricominciamo da capo, cosa è esattamente il Redemption Fund?
da un post di Gerardo Gaita:
European redemption fund
……. tale teorizzazione è stata sostenuta in primis lo scorso novembre dai cosiddetti Cinque Saggi del Consiglio Economico (massimo organo tedesco di consulenza macroeconomica e fiscale che gode, fra l’altro, anche della piena considerazione del Cancelliere Angela Merkel), ed è stata rilanciata recentemente dal partito socialdemocratico e dai verdi. Tale proposta non è troppo dissimile da quella fatta qualche tempo fa in Italia dal politico ed economista Vincenzo Visco (http://www.nens.it/_public-file/VISCO.T ... 0.2011.pdf).
L’European redemption fund (Erf) farebbe confluire l’importo dei vari debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona per la parte eccedente il 60% del PIL in un apposito fondo; l’Erf verrebbe garantito dagli Stati nazionali membri attraverso i loro asset pubblici e da almeno una percentuale di tasse riscosse a livello nazionale. Tale fondo, poi, emetterebbe bonds europei caratterizzati da una rigorosa scadenza di 20, massimo 25 anni. In questo lasso di tempo, tutti gli Stati aderenti avrebbero, inoltre, l’obbligo di assettare il proprio rapporto debito/PIL al 60%. Ci troviamo di fronte, quindi, ad un fondo la cui esistenza è temporaneamente limitata e che comunque deve essere completamente rimborsato dagli Stati membri alla fine della sua durata. Da questa soluzione (che non implicherebbe la riformulazione dei Trattati esistenti o la scrittura di nuovi, ma che può essere concretizzata mediante semplici intese) Paesi come l’Italia dovrebbero ricevere il vantaggio di pagare nel complesso interessi sul debito relativamente bassi, mentre Paesi come la Germania dovrebbero sopportare costi maggiori rispetto agli attuali per finanziare interamente il relativo debito.
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Proprio al fine di compensare questo sbilanciamento, i Paesi finanziariamente ed economicamente più solidi pretenderebbero in cambio un rispetto vero e proprio degli impegni presi. L’Italia, ad esempio, sarebbe tenuta a perseguire scrupolosamente un percorso finanziario ben delineato al fine di portarla nei tempi stabiliti al 60% del rapporto debito/PIL, ed i miglioramenti in materia verrebbero annualmente ed accuratamente valutati. Se ci dovesse essere un allontanamento dalla “retta via” non è affatto esclusa, come extrema ratio, l’ipotesi di cacciata dal fondo … tutto questo perlomeno in teoria.
In sintesi si tratta di un meccanismo che in 20-25 anni costringe gli Stati (compresa la Germania oggi all’80%) a tornare entro il 60% del rapporto debito/PIL.
Bene ora vorrei sapere perchè in Italia non si parla mai di ciò che è accaduto il 12 Luglio scorso (in Austria ci hanno fatto le prime pagine e una settimana di pagine interne):
dal Sole 24 Ore articolo del 13 Luglio 2012 (leggete molto bene):
La plenaria di Strasburgo ha approvato con larghissime maggioranze i testi del ‘two pack‘, i regolamenti per l’ulteriore rinforzo della governance europea con sorveglianza di bilancio dei Paesi a rischio e valutazione dei budget annuali che il Parlamento europeo ha emendato inserendo strumenti per la crescita come Eurobond, fondo di riscatto e fondo per la crescita. È stato invece bocciato l’emendamento presentato dai socialisti per la golden rule per lo scorporo degli investimenti produttivi dal deficit.
I rapporti sui regolamenti presentati dalla Commissione per integrare quanto previsto dal “fiscal compact” e dal “six pack” per la governance economica rafforzata sono stati preparati dal popolare francese Gauzes (approvato con 471 sì, 97 no e 78 astenuti) e dalla socialista portoghese Ferreira (501 sì, 138 no, 36 astenuti)
È nel rapporto Ferreira che il Parlamento aggiunge, rispetto alla proposta della Commissione europea: l’obbligo di «armonizzare» l’emissione del debito; la preparazione di un una roadmap per gli ‘stability bonds’; una proposta di fondo per la crescita per «mobilitare circa l’1% del pil ogni anno» ovvero 100 miliardi l’anno «per un periodo di dieci anni» tramite project bond della Bei; lancio del ‘fondo di riscatto« (Erf, European Redemption Fund) cui i paesi non sotto assistenza conferiscono la parte di debito eccedente il 60% del rapporto sul pil per il rimborso in 25 anni.
In tale rapporto i socialisti avevano proposto l’emendamento a favore della ‘golden rulè bocciato per l’opposizione del Ppe, in cui però gli italiani del Pdl e dell’Udc hanno votato a favore assieme al Pd. Nel testo respinto si affermava che la Commissione, nel valutare i bilanci, «individua e valuta» gli investimenti per la crescita «e propone un loro trattamento adeguato allo scopo di garantire una disciplina sostenibile»…
Mi scuso per non avere scritto prima di questo evento epocale, ma a 3000 metri senza giornali italici ho supposto che se ne fosse parlato… invece ho scoperto oggi che nisba, solo un articoletto sul Sole.
Sintetizzo: Quella che era una proposta dei “5 saggi” (che non sono neppure tutti di nazionalità tedesca) è stata APPROVATA al parlamento europeo!!!!!!
Non siamo neppure più alla fase della discussione il “redemption fund” è realtà, si tratta di ratificarlo nei singoli paesi.
Nonostante tutto.Riesco ancora a stupirmi della pessima qualità della nostra stampa.
Ma torniamo al redemption fund, in cambio dell’obbligo (controllato a vista da ispettori) a pagare una sorta di mega mutuo per azzerare il debito sopra il 60% esso offre tassi quasi tedeschi, si stima circa 80-100 punti base sopra il Bund, forse addirittura zero.
Non è poco, si tratta di uno sconto gigantesco rispetto ai tassi che l’Italia ha sempre pagato sul suo debito, solo che questa volta vanno restituite anche quote di capitale.
Cosa penso del Redemption Fund
Qui bisogna intendersi su una questione fondamentale: Vogliamo ridurre il nostro debito pubblico oppure no e fare una bancarotta classica ( o uscire dall’euro etc etc)?
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Come sapete io penso che il modo corretto e meno doloroso di uscire dalla tenaglia del debito sia pagarlo, dunque non riesco a giudicare il redemption fund in termini negativi, ed anzi lo vedo come uno strumento eccezionalmente conveniente per gestire il nostro debito pubblico. Ovviamente il rischio sta nell’escussione della garanzia. Cioè se l’Italia ritardasse o non effettuasse i pagamenti previsti scatterebbero clausole automatiche sul nostro patrimonio. (si ipotizza che ad esempio,che l’oro fisico di ciascuna banca centrale europea venga trasferito temporaneamente alla BCE la quale farebbe da garante e da “banco” per punire chi sgarra).
Peraltro il redemption fund, deresponsabilizerebbe la nostra scassata classe politica in senso positivo, cioè il Bersani di turno se la potrebbe comodamente prendere col redemption fund ( e i soliti cattivi tedeschi) ove dovesse prendere decisioni impopolari.
Al solito la differenza verrà fatta da COME il redemption fund verrà pagato, ovvero se dalla leva fiscale oppure dai tagli di spesa e dalla cessione di patrimonio pubblico improduttivo (perchè in mano allo Stato).
fonte: rischiocalcolato.it
UE: IL ‘FONDO DI REDENZIONE’, LA PROPOSTA TEDESCA
Tra le proposte anti-crisi di cui si discuterà nei vertici europei di fine mese, c’è quella avanzata da Berlino sul Fondo europeo di redenzione (European redemption fund, ERF). La proposta, formulata dal Consiglio degli esperti economici della Cancelleria tedesca, prevede di far confluire nel Fondo l’importo dei debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona per la parte eccedente il 60% del PIL. L’ERF emetterebbe titoli (per complessivi 2.300 miliardi di euro, secondo i calcoli dello stesso Consiglio degli esperti economici) per una durata massima di 20-25 anni garantiti dal gettito delle imposte riscosse a livello nazionale e da asset pubblici (in particolare, riserve auree e di valuta estera) dei Paesi assistiti. Gli Stati sarebbero dunque tenuti a rimborsare il fondo entro il periodo indicato 20-25 anni, durante il quale dovrebbero raggiungere (come già imposto peraltro dal Patto di stabilità e dal Fiscal compact) la soglia del 60% di debito/PIL, garantendo una gestione virtuosa dei conti pubblici ed evitando il rischio di azzardo morale.
Secondo i calcoli degli esperti economici tedeschi, l’Italia parteciperebbe al Fondo con una quota parti al 40% (la più alta tra i Paesi partecipanti), e per rimborsare il suo debito entro il termine stabilito (20-25 anni) dovrebbe produrre ogni anno, assumendo una crescita annua del PIL nominale pari al 3%, un avanzo primario pari al 4,2% del PIL. A loro avviso, il raggiungimento di questo obiettivo richiederebbe una rigorosa disciplina fiscale, annullando di fatto il rischio di azzardo morale, ma produrrebbe nel contempo una consistente riduzione dei costi di rifinanziamento del debito. In assenza del Fondo, infatti, per ridurre il debito al di sotto del 60%, l’Italia, assumendo un tasso di interesse sui titoli di Stato pari al 7%, dovrebbe assicurare un avanzo primario superiore all’8% del PIL. La differenza sostanziale rispetto agli eurobond consiste nel fatto che il Fondo avrebbe durata limitata. Inoltre, gli Stati partecipanti dovrebbero garantire l’introduzione di norme vincolanti, di rango costituzionale, che assicurino il pareggio di bilancio, in mondo da evitare che la quota di debito non compresa nel Fondo non ecceda nuovamente la soglia del 60% del PIL. Nell’ambito del dibattito sull’ERF da più parti si è ipotizzato di far confluire nel fondo le risorse derivanti da un’imposta sulle transazioni finanziarie, che è oggetto di una specifica proposta di direttivapresentata dalla Commissione europea il 28 settembre 2011, e attualmente all’esame delle istituzioni dell’UE.
Un meccanismo analogo a quello prospettato dal Consiglio degli esperti economici tedeschi è previsto da uno degli emendamenti approvati dalla commissione affari economici e monetari del PE nell’ambito dell’esame del cd. “two-pack”. Più specificamente, in base all’emendamento approvato il debito eccedente il valore di riferimento del 60% previsto dal Patto di stabilità, potrebbe essere trasferito a un fondo comune a responsabilità solidale (Fondo per il rimborso del debito): per ciascuno Stato membro dovrebbe essere definito un percorso di consolidamento per il rimborso del debito trasferito nell'arco di un periodo di 20-25 anni. Un altro emendamento approvato prevede che Commissione pubblichi una tabella di marcia concreta per l'introduzione degli stability bond. Il two pack, con i relativi emendamenti, dovrebbe essere esaminato dalla plenaria del Parlamento europeo il 13 giugno 2012. E’ possibile che il voto sulla risoluzione legislativa venga posticipato ad una sessione successiva, al fine di conseguire l’accordo in prima lettura con il Consiglio sulle modifiche da apportare. (fonte dati: camera.it)
fonte: agenparl.it
Fondo di redenzione europeo: ecco quanto costerebbe all'Italia
Tra le ipotesi di cui si parlerà al vertice Ue quella di costituire un fondo ERF, dove far confluire le quote dei debiti pubblici eccedenti la soglia del 60%: all'Italia costerebbe l'8% delle entrate fiscali. Ci sono pro e contro.
Tra le ipotesi di cui si parlerà al decisivo vertice europeo del 28-29 giugno ci sarà quella di costituire un "Fondo di redenzione" (Erf), presso il quale far confluire le quote dei debiti pubblici europei eccedenti la
soglia del 60%. All'Italia costerebbe in un primo momento l'8% delle entrate fiscali, quota che si ridurrebbe con il passare del tempo.
Ma quali sarebbero per noi le conseguenze e quali i vantaggi di un simile scenario? Il team londinese diMediobanca Securities, guidato da Antonio Guglielmi, tenta di rispondere al quesito con una simulazione che si basa su alcune assunzioni: un costo di rifinanziamento dell'Erf pari al 3,25% annuo, un tasso di crescita reale medio annuo del Pil, nell'eurozona, di 1/1,5 punti percentuali, e un tasso di inflazione non oltre il 2%.
Il Fondo, nel modello elaborato, avrebbe, dal momento della costituzione, una vita residua di 25/30 anni, periodo sufficiente a "redimere" le quote eccedenti.
Per l'Italia si tratta di conferire la porzione maggiore, pari a circa 950 miliardi di euro: circa il 40% del totale, che ammonterebbe a 2.300 miliardi qualora dal Fondo venissero esclusi i paesi già sotto tutela congiunta di
Fmi e Ue (Portogallo, Irlanda, Grecia).
I vantaggi sarebbero consistenti: per la quota conferita, il paese trarrebbe risparmi sul rifinanziamento di 24 miliardi l'anno (1,5% del Pil). Ne godremmo più della Spagna (0,3% del Pil) in virtù del peso minore della quota madrilena, mentre la Germania dovrebbe sopportare un extra-costo pari allo 0,4% del prodotto.
Ma non è tutto oro quel che luccica: i paesi aderenti sarebbero sottoposti a una stretta condizionalità: una parte delle entrate fiscali dovrebbe esser destinata a ripagare le quote in maturazione dello stock trasferito, in modo da annullare il carico totale nei termini stabiliti.
Gli stati dovrebbero anche immobilizzare collaterali a garanzia dell'Erf, pari almeno al 20% dell'importo confluito. Il collaterale verrebbe "sbloccato" solo ad "espiazione" raggiunta.
Mediobanca stima che, per l'Italia, durante i primi anni di attività dell'Erf, circa l'8% delle entrate fiscali dovrebbe essere asservito al meccanismo di redenzione, ma la percentuale si ridurrebbe con il passare degli anni, riducendosi a meno del 3% nell'ultimo decennio di vita del Fondo.
In termini di budget, i vincoli alle spese sarebbero stringenti. E i tagli draconiani: se l'Erf fosse entrato in vigore nel 2011, il Belpaese avrebbe dovuto sforbiciare la spesa di ben 16 punti percentuali, mentre necessiterebbe di un avanzo primario pari – in media – al 4% annuo, per più di due decenni, al fine di redimere interamente la propria quota.
Basti pensare che, con i sacrifici sostenuti dagli italiani nel 2011, l'avanzo al netto degli interessi è stato pari all'1% del Pil. Certo, si tratta pur sempre di una stima, ma indicativa dei costi approssimativi di una simile strategia.
L'Italia, nel passato, ha già dato dimostrazione di poter mantenere avanzi primari per periodi prolungati, ma bloccare il bilancio per quasi tre decenni sembra una sfida di portata immane, anche dal punto di vista politico.
Per questo, secondo Guglielmi, un piano di drastica riduzione dello stock del debito, da effettuare per mezzo di cessioni del patrimonio pubblico, potrebbe affiancare l'Erf, riducendo il rigore di bilancio anno per anno, e i sacrifici per i contribuenti.
Fonte: wallstreetitalia.com
http://www.nocensura.com/2012/08/la-nuo ... ti-il.html
La nuova trappola degli eurocrati: il "Fondo Europeo di redenzione"
22:06 | Pubblicato da admin |
Ad Aprile i parlamentari che abbiamo eletto per fare gli interessi degli eurocrati e delle lobby a cui questi sono legati hanno approvato il "pareggio di bilancio" (con tutte le conseguenze del caso). A Luglio hanno ratificato MES e Fiscal Compact, il tutto accompagnato da tagli ai servizi essenziali come la sanità e nuove tasse, che si sono abbattute come una mannaia su un'economia reale che ha subito - secondo Confindustria - danni paragonabili a quelli di una guerra, cosa che comunque non ha impedito ai governanti di dispensare regali e leggi favorevoli alle varie caste e poteri forti, continuando con gli sprechi di sempre, come gli 80.000€ necessari per pagare 9 camere di albergo da Luglio a Settembre ad Orbetello, ai 9 uomini della scorta del Presidente della Camera Fini, per consentirgli di andare al mare con la famiglia.
Chi conosce - anche a grandi linee - i trattati sopracitati (pareggio di bilancio, MES e Fiscal Compact) sa bene quali devastanti effetti questi avranno sull'economia, o meglio sulle nostre vite, effetti la cui gestione, probabilmente tra qualche anno richiederà l'intervento di Eurogendfor;
Ma non è finita!
Gli squali famelici dell'eurocrazia non sono ancora soddisfatti, e per essere sicuri di fare TABULA RASA, hanno tirato fuori dal cilindro anche l'ERF, letteralmente "European Redemption Fund", cioè "Fondo di Redenzione Europeo" di cui abbiamo parlato già un mese fa, con l'articolo "Si chiama ERF l'ultima trappola degli eurocrati per arrivare alla nostra riserva aurea"
Di seguito vi proponiamo alcuni articoli per approfondire la questione:
Fondo europeo di Redenzione. Si chiude la gabbia.
di Italo Romano
Lo scorso 13 Giugno il Parlamento europeo ha approvato il “two-pack“ il provvedimento per il rafforzamento della governance Ue. L’Assemblea riunita a Strasburgo ha adattato entrambe le relazioni in cui era diviso il testo. La prima relazione (relazione Gauze’s) e’ stata approvata con 471 voti a favore, 97 contrari e 78 astensioni, la seconda relazione (relazione Ferreira) e’ stata approva con 501 voti a favore, 138 contrari e 36 astensioni.
Il parlamento Ue ha detto ”si” alla creazione di un (Fondo europeo di ”redenzione” (European redemption fund, ERF).
La proposta, formulata dal Consiglio degli esperti economici della Cancelleria tedesca Angela Merkel, prevede di far confluire nel Fondo l’importo dei debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona per la parte eccedente il 60% del PIL. L’ERF emetterebbe titoli (per complessivi 2.300 miliardi di euro, secondo i calcoli dello stesso Consiglio degli esperti economici) per una durata massima di 20-25 anni garantiti dal gettito delle imposte riscosse a livello nazionale e da asset pubblici, in particolare, riserve auree e di valuta estera dei Paesi assistiti. Gli Stati sarebbero dunque tenuti a rimborsare il fondo entro il periodo indicato 20-25 anni, durante il quale dovrebbero raggiungere (come già imposto peraltro dal Patto di stabilità e dal Fiscal compact) la soglia del 60% di debito/PIL, garantendo una gestione virtuosa dei conti pubblici ed evitando il rischio di azzardo morale.
Secondo i calcoli degli esperti economici tedeschi, l’Italia parteciperebbe al Fondo con una quota parti al 40% (la più alta tra i Paesi partecipanti), e per rimborsare il suo debito entro il termine stabilito (20-25 anni) dovrebbe produrre ogni anno, assumendo una crescita annua del PIL nominale pari al 3%, un avanzo primario pari al 4,2% del PIL. A loro avviso, il raggiungimento di questo obiettivo richiederebbe una rigorosa disciplina fiscale, annullando di fatto il rischio di azzardo morale, ma produrrebbe nel contempo una consistente riduzione dei costi di rifinanziamento del debito. In assenza del Fondo, infatti, per ridurre il debito al di sotto del 60%, l’Italia, assumendo un tasso di interesse sui titoli di Stato pari al 7%, dovrebbe assicurare un avanzo primario superiore all’8% del PIL.
Problema-reazione-soluzione: chiudono la gabbia.
Gli Stati partecipanti devono garantire l’introduzione di norme vincolanti, di rango costituzionale, che assicurino il pareggio di bilancio (come l’Italia ha già fatto), in mondo da evitare che la quota di debito non compresa nel Fondo non ecceda nuovamente la soglia del 60% del PIL.
In pratica, questo fondo, se in Italia sarà approvato, andrà a pignorare le entrate tributarie, dato che abbiamo un debito pubblico superiore al 60% del Pil (oltre il doppio), per un ventennio circa. L’Italia verserà in questo fondo 954 miliardi di euro. Il colmo è che per dare garanzie il fondo, lo Stato italiano, che sarà per così dire beneficiario di questo vero e proprio “pignoramento“, dovrà tirare fuori le proprie riserve di oro, unica certezza rimasta, in quanto il prezioso metallo è l’unica “valuta” universalmente riconosciuta e accettate che non dipende dagli sbalzi d’umore dei mercati finanziari e dalle legnate delle agenzie di rating. Una volta messo l’oro sul piatto, il fondo procederà a pignorarci le entrate tributarie fino al 2035. Ovvio che se le tasse non bastano questi si pappano tutta la riserva aurifera.
Ovviamente in Italia non esiste un dibattito pubblico su questa nuova invenzione europeista. Vige il silenzio totale. Alla faccia della democrazia! Si è parlato di questo anche nel vertice europeo dello scorso 28-29 giugno, ma i telegiornali all’epoca parlavano solo degli europei di calcio e di come affrontare i mitologici cicloni africani.
Si parlava tanto di censura mediatica sotto il Governo Berlusconi, oggi invece gli alfieri della libera informazione sono spariti. Erano milioni, ora si sono dileguati. Misteri d’Italia! I telegiornali sono oramai delle repliche dei rotocalchi pomeridiani, pieni zeppi di cronaca nera, rosa, sport e boiate simili.
Ci stanno trasportando per gradi in una dittatura europea centralizzata, oligarchica e plutocratica.
Noi siamo anestetizzati dalle armi di distrazione di massa e da una scolarizzazione che ci rende schiavi ignoranti ma convinti di sapere.
Con il falso grimaldello del debito pubblico, quell’enorme macigno di Sisifo che ci etichetta tra gli stati cattivi, divenuto erroneamente il male assoluto solo perché ci hanno tolto gli strumenti per rifinanziarcelo da soli, ovvero la sovranità monetaria, ci stanno trasportando dolcemente e con sobria austerità nel totalitarismo europeo.
L’Erf è solo l’ennesimo fondo gestito da un’organizzazione intergovernativa e finanziaria anonima, non eletta dal popolo, sul quale non potremo avere nessun tipo di informazioni, in quanto la documentazione è stata dichiarata secretata e inviolabile.
Se questa non è dittatura, lascio a voi l’onere di trovare il nome che più gli si addice…
Fonte: informarexresistere.fr
L’European Redemption Fund, è quasi-Realtà ( la Pietanza Tedesca di cui non si parla Mai)
E’ incredibile che non se ne parli MAI su nessun media sussidiato, forse non sapete che il famoso Redemption Fund a Settembre con tutta probabilità sarà approvato definitivamente dalla UE e sarà pronto per la ratifica nei singoli paesi.
Ok ricominciamo da capo, cosa è esattamente il Redemption Fund?
da un post di Gerardo Gaita:
European redemption fund
……. tale teorizzazione è stata sostenuta in primis lo scorso novembre dai cosiddetti Cinque Saggi del Consiglio Economico (massimo organo tedesco di consulenza macroeconomica e fiscale che gode, fra l’altro, anche della piena considerazione del Cancelliere Angela Merkel), ed è stata rilanciata recentemente dal partito socialdemocratico e dai verdi. Tale proposta non è troppo dissimile da quella fatta qualche tempo fa in Italia dal politico ed economista Vincenzo Visco (http://www.nens.it/_public-file/VISCO.T ... 0.2011.pdf).
L’European redemption fund (Erf) farebbe confluire l’importo dei vari debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona per la parte eccedente il 60% del PIL in un apposito fondo; l’Erf verrebbe garantito dagli Stati nazionali membri attraverso i loro asset pubblici e da almeno una percentuale di tasse riscosse a livello nazionale. Tale fondo, poi, emetterebbe bonds europei caratterizzati da una rigorosa scadenza di 20, massimo 25 anni. In questo lasso di tempo, tutti gli Stati aderenti avrebbero, inoltre, l’obbligo di assettare il proprio rapporto debito/PIL al 60%. Ci troviamo di fronte, quindi, ad un fondo la cui esistenza è temporaneamente limitata e che comunque deve essere completamente rimborsato dagli Stati membri alla fine della sua durata. Da questa soluzione (che non implicherebbe la riformulazione dei Trattati esistenti o la scrittura di nuovi, ma che può essere concretizzata mediante semplici intese) Paesi come l’Italia dovrebbero ricevere il vantaggio di pagare nel complesso interessi sul debito relativamente bassi, mentre Paesi come la Germania dovrebbero sopportare costi maggiori rispetto agli attuali per finanziare interamente il relativo debito.
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Proprio al fine di compensare questo sbilanciamento, i Paesi finanziariamente ed economicamente più solidi pretenderebbero in cambio un rispetto vero e proprio degli impegni presi. L’Italia, ad esempio, sarebbe tenuta a perseguire scrupolosamente un percorso finanziario ben delineato al fine di portarla nei tempi stabiliti al 60% del rapporto debito/PIL, ed i miglioramenti in materia verrebbero annualmente ed accuratamente valutati. Se ci dovesse essere un allontanamento dalla “retta via” non è affatto esclusa, come extrema ratio, l’ipotesi di cacciata dal fondo … tutto questo perlomeno in teoria.
In sintesi si tratta di un meccanismo che in 20-25 anni costringe gli Stati (compresa la Germania oggi all’80%) a tornare entro il 60% del rapporto debito/PIL.
Bene ora vorrei sapere perchè in Italia non si parla mai di ciò che è accaduto il 12 Luglio scorso (in Austria ci hanno fatto le prime pagine e una settimana di pagine interne):
dal Sole 24 Ore articolo del 13 Luglio 2012 (leggete molto bene):
La plenaria di Strasburgo ha approvato con larghissime maggioranze i testi del ‘two pack‘, i regolamenti per l’ulteriore rinforzo della governance europea con sorveglianza di bilancio dei Paesi a rischio e valutazione dei budget annuali che il Parlamento europeo ha emendato inserendo strumenti per la crescita come Eurobond, fondo di riscatto e fondo per la crescita. È stato invece bocciato l’emendamento presentato dai socialisti per la golden rule per lo scorporo degli investimenti produttivi dal deficit.
I rapporti sui regolamenti presentati dalla Commissione per integrare quanto previsto dal “fiscal compact” e dal “six pack” per la governance economica rafforzata sono stati preparati dal popolare francese Gauzes (approvato con 471 sì, 97 no e 78 astenuti) e dalla socialista portoghese Ferreira (501 sì, 138 no, 36 astenuti)
È nel rapporto Ferreira che il Parlamento aggiunge, rispetto alla proposta della Commissione europea: l’obbligo di «armonizzare» l’emissione del debito; la preparazione di un una roadmap per gli ‘stability bonds’; una proposta di fondo per la crescita per «mobilitare circa l’1% del pil ogni anno» ovvero 100 miliardi l’anno «per un periodo di dieci anni» tramite project bond della Bei; lancio del ‘fondo di riscatto« (Erf, European Redemption Fund) cui i paesi non sotto assistenza conferiscono la parte di debito eccedente il 60% del rapporto sul pil per il rimborso in 25 anni.
In tale rapporto i socialisti avevano proposto l’emendamento a favore della ‘golden rulè bocciato per l’opposizione del Ppe, in cui però gli italiani del Pdl e dell’Udc hanno votato a favore assieme al Pd. Nel testo respinto si affermava che la Commissione, nel valutare i bilanci, «individua e valuta» gli investimenti per la crescita «e propone un loro trattamento adeguato allo scopo di garantire una disciplina sostenibile»…
Mi scuso per non avere scritto prima di questo evento epocale, ma a 3000 metri senza giornali italici ho supposto che se ne fosse parlato… invece ho scoperto oggi che nisba, solo un articoletto sul Sole.
Sintetizzo: Quella che era una proposta dei “5 saggi” (che non sono neppure tutti di nazionalità tedesca) è stata APPROVATA al parlamento europeo!!!!!!
Non siamo neppure più alla fase della discussione il “redemption fund” è realtà, si tratta di ratificarlo nei singoli paesi.
Nonostante tutto.Riesco ancora a stupirmi della pessima qualità della nostra stampa.
Ma torniamo al redemption fund, in cambio dell’obbligo (controllato a vista da ispettori) a pagare una sorta di mega mutuo per azzerare il debito sopra il 60% esso offre tassi quasi tedeschi, si stima circa 80-100 punti base sopra il Bund, forse addirittura zero.
Non è poco, si tratta di uno sconto gigantesco rispetto ai tassi che l’Italia ha sempre pagato sul suo debito, solo che questa volta vanno restituite anche quote di capitale.
Cosa penso del Redemption Fund
Qui bisogna intendersi su una questione fondamentale: Vogliamo ridurre il nostro debito pubblico oppure no e fare una bancarotta classica ( o uscire dall’euro etc etc)?
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Come sapete io penso che il modo corretto e meno doloroso di uscire dalla tenaglia del debito sia pagarlo, dunque non riesco a giudicare il redemption fund in termini negativi, ed anzi lo vedo come uno strumento eccezionalmente conveniente per gestire il nostro debito pubblico. Ovviamente il rischio sta nell’escussione della garanzia. Cioè se l’Italia ritardasse o non effettuasse i pagamenti previsti scatterebbero clausole automatiche sul nostro patrimonio. (si ipotizza che ad esempio,che l’oro fisico di ciascuna banca centrale europea venga trasferito temporaneamente alla BCE la quale farebbe da garante e da “banco” per punire chi sgarra).
Peraltro il redemption fund, deresponsabilizerebbe la nostra scassata classe politica in senso positivo, cioè il Bersani di turno se la potrebbe comodamente prendere col redemption fund ( e i soliti cattivi tedeschi) ove dovesse prendere decisioni impopolari.
Al solito la differenza verrà fatta da COME il redemption fund verrà pagato, ovvero se dalla leva fiscale oppure dai tagli di spesa e dalla cessione di patrimonio pubblico improduttivo (perchè in mano allo Stato).
fonte: rischiocalcolato.it
UE: IL ‘FONDO DI REDENZIONE’, LA PROPOSTA TEDESCA
Tra le proposte anti-crisi di cui si discuterà nei vertici europei di fine mese, c’è quella avanzata da Berlino sul Fondo europeo di redenzione (European redemption fund, ERF). La proposta, formulata dal Consiglio degli esperti economici della Cancelleria tedesca, prevede di far confluire nel Fondo l’importo dei debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona per la parte eccedente il 60% del PIL. L’ERF emetterebbe titoli (per complessivi 2.300 miliardi di euro, secondo i calcoli dello stesso Consiglio degli esperti economici) per una durata massima di 20-25 anni garantiti dal gettito delle imposte riscosse a livello nazionale e da asset pubblici (in particolare, riserve auree e di valuta estera) dei Paesi assistiti. Gli Stati sarebbero dunque tenuti a rimborsare il fondo entro il periodo indicato 20-25 anni, durante il quale dovrebbero raggiungere (come già imposto peraltro dal Patto di stabilità e dal Fiscal compact) la soglia del 60% di debito/PIL, garantendo una gestione virtuosa dei conti pubblici ed evitando il rischio di azzardo morale.
Secondo i calcoli degli esperti economici tedeschi, l’Italia parteciperebbe al Fondo con una quota parti al 40% (la più alta tra i Paesi partecipanti), e per rimborsare il suo debito entro il termine stabilito (20-25 anni) dovrebbe produrre ogni anno, assumendo una crescita annua del PIL nominale pari al 3%, un avanzo primario pari al 4,2% del PIL. A loro avviso, il raggiungimento di questo obiettivo richiederebbe una rigorosa disciplina fiscale, annullando di fatto il rischio di azzardo morale, ma produrrebbe nel contempo una consistente riduzione dei costi di rifinanziamento del debito. In assenza del Fondo, infatti, per ridurre il debito al di sotto del 60%, l’Italia, assumendo un tasso di interesse sui titoli di Stato pari al 7%, dovrebbe assicurare un avanzo primario superiore all’8% del PIL. La differenza sostanziale rispetto agli eurobond consiste nel fatto che il Fondo avrebbe durata limitata. Inoltre, gli Stati partecipanti dovrebbero garantire l’introduzione di norme vincolanti, di rango costituzionale, che assicurino il pareggio di bilancio, in mondo da evitare che la quota di debito non compresa nel Fondo non ecceda nuovamente la soglia del 60% del PIL. Nell’ambito del dibattito sull’ERF da più parti si è ipotizzato di far confluire nel fondo le risorse derivanti da un’imposta sulle transazioni finanziarie, che è oggetto di una specifica proposta di direttivapresentata dalla Commissione europea il 28 settembre 2011, e attualmente all’esame delle istituzioni dell’UE.
Un meccanismo analogo a quello prospettato dal Consiglio degli esperti economici tedeschi è previsto da uno degli emendamenti approvati dalla commissione affari economici e monetari del PE nell’ambito dell’esame del cd. “two-pack”. Più specificamente, in base all’emendamento approvato il debito eccedente il valore di riferimento del 60% previsto dal Patto di stabilità, potrebbe essere trasferito a un fondo comune a responsabilità solidale (Fondo per il rimborso del debito): per ciascuno Stato membro dovrebbe essere definito un percorso di consolidamento per il rimborso del debito trasferito nell'arco di un periodo di 20-25 anni. Un altro emendamento approvato prevede che Commissione pubblichi una tabella di marcia concreta per l'introduzione degli stability bond. Il two pack, con i relativi emendamenti, dovrebbe essere esaminato dalla plenaria del Parlamento europeo il 13 giugno 2012. E’ possibile che il voto sulla risoluzione legislativa venga posticipato ad una sessione successiva, al fine di conseguire l’accordo in prima lettura con il Consiglio sulle modifiche da apportare. (fonte dati: camera.it)
fonte: agenparl.it
Fondo di redenzione europeo: ecco quanto costerebbe all'Italia
Tra le ipotesi di cui si parlerà al vertice Ue quella di costituire un fondo ERF, dove far confluire le quote dei debiti pubblici eccedenti la soglia del 60%: all'Italia costerebbe l'8% delle entrate fiscali. Ci sono pro e contro.
Tra le ipotesi di cui si parlerà al decisivo vertice europeo del 28-29 giugno ci sarà quella di costituire un "Fondo di redenzione" (Erf), presso il quale far confluire le quote dei debiti pubblici europei eccedenti la
soglia del 60%. All'Italia costerebbe in un primo momento l'8% delle entrate fiscali, quota che si ridurrebbe con il passare del tempo.
Ma quali sarebbero per noi le conseguenze e quali i vantaggi di un simile scenario? Il team londinese diMediobanca Securities, guidato da Antonio Guglielmi, tenta di rispondere al quesito con una simulazione che si basa su alcune assunzioni: un costo di rifinanziamento dell'Erf pari al 3,25% annuo, un tasso di crescita reale medio annuo del Pil, nell'eurozona, di 1/1,5 punti percentuali, e un tasso di inflazione non oltre il 2%.
Il Fondo, nel modello elaborato, avrebbe, dal momento della costituzione, una vita residua di 25/30 anni, periodo sufficiente a "redimere" le quote eccedenti.
Per l'Italia si tratta di conferire la porzione maggiore, pari a circa 950 miliardi di euro: circa il 40% del totale, che ammonterebbe a 2.300 miliardi qualora dal Fondo venissero esclusi i paesi già sotto tutela congiunta di
Fmi e Ue (Portogallo, Irlanda, Grecia).
I vantaggi sarebbero consistenti: per la quota conferita, il paese trarrebbe risparmi sul rifinanziamento di 24 miliardi l'anno (1,5% del Pil). Ne godremmo più della Spagna (0,3% del Pil) in virtù del peso minore della quota madrilena, mentre la Germania dovrebbe sopportare un extra-costo pari allo 0,4% del prodotto.
Ma non è tutto oro quel che luccica: i paesi aderenti sarebbero sottoposti a una stretta condizionalità: una parte delle entrate fiscali dovrebbe esser destinata a ripagare le quote in maturazione dello stock trasferito, in modo da annullare il carico totale nei termini stabiliti.
Gli stati dovrebbero anche immobilizzare collaterali a garanzia dell'Erf, pari almeno al 20% dell'importo confluito. Il collaterale verrebbe "sbloccato" solo ad "espiazione" raggiunta.
Mediobanca stima che, per l'Italia, durante i primi anni di attività dell'Erf, circa l'8% delle entrate fiscali dovrebbe essere asservito al meccanismo di redenzione, ma la percentuale si ridurrebbe con il passare degli anni, riducendosi a meno del 3% nell'ultimo decennio di vita del Fondo.
In termini di budget, i vincoli alle spese sarebbero stringenti. E i tagli draconiani: se l'Erf fosse entrato in vigore nel 2011, il Belpaese avrebbe dovuto sforbiciare la spesa di ben 16 punti percentuali, mentre necessiterebbe di un avanzo primario pari – in media – al 4% annuo, per più di due decenni, al fine di redimere interamente la propria quota.
Basti pensare che, con i sacrifici sostenuti dagli italiani nel 2011, l'avanzo al netto degli interessi è stato pari all'1% del Pil. Certo, si tratta pur sempre di una stima, ma indicativa dei costi approssimativi di una simile strategia.
L'Italia, nel passato, ha già dato dimostrazione di poter mantenere avanzi primari per periodi prolungati, ma bloccare il bilancio per quasi tre decenni sembra una sfida di portata immane, anche dal punto di vista politico.
Per questo, secondo Guglielmi, un piano di drastica riduzione dello stock del debito, da effettuare per mezzo di cessioni del patrimonio pubblico, potrebbe affiancare l'Erf, riducendo il rigore di bilancio anno per anno, e i sacrifici per i contribuenti.
Fonte: wallstreetitalia.com
http://www.nocensura.com/2012/08/la-nuo ... ti-il.html
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