Il "nuovo" governo Renzi
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Re: Il nuovo governo Renzi
Con i ballottaggi è già finito l'effetto Renzi... Il PD si scopre diverso (conquista città ma ne perde altre storiche) e sempre meno di sinistra...
Inoltre il PM non facendo direttamente campagna elettorale e mandando i suoi "colonnelli" si scopre senza validi aiutanti...
Da ieri le elezioni anticipate sono più lontane... come la ripresa dell'Italia...
Inoltre il PM non facendo direttamente campagna elettorale e mandando i suoi "colonnelli" si scopre senza validi aiutanti...
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Re: Il nuovo governo Renzi
L'era dei Vaff............- 1
LA VITTORIA DEI CINQUE STELLE
Il direttore del Vernacoliere: «Ho votato M5S, Livorno dice vaffa al Pd»
Mario Cardinali commenta il risultato elettorale e la vittoria di Nogarin. «Da troppo tempo si stava assistendo a uno spettacolo indecente di clientelismo»
di Marco Gasperetti
LIVORNO - «Dé, ma lo sai, e l’ho votato anch’io il sindaco Cinque Stelle. E l’ho fatto pure volentieri, per amore di questa mia città, della mia gente. Bisogna cambiare tutto, rivoltare Livorno come i polpi».
E’ ancora stupito di se stesso Mario Cardinali, mitico direttore del Vernacoliere, giornale satirico livornese, per quel suo voto atipico.
Proprio lui, da sempre uomo di sinistra, anarcoide, libertario, fuori dagli schemi, Compagno nell’anima e con la maiuscola, ha dimenticato il rosso, ha archiviato la falce e il martello.
Il risultato l’ha saputo alla radio di buon mattina.
«La prima cosa che mi è venuta in mente? Livorno ha detto vaffanculo al Pd, o meglio gli ha detto “ilbudellodituma”, il modo nostro, schietto e volgare, per mandare a quel paese il prossimo – continua Cardinali -.
Da tempo ero convinto che sarebbe finita così. Da troppo tempo si stava assistendo a uno spettacolo indecente di immobilismo, clientelismo, con comitati di affari che hanno messo radici in una città che non riconoscevo più».
I tempi ruggenti di Livorno
Cardinali ricorda i tempi ruggenti di Livorno. «Quelli delle battaglie civile, della solidarietà e dell’ amore del prossimo – spiega -, del non arrendersi mai, nello sforzo di cambiare e migliorare, dell’entusiasmo, della voglia di combattere. Operai, impiegati, donne, uomini e ragazzi scendevano in piazza per difendere i diritti della gente e c’erano sindaci che li accompagnavano, li guidavano, davano impulso alle idee, davano spazio ai giovani».
E poi che cosa è successo, Mario?
«Il pantano. Livorno sembra essere stata inondata dal Pantano – risponde – ed è diventata la città dell’immobilismo. Sempre le stesse ghigne (facce in vernacolo ndr) sulle solite poltrone, tutti a spartirsi il potere.
Ora li “caa la Befana” (ora ci pensa la Befana a digerirli ed evacuarli ndr) vedrai che bella poltroncina gli danno.
Nogarin, il nuovo sindaco, ha promesso un ricambio straordinario. Non deve esagerare, perché qualcuno buono è rimasto, però chi ha rivestito carico e contro cariche ora deve pensare a lavorare.
Davvero e di buona lena. E io so che si stanno già “ca’ando addosso, gli opportunisti.
IO gli dico “State sereni…”».
Sostiene Cardinali che da anni la città si è mossa sulla spinta dei poteri forti:<<Guarda il bombolone (il rigassificatore), l’hanno costruito in mare in una zona sismica; doveva portare ricchezza ed invece ha fatto aumentare la bolletta perché con la crisi non esiste una nave gasiera che attracca. E il via libera agli ipermercati, coop rosse e adesso pure quelle bianche? E l’inutile nuovo ospedale che non vuole nessuno? E il degrado dei monumenti? Affari, soldi, business, poteri forte, arroganza. Un grande inciucio. I livornesi hanno detto vaffanculo, o meglio “ilbudellodituma”». E che consiglio darebbe il direttore del Vernacoliere al nuovo sindaco Filippo Nogarin?
«Intanto di cambiare il cognome, boia dé. E pare veneto, altro che labronico, e di questi tempi col Mose un va mica tanto di moda. Poi di togliere l’affarismo nella politica, far ritornare l’entusiasmo del fare, del cambiare, dell’abbellire questa città che è stata deturpata dalle bombe americane ma anche da una ricostruzione scellerata. E’ bella Livorno e l’hanno fatta diventare un brutto anatroccolo. Il titolo del mio giornale? Ci devo sempre pensare. Uscirò tra diversi giorni e dovrò creare una notizia paradossale. Che da noi mica è difficile. Quando c’è da massacrare a parole il potere noi siamo i primi nel mondo. Un Grillo in culo? Troppo, vecchio. Ci vogliono novità».
9 giugno 2014 | 10:51
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/14_giug ... b75e.shtml
LA VITTORIA DEI CINQUE STELLE
Il direttore del Vernacoliere: «Ho votato M5S, Livorno dice vaffa al Pd»
Mario Cardinali commenta il risultato elettorale e la vittoria di Nogarin. «Da troppo tempo si stava assistendo a uno spettacolo indecente di clientelismo»
di Marco Gasperetti
LIVORNO - «Dé, ma lo sai, e l’ho votato anch’io il sindaco Cinque Stelle. E l’ho fatto pure volentieri, per amore di questa mia città, della mia gente. Bisogna cambiare tutto, rivoltare Livorno come i polpi».
E’ ancora stupito di se stesso Mario Cardinali, mitico direttore del Vernacoliere, giornale satirico livornese, per quel suo voto atipico.
Proprio lui, da sempre uomo di sinistra, anarcoide, libertario, fuori dagli schemi, Compagno nell’anima e con la maiuscola, ha dimenticato il rosso, ha archiviato la falce e il martello.
Il risultato l’ha saputo alla radio di buon mattina.
«La prima cosa che mi è venuta in mente? Livorno ha detto vaffanculo al Pd, o meglio gli ha detto “ilbudellodituma”, il modo nostro, schietto e volgare, per mandare a quel paese il prossimo – continua Cardinali -.
Da tempo ero convinto che sarebbe finita così. Da troppo tempo si stava assistendo a uno spettacolo indecente di immobilismo, clientelismo, con comitati di affari che hanno messo radici in una città che non riconoscevo più».
I tempi ruggenti di Livorno
Cardinali ricorda i tempi ruggenti di Livorno. «Quelli delle battaglie civile, della solidarietà e dell’ amore del prossimo – spiega -, del non arrendersi mai, nello sforzo di cambiare e migliorare, dell’entusiasmo, della voglia di combattere. Operai, impiegati, donne, uomini e ragazzi scendevano in piazza per difendere i diritti della gente e c’erano sindaci che li accompagnavano, li guidavano, davano impulso alle idee, davano spazio ai giovani».
E poi che cosa è successo, Mario?
«Il pantano. Livorno sembra essere stata inondata dal Pantano – risponde – ed è diventata la città dell’immobilismo. Sempre le stesse ghigne (facce in vernacolo ndr) sulle solite poltrone, tutti a spartirsi il potere.
Ora li “caa la Befana” (ora ci pensa la Befana a digerirli ed evacuarli ndr) vedrai che bella poltroncina gli danno.
Nogarin, il nuovo sindaco, ha promesso un ricambio straordinario. Non deve esagerare, perché qualcuno buono è rimasto, però chi ha rivestito carico e contro cariche ora deve pensare a lavorare.
Davvero e di buona lena. E io so che si stanno già “ca’ando addosso, gli opportunisti.
IO gli dico “State sereni…”».
Sostiene Cardinali che da anni la città si è mossa sulla spinta dei poteri forti:<<Guarda il bombolone (il rigassificatore), l’hanno costruito in mare in una zona sismica; doveva portare ricchezza ed invece ha fatto aumentare la bolletta perché con la crisi non esiste una nave gasiera che attracca. E il via libera agli ipermercati, coop rosse e adesso pure quelle bianche? E l’inutile nuovo ospedale che non vuole nessuno? E il degrado dei monumenti? Affari, soldi, business, poteri forte, arroganza. Un grande inciucio. I livornesi hanno detto vaffanculo, o meglio “ilbudellodituma”». E che consiglio darebbe il direttore del Vernacoliere al nuovo sindaco Filippo Nogarin?
«Intanto di cambiare il cognome, boia dé. E pare veneto, altro che labronico, e di questi tempi col Mose un va mica tanto di moda. Poi di togliere l’affarismo nella politica, far ritornare l’entusiasmo del fare, del cambiare, dell’abbellire questa città che è stata deturpata dalle bombe americane ma anche da una ricostruzione scellerata. E’ bella Livorno e l’hanno fatta diventare un brutto anatroccolo. Il titolo del mio giornale? Ci devo sempre pensare. Uscirò tra diversi giorni e dovrò creare una notizia paradossale. Che da noi mica è difficile. Quando c’è da massacrare a parole il potere noi siamo i primi nel mondo. Un Grillo in culo? Troppo, vecchio. Ci vogliono novità».
9 giugno 2014 | 10:51
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http://www.corriere.it/politica/14_giug ... b75e.shtml
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Re: Il nuovo governo Renzi
Shock a Livorno la rossa la sinistra ko dopo 68 anni I M5S: qui cambia la storia
(SIMONA POLI E MASSIMO VANNI).
09/06/2014 di triskel182
NogarinTrionfo Nogarin: “Apriremo le finestre per cambiare l’aria” Caroselli grillini. Sconforto dem: “Non può essere vero”.
LIVORNO - Il Pd sconfitto a Livorno, una notte così fino a due giorni fa sembrava inimmaginabile, con i grillini che fanno festa nelle strade e il partito che governa da 68 anni senza interruzioni chiuso dentro alla sua sede a chiedersi perché sia successo quello che è successo. Il candidato del Movimento Cinque Stelle Filippo Nogarin, ingegnere aerospaziale, ha battuto il trentanovenne Marco Ruggeri, capogruppo uscente dei Democratici in consiglio regionale sostenuto da tutte le forze del centrosinistra 54 a 46. La città in cui nel 1921 è nato il Partito comunista italiano e che da 68 anni è governata dalla sinistra da oggi avrà un sindaco grillino. «Questa è una bellissima vittoria a cinque bellissime cinque stelle, apriremo molte finestre, aria nuova», dice Nogarin quando alle una del mattino arriva nella sala del consiglio comunale. Lo aspetta l’avversario, Marco Ruggeri, per stringergli la mano e riconoscere la sconfitta: «È evidente che abbia prevalso la voglia di cambiamento », sussurra pallido in volto. Poi scompare, senza salutare il sindaco uscente Alessandro Cosimi da cui per tutta la campagna elettorale aveva preso le distanze.
Ora sono i livornesi ad aver messo una distanza dal partito che da sempre li amministra. Nogarin affonda subito il coltello: « Il Pd ha fatto un pessimo lavoro, questa città merita molto di più e noi le daremo un futuro migliore. Stateci vicino», dice ai suoi elettori, « perché da domani ne vedremo delle belle». A differenza del suo leader non è uno che urla, non fa mai il passo più lungo della gamba. «Ho aspettato che i dati fossero certi prima di parlare», spiega mentre i suoi in strada urlano e festeggiano un successo fino a ieri solo sognato. Caroselli con le bandiere a Cinque Stelle. «Ho criticato ferocemente il governo di Cosimi e assicuro a tutti i cittadini, anche a quelli che non mi hanno votato, che Livorno tornerà a brillare. Abbiamo fatto un gioco di squadra e continueremo nello stesso modo, il dialogo per noi è fondamentale mentre qui il Pd stava arroccato nel suo palazzo e non parlava più con nessuno».
Lo spoglio da cardiopalma nella sede del Pd era stato seguito da un gruppo di militanti sconcertati, fin dalle prime sezioni il vantaggio era inequivocabile, anche se qualcuno del comitato Ruggeri dice che forse il computer sta sbagliando i dati. «Deh, li sta invertendo, un’ sono mica giusti questi voti», azzarda il superdirigente dei portuali Roberto Piccini ma l’assessore regionale al Lavoro Gianfranco Simoncini scuote la testa sconfortato. «Invece è tutto vero». Un ribaltone storico per Livorno, uno choc ancora più incredibile in una tornata elettorale che anche qui ha visto il trionfo di Matteo Renzi alle Europee con il 53 per cento. L’incubo dei Democratici era capire dove sarebbero andati a finire i 13.973 voti acchiappati dalle quattro liste che proponevano come sindaco Andrea Raspanti, 33 anni e una carta d’identità di sinistra senza se e senza ma, che al ballottaggio per decisione assembleare avevano deciso di non tifare per Ruggeri e mostravano una concreta apertura nei confronti del suo avversario.
Da La Repubblica del 09/06/2014.
(SIMONA POLI E MASSIMO VANNI).
09/06/2014 di triskel182
NogarinTrionfo Nogarin: “Apriremo le finestre per cambiare l’aria” Caroselli grillini. Sconforto dem: “Non può essere vero”.
LIVORNO - Il Pd sconfitto a Livorno, una notte così fino a due giorni fa sembrava inimmaginabile, con i grillini che fanno festa nelle strade e il partito che governa da 68 anni senza interruzioni chiuso dentro alla sua sede a chiedersi perché sia successo quello che è successo. Il candidato del Movimento Cinque Stelle Filippo Nogarin, ingegnere aerospaziale, ha battuto il trentanovenne Marco Ruggeri, capogruppo uscente dei Democratici in consiglio regionale sostenuto da tutte le forze del centrosinistra 54 a 46. La città in cui nel 1921 è nato il Partito comunista italiano e che da 68 anni è governata dalla sinistra da oggi avrà un sindaco grillino. «Questa è una bellissima vittoria a cinque bellissime cinque stelle, apriremo molte finestre, aria nuova», dice Nogarin quando alle una del mattino arriva nella sala del consiglio comunale. Lo aspetta l’avversario, Marco Ruggeri, per stringergli la mano e riconoscere la sconfitta: «È evidente che abbia prevalso la voglia di cambiamento », sussurra pallido in volto. Poi scompare, senza salutare il sindaco uscente Alessandro Cosimi da cui per tutta la campagna elettorale aveva preso le distanze.
Ora sono i livornesi ad aver messo una distanza dal partito che da sempre li amministra. Nogarin affonda subito il coltello: « Il Pd ha fatto un pessimo lavoro, questa città merita molto di più e noi le daremo un futuro migliore. Stateci vicino», dice ai suoi elettori, « perché da domani ne vedremo delle belle». A differenza del suo leader non è uno che urla, non fa mai il passo più lungo della gamba. «Ho aspettato che i dati fossero certi prima di parlare», spiega mentre i suoi in strada urlano e festeggiano un successo fino a ieri solo sognato. Caroselli con le bandiere a Cinque Stelle. «Ho criticato ferocemente il governo di Cosimi e assicuro a tutti i cittadini, anche a quelli che non mi hanno votato, che Livorno tornerà a brillare. Abbiamo fatto un gioco di squadra e continueremo nello stesso modo, il dialogo per noi è fondamentale mentre qui il Pd stava arroccato nel suo palazzo e non parlava più con nessuno».
Lo spoglio da cardiopalma nella sede del Pd era stato seguito da un gruppo di militanti sconcertati, fin dalle prime sezioni il vantaggio era inequivocabile, anche se qualcuno del comitato Ruggeri dice che forse il computer sta sbagliando i dati. «Deh, li sta invertendo, un’ sono mica giusti questi voti», azzarda il superdirigente dei portuali Roberto Piccini ma l’assessore regionale al Lavoro Gianfranco Simoncini scuote la testa sconfortato. «Invece è tutto vero». Un ribaltone storico per Livorno, uno choc ancora più incredibile in una tornata elettorale che anche qui ha visto il trionfo di Matteo Renzi alle Europee con il 53 per cento. L’incubo dei Democratici era capire dove sarebbero andati a finire i 13.973 voti acchiappati dalle quattro liste che proponevano come sindaco Andrea Raspanti, 33 anni e una carta d’identità di sinistra senza se e senza ma, che al ballottaggio per decisione assembleare avevano deciso di non tifare per Ruggeri e mostravano una concreta apertura nei confronti del suo avversario.
Da La Repubblica del 09/06/2014.
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Re: Il nuovo governo Renzi
COMUNALI
'A Livorno il Pd meritava di perdere'
Il regista Paolo Virzì, il deputato Andrea Romano, il direttore de 'Il Tirreno' Roberto Bernabò raccontano all'Espresso perché nella roccaforte democratica della Toscana questa volta ha vinto il partito di Grillo. E spiegano: "Più che una persona, ha vinto un programma: mandiamoli a casa"
DI SUSANNA TURCO
09 giugno 201
“Se la meritava, questa sconfitta, tutto il gruppo dirigente del Pd. A Livorno si sono avvitati per anni in lotte fratricide tra mediocri notabilati locali mentre il mondo andava da un’altra parte. Ora è arrivato il napalm, ma un cambio ci voleva. Ha vinto il programma di una riga: mandiamoli tutti a casa”.
Il regista Paolo Virzì, livornese trapiantato a Roma, è amareggiato ma ci va giù con la scure. Proprio perché è livornese. Questa città, aggiunge il direttore del Tirreno Roberto Bernabò, “è conservatrice ma capace di grandi gesti di ribellismo: avrebbe votato qualsiasi cosa pur di cambiare”. Così, dopo 68 anni di dominio incontrastato della sinistra, Livorno si è risvegliata grillina e pare quasi che si sia tolta un peso. “Guardi che oggi sono tutti contenti, pure il barista che serve caffè di fronte al municipio”, racconta Bernabò.
Il Cinque stelle Filippo Nogarin ha vinto al ballottaggio con il 53,1 per cento dei consensi, contro il democratico Marco Ruggeri rimasto fermo al 46,9 per cento. Nessuno si stupisce: “Peggio di quegli altri non potranno fare”, è il leitmotiv in città. Insomma, prima che una vittoria di qualcuno, è una sconfitta del Pd.
Sul punto concordano i tre livornesi illustri (un regista, un politico, un giornalista) da cui ci siamo fatti raccontare cos'è che ha terremotato una roccaforte indiscussa del partitone democratico. La cosa più incredibile, a sentire le analisi, è che era tutto già scritto da mesi, se non da anni. E non si capisce ancora se sia un colpo di coda del vecchio (i democratici pre-renzi, per intendersi), o un far capolino del nuovo che avanzerà ancora (come dice Grillo, festeggiando). Di certo nel suo piccolo è una vicenda paradigmatica. Anzi peggio. “Un insegnamento didascalico: se la sinistra si chiude in se stessa e non cambia verso, va a sbattere e anche malamente”, dice Andrea Romano, livornese, ex capogruppo alla Camera di Scelta Civica ora dato in riavvicinamento al Pd.
Il quadro è da film di trama semplice. C’è una città in crisi che patisce la deflazione: le fabbriche chiudono, il porto arranca, il turismo non va (il business delle crociere se l’è aggiudicato La Spezia), i tagli al comune impediscono all’amministrazione di fare da “paciere sociale” come in passato. E poi c'è una sinistra locale incalzata da nessuno e incapace di rinnovarsi da sé, presa a metà di un cambiamento dentro cui non riesce a saltare. Bravissima nell’analisi, paralizzata nell’agire.
“Una sinistra come ossificata, chiusa in se stessa, con figure sempre più endogamiche, interne”, racconta Romano. “C’è stata una guerra, per anni, tra il segretario De Filicaia e il sindaco uscente Cosimi, e in generale un tutti contro tutti che ha portato a un declino vertiginoso. Sul lato della cultura, persino imbarazzante” chiosa Virzì. Nessuno parla male del candidato democratico sconfitto, Marco Ruggeri. Anzi ne parlano come uno che ha dovuto lottare anche contro una parte del proprio partito. Preparato, volenteroso, ma invano. Una sorta di Cuperlo se avesse vinto le primarie. La storia recente che ha portato alla sua candidatura dice già tutto.
Nell’ultimo anno, per dire, proprio per rilanciare l’appeal del partito – anche a Livorno come altrove diviso tra rottamatori renziani e continuisti cuperliani, ma dominato dagli ultimi - si era scatenata fra l’altro la ricerca informale del papa straniero. Un livornese illustre che incarnasse il nuovo, insomma. E a sentirla raccontare, quella ricerca, sembra un po’ un riecheggiare della “mozione Amedeo Nazzari”, quella della satira a cui il Guzzanti travestito da Veltroni rispondeva: “Lo dico per i compagni che non lo sanno: Amedeo Nazzari è morto”.
A Livorno si cercava tra professori di robotica come Paolo Dario, membri dell’Fmi, giornalisti come Concita de Gregorio, politici come lo stesso Romano. Fu sondato in via informale anche Virzì, naturalmente: “Non li feci nemmeno parlare: io non ne sarei capace, sono matto, pigro, cialtrone e soprattutto credo nel valore della politica, che è una cosa seria. Dissi no e aggiunsi anche: spero che perdiate. Livorno non era mai stata contendibile. E non mi pare, a giudicare l’oggi, che le abbia fatto bene”.
Alla fine nessuno accettò, “perché c’erano troppi pretoriani intorno e troppo poco sostegno del partito”, tira breve ill direttore de Il Tirreno Bernabò. “E all’ultimo hanno scelto il migliore di loro: segretario di Ds, poi consigliere comunale, poi regionale. Preparato, in gamba e stimato, Ruggeri. Ma inadeguato a una campagna elettorale che aveva come slogan “punto e a capo”, perché esprimeva in realtà una continuità perfetta. Non era credibile per la sua storia personale l’incarnare il cambiamento”. Nei dibattiti, quando spiegava la sua voglia di tagliare i ponti col passato, la gente gli urlava: “Ma è settant’anni che siete là”.
E così un Pd convinto del fatto che “come sempre avrebbe vinto, anche candidando un cavallo”, è stato stroncato. Hanno vinto i Cinque stelle. Ha vinto il loro, di cavallo. “Filippo Nogarin è un grande punto interrogativo”, racconta Bernabò: “Non è il classico grillino, anzi ha tenuto un profilo molto basso rispetto alle scelte programmatiche. Ha evitato di impegnarsi in cose specifiche”. L’unico no, giusto per cercare un analogo dell’inceneritore per Pizzarotti a Parma, è quello alla costruzione del nuovo ospedale. Il sindaco uscente aveva deciso una collocazione a sud che non è piaciuta ai livornesi: ora sono in corso le gare d’appalto, ma Nogarin ha detto che non se ne parla, l’ospedale là non si farà e piuttosto si paga la penale. Si vedrà.
Può essere un altro Giorgio Guazzaloca, il sindaco che nel 1999 spezzò a Bologna il dominio della sinistra? No, dice Romano. “Guazzaloca vinse a Bologna perché c’era un’ansia di rinnovamento della città, era un esponente del mondo produttivo bolognese, si disse pure che avrebbe potuto candidarlo la sinistra. Qui, invece, è la sconfitta che conta: con Nogarin hanno vinto tutti quelli che non volevano il Pd”
“Questa storia mi fa venire voglia di tornare a Livorno e fare un film per raccontare tutto il male possibile dei livornesi”, concorda Virzì. “Ora staremo a vedere: questa cura al napalm potrebbe definitivamente mettere il sigillo sulla morte della città, oppure chissà. Se il sindaco fa il contrario di quel che dice il blog di Grillo e impara l’arte della politica, se magari lascia perdere l’idea puerile di selezionare gli assessori tra coloro che gli mandano le mail, potrebbe perché no governare le cose, come finora dai Cinque stelle non si è visto fare neanche a Parma. Certo, vederlo innervosirsi davanti ai giornalisti e inciampare coi congiuntivi, non è un bel biglietto da visita”.
© Riproduzione riservata 09 giugno 2014
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... a-1.168634
'A Livorno il Pd meritava di perdere'
Il regista Paolo Virzì, il deputato Andrea Romano, il direttore de 'Il Tirreno' Roberto Bernabò raccontano all'Espresso perché nella roccaforte democratica della Toscana questa volta ha vinto il partito di Grillo. E spiegano: "Più che una persona, ha vinto un programma: mandiamoli a casa"
DI SUSANNA TURCO
09 giugno 201
“Se la meritava, questa sconfitta, tutto il gruppo dirigente del Pd. A Livorno si sono avvitati per anni in lotte fratricide tra mediocri notabilati locali mentre il mondo andava da un’altra parte. Ora è arrivato il napalm, ma un cambio ci voleva. Ha vinto il programma di una riga: mandiamoli tutti a casa”.
Il regista Paolo Virzì, livornese trapiantato a Roma, è amareggiato ma ci va giù con la scure. Proprio perché è livornese. Questa città, aggiunge il direttore del Tirreno Roberto Bernabò, “è conservatrice ma capace di grandi gesti di ribellismo: avrebbe votato qualsiasi cosa pur di cambiare”. Così, dopo 68 anni di dominio incontrastato della sinistra, Livorno si è risvegliata grillina e pare quasi che si sia tolta un peso. “Guardi che oggi sono tutti contenti, pure il barista che serve caffè di fronte al municipio”, racconta Bernabò.
Il Cinque stelle Filippo Nogarin ha vinto al ballottaggio con il 53,1 per cento dei consensi, contro il democratico Marco Ruggeri rimasto fermo al 46,9 per cento. Nessuno si stupisce: “Peggio di quegli altri non potranno fare”, è il leitmotiv in città. Insomma, prima che una vittoria di qualcuno, è una sconfitta del Pd.
Sul punto concordano i tre livornesi illustri (un regista, un politico, un giornalista) da cui ci siamo fatti raccontare cos'è che ha terremotato una roccaforte indiscussa del partitone democratico. La cosa più incredibile, a sentire le analisi, è che era tutto già scritto da mesi, se non da anni. E non si capisce ancora se sia un colpo di coda del vecchio (i democratici pre-renzi, per intendersi), o un far capolino del nuovo che avanzerà ancora (come dice Grillo, festeggiando). Di certo nel suo piccolo è una vicenda paradigmatica. Anzi peggio. “Un insegnamento didascalico: se la sinistra si chiude in se stessa e non cambia verso, va a sbattere e anche malamente”, dice Andrea Romano, livornese, ex capogruppo alla Camera di Scelta Civica ora dato in riavvicinamento al Pd.
Il quadro è da film di trama semplice. C’è una città in crisi che patisce la deflazione: le fabbriche chiudono, il porto arranca, il turismo non va (il business delle crociere se l’è aggiudicato La Spezia), i tagli al comune impediscono all’amministrazione di fare da “paciere sociale” come in passato. E poi c'è una sinistra locale incalzata da nessuno e incapace di rinnovarsi da sé, presa a metà di un cambiamento dentro cui non riesce a saltare. Bravissima nell’analisi, paralizzata nell’agire.
“Una sinistra come ossificata, chiusa in se stessa, con figure sempre più endogamiche, interne”, racconta Romano. “C’è stata una guerra, per anni, tra il segretario De Filicaia e il sindaco uscente Cosimi, e in generale un tutti contro tutti che ha portato a un declino vertiginoso. Sul lato della cultura, persino imbarazzante” chiosa Virzì. Nessuno parla male del candidato democratico sconfitto, Marco Ruggeri. Anzi ne parlano come uno che ha dovuto lottare anche contro una parte del proprio partito. Preparato, volenteroso, ma invano. Una sorta di Cuperlo se avesse vinto le primarie. La storia recente che ha portato alla sua candidatura dice già tutto.
Nell’ultimo anno, per dire, proprio per rilanciare l’appeal del partito – anche a Livorno come altrove diviso tra rottamatori renziani e continuisti cuperliani, ma dominato dagli ultimi - si era scatenata fra l’altro la ricerca informale del papa straniero. Un livornese illustre che incarnasse il nuovo, insomma. E a sentirla raccontare, quella ricerca, sembra un po’ un riecheggiare della “mozione Amedeo Nazzari”, quella della satira a cui il Guzzanti travestito da Veltroni rispondeva: “Lo dico per i compagni che non lo sanno: Amedeo Nazzari è morto”.
A Livorno si cercava tra professori di robotica come Paolo Dario, membri dell’Fmi, giornalisti come Concita de Gregorio, politici come lo stesso Romano. Fu sondato in via informale anche Virzì, naturalmente: “Non li feci nemmeno parlare: io non ne sarei capace, sono matto, pigro, cialtrone e soprattutto credo nel valore della politica, che è una cosa seria. Dissi no e aggiunsi anche: spero che perdiate. Livorno non era mai stata contendibile. E non mi pare, a giudicare l’oggi, che le abbia fatto bene”.
Alla fine nessuno accettò, “perché c’erano troppi pretoriani intorno e troppo poco sostegno del partito”, tira breve ill direttore de Il Tirreno Bernabò. “E all’ultimo hanno scelto il migliore di loro: segretario di Ds, poi consigliere comunale, poi regionale. Preparato, in gamba e stimato, Ruggeri. Ma inadeguato a una campagna elettorale che aveva come slogan “punto e a capo”, perché esprimeva in realtà una continuità perfetta. Non era credibile per la sua storia personale l’incarnare il cambiamento”. Nei dibattiti, quando spiegava la sua voglia di tagliare i ponti col passato, la gente gli urlava: “Ma è settant’anni che siete là”.
E così un Pd convinto del fatto che “come sempre avrebbe vinto, anche candidando un cavallo”, è stato stroncato. Hanno vinto i Cinque stelle. Ha vinto il loro, di cavallo. “Filippo Nogarin è un grande punto interrogativo”, racconta Bernabò: “Non è il classico grillino, anzi ha tenuto un profilo molto basso rispetto alle scelte programmatiche. Ha evitato di impegnarsi in cose specifiche”. L’unico no, giusto per cercare un analogo dell’inceneritore per Pizzarotti a Parma, è quello alla costruzione del nuovo ospedale. Il sindaco uscente aveva deciso una collocazione a sud che non è piaciuta ai livornesi: ora sono in corso le gare d’appalto, ma Nogarin ha detto che non se ne parla, l’ospedale là non si farà e piuttosto si paga la penale. Si vedrà.
Può essere un altro Giorgio Guazzaloca, il sindaco che nel 1999 spezzò a Bologna il dominio della sinistra? No, dice Romano. “Guazzaloca vinse a Bologna perché c’era un’ansia di rinnovamento della città, era un esponente del mondo produttivo bolognese, si disse pure che avrebbe potuto candidarlo la sinistra. Qui, invece, è la sconfitta che conta: con Nogarin hanno vinto tutti quelli che non volevano il Pd”
“Questa storia mi fa venire voglia di tornare a Livorno e fare un film per raccontare tutto il male possibile dei livornesi”, concorda Virzì. “Ora staremo a vedere: questa cura al napalm potrebbe definitivamente mettere il sigillo sulla morte della città, oppure chissà. Se il sindaco fa il contrario di quel che dice il blog di Grillo e impara l’arte della politica, se magari lascia perdere l’idea puerile di selezionare gli assessori tra coloro che gli mandano le mail, potrebbe perché no governare le cose, come finora dai Cinque stelle non si è visto fare neanche a Parma. Certo, vederlo innervosirsi davanti ai giornalisti e inciampare coi congiuntivi, non è un bel biglietto da visita”.
© Riproduzione riservata 09 giugno 2014
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... a-1.168634
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Re: Il nuovo governo Renzi
lunedì 9 giugno 2014
A Livorno, dove Gramsci fondò il Partito comunista nel 1921,
una dura sconfitta storica, e simbolica, del Partito Democratico
La Stampa 9.6.14
M5S e sinistra uniti Così il Pd ha perso nella roccaforte rossa
Serracchiani: sconfitti dove non cambiamo
di Carlo Bertini
Per evitare il disastro hanno perfino provato a superare il campanilismo più ossidato, alla fine ci si erano messi pure i «compagni» di Piombino guidati dal dalemiano Andrea Manciulli a dare manforte in campagna elettorale ai cugini livornesi: superando l’antica rivalità tra due comuni tra i quali non è mai corso buon sangue. Ma nulla è valso contro un’inedita coalizione tra grillini e sinistra, che con le sue liste civiche ha sostenuto il candidato 5Stelle Filippo Nogarin.
Al primo turno aveva preso solo il 19% dei voti e ieri si è ritrovato a superare in corsa il candidato del Pd, Marco Ruggeri, sostenuto da Sel e dai socialisti. Partito col 40% e spalleggiato nella volata finale anche da renziani di comprovata fede e vicinanza col leader come il braccio destro Luca Lotti, il neosindaco di Prato Matteo Biffoni e il neosindaco di Firenze, Dario Nardella.
E invece non solo è successo l’impensabile, cioè un ballottaggio in una città dove da 70 anni la sinistra non aveva mai avuto rivali, ma anche una sconfitta vieppiù bruciante. «Forse abbiamo scontato una certa insofferenza verso un blocco di potere consolidato di ex diessini», sussurra un renziano per farsi una ragione di quel che è successo. Forse il candidato non era sufficientemente marchiato come renziano dalla prima ora e quindi non ha beneficiato dello slancio impresso dal premier. Che non si è presentato a Livorno in campagna elettorale, malgrado fosse atteso così come del resto non è venuto Beppe Grillo.
Insomma, nella città rossa che ha visto i natali del Pci, va in scena la rivincita più simbolica per i pentastellati che espugnano una roccaforte grazie a un candidato che si è mostrato molto forte a sinistra. Già poco dopo mezzanotte, Nogarin festeggia, anche grazie all’appoggio ricevuto da Andrea Raspanti il candidato sostenuto al primo turno da quattro liste civiche schierate a sinistra del Pd, che aveva dato indicazione di votare Nogarin in segno di discontinuità. E lo slogan di Ruggeri, «Livorno punto a capo» non è stato sufficiente a convincere i livornesi.
E se da Bergamo il vincitore Giorgio Gori ammette che «è stato un grande aiuto il passaggio di Matteo in campagna elettorale», uno dei due vicesegretari del Pd, Debora Serracchiani, nota che nel caso di Livorno «si era saldato un asse a prescindere dal colore politico, contro il partito Democratico. Certo abbiamo perso dove non abbiamo saputo rinnovarci». La botta è forte, «sicuramente è un dispiacere enorme, dovremmo riflettere su cosa abbiamo sbagliato, analizzeremo il voto e vedremo cosa è successo. Credo ci sia un’esigenza di rinnovamento», dice la governatrice del Friuli. Che preferisce mettere l’accento sulle affermazioni positive di Bari, Pescara, Bergamo, Pavia, Verbania, Vercelli e Biella, Cremona. «Ora stiamo tutti guardando a Livorno e Padova e non guardiamo al resto, certo che puntassimo a vincere anche in quelle città è fuor di dubbio».
Anche il responsabile enti locali del Pd, Stefano Bonaccini, esprime «amarezza per le sconfitte a Perugia, Padova e Livorno che non tolgono però il valore di una grande avanzata del Pd e del centrosinistra in tutto il Paese». Ma qualcosa non ha funzionato nella storica città rossa se alla vigilia del voto lo stesso Ruggeri ammetteva di aver dovuto «combattere non solo gli avversari ma anche nel partito».
A Livorno, dove Gramsci fondò il Partito comunista nel 1921,
una dura sconfitta storica, e simbolica, del Partito Democratico
La Stampa 9.6.14
M5S e sinistra uniti Così il Pd ha perso nella roccaforte rossa
Serracchiani: sconfitti dove non cambiamo
di Carlo Bertini
Per evitare il disastro hanno perfino provato a superare il campanilismo più ossidato, alla fine ci si erano messi pure i «compagni» di Piombino guidati dal dalemiano Andrea Manciulli a dare manforte in campagna elettorale ai cugini livornesi: superando l’antica rivalità tra due comuni tra i quali non è mai corso buon sangue. Ma nulla è valso contro un’inedita coalizione tra grillini e sinistra, che con le sue liste civiche ha sostenuto il candidato 5Stelle Filippo Nogarin.
Al primo turno aveva preso solo il 19% dei voti e ieri si è ritrovato a superare in corsa il candidato del Pd, Marco Ruggeri, sostenuto da Sel e dai socialisti. Partito col 40% e spalleggiato nella volata finale anche da renziani di comprovata fede e vicinanza col leader come il braccio destro Luca Lotti, il neosindaco di Prato Matteo Biffoni e il neosindaco di Firenze, Dario Nardella.
E invece non solo è successo l’impensabile, cioè un ballottaggio in una città dove da 70 anni la sinistra non aveva mai avuto rivali, ma anche una sconfitta vieppiù bruciante. «Forse abbiamo scontato una certa insofferenza verso un blocco di potere consolidato di ex diessini», sussurra un renziano per farsi una ragione di quel che è successo. Forse il candidato non era sufficientemente marchiato come renziano dalla prima ora e quindi non ha beneficiato dello slancio impresso dal premier. Che non si è presentato a Livorno in campagna elettorale, malgrado fosse atteso così come del resto non è venuto Beppe Grillo.
Insomma, nella città rossa che ha visto i natali del Pci, va in scena la rivincita più simbolica per i pentastellati che espugnano una roccaforte grazie a un candidato che si è mostrato molto forte a sinistra. Già poco dopo mezzanotte, Nogarin festeggia, anche grazie all’appoggio ricevuto da Andrea Raspanti il candidato sostenuto al primo turno da quattro liste civiche schierate a sinistra del Pd, che aveva dato indicazione di votare Nogarin in segno di discontinuità. E lo slogan di Ruggeri, «Livorno punto a capo» non è stato sufficiente a convincere i livornesi.
E se da Bergamo il vincitore Giorgio Gori ammette che «è stato un grande aiuto il passaggio di Matteo in campagna elettorale», uno dei due vicesegretari del Pd, Debora Serracchiani, nota che nel caso di Livorno «si era saldato un asse a prescindere dal colore politico, contro il partito Democratico. Certo abbiamo perso dove non abbiamo saputo rinnovarci». La botta è forte, «sicuramente è un dispiacere enorme, dovremmo riflettere su cosa abbiamo sbagliato, analizzeremo il voto e vedremo cosa è successo. Credo ci sia un’esigenza di rinnovamento», dice la governatrice del Friuli. Che preferisce mettere l’accento sulle affermazioni positive di Bari, Pescara, Bergamo, Pavia, Verbania, Vercelli e Biella, Cremona. «Ora stiamo tutti guardando a Livorno e Padova e non guardiamo al resto, certo che puntassimo a vincere anche in quelle città è fuor di dubbio».
Anche il responsabile enti locali del Pd, Stefano Bonaccini, esprime «amarezza per le sconfitte a Perugia, Padova e Livorno che non tolgono però il valore di una grande avanzata del Pd e del centrosinistra in tutto il Paese». Ma qualcosa non ha funzionato nella storica città rossa se alla vigilia del voto lo stesso Ruggeri ammetteva di aver dovuto «combattere non solo gli avversari ma anche nel partito».
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Re: Il nuovo governo Renzi
1. UN AVVISO PESANTE A PITTIBIMBO E UNO AI PM CHE STANNO FACENDO TROPPO CASINO -
2. E’ UN CAPOLAVORO COME NON SE NE VEDEVANO DA TEMPO, QUELLO ANDATO IN SCENA A MONTECITORIO CON IL VOTO SULLA RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI: IL GOVERNO SOTTO DI SETTE VOTI ALLA CAMERA, DOVE AVREBBE UNA MAGGIORANZA SCHIACCIANTE -
3. UN NOTIZIONE CHE DIFFICILMENTE CONQUISTERÀ LE PRIME PAGINE DEI GIORNALI CHE DICONO DI CONTARE, MA CHE PUÒ CAMBIARE I COMPORTAMENTI DI PERSONAGGI CHE COMANDANO -
4. E’ BASTATO UN RENZI STRAFOTTENTE SULL’ESITO NEGATIVO DEI BALLOTTAGGI (TUTTA COLPA DEL VECCHIO PD E SBUCANO UN’OTTANTINA DI FRANCHI TIRATORI. E I PM CHE INDAGANO VENGONO AVVISATI IN MALO MODO PROPRIO MENTRE LE PROCURE DI VENEZIA E MILANO FANNO PAURA A LORSIGNORI CON EXPO, MOSE E CHISSÀ QUALE ALTRA DIAVOLERIA -
5. OGGI POI È RISORTA PERFINO LA PROCURA DI NAPOLI, CON I SUOI ARRESTI-BOMBA (TOCCA AI FINANZIERI!), E QUINDI ORA IL QUADRO È ASSOLUTAMENTE DA ALLARME PERFETTO -
Francesco Bonazzi per Dagospia
Un avviso pesante a Renzie e uno ai pm che stanno facendo troppo casino. E’ un capolavoro come non se ne vedevano da tempo, quello andato in scena a Montecitorio con il voto sulla responsabilità civile dei magistrati. Un notizione che difficilmente conquisterà le prime pagine dei giornali che dicono di contare, ma che può cambiare molti comportamenti di personaggi che comandano.
In sostanza il governo di Rottamazione è andato sotto di sette voti alla Camera, dove avrebbe una maggioranza schiacciante, su un emendamento che introdurrebbe un minimo di responsabilità civile persino per i magistrati, finora abituati a pagare il meno possibile eventuali errori (se non vedendosela tra loro). Epocale? Il fatto in sé non lo è, visto che sono almeno trent’anni che ci si prova e neppure fior di referendum dei radicali – vinti ! – hanno scalfito la sullodata casta.
Ma politicamente, è una bomba. Nonostante la corsa della maggioranza a minimizzare, Renzie va sotto dopo che, evidentemente, ha stravinto le elezioni. Oltre a tutto, con un’ottantina di franchi tiratori. E i pm che indagano vengono avvisati in malo modo proprio mentre le procure di Venezia e Milano fanno paura a lorsignori con Expo, Mose e chissà quale altra diavoleria.
Oggi poi è risorta perfino la procura di Napoli, con i suoi rinomati arresti-bomba (adesso tocca ai Finanzieri!), e quindi ora il quadro è assolutamente da allarme perfetto. Almeno per chi deve intendere.
Tutto il resto è meno che noia. Il premier ha la testa ancora in Cina e sostiene che “’l’Italia deve correre di più” (però!). I sindacati importanti minacciano una temibile “mobilitazione” se si dovesse fare davvero la famosa riforma della Pubblica amministrazione annunciata settantasette volte sette dal bulletto fiorentino.
Ma soprattutto, attenzione alla portata prospettica dell’ultima su Berlusconi: pare che un giorno si sia lamentato con Hillary che Bill Clinton lo trattava male. SI auspicano dibattiti e polemiche politiche.
2. E’ UN CAPOLAVORO COME NON SE NE VEDEVANO DA TEMPO, QUELLO ANDATO IN SCENA A MONTECITORIO CON IL VOTO SULLA RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI: IL GOVERNO SOTTO DI SETTE VOTI ALLA CAMERA, DOVE AVREBBE UNA MAGGIORANZA SCHIACCIANTE -
3. UN NOTIZIONE CHE DIFFICILMENTE CONQUISTERÀ LE PRIME PAGINE DEI GIORNALI CHE DICONO DI CONTARE, MA CHE PUÒ CAMBIARE I COMPORTAMENTI DI PERSONAGGI CHE COMANDANO -
4. E’ BASTATO UN RENZI STRAFOTTENTE SULL’ESITO NEGATIVO DEI BALLOTTAGGI (TUTTA COLPA DEL VECCHIO PD E SBUCANO UN’OTTANTINA DI FRANCHI TIRATORI. E I PM CHE INDAGANO VENGONO AVVISATI IN MALO MODO PROPRIO MENTRE LE PROCURE DI VENEZIA E MILANO FANNO PAURA A LORSIGNORI CON EXPO, MOSE E CHISSÀ QUALE ALTRA DIAVOLERIA -
5. OGGI POI È RISORTA PERFINO LA PROCURA DI NAPOLI, CON I SUOI ARRESTI-BOMBA (TOCCA AI FINANZIERI!), E QUINDI ORA IL QUADRO È ASSOLUTAMENTE DA ALLARME PERFETTO -
Francesco Bonazzi per Dagospia
Un avviso pesante a Renzie e uno ai pm che stanno facendo troppo casino. E’ un capolavoro come non se ne vedevano da tempo, quello andato in scena a Montecitorio con il voto sulla responsabilità civile dei magistrati. Un notizione che difficilmente conquisterà le prime pagine dei giornali che dicono di contare, ma che può cambiare molti comportamenti di personaggi che comandano.
In sostanza il governo di Rottamazione è andato sotto di sette voti alla Camera, dove avrebbe una maggioranza schiacciante, su un emendamento che introdurrebbe un minimo di responsabilità civile persino per i magistrati, finora abituati a pagare il meno possibile eventuali errori (se non vedendosela tra loro). Epocale? Il fatto in sé non lo è, visto che sono almeno trent’anni che ci si prova e neppure fior di referendum dei radicali – vinti ! – hanno scalfito la sullodata casta.
Ma politicamente, è una bomba. Nonostante la corsa della maggioranza a minimizzare, Renzie va sotto dopo che, evidentemente, ha stravinto le elezioni. Oltre a tutto, con un’ottantina di franchi tiratori. E i pm che indagano vengono avvisati in malo modo proprio mentre le procure di Venezia e Milano fanno paura a lorsignori con Expo, Mose e chissà quale altra diavoleria.
Oggi poi è risorta perfino la procura di Napoli, con i suoi rinomati arresti-bomba (adesso tocca ai Finanzieri!), e quindi ora il quadro è assolutamente da allarme perfetto. Almeno per chi deve intendere.
Tutto il resto è meno che noia. Il premier ha la testa ancora in Cina e sostiene che “’l’Italia deve correre di più” (però!). I sindacati importanti minacciano una temibile “mobilitazione” se si dovesse fare davvero la famosa riforma della Pubblica amministrazione annunciata settantasette volte sette dal bulletto fiorentino.
Ma soprattutto, attenzione alla portata prospettica dell’ultima su Berlusconi: pare che un giorno si sia lamentato con Hillary che Bill Clinton lo trattava male. SI auspicano dibattiti e polemiche politiche.
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Re: Il nuovo governo Renzi
Responsabilità civile dei giudici, passa il testo Lega anche con voti Pd. M5s astenuto
Alla Camera un emendamento leghista passa per 7 voti: astensione M5s, ma molti franchi tiratori nel Pd. Renzi: "Modifiche a Palazzo Madama". Ma anche lì c'è il voto segreto. Norma senza eguali in Ue. Vietti: "Indipendenza a rischio"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 11 giugno 2014Commenti (2148)
Mentre le bufere spazzano l’Expo e il Mose la politica “si vendica”. La Camera ha approvato un emendamento della Lega Nord a una legge comunitaria che introduce la responsabilità civile dei giudici.
Una norma contro la quale si schiera l’Anm (“Indebolimento proprio mentre si lotta contro la corruzione”) e il vicepresidente del Csm Michele Vietti e sulla quale indirettamente interviene anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “La tutela dell’indipendenza – dice – assicurata al giudice dagli ordinamenti non rappresenta un mero privilegio“.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi invita alla calma: “Una tempesta in un bicchier d’acqua, lo correggiamo al Senato”. Più deciso il ministro della Giustizia Andrea Orlando: “E’ un pasticcio che va subito corretto”. Ma a Palazzo Madama resterà il problema del voto segreto, che è stata la base del capitombolo della maggioranza su una questione delicatissima. Resta, peraltro, il fatto che una norma del genere non esiste in nessun Paese dell’Europa occidentale: ovunque a pagare è lo Stato, che si può rivalere poi sul magistrato – a seconda delle circostanze – per casi di dolo intenzionale o magari dopo un’ulteriore decisione di un tribunale speciale.
L’ok di Montecitorio: almeno 34 franchi tiratori Pd
La maggioranza e il governo sono stati battuti di 7 voti: 187 a 180. Decisiva l’astensione del Movimento Cinque Stelle e di Sel, in tutto 65 deputati. Ma ancora più determinante è stato quello di decine di deputati del Pd. Secondo il calcolo del leghista Gianluca Pini almeno 80 parlamentari democratici che avrebbero approfittato del voto segreto per schierarsi con i partiti di centrodestra. Ciononostante il capogruppo del Pd Roberto Speranza parla di “colpo di mano del centrodestra con la complicità del M5s”. Qualcun altro tra i democratici nega che ci siano stati franchi tiratori. In realtà sarebbero stati almeno 34. Al momento del voto, con scrutinio segreto, erano infatti presenti in Aula 214 deputati del Pd su 293. Ma i no all’emendamento sono stati solo 180. Se si considera poi che tra i contrari all’emendamento ci sono anche alcuni deputati di Scelta Civica e Sel, due gruppi che hanno votato in ordine sparso, i dem che si sono astenuti o hanno votato a favore sono anche di più.
Giachetti: “Ho votato sì per rispetto per le mie battaglie”
“Ho votato sì all’emendamento sulla responsabilità civile dei magistrati” “confessa” il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti che peraltro aveva già dichiarato il suo voto in Aula. Giachetti ha spiegato tra l’altro che è stato tra i firmatari del referendum che ha dato vita a una legge “che ha truffato quel referendum”. Bisogna “fare in modo – aggiunge il deputato renziano ma ex radicale – che si esca da questa ipocrisia e nel pieno del rispetto della magistratura e di quei tanti magistrati (la stragrande maggioranza) che operano correttamente ci sia però lo stabilire un principio in funzione del quale chi ha delle responsabilità che incidono sulla vita delle persone” vengano chiamati a risponderne. Giachetti ha fatto riferimento tra l’altro al caso di Mohamed Salim, un cittadino bengalese accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che è finito agli arresti e ci è rimasto per 10 anni per un caso di ominimia.
M5s: “Non siamo la stampella della maggioranza, volevamo svelare la spaccatura”
I Cinque Stelle assicurano che è stato solo un modo per far emergere le contraddizioni interne al Pd e che al Senato voteranno per cancellare la norma. “Non facciamo la stampella della maggioranza – spiega la deputata Giulia Sarti - la maggioranza ha detto che avrebbe votato contro l’emendamento e noi volevamo vedere se l’avrebbero fatto davvero. Noi comunque restiamo contro questa misura e infatti al Senato voteremo di conseguenza, voto palese o segreto che sia”. Come precisa il capogruppo al Senato Maurizio Buccarella “le manovre delle larghe intese non possono essere avallate dal segreto dell’urna e specialmente su un tema così importante quale è la responsabilità civile dei magistrati. I nostri colleghi alla Camera hanno svelato con intelligenza la spaccatura interna del Pd con la loro astensione, al Senato voteremo in maniera compatta contro questo emendamento”.
Cosa prevede la norma introdotta
La Lega aveva chiesto il voto segreto sul suo emendamento, riferito all’articolo 26 della legge comunitaria. I deputati di M5S si sono astenuti. Governo e commissione avevano espresso parere contrario. In base al testo approvato, proposto dal leghista Gianluca Pini, “chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario” compiuto dal magistrato, “in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave” può agire contro lo Stato e contro il magistrato ritenuto colpevole. E può così ottenere il risarcimento dei danni. Gli oneri derivanti dall’attuazione della nuova norma vengono valutati in 2,45 milioni di euro per l’anno 2014 e in 4,9 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2015.
Zanda: “Emendamento improvvisato”. Ncd: “Non si disciplina così responsabilità”
Ora, mentre l’intero centrodestra esulta, si apre un problema politico all’interno della maggioranza e soprattutto del Pd. “Il Pd, che ha già presentato proposte di legge per affrontare in modo organico il tema della responsabilità civile dei magistrati, è contrario all’ emendamento leghista alla legge comunitaria, che grazie ad un colpo di mano del centrodestra con la complicità del M5S, è passato alla Camera – dichiara il capogruppo al Senato Luigi Zanda – Quell’emendamento, improvvisato e frettoloso, colpisce l’autonomia della magistratura. Non si affronta in questo modo un tema importante che riguarda la responsabilità di un potere dello Stato. Per questo al Senato il Pd lavorerà, quando la legge comunitaria arriverà a Palazzo Madama, per cambiare quella norma”. Perfino il Nuovo Centrodestra rallenta: “Il tema della responsabilità civile dei magistrati è di un rilievo tale da non dover essere affrontato a colpi di emendamenti contenuti in provvedimenti disciplinanti tutt’altra materia. Occorre lavorare ad un testo organico tenendo conto che l’emendamento approvato oggi contiene palesi incongruità” dichiara in una nota il viceministro alla Giustizia, Enrico Costa.
Scontro nel Pd: “Incredibili i franchi tiratori”. Il capogruppo: “Colpa di Fi e M5s”
Molti nella maggioranza parlano come se a votare fossero stati dei passanti. Invece sono state decine di parlamentari a contribuire a far passare l’emendamento della Lega. Qualcuno cerca di contribuire a un’operazione di verità: “Ha dell’incredibile che decine di franchi tiratori del Pd si siano espressi, scusate se è poco, per la responsabilità civile dei magistrati votando un emendamento occasionale e ostruzionistico della Lega alla legge comunitaria che si occupa di tutt’altro. Un mix imperdonabile di superficialità e irresponsabilità, di singoli, del gruppo parlamentare e di chi dovrebbe assicurane una direzione politica”: così Franco Monaco del Pd. “Come si può pretendere poi una disciplina militare sulla non meno delicata materia costituzionale quando anche esponenti vicini al premier incoraggiano tali scomposti comportamenti?”. E’ chiaro che il destinatario è Roberto Speranza, capogruppo democratico a Montecitorio, il quale invece la pensa così: “Si è trattato di un vero e proprio colpo di mano del centrodestra con la complicità del M5S. In parlamento esistono proposte sulla responsabilità civile dei magistrati e ritengo siano maturi i tempi affinchè la questione venga affrontata in modo serio e rigoroso. Penso sia oltremodo sbagliato trattare tale tema in modo frettoloso, attraverso un emendamento alla legge comunitaria”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... a/1023260/
Alla Camera un emendamento leghista passa per 7 voti: astensione M5s, ma molti franchi tiratori nel Pd. Renzi: "Modifiche a Palazzo Madama". Ma anche lì c'è il voto segreto. Norma senza eguali in Ue. Vietti: "Indipendenza a rischio"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 11 giugno 2014Commenti (2148)
Mentre le bufere spazzano l’Expo e il Mose la politica “si vendica”. La Camera ha approvato un emendamento della Lega Nord a una legge comunitaria che introduce la responsabilità civile dei giudici.
Una norma contro la quale si schiera l’Anm (“Indebolimento proprio mentre si lotta contro la corruzione”) e il vicepresidente del Csm Michele Vietti e sulla quale indirettamente interviene anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “La tutela dell’indipendenza – dice – assicurata al giudice dagli ordinamenti non rappresenta un mero privilegio“.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi invita alla calma: “Una tempesta in un bicchier d’acqua, lo correggiamo al Senato”. Più deciso il ministro della Giustizia Andrea Orlando: “E’ un pasticcio che va subito corretto”. Ma a Palazzo Madama resterà il problema del voto segreto, che è stata la base del capitombolo della maggioranza su una questione delicatissima. Resta, peraltro, il fatto che una norma del genere non esiste in nessun Paese dell’Europa occidentale: ovunque a pagare è lo Stato, che si può rivalere poi sul magistrato – a seconda delle circostanze – per casi di dolo intenzionale o magari dopo un’ulteriore decisione di un tribunale speciale.
L’ok di Montecitorio: almeno 34 franchi tiratori Pd
La maggioranza e il governo sono stati battuti di 7 voti: 187 a 180. Decisiva l’astensione del Movimento Cinque Stelle e di Sel, in tutto 65 deputati. Ma ancora più determinante è stato quello di decine di deputati del Pd. Secondo il calcolo del leghista Gianluca Pini almeno 80 parlamentari democratici che avrebbero approfittato del voto segreto per schierarsi con i partiti di centrodestra. Ciononostante il capogruppo del Pd Roberto Speranza parla di “colpo di mano del centrodestra con la complicità del M5s”. Qualcun altro tra i democratici nega che ci siano stati franchi tiratori. In realtà sarebbero stati almeno 34. Al momento del voto, con scrutinio segreto, erano infatti presenti in Aula 214 deputati del Pd su 293. Ma i no all’emendamento sono stati solo 180. Se si considera poi che tra i contrari all’emendamento ci sono anche alcuni deputati di Scelta Civica e Sel, due gruppi che hanno votato in ordine sparso, i dem che si sono astenuti o hanno votato a favore sono anche di più.
Giachetti: “Ho votato sì per rispetto per le mie battaglie”
“Ho votato sì all’emendamento sulla responsabilità civile dei magistrati” “confessa” il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti che peraltro aveva già dichiarato il suo voto in Aula. Giachetti ha spiegato tra l’altro che è stato tra i firmatari del referendum che ha dato vita a una legge “che ha truffato quel referendum”. Bisogna “fare in modo – aggiunge il deputato renziano ma ex radicale – che si esca da questa ipocrisia e nel pieno del rispetto della magistratura e di quei tanti magistrati (la stragrande maggioranza) che operano correttamente ci sia però lo stabilire un principio in funzione del quale chi ha delle responsabilità che incidono sulla vita delle persone” vengano chiamati a risponderne. Giachetti ha fatto riferimento tra l’altro al caso di Mohamed Salim, un cittadino bengalese accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che è finito agli arresti e ci è rimasto per 10 anni per un caso di ominimia.
M5s: “Non siamo la stampella della maggioranza, volevamo svelare la spaccatura”
I Cinque Stelle assicurano che è stato solo un modo per far emergere le contraddizioni interne al Pd e che al Senato voteranno per cancellare la norma. “Non facciamo la stampella della maggioranza – spiega la deputata Giulia Sarti - la maggioranza ha detto che avrebbe votato contro l’emendamento e noi volevamo vedere se l’avrebbero fatto davvero. Noi comunque restiamo contro questa misura e infatti al Senato voteremo di conseguenza, voto palese o segreto che sia”. Come precisa il capogruppo al Senato Maurizio Buccarella “le manovre delle larghe intese non possono essere avallate dal segreto dell’urna e specialmente su un tema così importante quale è la responsabilità civile dei magistrati. I nostri colleghi alla Camera hanno svelato con intelligenza la spaccatura interna del Pd con la loro astensione, al Senato voteremo in maniera compatta contro questo emendamento”.
Cosa prevede la norma introdotta
La Lega aveva chiesto il voto segreto sul suo emendamento, riferito all’articolo 26 della legge comunitaria. I deputati di M5S si sono astenuti. Governo e commissione avevano espresso parere contrario. In base al testo approvato, proposto dal leghista Gianluca Pini, “chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario” compiuto dal magistrato, “in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave” può agire contro lo Stato e contro il magistrato ritenuto colpevole. E può così ottenere il risarcimento dei danni. Gli oneri derivanti dall’attuazione della nuova norma vengono valutati in 2,45 milioni di euro per l’anno 2014 e in 4,9 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2015.
Zanda: “Emendamento improvvisato”. Ncd: “Non si disciplina così responsabilità”
Ora, mentre l’intero centrodestra esulta, si apre un problema politico all’interno della maggioranza e soprattutto del Pd. “Il Pd, che ha già presentato proposte di legge per affrontare in modo organico il tema della responsabilità civile dei magistrati, è contrario all’ emendamento leghista alla legge comunitaria, che grazie ad un colpo di mano del centrodestra con la complicità del M5S, è passato alla Camera – dichiara il capogruppo al Senato Luigi Zanda – Quell’emendamento, improvvisato e frettoloso, colpisce l’autonomia della magistratura. Non si affronta in questo modo un tema importante che riguarda la responsabilità di un potere dello Stato. Per questo al Senato il Pd lavorerà, quando la legge comunitaria arriverà a Palazzo Madama, per cambiare quella norma”. Perfino il Nuovo Centrodestra rallenta: “Il tema della responsabilità civile dei magistrati è di un rilievo tale da non dover essere affrontato a colpi di emendamenti contenuti in provvedimenti disciplinanti tutt’altra materia. Occorre lavorare ad un testo organico tenendo conto che l’emendamento approvato oggi contiene palesi incongruità” dichiara in una nota il viceministro alla Giustizia, Enrico Costa.
Scontro nel Pd: “Incredibili i franchi tiratori”. Il capogruppo: “Colpa di Fi e M5s”
Molti nella maggioranza parlano come se a votare fossero stati dei passanti. Invece sono state decine di parlamentari a contribuire a far passare l’emendamento della Lega. Qualcuno cerca di contribuire a un’operazione di verità: “Ha dell’incredibile che decine di franchi tiratori del Pd si siano espressi, scusate se è poco, per la responsabilità civile dei magistrati votando un emendamento occasionale e ostruzionistico della Lega alla legge comunitaria che si occupa di tutt’altro. Un mix imperdonabile di superficialità e irresponsabilità, di singoli, del gruppo parlamentare e di chi dovrebbe assicurane una direzione politica”: così Franco Monaco del Pd. “Come si può pretendere poi una disciplina militare sulla non meno delicata materia costituzionale quando anche esponenti vicini al premier incoraggiano tali scomposti comportamenti?”. E’ chiaro che il destinatario è Roberto Speranza, capogruppo democratico a Montecitorio, il quale invece la pensa così: “Si è trattato di un vero e proprio colpo di mano del centrodestra con la complicità del M5S. In parlamento esistono proposte sulla responsabilità civile dei magistrati e ritengo siano maturi i tempi affinchè la questione venga affrontata in modo serio e rigoroso. Penso sia oltremodo sbagliato trattare tale tema in modo frettoloso, attraverso un emendamento alla legge comunitaria”.
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Re: Il nuovo governo Renzi
FIUMI DI BAVA SUL PREMIER
Renzi super secondo l'Ocse? Una panzana dei giornali italiani
11 giugno 2014
Fiumi di bava hanno invaso la mattina di mercoledì 11 giugno la principale stampa italiana, che era un po' a secco di complimenti a Matteo Renzi dopo il risultato non entusiasmante dei ballottaggi di domenica. L'occasione è venuta dalla pubblicazione del super-indice Ocse che ha consentito titoloni per dire che l'Italia di Renzi è il paese più in crescita all'interno del G7. E dentro ottimismo a palate. Naturalmente è falso: il Pil italiano fa qualche passo avanti secondo le stime, ma resta ben dietro la media dell'area dell'euro. La ripresa infatti c'è dappertutto in Europa salvo che in Italia (solo Cipro è alle sue spalle).
Il super-indice Ocse non c'entra nulla con la crescita. Tecnicamente l'indice Cli (Composite Leading Indicators) fotografa alcuni dati reali dell'economia fra cui la produzione industriale mettendoli in paragone con le prospettive attese per quel paese e con i dati reali degli ultimi 6-12 mesi. E' quindi una fotografia di un paese rispetto a se stesso, che non dà origine a una classifica fra paesi che abbia senso compiuto. Per capire come la notizia dell'Italia di Renzi che va meglio di tutti gli altri paesi G7 sia puro frutto della fantasia dei giornalisti, basta guardare l'evoluzione del super-indice Ocse negli ultimi 36 mesi mettendo a confronto Italia, Germania, Francia, Spagna e Grecia. Ad aprile l'Italia sarebbe sì davanti a Germania e Francia, ma oltre un punto dietro la Spagna e ancora di più dietro la Grecia che va meglio di tutti. Essendo un confronto rispetto a quello che è avvenuto negli ultimi sei mesi, è evidente che la ripresa in Grecia e Spagna rispetto a un passato terribile alza il super-indice. Così per l'Italia, i cui fondamentali dell'economia sono assai inferiori a quelli tedeschi. La super Italia di Renzi è una panzana giornalistica bella e buona. E il super-indice Ocse andrebbe preso con le molle: come si vede in tabella il picco dell'Italia è stato raggiunto nel primo semestre 2011, alla vigilia della tempesta che avrebbe sconvolto i mercati e fatto cadere Berlusconi. Giustamente all'epoca nessuno sparse bava a fiumi come ora per il dato Ocse. Ma il servilismo della stampa italiana ha le sue stagioni. Questa è una stagione d'oro…
di Franco Bechis
http://www.liberoquotidiano.it/news/eco ... Ocse-.html
Renzi super secondo l'Ocse? Una panzana dei giornali italiani
11 giugno 2014
Fiumi di bava hanno invaso la mattina di mercoledì 11 giugno la principale stampa italiana, che era un po' a secco di complimenti a Matteo Renzi dopo il risultato non entusiasmante dei ballottaggi di domenica. L'occasione è venuta dalla pubblicazione del super-indice Ocse che ha consentito titoloni per dire che l'Italia di Renzi è il paese più in crescita all'interno del G7. E dentro ottimismo a palate. Naturalmente è falso: il Pil italiano fa qualche passo avanti secondo le stime, ma resta ben dietro la media dell'area dell'euro. La ripresa infatti c'è dappertutto in Europa salvo che in Italia (solo Cipro è alle sue spalle).
Il super-indice Ocse non c'entra nulla con la crescita. Tecnicamente l'indice Cli (Composite Leading Indicators) fotografa alcuni dati reali dell'economia fra cui la produzione industriale mettendoli in paragone con le prospettive attese per quel paese e con i dati reali degli ultimi 6-12 mesi. E' quindi una fotografia di un paese rispetto a se stesso, che non dà origine a una classifica fra paesi che abbia senso compiuto. Per capire come la notizia dell'Italia di Renzi che va meglio di tutti gli altri paesi G7 sia puro frutto della fantasia dei giornalisti, basta guardare l'evoluzione del super-indice Ocse negli ultimi 36 mesi mettendo a confronto Italia, Germania, Francia, Spagna e Grecia. Ad aprile l'Italia sarebbe sì davanti a Germania e Francia, ma oltre un punto dietro la Spagna e ancora di più dietro la Grecia che va meglio di tutti. Essendo un confronto rispetto a quello che è avvenuto negli ultimi sei mesi, è evidente che la ripresa in Grecia e Spagna rispetto a un passato terribile alza il super-indice. Così per l'Italia, i cui fondamentali dell'economia sono assai inferiori a quelli tedeschi. La super Italia di Renzi è una panzana giornalistica bella e buona. E il super-indice Ocse andrebbe preso con le molle: come si vede in tabella il picco dell'Italia è stato raggiunto nel primo semestre 2011, alla vigilia della tempesta che avrebbe sconvolto i mercati e fatto cadere Berlusconi. Giustamente all'epoca nessuno sparse bava a fiumi come ora per il dato Ocse. Ma il servilismo della stampa italiana ha le sue stagioni. Questa è una stagione d'oro…
di Franco Bechis
http://www.liberoquotidiano.it/news/eco ... Ocse-.html
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Re: Il nuovo governo Renzi
RIFORME
Sostituire o no il dissidente Corradino Mineo? Per Boschi 'Deve decidere il gruppo'
Il ministro delle riforme si rimette a Zanda affinché il Pd dimostri «una compattezza plastica». Dopo la sostituzione di Mario Mauro, al Senato cresce la tensione sul civatiano Corradino Mineo.
DI LUCA SAPPINO
11 giugno 2014
Sostituire o no il dissidente Corradino Mineo? Per Boschi 'Deve decidere il gruppo'
Sostituire o no, il dissidente dem Corradino Mineo nella commissione affari costituzionali? La decisione, per il ministro delle riforme Maria Elena Boschi «è rimessa al gruppo del Pd e al capogruppo Luigi Zanda».
Evidentemente il ministro non sente il bisogno di fugare la tentazione di un secondo cambio dopo il popolare Mauro nella composizione della commissione che dovrà licenziare il testo della riforma del Senato.
Ma Civati esprime la sua preoccupazione: «farebbe meglio a smentire, almeno in questi giorni di retorica sulla gestione unitaria», dice all’Espresso.
«Non è una mia scelta e non dipende da me» ha replicato però Boschi, senza mancare di far capire come la pensa, indicando «la necessità di avere compattezza nel gruppo Pd». Una compattezza che sia «plastica», dice Boschi, e che quindi non può prevedere voti in dissenso.
Il presidente dei Popolari per l'Italia defenestrato dalla Commissione dal suo stesso partito per essere sostituito dal capogruppo Lucio Romano, considerato più affine alla posizione della maggioranza
Se Boschi non smentisce e anzi rimanda a una decisione del gruppo, sembra aver ragione chi da settimane scrive dell’idea. In Senato sono in parecchi a denunciare questa intenzione: i civatiani, su tutti, ma anche la senatrice di Sel Loredana De Petris che ne ha parlato in aula durante il dibattito sulle dimissioni delle senatrici del Movimento 5 Stelle, o il senatore del Pd Luigi Manconi: «Trovo bizzarro anche solo ipotizzare la sostituzione del senatore Corradino Mineo in ragione del suo dissenso rispetto alla proposta di riforma del Senato avanzata dal Governo» ha detto Manconi, specificando che non condivide «le posizioni di Mineo» e non ha sottoscritto «il disegno di legge presentato dal senatore Vannino Chiti».
Il punto però, per Manconi, è che «il mandato parlamentare debba essere libero e non vincolato alle determinazioni della maggioranza parlamentare o di partito, credo che vada garantita la piena libertà di dissenso di ciascun deputato e senatore».
Manconi ripone «fiducia nel capogruppo democratico Luigi Zanda», ma il clima tra i democratici, sulle riforme, si infiamma. E Mineo rivendica il suo ruolo: «non può funzionare» dice all’Huffingtonpost, «che il premier ordina, qualcuno scrive e il Parlamento vota. Le riforme si costruiscono confrontandosi, e io, dato per assodato che occorre superare il bicameralismo, ho dei dubbi su un paio di questioni». Su tutte l’elezione indiretta dei senatori. Mineo sarebbe colpevole di «frenare le riforme», per la maggioranza del partito, per i renziani. Come lui altri 20 senatori, che però non sono in commissione.
Tra loro, Lucrezia Ricchiuti, che su Facebook scrive: «Noi non stiamo frenando nessuno ma stiamo semplicemente facendo quello che la costituzione prevede: esprimere la nostra opinione liberi da ogni mandato consapevoli che cambiare la Costituzione non è cosa di tutti i giorni e soprattutto che la modifica deve essere condivisa con grandi numeri». E il dubbio adesso è soprattutto uno: «Ci è sempre stato detto che esiste un accordo fra Renzi e Berlusconi per la modifica della Costituzione» scrive ancora Ricchiuti, «e quindi se questa notizia è vera perché mai questo accanimento con Mineo?».
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... o-1.168935
Sostituire o no il dissidente Corradino Mineo? Per Boschi 'Deve decidere il gruppo'
Il ministro delle riforme si rimette a Zanda affinché il Pd dimostri «una compattezza plastica». Dopo la sostituzione di Mario Mauro, al Senato cresce la tensione sul civatiano Corradino Mineo.
DI LUCA SAPPINO
11 giugno 2014
Sostituire o no il dissidente Corradino Mineo? Per Boschi 'Deve decidere il gruppo'
Sostituire o no, il dissidente dem Corradino Mineo nella commissione affari costituzionali? La decisione, per il ministro delle riforme Maria Elena Boschi «è rimessa al gruppo del Pd e al capogruppo Luigi Zanda».
Evidentemente il ministro non sente il bisogno di fugare la tentazione di un secondo cambio dopo il popolare Mauro nella composizione della commissione che dovrà licenziare il testo della riforma del Senato.
Ma Civati esprime la sua preoccupazione: «farebbe meglio a smentire, almeno in questi giorni di retorica sulla gestione unitaria», dice all’Espresso.
«Non è una mia scelta e non dipende da me» ha replicato però Boschi, senza mancare di far capire come la pensa, indicando «la necessità di avere compattezza nel gruppo Pd». Una compattezza che sia «plastica», dice Boschi, e che quindi non può prevedere voti in dissenso.
Il presidente dei Popolari per l'Italia defenestrato dalla Commissione dal suo stesso partito per essere sostituito dal capogruppo Lucio Romano, considerato più affine alla posizione della maggioranza
Se Boschi non smentisce e anzi rimanda a una decisione del gruppo, sembra aver ragione chi da settimane scrive dell’idea. In Senato sono in parecchi a denunciare questa intenzione: i civatiani, su tutti, ma anche la senatrice di Sel Loredana De Petris che ne ha parlato in aula durante il dibattito sulle dimissioni delle senatrici del Movimento 5 Stelle, o il senatore del Pd Luigi Manconi: «Trovo bizzarro anche solo ipotizzare la sostituzione del senatore Corradino Mineo in ragione del suo dissenso rispetto alla proposta di riforma del Senato avanzata dal Governo» ha detto Manconi, specificando che non condivide «le posizioni di Mineo» e non ha sottoscritto «il disegno di legge presentato dal senatore Vannino Chiti».
Il punto però, per Manconi, è che «il mandato parlamentare debba essere libero e non vincolato alle determinazioni della maggioranza parlamentare o di partito, credo che vada garantita la piena libertà di dissenso di ciascun deputato e senatore».
Manconi ripone «fiducia nel capogruppo democratico Luigi Zanda», ma il clima tra i democratici, sulle riforme, si infiamma. E Mineo rivendica il suo ruolo: «non può funzionare» dice all’Huffingtonpost, «che il premier ordina, qualcuno scrive e il Parlamento vota. Le riforme si costruiscono confrontandosi, e io, dato per assodato che occorre superare il bicameralismo, ho dei dubbi su un paio di questioni». Su tutte l’elezione indiretta dei senatori. Mineo sarebbe colpevole di «frenare le riforme», per la maggioranza del partito, per i renziani. Come lui altri 20 senatori, che però non sono in commissione.
Tra loro, Lucrezia Ricchiuti, che su Facebook scrive: «Noi non stiamo frenando nessuno ma stiamo semplicemente facendo quello che la costituzione prevede: esprimere la nostra opinione liberi da ogni mandato consapevoli che cambiare la Costituzione non è cosa di tutti i giorni e soprattutto che la modifica deve essere condivisa con grandi numeri». E il dubbio adesso è soprattutto uno: «Ci è sempre stato detto che esiste un accordo fra Renzi e Berlusconi per la modifica della Costituzione» scrive ancora Ricchiuti, «e quindi se questa notizia è vera perché mai questo accanimento con Mineo?».
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... o-1.168935
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Re: Il nuovo governo Renzi
Prove di fascismo - 1
Riforme, Pd sostituisce Mineo e Chiti in Commissione: volevano il Senato elettivo
Dopo il caso Mauro, fuori anche i senatori dem critici sul ddl del governo. Ora la maggioranza ha i voti per far passare il testo-base preparato dal ministro Boschi. "Hanno militarizzato la Commissione - il commento a caldo di Mineo - un autogol per il governo e per il partito". Perde il suo posto anche Vannino Chiti, autore del ddl che chiede l'elezione diretta del Senato in opposizione rispetto al testo del premier
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 11 giugno 2014Commenti (16)
Saltano altre tre poltrone in casa Pd in nome delle riforme. Il senatore ‘dissidente’ Corradino Mineo, ago della bilancia in commissione Affari costituzionali è stato sostituito con il capogruppo Luigi Zanda. Fatale la sua opposizione alla riforma del Senato fortemente voluta dal premier Renzi, contrario alla proposta di non toccare la natura elettiva dell’istituzione. E’ la seconda sostituzione in due giorni, dopo quella del senatore dei Popolari per l’Italia Mario Mauro. Ma non solo. Perde il suo posto anche Vannino Chiti, autore del ddl che chiede l’elezione diretta del Senato in aperta opposizione rispetto al disegno di legge del presidente del Consiglio. Le avvisaglie di “epurazione” erano nell’aria da giorni, oggi la decisione di accelerare. La maggioranza ‘blinda’ così i suoi 15 voti in commissione, nell’attesa del ritorno dalla Cina di Matteo Renzi e del suo incontro con Silvio Berlusconi decisivo per capire se un’intesa più larga sulle riforme sarà possibile. L’ufficio di presidenza del gruppo Pd a Palazzo Madama ha deciso di nominare i tre membri permanenti in commissione al posto degli attuali sostituti. I membri permanenti sono da oggi Luigi Zanda, Roberto Cociancich e Maurizio Migliavacca che prendono il posto di Marco Minniti, Luciano Pizzetti e Vannino Chiti. Per effetto di tale decisione Mineo, a sua volta sostituto di Minniti, non farà quindi più parte dell’organismo.
Commento amareggiato dal senatore epurato. “Il governo ha militarizzato la Commissione – ha detto Mineo a La Gabbia su La7 – un errore, non è utile né a Renzi né al governo né al partito cercare di far passare le riforme con un muro contro muro. E’ un autogol per il governo e per il partito. Mi pare abbiano commesso un errore politico”, commenta a caldo il senatore civatiano del Pd, che è tra i firmatari del ddl Chiti. “E’ una decisione che non capisco e non approvo – continua – domani vedremo, per ora posso dire che non capisco la ratio di questa scelta. Non sono io il problema, il problema è uscire dall’impasse” che si è creata sul ddl del governo. Critico anche Stefano Fassina che attacca la decisione in una nota: “È grave la sostituzione. È un errore politico. Una ferita all’autonomia del singolo parlamentare e al pluralismo interno del Pd. Un segno di debolezza per chi intende evitare di fare le riforme a colpi di maggioranza. Chiediamo alla presidenza del gruppo Pd del Senato di rivedere la decisione presa”. ”E’ la cosa più grave che potesse capitare”. il commento di Pippo Civati, deputato Pd capo della fronda interna al partito.
In soccorso dell’ex direttore di Rainews 24 arriva anche il senatore ex M5S Francesco Campanella: “Il Partito democratico sta dando un segnale pessimo sullo spirito con cui vuole portare avanti le riforme – scrive su Facebook – non solo riforme del partito di maggioranza e dell’opposizione ‘comoda’ ma anche della maggioranza della maggioranza”. Quindi l’annuncio: “Non è in questo modo che si può cambiare la Costituzione: si fermino, oppure prepariamo una manifestazione nel Paese e nell’attesa saliremo su tutti i tetti scalabili non solo quelli di Montecitorio o di Palazzo Madama”.
Dopo che gli italiani hanno espresso un forte mandato per le riforme nelle urne, con il 40,8% dei voti al Pd, non è più tempo di rallentare o frenare, non si può ricadere nelle paludi parlamentari. E’ questo il concetto che Matteo Renzi esprimerà davanti all’assemblea del Pd di sabato, richiamando tutti i membri del partito e i parlamentari alle loro responsabilità di fronte al Paese. Ma intanto in Senato il governo dà il via alla sua prova di forza, che passa attraverso i gruppi parlamentari. Per tutta la giornata si cerca di evitare lo strappo. E Anna Finocchiaro, da relatrice e presidente della I commissione, lancia quello che a posteriori suona come un ultimo appello alla ragionevolezza rivolto al senatore civatiano: “In commissione c’è un solo voto di scarto tra maggioranza e opposizione, una critica radicale come la sua pone un’alternativa tra il fare e non fare le riforme”.
Nel pomeriggio Zanda tiene i rapporti con il gruppo dei senatori ‘dissidenti’ e parla con Vannino Chiti. Ma non c’è nulla da fare. Nella I commissione di Palazzo Madama procede intanto quella che i senatori M5S definiscono polemicamente una discussione “copia-incolla”. Vengono illustrati gli emendamenti al ddl costituzionale del governo, ma il voto sulle migliaia di proposte di modifica non inizierà prima della prossima settimana. Non inizierà, con ogni probabilità, prima dell’incontro tra Renzi e Berlusconi atteso da tutti come risolutivo. Forza Italia insiste infatti nella richiesta di cambiare il testo per prevedere l’elezione diretta del Senato, ma il governo ha fin qui seccamente escluso la modifica. Le trattative proseguono a tutti i livelli alla ricerca di una soluzione, ma solo un colloquio tra i due leader potrà essere risolutivo. E rinnovare il ‘patto del Nazareno’, non solo sul superamento del Senato ma anche sulla legge elettorale, cui si dovrà mettere mano subito dopo. “Siamo a un buono stadio: contiamo di portare il testo delle riforme in aula la prima settimana di luglio”, dice il segretario Luciano Pizzetti. Negli ultimi giorni si sarebbero compiuti, viene spiegato, passi avanti importanti sui poteri del nuovo Senato e sulle competenze delle Regioni nella riforma del titolo V della Carta. Ma serve un’intesa tra i leader sui nodi irrisolti, per andare avanti.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... o/1024088/
Riforme, Pd sostituisce Mineo e Chiti in Commissione: volevano il Senato elettivo
Dopo il caso Mauro, fuori anche i senatori dem critici sul ddl del governo. Ora la maggioranza ha i voti per far passare il testo-base preparato dal ministro Boschi. "Hanno militarizzato la Commissione - il commento a caldo di Mineo - un autogol per il governo e per il partito". Perde il suo posto anche Vannino Chiti, autore del ddl che chiede l'elezione diretta del Senato in opposizione rispetto al testo del premier
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 11 giugno 2014Commenti (16)
Saltano altre tre poltrone in casa Pd in nome delle riforme. Il senatore ‘dissidente’ Corradino Mineo, ago della bilancia in commissione Affari costituzionali è stato sostituito con il capogruppo Luigi Zanda. Fatale la sua opposizione alla riforma del Senato fortemente voluta dal premier Renzi, contrario alla proposta di non toccare la natura elettiva dell’istituzione. E’ la seconda sostituzione in due giorni, dopo quella del senatore dei Popolari per l’Italia Mario Mauro. Ma non solo. Perde il suo posto anche Vannino Chiti, autore del ddl che chiede l’elezione diretta del Senato in aperta opposizione rispetto al disegno di legge del presidente del Consiglio. Le avvisaglie di “epurazione” erano nell’aria da giorni, oggi la decisione di accelerare. La maggioranza ‘blinda’ così i suoi 15 voti in commissione, nell’attesa del ritorno dalla Cina di Matteo Renzi e del suo incontro con Silvio Berlusconi decisivo per capire se un’intesa più larga sulle riforme sarà possibile. L’ufficio di presidenza del gruppo Pd a Palazzo Madama ha deciso di nominare i tre membri permanenti in commissione al posto degli attuali sostituti. I membri permanenti sono da oggi Luigi Zanda, Roberto Cociancich e Maurizio Migliavacca che prendono il posto di Marco Minniti, Luciano Pizzetti e Vannino Chiti. Per effetto di tale decisione Mineo, a sua volta sostituto di Minniti, non farà quindi più parte dell’organismo.
Commento amareggiato dal senatore epurato. “Il governo ha militarizzato la Commissione – ha detto Mineo a La Gabbia su La7 – un errore, non è utile né a Renzi né al governo né al partito cercare di far passare le riforme con un muro contro muro. E’ un autogol per il governo e per il partito. Mi pare abbiano commesso un errore politico”, commenta a caldo il senatore civatiano del Pd, che è tra i firmatari del ddl Chiti. “E’ una decisione che non capisco e non approvo – continua – domani vedremo, per ora posso dire che non capisco la ratio di questa scelta. Non sono io il problema, il problema è uscire dall’impasse” che si è creata sul ddl del governo. Critico anche Stefano Fassina che attacca la decisione in una nota: “È grave la sostituzione. È un errore politico. Una ferita all’autonomia del singolo parlamentare e al pluralismo interno del Pd. Un segno di debolezza per chi intende evitare di fare le riforme a colpi di maggioranza. Chiediamo alla presidenza del gruppo Pd del Senato di rivedere la decisione presa”. ”E’ la cosa più grave che potesse capitare”. il commento di Pippo Civati, deputato Pd capo della fronda interna al partito.
In soccorso dell’ex direttore di Rainews 24 arriva anche il senatore ex M5S Francesco Campanella: “Il Partito democratico sta dando un segnale pessimo sullo spirito con cui vuole portare avanti le riforme – scrive su Facebook – non solo riforme del partito di maggioranza e dell’opposizione ‘comoda’ ma anche della maggioranza della maggioranza”. Quindi l’annuncio: “Non è in questo modo che si può cambiare la Costituzione: si fermino, oppure prepariamo una manifestazione nel Paese e nell’attesa saliremo su tutti i tetti scalabili non solo quelli di Montecitorio o di Palazzo Madama”.
Dopo che gli italiani hanno espresso un forte mandato per le riforme nelle urne, con il 40,8% dei voti al Pd, non è più tempo di rallentare o frenare, non si può ricadere nelle paludi parlamentari. E’ questo il concetto che Matteo Renzi esprimerà davanti all’assemblea del Pd di sabato, richiamando tutti i membri del partito e i parlamentari alle loro responsabilità di fronte al Paese. Ma intanto in Senato il governo dà il via alla sua prova di forza, che passa attraverso i gruppi parlamentari. Per tutta la giornata si cerca di evitare lo strappo. E Anna Finocchiaro, da relatrice e presidente della I commissione, lancia quello che a posteriori suona come un ultimo appello alla ragionevolezza rivolto al senatore civatiano: “In commissione c’è un solo voto di scarto tra maggioranza e opposizione, una critica radicale come la sua pone un’alternativa tra il fare e non fare le riforme”.
Nel pomeriggio Zanda tiene i rapporti con il gruppo dei senatori ‘dissidenti’ e parla con Vannino Chiti. Ma non c’è nulla da fare. Nella I commissione di Palazzo Madama procede intanto quella che i senatori M5S definiscono polemicamente una discussione “copia-incolla”. Vengono illustrati gli emendamenti al ddl costituzionale del governo, ma il voto sulle migliaia di proposte di modifica non inizierà prima della prossima settimana. Non inizierà, con ogni probabilità, prima dell’incontro tra Renzi e Berlusconi atteso da tutti come risolutivo. Forza Italia insiste infatti nella richiesta di cambiare il testo per prevedere l’elezione diretta del Senato, ma il governo ha fin qui seccamente escluso la modifica. Le trattative proseguono a tutti i livelli alla ricerca di una soluzione, ma solo un colloquio tra i due leader potrà essere risolutivo. E rinnovare il ‘patto del Nazareno’, non solo sul superamento del Senato ma anche sulla legge elettorale, cui si dovrà mettere mano subito dopo. “Siamo a un buono stadio: contiamo di portare il testo delle riforme in aula la prima settimana di luglio”, dice il segretario Luciano Pizzetti. Negli ultimi giorni si sarebbero compiuti, viene spiegato, passi avanti importanti sui poteri del nuovo Senato e sulle competenze delle Regioni nella riforma del titolo V della Carta. Ma serve un’intesa tra i leader sui nodi irrisolti, per andare avanti.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... o/1024088/
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