Case chiuse
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Case chiuse
Corriere 28.5.14
Quelli che si convertono dopo il Boom
Dalla corsa alla foto ai commenti entusiastici
Ora gli oppositori sono diventati renziani
di Pierluigi Battista
Stanno cambiando verso davvero molto in fretta. Domenica notte, quando le prime proiezioni centellinavano percentuali da trionfo, numeri da apoteosi, 40 per cento, un «record storico», nel Pd di minoranza i refrattari della penultima ora (prima del voto) già si erano per incanto trasformati negli entusiasti della primissima ora (dopo il voto).
Una fotografia li immortalò: il giovane gruppo dirigente forgiato da Matteo Renzi che, insieme a «nonno Zanda», esulta soddisfatto per il successo smisurato del leader provvidenzialmente assente per non rubare tutta la scena.
Ma nella foto di quel giovane gruppo dirigente, nota l’ostile Fatto quotidiano , c’è qualche «intruso», non proprio un renziano antemarcia, diciamo: Stefano Fassina («Fassina chi?»); un altro Matteo, ma Orfini; Alfredo D’Attorre, proprio il «bersaniano» che lanciò la fatwa contro il neosegretario del Pd, colpevole di aver profanato la sede del Nazareno con l’orrido Berlusconi; Roberto Speranza; persino Nico Stumpo, l’uomo che alle primarie del 2012 architettò pro-Bersani un farraginoso percorso a ostacoli (le «regole») per impedire al massimo numero di presunti «renziani» non iscritti al Pd di entrare nei gazebo del partito. #Cambiaverso, recita l’hashtag .
E loro hanno cambiato.
Su Twitter, del resto, che era già il regno del giornalismo veloce, giovane, arrembante, moderno con Renzi protagonista indiscusso, è tutto un concedersi e rimpallarsi visibilissimi endorsement via hashtag in cui l’ammiccamento si sposa l’appartenenza, la strizzatina d’occhio si annida tra i militanti della Causa mimetizzato in followers .
Spuntano come funghi dopo la scalata al vertiginoso 40 per cento frizzanti #lasvoltabuona, perentori #unoperuno, imperiosi #cambiaverso. Prima di domenica, insomma, bisognava contenersi.
Dopo il 40 per cento, possono cadere freni e remore. I freni e le remore distrutti quando, durante una conferenza stampa, forse per la prima volta nella storia del giornalismo politico dell’Italia repubblicana, un applauso è partito lunedì dalla platea di cronisti all’indirizzo del presidente del Consiglio vincitore assoluto delle elezioni.
Forse, non è detto che sia la prima volta, ma gli annali e gli archivi non riportano precedenti.
Mentre è certo che al termine della conferenza stampa siano fioccati commenti sui social network in cui i giudizi più misurati e sobri hanno indicato nel discorso di Matteo Renzi i segni di uno «statista», se non di un «grande statista».
Ed è altresì certo che si è arrivati, dopo il trionfo elettorale, a chiedere pubblicamente su Twitter le «scuse» a Pina Picierno per le improvvide critiche che le erano piovute sul capo dopo le dichiarazioni sulla spesa di 80 euro al supermercato.
Succede sempre così: la salita un po’ precipitosa sul carro del vincitore.
E Matteo Renzi, che è persona spiritosa e accorta, lo sa bene. A pochissimi minuti dalle fantastiche proiezioni elettorali, Andrea Salerno, uno degli autori di Gazebo, un’oasi di ironia e autoironia nella seriosità del talk-show nazionale, ha scritto: «Partita la gara a chi conosce Matteo da prima. Qualcuno twitta: ecografia prenatale». Ma è un costume abbastanza frequente, all’indomani di elezioni che consacrano un grande vincitore.
Quello che invece non è così frequente è che non commentatori e giornalisti, ma politici un tempo ostili al vincitore si mettano in posa per dichiararsi super-renziani che più renziani non si può. La minoranza del Pd, quella che doveva essere la Vandea anti-renziana, l’«apparato» che remava contro, i parlamentari in «quota Bersani» che facevano silenziosamente gli ostruzionisti pronti ad avventarsi sulla preda se le elezioni non fossero andate brillantemente: ecco il nuovo mondo di chi ha cambiato subito verso.
Gianni Cuperlo rilascia interviste in cui si dice ammirato dall’«energia» impressa da Renzi. Rosy Bindi, uno dei bersagli del rottamatore ricambiato da un’ostilità dichiarata, toscanamente schietta, in un’altra intervista si mostra quasi orgogliosa di un leader che ha saputo parlare così bene agli elettori.
Nichi Vendola, che ai tempi del conflitto delle primarie del 2012 considerava Renzi come l’orrenda «incarnazione dell’inciucio sublime tra sinistra e liberismo» oggi loda in Renzi colui che «catalizza una speranza di cambiamento» e che può autorevolmente fronteggiare le politiche di «austerity» in Europa.
Stefano Fassina gioisce e non considera più una «vergogna» l’incontro di Berlusconi nella sede del partito che ha stravinto le elezioni. Non cambia la propensione ad omaggiare chi vince. #Cambiaverso , ma non questo.
Anche Civati è pronto al grande salto di una gestione collegiale maggioranza-opposizioni. «Ora tutti salgono alla corte di Renzi, ma io prima voglio capire se questo risultato porta verso un progetto politico di centrosinistra o se Alfano vorrà fare il centro con Renzi», dice Pippo. L’antagonista per antonomasia Stefano Fassina rende «onore al merito di Renzi per la grande vittoria»
Quelli che si convertono dopo il Boom
Dalla corsa alla foto ai commenti entusiastici
Ora gli oppositori sono diventati renziani
di Pierluigi Battista
Stanno cambiando verso davvero molto in fretta. Domenica notte, quando le prime proiezioni centellinavano percentuali da trionfo, numeri da apoteosi, 40 per cento, un «record storico», nel Pd di minoranza i refrattari della penultima ora (prima del voto) già si erano per incanto trasformati negli entusiasti della primissima ora (dopo il voto).
Una fotografia li immortalò: il giovane gruppo dirigente forgiato da Matteo Renzi che, insieme a «nonno Zanda», esulta soddisfatto per il successo smisurato del leader provvidenzialmente assente per non rubare tutta la scena.
Ma nella foto di quel giovane gruppo dirigente, nota l’ostile Fatto quotidiano , c’è qualche «intruso», non proprio un renziano antemarcia, diciamo: Stefano Fassina («Fassina chi?»); un altro Matteo, ma Orfini; Alfredo D’Attorre, proprio il «bersaniano» che lanciò la fatwa contro il neosegretario del Pd, colpevole di aver profanato la sede del Nazareno con l’orrido Berlusconi; Roberto Speranza; persino Nico Stumpo, l’uomo che alle primarie del 2012 architettò pro-Bersani un farraginoso percorso a ostacoli (le «regole») per impedire al massimo numero di presunti «renziani» non iscritti al Pd di entrare nei gazebo del partito. #Cambiaverso, recita l’hashtag .
E loro hanno cambiato.
Su Twitter, del resto, che era già il regno del giornalismo veloce, giovane, arrembante, moderno con Renzi protagonista indiscusso, è tutto un concedersi e rimpallarsi visibilissimi endorsement via hashtag in cui l’ammiccamento si sposa l’appartenenza, la strizzatina d’occhio si annida tra i militanti della Causa mimetizzato in followers .
Spuntano come funghi dopo la scalata al vertiginoso 40 per cento frizzanti #lasvoltabuona, perentori #unoperuno, imperiosi #cambiaverso. Prima di domenica, insomma, bisognava contenersi.
Dopo il 40 per cento, possono cadere freni e remore. I freni e le remore distrutti quando, durante una conferenza stampa, forse per la prima volta nella storia del giornalismo politico dell’Italia repubblicana, un applauso è partito lunedì dalla platea di cronisti all’indirizzo del presidente del Consiglio vincitore assoluto delle elezioni.
Forse, non è detto che sia la prima volta, ma gli annali e gli archivi non riportano precedenti.
Mentre è certo che al termine della conferenza stampa siano fioccati commenti sui social network in cui i giudizi più misurati e sobri hanno indicato nel discorso di Matteo Renzi i segni di uno «statista», se non di un «grande statista».
Ed è altresì certo che si è arrivati, dopo il trionfo elettorale, a chiedere pubblicamente su Twitter le «scuse» a Pina Picierno per le improvvide critiche che le erano piovute sul capo dopo le dichiarazioni sulla spesa di 80 euro al supermercato.
Succede sempre così: la salita un po’ precipitosa sul carro del vincitore.
E Matteo Renzi, che è persona spiritosa e accorta, lo sa bene. A pochissimi minuti dalle fantastiche proiezioni elettorali, Andrea Salerno, uno degli autori di Gazebo, un’oasi di ironia e autoironia nella seriosità del talk-show nazionale, ha scritto: «Partita la gara a chi conosce Matteo da prima. Qualcuno twitta: ecografia prenatale». Ma è un costume abbastanza frequente, all’indomani di elezioni che consacrano un grande vincitore.
Quello che invece non è così frequente è che non commentatori e giornalisti, ma politici un tempo ostili al vincitore si mettano in posa per dichiararsi super-renziani che più renziani non si può. La minoranza del Pd, quella che doveva essere la Vandea anti-renziana, l’«apparato» che remava contro, i parlamentari in «quota Bersani» che facevano silenziosamente gli ostruzionisti pronti ad avventarsi sulla preda se le elezioni non fossero andate brillantemente: ecco il nuovo mondo di chi ha cambiato subito verso.
Gianni Cuperlo rilascia interviste in cui si dice ammirato dall’«energia» impressa da Renzi. Rosy Bindi, uno dei bersagli del rottamatore ricambiato da un’ostilità dichiarata, toscanamente schietta, in un’altra intervista si mostra quasi orgogliosa di un leader che ha saputo parlare così bene agli elettori.
Nichi Vendola, che ai tempi del conflitto delle primarie del 2012 considerava Renzi come l’orrenda «incarnazione dell’inciucio sublime tra sinistra e liberismo» oggi loda in Renzi colui che «catalizza una speranza di cambiamento» e che può autorevolmente fronteggiare le politiche di «austerity» in Europa.
Stefano Fassina gioisce e non considera più una «vergogna» l’incontro di Berlusconi nella sede del partito che ha stravinto le elezioni. Non cambia la propensione ad omaggiare chi vince. #Cambiaverso , ma non questo.
Anche Civati è pronto al grande salto di una gestione collegiale maggioranza-opposizioni. «Ora tutti salgono alla corte di Renzi, ma io prima voglio capire se questo risultato porta verso un progetto politico di centrosinistra o se Alfano vorrà fare il centro con Renzi», dice Pippo. L’antagonista per antonomasia Stefano Fassina rende «onore al merito di Renzi per la grande vittoria»
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Re: Case chiuse
La Stampa 28.5.14
Renzi apre alla minoranza dopo la foto con i “convertiti”
Per la presidenza spuntano Micaela Campana e Paola De Micheli
di Carlo Bertini
Sfoderano i sorrisi di chi fa buon viso a cattivo gioco, contenti a parole che la “ditta” abbia sfondato il muro del suono, storditi che il «colpaccio» lo abbia fatto proprio Renzi. Sono quelli che vollero le primarie aperte ma non troppo per non spalancare i gazebo ai delusi del Cavaliere, che ora fanno la foto di gruppo insieme ai renziani e che plaudono a questi voti piovuti come manna nelle urne. Alla buvette Roberto Giachetti lo rinfaccia a Stumpo, «se fossero state primarie davvero aperte avrebbe vinto Renzi», ma con tono cordiale e pacche sulle spalle.
Arrivano alla spicciolata alla Camera nel day after dell’exploit di Renzi. Alcuni sono gli stessi immortalati all’una di notte al Nazareno, Stefano Fassina e Nico Stumpo, i «giovani turchi» come Orfini sono i più soddisfatti, «grazie ormai sono organici», commentano taglienti i dalemiani. Tutti sanno che il leader apre le porte alle minoranze, la presidenza dell’assemblea nazionale tocca a loro: il nome di Bersani rilanciato dal renziano Federico Gelli non è sugli scudi, i suoi sodali pensano a giovani candidature come quella di Micaela Campana o Paola De Micheli (perché dicono che Renzi vorrebbe una figura femminile di nuovo conio). Le candidature fioccano e anche Pippo Civati sarebbe in corsa per la presidenza di garanzia, ma nessuno si fa soverchie illusioni di poter entrare nelle stanze dei bottoni. Tradotto, i ruoli di potere nella segreteria del Pd pacificato, quelle dell’organizzazione e degli enti locali, resteranno saldamente in mano al leader. La prima se la intesterà il suo vice Guerini, la seconda sarà lasciata a Stefano Bonaccini. «A noi magari daranno gli Esteri», sorride Zoggia rivolto a Stumpo nel cortile della Camera. «Magari ci offrirà il Lavoro per metterci in mora», scherza Stumpo. Tutti sono consapevoli «che ora si corre con le riforme e il primo che fiata si va a votare», per usare un’iperbole di Richetti, candidato al ruolo di vicecapogruppo. E tutti si aspettano che in Direzione Renzi suonerà la carica, entro luglio il primo giro di boa dell’abolizione del Senato e nessuno si sogni di mettersi di traverso o di frenare.
La prima analisi di cosa sia successo domenica viene fatta dai bersanian-dalemiani a un pranzo riservato per pochi eletti all’ultimo piano del palazzo delle Esposizioni. Sono una dozzina, Epifani e Speranza, Zoggia, Stumpo, Fassina e D’Attorre, Danilo Leva, Enzo Amendola e Andrea Manciulli, Roberta Agostini e Micaela Campana, lo stato maggiore della nuova corrente «Area riformista». Non è lì che si sfoglia la rosa di nomi per la presidenza (che previo accordo tra le parti sarà votata a scrutinio segreto sabato 14 giugno dall’assemblea nazionale insieme ai due vicesegretari), «ma tra di noi il nome di Micaela va forte», ammette uno dei presenti al pranzo.
Pure se i gangli nodali della segreteria resteranno in capo ai renziani, ci sono anche altre cariche in ballo da dividersi con i «turchi». «Questo voto supera il nostro perimetro tradizionale e ci consente finalmente di avviare quella riforma della giustizia con profilo garantista che finora il nostro campo non riusciva a sostenere», dice ad esempio Danilo Leva, ex responsabile giustizia con Epifani.
Anche Civati è pronto al grande salto di una gestione collegiale maggioranza-opposizioni. «Ora tutti salgono alla corte di Renzi, ma io prima voglio capire se questo risultato porta verso un progetto politico di centrosinistra o se Alfano vorrà fare il centro con Renzi», dice Pippo. E nel giorno in cui la nuova unità del Pd rende superflua critica e autocritica, alla vigilia di un possibile ingresso in segreteria di Stumpo, D’Attorre, Amendola o Manciulli, l’antagonista per antonomasia Stefano Fassina rende «onore al merito di Renzi per la grande vittoria».
Renzi apre alla minoranza dopo la foto con i “convertiti”
Per la presidenza spuntano Micaela Campana e Paola De Micheli
di Carlo Bertini
Sfoderano i sorrisi di chi fa buon viso a cattivo gioco, contenti a parole che la “ditta” abbia sfondato il muro del suono, storditi che il «colpaccio» lo abbia fatto proprio Renzi. Sono quelli che vollero le primarie aperte ma non troppo per non spalancare i gazebo ai delusi del Cavaliere, che ora fanno la foto di gruppo insieme ai renziani e che plaudono a questi voti piovuti come manna nelle urne. Alla buvette Roberto Giachetti lo rinfaccia a Stumpo, «se fossero state primarie davvero aperte avrebbe vinto Renzi», ma con tono cordiale e pacche sulle spalle.
Arrivano alla spicciolata alla Camera nel day after dell’exploit di Renzi. Alcuni sono gli stessi immortalati all’una di notte al Nazareno, Stefano Fassina e Nico Stumpo, i «giovani turchi» come Orfini sono i più soddisfatti, «grazie ormai sono organici», commentano taglienti i dalemiani. Tutti sanno che il leader apre le porte alle minoranze, la presidenza dell’assemblea nazionale tocca a loro: il nome di Bersani rilanciato dal renziano Federico Gelli non è sugli scudi, i suoi sodali pensano a giovani candidature come quella di Micaela Campana o Paola De Micheli (perché dicono che Renzi vorrebbe una figura femminile di nuovo conio). Le candidature fioccano e anche Pippo Civati sarebbe in corsa per la presidenza di garanzia, ma nessuno si fa soverchie illusioni di poter entrare nelle stanze dei bottoni. Tradotto, i ruoli di potere nella segreteria del Pd pacificato, quelle dell’organizzazione e degli enti locali, resteranno saldamente in mano al leader. La prima se la intesterà il suo vice Guerini, la seconda sarà lasciata a Stefano Bonaccini. «A noi magari daranno gli Esteri», sorride Zoggia rivolto a Stumpo nel cortile della Camera. «Magari ci offrirà il Lavoro per metterci in mora», scherza Stumpo. Tutti sono consapevoli «che ora si corre con le riforme e il primo che fiata si va a votare», per usare un’iperbole di Richetti, candidato al ruolo di vicecapogruppo. E tutti si aspettano che in Direzione Renzi suonerà la carica, entro luglio il primo giro di boa dell’abolizione del Senato e nessuno si sogni di mettersi di traverso o di frenare.
La prima analisi di cosa sia successo domenica viene fatta dai bersanian-dalemiani a un pranzo riservato per pochi eletti all’ultimo piano del palazzo delle Esposizioni. Sono una dozzina, Epifani e Speranza, Zoggia, Stumpo, Fassina e D’Attorre, Danilo Leva, Enzo Amendola e Andrea Manciulli, Roberta Agostini e Micaela Campana, lo stato maggiore della nuova corrente «Area riformista». Non è lì che si sfoglia la rosa di nomi per la presidenza (che previo accordo tra le parti sarà votata a scrutinio segreto sabato 14 giugno dall’assemblea nazionale insieme ai due vicesegretari), «ma tra di noi il nome di Micaela va forte», ammette uno dei presenti al pranzo.
Pure se i gangli nodali della segreteria resteranno in capo ai renziani, ci sono anche altre cariche in ballo da dividersi con i «turchi». «Questo voto supera il nostro perimetro tradizionale e ci consente finalmente di avviare quella riforma della giustizia con profilo garantista che finora il nostro campo non riusciva a sostenere», dice ad esempio Danilo Leva, ex responsabile giustizia con Epifani.
Anche Civati è pronto al grande salto di una gestione collegiale maggioranza-opposizioni. «Ora tutti salgono alla corte di Renzi, ma io prima voglio capire se questo risultato porta verso un progetto politico di centrosinistra o se Alfano vorrà fare il centro con Renzi», dice Pippo. E nel giorno in cui la nuova unità del Pd rende superflua critica e autocritica, alla vigilia di un possibile ingresso in segreteria di Stumpo, D’Attorre, Amendola o Manciulli, l’antagonista per antonomasia Stefano Fassina rende «onore al merito di Renzi per la grande vittoria».
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Re: Case chiuse
All'attenzione di pancho
Già finita la festa per Tsipras: Renzi strega un pezzo di Sel
Sel prosegue sulla via di un soggetto unitario nato dalla lista Tsipras ma si perde un pezzo. Il capogruppo Migliore propone il partito unico, sì, ma "con il Pd". La deputata Piazzoni pronta a lasciare
DI LUCA SAPPINO
L'intervista Repubblica di Gennaro Migliore che dice: «la sfida è costruire in Italia un soggetto unitario di sinistra. Senza restare ciascuno, Pd e Sel, nel proprio contenitore». La dichiarazione di Nichi Vendola che si presta a una doppia lettura e che cerca di tenere tutti dentro: «Renzi adoperi la leva pesante che gli è stata offerta dal corpo elettorale per ribaltare l'Europa. Se ribalterà l'agenda di governo per rimettere dentro persone, diritti e protezione sociale trasformeremo le nostre critiche e i nostri dissensi in consenso».
Il malcontento di un gruppo di parlamentari di Sel, tra cui spicca Ileana Piazzoni che non ha mai nascosto il proprio orientamento, e che solo per «lealtà» dice non ha mollato tutto in campagna elettorale, ma che ora all’Espresso, con un piede già oltre la porta, precisa: «Non sarò certo io ad impedire che la lista si trasformi in un soggetto politico, ma a me non interessa, l’ho sempre detto, non ci sto». L’antipatia di molti verso Barbara Spinelli, animatrice della lista l’Altra Europa con Tsipras. Su facebook è un continuo di status, di dirigenti locali, di dipendenti dei gruppi parlamentari, di deputati.
Ecco così riassunto il day after della sinistra italiana, della «semplicemente sinistra» come la vorrebbe Spinelli. La parte difficile era superare lo sbarramento? Non è vero. Come da tradizione della sinistra, la parte difficile è restare uniti. E se una parte di Sel era poco convinta già prima delle elezioni, dopo il successo di Matteo Renzi, e la risicata percentuale(4,03 per cento) ottenuta da Tsipras, le sirene del Pd risuonano più forte. Il pretesto è l'adesione degli eletti alle europee al Gue e non al Pse. Ma dietro c'è molto di più.
«Io sono sempre stata contraria al progetto politico che stava dietro alla lista» spiega Piazzoni all’Espresso: «ho fatto campagna elettorale, spingendo il simbolo e i candidati» precisa rispondendo alle accuse, «ma dicendo sempre che per me la strada era un’altra».
Una strada che porta verso il Pd. «Ho sempre inteso che la stessa ragione per cui abbiamo fondato Sel, riunire la sinistra, si riferisse a un campo che coinvolge il Pd» dice Piazzoni. La posizione, insomma, è quella di Gennaro Migliore. Ma l’ultimo congresso di Sel ha invece stabilito che quella vocazione unitaria era rivolta a sinistra, e che «riunire la sinistra» dovesse significare riunire ciò che sta a sinistra del Pd, per poi semmai, più forti, dialogare col Pd.
La rottura potrebbe arrivare venerdì, quando Sel riunisce la presidenza del partito. Se Nicola Fratoianni, il coordinatore, si dovesse presentare con l’idea di proseguire sul percorso della lista, sarà scissione: «non la chiamerei scissione, perché io parlo per me e non so quanti saremo» continua Piazzoni, «ma io sarò coerente e non intendo partecipare a una cosa in cui non credo». Con lei ci potrebbero essere una decina di parlamentari, che non sono però tutti decisi come Piazzoni. Alcuni però come lei potrebbero non aver voglia di fare battaglie di minoranza interna. «Anzi» dice Piazzoni, «sempre per una questione di coerenza penso che chi ha costruito la lista dicendo che sarebbe andato avanti ora debba farlo». «Io ne prenderò atto».
E pare che Piazzoni dovrà prenderne atto. Nicola Fratoianni, proprio mentre è seduto al tavolo di coordinamento della lista, scrive un post su facebook: «Non condivido l'intervista di Gennaro Migliore apparsa oggi su Repubblica. Penso invece che dopo il risultato delle elezioni europee sia necessario avanzare una proposta politica a tutti quelli che hanno guardato alla proposta di Tsipras come ad una occasione importante per dare corpo ad una sinistra forte e innovativa, non settaria e non minoritaria».
Insomma, Fratoianni è sulla lunghezza di Paolo Ferrero di Rifondazione e dei movimenti che hanno aderito alla lista. «Illustrerò la scelta» dice, e lo farà nella prossima presidenza: «Considero questa opzione più utile anche alla possibilità di ricostruire in Italia quello che oggi non c'è, ovvero una alleanza per riaffermare una alternativa di governo».
E gli scontenti? Saranno liberi di votare il decreto sugli ottanta euro, come hanno già detto di voler fare («secondo me» dice ancora Piazzoni, «su molte cose, magari insufficienti ma che vanno nella direzione giusta si deve votare a favore»), entrare in maggioranza, e forse pure nel Pd. «Io spero che non vada via nessuno e lavorerò per questo» dice, tra l’ottimismo e la retorica, Nicola Fratoianni.
Già finita la festa per Tsipras: Renzi strega un pezzo di Sel
Sel prosegue sulla via di un soggetto unitario nato dalla lista Tsipras ma si perde un pezzo. Il capogruppo Migliore propone il partito unico, sì, ma "con il Pd". La deputata Piazzoni pronta a lasciare
DI LUCA SAPPINO
L'intervista Repubblica di Gennaro Migliore che dice: «la sfida è costruire in Italia un soggetto unitario di sinistra. Senza restare ciascuno, Pd e Sel, nel proprio contenitore». La dichiarazione di Nichi Vendola che si presta a una doppia lettura e che cerca di tenere tutti dentro: «Renzi adoperi la leva pesante che gli è stata offerta dal corpo elettorale per ribaltare l'Europa. Se ribalterà l'agenda di governo per rimettere dentro persone, diritti e protezione sociale trasformeremo le nostre critiche e i nostri dissensi in consenso».
Il malcontento di un gruppo di parlamentari di Sel, tra cui spicca Ileana Piazzoni che non ha mai nascosto il proprio orientamento, e che solo per «lealtà» dice non ha mollato tutto in campagna elettorale, ma che ora all’Espresso, con un piede già oltre la porta, precisa: «Non sarò certo io ad impedire che la lista si trasformi in un soggetto politico, ma a me non interessa, l’ho sempre detto, non ci sto». L’antipatia di molti verso Barbara Spinelli, animatrice della lista l’Altra Europa con Tsipras. Su facebook è un continuo di status, di dirigenti locali, di dipendenti dei gruppi parlamentari, di deputati.
Ecco così riassunto il day after della sinistra italiana, della «semplicemente sinistra» come la vorrebbe Spinelli. La parte difficile era superare lo sbarramento? Non è vero. Come da tradizione della sinistra, la parte difficile è restare uniti. E se una parte di Sel era poco convinta già prima delle elezioni, dopo il successo di Matteo Renzi, e la risicata percentuale(4,03 per cento) ottenuta da Tsipras, le sirene del Pd risuonano più forte. Il pretesto è l'adesione degli eletti alle europee al Gue e non al Pse. Ma dietro c'è molto di più.
«Io sono sempre stata contraria al progetto politico che stava dietro alla lista» spiega Piazzoni all’Espresso: «ho fatto campagna elettorale, spingendo il simbolo e i candidati» precisa rispondendo alle accuse, «ma dicendo sempre che per me la strada era un’altra».
Una strada che porta verso il Pd. «Ho sempre inteso che la stessa ragione per cui abbiamo fondato Sel, riunire la sinistra, si riferisse a un campo che coinvolge il Pd» dice Piazzoni. La posizione, insomma, è quella di Gennaro Migliore. Ma l’ultimo congresso di Sel ha invece stabilito che quella vocazione unitaria era rivolta a sinistra, e che «riunire la sinistra» dovesse significare riunire ciò che sta a sinistra del Pd, per poi semmai, più forti, dialogare col Pd.
La rottura potrebbe arrivare venerdì, quando Sel riunisce la presidenza del partito. Se Nicola Fratoianni, il coordinatore, si dovesse presentare con l’idea di proseguire sul percorso della lista, sarà scissione: «non la chiamerei scissione, perché io parlo per me e non so quanti saremo» continua Piazzoni, «ma io sarò coerente e non intendo partecipare a una cosa in cui non credo». Con lei ci potrebbero essere una decina di parlamentari, che non sono però tutti decisi come Piazzoni. Alcuni però come lei potrebbero non aver voglia di fare battaglie di minoranza interna. «Anzi» dice Piazzoni, «sempre per una questione di coerenza penso che chi ha costruito la lista dicendo che sarebbe andato avanti ora debba farlo». «Io ne prenderò atto».
E pare che Piazzoni dovrà prenderne atto. Nicola Fratoianni, proprio mentre è seduto al tavolo di coordinamento della lista, scrive un post su facebook: «Non condivido l'intervista di Gennaro Migliore apparsa oggi su Repubblica. Penso invece che dopo il risultato delle elezioni europee sia necessario avanzare una proposta politica a tutti quelli che hanno guardato alla proposta di Tsipras come ad una occasione importante per dare corpo ad una sinistra forte e innovativa, non settaria e non minoritaria».
Insomma, Fratoianni è sulla lunghezza di Paolo Ferrero di Rifondazione e dei movimenti che hanno aderito alla lista. «Illustrerò la scelta» dice, e lo farà nella prossima presidenza: «Considero questa opzione più utile anche alla possibilità di ricostruire in Italia quello che oggi non c'è, ovvero una alleanza per riaffermare una alternativa di governo».
E gli scontenti? Saranno liberi di votare il decreto sugli ottanta euro, come hanno già detto di voler fare («secondo me» dice ancora Piazzoni, «su molte cose, magari insufficienti ma che vanno nella direzione giusta si deve votare a favore»), entrare in maggioranza, e forse pure nel Pd. «Io spero che non vada via nessuno e lavorerò per questo» dice, tra l’ottimismo e la retorica, Nicola Fratoianni.
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Re: Case chiuse
A Sel dico: meglio soli che male accompagnati
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
Robert Harris, "Archangel"
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