Da quello che è riportato in questi siti pare che quasi tutti siano inaffidabili e facciano parte di una P2 mondiale, inclusi Padoa Schioppa e Prodi. Non so quanto credere a queste inchieste.camillobenso ha scritto:
1) http://www.youtube.com/watch?v=0_wKgVeN6FQ&hd=1
Questo sogno è stato accarezzato da molti prima di Adolf, da Adolf e dopo Adolf.
Vedi Bildelberg che cerca di attuare il sogno.
http://it.wikipedia.org/wiki/Gruppo_Bilderberg
**
1. I massoni e la sinistra italiana - Disinformazione.it
http://www.disinformazione.it/massoniesinistra.htm
Il Gruppo Bilderberg nasce nel 1952, ma viene ufficializzato due anni più tardi, ... quando un ristretto gruppo di vip dell'epoca si riunisce all'hotel Bilderberg di ...
2) http://www.youtube.com/watch?v=rcGlZh8FpUY&hd=1
Prima della prima rivoluzione industriale spesso le tribù si combattevano per il dominio dei commerci. Venezia e Genova sono state una tappa di queste guerre delle vie dei commerci nel 1500. Con l’affermazione delle società industriali, è la produzione ad essere il dominus.
Il monello spacca i vetri ed ecco che arriva subito Chaplin, il vetraio.
Si fanno le guerre e chi vince ti propone le sue aziende par la ricostruzione.
E’ un tema più che sentito di questi tempi.
La guerra è inevitabile???
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Re: La guerra è inevitabile???
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Re: La guerra è inevitabile???
Da quello che è riportato in questi siti pare che quasi tutti siano inaffidabili e facciano parte di una P2 mondiale, inclusi Padoa Schioppa e Prodi. Non so quanto credere a queste inchieste.
Cielo 70
Qual’è la tua personale valutazione della scelta di Monti e poi Lettanipote alla guida del Paese nel dopo Berlusconi?
Perché proprio loro membri sia del Gruppo Bildelberg che della Trilaterale?
Seconda domanda.
Perché Corrado Passera, in elenco, ha deciso di scendere in politica negli ultimi mesi?
Cielo 70
Qual’è la tua personale valutazione della scelta di Monti e poi Lettanipote alla guida del Paese nel dopo Berlusconi?
Perché proprio loro membri sia del Gruppo Bildelberg che della Trilaterale?
Seconda domanda.
Perché Corrado Passera, in elenco, ha deciso di scendere in politica negli ultimi mesi?
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Re: La guerra è inevitabile???
STORIA
Come ci somiglia il 1914
La caduta delle certezze. I nazionalismi. E le tragedie sociali. Un volume de “l’Espresso” racconta gli scenari della Grande Guerra. Guardando al presente
DI WLODEK GOLDKORN E CLAUDIO LINDNER
11 luglio 2014
Come ci somiglia il 1914
Proviamo ad elencare, in ordine sparso, alcuni fatti accaduti in queste settimane nel mondo. In Iraq è stato proclamato il nuovo califfato, il cui scopo è riunire sotto lo stesso potere tutta la “umma” (la comunità) musulmana. In Terra Santa ragazzi palestinesi ed ebrei vengono uccisi in una spirale di violenza. In Russia molti sono convinti che un’aggressione delle potenze occidentali sia imminente. Nel Canale di Sicilia 45 profughi sono morti asfissiati nella stiva di una barca. In Francia guadagna consensi un movimento nazionalista che ha come obiettivo la fine del processo di unificazione europea. A Strasburgo, i deputati eletti in una lista italiana cui hanno dato i loro voti molti elettori di sinistra condividono i banchi con colleghi dell’estrema destra britannica. E nello stesso parlamento un deputato tedesco ha ribadito che deve essere Berlino e solo Berlino, a stabilire ciò che è bello e buono nel nostro Continente.
A cent’anni dall’inizio della prima guerra mondiale, una catastrofe che pose fine a un mondo che poggiava su alcune certezze (la solidità degli imperi, la fiducia nel progresso scientifico...), abbiamo di nuovo l’impressione di essere in balia di eventi che non siamo in grado di gestire. E di non avere più un quadro di valori di riferimento.
“La Grande Guerra - Raccontarla cent’anni dopo per capire l’Europa di oggi” è il libro de ”Espresso” (384 pagine, 12,90 euro) in edicola e in libreria dall'11 luglio
Al tema dei numerosi parallelismi fattibili tra il 1914 e il 2014 è dedicato il libro “La Grande Guerra. Raccontarla cent’anni dopo per capire l’Europa di oggi”, in edicola con “l’Espresso” dall’11 luglio (384 pagine, 12,90 EURO).
Scrive Gad Lerner nel capitolo dedicato alle vicende mediorientali: «Potessero tornare al 1914 forse i governi di Londra e Parigi non si lascerebbero trascinare dallo zar russo a dichiarare guerra all’impero ottomano. Semmai farebbero ogni sforzo per sostenere la traballante impalcatura della Sublime Porta e del suo sultano». Insomma, ed è questo lo spirito che percorre il volume, la Storia non sempre ha avuto ragione, i vinti qualche volta non erano dalla parte del torto. E allora occorre esaminare le ragioni di ciò che è accaduto per cercare di capire ciò che ci succede oggi.
Terrorista o eroe? A ciascuno la sua memoria
A partire dalle vicende di casa nostra, dai nuovi nazionalismi e populismi, risultato dell’onda lunga innescata dalla disfatta degli imperi. Il simbolo dei nazionalismi è stato cent’anni fa Gavrilo Princip, l’uomo che a Sarajevo ammazzò l’erede al trono austriaco Francesco Ferdinando accendendo le polveri dell’intera Europa.
Con le dovute differenze, oggi abbiamo a che fare con Marine Le Pen, che della xenofobia e dell’ostilità all’Europa è diventata la più nota portavoce. Non è solo questione di giochi politici: il populismo trae la sua forza dalla crisi della cultura e del linguaggio illuminista, dall’ascesa di discorsi irrazionali, dalla diffusione di teorie cospiratorie della Storia, a loro volta dovute alla poca trasparenza dei poteri che ci governano.
Ne parla Massimo Cacciari, secondo cui un secolo fa la vitalità di questi fenomeni e la loro potenza distruttiva poggiavano su un insieme di valori forti e di miti totalizzanti. Oggi, invece abbiamo a che fare con una moltitudine di linguaggi dispersivi, con miti “miserabili”. La decadenza dell’Europa, come un malinconico tramonto. E la tragedia del canale di Sicilia non come un crimine pianificato e organizzato in nome di una Weltanschauung, ma come un fenomeno cui nessuno sa far fronte, e quindi meglio “distrarsi”, non pensarci.
Cent’anni fa, la Germania del Kaiser faceva paura. Oggi, Angela Merkel è accusata di mire egemoniche. E del resto, un politico del partito della cancelliera, Manfred Weber ha lanciato un avvertimento: le regole in Europa le facciamo in Germania, Paese di bravi e grandi risparmiatori, quasi una farsesca versione dell’idea di Max Weber per cui l’impero guglielmino sarebbe stato l’incarnazione delle virtù borghesi.
Sulla stessa linea si sono pronunciati giovedì 3 luglio sia il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, sia il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble. Il politologo francese Marc Lazar e lo storico tedesco Michael Stürmer ci spiegano anche quanto sia in discussione oggi l’asse Berlino-Parigi, indispensabile per la sopravvivenza dell’Ue.
Un capitolo è dedicato all’Italia. Alla sua politica estera, caratterizzata da frequenti salti di barricata (come nella battaglia tra interventisti e neutralisti che raccontiamo dalla vigilia della Grande Guerra ai giorni nostri) e da un peso sempre minore sullo scacchiere internazionale, denunciato in un’intervista da Emanuele Macaluso. E all’economia creativa, in grado di dar vita a grandi industrie (Fiat, Ansaldo, Edison, Olivetti), sulla quale interviene lo storico dell’economia Giuseppe Berta.
La Grande Guerra segna l’ingresso delle donne nella gestione della società, nei luoghi di lavoro (e in parte del potere), reso possibile e necessario dal fatto che gli uomini erano impegnati sui fronti, nelle trincee. L’emancipazione femminile, diventata poi un movimento di liberazione, è forse la più grande rivoluzione del secolo scorso.
Ma chi governa il mondo? Il Trattato di Versailles segnò l’ascesa dell’impero americano a scapito della Gran Bretagna. Oggi assistiamo invece al declino degli Stati Uniti come dominus del pianeta. Emergono nuove potenze, a partire dalla Cina; e in Russia, come racconta Adam Michnik, esiste una stupefacente continuità tra lo zar Nicola II e Vladimir Putin.
In un mondo in crisi sembra di vivere sull’orlo dell’abisso. Nelle nostre vite ci sono più incertezze che certezze. Il paradigma per cui i figli vivevano meglio dei loro padri, non vale più. E valori come democrazia, giustizia sociale, diritti umani sono di nuovo in discussione. Su questi temi si esprimono lo storico Christopher Clark e il romanziere Pierre Lemaitre, autori di bestseller sull’argomento.
La parte finale del volume è dedicata alle lettere dal fronte dei soldati italiani, con decine di testimonianze sugli orrori delle trincee. Argomento già trattato nell’introduzione dallo storico Giovanni De Luna, il quale spiega quanto la stessa guerra di trincea riduca gli uomini a una condizione animalesca. Come accade oggi a coloro che combattono le tante guerre civili locali e ai profughi ammassati sulle barche alle porte di casa nostra.
GRANDE GUERRA EUROPA
© Riproduzione riservata 11 luglio 2014
IL NUMERO IN EDICOLA»
Come ci somiglia il 1914
La caduta delle certezze. I nazionalismi. E le tragedie sociali. Un volume de “l’Espresso” racconta gli scenari della Grande Guerra. Guardando al presente
DI WLODEK GOLDKORN E CLAUDIO LINDNER
11 luglio 2014
Come ci somiglia il 1914
Proviamo ad elencare, in ordine sparso, alcuni fatti accaduti in queste settimane nel mondo. In Iraq è stato proclamato il nuovo califfato, il cui scopo è riunire sotto lo stesso potere tutta la “umma” (la comunità) musulmana. In Terra Santa ragazzi palestinesi ed ebrei vengono uccisi in una spirale di violenza. In Russia molti sono convinti che un’aggressione delle potenze occidentali sia imminente. Nel Canale di Sicilia 45 profughi sono morti asfissiati nella stiva di una barca. In Francia guadagna consensi un movimento nazionalista che ha come obiettivo la fine del processo di unificazione europea. A Strasburgo, i deputati eletti in una lista italiana cui hanno dato i loro voti molti elettori di sinistra condividono i banchi con colleghi dell’estrema destra britannica. E nello stesso parlamento un deputato tedesco ha ribadito che deve essere Berlino e solo Berlino, a stabilire ciò che è bello e buono nel nostro Continente.
A cent’anni dall’inizio della prima guerra mondiale, una catastrofe che pose fine a un mondo che poggiava su alcune certezze (la solidità degli imperi, la fiducia nel progresso scientifico...), abbiamo di nuovo l’impressione di essere in balia di eventi che non siamo in grado di gestire. E di non avere più un quadro di valori di riferimento.
“La Grande Guerra - Raccontarla cent’anni dopo per capire l’Europa di oggi” è il libro de ”Espresso” (384 pagine, 12,90 euro) in edicola e in libreria dall'11 luglio
Al tema dei numerosi parallelismi fattibili tra il 1914 e il 2014 è dedicato il libro “La Grande Guerra. Raccontarla cent’anni dopo per capire l’Europa di oggi”, in edicola con “l’Espresso” dall’11 luglio (384 pagine, 12,90 EURO).
Scrive Gad Lerner nel capitolo dedicato alle vicende mediorientali: «Potessero tornare al 1914 forse i governi di Londra e Parigi non si lascerebbero trascinare dallo zar russo a dichiarare guerra all’impero ottomano. Semmai farebbero ogni sforzo per sostenere la traballante impalcatura della Sublime Porta e del suo sultano». Insomma, ed è questo lo spirito che percorre il volume, la Storia non sempre ha avuto ragione, i vinti qualche volta non erano dalla parte del torto. E allora occorre esaminare le ragioni di ciò che è accaduto per cercare di capire ciò che ci succede oggi.
Terrorista o eroe? A ciascuno la sua memoria
A partire dalle vicende di casa nostra, dai nuovi nazionalismi e populismi, risultato dell’onda lunga innescata dalla disfatta degli imperi. Il simbolo dei nazionalismi è stato cent’anni fa Gavrilo Princip, l’uomo che a Sarajevo ammazzò l’erede al trono austriaco Francesco Ferdinando accendendo le polveri dell’intera Europa.
Con le dovute differenze, oggi abbiamo a che fare con Marine Le Pen, che della xenofobia e dell’ostilità all’Europa è diventata la più nota portavoce. Non è solo questione di giochi politici: il populismo trae la sua forza dalla crisi della cultura e del linguaggio illuminista, dall’ascesa di discorsi irrazionali, dalla diffusione di teorie cospiratorie della Storia, a loro volta dovute alla poca trasparenza dei poteri che ci governano.
Ne parla Massimo Cacciari, secondo cui un secolo fa la vitalità di questi fenomeni e la loro potenza distruttiva poggiavano su un insieme di valori forti e di miti totalizzanti. Oggi, invece abbiamo a che fare con una moltitudine di linguaggi dispersivi, con miti “miserabili”. La decadenza dell’Europa, come un malinconico tramonto. E la tragedia del canale di Sicilia non come un crimine pianificato e organizzato in nome di una Weltanschauung, ma come un fenomeno cui nessuno sa far fronte, e quindi meglio “distrarsi”, non pensarci.
Cent’anni fa, la Germania del Kaiser faceva paura. Oggi, Angela Merkel è accusata di mire egemoniche. E del resto, un politico del partito della cancelliera, Manfred Weber ha lanciato un avvertimento: le regole in Europa le facciamo in Germania, Paese di bravi e grandi risparmiatori, quasi una farsesca versione dell’idea di Max Weber per cui l’impero guglielmino sarebbe stato l’incarnazione delle virtù borghesi.
Sulla stessa linea si sono pronunciati giovedì 3 luglio sia il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, sia il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble. Il politologo francese Marc Lazar e lo storico tedesco Michael Stürmer ci spiegano anche quanto sia in discussione oggi l’asse Berlino-Parigi, indispensabile per la sopravvivenza dell’Ue.
Un capitolo è dedicato all’Italia. Alla sua politica estera, caratterizzata da frequenti salti di barricata (come nella battaglia tra interventisti e neutralisti che raccontiamo dalla vigilia della Grande Guerra ai giorni nostri) e da un peso sempre minore sullo scacchiere internazionale, denunciato in un’intervista da Emanuele Macaluso. E all’economia creativa, in grado di dar vita a grandi industrie (Fiat, Ansaldo, Edison, Olivetti), sulla quale interviene lo storico dell’economia Giuseppe Berta.
La Grande Guerra segna l’ingresso delle donne nella gestione della società, nei luoghi di lavoro (e in parte del potere), reso possibile e necessario dal fatto che gli uomini erano impegnati sui fronti, nelle trincee. L’emancipazione femminile, diventata poi un movimento di liberazione, è forse la più grande rivoluzione del secolo scorso.
Ma chi governa il mondo? Il Trattato di Versailles segnò l’ascesa dell’impero americano a scapito della Gran Bretagna. Oggi assistiamo invece al declino degli Stati Uniti come dominus del pianeta. Emergono nuove potenze, a partire dalla Cina; e in Russia, come racconta Adam Michnik, esiste una stupefacente continuità tra lo zar Nicola II e Vladimir Putin.
In un mondo in crisi sembra di vivere sull’orlo dell’abisso. Nelle nostre vite ci sono più incertezze che certezze. Il paradigma per cui i figli vivevano meglio dei loro padri, non vale più. E valori come democrazia, giustizia sociale, diritti umani sono di nuovo in discussione. Su questi temi si esprimono lo storico Christopher Clark e il romanziere Pierre Lemaitre, autori di bestseller sull’argomento.
La parte finale del volume è dedicata alle lettere dal fronte dei soldati italiani, con decine di testimonianze sugli orrori delle trincee. Argomento già trattato nell’introduzione dallo storico Giovanni De Luna, il quale spiega quanto la stessa guerra di trincea riduca gli uomini a una condizione animalesca. Come accade oggi a coloro che combattono le tante guerre civili locali e ai profughi ammassati sulle barche alle porte di casa nostra.
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Re: La guerra è inevitabile???
https://www.youtube.com/watch?v=7xAZh9o ... ploademail
Riforme, Donno (M5S): "Avete una bassa considerazione della democrazia"
Ciao
Paolo11
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Re: La guerra è inevitabile???
MONDO
La disperazione di Gaza, sull'orlo di una crisi umanitaria
Una tregua durata solo poche ore. Strade deserte. Acqua e luce razionate. Vittime in continuo aumento. E i complessi ospedalieri della Striscia quasi al collasso: "Non riusciremmo a sostenere un’altra settimana come questa”
DI MICHELE MONNI
15 luglio 2014
E’ durata solo poche ore la tregua virtuale tra Israele e Gaza. Dopo 194 morti e circa 1400 feriti, la diplomazia internazionale sembrava essersi svegliata da un imbarazzante torpore e ha provato a far pressione sulle due parti per raggiungere uno stop alle violenze. La cordata diplomatica, che ha provato ad aprire uno spiraglio di cessate il fuoco, capeggiata dell’Egitto del presidente Abdel el-Sisi, ha visto accodarsi in serie Lega Araba, ONU, USA, la diplomazia europea e in ultima battuta il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas. Il gabinetto di governo israeliano si era detto DISPONIBILE a discutere la proposta egiziana, mentre Hamas e la Jihad Islamica hanno risposto picche: forse più una boutade ideologica che una vera intenzione di sostenere il confronto militare. Così sono ripresi i raid degli aerei dello Stato ebraico.
Video
http://espresso.repubblica.it/internazi ... a-1.173298
Si chiama "Roof-knocking" ed è una controversa tecnica con cui Israele, oltre a volantini, telefonate e sms, avverte i cittadini di Gaza di un imminente ATTACCO, per limitare al massimo le vittime tra i civili. "Roof-knocking" letteralmente significa "bussare sul tetto": in pratica, gli aerei israeliani lanciano prima una piccola bomba sul tetto dell'edificio nel loro mirino. Come si vede nel video, si tratta di una sorta di "avvertimento". Dopo la prima piccola esplosione, infatti, gli inquilini hanno circa un minuto per scappare, prima del bombardamento vero
Gaza intanto è sull'orlo di una crisi umanitaria. Secondo l’organizzazione britannica Oxfam , quasi quattrocentomila persone sono senza acqua e servizi igienico-sanitari e il novanta percento dell’acqua potabile è a rischio contaminazione. L'ufficio di coordinamento per i diritti umanitari (OCHA) riporta che almeno il 77% dei decessi riguarda civili, di cui il 30% è rappresentato dai bambini. Grazie agli “efficienti” miliziani di Hamas, che hanno colpito con i loro razzi i fili dell’alta tensione che fornisce elettricità a Khan Younes e a Deir Balah, settantamila persone sono senza elettricità. E se si aggiunge che a Gaza la luce era già razionata in periodi di otto ore per quartiere, si ha l’idea della drammaticità della situazione. Diciassettemila abitanti di Beit Lakhia, al-Atatara e al-Salatin–nord della Striscia- hanno, nei giorni scorsi, abbandonato le proprie case a seguito delle minacce israeliane di bombardare l’area da dove si ritiene siano partiti la maggior parte degli attacchi sul suolo israeliano. Si sono rifugiati nelle strutture dell’UNWRA, a Gaza city, dove sono ammassati in una delle scuole dell’agenzia per i rifugiati in condizioni drammatiche.
I complessi ospedalieri della Striscia sono quasi al collasso: negli ultimi giorni hanno dovuto trattare centinaia di feriti e hanno subito danni alle proprie strutture dovuti ai bombardamenti israeliani. Nell’ospedale di Al-Shifa – il più grande della Striscia - dottori e paramedici lavorano a turni massacranti, medicine e materiale per il pronto SOCCORSO cominciano a scarseggiare. “La situazione è peggiore del 2012” si è lamentato con L’Espresso il direttore del pronto SOCCORSO Ayman Sahabani. “Allora il valico di Rafah era aperto e un po’ di MATERIALE medico riuscivamo a riceverlo, una tregua è necessaria, non riusciremmo a sostenere un’altra settimana come questa”. Nel centro di riabilitazione per malati cronici Al-Wafa, al confine con Israele, una decina di attivisti del collettivo militante pro-palestinese ISM (International Solidarity Movement) - di cui faceva parte anche l’attivista italiano Vittorio Arrigoni - hanno deciso di fare da scudi umani a protezione dell’ospedale bombardato sabato - e presidiano la struttura per fare da deterrente a possibili raid dell’aviazione israeliana.
Video
http://espresso.repubblica.it/internazi ... a-1.173298
L'esercito israeliano ha colpito, tra la scorsa notte e l'alba di oggi, oltre 300 obiettivi nella Striscia di Gaza: nelle IMMAGINI un edificio in fiamme nel centro di Gaza
“In un mondo normale non dovremmo nemmeno essere qui” dichiara Charlie Andreasson, uno degli attivisti che a turno rimangono nell’ospedale. “La legge INTERNAZIONALE” aggiunge “proibisce di colpire qualunque struttura medico-sanitaria, ma l’esercito israeliano sembra fregarsene”.
Le strade di Gaza continuano ad essere deserte, nei pochi negozi di alimentari ancora aperti incominciano a scarseggiare alimenti e acqua, la mancanza di elettricità sta facendo marcire il cibo nei congelatori. L’unico segno di vita proviene dai richiami alla preghiera, dalle automobili dei media che si affrettano a filmare l’ultimo massacro di civili e da qualche carretto trainato da somari.
L’impasse legata alla mozione egiziana conferma le divisioni delle fazioni palestinesi, non solo con la leadership di Ramallah, ma anche all’interno degli stessi gruppi militanti. Le compagini politiche di Hamas e della Jihad Islamica, come confermato dai portavoce Mussa Abu Marzouk e Khaled al-Batash, si sarebbero dichiarate DISPONIBILI a discutere la proposta del Cairo, ma le rispettive compagini armate, le brigate Qassam e al Quds, non sembrano disposte a posare le armi e vedono la tregua come un sconfitta e una sottomissione ad Israele.
L’asimmetria dello scontro è li, davanti agli occhi di tutti: razzi FATTI in casa e qualche ferrovecchio di produzione iraniana o siriana, contro la quarta potenza militare mondiale. I miliziani islamici non sembrano farsene una ragione e i vari Mario Rossi e Anna Bianchi – in questo caso i Mohammed e le Fatima - continuano a pagarne le conseguenze. Oggi, centinaia di migliaia di studenti palestinesi di Gaza, avrebbero dovuto ricevere i diplomi di maturità (Tawjili) necessari per accedere all’università. Ma molti di quei giovani non sapranno mai i loro voti.
© Riproduzione riservata 15 luglio 2014
La disperazione di Gaza, sull'orlo di una crisi umanitaria
Una tregua durata solo poche ore. Strade deserte. Acqua e luce razionate. Vittime in continuo aumento. E i complessi ospedalieri della Striscia quasi al collasso: "Non riusciremmo a sostenere un’altra settimana come questa”
DI MICHELE MONNI
15 luglio 2014
E’ durata solo poche ore la tregua virtuale tra Israele e Gaza. Dopo 194 morti e circa 1400 feriti, la diplomazia internazionale sembrava essersi svegliata da un imbarazzante torpore e ha provato a far pressione sulle due parti per raggiungere uno stop alle violenze. La cordata diplomatica, che ha provato ad aprire uno spiraglio di cessate il fuoco, capeggiata dell’Egitto del presidente Abdel el-Sisi, ha visto accodarsi in serie Lega Araba, ONU, USA, la diplomazia europea e in ultima battuta il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas. Il gabinetto di governo israeliano si era detto DISPONIBILE a discutere la proposta egiziana, mentre Hamas e la Jihad Islamica hanno risposto picche: forse più una boutade ideologica che una vera intenzione di sostenere il confronto militare. Così sono ripresi i raid degli aerei dello Stato ebraico.
Video
http://espresso.repubblica.it/internazi ... a-1.173298
Si chiama "Roof-knocking" ed è una controversa tecnica con cui Israele, oltre a volantini, telefonate e sms, avverte i cittadini di Gaza di un imminente ATTACCO, per limitare al massimo le vittime tra i civili. "Roof-knocking" letteralmente significa "bussare sul tetto": in pratica, gli aerei israeliani lanciano prima una piccola bomba sul tetto dell'edificio nel loro mirino. Come si vede nel video, si tratta di una sorta di "avvertimento". Dopo la prima piccola esplosione, infatti, gli inquilini hanno circa un minuto per scappare, prima del bombardamento vero
Gaza intanto è sull'orlo di una crisi umanitaria. Secondo l’organizzazione britannica Oxfam , quasi quattrocentomila persone sono senza acqua e servizi igienico-sanitari e il novanta percento dell’acqua potabile è a rischio contaminazione. L'ufficio di coordinamento per i diritti umanitari (OCHA) riporta che almeno il 77% dei decessi riguarda civili, di cui il 30% è rappresentato dai bambini. Grazie agli “efficienti” miliziani di Hamas, che hanno colpito con i loro razzi i fili dell’alta tensione che fornisce elettricità a Khan Younes e a Deir Balah, settantamila persone sono senza elettricità. E se si aggiunge che a Gaza la luce era già razionata in periodi di otto ore per quartiere, si ha l’idea della drammaticità della situazione. Diciassettemila abitanti di Beit Lakhia, al-Atatara e al-Salatin–nord della Striscia- hanno, nei giorni scorsi, abbandonato le proprie case a seguito delle minacce israeliane di bombardare l’area da dove si ritiene siano partiti la maggior parte degli attacchi sul suolo israeliano. Si sono rifugiati nelle strutture dell’UNWRA, a Gaza city, dove sono ammassati in una delle scuole dell’agenzia per i rifugiati in condizioni drammatiche.
I complessi ospedalieri della Striscia sono quasi al collasso: negli ultimi giorni hanno dovuto trattare centinaia di feriti e hanno subito danni alle proprie strutture dovuti ai bombardamenti israeliani. Nell’ospedale di Al-Shifa – il più grande della Striscia - dottori e paramedici lavorano a turni massacranti, medicine e materiale per il pronto SOCCORSO cominciano a scarseggiare. “La situazione è peggiore del 2012” si è lamentato con L’Espresso il direttore del pronto SOCCORSO Ayman Sahabani. “Allora il valico di Rafah era aperto e un po’ di MATERIALE medico riuscivamo a riceverlo, una tregua è necessaria, non riusciremmo a sostenere un’altra settimana come questa”. Nel centro di riabilitazione per malati cronici Al-Wafa, al confine con Israele, una decina di attivisti del collettivo militante pro-palestinese ISM (International Solidarity Movement) - di cui faceva parte anche l’attivista italiano Vittorio Arrigoni - hanno deciso di fare da scudi umani a protezione dell’ospedale bombardato sabato - e presidiano la struttura per fare da deterrente a possibili raid dell’aviazione israeliana.
Video
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L'esercito israeliano ha colpito, tra la scorsa notte e l'alba di oggi, oltre 300 obiettivi nella Striscia di Gaza: nelle IMMAGINI un edificio in fiamme nel centro di Gaza
“In un mondo normale non dovremmo nemmeno essere qui” dichiara Charlie Andreasson, uno degli attivisti che a turno rimangono nell’ospedale. “La legge INTERNAZIONALE” aggiunge “proibisce di colpire qualunque struttura medico-sanitaria, ma l’esercito israeliano sembra fregarsene”.
Le strade di Gaza continuano ad essere deserte, nei pochi negozi di alimentari ancora aperti incominciano a scarseggiare alimenti e acqua, la mancanza di elettricità sta facendo marcire il cibo nei congelatori. L’unico segno di vita proviene dai richiami alla preghiera, dalle automobili dei media che si affrettano a filmare l’ultimo massacro di civili e da qualche carretto trainato da somari.
L’impasse legata alla mozione egiziana conferma le divisioni delle fazioni palestinesi, non solo con la leadership di Ramallah, ma anche all’interno degli stessi gruppi militanti. Le compagini politiche di Hamas e della Jihad Islamica, come confermato dai portavoce Mussa Abu Marzouk e Khaled al-Batash, si sarebbero dichiarate DISPONIBILI a discutere la proposta del Cairo, ma le rispettive compagini armate, le brigate Qassam e al Quds, non sembrano disposte a posare le armi e vedono la tregua come un sconfitta e una sottomissione ad Israele.
L’asimmetria dello scontro è li, davanti agli occhi di tutti: razzi FATTI in casa e qualche ferrovecchio di produzione iraniana o siriana, contro la quarta potenza militare mondiale. I miliziani islamici non sembrano farsene una ragione e i vari Mario Rossi e Anna Bianchi – in questo caso i Mohammed e le Fatima - continuano a pagarne le conseguenze. Oggi, centinaia di migliaia di studenti palestinesi di Gaza, avrebbero dovuto ricevere i diplomi di maturità (Tawjili) necessari per accedere all’università. Ma molti di quei giovani non sapranno mai i loro voti.
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Re: La guerra è inevitabile???
Alla fine il problema è sempre questo, già da prima dell'affermazione della società industriale. I produttori di cannoni dei tempi avevano la necessità che scoppiassero le guerra per poter guadagnare ed esistere come fabbriche d'armi.
Armi e sistemi bellici, Italia primo fornitore Ue di Israele. Rete Disarmo: “La smetta”
"Nel 2012 rilasciate autorizzazioni per 470 milioni di euro per l’esportazione di sistemi militari verso lo Stato israeliano", spiega Giorgio Beretta, analista dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa: più del doppio di quanto totalizzato insieme da Germania e Francia. L'organizzazione: "Vendiamo armi a una delle parti in conflitto, come possiamo essere mediatori?". Appello dei deputati Pd: "Serve un embargo immediato"
di Giusy Baioni | 16 luglio 2014Commenti (10)
L’Italia supera Francia e Germania messe insieme nell’export di armi verso Israele: tra i paesi dell’Ue siamo di gran lunga il primo fornitore di sistemi militari dello Stato israeliano, con un volume di vendite che è oltre il doppio di quello totalizzato da Parigi o Berlino. Anzi, da soli quasi eguagliamo Francia, Germania e Regno Unito. Lo dicono i dati dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa. Numeri eloquenti, tanto più in questi giorni di guerra. Ed è per questo che la Rete Italiana Disarmo chiede un embargo immediato sulla vendita di sistemi d’arma a Israele: lo fa con un appello al presidente del consiglio Matteo Renzi e al ministro degli Esteri Federica Mogherini, che proprio ora si trova in missione in Medio Oriente. Appello a cui ieri hanno aderito alcuni deputati Pd guidati da Pippo Civati (Davide Mattiello, Luca Pastorino, Giuseppe Guerini, Paolo Gandolfi, Veronica Tentori) e la senatrice democratica Lucrezia Ricchiuti.
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“L’Italia – spiega Giorgio Beretta, analista dell’Opal – è il maggiore esportatore dell’Unione europea di sistemi militari e di armi leggere verso Israele: si tratta di oltre 470 milioni di EURO di autorizzazioni per l’esportazione di sistemi militari rilasciate nel 2012 (dati del Rapporto UE) ed oltre 21 milioni di dollari di armi leggere vendute dal 2008 al 2012 (dati Comtrade)”. In percentuale, oltre il 41% degli armamenti regolarmente esportati dall’Europa verso Israele sono italiani. Secondo l’Osservatorio, solo negli ultimi tre anni si parla di 3,4 milioni di euro, a cui vanno aggiunti oltre 11,2 milioni di armi leggere non militari (difesa personale, sport, caccia), prodotte ed esportate per l’82% (cioè 9,2 milioni di EURO) dal distretto armiero di Brescia e Val Trompia. Nel corso degli ultimi tre anni le vendite autorizzate di armamento verso il governo di Tel Aviv hanno riguardato in particolare armi di calibro superiore ai 12,7 mm e aeromobili, sistemi d’arma ad energia diretta e apparecchiature elettroniche. Tra le imprese coinvolte figurano Simmel Difesa, Beretta, Northrop Grumman Italia, Galileo Avionica, Oto Melara ed Elettronica spa.
«Nel maggio 2005, durante il terzo governo Berlusconi – prosegue Beretta – l’Italia ha ratificato un “Accordo generale di cooperazione tra Italia e Israele nel settore militare e della difesa”. Come altri accordi simili, anche quello con lo Stato di Israele definisce la cornice della cooperazione militare in diversi aspetti (misure gli scambi nella produzione di armi, trasferimento di tecnologie, formazione ed addestramento, manovre militari congiunte e ‘peacekeeping‘), ma l’intento principale è quello di facilitare la collaborazione dell’industria per la difesa italiana con quella israeliana. A tale accordo ne ha fatto seguito un altro: si tratta dell’accordo firmato nel 2012 – durante il governo Monti – “per la fornitura ad Israele di velivoli per l’addestramento al volo e dei relativi sistemi operativi di controllo del volo, ed all’Italia di un sistema satellitare ottico ad alta risoluzione per l’osservazione della Terra (OPTSAT -3000) e di sottosistemi di comunicazione con standard Nato per alcuni velivoli dell’AMI”.
L’ultimo esempio in ordine di tempo della nostra “collaborazione strategica” con Israele risale a pochi giorni fa: mentre era già in corso l’offensiva israeliana su Gaza, il gruppo italiano Alenia-Aermacchi (gruppoFinmeccanica) consegnava a Tel Aviv due M-346: “Sono due aerei addestratori – ci spiega Francesco Vignarca, coordinatore nazionale di Rete Disarmo – e come tali sono stati venduti e acquistati, ma sappiamo dalle loro schede tecniche che possono essere anche configurati come bombardieri leggeri“. In Israele li hanno già soprannominati “lavi”, che significa “leone”. Sul sito ufficiale della Israeli Air Force, se ne annuncia l’arrivo salutandolo come l’inizio di “una nuova era”: “I nuovi aerei porteranno un cambio significativo nell’addestramento delle future generazioni di piloti dell’IAF e dei sistemi d’arma ufficiali, nonché nelle procedure di formazione di tutta l’aviazione”. La consegna dei due velivoli è la prima trance di una commessa di 30 aerei: la vendita si iscrive nell’accordo di cooperazione militare siglato nel 2005 sotto il governo Berlusconi.
Le implicazioni politiche, secondo gli osservatori, sono evidenti: “Noi vendiamo sistemi d’arma a una delle due parti in conflitto, quindi non siamo equidistanti e la nostra posizione come mediatori ne è inficiata”, prosegue Vignarca. Ma non è tutto. Ai dati certi si aggiungono altre considerazioni: “Abbiamo venduto anche molte armi leggere ai paesi dell’area mediorientale. Nel caso della Siria, come abbiamo denunciato mesi fa, sappiamo che molte di queste armi sono confluite all’interno del paese. Lo stesso possiamo pensarlo per la Palestina. Non abbiamo prove in questo momento, ma in passato le abbiamo avute: le armi leggere hanno una circolazione carsica, sono molto meno controllabili. E finiscono dove c’è richiesta. Come in Iraq, quando i terroristi sparavano contro i nostri carabinieri con delle beretta”.
“Non va dimenticato – conclude Beretta – che l’Italia non solo esporta, ma anche importa armi da Israele, che negli ultimi due anni hanno superato il valore complessivo di 50,7 milioni di EURO, la qual cosa ne fa il quarto fornitore del nostro ministero della Difesa. La Simmel, ad esempio, importa componenti per bombe e la Beretta componenti per armi automatiche, come particolari modelli di pistole e di mitragliatori”. Per queste ragioni la Rete Italiana Disarmo chiede con forza “la sospensione dell’invio di sistemi militari e di armi nella zona. Il nostro Governo, che in questo semestre ha l’incarico di presiedere il Consiglio dell’Unione europea, si faccia subito promotore di un’azione a livello comunitario per un embargo europeo di armi e sistemi militari verso tutte le parti in conflitto, per proteggere i civili inermi e riprendere il dialogo tra tutte le parti”. Secondo loro, inoltre, tutto ciò avviene in aperto contrasto con la nostra legislazione relativa all’export di armamenti, che prevede (proprio nel primo articolo) l’impossibilità di fornire armamenti “a Paesi in stato di conflitto armato o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07 ... a/1061611/
Armi e sistemi bellici, Italia primo fornitore Ue di Israele. Rete Disarmo: “La smetta”
"Nel 2012 rilasciate autorizzazioni per 470 milioni di euro per l’esportazione di sistemi militari verso lo Stato israeliano", spiega Giorgio Beretta, analista dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa: più del doppio di quanto totalizzato insieme da Germania e Francia. L'organizzazione: "Vendiamo armi a una delle parti in conflitto, come possiamo essere mediatori?". Appello dei deputati Pd: "Serve un embargo immediato"
di Giusy Baioni | 16 luglio 2014Commenti (10)
L’Italia supera Francia e Germania messe insieme nell’export di armi verso Israele: tra i paesi dell’Ue siamo di gran lunga il primo fornitore di sistemi militari dello Stato israeliano, con un volume di vendite che è oltre il doppio di quello totalizzato da Parigi o Berlino. Anzi, da soli quasi eguagliamo Francia, Germania e Regno Unito. Lo dicono i dati dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa. Numeri eloquenti, tanto più in questi giorni di guerra. Ed è per questo che la Rete Italiana Disarmo chiede un embargo immediato sulla vendita di sistemi d’arma a Israele: lo fa con un appello al presidente del consiglio Matteo Renzi e al ministro degli Esteri Federica Mogherini, che proprio ora si trova in missione in Medio Oriente. Appello a cui ieri hanno aderito alcuni deputati Pd guidati da Pippo Civati (Davide Mattiello, Luca Pastorino, Giuseppe Guerini, Paolo Gandolfi, Veronica Tentori) e la senatrice democratica Lucrezia Ricchiuti.
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“L’Italia – spiega Giorgio Beretta, analista dell’Opal – è il maggiore esportatore dell’Unione europea di sistemi militari e di armi leggere verso Israele: si tratta di oltre 470 milioni di EURO di autorizzazioni per l’esportazione di sistemi militari rilasciate nel 2012 (dati del Rapporto UE) ed oltre 21 milioni di dollari di armi leggere vendute dal 2008 al 2012 (dati Comtrade)”. In percentuale, oltre il 41% degli armamenti regolarmente esportati dall’Europa verso Israele sono italiani. Secondo l’Osservatorio, solo negli ultimi tre anni si parla di 3,4 milioni di euro, a cui vanno aggiunti oltre 11,2 milioni di armi leggere non militari (difesa personale, sport, caccia), prodotte ed esportate per l’82% (cioè 9,2 milioni di EURO) dal distretto armiero di Brescia e Val Trompia. Nel corso degli ultimi tre anni le vendite autorizzate di armamento verso il governo di Tel Aviv hanno riguardato in particolare armi di calibro superiore ai 12,7 mm e aeromobili, sistemi d’arma ad energia diretta e apparecchiature elettroniche. Tra le imprese coinvolte figurano Simmel Difesa, Beretta, Northrop Grumman Italia, Galileo Avionica, Oto Melara ed Elettronica spa.
«Nel maggio 2005, durante il terzo governo Berlusconi – prosegue Beretta – l’Italia ha ratificato un “Accordo generale di cooperazione tra Italia e Israele nel settore militare e della difesa”. Come altri accordi simili, anche quello con lo Stato di Israele definisce la cornice della cooperazione militare in diversi aspetti (misure gli scambi nella produzione di armi, trasferimento di tecnologie, formazione ed addestramento, manovre militari congiunte e ‘peacekeeping‘), ma l’intento principale è quello di facilitare la collaborazione dell’industria per la difesa italiana con quella israeliana. A tale accordo ne ha fatto seguito un altro: si tratta dell’accordo firmato nel 2012 – durante il governo Monti – “per la fornitura ad Israele di velivoli per l’addestramento al volo e dei relativi sistemi operativi di controllo del volo, ed all’Italia di un sistema satellitare ottico ad alta risoluzione per l’osservazione della Terra (OPTSAT -3000) e di sottosistemi di comunicazione con standard Nato per alcuni velivoli dell’AMI”.
L’ultimo esempio in ordine di tempo della nostra “collaborazione strategica” con Israele risale a pochi giorni fa: mentre era già in corso l’offensiva israeliana su Gaza, il gruppo italiano Alenia-Aermacchi (gruppoFinmeccanica) consegnava a Tel Aviv due M-346: “Sono due aerei addestratori – ci spiega Francesco Vignarca, coordinatore nazionale di Rete Disarmo – e come tali sono stati venduti e acquistati, ma sappiamo dalle loro schede tecniche che possono essere anche configurati come bombardieri leggeri“. In Israele li hanno già soprannominati “lavi”, che significa “leone”. Sul sito ufficiale della Israeli Air Force, se ne annuncia l’arrivo salutandolo come l’inizio di “una nuova era”: “I nuovi aerei porteranno un cambio significativo nell’addestramento delle future generazioni di piloti dell’IAF e dei sistemi d’arma ufficiali, nonché nelle procedure di formazione di tutta l’aviazione”. La consegna dei due velivoli è la prima trance di una commessa di 30 aerei: la vendita si iscrive nell’accordo di cooperazione militare siglato nel 2005 sotto il governo Berlusconi.
Le implicazioni politiche, secondo gli osservatori, sono evidenti: “Noi vendiamo sistemi d’arma a una delle due parti in conflitto, quindi non siamo equidistanti e la nostra posizione come mediatori ne è inficiata”, prosegue Vignarca. Ma non è tutto. Ai dati certi si aggiungono altre considerazioni: “Abbiamo venduto anche molte armi leggere ai paesi dell’area mediorientale. Nel caso della Siria, come abbiamo denunciato mesi fa, sappiamo che molte di queste armi sono confluite all’interno del paese. Lo stesso possiamo pensarlo per la Palestina. Non abbiamo prove in questo momento, ma in passato le abbiamo avute: le armi leggere hanno una circolazione carsica, sono molto meno controllabili. E finiscono dove c’è richiesta. Come in Iraq, quando i terroristi sparavano contro i nostri carabinieri con delle beretta”.
“Non va dimenticato – conclude Beretta – che l’Italia non solo esporta, ma anche importa armi da Israele, che negli ultimi due anni hanno superato il valore complessivo di 50,7 milioni di EURO, la qual cosa ne fa il quarto fornitore del nostro ministero della Difesa. La Simmel, ad esempio, importa componenti per bombe e la Beretta componenti per armi automatiche, come particolari modelli di pistole e di mitragliatori”. Per queste ragioni la Rete Italiana Disarmo chiede con forza “la sospensione dell’invio di sistemi militari e di armi nella zona. Il nostro Governo, che in questo semestre ha l’incarico di presiedere il Consiglio dell’Unione europea, si faccia subito promotore di un’azione a livello comunitario per un embargo europeo di armi e sistemi militari verso tutte le parti in conflitto, per proteggere i civili inermi e riprendere il dialogo tra tutte le parti”. Secondo loro, inoltre, tutto ciò avviene in aperto contrasto con la nostra legislazione relativa all’export di armamenti, che prevede (proprio nel primo articolo) l’impossibilità di fornire armamenti “a Paesi in stato di conflitto armato o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa”.
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Re: La guerra è inevitabile???
Su queste questioni importanti dal gov dal parlamento e dal PdR silenzio assordante! Troppo impegnati a distrggere la nostra costituzione x gli interessi di 2 pregiudicati.
Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
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Re: La guerra è inevitabile???
Caro Joblack .Poi se Siulvio verrà contannato per il caso Ruby.Poi c'è il processo per la compravendita di parlamentari.Ii
PD continuerà a parlare con un condannato! Ma che paese siamo.
Cioa
Paolo11
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Re: La guerra è inevitabile???
Gaza, missile uccide 4 bambini nel porto Israele: “Invasione di terra molto probabile”
Le quattro piccole vittime erano cugini e avevano tra i 9 e gli 11 anni. Dell'invasione di terra da parte dell'esercito israeliano hanno parlato fonti governative e il ministro della Giustizia, Tzipi Livni. La risposta dell'organizzazione palestinese alla proposta di tregua: "Servono garanzie". Israele richiama altri 8 mila riservisti
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 16 luglio 2014Commenti (351)
Dopo la speranza di una tregua morta sul nascere, continua la guerra nella striscia di Gaza. In nove giorni i raid dell’aviazione israeliana hanno ucciso 209 palestinesi. Lo riferisce il portavoce del ministero della Sanità di Gaza, Ashraf al-Qedra, sentito dall’agenzia di stampa Dpa. Si tratta del più alto numero di vittime negli ultimi cinque anni di ostilità tra lo Stato ebraico e i palestinesi. Tra le vittime 24 donne e 39 tra bambini e adolescenti fino a 16 anni, mentre i feriti sono più di 1.500. Le ultime vittime dei raid sono 4 bambini uccisi da un missile israeliano che ha colpito questo pomeriggio il porto di Gaza. La conferma arriva dall’ospedale della città, dove sono state trasportate le vittime. Diversi altri bambini sono rimasti feriti e hanno trovato rifugio in un vicino albergo, dove si trovavano giornalisti. Secondo il racconto di testimoni, l’attacco è stato sferrato da due navi israeliane. Un altro bimbo di tre anni è morto insieme ad altre 5 persone in un raid sferrato sulla città di Khan Younis, nella zona meridionale della Striscia.
I quattro bimbi uccisi erano cugini
Erano 4 cugini tra i 9 e gli 11 anni i bambini uccisi. Si chiamavano Ahed Bakr (10 anni), Zakaria (10), Ramez (11) e Mohammad (9). Israele ha annunciato di aver aperto un’indagine. I piccoli sono stati colpiti mentre si trovavano su una spiaggia lungo una strada costiera e altre sette persone, tra cui adulti e bambini, sono rimaste ferite, riporta ancora il medico. Lo zio dei ragazzini uccisi, il 41enne Abdel Kareem Baker, accusa Israele: “E’ un massacro a sangue freddo. È una vergogna che non li abbiano identificati come bambini, con tutta la tecnologia avanzata che stanno utilizzando”. Altri 5 bimbi sono rimasti feriti e si sono rifugiati fra le braccia dei giornalisti, alloggiati in un albergo nelle vicinanze. Uno si teneva il ventre ed urlava di dolore. Un altro aveva una ferita alla testa. Tutti sono stati caricati su ambulanze che li hanno portati a sirene spiegate all’ospedale Shifa dove un dirigente di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha accusato Israele di essersi macchiato “di un orrendo crimine di guerra” di cui, ha avvertito, “ne pagherà il prezzo”.
La dinamica: prima un razzo di avvertimento, poi la strage
Fra le onde del mare, la spiaggia e i capannoni dai colori sgargianti, quei bambini non potevano nemmeno immaginare che ci potesse essere alcun “obiettivo di carattere militare”. In serata da Tel Aviv si è appreso, ufficiosamente, che la comitiva dei bambini è stata vittima di un errore di identificazione. Su un molo vicino c’era un container che l’intelligence di Israele supponeva fosse utilizzato da miliziani di Hamas. Un primo razzo è stato sparato sul tetto per avvertire che stava per essere distrutto. Sulla spiaggia c’è stato il panico. Un gruppetto di persone – per lo più bambini – si è dato alla fuga. E quel capannello di persone, viene spiegato a Tel Aviv, è stato centrato nell’errata presunzione di un velivolo israeliano che fossero miliziani di Hamas in fuga. Anche se l’esile fisionomia dei bambini era evidente.
Israele: “Operazione di terra molto probabile”
E’ “molto elevata” la probabilità che Israele lanci a Gaza un’operazione di terra: lo ha detto una fonte di sicurezza israeliana ad alcuni giornalisti stranieri. “Se vuoi combattere il terrorismo devi essere sul posto. Dal cielo possiamo colpirli duramente ma non sbarazzarci di loro. L’occupazione è fattibile in giorni o settimane al massimo”. Della possibilità parla anche il governo. Il ministro israeliano della Giustizia, Tzipi Livni, ha dichiarato questa sera alla rete televisiva Channel 2 che Israele non avrà altra scelta che lanciare un’incursione di terra nella Striscia di Gaza se continueranno i lanci di missili di Hamas. Fino ad oggi la Livni era stata uno dei ministri più prudenti rispetto all’operazione militare a Gaza.
Hamas: “Per il cessate-il-fuoco-vogliamo garanzie”
La risposta di Hamas non si è fatta attendere. L’organizzazione chiede “garanzie” da parte dei mediatori arabi e regionali prima di siglare un cessate il fuoco con Israele. Lo ha detto Mushir al-Masri, dirigente del movimento islamico palestinese a Gaza, in un’intervista all’agenzia Xinhua: “Prima del cessate il fuoco ci deve essere la garanzia che Israele sia obbligato a non violare un qualunque accordo di tregua”. “Negli ultimi giorni – ha spiegato al-Masri – Hamas ha avuto molti contatti con paesi arabi e islamici per discutere della tregua. Turchia e Qatar stanno facendo molti sforzi per arrivare alla proclamazione di un cessate il fuoco”. Nel pomeriggio, il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha annunciato in una conferenza stampa che il suo movimento ha informato ufficialmente l’Egitto della decisione di rifiutare la sua iniziativa di due giorni fa per il cessate il fuoco con Israele.
Nono giorno di raid su Gaza
Gli aerei israeliani hanno solcato i cieli della Striscia per tutta la notte, dopo che ieri pomeriggio (martedì 15 luglio) i raid sono ripresi in seguito al fallimento del tentativo di mediazione operato dall’Egitto di Al Sisi. L’esercito israeliano ha chiesto agli abitanti del nord della striscia di lasciare le proprie case “per la loro sicurezza”. Stando alla Dpa, Israele ha colpito obiettivi ogni dieci minuti dalla ripresa dei raid. Tra i bersagli, secondo gli israeliani, gruppi di militanti ritenuti responsabili del lancio di razzi e case di militanti e leader di Hamas, compresa – secondo testimoni – quella dell’ex ministro degli Esteri Mahmoud al-Zahar. In nove giorni da Gaza sono stati sparati 1.260 razzi verso Israele: 985 di questi hanno raggiunto il territorio israeliano, 225 sono stati intercettati dalle batterie di difesa, gli altri sono caduti in zone aperte. Questa mattina una visita ad Ashqelon, nel sud di Israele, del ministro degli esteri Avigdor Lieberman e del suo omologo norvegese è stata interrotta dal lancio di razzi. L’attacco non ha provocato vittime.
Diplomazie al lavoro, Abu Mazen al Cairo
Il lavoro delle diplomazie prosegue. Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, è arrivato al Cairo per incontrare il presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sisi, il segretario generale della Lega araba, Nabil al-Arabi, il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shukri, e il numero due dell’ufficio politico di Hamas, Musa Abu Marzouk. L’obiettivo è “giungere a un cessate il fuoco”, come ha dichiarato Nabil Shaath, esponente di Fatah, durante una conferenza stampa a Ramallah. Dopo la tappa in Egitto, ha precisato, Abbas “si recherà in Turchia e nel Golfo”.
Netanyahu a Mogherini: “Se attaccassero Roma, reagireste”
Anche l’Italia fa la propria parte. Il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, “sta cercando di dare un aiuto per arrivare a un cessate il fuoco” tra Hamas e Israele in qualità di “ministro di un paese importante in seno all’Ue e a livello mondiale”, ha spiegato il ministro degli Esteri palestinese, Riad al-Malki, che incontrerà la Mogherini domani a Ramallah. Oggi la Mogherini ha incontrato il presidente israeliano Shimon Peres e il premier Benjamin: ”Immagini se Roma, Firenze e Milano fossero bersagliate da razzi. Non lo accettereste. Rispondereste. Quelli che sparano razzi non stanno cercando una soluzione politica”, ha detto il primo ministro israeliano al capo della Farnesina. Lo riporta il Jerusalem Post.
Le condizioni di Hamas per la pace
Secondo il il quotidiano israeliano Maariv, Hamas è interessata a concordare una tregua di 10 anni: sarebbero già state formulate in merito dieci richieste precise. Le richieste di Hamas includono, secondo Maariv, la riapertura del valico di Rafah (da cui si accede al Sinai egiziano). Hamas chiede inoltre di riattivare l’aeroporto internazionale di Dahanyeh (in disuso da molti anni) e di poter disporre di un porto marino. Ai pescatori di Gaza dovrà essere concesso di spingersi fino a 10 miglia marine dalla costa, mentre agli agricoltori dovrà essere permesso di lavorare i campi fino a ridosso dei reticolati di confine con Israele. Hamas esige poi che agli abitanti di Gaza sia dato il permesso di transito per recarsi in preghiera alla moschea di al-Aqsa a Gerusalemme. Nell’immediato Israele – secondo quanto ha appreso Maariv – dovrà liberare le centinaia di palestinesi arrestati in Cisgiordania nelle settimane passate, mentre erano in corso le ricerche di tre ragazzi ebrei trovati poi morti presso Hebron. Sul piano politico, Israele dovrà impegnarsi a non ostacolare nuove elezioni politiche nei Territori e dovrà far retrocedere i propri mezzi blindati che circondano la striscia di Gaza. Hamas ha smentito la notizia.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07 ... i/1061746/
Le quattro piccole vittime erano cugini e avevano tra i 9 e gli 11 anni. Dell'invasione di terra da parte dell'esercito israeliano hanno parlato fonti governative e il ministro della Giustizia, Tzipi Livni. La risposta dell'organizzazione palestinese alla proposta di tregua: "Servono garanzie". Israele richiama altri 8 mila riservisti
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 16 luglio 2014Commenti (351)
Dopo la speranza di una tregua morta sul nascere, continua la guerra nella striscia di Gaza. In nove giorni i raid dell’aviazione israeliana hanno ucciso 209 palestinesi. Lo riferisce il portavoce del ministero della Sanità di Gaza, Ashraf al-Qedra, sentito dall’agenzia di stampa Dpa. Si tratta del più alto numero di vittime negli ultimi cinque anni di ostilità tra lo Stato ebraico e i palestinesi. Tra le vittime 24 donne e 39 tra bambini e adolescenti fino a 16 anni, mentre i feriti sono più di 1.500. Le ultime vittime dei raid sono 4 bambini uccisi da un missile israeliano che ha colpito questo pomeriggio il porto di Gaza. La conferma arriva dall’ospedale della città, dove sono state trasportate le vittime. Diversi altri bambini sono rimasti feriti e hanno trovato rifugio in un vicino albergo, dove si trovavano giornalisti. Secondo il racconto di testimoni, l’attacco è stato sferrato da due navi israeliane. Un altro bimbo di tre anni è morto insieme ad altre 5 persone in un raid sferrato sulla città di Khan Younis, nella zona meridionale della Striscia.
I quattro bimbi uccisi erano cugini
Erano 4 cugini tra i 9 e gli 11 anni i bambini uccisi. Si chiamavano Ahed Bakr (10 anni), Zakaria (10), Ramez (11) e Mohammad (9). Israele ha annunciato di aver aperto un’indagine. I piccoli sono stati colpiti mentre si trovavano su una spiaggia lungo una strada costiera e altre sette persone, tra cui adulti e bambini, sono rimaste ferite, riporta ancora il medico. Lo zio dei ragazzini uccisi, il 41enne Abdel Kareem Baker, accusa Israele: “E’ un massacro a sangue freddo. È una vergogna che non li abbiano identificati come bambini, con tutta la tecnologia avanzata che stanno utilizzando”. Altri 5 bimbi sono rimasti feriti e si sono rifugiati fra le braccia dei giornalisti, alloggiati in un albergo nelle vicinanze. Uno si teneva il ventre ed urlava di dolore. Un altro aveva una ferita alla testa. Tutti sono stati caricati su ambulanze che li hanno portati a sirene spiegate all’ospedale Shifa dove un dirigente di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha accusato Israele di essersi macchiato “di un orrendo crimine di guerra” di cui, ha avvertito, “ne pagherà il prezzo”.
La dinamica: prima un razzo di avvertimento, poi la strage
Fra le onde del mare, la spiaggia e i capannoni dai colori sgargianti, quei bambini non potevano nemmeno immaginare che ci potesse essere alcun “obiettivo di carattere militare”. In serata da Tel Aviv si è appreso, ufficiosamente, che la comitiva dei bambini è stata vittima di un errore di identificazione. Su un molo vicino c’era un container che l’intelligence di Israele supponeva fosse utilizzato da miliziani di Hamas. Un primo razzo è stato sparato sul tetto per avvertire che stava per essere distrutto. Sulla spiaggia c’è stato il panico. Un gruppetto di persone – per lo più bambini – si è dato alla fuga. E quel capannello di persone, viene spiegato a Tel Aviv, è stato centrato nell’errata presunzione di un velivolo israeliano che fossero miliziani di Hamas in fuga. Anche se l’esile fisionomia dei bambini era evidente.
Israele: “Operazione di terra molto probabile”
E’ “molto elevata” la probabilità che Israele lanci a Gaza un’operazione di terra: lo ha detto una fonte di sicurezza israeliana ad alcuni giornalisti stranieri. “Se vuoi combattere il terrorismo devi essere sul posto. Dal cielo possiamo colpirli duramente ma non sbarazzarci di loro. L’occupazione è fattibile in giorni o settimane al massimo”. Della possibilità parla anche il governo. Il ministro israeliano della Giustizia, Tzipi Livni, ha dichiarato questa sera alla rete televisiva Channel 2 che Israele non avrà altra scelta che lanciare un’incursione di terra nella Striscia di Gaza se continueranno i lanci di missili di Hamas. Fino ad oggi la Livni era stata uno dei ministri più prudenti rispetto all’operazione militare a Gaza.
Hamas: “Per il cessate-il-fuoco-vogliamo garanzie”
La risposta di Hamas non si è fatta attendere. L’organizzazione chiede “garanzie” da parte dei mediatori arabi e regionali prima di siglare un cessate il fuoco con Israele. Lo ha detto Mushir al-Masri, dirigente del movimento islamico palestinese a Gaza, in un’intervista all’agenzia Xinhua: “Prima del cessate il fuoco ci deve essere la garanzia che Israele sia obbligato a non violare un qualunque accordo di tregua”. “Negli ultimi giorni – ha spiegato al-Masri – Hamas ha avuto molti contatti con paesi arabi e islamici per discutere della tregua. Turchia e Qatar stanno facendo molti sforzi per arrivare alla proclamazione di un cessate il fuoco”. Nel pomeriggio, il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha annunciato in una conferenza stampa che il suo movimento ha informato ufficialmente l’Egitto della decisione di rifiutare la sua iniziativa di due giorni fa per il cessate il fuoco con Israele.
Nono giorno di raid su Gaza
Gli aerei israeliani hanno solcato i cieli della Striscia per tutta la notte, dopo che ieri pomeriggio (martedì 15 luglio) i raid sono ripresi in seguito al fallimento del tentativo di mediazione operato dall’Egitto di Al Sisi. L’esercito israeliano ha chiesto agli abitanti del nord della striscia di lasciare le proprie case “per la loro sicurezza”. Stando alla Dpa, Israele ha colpito obiettivi ogni dieci minuti dalla ripresa dei raid. Tra i bersagli, secondo gli israeliani, gruppi di militanti ritenuti responsabili del lancio di razzi e case di militanti e leader di Hamas, compresa – secondo testimoni – quella dell’ex ministro degli Esteri Mahmoud al-Zahar. In nove giorni da Gaza sono stati sparati 1.260 razzi verso Israele: 985 di questi hanno raggiunto il territorio israeliano, 225 sono stati intercettati dalle batterie di difesa, gli altri sono caduti in zone aperte. Questa mattina una visita ad Ashqelon, nel sud di Israele, del ministro degli esteri Avigdor Lieberman e del suo omologo norvegese è stata interrotta dal lancio di razzi. L’attacco non ha provocato vittime.
Diplomazie al lavoro, Abu Mazen al Cairo
Il lavoro delle diplomazie prosegue. Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, è arrivato al Cairo per incontrare il presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sisi, il segretario generale della Lega araba, Nabil al-Arabi, il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shukri, e il numero due dell’ufficio politico di Hamas, Musa Abu Marzouk. L’obiettivo è “giungere a un cessate il fuoco”, come ha dichiarato Nabil Shaath, esponente di Fatah, durante una conferenza stampa a Ramallah. Dopo la tappa in Egitto, ha precisato, Abbas “si recherà in Turchia e nel Golfo”.
Netanyahu a Mogherini: “Se attaccassero Roma, reagireste”
Anche l’Italia fa la propria parte. Il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, “sta cercando di dare un aiuto per arrivare a un cessate il fuoco” tra Hamas e Israele in qualità di “ministro di un paese importante in seno all’Ue e a livello mondiale”, ha spiegato il ministro degli Esteri palestinese, Riad al-Malki, che incontrerà la Mogherini domani a Ramallah. Oggi la Mogherini ha incontrato il presidente israeliano Shimon Peres e il premier Benjamin: ”Immagini se Roma, Firenze e Milano fossero bersagliate da razzi. Non lo accettereste. Rispondereste. Quelli che sparano razzi non stanno cercando una soluzione politica”, ha detto il primo ministro israeliano al capo della Farnesina. Lo riporta il Jerusalem Post.
Le condizioni di Hamas per la pace
Secondo il il quotidiano israeliano Maariv, Hamas è interessata a concordare una tregua di 10 anni: sarebbero già state formulate in merito dieci richieste precise. Le richieste di Hamas includono, secondo Maariv, la riapertura del valico di Rafah (da cui si accede al Sinai egiziano). Hamas chiede inoltre di riattivare l’aeroporto internazionale di Dahanyeh (in disuso da molti anni) e di poter disporre di un porto marino. Ai pescatori di Gaza dovrà essere concesso di spingersi fino a 10 miglia marine dalla costa, mentre agli agricoltori dovrà essere permesso di lavorare i campi fino a ridosso dei reticolati di confine con Israele. Hamas esige poi che agli abitanti di Gaza sia dato il permesso di transito per recarsi in preghiera alla moschea di al-Aqsa a Gerusalemme. Nell’immediato Israele – secondo quanto ha appreso Maariv – dovrà liberare le centinaia di palestinesi arrestati in Cisgiordania nelle settimane passate, mentre erano in corso le ricerche di tre ragazzi ebrei trovati poi morti presso Hebron. Sul piano politico, Israele dovrà impegnarsi a non ostacolare nuove elezioni politiche nei Territori e dovrà far retrocedere i propri mezzi blindati che circondano la striscia di Gaza. Hamas ha smentito la notizia.
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Re: La guerra è inevitabile???
L'invasione di terra di Gaza è cominciata.
La Casa Bianca è stata messa in stato di sicurezza.
Dalle 16,00 di oggi questa è diventata una giornata particolare anche a causa dell'abbattimento dell'aereo di linea malese in Ucraina.
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