Intanto nei Palazzi del Potere succede che ...

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erding
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Re: Intanto nei Palazzi del Potere succede che ...

Messaggio da erding »

Nessun inghippo,

per pubblicare una foto bisogna avere un dominio personale.
Caro Jo, questo era già chiaro. Per fare qualcosa, non c'è volontà che tenga se non se ne ha la possibilità.
L'immagine l'ho inviata tempo fa a lucfig in modo che a pubblicasse con lo stesso indirizzo ... ma ancora niente!
Questo ...è meno chiaro.


un saluto erding
iospero
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Re: Intanto nei Palazzi del Potere succede che ...

Messaggio da iospero »

Renzi, il bulletto che fa il premier


di Alessandro Robecchi | 14 giugno 2014
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Chissà cos’hanno pensato i dirigenti del più grande Partito Comunista del mondo quando hanno visto Matteo Renzi occuparsi di Corradino Mineo. Abituati a leader occidentali che vanno lì a parlare dei dissidenti loro, vederne uno che da Pechino si occupa dei dissidenti suoi li avrà divertiti un bel po’. Poi, appena tornato in patria, il premier ha fatto tutta la classifica delle sue proprietà. Mio il 41%, miei i voti delle europee, mio il partito, e mio anche il Paese, che “non si può lasciare in mano a Corradino Mineo” (che è un po’ come sparare alle zanzare con un lanciamissili, diciamo). Tipica sindrome del possesso: è tutto suo, ce ne sarebbe abbastanza per uno studio sul bullismo. Studio già fatto, peraltro, perché pare che il paese proceda di bulletto in bulletto.

Prima quello là, il Bettino degli “intellettuali dei miei stivali”, che Renzi ha voluto rivisitare con i “professoroni”, con contorno di gufi e rosiconi (al cicca-cicca manca pochissimo, prepariamoci). Poi quell’altro, Silvio nostro, parlandone da vivo, che rombava smarmittato dicendo che “dieci milioni di voti” lo mettevano al riparo dalla giustizia. Non diversissimo dal nuovo venuto, secondo cui “dodici milioni di voti” (suoi, ça va sans dire) sono un’investitura per fare quello che vuole senza se e senza ma. Insomma, che le elezioni europee fossero un voto per la riforma del Senato era meglio dirlo prima, non dopo. Ora, si trema all’idea di cosa, ex-post, tutti quei voti possano giustificare, dallo scudetto alla Fiorentina alla riforma della giustizia, dalla rimozione dei senatori scomodi alla renzizzazione selvaggia del partito.

Come sempre quando si va di fretta, non mancano i testacoda. Il “lo cambieremo al Senato” (il voto della Camera sulla responsabilità dei giudici), detto da uno che il Senato lo vuole abolire. Oppure il famoso lodo “Daspo e calci nel sedere” ai politici corrotti, che si è tramutato in silenzio di tomba quando il sindaco di Venezia è tornato, dopo un patteggiamento, al suo posto. Se n’è andato lui, Orsoni, e sbattendo la porta, senza nessun Daspo e nessun calcio nel sedere (pare che intenda tirarne lui qualcuno al Pd, piuttosto). Ora, forgiata una falange di fedelissimi (persino i giornali amici e compiacenti ormai li chiamano “i colonnelli”) è bene dire che nessuno si sente al sicuro. Ne sa qualcosa Luca Lotti che per zelo ebbe a dire che Orsoni non era del Pd: Renzi lo sbugiardò a stretto giro, come dire, va bene essere più realisti del re, ragazzi, ma ricordiamoci chi è il re. Tanto, che uno sia del Pd oppure no è irrilevante: quel che conta è se è di Renzi oppure no. Perché Giggi er bullo vince sempre. Se il Pd va bene è il suo Pd. Se va male è quello vecchio e mogio di Bersani.

Un po’ come il Berlusconi padrone del Milan, che si intestava le vittorie e scaricava le sconfitte sugli allenatori. Lo stile è quello. L’avesse fatto Bersani, di levare da una commissione un senatore sgradito (magari renziano, toh) avremmo sentito gemiti e lezioncine di democrazia fino al cielo, perché anche nel “chiagni e fotti” le similitudini non mancano. E qui c’è un po’ di nemesi, a volerla dire tutta. Perché se fino a qualche tempo fa si poteva sghignazzare sulla gesta di Renzi, “Ah, l’avesse fatto Silvio”, ora siamo arrivati al punto di dire: “Ah, l’avesse fatto Pierluigi!”. Che è poi la storia di come procede a passi rapidi l’uomo solo al comando: si teorizzava qualche mese fa da parte renziana che come alleato Berlusconi fosse meglio di Grillo. Oggi si teorizza (anche coi fatti) che come socio per le riforme Berlusconi è meglio di alcuni senatori Pd, eletti per il Pd da elettori del Pd.

Quanto ai soldatini, ai pasdaran e ai guardiani della rivoluzione renziana, che sgomitano per farsi notare dal capo, devono per ora limitarsi all’arte sublime del benaltrismo. Ad ogni nota stonata del loro conducator sono costretti ad argomentare: e allora Grillo? Come se davanti a una bronchite un medico intervenisse dicendo: e la polmonite, allora? Nel merito, niente. Poveretti, come s’offrono.

Il Fatto Quotidiano, 14 giugno 2014
camillobenso
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Re: Intanto nei Palazzi del Potere succede che ...

Messaggio da camillobenso »

Riforme, qualcuno ricordi a Renzi che il futuro del paese non è di sua proprietà
di Amalia Signorelli | 14 giugno 2014Commenti (463)


Ho lasciato passare un po’ di tempo prima di scrivere di nuovo qualcosa, perché pur essendo fin dall’inizio dubbiosa sulle capacità di Matteo Renzi di realizzare i conclamati impegni che in buona parte si è autoassegnato, non volevo essere accusata dello scettico gufismo tipico dei professori (anche quando non sono professoroni). Lasciamolo lavorare, pensavo, poi giudicheremo.

Ma l’ultimo episodio che si è registrato nella Commissione Affari Costituzionali del Senato non può restare senza commento.

In primo luogo l’appello al famoso (e tra poco famigerato ) 40,8% è quanto meno arbitrario nella misura in cui lo si cita come se si trattasse della metà degli italiani, mentre con le astensioni al 45%, si tratta all’incirca di meno di un quarto.

E non mi si dica: tanto peggio per chi non è andato a votare. Accetterei questa obbiezione se avessi mai ascoltato da Renzi o, se è per questo, da qualche altro uomo politico italiano un minimo di riflessione dubbiosa e autocritica sul fatto che gli italiani che non vanno a votare forse non sono degli irresponsabili che preferiscono andare al mare, ma sono delle persone ragionevoli e perbene che non trovano nell’attuale “offerta politica” nessuno dal quale vogliono essere rappresentati. Essendo costoro all’incirca la metà degli italiani, mi pare che per chi pretende di rinnovare l’Italia, cambiare verso, ecc. ecc. dovrebbero costituire quanto meno un interrogativo.

Ancora: il 40,8% non è di Renzi, visto che abbiamo votato i nostri rappresentanti al parlamento europeo e non abbiamo affatto eletto un capo del governo italiano per incaricarlo di riformare la Costituzione. Renzi lo sa così bene che in campagna elettorale utilizzò questo argomento al contrario: precisò (mettendo le mani avanti, non si sa mai) che proprio perché si trattava di elezioni europee, il Governo non sarebbe caduto e lui non si sarebbe dimesso anche in caso di sconfitta o di risultato modestamente positivo.

Si rende conto Matteo Renzi, per il quale come singolo individuo responsabile del proprio operato il popolo italiano non ha ancora mai votato, che il futuro del paese non è di sua proprietà? Si rende conto che Mineo, Chiti e tutti gli altri autosospesi sono stati eletti e dunque legittimati a rappresentarci, mentre lui oltre alla poco seria kermesse della primarie (per nulla affatto previste dall’ordinamento costituzionale della Repubblica) non ha che il voto di esponenti di un partito (che lo hanno eletto segretario e se mai solo designato a capo del governo) e l’incarico del Presidente della Repubblica?

Sì, certo un Capo del Governo incaricato, se riceve la fiducia del parlamento è legittimato a governare. Ma non rappresenta gli italiani, la rappresentanza è propria del parlamento. E, guarda caso, questo giovane baldanzoso, veloce, energico, nel quale una parte almeno del Parlamento e del suo partito sembrava aver trovato finalmente il novello padre della patria, appena si sottopone alla prova elettorale, riceve il consenso a rappresentarli (consenso indiretto, perché si vota per le europee e non del tutto limpido, vedi capitolo 80 euro) di meno di un quarto degli italiani.

Non si tratta solo di baldanza giovanile, magari di tracotanza, prepotenza, astuzia e ignoranza del diritto costituzionale e della storia della Repubblica, difetti gravi ma pur sempre difetti. Il trattamento riservato a Mineo e a chi lo ha sostenuto e i toni minacciosi e imperativi usati verso gli eventuali dissidenti, mi hanno spaventato e preoccupato. Sono la spia di una totale insofferenza per il dissenso, per il confronto, per l’opposizione; sono la prova di un disprezzo arrogante per chi non la pensa come lui, sono l’anticipazione dell’intenzione di far vincere la propria posizione ricorrendo anche a minacce, pressioni e forzature. Tutto questo mi pare uno stile politico, un modo di fare politica che di democratico ha ben poco. E la cosa è tanto più grave se ci ricordiamo che questo modo di far politica è messo al servizio dell’approvazione di due progetti di riforma, quella del Senato e quella della legge elettorale, i cui contenuti pericolosamente autoritari e antidemocratici sono stati chiariti da critici competenti e insospettabili.

Ma forse avremmo dovuto vedere il buongiorno dal mattino, da quel mattino in cui fummo informati che per fare le riforme istituzionali l’unico alleato indispensabile e irrinunciabile era un pregiudicato espulso dal Parlamento della Repubblica per indegnità, condannato in tre livelli di giudizio per un crimine giustappunto consumato ai danni dello Stato e dunque di tutti noi e in più moralmente uno spergiuro e un traditore, poiché in quanto Presidente del Consiglio aveva giurato sulla Costituzione fedeltà alla Repubblica.

Domanda all’insegna della dietrologia: a chi serve e perché è così irrinunciabile e immodificabile questa conclamata riforma delle istituzioni?

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... a/1027356/
paolo11
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Messaggio da paolo11 »

Legge elettorale: Renzi, batti un colpo
"Correva il gennaio 2014. Renzie e i giornalai chiedevano a gran voce che il M5S andasse a "vedere le carte" della legge elettorale di Renzie, se no il Paese andava a sbattere. Altrimenti Renzie con chi altro poteva fare la legge se non con Berlusconi? E Berlusconi fu! Il pregiudicato sbattuto fuori dal Senato per merito esclusivo del M5S che chiese il voto palese e accelerò la discussione in aula, fu in seguito accolto in gran pompa da Napolitano al Quirinale come novello padre costituzionale. E chi altri poteva fare le riforme della P2 se non un condannato in via definitiva nonché ex iscritto alla P2 (tessera 1816, ndr)? La logica in questo è impeccabile.
Il M5S avviò a gennaio una discussione on line con gli iscritti, seguita da un voto, su ogni singolo punto possibile di una nuova legge elettorale con l'aiuto del professor Giannuli. La legge M5S è stata quindi depositata in Parlamento e siamo arrivati prima della legge elettorale di Renzie e Berlusconi, primi con il passo della tartaruga, ma della democrazia partecipata. Ricordate? Se non si faceva la legge entro il 25 gennaio non doveva cadere il mondo? Rileggetevi gli articoli dei quotidiani di allora. Pura comicità.
E ora? Ora sono avvenute due cose che hanno cambiato lo scenario: il M5S ha una legge approvata dai suoi iscritti (e non discussa a porte chiuse in un ufficio del Pd in via del Nazareno) e Renzi è stato legittimato da un voto popolare e non a maggioranza dai soli voti della direzione del Pd. Quindi qualcosa, anzi molto, è cambiato. La legge M5S è di impronta proporzionale, non è stata scritta su misura per farci vincere come è stato per l'Italicum, scritto per farci perdere. E ora? Se Renzi ritiene che la legge M5S possa essere la base per una discussione comune, il cui esito dovrà comunque essere ratificato dagli iscritti al M5S, Renzi batta un colpo. Il M5S risponderà. All'incontro eventuale con il Pd, che speriamo ci sia, parteciperanno i due capigruppo M5S di Camera e Senato, oltre a Danilo Toninelli, estensore tra altri della versione definitiva della legge e Luigi Di Maio come massima rappresentanza istituzionale in Parlamento nel suo ruolo di vicepresidente della Camera." Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio
Leggi e scarica la legge elettorale del M5S
http://www.beppegrillo.it/
Ciao
Paolo11
camillobenso
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Re: Intanto nei Palazzi del Potere succede che ...

Messaggio da camillobenso »

Renzi: “Noi vogliamo”. Il dizionario del rottamatore
di Antonello Caporale
| 15 giugno 2014Commenti (36)



Vuoi cambiare verso in generale o su una questione specifica? Vuoi cambiare l’Italia? O anche l’Europa? Puoi cambiare solo la tua Regione, fermarti alla tua città, o se sei timido e modesto legare l’obiettivo al tuo circolo. È bello: si può cambiare verso a tutte le ore e in ogni modo. Il piemontese Chiamparino appena eletto governatore guarda in casa sua: “Voglio far cambiare verso al Piemonte”. Il perugino Guasticchi, appena sconfitto: “Noi dobbiamo cambiare verso all’Umbria”. Anche ad Ascoli Piceno si sono battuti per cambiare verso. Figurarsi a Roma. Noi. Quasi sempre si parte col noi. Fa comunità, democrazia, condivisione, sintesi.

Si aggiunge un vogliamo. È un verbo volitivo, positivo, intransigente e ottimista. Vogliamo cosa? Cambiare, naturalmente. Il lessico renziano è basico, è una proposizione elementare, un dispositivo multifunzione. La frase inizia nello stesso modo tutte le sante mattine, e finisce allo stesso modo ogni sera. Muta il finale per necessità ma si nota che è questione accessoria. Bisogna anzitutto cambiare. E quando Matteo parla aiuta i collaboratori a capire e a ripetere. Cosicché le parole divengono identiche, le frasi simili, il periodo ugualmente breve, svelto. Il fenomeno del copia/incolla lessicale è un altro elemento che dà velocità al mondo renziano e risolve il comando in una sola parola. Ascoltato lui è fatta. Si sa già che i collaboratori edificheranno il pensiero nello stesso modo, con la medesima postura e uguale vocabolario alla mano.

Renzi: “Siamo qui per cambiare le cose non per annunciarle”. Simona Bonafè, eurodeputata: “Siamo qui per cambiare le cose non per annunciarle”. Renzi: “Non accettiamo diritti di veto da Mi-neo”. Pina Picierno, eurodeputata: “Non accettiamo che Mineo tenga in ostaggio il partito”. Renzi: “Il partito ha discusso e votato non una ma tre volte”. Luigi Zanda, capogruppoo al Senato: “Il partito ha discusso e votato non una ma quattro volte”. Renzi: “L’Italia ci chiede di fare le riforme”. Maria Elena Boschi, ministro: “È l’Italia che ci ha chiesto di fare le riforme”. Renzi: “Abbiamo una grande responsabilità” . Alessandra Moretti, eurodeputata: “La nostra responsabilità è grandissima”. Renzi: “Il voto delle primarie è stato chiaro”. Debora Serracchiani: “Il voto delle primarie è stato chiarissimo”. Renzi dopo le europee: “Vogliamo cambiare l’Europa”. Il ministro Poletti: “Vogliamo cambiare l’Europa”.

Nel fluido cammino della lingua renziana, nella riduzione a spot del pensiero, è accaduto che si dovesse affrontare casi singoli, questioni specifiche. Era dicembre e Stefano Fassina, allora viceministro del governo Letta, si ribellò al neosegretario. “Fassina chi?”, chiese Matteo. L’interrogativo ebbe un successone. Il poveretto fu asfaltato in due giorni. Si dovette dimettere e la sua figura divenne una nebulosa, l’immagine svanì e fu dichiarato il diritto all’oblio. Adesso, con l’insubordinazione di Mineo, il rapporto di forza si è fatto spaventoso e allora Renzi nemmeno si è degnato di utilizzare la spada dell’interrogativo. Il chi? è passato nella bocca di Dario Nardella, neosindaco di Firenze. La scenetta è stata preparata con cura: fila di microfoni, domanda su Mineo, un attimo di attesa. Sorrisino anticipatore e poi bum: Mineo chi? ha risposto Nardella dileguandosi immediatamente, cosicchè l’effetto fulmine è stato ancora più devastante. Mineo è morto all’istante, bruciato da un numero due, o forse tre del partito.

La grammatica renziana è rocciosa, ma l’inchiostro è indelebile. E anche l’aritmetica ha un suo sviluppo ariginale. Ogni mese due o tre riforme, e ogni ministro ad annunciarle e a spiegarle. Ieri è toccato a Marianna Madia. La pubblica amministrazione è praticamente nuova di zecca. Date, decreti, deleghe, progetti. Un terribile universo di pensieri e opere che confluiscono nel fiume di palazzo Chigi. Ogni giorno sgorga qualcosa e si espande. Destinazione ignota.

Di Matteo ce ne era uno, da oggi due. Anche Orfini, il neo presidente dell’assemblea, un oppositore a modo, ha lo stesso nome del caro leader. Che tira il filo delle riforme, e ne tratteggia la prospettiva, la forza del cambiamento, la vastità dell’innovazione con un terzo Matteo, il leghista Salvini. Tutto, come si vede, nel segno della semplificazione, della velocità, di non dare spazio ai dubbi e alle ostruzioni.
Un Matteo tira l’altro, e finalmente si cambia verso.

Il Fatto Quotidiano, 15 giugno 2014
lucfig
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Re: Intanto nei Palazzi del Potere succede che ...

Messaggio da lucfig »

da repubblica.it

" ... Ok definitivo al Decreto Irpef. La Camera ha approvato con 322 sì, 149 no e 9 astenuti. E, a sorpresa, sono arrivati al Pd anche i voti di Sel. Sinistra e Libertà di Nichi Vendola ha infatti votato sì al decreto, che ieri ha ottenuto la fiducia anche alla Camera (dopo quella al Senato). ..."

Sarà resa o alleanza ?
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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Joblack
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Re: Intanto nei Palazzi del Potere succede che ...

Messaggio da Joblack »

SEl si è venduta per 30 denari che al cambio fanno 80€
Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)

‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
camillobenso
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Re: Intanto nei Palazzi del Potere succede che ...

Messaggio da camillobenso »

Come si chiama questa malattia dell'ultima tribù della sinistra?
pancho
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Re: Intanto nei Palazzi del Potere succede che ...

Messaggio da pancho »

Sul Decreto Irpef Sel si spacca e Migliore si dimette

La tregua stracciata in poche ore, il Dl Irpef ad aprire il 'vaso di Pandora' delle tensioni interne, la resa dei conti tra Nichi Vendola e Gennaro Migliore: Sel corre verso un'implosione che, se la segreteria convocata per domani non correrà ai ripari, potrebbe velocemente tradursi in scissione. Mai come oggi, infatti, le due ali del partito - una 'miglioristà, l'altra 'vendolianà - sono sembrate più distanti, sfociando nelle dimissioni del capogruppo alla Camera prontamente accettate dal presidente di partito. E la bufera in Sel non lascia indifferente il Pd. «È possibile» allargare la maggioranza ma dal Pd non c'è alcuna caccia ai deputati, è il commento del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio. È stato un sms di Vendola - raccontano - nell'infuocata riunione del gruppo di ieri, ad accendere la miccia finale. Al capogruppo Migliore arriva l'indicazione da adottare sul voto sul Decreto degli 80 euro, quella dell'astensione. Migliore, sostenitore di un avvicinamento al Pd di Matteo Renzi e di un sì al Dl Irpef, non ci sta, e annuncia le dimissioni. La riunione termina con 17 voti favorevoli alla mozione Migliore e 15 contrari, fedeli alla linea del coordinatore Nicola Fratoianni.

Oggi, in Aula, tutto il gruppo eccetto Giulio Marcon e Nicola Airaudo, si adegua e vota sì. Ma l'incendio ormai è divampato. In una riunione successiva al voto, Vendola, giunto di gran carriera a Roma, accetta le dimissioni del capogruppo. «Un gesto responsabile», afferma, segno della consapevolezza di Migliore di non essere riuscito a tenere unito il gruppo. Poi, lo sfogo: «La differenza tra essere renziani e non renziani è quella che passa tra combattere ed arrendersi. Sel, nonostante il fascino dei vincitori, non può dichiararsi filo-renziana», afferma Vendola che, riferendosi ai fuoriusciti Aiello e Ragosta ma idealmente, anche a chi già guarda al Nazareno, avverte: «andare in soccorso dei vincitori non è certo una novità italiana». Parole subito rispedite al mittente da chi, secondo il tam tam degli ultimi giorni, è dato ormai in uscita. «Siamo enormemente delusi e non so se la segreteria servirà a ricucire», sbotta uno dei parlamentari (fino a qualche giorno fa una decina) dell'ala migliorista, parlando quasi da 'ex' e precisando come non sia l'effetto 40,8% a condurre il manipolo lontano da Sel, ma la scelta di un'opposizione forzata che non risponde neppure agli elettori.

Del resto, protestano ancora 'i miglioristi', la linea del capogruppo era già nota nell'assemblea di sabato, ma nessuno ha detto nulla. Quello raccontato dai vendoliani è però tutto un altro film: a guidare le divisioni non è altro che l'effetto Renzi e, di contrasto, la volontà si una parte del partito, a cominciare dal suo leader, di non fare da ruota di scorta al Governo. Ma a chi avanza l'ipotesi di uno 'scouting' dei renziani, miglioristi e vendoliani rispondono con un quasi unanime «non conviene» neppure al premier. Mentre chi, come Pippo Civati, è da tempo apertamente critico con il segretario-rottamatore, avanza un suggerimento: «meglio stare uniti, non è il momento».

http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/P ... 2250.shtml
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Come ho detto in un altro mio recente post, son scelte sulle quali non mi permetto di dire quale sia la piu' giusta anche se da tempo ho espresso i miei dubbi se sia piu' utile rimanere in una riserva "indiana" con questi parlamentari SEL che ormai non rispecchiano piu' la realta del suo elettorato o non sia cosa migliore rafforzare la parte sinistra all'interno del PD.
Tutto qui.
Chi ha la palla di vetro o riesce a contattare il mago Otelma,si faccia avanti per dire la sua


un salutone da Juan
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
camillobenso
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Re: Intanto nei Palazzi del Potere succede che ...

Messaggio da camillobenso »

21 GIU 2014 09:59
IL SENATO CAMBIA VERSO! TORNA L’IMMUNITÀ PARLAMENTARE PER I FUTURI SENATORI: NIENTE ARRESTO, NIENTE INTERCETTAZIONI SE NON AUTORIZZATE - CON LA MELMA SCOPERCHIATA DALLE ULTIME INCHIESTE, E’ QUANTO DI PEGGIO SI POTESSE FARE
La spina dorsale del Senato rivoluzionato è questa: 100 componenti, 95 scelti dai consigli regionali, 5 di nomina del presidente della Repubblica. Con funzioni ridotte: non voterà la fiducia al governo e il grosso delle leggi - Lo stipendio da consigliere regionale sarà portato a livello di quello dei sindaci maggiori, quindi abbassato… - -



Goffredo De Marchis per “la Repubblica”

Il patto è suggellato nero su bianco. Lo firmano Partito democratico, Forza Italia e Lega. Lo scrivono insieme Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli, i relatori della riforma che ieri hanno presentato venti emendamenti comuni. La spina dorsale del Senato rivoluzionato è questa: 100 componenti, 95 scelti dai consigli regionali, 5 di nomina del presidente della Repubblica. Con funzioni ridotte: non voterà la fiducia al governo e il grosso delle leggi.

Lo stipendio da consigliere regionale che sarà portato a livello di quello dei sindaci maggiori, quindi abbassato. Ma, a sorpresa, nel testo presentato ieri torna l’immunità parlamentare per i senatori: niente arresto, niente intercettazioni se non autorizzate. Una norma che nel provvedimento del governo non c’era. Una garanzia destinata a far discutere.

Renzi festeggia perché ora il traguardo non ha solo il limite temporale del 3 luglio, giorno in cui la riforma arriverà nell’aula di Palazzo Madama e cominceranno le votazioni. C’è un documento organico che si regge sulle gambe di tre partiti e garantisce i voti necessari per arrivare in fondo entro luglio. «È un ottimo punto di arrivo», dice il premier ai suoi collaboratori. Ha funzionato l’asse con Berlusconi, ovvero il patto del Nazareno.

L’interlocutore privilegiato è sempre stato l’ex premier, un modo per difendere la prima mossa politica di Renzi sulla scena nazionale. Era e rimane il più affidabile degli alleati. E i voti di Forza Italia sono indispensabili per condurre la barca in porto visto che il gruppo democratico al Senato resta un’incognita. I 14 senatori dissidenti infatti sono di nuovo pronti a lottare contro la riforma di Renzi. «Non molliamo », annuncia Massimo Mucchetti.
Anche della Lega il premier si fida fino a un certo punto. Non gli è piaciuto come Calderoli ha cercato di intestarsi la vittoria.

«Ha bisogno di visibilità, faccia pure. A noi interessano le riforme». Le regioni perdono competenze, competenze che tornano allo Stato. «Il Cnel sparisce. Infrastrutture, energia, commercio con l’estero, turismo tornano alla struttura centrale», elenca Renzi. Vuole dire che il federalismo c’è, ma vengono corretti i guasti dell’eccesso di autonomia locale. «Calderoli prova a rigirare la frittata facendo finta di aver vinto».

Non è così, assicurano a Palazzo Chigi. Il senatore leghista ha provato a strappare di più, ha cercato di rompere il muro innalzato da Boschi e Finocchiaro. Quando ha visto che resistevano, ha cercato al telefono Renzi. Invano perché il premier non gli ha risposto. Calderoli si è sfogato su Facebook usando la vecchia terminologia di Bossi: «Abbiamo trovato la quadra. Chi la dura la vince».

Ridimensionato il ruolo della Lega, ora il governo deve trovare la maniera migliore per non cadere in quella che considera, fin dall’inizio, la «trappola » di Beppe Grillo. Mercoledì è fissato l’incontro tra il Pd e i 5stelle. È lo stesso giorno in cui scadono i termini per presentaregli emendamenti dei singoli senatori in commissione. Per questo i grillini chiedono di anticipare di 24 ore il vertice.

Chiedono di avere un certo margine di manovra. «Noi vogliamo discutere di tutto, anche del Senato — dice il comico — Ma Renzi deve sapere: o noi o Berlusconi». L’esecutivo ha già scelto. Lo ha confermato il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi: «C’è un accordo, c’è un percorso che facciamo da tempo. È giusto ascoltare tutti ma non si cambia partner all’ultimo minuto».

Parole che scatenano la rabbia grillina contro il Pd che «preferisce stringere patti con un pregiudicato ». Ma non smuovono Renzi. Semmai sarà l’esecutivo a riaprire in parte il capitolo dell’Italicum. Ieri la Boschi non ha chiuso lo spiraglio per una legge con le preferenze o i collegi.

Del comico e della Lega il Partito democratico pensa che vanno tenuti a distanza di sicurezza dalle riforme, compresa la legge elettorale, un carro su cui vorrebbero salire se trovassero la porta spalancata di un accordo allargato per l’abolizione del Senato. Le alleanze trasversali infatti sono sempre in agguato. Nel Pd si ricompone la frangia dei 14 autosospesi poi rientrati nel gruppo.

Vogliono dare battaglia in aula se i loro emendamenti non troveranno ascolto nella commissione Affari costituzionali. «Quando il cappotto è allacciato male — esemplifica il senatore Mucchetti — inutile giocare con asole e bottoni. Devi riaprilo e allacciarlo daccapo». In parole povere, «la riforma è un obbrobrio anche con gli emendamenti Finocchiaro-Calderoli».

Mucchetti prevede una guerra a tutto campo. Consiglia di sorvegliare la vicenda del reintegro del ribelle Mario Mauro nella commissione. «Potrebbero esserci sorprese». Suggerisce a Renzi «di abbassare la cresta. I suoi paletti non sono articoli di fede. Sono scritture umane come quelle di tutti noi». E spiega che la tregua col capogruppo Luigi Zanda è molto chiara: «L’articolo 67 sull’assenza del vincolo di mandato vale in commissione e in aula. I nostri emendamenti ci saranno».

È fondamentale, per rispettare i tempi e per non riscrivere tutto daccapo, avere i voti necessari. Con Forza Italia e la maggioranza di governo, i dissensi del Pd saranno assorbiti senza problemi. Ma la partita in casa democratica è solo all’inizio. «Forza Italia è in sofferenza, l’Ncd ha idee simili alle nostre. E non difendiamo i diritti dei cittadini di eleggere i senatori, non una casta», avverte Chiti. Che aggiunge: «Speriamo che Alfano mantenga una posizione per più di 12 ore e non si allinei a Renzi. Almeno stavolta ». Quello che si è mosso nell’Udc, in Scelta civica, in Sel dopo l’uscita dei filo-renziani, dovrebbe mettere al riparo Renzi e la sua riforma.

L’obiettivo è la prima lettura entro luglio, che consentirebbe poi all’esecutivo di concentrarsi esclusivamente sui temi economici e sul semestre di presidenza italiana della Ue. «Ora la commissione può cominciare a discutere e a votare per garantire quei tempi che avevamo promesso ed arrivare presto al voto in aula», dice Anna Finocchiaro. L’ostacolo vero è rappresentato proprio dal voto finale di tutti i senatori. Ma un successo immediato nella commissione lascerebbe ai dissidenti dei partiti del patto uno spazio di manovra molto ridotto. Sarebbe difficile rimettere in discussione l’impianto della riforma.
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