Le supercazzole: La riforma elettorale

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camillobenso
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Le supercazzole: La riforma elettorale

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Video incontro integrale M5S-Pd.
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Legge elettorale: Di Maio, Renzi e la ‘governabilità berlusconiana’
di Emiliano Liuzzi | 25 giugno 2014Commenti (94)


I giornali si affretteranno a dire chi ha vinto. La questione, visto che si parla di legge elettorale, non lo prevede, devono vincere i potenziali elettori, che non a caso sono sempre meno. Due cose, però, appaiono subito evidenti: Matteo Renzi ha fatto il suo monologo e le sue battute, Luigi Di Maio gli ha tenuto testa, ma lo streaming è stato un grande talk show. Potevano dirselo al telefono che avrebbero pubblicato su internet i punti nodali. C’è una timida apertura a dialogare, ma non di più. Chi ha partecipato a una qualsivoglia trattativa sa bene che non è questo il sistema, cioè cercare di vincere all’esterno, negli occhi di chi guarda. Si cercano i meriti di sostanza che l’una e l’altra parte ritiene invalicabili e si cerca molto banalmente di cedere all’interlocutore su alcuni punti. E altrettanto devono fare gli altri.

Renzi è andato all’incontro con una legge elettorale già in tasca, che ha già iniziato un iter. Ha elencato cinque punti intoccabili. Non sembra essere pronto a cedere su niente che i Cinque stelle propongono, se non una molto vaga (tipicamente renziana) apertura sulle preferenze. Tanto valeva rimanesse a casa, così come gli altri commensali che non hanno aperto bocca, in testa Alessandra Moretti, portata al tavolo come campionessa di preferenze.

Il problema della governabilità, sbandierato da vent’anni, soprattutto da un signore che si chiama Berlusconi, esiste. Ma né il Democratellum dei Cinquestelle né l’Italicum di Renzi lo risolvono. Le grandi coalizioni, anche quelle annunciate da un patto pre elettorale, in questi anni, hanno fallito. Nel 1994 il governo è caduto per la Lega, che si presentava con Berlusconi. E’ accaduto a Prodi quando Bertinotti ha staccato la spina è accaduto, per ultimo a Letta, dove il paradosso fu che a decidere la fine del governo è stato il suo partito stesso. Un po’ come facevano le correnti democristiane di lontana memoria.

Come si fa dunque a parlare di governabilità la sera delle elezioni? Con quale credibilità può farlo Renzi, che è presidente del consiglio grazie a quello che non è uscito dalle urne?

Terzo punto, e ultimo: è possibile imbastire una trattativa senza le due persone grazie alle quali oggi Renzi sopravvive? Qualcuno è disposto a credere che sia Alfano che Berlusconi possano dire sì, accordatevi voi, noi stiamo a guardare? Salterebbero tutti i piani di Renzi e Napolitano: le riforme. Che non sono la legge elettorale, ma una questione più vasta, complessa e pericolosa. Dunque una legge elettorale ci sarà, ma sarà firmata da Renzi, Berlusconi, Alfano e Salvini. Il resto si chiama propaganda. Disponibilità al dialogo formale e non a quello sostanziale. I Cinquestelle hanno guadagnato un briciolo di responsabilità che da sempre viene loro imputata. Renzi è stato il solito Renzi, molto evanescente, ancora immerso in una campagna elettorale (Moretti prende preferenze, voi no; voi vi alleate non Farage). Propaganda continua, nonostante le elezioni nelle intenzioni non sarebbero dietro l’angolo. Ma il quadro cambia spesso e con facilità.

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camillobenso
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Re: Le supercazzole: La riforma elettorale

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Legge elettorale: Renzi, Di Maio e il cerino
di Luisella Costamagna | 25 giugno 2014Commenti (625)

Alcuni commenti a caldo dopo l’incontro tra Pd e M5S sulla legge elettorale:

1. Renzi non doveva essere presente, ma le sirene dello streaming senza il pari leader Grillo sono state irresistibili. A conferma che l’uomo è furbo, capace mediaticamente, ma anche un po’ scorretto. Convinto di conquistare la scena si è però trovato sulla strada due ostacoli imprevisti: Di Maio e Toninelli, entrambi molto bravi nel merito e dialetticamente.

2. E’ stato un dialogo civile, interessante, senza esclusione di colpi e con tempi televisivi praticamente perfetti da parte di tutti gli interlocutori. Da ospiti tv esperti si sono presi/tolti/scambiati/conquistati spazi di parola con grande rispetto, fluidità e senza bisogno di un moderatore. La prova dell’inutilità – ormai – dei conduttori dei talk politici?

3. Nel merito, Renzi ha cercato ostinatamente di lanciare la palla nel campo avversario, elencando i meriti (demeriti?) dell’Italicum e chiedendo ai Cinque stelle se ci stavano o no. Ottima strategia, che l’ha portato però addirittura a rinnegare se stesso e il suo governo, quando ha detto che la loro legge elettorale vuole dire “no a inciuci e larghe intese”. Il suo governo è esattamente questo: il frutto di un inciucio e di larghe intese mai scelte dagli elettori. In parte, per la verità, l’ha ammesso, ma come fa a obiettare ai 5S che è meglio scegliere le alleanze prima delle elezioni, davanti ai cittadini, se poi tanto non vengono rispettate, come ha fatto il Pd?

4. Se – ripeto – la strategia di Renzi di lasciare il cerino in mano ai grillini è stata giusta, e alla fine il premier ha ottenuto di elencare online i punti dell’Italicum su cui vorrebbe risposte da loro, altrettanto dovrebbe fare il M5S. La partita di poker della politica (che già evocai in occasione della proposta di dialogo dei 5S) mica è finita, anzi prosegue. E Grillo non può permettersi di dire “No, lascio”, ridando fiato ai suoi tanti detrattori e alla cantilena “dice sempre No”. Perché l’eventuale ‘no’ non lo fanno dire a Renzi? Perché alle sue proposte non rispondono online con le loro proposte, sul loro Democratellum, chiedendo: ci stai o no? Tre elementi per tutti: il Pd (ovvero Renzi) è favorevole o contrario alle preferenze? E’ favorevole o contrario a liste pulite, con bocciatura dei candidati impresentabili? E’ favorevole o contrario a un ballottaggio tra i due partiti – e non le coalizioni – che hanno preso il maggior numero di voti, per garantire la governabilità? Sono queste le tre questioni cruciali su cui si fonda l’asse Pd-Fi e che Berlusconi non potrebbe mai accettare. Ma Renzi – che ha sempre ripetuto che le preferenze le voleva ma gliel’ha tolte Berlusconi, e così le liste pulite e il resto – dice no o si? Ovvero ci fa capire, finalmente e definitivamente: #staconBerlusconi o #staconGrillo? Purtroppo siamo ancora lì…

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camillobenso
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Re: Le supercazzole: La riforma elettorale

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Laura Puppato:
Legge elettorale: tra Pd e M5S finalmente un confronto politico. Ora Grillo decida cosa accettare




La buona notizia è che questa volta c’è stato un vero confronto tra Pd e M5S, con posizioni costruttive da ambedue le parti, non solo un soliloquio arrabbiato. Un confronto abbastanza serrato, molto tattico, se vogliamo, ma avvenuto tra due forze che per la prima volta cercano di essere amiche, dopo oltre un anno vissuto in un crescendo di tensione. Le due “squadre” hanno marcato il territorio, come era naturale e hanno cercato di cogliere i punti di contatto, dove creare affinità. Il risultato definitivo di oggi lo vedremo tra qualche mese, ma i primi segnali li riceveremo già nei prossimi giorni.

Il Pd la mossa l’ha fatta, con una legge elettorale provata alla Camera e pronta per il Senato, ha accettato di parlare di un disegno diverso. Tocca al Movimento 5 Stelle ora, decidere su cosa può accettare il confronto e su cosa no, consapevoli del fatto che il disegno finale non potrà essere identico a quello con cui sono arrivati al confronto di oggi. A prescindere dalle considerazioni di ciascuno sull’Italicum, nessuno può oggettivamente discutere il passo del Pd. Il nostro partito ha doppiato il M5S alle ultime elezioni, ha già un accordo di massima con le altre forze per la legge elettorale e le riforme costituzionali, potrebbe legittimamente perseguire il percorso iniziato, ma, come ha detto Renzi “le regole si scrivono assieme”, non senza dunque il secondo partito d’Italia. Il M5S ha riconosciuto la legittimità del Governo, tramite il blog di Beppe Grillo, ora deve riconoscere l’importanza dei tempi d’azione. In questi mesi le riforme sono proseguite, il M5S se ne è chiamato fuori e, rientrando ora in partita, non può chiedere che quanto fatto finora sia messo da parte e si ricominci da capo. Le premesse quindi, sono buone, ma gli sviluppi dovranno confermarle.

Per il momento prendiamoci quanto di buono. Gli elettori hanno ben definito le posizioni delle due forze e hanno premiato la volontà del Governo di procedere in una direzione (con buona pace delle belle citazioni dei vinai aretini). Entrambe le forze si sono riconosciute come legittime e ora hanno aderito ad un progetto di confronto sulla legge elettorale. Il confronto di oggi è stato politico, per imparare a parlare un linguaggio comune, ora la parola passerà a questioni più tecniche per sperare in un disegno comune, senza dimenticare che in Parlamento risiedono altre forze, che pur nei loro limiti di dimensione e di etica (elemento, comunque, sempre soggettivo), rappresentano anch’esse milioni di Italiani. Le regole si scrivono assieme, a tutti.


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camillobenso
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Peter Gomez:
Renzi, dall’anti-casta all’impunità. Metamorfosi di un leader

di Peter Gomez | 24 giugno 2014Commenti (761)


La legge sull’immunità parlamentare da concedere anche ai fortunati sindaci e consiglieri regionali che siederanno nel nuovo Senato minaccia di far finire in anticipo sul previsto la luna di miele tra Matteo Renzi e il suo 40 per cento di elettori. Tre giorni di goffo scaricabarile tra gli esponenti del Pd sulla paternità del provvedimento, amplificati dall’eloquente e imbarazzato silenzio del premier, bastano (e forse avanzano) per riportare alla mente le molte dichiarazioni in materia di privilegi della casta che tanto avevano reso popolare Renzi quando ancora era sindaco di Firenze. Frasi forti e ricche di buon senso che oggi paiono essere state pronunciate da una persona diversa dall’attuale inquilino di Palazzo Chigi: “Se dobbiamo parlare degli articoli della costituzione che parlano dei parlamentari bisognerebbe avere il coraggio di dire che i parlamentari andrebbero dimezzati e che andrebbe dimezzata anche la loro indennità”. “L’immunità aveva un valore in un altro momento, in un altro contesto”. E ancora: “Non abbiamo bisogno di dare altre garanzie ai parlamentari, ma di farli diventare sempre più normali”.

Intendiamoci, non è una novità che le bugie vadano di moda tra chi fa politica. Due secoli fa il barone Otto Von Bismark, avvertiva: “Non si mente mai così tanto prima delle elezioni, durante la guerra e dopo la caccia”. Stupisce però che, passate le Europee, Renzi non si ponga più il problema del consenso.

Solo chi non si cura del parere dei cittadini, quasi fosse certo di essere destinato a non dover più subire nell’urna il loro giudizio, può davvero credere che, in Paese rapinato e offeso dalle malefatte della propria classe dirigente, sia popolare l’idea di permettere in futuro a 95 fortunati nuovi senatori di rubare in casa propria (regioni e comuni) per poi salvarsi a Palazzo Madama.

Eppure il premier tace. Segno che per lui le questioni più importanti da risolvere sono altre. In sua vece parlano però i renziani secondo i quali “non è il caso di di mettere a rischio la riforma della Costituzione per un solo articolo” (Ivan Scalfarotto) visto che la “questione non è centrale” (Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme).

Ovviamente non è vero. Far eleggere 95 senatori da mille consiglieri regionali, un terzo dei quali sono attualmente indagati, imputati o condannati, significa popolare l’assemblea di palazzo Madama di personaggi il cui principale obbiettivo sarà quello di entrare in Senato per difendersi dai processi e regolare i propri conti con la giustizia.

Per esorcizzare il dubbio di molti (a questo punto, perfettamente legittimo) che l’emendamento sull’immunità non sia frutto di cialtroneria, ma di calcolo, il ministro Boschi ha tentato di levarsi d’impaccio accusando il presidente della commissione affari costituzionali, Anna Finocchiaro, di essersi mossa all’insaputa del governo. Poi quando documenti alla mano la compagna di partito le ha dimostrato che il governo sapeva (e condivideva) ecco che il ministro ha cambiato registro. E ha spiegato che tutti i gruppi, tranne il Nuovo centro destra, avevano presentato emendamenti per garantire il privilegio pure ai nuovi senatori non eletti dai cittadini.

Ora, anche a voler sorvolare sui distinguo (i 5 stelle ricordano di aver presentato pure due emendamenti per rendere perquisibili e intercettabili i parlamentari senza autorizzazione delle Camere), il così fan tutti della Boschi, è utile forse per ripulirsi la coscienza, ma non certo per tranquillizzare gli elettori. Mentre a Venezia l’ex sindaco Orsoni dice ai magistrati di aver incassato finanziamenti illeciti per ordine del partito (lo avrebbe mai fatto se scelto come senatore?) e gli investigatori sono sulle tracce di personaggi sospettati di aver creato fondi neri “per esponenti milanesi di Forza Italia”, un fatto è chiaro: l’impunità torna prepotentemente di moda.

A poco a poco il combinato disposto tra la nuova legge elettorale e riforma del Senato appare per quello che è: un sistema per espropriare definitivamente i cittadini dalla possibilità di scegliere i propri rappresentanti (a Montecitorio le liste saranno bloccate) e consegnare in toto la nomina delle due Camere alle segreterie dei partiti. Che in qualche caso, come monarchi illuminati, concederanno al di fuori di ogni controllo e regola il divertissement delle primarie. Povera Italia e poveri italiani. Votando Renzi pensavano di abbattere la casta. Ma se continua così molti di loro si convinceranno che l’unica rottamazione in corso è quella della speranza.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... r/1038246/
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Re: Le supercazzole: La riforma elettorale

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Legge elettorale, streaming Pd-M5S: cortesie per gli ospiti a Montecitorio
di Nanni Delbecchi | 26 giugno 2014Commenti (14)
Più informazioni su: Matteo Renzi, Streaming.



Ma che bello, ma che piacere, la ringrazio per la chiarezza, ci tengo davvero, finalmente un confronto serio e civile, complimenti per la trasmissione… Matteo Renzi deve essersi reso conto in extremis che lo si notava di più se si presentava allo streaming e coerentemente al suo stile è andato fino in fondo; non solo è andato, ma ha giocato la carta “figliol prodigo”, il buon pastore lieto di riabbracciare le pecore nere. Mai era stato così cerimonioso e accogliente, sembrava avesse dimenticato soltanto due pasticcini (ma forse li aveva dimenticati la Moretti, altrimenti non si capisce il senso della sua presenza).

Previdente, il premier, perché al quarto round anche il Movimento lo si nota di più se decide di confrontarsi. Questa, che in fondo poteva suonare come una replica, è stata invece una prima volta inevitabile. A che serve rivoluzionare la comunicazione, inseguire il fantasma della democrazia di base, se poi si fa scena muta? Se devi sbattere una porta in faccia, forse fai prima a non aprirla nemmeno, quella porta. Se invece ci si trova a discutere sulle regole almeno in apparenza senza filtri, laddove i partiti tradizionali si infrattano al Nazareno come amanti al motel, la differenza balza agli occhi.

Renzi deve averlo capito, e ha sposato per primo questo cambio di passo, sapeva di giocare in casa e almeno per la prima parte dell’incontro il fattore campo ha pesato. Dal punto di vista mediatico i Cinque stelle sono prigionieri della loro faccia feroce; smetterla, “uscire dal blog”, è rischioso quanto abbandonarla, ma quello che proprio non si può fare è tenere i piedi in due scarpe. Grillo lo si è notato di più perché non è venuto, ma la vera incognita stava nel capire chi avrebbe riempito quel vuoto. La sensazione è che Luigi Di Maio possa farcela, ma vanno migliorati cast e scenografia.

La sala di Montecitorio faceva molto consiglio di amministrazione; niente a vedere con l’effetto “notte prima degli esami” del terreo faccia a faccia Bersani-Lombardi-Crimi e anche col precedente match Matteo-Beppe, che sembrava sceneggiato dall’Antonioni della trilogia dell’incomunicabilità. Questa volta, più arsenico e vecchi merletti. Brevi scambi di battute con Renzi che vinceva ai punti, ma senza mai mandare a tappeto Di Maio. “Vi siete rimangiati la parola data”, “Anche voi avevate detto che Bersani sarebbe diventato presidente del consiglio”, “È colpa vostra se non è successo…”.

Da antologia il momento in cui si sono interrotti per dirsi che non si interrompevano. A un certo punto Renzi ha evocato pure il fantasma di Ric e Gian, forse non del tutto casualmente. Un pericolo che Di Maio e il Movimento, smettendo la faccia feroce, non devono sottovalutare. Attenti a quei due.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... o/1040968/
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Re: Le supercazzole: La riforma elettorale

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Riforme, risiko in streaming
di Pierfranco Pellizzetti | 26 giugno 2014Commenti (58)


Santiddio quanti commenti di maniera attorno alla partita a risiko di ieri, giocata in streaming tra Renzi e M5S: “riparte il dialogo”… “il quadro politico si scongela”… Niente di tutto questo, a parere dello scrivente. Semmai un puro e semplice posizionamento tattico reciproco, in cui entrambi gli speaker dei rispettivi monologhi hanno cercato di incamerare vantaggi di immagine (rispetto al corpo elettorale) e di collocazione (nel campo del mercato politico). Solo il tempo ci farà conoscere l’effettivo vincitore, designato a consuntivo sulla base dello spazio concreto di potere occupato grazie alla messa in scena condivisa. Visto che nella fase del suo svolgimento presentava aspetti di reciproco vantaggio.

Intanto il premier ottiene il risultato non da poco di ripristinare la configurazione “a due forni” di andreottiana memoria della scena parlamentare: a questo punto può scegliere – di volta in volta – l’interlocutore più conveniente (e malleabile) per far passare i provvedimenti che gli stanno a cuore. Una rendita non da poco, che ha diffuso comprensibile nervosismo nel fronte berlusconiano (e nelle appendici alfaniane), e che i Cinquestelle hanno scambiato a fronte della benevola concessione di un accreditamento quali interlocutori certificati dallo stesso Renzi. A loro volta certificando che ormai – dopo i risultati delle elezioni europee – il premier è l’asse attorno al quale ruota l’intero caravanserraglio della politica. E il M5S lo fa con il volto più ministeriabile (in prospettiva, tra qualche anno) dei suoi: il cittadino Di Maio. Non lo poteva fare, dopo gli autogol del precedente streaming, con Beppe Grillo; più adatto ai toni abbaianti che non alle piccole perfidie, a puntura di spillo, con cui il vice presidente della Camera ha cercato di marcare una diversità (labiale) rispetto allo straripante interlocutore.

Anche in questo caso il tempo dirà l’apporto alla causa pentastellata di una mossa che va nel senso di riagganciare l’elettorato di opinione, ma che può apparire un cedimento opportunistico agli occhi dello zoccolo duro del consenso identitario.

Quello che dovrebbe apparire chiaro è l’assoluta teatralità della messa in scena, stante che sui fatidici contenuti non poteva risultare altro che un dialogo tra sordi: già prima di iniziare risultava evidente come premesse e progetti non fossero mediabili. E così è stato. L’ennesima dimostrazione di come l’aspetto “gestualità” prevalga drasticamente in una politica nella quale gli attori in scena non hanno la benché minima idea di come uscire dalla crisi strutturale in atto (che si avvia a spalancare baratri in cui sembra destinato a precipitare l’intero Paese). Ragion per cui gli astuti giovanotti (atteggiati a statisti) cercano di portare a casa il massimo di vantaggi tattici, salvandosi l’anima con parole roboanti ormai prive di senso. Prima fra cui la strombazzatissima e gettonatissima “riforma”.

Intanto viene accreditata la nuova tempistica renziana dei “mille giorni,” che espande dieci volte tanto la precedente dei “cento”. La qual cosa sembra significare che l’opinione in consolidamento tra gli addetti ai lavori – Grillo compreso (tanto da far pensare a un suo disamoramento del “giocattolo” M5S) – è quella di un’inarrestabile chiusura del quadro politico, almeno sul medio periodo.

Tanto da indurre la considerazione successiva: ci stiamo preparando a scivolare in una lunga guerra di posizione, in cui i problemi che ci affliggono potranno continuare beatamente a marcire; visto che il conflitto in cui fisiologicamente i punti di crisi dovrebbero sfociare è stato radicalmente rimosso. Nella ripresa del controllo sociale totalitario da parte dal ceto politico.

Se le analogie hanno un senso, sembrerebbe un remake del biennio 1962-1964, in cui – secondo alcuni – le partite in corso nel Paese affondarono nella “grande bonaccia del mar delle Antille”. Come la chiamò Italo Calvino.

Ma allora i margini di manovra (e di resistenza) erano infinitamente maggiori.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... g/1040650/
paolo11
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Re: Le supercazzole: La riforma elettorale

Messaggio da paolo11 »

Bisognerebbe prima di tutto fare una legge che vieti il salto della quaglia per tutta la legislatura.
Italicum.Prevede in anticipo la coulizione.Quindi se applicato quello sopra, i governi non cadono.In piu le preferenze.
Si potrebbe aquisire dal pregiudicatello il voto negativo.Modificando qualcosa.
Esempio se io sò che quella persona è un mafioso o altro lo segnalo come negativo.
Ciao
Paolo11
lucfig
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Re: Le supercazzole: La riforma elettorale

Messaggio da lucfig »

Il voto negativo per me è una sciocchezza, sia per i poveri scrutatori, sia per i poveri votanti, sia aumenterebbe il voto di scambio ....

Scenario: un candidato contro la Mafia che viene votato contro dai voti pilotati della Mafia.
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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Maucat
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Re: Le supercazzole: La riforma elettorale

Messaggio da Maucat »

Ma cosa sarebbe questa baggianata del voto negativo...?
Per sistemare le cose si deve tornare al proporzionale e le preferenze come una volta tuttalpiù con una soglia minima di voti per accedere ai seggi, niente premi di maggioranza, se vuoi la maggioranza prendi il 50,01% dei voti... senza scorciatoie.
Togliere potere ai partiti e ridarli alla gente che vota.
Un parlamentare eletto se decide di uscire dal partito con cui è stato eletto decade dal mandato e per rimpiazzarlo si rivota in quel collegio. o si prende il primo dei non eletti... Due mandati massimo e poi si ritorna a fare il mestiere di rpima: il politico non deve essere la professione di una vita intera...
Si riduce il numero dei parlamentari del 50% tanto bastano e avanzano ma io il bicameralismo lo lascerei anche se con la stessa legge elettorale e non con due sistemi elettivi come adesso.

Così tanto per cominciare... ma tanto approveranno l'ennesima legge porcata a loro favore...
erding
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Re: Le supercazzole: La riforma elettorale

Messaggio da erding »

La legge elettorale non è più una priorità
Italicum fuori dal calendario del Senato


Annunciata da Renzi come "urgentissima", la riforma è bloccata da sei mesi a Palazzo Madama

La riforma delle legge elettorale non è più una priorità e stabilire come voteranno (prima o poi) gli italiani è definitivamente secondario. L’Italiacum è uscito perfino dal rollio di esternazioni di Renzi, sparito, evaporato. La riforma calendarizzata con tempi contingentati alla Camera dal 17 marzo è parcheggia in Senato, ferma da quasi sei mesi nei cassetti della Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama.E nessuno sa quando ne verrà fuori di Thomas Mackinson

Da regina di tutte le riforme a Cenerentola del Parlamento, dei partiti e del Quirinale. A furia di correre dietro agli annunci la politica ha perso qualcosa per strada. L’orizzonte lungo mille giorni, che ha cambiato marcia al governo, rischia di fare della nuova legge elettorale una prima vittima eccellente: stabilire come voteranno (prima o poi) gli italiani sta diventando secondario. La riforma calendarizzata con tempi contingentati alla Camera dal 17 marzo è parcheggiata in Senato, ferma da quasi sei mesi nei cassetti della commissione Affari Costituzionali. E’ uscita perfino dal rollio di esternazioni di Renzi, sparita, evaporata. E nessuno sa quando ne verrà fuori. “Non è solo una priorità ma una prima risposta all’esigenza di evitare che la politica perda ulteriormente la faccia”, scandiva Renzi durante il discorso al Senato del 24 febbraio, due giorni dopo l’insediamento a Palazzo Chigi. Ancora prima dell’estate il tam tam di dichiarazioni e incontri tra le varie forze politiche faceva presagire che sarebbe stata calendarizzata in tempi rapidissimi. Così, per ora, non è stato. L’8 agosto, a sorpresa, il presidente della Commissione Anna Finocchiaro informava i colleghi che “nell’ufficio di presidenza si è convenuto che, alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva, nella seduta che sarà convocata per mercoledì 3 settembre alle ore 16,15, avrà inizio l’esame del disegno di legge n. 1577 (riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche)”. Forza Italia per prima ha avanzato la richiesta, cui si sono associate le altre forze politiche. Nicola Morra, vicepresindete della commissione e senatore del M5S, che non ha sottoscritto la richiesta riconduce la scelta a questioni di “tattica”: “Dopo le tensioni in aula provocate dalla discussione sul ddl Boschi (che abolisce il Senato, ndr), si è deciso freudianamente di prendere tempo per far decantare e metabolizzare le lacerazioni che ci sono state anche nella maggioranza”. Fonti del Pd confermano questa scelta politica, frutto di una mediazione interna al partito, che ha optato per affrontare l’Italicum dopo la prima lettura della riforma costituzionale, approvata il giorno prima della pausa estiva.

La pausa estiva però è terminata e della legge elettorale non si ha notizia. In commissione è stata data la precedenza alla delega sulla riforma della Pa che porta il nome del ministro Madia ma non aporie irriducibili e fastidiosi grattacapi per la maggioranza. Impegnerà a lungo i senatori, tanto che l’Italicum è letteralmente svanito dal calendario su cui calerà a breve l’ingombro autunnale della legge di bilancio, col rischio di rimandare alle calende greche la legge pomposamente battezzata con il nome di tutto un Paese, non di un ministro. Dopo il piano Marshall, l’Italicum. Che però, a distanza di 170 giorni, non è mai arrivato a destinazione.

Anche l’agenda del governo Renzi segna il passo sul sistema elettorale. La questione non appare neppure citata nel sito renziano “passodopopasso” presentato dal premier lunedì. Insomma, nessuno sembra più avere fretta di licenziare il testo approvato a Montecitorio. Un’altra ragione per prendere tempo, perché al Senato il testo dovrebbe ricevere modifiche sostanziali sulle quali non ci sono intese, col rischio di avventurarsi in un percorso accidentato che fa affondare nelle sabbie mobili il piede di chi vuol dar l’impressione di correre.

Ne sono consapevoli sia il premier che Berlusconi, per i quali c’è un interesse comune a non accelerare troppo i tempi. Renzi sa che il tema rischia sempre di incendiare il Pd, dove le posizioni sono rimaste diversificate e a volte opposte, in particolare su soglie di sbarramento e collegi uninominali, oggetto di discussione anche fra i partiti della stessa maggioranza. E questo rischio avrebbe dunque suggerito di procrastinare tutto, a lasciare sospesa quella spada di Damocle e concentrarsi piuttosto su altri temi, l’agenda economica, il jobs act che sono assurti a reale priorità del Paese, dopo che molti indicatori hanno dato risultati negativi.

Anche Berlusconi, si sa, vede l’Italicum come un dito nell’occhio perché avrebbe molto più da guadagnare se si andasse al voto col Consultellum, il sistema imposta dalla sentenza della Corte Costituzionale (proporzionale puro con sbarramento) che gli eviterebbe l’indicazione del candidato premier e soprattutto non porterebbe ad alcun vincitore, obbligando centrodestra e centrosinistra all’ennesimo compromesso di larghe intese.

Facile per l’opposizione mettere il dito nella piaga: “Il problema del Pd e delle altre forze politiche – infierisce Morra – è che sono arrivati a dover operare una serie di scelte che non vogliono compiere. Non solo quella di fare le riforme con un condannato, ma anche quella di preferire ancora un sistema che permettere alle segreterie di selezionare i candidati piuttosto che una logica di apertura al cosiddetto ‘mercato elettorale’, di democrazia, dove la lista dei candidati viene selezionata attraverso meccanismi partecipativi”.

Lo slittamento senza termine certo non va nella direzione auspicata da Renzi di mondare la reputazione del Parlamento. Si ricorderanno i due incontri pre-estivi tra Pd-M5S, ripresi via streaming a distanza di 25 giorni, per tentare un allargamento delle intese poi finiti nel nulla. Renzi aveva chiarito ai deputati grillini che erano arrivati tardi, non c’è più tempo. Ma ora il tempo sembra non mancare più, tanto che la riforma potrebbe restare gambe all’aria a lungo e non è detto che verrà discussa entro l’anno. Di tempo, dunque, ne avanza pure.

Ma il problema, si è capito, non è il tempo. Non a caso in questa partita si registra anche un silenzio, lassù, al Colle che sempre vigila sulle priorità del governo e incalza e monita. Napolitano proprio ieri ha strigliato le Camere sull’annosa vicenda delle nomine al Csm e alla Consulta che hanno collezionato una serie di scrutini a vuoto, inducendo il capo dello Stato ha inviare un sollecito scritto ai presidenti Grasso e Boldrini. Ma non una riga per la riforma della legge elettorale che si è persa per strada e pare uscita del tutto dai radar di partiti e governo.

In questo gioco al rimando il pensiero corre a Roberto Giachetti (Pd), il vicepresidente della Camera che proprio un anno fa riprendeva lo sciopero della fame “a oltranza” per mettere pressione all’esecutivo Letta che si era impegnato a riformare la legge, dopo la bocciatura della mozione Giachetti alla Camera (28 maggio 2013) che chiedeva l’abolizione del Porcellum e un ritorno immediato al Mattarellum, sostenuta e poi affossata per mano degli stessi colleghi del Pd che l’avevano sottoscritta. Ora la nuova legge, bella o brutta che sia, è soprattutto ferma. Che farà, riprenderà lo sciopero? “Io sono rimasto all’annuncio della Finocchiaro di agosto, secondo cui la legge sarebbe stata trattata immediatamente alla ripresa”, risponde mostrandosi fiducioso che la riforma non finirà su un binario morto. “Il fatto che in commissione vi sia anche la riforma della Pa non è un problema, almeno sul piano teorico. Capita spesso che le commissioni si occupano contemporaneamente di più provvedimenti, distribuendo per il lavoro tra sedute diverse o in orari diversi rispetto alla stessa seduta”. Ma l’esponente Pd è anche consapevole che la polemica sull’Italicum potrebbe deflagrare da un momento all’altro, aggiungendo un altro argomento forte ai venti di dissenso interno che hanno ripreso a spirare dentro il partito (D’Alema, ieri: “Governo, impegno ma risultati insoddisfacenti”). Ma non è una concessione senza condizioni: “Per quanto mi riguarda, ovviamente, se dovessi rendermi conto che vi fosse un effettivo rischio che venga dimenticata, accantonata, infognata reagirei con la medesima determinazione dello scorso anno, poi con quale mezzo lo deciderò. Ma francamente non mi pare che siamo in questa situazione”. Forse.
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