Il "nuovo" governo Renzi
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Re: Il nuovo governo Renzi
Chi capisce questo "Paese" è bravo. L'Unità ed Il Fatto accennano ad una prossima manovra, ma si dimenticano la promessa di Cicciobello in versione di venditore con tanto di slides.
Entro il mese di luglio pagheremo tutti gli arretrati della PA. (68 miliardi).
Quel pagamento è un obbligo per non incrementare fasllimenti e disoccupazione.
******
l’Unità 29.6.14
Resta il rischio manovra: nel 2015 servono 25 miliardi
L’esecutivo punta sulla crescita, ma il Paese non riparte: il sistema è ancora bloccato
Ci sarà uno «sconto» sui vincoli di bilancio italiani? Si potrà spendere di più - senza la necessità di manovre restrittive - per finanziare la crescita? Questa è la domanda che tutti oggi si fanno, ma a cui nessuno sa rispondere. Il fatto è che un accordo politico non si traduce automaticamente in miliardi o decimali di deficit o di debito. Senza contare il fatto che i protagonisti del summit di venerdì hanno tutti confermato (Renzi in primis) il rispetto degli attuali vincoli del Patto. Allora, cosa succederà ai conti italiani?
Qualcosa di più preciso si saprà al prossimo Ecofin, fissato per il 7 luglio. In quella sede si darà «sostanza tecnica » alla flessibilità evocata dal summit politico. L’Italia in quella sede confermerà il quadro disegnato nel Def e approvato dalla Commissione: pareggio nel 2016, con un leggero scostamento da «zero deficit» l’anno prossimo. Secondo alcuni osservatori è questa la flessibilità già concessa al nostro Paese. Non ce ne sarebbero altre. Secondo altri, invece, gli impegni assunti a Bruxelles venerdì scorso consegnano ai governi nazionali nuove leve da poter azionare in caso di crisi persistente.
La questione non è affatto di dettaglio, perché i numeri che ci si parano davanti per l’anno prossimo non sono affatto leggeri. Per rispettare il patto l’Italia deve correggere il deficit di mezzo punto (almeno, visto che quest’anno abbiamo ritardato il rientro). In soldoni vuol dire trovare circa 9 miliardi. Altri 10 servono per finanziare stabilmente il bonus di 80 euro, che peraltro l’esecutivo si è impegnato ad allargare anche a incapienti e pensionati. Se si aggiungono le spese incomprimibili e altre voci (come l’intervento aggiuntivo per via della crescita più fiacca di quanto stimato da Letta), si arriva a un pacchetto di 25 miliardi. Questo il dato che emerge analizzando il Def, anche se i numeri precisi si potranno fare solo in autunno, quando sarà valutata la crescita a consuntivo. Un punto su cui l’esecutivo concentra tutti i suoi sforzi. Le politiche messe in campo finora hanno avuto la crescita come stella polare. Il bonus di 80 euro per le famiglie, gli investimenti per l’edilizia scolastica e il territorio, l’aiuto al credito alle imprese, il taglio della bolletta elettrica delle aziende. È partita una miriade di interventi, ma la scossa non si vede ancora. Anzi, per Confindustria il Pil quest’anno si fermerà allo 0,2% e non allo 0,6 stimato dall’esecutivo in carica (che è già quasi la metà della stima precedente). La macchina non riparte: per questo Matteo Renzi punta i piedi sulle riforme. Il sistema Italia è inceppato: va rivisto da capo a piedi.
Il percorso è strettissimo, tanto più che contemporaneamente bisogna pensare a domare il debito, vero macigno che pesa sui cittadini per circa 80 miliardi l’anno (tanto costa pagare gli interessi sul debito). Inoltre il «rosso» accumulato sarà destinato ad aumentare per via del pagamento dei debiti della Pa, punto dolente nei rapporti tra Roma e Bruxelles. Sulla questione è stata aperta una procedura: entro l’anno si dovrà far fronte almeno ad altri 25 miliardi di pagamenti, attraverso l’intervento della cassa depositi e prestiti.
Il sentiero è a ostacoli. Tanto che i timori di una nuova stretta si susseguono. Ieri si è arrivati a ipotizzare che il passo avanti fatto a Bruxelles nasconderebbe un doppio passo indietro per l’Italia. Secondo La Repubblica l’Europa avrebbe confermato l’obbligo di rispettare gli obiettivi di medio periodo (ossia il pareggio nel 2015). In realtà il summit dei Capi di Stato e di governo di Bruxelles non è intervenuto su quel punto, già affrontato a inizio giugno. Vero è che all’ultimo Ecofin si invocò il rispetto degli obiettivi di medio termine, ma «solo per uniformità di linguaggio per tutti i Paesi» spiegò allora Pier Carlo Padoan. Tradotto: per l’Italia restano valide le raccomandazioni di inizio giugno, che non contestano il ritmo di avvicinamento al pareggio delineato nel Def. «Non si tratta di raggiungere o meno il pareggio - spiega il viceministro Enrico Morando - Si tratta solo di ritardare il ritmo di avvicinamento. Su questo punto non è stato aggiunto né tolto nulla al vertice dei capi di Stato e di governo. E la Commissione ha già dato il via libera al Def».
Sono molte, però, le condizioni necessarie perché l’Italia esca dalla trappola della crescita bassa e torni quindi a gestire il bilancio senza pesanti manovre. Bisogna costruire una nuova Pa, un nuovo fisco, una nuova giustizia. Il paese è ancora troppo fermo, in questo la svolta innescata da Renzi va nella giusta direzione. Sul fronte economico, poi, bisognerà avviare in modo stabile il processo di privatizzazioni, che dovrebbero rendere lo 0,7% di Pil (oltre 10 miliardi) all’anno. Non è facile in tempo di crisi. Infine c’è la Spending review. Da quella voce bisogna reperire 17 miliardi l’anno prossimo e 32 nel 2016: un’altra scommessa ad alto rischio.
il Fatto 29.6.14
Il rinculo della flessibilità: in autunno si rischia la manovra
di Stefano Feltri
Bruxelles. C’è soltanto una nomina per ora e neanche definitiva, quella di Jean Claude Juncker come presidente della Commissione: tra due settimane dovrà andare davanti al Parlamento europeo per chiedere una prima fiducia, poi ci tornerà una volta composta la squadra dei commissari. Una sola nomina, in questo complesso incastro tra nazioni, famiglie politiche, Paesi rigorosi e Paesi indebitati, ma si possono già vedere i primi vincitori e soprattutto i primi sconfitti.
RENZI&LETTA. Matteo Renzi è un vincitore a metà: il premier italiano, forte del 40,8 per cento alle urne, usa il suo peso elettorale per avanzare richieste. Al momento la sua scelta è quella di avere l'Alto rappresentante per la politica estera, considerato in quota socialista (il Pd in Europa è dentro il Partito socialista). Una casella di grande prestigio ma che vale zero in termini di interesse nazionale, il ministro degli Esteri dell'Unione è la persona da insultare quando l'Europa non riesce ad agire nelle crisi internazionali. Ma Renzi usa la casella in chiave politica: è quella più nobile ed è quella a cui ambisce da anni Massimo D'Alema. Renzi la prenota per Federica Mogherini, la fedelissima ministro degli Esteri. E così manda un messaggio interno e a Bruxelles: la vecchia guardia del partito – D'Alema e non solo – deve rassegnarsi all'oblio. E il fronte dei tecnocrati, la filiera europeista che da Giuliano Amato e Mario Monti arrivava fino a Enrico Letta non può più considerare le poltrone europee una spettanza automatica. Renzi in Europa si appoggerà alla Mogherini e a due renziani acquisiti come Gianni Pittella, che guiderà probabilmente il potente gruppo del Pse in Parlamento, e a Roberto Gualtieri che sarà capogruppo nella commissione che segue i dossier economici, due caselle poco appariscenti in Italia, ma che consentono grandi possibilità di azione. Secondo una fonte dell'Europarlamento, Angela Merkel avrebbe chiesto a Renzi se era disponibile a indicare Enrico Letta alla presidenza del Consiglio europeo , in caso di necessità. Il premier avrebbe risposto con un secco no. E comunque ha pubblicamente spiegato che l'Italia non chiede la guida del Consiglio perché c'è già un italiano, Mario Draghi, alla Bce. Letta è fuori, D'Alema anche, Renzi è più forte ma rinuncia a portafogli economici pesanti come Commercio e Mercato interno.
ANGELA MERKEL. La cancelliera tedesca è un portento: è riuscita a ribaltare una situazione difficile in una affermazione di forza. La Merkel era contraria al sistema degli Spitzenkandidaten, cioè il tentativo dei partiti europei di imporre ai capi di governo il presidente della Commissione abbinando le candidature al voto partitico. Non ha mai amato Jean Cluade Juncker, il candidato del Ppe, e ancor meno Martin Schulz, il suo avversario del Pse, socialista tedesco della Spd. Ma quando David Cameron ha messo il veto sul nome di Juncker, simbolo di un'Europa troppo federale e contraria agli interessi inglesi, la Merkel ha difeso il nome di Juncker, trasformandolo di fatto in un presidente di Commissione su mandato della Germania, ha sbloccato il risiko delle nomine appoggiando la riconferma di Schulz al Parlamento per i prossimi due anni e ha quasi ottenuto in anticipo la conferma di un portafoglio importante per Berlino nella nuova commissione. Il commissario sarà, di nuovo, Günther Oettinger, quasi certamente confermato all'Energia. Anche il prossimo commissario agli Affari economici, il successore di Olli Rehn, deve essere scelto tra i nomi graditi alla Merkel: probabile che sia un altro finlandese, l'ex premier Jirky Katainen, che si è dimesso dal governo con la promessa tedesca di ottenere una poltrona prestigiosa.
CAMERON&HOLLANDE. David Cameron è stato umiliato: il premier inglese ha messo il veto sul nome di Juncker per la Commissione, preoccupato che la sua nomina sia un pericoloso cedimento del Consiglio (cioè dei governi nazionali) a un'idea di Europa più federale e dove è il Parlamento a decidere. Per la prima volta il Consiglio ha votato a maggioranza invece che decidere all'unanimità: 26 con Juncker, due contro. A sostegno di Cameron è rimasto solo il leader reazionario e xenofobo dell'Ungheria, Viktor Orban. Ora Cameron, già umiliato dal successo degli indipendentisti Ukip di Nigel Farage, deve scegliere se incasare l'umiliazione o reagire spingendo Londra fuori dall'Unione col referendum previsto per il 2017. François Hollande è semplicemente non pervenuto: il debolissimo presidente francese cerca disperatamente un posto per l'ex ministro Pierre Moscovici, che ha fatto dimettere promettendogli un posto a Bruxelles, ma per ora non si ha traccia dell'attività diplomatica francese.
Entro il mese di luglio pagheremo tutti gli arretrati della PA. (68 miliardi).
Quel pagamento è un obbligo per non incrementare fasllimenti e disoccupazione.
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l’Unità 29.6.14
Resta il rischio manovra: nel 2015 servono 25 miliardi
L’esecutivo punta sulla crescita, ma il Paese non riparte: il sistema è ancora bloccato
Ci sarà uno «sconto» sui vincoli di bilancio italiani? Si potrà spendere di più - senza la necessità di manovre restrittive - per finanziare la crescita? Questa è la domanda che tutti oggi si fanno, ma a cui nessuno sa rispondere. Il fatto è che un accordo politico non si traduce automaticamente in miliardi o decimali di deficit o di debito. Senza contare il fatto che i protagonisti del summit di venerdì hanno tutti confermato (Renzi in primis) il rispetto degli attuali vincoli del Patto. Allora, cosa succederà ai conti italiani?
Qualcosa di più preciso si saprà al prossimo Ecofin, fissato per il 7 luglio. In quella sede si darà «sostanza tecnica » alla flessibilità evocata dal summit politico. L’Italia in quella sede confermerà il quadro disegnato nel Def e approvato dalla Commissione: pareggio nel 2016, con un leggero scostamento da «zero deficit» l’anno prossimo. Secondo alcuni osservatori è questa la flessibilità già concessa al nostro Paese. Non ce ne sarebbero altre. Secondo altri, invece, gli impegni assunti a Bruxelles venerdì scorso consegnano ai governi nazionali nuove leve da poter azionare in caso di crisi persistente.
La questione non è affatto di dettaglio, perché i numeri che ci si parano davanti per l’anno prossimo non sono affatto leggeri. Per rispettare il patto l’Italia deve correggere il deficit di mezzo punto (almeno, visto che quest’anno abbiamo ritardato il rientro). In soldoni vuol dire trovare circa 9 miliardi. Altri 10 servono per finanziare stabilmente il bonus di 80 euro, che peraltro l’esecutivo si è impegnato ad allargare anche a incapienti e pensionati. Se si aggiungono le spese incomprimibili e altre voci (come l’intervento aggiuntivo per via della crescita più fiacca di quanto stimato da Letta), si arriva a un pacchetto di 25 miliardi. Questo il dato che emerge analizzando il Def, anche se i numeri precisi si potranno fare solo in autunno, quando sarà valutata la crescita a consuntivo. Un punto su cui l’esecutivo concentra tutti i suoi sforzi. Le politiche messe in campo finora hanno avuto la crescita come stella polare. Il bonus di 80 euro per le famiglie, gli investimenti per l’edilizia scolastica e il territorio, l’aiuto al credito alle imprese, il taglio della bolletta elettrica delle aziende. È partita una miriade di interventi, ma la scossa non si vede ancora. Anzi, per Confindustria il Pil quest’anno si fermerà allo 0,2% e non allo 0,6 stimato dall’esecutivo in carica (che è già quasi la metà della stima precedente). La macchina non riparte: per questo Matteo Renzi punta i piedi sulle riforme. Il sistema Italia è inceppato: va rivisto da capo a piedi.
Il percorso è strettissimo, tanto più che contemporaneamente bisogna pensare a domare il debito, vero macigno che pesa sui cittadini per circa 80 miliardi l’anno (tanto costa pagare gli interessi sul debito). Inoltre il «rosso» accumulato sarà destinato ad aumentare per via del pagamento dei debiti della Pa, punto dolente nei rapporti tra Roma e Bruxelles. Sulla questione è stata aperta una procedura: entro l’anno si dovrà far fronte almeno ad altri 25 miliardi di pagamenti, attraverso l’intervento della cassa depositi e prestiti.
Il sentiero è a ostacoli. Tanto che i timori di una nuova stretta si susseguono. Ieri si è arrivati a ipotizzare che il passo avanti fatto a Bruxelles nasconderebbe un doppio passo indietro per l’Italia. Secondo La Repubblica l’Europa avrebbe confermato l’obbligo di rispettare gli obiettivi di medio periodo (ossia il pareggio nel 2015). In realtà il summit dei Capi di Stato e di governo di Bruxelles non è intervenuto su quel punto, già affrontato a inizio giugno. Vero è che all’ultimo Ecofin si invocò il rispetto degli obiettivi di medio termine, ma «solo per uniformità di linguaggio per tutti i Paesi» spiegò allora Pier Carlo Padoan. Tradotto: per l’Italia restano valide le raccomandazioni di inizio giugno, che non contestano il ritmo di avvicinamento al pareggio delineato nel Def. «Non si tratta di raggiungere o meno il pareggio - spiega il viceministro Enrico Morando - Si tratta solo di ritardare il ritmo di avvicinamento. Su questo punto non è stato aggiunto né tolto nulla al vertice dei capi di Stato e di governo. E la Commissione ha già dato il via libera al Def».
Sono molte, però, le condizioni necessarie perché l’Italia esca dalla trappola della crescita bassa e torni quindi a gestire il bilancio senza pesanti manovre. Bisogna costruire una nuova Pa, un nuovo fisco, una nuova giustizia. Il paese è ancora troppo fermo, in questo la svolta innescata da Renzi va nella giusta direzione. Sul fronte economico, poi, bisognerà avviare in modo stabile il processo di privatizzazioni, che dovrebbero rendere lo 0,7% di Pil (oltre 10 miliardi) all’anno. Non è facile in tempo di crisi. Infine c’è la Spending review. Da quella voce bisogna reperire 17 miliardi l’anno prossimo e 32 nel 2016: un’altra scommessa ad alto rischio.
il Fatto 29.6.14
Il rinculo della flessibilità: in autunno si rischia la manovra
di Stefano Feltri
Bruxelles. C’è soltanto una nomina per ora e neanche definitiva, quella di Jean Claude Juncker come presidente della Commissione: tra due settimane dovrà andare davanti al Parlamento europeo per chiedere una prima fiducia, poi ci tornerà una volta composta la squadra dei commissari. Una sola nomina, in questo complesso incastro tra nazioni, famiglie politiche, Paesi rigorosi e Paesi indebitati, ma si possono già vedere i primi vincitori e soprattutto i primi sconfitti.
RENZI&LETTA. Matteo Renzi è un vincitore a metà: il premier italiano, forte del 40,8 per cento alle urne, usa il suo peso elettorale per avanzare richieste. Al momento la sua scelta è quella di avere l'Alto rappresentante per la politica estera, considerato in quota socialista (il Pd in Europa è dentro il Partito socialista). Una casella di grande prestigio ma che vale zero in termini di interesse nazionale, il ministro degli Esteri dell'Unione è la persona da insultare quando l'Europa non riesce ad agire nelle crisi internazionali. Ma Renzi usa la casella in chiave politica: è quella più nobile ed è quella a cui ambisce da anni Massimo D'Alema. Renzi la prenota per Federica Mogherini, la fedelissima ministro degli Esteri. E così manda un messaggio interno e a Bruxelles: la vecchia guardia del partito – D'Alema e non solo – deve rassegnarsi all'oblio. E il fronte dei tecnocrati, la filiera europeista che da Giuliano Amato e Mario Monti arrivava fino a Enrico Letta non può più considerare le poltrone europee una spettanza automatica. Renzi in Europa si appoggerà alla Mogherini e a due renziani acquisiti come Gianni Pittella, che guiderà probabilmente il potente gruppo del Pse in Parlamento, e a Roberto Gualtieri che sarà capogruppo nella commissione che segue i dossier economici, due caselle poco appariscenti in Italia, ma che consentono grandi possibilità di azione. Secondo una fonte dell'Europarlamento, Angela Merkel avrebbe chiesto a Renzi se era disponibile a indicare Enrico Letta alla presidenza del Consiglio europeo , in caso di necessità. Il premier avrebbe risposto con un secco no. E comunque ha pubblicamente spiegato che l'Italia non chiede la guida del Consiglio perché c'è già un italiano, Mario Draghi, alla Bce. Letta è fuori, D'Alema anche, Renzi è più forte ma rinuncia a portafogli economici pesanti come Commercio e Mercato interno.
ANGELA MERKEL. La cancelliera tedesca è un portento: è riuscita a ribaltare una situazione difficile in una affermazione di forza. La Merkel era contraria al sistema degli Spitzenkandidaten, cioè il tentativo dei partiti europei di imporre ai capi di governo il presidente della Commissione abbinando le candidature al voto partitico. Non ha mai amato Jean Cluade Juncker, il candidato del Ppe, e ancor meno Martin Schulz, il suo avversario del Pse, socialista tedesco della Spd. Ma quando David Cameron ha messo il veto sul nome di Juncker, simbolo di un'Europa troppo federale e contraria agli interessi inglesi, la Merkel ha difeso il nome di Juncker, trasformandolo di fatto in un presidente di Commissione su mandato della Germania, ha sbloccato il risiko delle nomine appoggiando la riconferma di Schulz al Parlamento per i prossimi due anni e ha quasi ottenuto in anticipo la conferma di un portafoglio importante per Berlino nella nuova commissione. Il commissario sarà, di nuovo, Günther Oettinger, quasi certamente confermato all'Energia. Anche il prossimo commissario agli Affari economici, il successore di Olli Rehn, deve essere scelto tra i nomi graditi alla Merkel: probabile che sia un altro finlandese, l'ex premier Jirky Katainen, che si è dimesso dal governo con la promessa tedesca di ottenere una poltrona prestigiosa.
CAMERON&HOLLANDE. David Cameron è stato umiliato: il premier inglese ha messo il veto sul nome di Juncker per la Commissione, preoccupato che la sua nomina sia un pericoloso cedimento del Consiglio (cioè dei governi nazionali) a un'idea di Europa più federale e dove è il Parlamento a decidere. Per la prima volta il Consiglio ha votato a maggioranza invece che decidere all'unanimità: 26 con Juncker, due contro. A sostegno di Cameron è rimasto solo il leader reazionario e xenofobo dell'Ungheria, Viktor Orban. Ora Cameron, già umiliato dal successo degli indipendentisti Ukip di Nigel Farage, deve scegliere se incasare l'umiliazione o reagire spingendo Londra fuori dall'Unione col referendum previsto per il 2017. François Hollande è semplicemente non pervenuto: il debolissimo presidente francese cerca disperatamente un posto per l'ex ministro Pierre Moscovici, che ha fatto dimettere promettendogli un posto a Bruxelles, ma per ora non si ha traccia dell'attività diplomatica francese.
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Re: Il nuovo governo Renzi
Va bene ma se non ci sono sanzioni che obbligo è?cielo 70 ha scritto:Non va bene che la soglia sia così bassa. Così si obbliga ad avere per forza la moneta elettronica, come se uno i soldi dovesse averli sempre in banca.
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: Il nuovo governo Renzi
SinistraDem? Che ca… ne so”
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/06/ ... so/286453/
Invitato al convegno organizzato da Gianni Cuperlo (deputato Pd) a Milano, il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini in un fuorionda non nasconde la difficoltà di capire cosa sia la SinistraDem: “Che caXXo ne so”. All’uscita dal Palazzo delle Stelline, Guerini poi risponde ai cronisti, ma per un errore tecnico l’audio delle sue risposte fa interferenza con quello degli esponenti Pd che stanno intervenendo in sala. Per risolvere la situazione, esce direttamente Cuperlo, che lo invita ad andare un po più in là di Francesca Martelli
28 giugno 2014
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/06/ ... so/286453/
Invitato al convegno organizzato da Gianni Cuperlo (deputato Pd) a Milano, il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini in un fuorionda non nasconde la difficoltà di capire cosa sia la SinistraDem: “Che caXXo ne so”. All’uscita dal Palazzo delle Stelline, Guerini poi risponde ai cronisti, ma per un errore tecnico l’audio delle sue risposte fa interferenza con quello degli esponenti Pd che stanno intervenendo in sala. Per risolvere la situazione, esce direttamente Cuperlo, che lo invita ad andare un po più in là di Francesca Martelli
28 giugno 2014
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Re: Il nuovo governo Renzi
Renzi uguale a Letta e Monti All'estero tutti fenomeni, poi...
Il premier vanta (vaghi) trionfi a Bruxelles. Il predecessore si sbilanciò di più: "Fatto, ora l'immigrazione è tema europeo". Tornati a casa si scoprono i flop
Paolo Guzzanti - Dom, 29/06/2014 - 19:36
Non ricordo in quale vecchio film un generale inglese diceva: «Per vincere gli italiani in battaglia è facilissimo. Basta offrirgli la resa con l'onore delle armi e quelli sfileranno tutti contenti verso il campo di prigionia».
Era una battutaccia insultante, ma coglieva un aspetto del carattere nazionale: sbandierare come una vittoria l'onore delle armi, i complimenti a tavola, oh che bel loden, oh come parla bene il francese, oh, come è giovane, e così via.
Adesso, onestamente, che cosa abbia portato a casa Matteo Renzi in questi giorni, non si capisce. Molto onore delle armi, baci e riverenze, ma ha liquidato Enrico Letta dalla ipotesi di presidenza del Consiglio europeo dicendo che di italiani ai vertici ce n'è già abbastanza (e Letta stia sereno) e subito appiattendosi sul candidato dei tedeschi Juncker, quello che gli inglesi quando lo sentono soltanto nominare, già vomitano. Giustificazione non potabile: «Lo votiamo non perché ci convinca l'uomo, ma il metodo». Che vuol dire? Boh.
E poi? Elasticità per le nostre situazioni debitorie? Ma quando mai. Al massimo gli hanno detto, con forte accento teutonico «Se foi farete riforme che noi ciutichiamo puone, può tarsi vi tiamo caramella». Che successo, che carriera, diceva Ennio Flaiano in una delle sue epigrafi dedicata a un giornalista di Matera che alle cinque della sera scese da una millecento nera.
Per carità non fraintendeteci: se l'Italia a Bruxelles raccoglie successi e anche sorrisi nonché pacche sulle spalle, noi siamo contenti, visto che - senza rievocare gli inverecondi sghignazzi di Merkel e Sarkozy al primo ministro Berlusconi - abbiamo in genere raccolto una ostilità più o meno mascherata, quasi sempre dal fronte guidato dalla Germania che è certamente un grande Paese leader di una certa concezione dell'Europa, salvo che quella concezione che potremmo definire delle patate e delle vicine steppe, fa a pugni con l'altra concezione dell'Europa dei mari e degli oceani rappresentata dal Regno unito.
Ciò che sorprende è quel che Matteo Renzi dice al termine della sua trattativa con la Merkel e dopo aver avuto la promessa che se si faranno le riforme si allenteranno anche leggermente i cordoni della borsa. Renzi usa questa minuscola, virtuale apertura di credito per scagliarsi contro i suoi senatori dissidenti che vorrebbero mantenere il Senato elettivo. Davvero pensa che la cancellazione del Senato elettivo sia la grande riforma che tutta l'Europa si attende? A prima vista, può sembrare una presa per i fondelli. Alla seconda vista viene da dire buona la prima.
Il fatto è che da un po' l'Italia scricchiola a Bruxelles. La sinistra fa finta di credere che il peggior scricchiolamento avvenne nell'ultimo periodo del governo Berlusconi, ma è una sciocchezza, una menzogna. Berlusconi pagò politicamente una pesa di posizione politica antagonista a quella della signora Merkel. Fu allora che la sua testa cadde nel paniere, con una esecuzione mediaticamente perfetta, con i risolini, l'isolamento, le telefonate di Napolitano che bypassavano il governo e tutto quel che sappiamo. Le gaffe degli altri sono state accuratamente occultate con il fard mediatico che copre tutte le imperfezioni. Nel novembre scorso, ad esempio - governo Letta - il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni si segnalò per una conferenza stampa a Bruxelles del tutto balbettante e imprecisa in cui disse che erano «in arrivo diversi miliardi da spending Review e privatizzazioni». Poi, ritrovata la sicurezza perduta, dichiarò che «non c'è nulla da cambiare e nel 2014 raggiungeremo gli obiettivi che ci sono stati chiesti dalla Ue». Li ha visti, l'Europa, questi obiettivi raggiunti? Ma va. Pochi giorni prima Letta, dopo aver bussato alla porta dell'Ue per chiedere aiuto sul tema degli sbarchi a Lampedusa, riferì trionfante: «Passo avanti, ora è un tema europeo». Si è visto poi com'è andata.
Ricordiamo Tremonti quando, esattamente dieci anni fa, luglio del 2004, annunciò al mondo «Non andrò a Bruxelles a fare figuracce», dopo una telefonata con Fini al calor bianco. La materia del contendere era quella delle cosiddette «scatole cinesi».
Non vogliamo farla lunga e buttarla sull'aneddotica. Quel che oggi vediamo nelle imprese europee del maghetto Matteo Renzi dal veloce e ipnotizzante scilinguagnolo che piace alla nuova borghesia in cerca di stupore, è una dannata vocazione a cambiare le carte in tavola. Lo fa con maestria. Dice che abbiamo ottenuto (che lui ha ottenuto) un grandioso risultato e poi si scopre che sotto le parole non c'è nulla. La Merkel però sembra gli abbia detto che se si arrendeva gli avrebbe concesso l'onore delle armi. E per quel che sappiamo, Renzi si è allineato. È vero che anche Monti era molto allineato sulla Merkel malgrado le note gibbosità, ma Renzi si è conquistato il primo posto in classifica.
http://www.ilgiornale.it/news/esteri/re ... 32936.html
Il premier vanta (vaghi) trionfi a Bruxelles. Il predecessore si sbilanciò di più: "Fatto, ora l'immigrazione è tema europeo". Tornati a casa si scoprono i flop
Paolo Guzzanti - Dom, 29/06/2014 - 19:36
Non ricordo in quale vecchio film un generale inglese diceva: «Per vincere gli italiani in battaglia è facilissimo. Basta offrirgli la resa con l'onore delle armi e quelli sfileranno tutti contenti verso il campo di prigionia».
Era una battutaccia insultante, ma coglieva un aspetto del carattere nazionale: sbandierare come una vittoria l'onore delle armi, i complimenti a tavola, oh che bel loden, oh come parla bene il francese, oh, come è giovane, e così via.
Adesso, onestamente, che cosa abbia portato a casa Matteo Renzi in questi giorni, non si capisce. Molto onore delle armi, baci e riverenze, ma ha liquidato Enrico Letta dalla ipotesi di presidenza del Consiglio europeo dicendo che di italiani ai vertici ce n'è già abbastanza (e Letta stia sereno) e subito appiattendosi sul candidato dei tedeschi Juncker, quello che gli inglesi quando lo sentono soltanto nominare, già vomitano. Giustificazione non potabile: «Lo votiamo non perché ci convinca l'uomo, ma il metodo». Che vuol dire? Boh.
E poi? Elasticità per le nostre situazioni debitorie? Ma quando mai. Al massimo gli hanno detto, con forte accento teutonico «Se foi farete riforme che noi ciutichiamo puone, può tarsi vi tiamo caramella». Che successo, che carriera, diceva Ennio Flaiano in una delle sue epigrafi dedicata a un giornalista di Matera che alle cinque della sera scese da una millecento nera.
Per carità non fraintendeteci: se l'Italia a Bruxelles raccoglie successi e anche sorrisi nonché pacche sulle spalle, noi siamo contenti, visto che - senza rievocare gli inverecondi sghignazzi di Merkel e Sarkozy al primo ministro Berlusconi - abbiamo in genere raccolto una ostilità più o meno mascherata, quasi sempre dal fronte guidato dalla Germania che è certamente un grande Paese leader di una certa concezione dell'Europa, salvo che quella concezione che potremmo definire delle patate e delle vicine steppe, fa a pugni con l'altra concezione dell'Europa dei mari e degli oceani rappresentata dal Regno unito.
Ciò che sorprende è quel che Matteo Renzi dice al termine della sua trattativa con la Merkel e dopo aver avuto la promessa che se si faranno le riforme si allenteranno anche leggermente i cordoni della borsa. Renzi usa questa minuscola, virtuale apertura di credito per scagliarsi contro i suoi senatori dissidenti che vorrebbero mantenere il Senato elettivo. Davvero pensa che la cancellazione del Senato elettivo sia la grande riforma che tutta l'Europa si attende? A prima vista, può sembrare una presa per i fondelli. Alla seconda vista viene da dire buona la prima.
Il fatto è che da un po' l'Italia scricchiola a Bruxelles. La sinistra fa finta di credere che il peggior scricchiolamento avvenne nell'ultimo periodo del governo Berlusconi, ma è una sciocchezza, una menzogna. Berlusconi pagò politicamente una pesa di posizione politica antagonista a quella della signora Merkel. Fu allora che la sua testa cadde nel paniere, con una esecuzione mediaticamente perfetta, con i risolini, l'isolamento, le telefonate di Napolitano che bypassavano il governo e tutto quel che sappiamo. Le gaffe degli altri sono state accuratamente occultate con il fard mediatico che copre tutte le imperfezioni. Nel novembre scorso, ad esempio - governo Letta - il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni si segnalò per una conferenza stampa a Bruxelles del tutto balbettante e imprecisa in cui disse che erano «in arrivo diversi miliardi da spending Review e privatizzazioni». Poi, ritrovata la sicurezza perduta, dichiarò che «non c'è nulla da cambiare e nel 2014 raggiungeremo gli obiettivi che ci sono stati chiesti dalla Ue». Li ha visti, l'Europa, questi obiettivi raggiunti? Ma va. Pochi giorni prima Letta, dopo aver bussato alla porta dell'Ue per chiedere aiuto sul tema degli sbarchi a Lampedusa, riferì trionfante: «Passo avanti, ora è un tema europeo». Si è visto poi com'è andata.
Ricordiamo Tremonti quando, esattamente dieci anni fa, luglio del 2004, annunciò al mondo «Non andrò a Bruxelles a fare figuracce», dopo una telefonata con Fini al calor bianco. La materia del contendere era quella delle cosiddette «scatole cinesi».
Non vogliamo farla lunga e buttarla sull'aneddotica. Quel che oggi vediamo nelle imprese europee del maghetto Matteo Renzi dal veloce e ipnotizzante scilinguagnolo che piace alla nuova borghesia in cerca di stupore, è una dannata vocazione a cambiare le carte in tavola. Lo fa con maestria. Dice che abbiamo ottenuto (che lui ha ottenuto) un grandioso risultato e poi si scopre che sotto le parole non c'è nulla. La Merkel però sembra gli abbia detto che se si arrendeva gli avrebbe concesso l'onore delle armi. E per quel che sappiamo, Renzi si è allineato. È vero che anche Monti era molto allineato sulla Merkel malgrado le note gibbosità, ma Renzi si è conquistato il primo posto in classifica.
http://www.ilgiornale.it/news/esteri/re ... 32936.html
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Re: Il nuovo governo Renzi
------------------------------------peanuts ha scritto:Va bene ma se non ci sono sanzioni che obbligo è?cielo 70 ha scritto:Non va bene che la soglia sia così bassa. Così si obbliga ad avere per forza la moneta elettronica, come se uno i soldi dovesse averli sempre in banca.
A questo punto,a cosa servono gli sportelli automatici delle banche?
Ciao
Paolo11
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Re: Il nuovo governo Renzi
Questa vox populi merita di essere segnalata da sola:
Beppe A. • 23 minuti fa
"Zu Silvio ci stanno scoprendo"
"non ti preoccupare"
"ma io un po' mi preoccupo"
"staisereno.. non hai visto, come ti avevo detto, che si sarebbero subito dimenticati di quello che avevi detto durante le primarie?"
"si"
"allora vai avanti... io ci sono già passato"
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Beppe A. • 23 minuti fa
"Zu Silvio ci stanno scoprendo"
"non ti preoccupare"
"ma io un po' mi preoccupo"
"staisereno.. non hai visto, come ti avevo detto, che si sarebbero subito dimenticati di quello che avevi detto durante le primarie?"
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Re: Il nuovo governo Renzi
Riforme, Renzi rafforza il patto con Berlusconi. Grillo: “Pazzesco”
A Palazzo Chigi Berlusconi ha promesso fedeltà all'intesa del Nazareno: Italicum in discussione prima della sospensione estiva dei lavori, Senato elettivo di secondo grado. Il leader 5 Stelle attacca: "Il premier col pregiudicato, noi ancora in attesa di sapere l'orario in cui saremo ricevuti"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 3 luglio 2014 Commenti (2928)
Il patto del Nazareno regge: l’Italicum sarà incardinato al Senato prima dell’estate, mentre il Senato sarà composto da membri scelti con l’elezione di secondo grado. Per le preferenze, certo, c’è ancora speranza, almeno a sentire il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini. Ma lo spazio di manovra per il Movimento Cinque Stelle – che si era offerto quasi in zona Cesarini per avviare un dialogo – rischia di essere ora sempre più stretto. “E’ pazzesco” che l’intesa con Berlusconi regga, dice Beppe Grillo. E mentre il presidente del Consiglio Matteo Renzi vede l’ex Cavaliere per la terza volta dopo condanna, interdizione e decadenza da senatore, i grillini – protesta il leader dei Cinque Stelle - sono ancora lì che aspettano l’indicazione di un’ora alla quale essere ricevuti dal Pd. Poi l’ora è arrivata: lunedì prossimo, 7 luglio. Ma il senso della giornata di oggi non cambia.
In mattinata Renzi ha ricevuto Berlusconi nel suo appartamento di Palazzo Chigi. L’incontro è durato due ore: con i due leader i protagonisti di tutto il percorso avviato a gennaio, cioè Guerini da una parte e Gianni Letta e Denis Verdini dall’altra. Dalla sede della presidenza del Consiglio sono usciti tutti contenti. ”E’ stato confermato l’impianto dell’intesa raggiunta nei mesi scorsi. L’accordo regge – ha detto Guerini – E’ stato un incontro molto positivo nel quale si è confermato il percorso detto in passato. Continuiamo a tenere il confronto aperto con tutte le forze politiche e oggi abbiamo approfondito con Forza Italia perché abbiamo l’obiettivo di realizzare le riforme”. Dalle parti di Forza Italia non parla nessuno ufficialmente, ma le agenzie di stampa descrivono un Berlusconi quasi raggiante perché durante l’incontro ha avuto la rassicurazione che l’Italicum resterà invariato. Per dirla ancora più precisamente: il tagliando di oggi al patto di Nazareno conferma che le riforme sono tutte legate, lealtà del Pd sull’Italicum, lealtà di Forza Italia sulla riforma del Senato. Da qui la “fretta” di votare la nuova legge elettorale al Senato (dopo il primo ok di Montecitorio) già prima della sospensione dei lavori di agosto. E’ vero che per qualcuno la previsione non è proprio corretta: “Ne riparleremo a settembre” dice il capogruppo di Ncd al Senato Maurizio Sacconi. Ma d’altra parte chiudere prima della chiusura del Parlamento eviterebbe scherzi sulle preferenze, dopo l’apertura di Renzi nell’incontro con i parlamentari del Movimento Cinque Stelle. Guerini, comunque, formalmente, su questo punto lascia la porta aperta: “E’ un tema aperto su cui discuteremo con tutti”. Ma se ci fosse una classifica delle cose che Berlusconi non vuole nei testi delle riforme, le preferenze sarebbero al primo posto.
Le uniche difficoltà per il capo del governo e per il suo predecessore pregiudicato potrebbero arrivare solo dalle fronde interne. Delle “battaglie” della pattuglia di senatori del Pd guidata da Vannino Chiti ormai è noto tutto e lo stesso vale per i malumori all’interno di Forza Italia, come nei giorni scorsi ha ricordato il senatore Augusto Minzolini. Alle 15 il capo parteciperà all’assemblea dei parlamentari: lì non si escludono sorprese perché oltre all’atteggiamento sulle riforme istituzionali qualcuno come i malumori di alcuni azzurri sulla riforma del Senato ma più in generale sull’atteggiamento nei confronti del governo.
L’incontro tra Renzi e Movimento 5 stelle è invece previsto per lunedì 7 luglio e trovare punti di intesa si fa sempre più complicato. Tanto più ascoltando Guerini: “La nostra disponibilità è da sempre al confronto con tutti, un invito che alcuni hanno raccolto subito e altri solo dopo anche alla luce della nostra prova elettorale”. Le premesse non sono proprio il massimo: “Il sistema elettorale che ha proposto Grillo, il Toninellum o Complicatellum, non sta in piedi, se non dal punto di vista filosofico, perché è l’unico sistema in cui chi vince non governa”, ha detto Renzi a Porta a Porta. Ma le carte sono ancora tutte sul tavolo, dopo l’incontro del 1° luglio tra la delegazione dell’esecutivo (lo stesso premier con Moretti, Serracchiani e Speranza) e quella del Movimento (Di Maio, Toninelli, Buccarella, Carinelli). “Gli accordi con Berlusconi e Grillo non li facciamo sul governo. Se le cose funzionano bene è merito nostro, se non funzionano è colpa mia. Berlusconi fino adesso ha rispettato tutti gli impegni e spero si possa fare anche con Grillo, le regole si scrivono insieme“.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07 ... e/1048054/
A Palazzo Chigi Berlusconi ha promesso fedeltà all'intesa del Nazareno: Italicum in discussione prima della sospensione estiva dei lavori, Senato elettivo di secondo grado. Il leader 5 Stelle attacca: "Il premier col pregiudicato, noi ancora in attesa di sapere l'orario in cui saremo ricevuti"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 3 luglio 2014 Commenti (2928)
Il patto del Nazareno regge: l’Italicum sarà incardinato al Senato prima dell’estate, mentre il Senato sarà composto da membri scelti con l’elezione di secondo grado. Per le preferenze, certo, c’è ancora speranza, almeno a sentire il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini. Ma lo spazio di manovra per il Movimento Cinque Stelle – che si era offerto quasi in zona Cesarini per avviare un dialogo – rischia di essere ora sempre più stretto. “E’ pazzesco” che l’intesa con Berlusconi regga, dice Beppe Grillo. E mentre il presidente del Consiglio Matteo Renzi vede l’ex Cavaliere per la terza volta dopo condanna, interdizione e decadenza da senatore, i grillini – protesta il leader dei Cinque Stelle - sono ancora lì che aspettano l’indicazione di un’ora alla quale essere ricevuti dal Pd. Poi l’ora è arrivata: lunedì prossimo, 7 luglio. Ma il senso della giornata di oggi non cambia.
In mattinata Renzi ha ricevuto Berlusconi nel suo appartamento di Palazzo Chigi. L’incontro è durato due ore: con i due leader i protagonisti di tutto il percorso avviato a gennaio, cioè Guerini da una parte e Gianni Letta e Denis Verdini dall’altra. Dalla sede della presidenza del Consiglio sono usciti tutti contenti. ”E’ stato confermato l’impianto dell’intesa raggiunta nei mesi scorsi. L’accordo regge – ha detto Guerini – E’ stato un incontro molto positivo nel quale si è confermato il percorso detto in passato. Continuiamo a tenere il confronto aperto con tutte le forze politiche e oggi abbiamo approfondito con Forza Italia perché abbiamo l’obiettivo di realizzare le riforme”. Dalle parti di Forza Italia non parla nessuno ufficialmente, ma le agenzie di stampa descrivono un Berlusconi quasi raggiante perché durante l’incontro ha avuto la rassicurazione che l’Italicum resterà invariato. Per dirla ancora più precisamente: il tagliando di oggi al patto di Nazareno conferma che le riforme sono tutte legate, lealtà del Pd sull’Italicum, lealtà di Forza Italia sulla riforma del Senato. Da qui la “fretta” di votare la nuova legge elettorale al Senato (dopo il primo ok di Montecitorio) già prima della sospensione dei lavori di agosto. E’ vero che per qualcuno la previsione non è proprio corretta: “Ne riparleremo a settembre” dice il capogruppo di Ncd al Senato Maurizio Sacconi. Ma d’altra parte chiudere prima della chiusura del Parlamento eviterebbe scherzi sulle preferenze, dopo l’apertura di Renzi nell’incontro con i parlamentari del Movimento Cinque Stelle. Guerini, comunque, formalmente, su questo punto lascia la porta aperta: “E’ un tema aperto su cui discuteremo con tutti”. Ma se ci fosse una classifica delle cose che Berlusconi non vuole nei testi delle riforme, le preferenze sarebbero al primo posto.
Le uniche difficoltà per il capo del governo e per il suo predecessore pregiudicato potrebbero arrivare solo dalle fronde interne. Delle “battaglie” della pattuglia di senatori del Pd guidata da Vannino Chiti ormai è noto tutto e lo stesso vale per i malumori all’interno di Forza Italia, come nei giorni scorsi ha ricordato il senatore Augusto Minzolini. Alle 15 il capo parteciperà all’assemblea dei parlamentari: lì non si escludono sorprese perché oltre all’atteggiamento sulle riforme istituzionali qualcuno come i malumori di alcuni azzurri sulla riforma del Senato ma più in generale sull’atteggiamento nei confronti del governo.
L’incontro tra Renzi e Movimento 5 stelle è invece previsto per lunedì 7 luglio e trovare punti di intesa si fa sempre più complicato. Tanto più ascoltando Guerini: “La nostra disponibilità è da sempre al confronto con tutti, un invito che alcuni hanno raccolto subito e altri solo dopo anche alla luce della nostra prova elettorale”. Le premesse non sono proprio il massimo: “Il sistema elettorale che ha proposto Grillo, il Toninellum o Complicatellum, non sta in piedi, se non dal punto di vista filosofico, perché è l’unico sistema in cui chi vince non governa”, ha detto Renzi a Porta a Porta. Ma le carte sono ancora tutte sul tavolo, dopo l’incontro del 1° luglio tra la delegazione dell’esecutivo (lo stesso premier con Moretti, Serracchiani e Speranza) e quella del Movimento (Di Maio, Toninelli, Buccarella, Carinelli). “Gli accordi con Berlusconi e Grillo non li facciamo sul governo. Se le cose funzionano bene è merito nostro, se non funzionano è colpa mia. Berlusconi fino adesso ha rispettato tutti gli impegni e spero si possa fare anche con Grillo, le regole si scrivono insieme“.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07 ... e/1048054/
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Re: Il nuovo governo Renzi
Fi vuole la norma salva-Galan “Non può andare in carcere” Riforme, Renzi vede Berlusconi
(LIANA MILELLA).
03/07/2014 di triskel182
Le tappeL’ex ministro si appella al decreto del governo. Ma Orlando: “Decide il giudice” Immunità, il governo ci ripensa e oggi il premier incontra anche i 5Stelle.
ROMA - Alla vigilia di un nuovo incontro tra Renzi e Berlusconi, ma anche tra il premier e M5S, sulle riforme esplode il caso Galan. Il tema dell’immunità resta caldo, anche se il ministro Boschi lascia intendere che «la norma potrebbe cambiare in aula». Ma l’ex governatore rimette in campo la palla di un’immunità giocata in chiave super protettiva per parlamentari accusati di reati comuni. La norma non lo riguarda, e basta leggerla, ma lui cerca di approfittarne lo stesso per allontanare nel tempo la decisione della Camera sulla richiesta di arresto che incombe da Venezia. Succede che nell’ultimo decreto monstre del governo su pubblica amministrazione, poteri di Cantone, ma anche sulle misure compensative per chi ha subito un trattamento inumano in carcere, c’è pure la norma che blocca la custodia cautelare se il giudice ritiene che, alla fine di un processo, al condannato verrà inflitta una pena che non supera i tre anni.
Lo stesso decreto stabilisce che non ci può essere carcere preventivo se l’imputato può godere della sospensione condizionale della pena. Norme “vecchie” perché erano già contenute nel ddl sulla custodia cautelare, che da tempo fa il ping pong tra Camera e Senato. Approvata in doppia lettura con una formula troppo stringente e che aveva allarmato l’Anm, è stata inserita nel decreto, come spiega il Guardasigilli Orlando, proprio per modificarla
e mettere nelle mani del giudice, senza automatismi, l’eventuale decisione sull’arresto. Ma se la norma è questa Galan che c’entra? I magistrati di Venezia vogliono arrestarlo per corruzione, pena massima prevista 5 anni, e quindi è tutto da dimostrare che in un caso del genere il giudice possa ipotizzare adesso, con l’inchiesta sul Mose agli esordi, che l’esponente di Fi possa ottenere una condanna molto più bassa del massimo della pena prevista per un reato grave come la corruzione.
Tuttavia, chi politicamente sta dalla parte di Galan ci prova lo stesso. Ecco che a Montecitorio, nella giunta per le autorizzazioni della Camera, presieduta dall’ex Pdl e ora Fratelli d’Italia Ignazio La Russa, è proprio il forzista Gianfranco Chiarelli a chiedere di respingere la richiesta d’arresto perché a Galan si applicherebbe la norma più favorevole dello stop alla custodia cautelare. La rissa, a quel punto, è inevitabile perché il Pd insorge e con Franco Vazio sostiene che la giunta non è un giudice di seconda istanza, ma deve solo «valutare l’eventuale presenza di un fumus persecutionis nella richiesta ». Galan, se vuole, potrà semmai far valere il principio del nuovo decreto in sede di riesame a Venezia. Ma tant’è, La Russa preferisce il rinvio all’11 luglio, nonostante M5S insista su un voto che non può andare oltre quella data.
Da La Repubblica del 03/07/2014.
(LIANA MILELLA).
03/07/2014 di triskel182
Le tappeL’ex ministro si appella al decreto del governo. Ma Orlando: “Decide il giudice” Immunità, il governo ci ripensa e oggi il premier incontra anche i 5Stelle.
ROMA - Alla vigilia di un nuovo incontro tra Renzi e Berlusconi, ma anche tra il premier e M5S, sulle riforme esplode il caso Galan. Il tema dell’immunità resta caldo, anche se il ministro Boschi lascia intendere che «la norma potrebbe cambiare in aula». Ma l’ex governatore rimette in campo la palla di un’immunità giocata in chiave super protettiva per parlamentari accusati di reati comuni. La norma non lo riguarda, e basta leggerla, ma lui cerca di approfittarne lo stesso per allontanare nel tempo la decisione della Camera sulla richiesta di arresto che incombe da Venezia. Succede che nell’ultimo decreto monstre del governo su pubblica amministrazione, poteri di Cantone, ma anche sulle misure compensative per chi ha subito un trattamento inumano in carcere, c’è pure la norma che blocca la custodia cautelare se il giudice ritiene che, alla fine di un processo, al condannato verrà inflitta una pena che non supera i tre anni.
Lo stesso decreto stabilisce che non ci può essere carcere preventivo se l’imputato può godere della sospensione condizionale della pena. Norme “vecchie” perché erano già contenute nel ddl sulla custodia cautelare, che da tempo fa il ping pong tra Camera e Senato. Approvata in doppia lettura con una formula troppo stringente e che aveva allarmato l’Anm, è stata inserita nel decreto, come spiega il Guardasigilli Orlando, proprio per modificarla
e mettere nelle mani del giudice, senza automatismi, l’eventuale decisione sull’arresto. Ma se la norma è questa Galan che c’entra? I magistrati di Venezia vogliono arrestarlo per corruzione, pena massima prevista 5 anni, e quindi è tutto da dimostrare che in un caso del genere il giudice possa ipotizzare adesso, con l’inchiesta sul Mose agli esordi, che l’esponente di Fi possa ottenere una condanna molto più bassa del massimo della pena prevista per un reato grave come la corruzione.
Tuttavia, chi politicamente sta dalla parte di Galan ci prova lo stesso. Ecco che a Montecitorio, nella giunta per le autorizzazioni della Camera, presieduta dall’ex Pdl e ora Fratelli d’Italia Ignazio La Russa, è proprio il forzista Gianfranco Chiarelli a chiedere di respingere la richiesta d’arresto perché a Galan si applicherebbe la norma più favorevole dello stop alla custodia cautelare. La rissa, a quel punto, è inevitabile perché il Pd insorge e con Franco Vazio sostiene che la giunta non è un giudice di seconda istanza, ma deve solo «valutare l’eventuale presenza di un fumus persecutionis nella richiesta ». Galan, se vuole, potrà semmai far valere il principio del nuovo decreto in sede di riesame a Venezia. Ma tant’è, La Russa preferisce il rinvio all’11 luglio, nonostante M5S insista su un voto che non può andare oltre quella data.
Da La Repubblica del 03/07/2014.
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Re: Il nuovo governo Renzi
DA IL FATTO QUOTIDIANO
La Casta ostacola le leggi dal basso
"I partiti tolgono potere ai cittadini"
Un emendamento al ddl sulle riforme costituzionali firmato dai relatori Finocchiaro (Pd) e Calderoli (Lega) prevede che per proporre leggi di iniziativa popolare serviranno 250 mila firme e non più 50mila. Polemiche da Fdi e M5S
Vedo come il governo Renzi favorisce la democrazia
La Casta ostacola le leggi dal basso
"I partiti tolgono potere ai cittadini"
Un emendamento al ddl sulle riforme costituzionali firmato dai relatori Finocchiaro (Pd) e Calderoli (Lega) prevede che per proporre leggi di iniziativa popolare serviranno 250 mila firme e non più 50mila. Polemiche da Fdi e M5S
Vedo come il governo Renzi favorisce la democrazia
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Re: Il nuovo governo Renzi
Manovra autunnale da 10 miliardi, per Mediobanca è “inevitabile”
Per gli analisti di Piazzetta Cuccia la crescita inferiore alle stime del governo renderà necessaria una corposa finanziaria autunnale. Bene l'apertura di Renzi a un piano di investimenti pubblici, unico modo per far sì che l'economia torni a girare. Ma "l'Europa vuole prima le riforme"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 3 luglio 2014
Manovra sì, manovra no? Per gli analisti di Mediobanca non è (più) questione di punti di vista. Piazzetta Cuccia, in uno studio sulle prospettive del Paese firmato dalla controllata Mediobanca Securities, scrive nero su bianco che una finanziaria autunnale da 10 miliardi appare “inevitabile”. Con il Pil che cresce molto meno del previsto e la disoccupazione che cresce, il governo di Matteo Renzi non avrà altra scelta se non introdurre nuove tasse o tagli di spesa ulteriori rispetto a quelli già previsti per coprire interventi come le nuove detrazioni Irpef. C’è da dire che l’analisi, sullo sfondo, lascia anche spazio all’ottimismo: Antonio Guglielmi e Javier Suarez, autori del report, scrivono che dopo l’affermazione “storica” alle elezioni europee il premier potrà accelerare sulle riforme e accolgono “con favore l’apertura di Renzi a un maggior supporto keynesiano alla crescita con investimenti pubblici”, “perché pensiamo che per l’Italia sia l’unico modo di cominciare rapidamente a crescere” nei prossimi anni. Tuttavia, “le cose potrebbero dover peggiorare prima di poter migliorare”. E qui – nel breve periodo, tra pochi mesi – arrivano i dolori: “Potrebbero essere necessarie risorse aggiuntive per 10 miliardi di euro quest’anno a causa della crescita più bassa” dello 0,8% stimato dal governo nel Documento di economia e finanza. “Potrebbero”, dunque. Ma poco dopo il condizionale lascia spazio a una formulazione più netta: prima di concedere un allentamento dell’austerity “l’Europa vuole le riforme”. Risultato: una manovra da almeno 10 miliardi “sembra inevitabile”. Peccato che tasse e tagli non possano, nel breve termine, che ridurre ulteriormente il “tono” dell’economia. Alternative? Ci saranno, sostiene lo studio, solo se Renzi otterrà da Bruxelles un allentamento dei vincoli di bilancio. Conquista che potrebbe liberare risorse crescenti: 26 miliardi nel primo anno, 77 miliardi nel quarto.
Le mosse della Bce, nel frattempo, verranno in aiuto al governo: in particolare il nuovo programma di finanziamenti a lungo termine mirati della Bce alle banche e la sospensione della sterilizzazione del programma di acquisto di bond governativi “potrebbero aggiungere un 5% circa all’utile per azione delle banche italiane nel 2016″, Ubi in testa. Infine, un sondaggio condotto da Mediobanca su 50 società quotate ha evidenziato che l’80% crede che le riforme di Renzi potranno accelerare la crescita, ridurre le tasse e risolvere il nodo degli arretrati della pa.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07 ... e/1049064/
Per gli analisti di Piazzetta Cuccia la crescita inferiore alle stime del governo renderà necessaria una corposa finanziaria autunnale. Bene l'apertura di Renzi a un piano di investimenti pubblici, unico modo per far sì che l'economia torni a girare. Ma "l'Europa vuole prima le riforme"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 3 luglio 2014
Manovra sì, manovra no? Per gli analisti di Mediobanca non è (più) questione di punti di vista. Piazzetta Cuccia, in uno studio sulle prospettive del Paese firmato dalla controllata Mediobanca Securities, scrive nero su bianco che una finanziaria autunnale da 10 miliardi appare “inevitabile”. Con il Pil che cresce molto meno del previsto e la disoccupazione che cresce, il governo di Matteo Renzi non avrà altra scelta se non introdurre nuove tasse o tagli di spesa ulteriori rispetto a quelli già previsti per coprire interventi come le nuove detrazioni Irpef. C’è da dire che l’analisi, sullo sfondo, lascia anche spazio all’ottimismo: Antonio Guglielmi e Javier Suarez, autori del report, scrivono che dopo l’affermazione “storica” alle elezioni europee il premier potrà accelerare sulle riforme e accolgono “con favore l’apertura di Renzi a un maggior supporto keynesiano alla crescita con investimenti pubblici”, “perché pensiamo che per l’Italia sia l’unico modo di cominciare rapidamente a crescere” nei prossimi anni. Tuttavia, “le cose potrebbero dover peggiorare prima di poter migliorare”. E qui – nel breve periodo, tra pochi mesi – arrivano i dolori: “Potrebbero essere necessarie risorse aggiuntive per 10 miliardi di euro quest’anno a causa della crescita più bassa” dello 0,8% stimato dal governo nel Documento di economia e finanza. “Potrebbero”, dunque. Ma poco dopo il condizionale lascia spazio a una formulazione più netta: prima di concedere un allentamento dell’austerity “l’Europa vuole le riforme”. Risultato: una manovra da almeno 10 miliardi “sembra inevitabile”. Peccato che tasse e tagli non possano, nel breve termine, che ridurre ulteriormente il “tono” dell’economia. Alternative? Ci saranno, sostiene lo studio, solo se Renzi otterrà da Bruxelles un allentamento dei vincoli di bilancio. Conquista che potrebbe liberare risorse crescenti: 26 miliardi nel primo anno, 77 miliardi nel quarto.
Le mosse della Bce, nel frattempo, verranno in aiuto al governo: in particolare il nuovo programma di finanziamenti a lungo termine mirati della Bce alle banche e la sospensione della sterilizzazione del programma di acquisto di bond governativi “potrebbero aggiungere un 5% circa all’utile per azione delle banche italiane nel 2016″, Ubi in testa. Infine, un sondaggio condotto da Mediobanca su 50 società quotate ha evidenziato che l’80% crede che le riforme di Renzi potranno accelerare la crescita, ridurre le tasse e risolvere il nodo degli arretrati della pa.
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