Sveglia ragazzi!!!!!.....Stiamo per saltare!!!!!!!!!!!!!!!!!

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camillobenso
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Re: Sveglia ragazzi!!!!!.....Stiamo per saltare!!!!!!!!!!!!!

Messaggio da camillobenso »

5 AGO 2014 15:19
1. RENATO BRUNETTA DICE A DAGOSPIA CHE SERVE UNA MANOVRA DA 25-30 MILIARDI DI EURO -


2. MA “PRIMA, VA FATTA UN’OPERAZIONE VERITÀ SUI CONTI IN PARLAMENTO E NON IN QUALCHE CONFERENZA STAMPA. L’UNIONE EUROPEA NON PUÒ FARCI NESSUNO SCONTO” -


3. GLI 80 EURO SONO STATI UN ERRORE E VANNO TOLTI: “NON POTEVAMO PERMETTERCELI E HANNO AGGRAVATO LA CONDIZIONE DEI CONTI. NON HANNO RILANCIATO I CONSUMI” -


4. “BERLUSCONI SA TUTTO E CONDIVIDE TUTTO. NON A CASO MI HA AFFIDATO LA RESPONSABILITÀ PUBBLICA DELL’OPPOSIZIONE SULL’ECONOMIA E SUI CONTI. IO STO SOLO OTTEMPERANDO A UN MANDATO E IL PATTO DEL NAZARENO NON SALVA NESSUN GOVERNO DALLE SUE RESPONSABILITÀ IN ECONOMIA. A UN DISOCCUPATO, A UN’AZIENDA CHE DEVE AVERE I SOLDI INDIETRO DALLO STATO, INTERESSA POCO CHE IL SENATO NON SIA PIÙ ELETTIVO O CHE I DEPUTATI ABBIANO O MENO L’IMMUNITÀ. AL GROSSO DEGLI ITALIANI QUESTE COSE NON INTERESSANO



(Bisognerà vedere a cosa mira Brunetta pronunciando la frase evidenziata in rosso e opportunamente ingrandita. Cosa significa la politica dei due forni, Da una parte appoggio cieco a Renzi per l'interesse esclusivo di una sola persona. Neppure di FI che minaccia di dividersi ulteriormente. E sull'altro fronte questo attacco a fondo di Brunetta in materia economica. Ma sostenendo la stessa tesi da mesi, anche se si tratta di Brunetta, mi trovo d'accordo con lui e sarebbe altamente ipocrita dire il contrario in questo momento, solo perché Brunetta non mi piace politicamente da sempre. Non si confonda eventualmente anche la mia profonda avversione per la politica di Pittibimbo, perché le forti critiche che avanzo da sei anni riguardano indistintamente i premier che si sono succeduti dal 2008, e che dell'economia in fase pre agonica se ne sono sbattuti tutti quanti i coniglioni. - ndt)


Colloquio con Renato Brunetta di Francesco Bonazzi per Dagospia

“Guardi, lo so che rischio di passare per antipatico, ma purtroppo il titolo di questa intervista dovrebbe essere “Avevo ragione io”.


Renato Brunetta, capogruppo alla Camera di Forza Italia, scherza, ma fino a un certo punto.

Da mesi va dicendo e scrivendo che serve una manovra correttiva e, ora che non la smentisce neppure più il premier, chiede innanzitutto “un’operazione verità” sui conti e attacca sugli 80 euro (“un errore”) che vanno solo levati.


D.: Sono in arrivo per domani gli ultimi dati del Pil. Certificheranno che la ripresa proprio non c’è, nonostante le stime del ministro Padoan, che parlavano di crescita dello 0,8. Serve una manovra correttiva? E se sì, da quanto?
R.: “Con la crescita zero o sotto zero saltano tutti i conti. Saltano i conti del gettito fiscale e saltano quelli delle uscite del welfare perché aumentano i “morti e feriti” sul fronte del lavoro, con più cassa integrazione, meno contributi, più indennità di disoccupazione e così via. Insomma, aumenterà il deficit e tutti gli obiettivi fissati con l’Unione europea e nel Def vanno gambe per aria”.


D.: Fosse in Renzi e Padoan, lei che farebbe?
“Io dico da mesi che ci vuole innanzitutto un’Operazione Verità. Bisogna dire le cose con chiarezza in Parlamento e non in qualche conferenza stampa. Perché se continuiamo a essere in recessione, va detto con onestà. Poi se ne deve trarre le conseguenze e allora ricordo che da tempo dico che se si vogliono confermare gli obiettivi e gli impegni di finanza pubblica ci sono da recuperare dai 25 ai 30 miliardi per quest’anno e per il 2015. L’Europa non può farci nessuno sconto. Questa è la situazione”.

D.: Renzi pare un po’ lontano. Si rammarica solo che non potrà estendere i famosi 80 euro…
R.: Ma gli 80 euro non sono serviti assolutamente a niente. Non potevamo permetterceli e hanno aggravato le condizioni di precarietà dei conti. Hanno aumentato le incertezze e non hanno stimolato in nessun modo i consumi, come si vede da tutti gli indicatori macroeconomici. Sono stati una mossa sbagliata e altrettanto sbagliato sarebbe confermarli. Lo dicono i fatti, che non servono, non lo dico io. Io lo dicevo da economista, ma adesso lo dico da persona che ha avuto ragione. Dovrebbero farsene una ragione i tanti laudatori degli 80 euro…”


D.: Per rispondere all’emergenza, si torna a parlare di tagli più o meno lineari ai ministeri. Che ne pensa?

R.: “Guardi, è sempre la stessa storia della responsabilizzazione dei singolo ministero. Una storia che non ha mai funzionato, perché nessun ministro da solo è in grado di fare tagli selettivi alla spesa. Saranno applicati solo tagli lineari, ma dai tempi di Tremonti non mi sembra che abbiamo fatto grandi passi avanti”.
matteo renzi graziano delrio


D.: Però molti ministri hanno scarso peso politico e difficilmente posso opporsi a Renzi, che se li è letteralmente inventati…
R.: “Sarà. In effetti va detto che questo governo è fatto di una persona sola che è Renzi. Si tratta di un dato molto importante per la linea politica, ma poi non basta. Lo si è visto in Europa e lo si è visto in economia. Si è visto anche nei rapporti tra governo e Parlamento”.


D.: A proposito di rapporti con il governo, dicono che Renzi si lamenti spesso con Berlusconi di lei e delle sue critiche sui conti pubblici. Le dice mai niente il Cavaliere? La sgrida?
R.: “Il Presidente sa tutto e condivide tutto. Non a caso mi ha affidato la responsabilità pubblica dell’opposizione sull’economia e sui conti. Io sto solo ottemperando a un mandato e iil Patto del Nazareno non salva nessun governo dalle sue responsabilità in economia. A un disoccupato, a un’azienda che deve avere i soldi indietro dallo Stato, interessa poco che il Senato non sia più elettivo o che i deputati abbiano o meno l’immunità. Al grosso degli italiani queste cose non interessano, ricordiamolo”.
camillobenso
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5 AGO 2014 19:09
LA GESTIONE DEL DUO PADOAN-GAROFOLI AL TESORO SI STA RIVELANDO UN DISASTRO: IL CAPO DI GABINETTO DI PADOAN NON VA MAI IN PARLAMENTO NÉ TIENE LE FILA DEI PROVVEDIMENTI E COSÌ NEI DECRETI FINISCE OGNI GENERE DI SCHIFEZZE
Nel secondo trimestre sono andate in default 4.044 imprese, con +15,5% di procedure fallimentari rispetto allo stesso trimestre del 2013 - E al Mef si son messi le mani nei capelli, perché i debiti fiscali di quelle aziende fallite sono già stati contabilizzati per intero, e se quelle sono fallite, addio, mo i debiti chi li paga? E chi lo riempie, il buco?...


DAGOREPORT

Basta giocare, ragazzi. E’ finita. Stamattina, quando la soave ministra Boschi ha posto l’ennesima fiducia sul decreto Pa, e il senatore grillino Bruno Marton ha gridato un Olé cui ha fatto eco una ola di frizzi, lazzi e applausi da parte dei colleghi di Sel e Cinque Stelle, per molti di noi è stato come ballare sul ponte del Titanic che affonda.
A Villa Arzilla oggi dilaga un umore particolarmente cupo e disperato.

Non tanto ormai, non più, per la morte incombente di quest’esimia istituzione parlamentare che pure tanto ha dato alla patria; ma per la vanità e la stupidità di questo nostro dare la fiducia a decreti che non stanno in piedi, pieni di norme mal scritte, contradditorie e senza senso. E’ chiaro ormai che il MEF, tanto per dirne una, non regge più.

Lo si è visto stamattina, quando dentro il maxi-emendamento sulla Pa ci hanno rifilato da votare la cosiddetta norma salva-Volpe. E chi è mai ‘sto Volpe? Lo storico capo del legislativo del MEF, attualmente dirottato ai Monopoli come direttore degli affari legali, insomma il magistrato di Tar Italo Volpe, sarebbe stato colpito dalla scure del fuori ruolo, come previsto nella precedente versione del decreto.

Il Volpe andava salvato e oggi lo abbiamo salvato. Alla fine, approvando il maxi-emendamento, abbiamo salvato pure il decreto che, come benevolmente segnalato dalla ragioneria dello Stato, era totalmente privo di copertura. Ma chi salverà noi?


Ed è sempre così. La gestione del duo Padoan-Garofoli al Mef si sta rivelando un disastro. Il capo di gabinetto di Padoan non viene mai in parlamento né tiene le fila dei provvedimenti, così nei decreti ci finisce ogni genere di schifezze. Quanto poi al fare un po’ di coordinamento in materia economico-finanziaria tra parlamento, governo e ministero… Pronto, Mef? C’è nessuno? Pronto?
E poi sarebbe il Senato la zavorra dell’Italia. Dicono.

Così nessuno ci rassicura sui dati Istat e sulla manovra che incombe e sul buco che inesorabile s’avanza nel bilancio dello Stato. Venti miliardi? Trenta? A noi manco più ci dicono quant’è, il buco, e ci tocca leggere le interviste di Brunetta per capirne qualcosa.

Perciò a distrarci oggi non bastano la prosperosa collega Spillabotte, che pure si è allegramente presentata in aula con un paio di zoccoli, o la vicepresidente Fedeli, che scaramantica ha messo un corno anti-jella alla sua collana.

Un collega senatore, di quelli che ci capisce davvero, ha detto che nel secondo trimestre sono andate in default 4.044 imprese, ossia abbiamo avuto un +15,5% di procedure fallimentari rispetto allo stesso trimestre del 2013. E infatti al Mef si son messi le mani nei pochi capelli che gli restano, perché i debiti fiscali di quelle aziende fallite sono già stati contabilizzati per intero, e se quelle sono fallite, addio, mo i debiti chi li paga? E chi lo riempie, il buco?

Perciò il governo, mormorano i senatori che hanno amici al governo, sta studiando una patrimoniale sulle rendite finanziarie. E questo sarebbe il meno. Ci sarebbe il solito aumento delle accise. Ci sarebbero altre simulazioni di cetrioli ben più devastanti. Per esempio: una patrimonialina sulla casa, sotto forma di una tantum. Per esempio: il ricalcolo, in base al sistema contributivo, di tutte le pensioni. Anche quelle già percepite? Esatto. Anche di quelle maturate col sistema retributivo? Purtroppo sì.

Ovviamente diranno che colpiranno solo le pensioni più ricche. Ma poi, intendiamoci, dove cominciano i ricchi? A 2000 euro lordi al mese? A 2500? A 3000? Ah, saperlo…
Poveri pensionati, perciò. Poverissimi. Soprattutto quelli che hanno investito i loro risparmiucci in Bot e altri titoli di Stato. Dicono che mentre qui in Senato noi si stava a votare la grande riforma che magicamente salverà l’Italia dalla crisi, altrove erano in corso riunioni riservate sulla ristrutturazione del debito. Discussioni serie; anzi: serissime.

Già c’è qualche collega che, passando in banca a prelevare i soldi per le vacanze della famigliola, ha cominciato a dare disposizione di vendere, vendere, vendere.

Qualcuno che ha amici a Montecitorio racconta che laggiù stanno andando anche oltre; che al Banco di Napoli si preparano, come già in passato, a staccare assegni circolari per molto alleggerire qualche conto corrente. Dicono. C'è gente, ovviamente, che cerca di mettersi al riparo da un possibile prelievo forzoso.
Il clima è quello che è, perciò tutto è possibile.

Quindi: è così importante che oggi quelli di Ncd si prendano a mattonate sulla testa perché hanno scoperto che Maurizio Sacconi, quatto quatto, s’è fatto promettere da Renzi la poltroncina dell’Inps? Ma al Pd lo sapevano anche i sassi! Come tutti sappiamo, qui a Madama, che l’onorevole senatore avvocato Donato Bruno, Fi, membro della commissione Affari costituzionali, ambirebbe a un posticino alla Corte costituzionale o al Csm.

Che è esattamente ciò a cui ambirebbe anche l’onorevole senatrice magistrata Anna Finocchiaro, Pd, presidente della commissione medesima. Tacciamo poi dei posticini, delle consulenze, dei contrattucci promessi a figli, mogli, amanti e fidanzate/e di coloro che in aula stanno votando la riforma. Tutti torturati dallo stesso dubbio: ma alla fine, il Matteo, le manterrà le sue promesse? Più facile che mantenga quella di far cambiare verso all’Italia. In peggio, però. Un saluto da Villa ex Arzilla.
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5 AGO 2014 18:58
BRUSH HOUR! LEGGI OGGI LE NOTIZIE DI DOMANI – RENZIE FA FESTA PER L’INUTILE VITTORIA DEL SENATO ED È OTTIMISTA SULL’ITALICUM, MA L’ECONOMIA DOMANI LO SBATTERA’ AL MURO – POLEMICA CON CONFCOMMERCIO SUGLI 80 EURO “INVISIBILI”
Giovedì Renzie potrebbe intervenire in Senato per mettere la faccia su una “vittoria storica”. Oggi però ha avuto un lungo incontro con Padoan per prepararsi ai brutti dati di domani sul Pil. Brunetta chiede una manovra da 25-30 miliardi. Fiducia numero 18 per il decreto PA…

Francesco Bonazzi per Dagospia

Se non ci fosse l’economia, l’estate di Renzie sarebbe quasi perfetta. Anzi, vista con i suoi occhi, sarebbe trionfale. La riforma del Senato procede spedita e l’accordo sulla legge elettorale sembra a un passo, ma domani arrivano dati poco piacevoli sulla (non) crescita del Pil italiano e tocca mettere in cantiere tagli e correzioni dei conti pubblici. Mentre oggi è arrivata pure una polemica piuttosto spigolosa con la Confcommercio sul famoso BONUS degli 80 euro.

Cominciamo proprio da qui, dal fronte economico.

Oggi Renzie ha incontrato lungamente il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e con lui ha preparato le mosse per domani e per i prossimi giorni.

Domani, l’Istat potrebbe certificare che siamo in stagnazione assoluta o, addirittura, in leggera recessione. Bisognerà correggere il Def, che immaginava una crescita dello 0,8%, e tenere d’occhio il parametro del 3% nel rapporto deficit-pil.

MARIANNA MADIA
MARIANNA MADIA
Dall’opposizione, parlando con Dagospia, Renato Brunetta chiede “un’operazione verità” e una manovra da “25-30 miliardi”. Renzie farà di tutto per evitarla e punta sui tagli alla spesa.

Pittibimbo vuole anche confermare il BONUS Irpef da 80 euro, ma proprio oggi la Confcommercio ha definito i suoi effetti sui consumi “quasi invisibili”. Una notazione che è andata per traverso al premier, lesto a replicare così: “Lo vadano a spiegare a 11 milioni di italiani che la pensano in modo diverso”. Difficile però pensare che Confcommercio non mastichi la materia e non si sia accorta di nulla.

Sul fronte delle riforme, invece, la strada di Renzie sembra in discesa, tanto che giovedì potrebbe intervenire a Palazzo Madama per sancire l’approvazione della riforma del Senato. Lega e Cinque Stelle sono per gran parte dei lavori fuori dall’Aula e il voto finale può arrivare giovedì, ovvero con un giorno di anticipo. Per Renzi “è l’inizio di un cambiamento storico”, ma bisogna ancora fare attenzione a un voto segreto, quello su indulto e amnistia: potrebbe essere palestra favorevole alle gesta dei franchi tiratori.

Il grosso dell’attenzione si sposta dunque sulla riforma elettorale, e anche qui il premier è ottimista. Oggi ne ha discusso anche con Angelino Alfano, che chiede soglie più blande e le preferenze, e domani dovrebbe sancire un nuovo accordo con Silvio Berlusconi. “Dopo toccherà ai problemi veri delle persone”, promette Renzie, che si rende conto del pericolo di una certa astrazione dai temi economici.


Intanto va detto che l’esecutivo, per tirare avanti, non sembra poter fare a meno del voto di fiducia. Oggi se l’è cavata così, con la fiducia numero 18 in soli sei mesi di governo, per far approvare il decreto Madia sulla Pubblica amministrazione, che ora torna alla Camera e va approvato entro il 23 di questo mese. E la questione di fiducia è stata messa anche alla Camera sul decreto competitività. Il continuo ricorso alla fiducia è l’altra faccia del Patto del Nazareno e un’ammissione di debolezza del governo.
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4 AGO 2014 17:20
FASSINO AD ARCORE E PURE A CASA DI GIANNI LETTA! - AMMETTE CHE FAR FUORI LETTA È STATA “UN’INGIUSTIZIA UMANA”, MA “IL GOVERNO SI ERA LOGORATO” – E RENZIE FA BENE A TRATTARE CON BERLUSCONI “PERCHÉ LA PACE SI FA CON IL NEMICO”
Il sindaco di Torino, ed ex segretario dei Ds, dice che è giusto trattare con Berlusconi: “Anch’io lo incontrai più volte, ad Arcore e a casa di Gianni Letta”. E su Lady Pesc dice: “La Mogherini per me è come una figlia. È penalizzata dalla giovane età e dal fatto che è ministro solo da quattro mesi”.

Barbara Romano per “Libero Quotidiano”


Piero Fassino, lei è stato tre volte segretario dei Ds. È quello che ha traghettato il partito nel Pd. Eppure nell’organigramma attuale dei democratici non c’è traccia del suo nome. Non si può dire che i compagni le siano stati riconoscenti…

«Ho le mie ambizioni, ma non ho mai finalizzato le mie scelte agli incarichi. Quando ho scelto di portare i Ds nel Pd sapevo benissimo che il primo segretario del Pd non avrebbe potuto essere l’ultimo dei Ds».

Ciononostante lei…
«Lavorai con grandissima passione alla fusione. Anzi, rivendico che senza la mia determinazione il Pd non sarebbe mai nato».

Lei è stato il primo ex comunista ad abbracciare Renzi. Opportunismo?

«Coerenza con la mia storia. Aderii con convinzione alla svolta della Bolognina, perché condividevo con Occhetto la consapevolezza che era necessaria una fase nuova. Quando mi candidai alla segreteria dei Ds, nel 2001, lo feci con lo slogan “O si cambia o si muore”».

Ma cosa può avere lei in comune con un ex democristiano?
«Renzi interpreta bene quella che è sempre stata la mia idea di sinistra. Quando fui eletto segretario dei Ds, nel 2001, dissi: io credo in una sinistra che non ha paura di misurarsi con il mondo che cambia».


Fatto sta che voi ex Pci avete consegnato il partito a un ex scout Dc. Non lo reputa un fallimento?
«Affatto. Il Pd è nato per dare all’Italia un grande partito che interpretasse i valori di progresso e liberazione e Renzi li esprime pienamente, tant’è che è con lui che il Pd ha preso oltre il 40%. E in lui si identificano tantissimi come me che vengono da una storia di sinistra».

Appunto, nessuno di voi c’era mai riuscito prima. Come mai?
«Io ho fatto il Pd per superare il 40%, ma non sta scritto da nessuna parte che bisognava arrivarci il primo giorno. Senza la decisione dei Ds e della Margherita di fondersi, il Pd non sarebbe mai nato. E come un neonato, nei suoi primi anni di vita non poteva che essere fortemente dipendente da chi lo aveva generato. Oggi il Pd è nella fase dell’adolescenza e afferma la propria indipendenza dai genitori, con i quali qualche volta può anche essere in conflitto».


Alla faccia del conflitto: Renzi prima ha rottamato i genitori, poi ha ucciso l’ex vicesegretario del Pd per prendere il suo posto a Palazzo Chigi.
«Io sono uno dei pochi che, nei giorni difficili in cui si è arrivati al cambio di Letta al governo, gli ha espresso gratitudine, perché Enrico si è caricato l’incombenza di guidare il Paese in un momento difficile e ha dovuto fare scelte impopolari. Ma quell’esperienza si stava consumando rapidamente nel rapporto con l’opinione pubblica».

Quindi ha fatto bene Renzi a farlo fuori dopo avergli detto «stai sereno»?
«Non è che ha fatto bene… ha preso atto che c’era una consunzione di credibilità. Non di Letta come persona, ma della sua esperienza di governo. E se non s’interveniva con un fattore di rottura, quella situazione sarebbe degenerata ulteriormente pregiudicando non solo un governo, ma una prospettiva politica. Ho fatto il segretario di partito per sette anni e so bene che ci sono momenti in cui un leader è chiamato a fare scelte difficili, che passano anche per qualche ingiustizia umana. Lo dico avendole anche vissute sulla mia pelle».


Quali?
«Sapevo di non poter essere il primo segretario del Pd mentre lo stavo costruendo. Questo era certo ragione di sofferenza personale, ma non ha ridotto il mio impegno nel far nascere il nuovo partito. E dopo, nel 2006, sarebbe stato del tutto lecito che chi aveva guidato il partito vincendo le elezioni per cinque anni andasse al governo con Prodi. Infatti ero in predicato di fare il vicepremier o il ministro degli Esteri. Ma mi fu chiesto di guidare i Ds verso il Pd e dovetti fare una rinuncia. Anche in quel caso fu una scelta difficile e sofferta, ma c’era una ragione politica che la motivava».

Non siete cambiati. Nel Pci era prassi che si arrivasse alla segreteria per decapitazione del leader in carica: D'Alema versus Occhetto, Occhetto versus Natta...
«Quando il nostro gruppo dei giovani dirigenti del Pci guidati da Occhetto dovette operare il passaggio, fu doloroso. Un vero trauma, anche nei rapporti personali tra loro due e tra Natta e noi. Ma fu necessario, perché ci accorgevamo che il partito stava pericolosamente riducendo il suo credito».

Siete stati voi a costruire il percorso che ha portato il centrosinistra italiano nel Pse. Non le ha dato fastidio vedere Renzi sul palco prendersi tutti i meriti?
«Al contrario, lo considero anche un mio successo. L’atto iniziale del percorso che ha portato Renzi a diventare un leader dei socialisti europei fu il congresso di Oporto del 2006, nel quale io ottenni che lo statuto del Pse venisse cambiato. E fui sempre io a negoziare, assieme a Franceschini, l’Ingresso degli europarlamentari del Pd nel gruppo socialista a Strasburgo. Quindi le prime tappe mi hanno visto protagonista. Perché dovrei essere geloso di un esito positivo?».


Berlusconi era un leader semimorto, Renzi lo ha riesumato. Ha fatto bene?
«Berlusconi ha dimostrato nel tempo che un pezzo di società italiana s'identifica in lui. Il suo grado di legittimazione gli deriva da questo, non dal fatto che Renzi gli parli».

Quando lei era segretario del Pds incontrava spesso il Cav?

«Molte volte».

Anche lei è stato ad Arcore?
«Certo. Sono andato anche a trovare Berlusconi a Palazzo Chigi, al gruppo del Pdl alla Camera e pure a casa di Gianni Letta».

Com’erano i rapporti tra voi?
«Berlusconi è un seduttore, stabilisce un rapporto umano che non è certo freddo o diffidente. Ho sempre avuto una buona interlocuzione con lui. Sulla riforma elettorale eravamo quasi arrivati a un’intesa nel 2006 sul Mattarellum corretto...».


Che, al pari della Bicamerale di D’Alema, andò male…
«L’accordo sul Mattarellum non si fece perché alla fine lui non se la sentì. E io rispettai la sua scelta».

Lei avrebbe invitato Berlusconi al Nazareno?
«Non so se ne avrei avuto la forza, ma apprezzo che l’abbia avuta Renzi. Ha dimostrato di non avere nessuna forma di subalternità e ha privilegiato la sostanza alla forma».

Al posto di Renzi lei sulle riforme privilegerebbe il rapporto con Verdini o con Vendola?

«Un adagio che imparai quando facevo politica estera dice che la pace si fa col nemico e l’interlocutore non te lo scegli tu. Se l’accordo lo fai con Fi, poi se viene Verdini o altri a trattare non sei tu che lo decidi, ma Berlusconi. Il problema però non è interloquire con chi, ma su cosa. Gli emendamenti che propone Vendola stravolgono parecchio l’idea di riforma del Senato che il Pd propone».

Ha stupito molti che Renzi preferisca il Caimano alla sinistra.
«Quello che stupisce me è l’intransigenza di Sel, che presenta oltre seimila emendamenti». Anche Renzi sta mostrando intransigenza nel voler arrivare subito al Senato non elettivo, che molti giustificano con la sua intenzione di andare subito al voto. «Non so se lui abbia in mente questo. Credo che il suo intento sia innanzitutto dimostrare che è in grado di fare una riforma necessaria».

Intanto Marchionne trasloca la Fiat all’estero. Il primo che dovrebbe arrabbiarsi è il sindaco di Torino. Perché lei sta zitto?
fassino le vacanze dei politici via dal palazzo ecco le destinazioni di viaggio di chi ci rappresenta

«Perché non è vero. La ex Bertone, fabbrica di carrozzerie di nicchia, ha chiuso nel 2006: 1.300 lavoratori, dopo la cassa integrazione e la mobilità, non avevano più prospettiva di ricollocazione. Due anni fa la Fiat l’ha comprata e c’ha portato la Maserati: entro la fine di quest’anno in quello stabilimento lavoreranno 3.000 dipendenti. Una settimana fa sono stato a Mirafiori: dove c’erano le presse che stampavano le lamiere è stato fatto il nuovo centro di progettazione di tutto il gruppo. Vi lavorano 1.500 impiegati. E lì accanto c’è uno stabilimento in cui lavorano ancora 18mila persone».

Però oggi si chiama Fiat-Chrysler e produce soprattutto in Usa.
«Intanto è la Fiat ad aver comprato Chrysler e non viceversa. Da sole queste due aziende sarebbero già chiuse. Invece hanno costituito un player mondiale che ha stabilimenti anche a Melfi, a Cassino, in Val di Sangro. Quindi la Fiat non se ne va né dall’Italia né da Torino».

Al pari di D’Alema e Letta, lei è uno dei dirigenti del Pd più stimati all'estero. Ma perché per le nomine europee Renzi propone chiunque tranne voi?
«È giusto lasciare a un premier il diritto di fare le scelte che ritiene migliori per il suo Paese e per l’Europa».


Dove la candidatura della Mogherini è ritenuta troppo debole.
«È probabilmente penalizzata dalla giovane età e dal fatto che è ministro degli Esteri da soli 4 mesi. Invece si occupa di politica estera almeno da una quindicina d’anni. Ha lavorato per anni nel dipartimento internazionale del partito, nel Pse, è membro dell’assemblea parlamentare della Nato e del Consiglio d’Europa. Quindi ha avuto tutto il tempo di maturare un sistema di relazioni. La Mogherini l’ho cresciuta io. La considero una figlia».


Non sarebbe stato più titolato lei di sua “figlia” a fare Mr Pesc?

«Tutti sanno che ho dedicato una buona parte della mia vita politica alla sfera internazionale come parlamentare, ministro, inviato speciale dell’Ue e come leader dei Ds e del Pse. Ma fortunatamente non sono l’unico e il Pd è ricco di personalità che hanno esperienza e credito internazionali».

Lei, Letta e Veltroni avete lavorato tanto per il centrosinistra. Chi di voi è più titolato per il Quirinale?

«Non mi faccio tirare in questa trappola».

Non ha mai buttato un occhio al Colle?
«Non è un posto al quale ci si candida. Al Quirinale si viene eletti».

^^^^^^^^^^^


http://www.youtube.com/watch?v=RSPs85eKP6o


*

Il golpe mancato dei democratici: regalare ancora più soldi ...
http://www.ilgiornale.it/.../golpe-manc ... ncora-pi-s...
16/apr/2012 - «Obiettivo centrale delle fondazioni - spiega Sposetti illustrando il 25 ottobre 2010 il ... In Germania le fondazioni ricevono finanziamenti globali da parte del ministero dell'Interno e ... L'articolo 8 disciplina invece il finanziamento pubblico delle .... puntano addirittura a raddoppiare il finanziamento pubblico.


RADDOPPIARE I SOLDI AI PARTITI? YES, WE CAN… |
ilgraffionews.wordpress.com/2011/.../raddoppiare-i-soldi-ai-partiti-yes-w...
12/apr/2011 - Mentre per il ministro del "vaffanculo" Ignazio La Russa vedere una partita di calcio è un ... in materia di finanziamenti pubblici e privati destinati ai medesimi soggetti. ... dei partiti politici (Atto Camera: 3809, 25 ottobre 2010) -, è Ugo Sposetti, .... trapelata la notizia che il giorno 14 aprile 2011 in commissione ..


L'elenco dei deputati che solo un anno fa hanno firmato la ...
infosannio.wordpress.com/.../lelenco-dei-deputati-che-solo-un-anno-fa-h...
Pubblicato su 14 aprile 2012 da infosannio 2 commenti ... Il primo firmatario del progetto di legge numero 3809 era Ugo Sposetti del Partito Democratico (è anche lo storico tesoriere ... Arrivando quindi a raddoppiare la somma del finanziamento pubblico. ... Guardate un po' chi era presente nella seduta del 12 aprile 2011:.
Ultima modifica di camillobenso il 05/08/2014, 21:07, modificato 1 volta in totale.
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È GUERRA TRA RENZI E IL TESORO ASPETTANDO L’AUTUNNO CALDO

(Marco Palombi).
05/08/2014 di triskel182


SCONTRO SULLE COPERTURE AL DECRETO MADIA, ALLA FINE IL GOVERNO CEDE.

Quel che è successo sugli emendamenti al decreto Pubblica amministrazione non è tanto rilevante in sé, quanto per quel che significa: la frattura tra Tesoro e Palazzo Chigi è ormai conclamata con quest’ultimo, almeno per ora, nella parte dello sconfitto. Matteo Renzi, che aveva difeso la norma sui “quota 96” e il prepensionamento dei professori universitari contro le perplessità di alcuni ministri (ad esempio Stefania Giannini, titolare dell’Istruzione) e l’uscita pubblica di Carlo Cottarelli, è ora stato costretto alla marcia indietro. Quattro emendamenti soppressivi che dicono che la macchina dell’austerità è ancora in funzione e anzi non trova argini. Nessun cambiamento di verso, insomma, e un pessimo segnale per la battaglia sui conti pubblici che l’Italia dovrà affrontare in autunno.

VA NOTATO, intanto, che le uscite pubbliche anti-governative del commissario alla spending review e della Ragioneria generale dello Stato (ieri ne ha fatto le spese anche un emendamento al dl Competitività del M5S condiviso dalla maggioranza) arrivano all’indomani della formalizzazione della squadra economica di palazzo Chigi che doveva sottrarre poteri proprio al Tesoro. Questa la scansione degli eventi. Lunedì 28 luglio Matteo Renzi ha comunicato i nomi degli economisti che faranno parte della famosa “cabina di regia” di palazzo Chigi: l’ex rettore della Bocconi Guido Tabellini, Marco Simoni, Veronica De Romanis, Tommaso Nannicini, più i piddini Yoram Gutgeld e Filippo Taddei. Il giorno dopo c’è stato un incontro tra Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan a palazzo Chigi al termine del quale viene diffusa l’apposita velina “tutto bene, madama la marchesa”: “Il titolare dell’Economia ha condiviso con Renzi l’idea di irrobustire la squadra economica di palazzo Chigi, in modo da avere una sponda e una interlocuzione ancora più strutturata”. Lo stesso giorno, però, al Tesoro s’erano tolti i guanti: alla Camera arrivano i pareri della Ragioneria generale che vogliono difendere l’impianto generale (e le accluse ingiustizie) della riforma delle pensioni Fornero. Non è finita. Mercoledì sera èarrivata la mazzata di Carlo Cottarelli che attacca il Parlamento per attaccare il governo, colpevole di aver avallato la manovra sui “quota 96” (i particolari tecnici li trovate nella pagina accanto). Venerdì ancora, con geometrica potenza di fuoco, la Ragioneria è tornata sul luogo del delitto facendo “sparare” di nuovo dalle agenzie i suoi rilievi sulle mancate coperture. Ieri infine – con gli emendamenti che si rimangiano i provvedimenti sui pensionati della scuola, le penalizzazione e la pensione a 68 anni per i baroni universitari – Renzi ha chinato il capo. Questa vicenda non è importante per le cifre in ballo – mezzo miliardo in sette anni sono una goccia nel bilancio dello Stato – ma per i rapporti di potere che delinea.

LA TECNOSTRUTTURA del Tesoro è ormai pubblicamente all’opposizione: il capo di gabinetto di Padoan, Roberto Garofoli (già con Letta a palazzo Chigi) e il ragioniere generale Daniele Franco (ex Bankitalia voluto da Saccomanni) gestiscono la più potente macchina anti-renziana in Italia, ma lo fanno con solidi agganci esteri. Non è infrequente – spiega al Fatto Quotidiano una fonte dell’ esecutivo Ue – che dalla Ragioneria partano telefonate alla volta di Bruxelles o Francoforte (la Bce di Mario Draghi) per chiedere interventi pubblici o “denunciare” informalmente il lassismo in materia di rigore del governo. È evidente a questo punto – spiega un membro del governo - “che al Tesoro c’è una guerra interna: le strutture confermate da Padoan contro il parere di Renzi, da Franco in giù, si percepiscono come contropotere rispetto al premier e sanno che fare le sentinelle dell’austerità in salsa germanica è l’unicomodo che hanno di pesare politicamente contro un governo che ha un grande consenso elettorale. Ecco il consenso degli italiani non è un loro assillo”.


SCENARIO abbastanza preoccupante se si pensa a quanto deve accadere di qui alla fine dell’anno: per rispettare quel che c’è scritto nel Def in termini di deficit e saldo primario, a Renzi servono una ventina di miliardi di minori spese (o maggiori tasse) entro l’anno prossimo. Roba che potrebbe uccidere un’economia già provata da anni di recessione come la nostra. Solo che fare una battaglia sulla flessibilità, magari sull’esempio di quel che fanno Francia e Spagna, mentre il Tesoro rema contro, potrebbe far affondare il Paese insieme al governo.

Da Il Fatto Quotidiano del 05/08/2014.
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Torna lo spettro recessione crescita zero nelle stime Istat Sul deficit si riapre il fronte Ue

(VALENTINA CONTE).
05/08/2014 di triskel182


Domani i numeri sul Pil 2014: si prevede tra – 0,1 e +0,1% Sempre più lontano il pareggio strutturale chiesto da Bruxelles.

ROMA – L’Italia di nuovo in recessione? Possibile. Lo sapremo domani alle 11. Quando l’Istat comunicherà la variazione del Pil nel secondo trimestre dell’anno. Se dopo il – 0,1% dei primi tre mesi arriverà un altro – 0,1%, sarà recessione tecnica. Due segni negativi in due periodi consecutivi. Non si scappa. Il governo lo teme. Al punto da aver ristretto la forchetta anticipata dall’Istituto di statistica a fine giugno. L’Istat prevedeva allora un Prodotto interno lordo oscillante tra – 0,1% e +0,3%: quasi inferno e promessa di paradiso. Intervallo ora compresso, nelle valutazioni dello staff economico di Palazzo Chigi, tra -0,1 e +0,1%. Parlare di decimali, di zero virgola, certo non fa una grande differenza per il Paese reale fermo. Per chi cerca e non trova lavoro. Per le famiglie che stentano a quadrare i conti, BONUS o non bonus. Ma per il governo Renzi sì.

E non solo per una questione di comunicazione: i titoli sulla recessione da spiegare, gli italiani da tranquillizzare. Ma per una strategia di politica economica tutta da reimpostare, con variazioni importanti da apportare entro settembre al Def, il Documento di economia e finanza, laddove il Pil per quest’anno è dato a +0,8%. E forse con una manovra correttiva da mettere in pista, non più esclusa nemmeno dallo stesso Renzi che, nell’intervista di ieri a Repubblica , assicurava che «in ogni caso non toccheremo le tasse». D’altro canto un secondo segno meno per il Pil non è certo un bel lasciapassare con l’Europa. Il premier è certo che «resteremo sotto il 3%» nel rapporto tra deficit e Pil (quest’anno il Def lo fotografa al 2,6%). Ma per Bruxelles potrebbe non bastare.

In prospettiva, camminare sul filo significa far saltare nei prossimi due anni il rispetto del pareggio di bilancio strutturale corretto per il ciclo economico (0,6% è il livello inserito nel programma di convergenza spedito alla Ue). E soprattutto del fiscal compact, le rigide regole di riduzione del debito pubblico, inserite in Costituzione.

Con un semestre di Pil sotto zero e con pochissime possibilità di ribaltare la situazione nella seconda metà dell’anno, le richieste di deroghe e flessibilità extra che il governo si preparava a fare all’Europa della Merkel, durante il semestre di presidenza italiano, in virtù dei compiti fatti a casa, rischia di trasformarsi in una domanda di sconti perché il Paese non ce la fa. E torna ad essere la Cenerentola dell’Europa, visto che la Spagna ha innescato il turbo della crescita (sopra l’1%) e persino dalla Grecia trapelano segnali positivi. È vero, non siamo al tracollo del Pil come negli anni bui della crisi post 2007. E neanche al livello del 2012 (-2,4%) e 2013 (-1,9%). Ma i decimali ora contano più che mai.
Per trattare in Europa, ma anche sul fronte interno. Se la crescita viene ridotta dallo 0,8% allo 0,3%, modificando il Def, il deficit sale da 2,6 a 2,8%. Un filo sotto il tetto e addio sconti sul cofinanziamento dei fondi europei. Addio risorse in più per BONUS e investimenti facendo lievitare il deficit. Tanto questo si alzerà da solo, perché il Pil scende. Ma anche il quadro politico ne risentirà. Inevitabile. Conti non più in sicurezza, l’Italia di nuovo vulnerabile. E qualcuno, anche nella maggioranza, potrebbe cogliere l’occasione per trarne vantaggi. Attaccando la politica degli annunci del governo. I pasticci dei decreti scritti e riscritti. E il fronte europeo che torna caldo. Che sia recessione o stagnazione il tema è già priorità, se non urgenza, sul tavolo del governo. A prescindere da cosa dirà domani l’Istat.

Da La Repubblica del 05/08/2014.
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CRESCITA
Il numero non riuscito di Matteo Renzi
Ecco come il Pil cambia la vita delle persone

Qual è stato l'impatto economico del governo Renzi sulla crescita? L'esecutivo, già costretto a rivedere al ribasso le previsioni, snobba numeri e percentali. Ma se il cruccio di Berlusconi, Monti e Letta si chiamava spread, quello dell'attuale premier ha un altro nome: Prodotto interno lordo
DI STEFANO VERGINE
05 agosto 2014



Il numero non riuscito di Matteo Renzi
Ecco come il Pil cambia la vita delle persone
«Che la crescita del Pil sia dello 0,4 o 0,8 o 1,5 per cento non cambia niente dal punto di vista della vita quotidiana delle persone». La teoria enunciata un paio di settimane fa dal premier Matteo Renzi si avvicina al momento della verità. Domani l'Istat, l'istituto nazionale di statistica, comunicherà la variazione del Pil, cioè il prodotto interno lordo, nel secondo trimestre dell'anno. In parole semplici, ci dirà com'è andata la nostra economia da aprile a giugno, se cioè la produzione di beni e servizi in Italia è aumentata o diminuita rispetto al trimestre precedente, e a quanto ammonta questa variazione. Il numero che si conquisterà i titoli dei giornali sarà uno zero virgola: una percentuale di poco sopra o sotto lo zero, almeno queste sono le previsioni degli esperti. Il punto è capire se questo numero conta o meno per «la vita quotidiana delle persone».

LA TEORIA
Dall'andamento del Pil dipende il bilancio dello Stato. Se il Pil aumenta, a crescere sarà il gettito fiscale, visto che per ogni bene o servizio venduto ufficialmente vengono pagate tasse e imposte. Dunque, se il Pil cresce lo Stato ha più risorse a disposizione. Soldi con cui può ad esempio costruire strade, abbassare le tasse, migliorare scuole e ospedali, continuare a finanziare il bonus da 80 euro e magari allargare la platea dei beneficari. Se invece il Pil diminuisce, anche le entrate pubbliche decrescono. E qui nascono i problemi. Perché quando un governo pianifica cosa fare, basa le proprie decisioni sulle previsioni di crescita economica. Che succede se un provvedimento è stato realizzato ipotizzando una crescita del Pil dell'1 per cento e invece alla fine questo scende? Succede che il governo deve trovare comunque quei soldi, e la cosa più facile da fare è aumentare le imposte indirette come ad esempio l'Iva, il bollo dell'auto o le accise sui tabacchi.

Il presidente del Consiglio risponde alle polemiche sulla mancata ripresa dopo i dati negativi resi noti da ConfcommercioVideo di Giuseppe Ferrante





LA SITUAZIONE ITALIANA
Il governo di Renzi, nel Documento di economia e finanza (Def) pubblicato ad aprile, aveva stimato per il 2014 una crescita del Pil pari allo 0,8 per cento. E aveva basato su queste stime la garanzia che il rapporto deficit/Pil, parametro cardine delle regole europee, sarebbe rimasto sotto il 3 per cento, soglia massima fissata da Bruxelles per evitare il commissariamento ufficiale, cioè l'arrivo a Roma della cosiddetta Troika a dettar legge sulla politica nostrana, proprio come è successo a Cipro, in Grecia, Irlanda e Portogallo. Con una crescita del Pil dello 0,8 per cento, aveva detto il governo ad aprile, il rapporto deficit/Pil non andrà oltre il 2,6 per cento. Ora però le cose sono cambiate. L'Istat, nella sua nota mensile pubblicata a fine luglio, ha scritto che «il recupero della crescita economica si preannuncia più difficile di quanto prospettato».

Tradotto in numeri, se due mesi fa l'Istituto di statistica aveva previsto una variazione compresa tra - 0,1 e + 0,3 per cento, domani le cose potrebbero andare peggio, tant'è che lo stesso staff economico del governo ha già ristretto la forchetta tra - 0,1 e +0,1 per cento. Se il segno sarà negativo, l'Italia rientrerà in recessione tecnica, formula che indica due trimestri consecutivi di crescita negativa (nel primo trimestre il Pil è calato dello 0,1 per cento). Se invece il segno sarà positivo, non ci sarà comunque molto per cui gioire. Il rallentamento trimestrale VEDI ANCHE:
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Crescita a rilento e svendite di Stato
"Caro Renzi, avevano ragione i gufi"

Il governo deve fare i conti con una crescita più lenta del previsto. «Renzi, come Monti, ha sbagliato i calcoli». E le privatizzazioni sono state un flop. Ma una manovra correttiva «sarebbe una follia». Intervista all'economista Emiliano Brancaccio
del Pil avrà infatti un effetto negativo sul risultato di fine anno. Non a caso parecchi economisti hanno già detto che l'Italia non riuscirà a raggiungere la crescita dello 0,8 per cento prospettata dal governo solo quattro mesi fa. Fondo monetario internazionale, Ocse, Banca d'Italia, Confindustria: le stime vanno da un massimo dello 0,6 per cento a un minimo di 0. Un pioggia di previsioni ribassiste che ha costretto anche il governo ad arrendersi, con Renzi stesso che ha recentemente definito «molto difficile» il raggiungimento dell'obiettivo fissato nel Def.

LE CONSEGUENZE
La promessa disattesa avrà conseguenze negative soprattutto sul rapporto deficit/Pil. Per ora Renzi si dice sicuro che «resteremo sotto il 3 per cento», ma l'eventualità di una manovra correttiva non è più un tabù, tanto che il premier nei giorni scorsi ha dichiarato che, nel caso fosse necessaria, «non imporremo nuove tasse». Le alternative non mancano, in teoria. Per contenere il rapporto deficit/Pil, in assenza di crescita e non volendo aumentare le entrate dello Stato, bisognerebbe ridurre i costi. Il punto di partenza, dice Renzi, resta la revisione della spesa, quella messa a punto dal commissario Carlo Cottarelli con cui lo stesso premier è entrato ultimamente in conflitto: «Con i 16 miliardi di risparmi previsti dalla spending review, confermati anche se Carlo Cottarelli dovesse lasciare, il rapporto deficit/Pil arriverebbe al 2,3 per cento», ha dichiarato qualche giorno fa Renzi. Certo, se poi l'economia dovesse peggiorare ulteriormente, nemmeno le forbici di Cottarelli potrebbero essere più sufficienti per tenere lontana la Troika. E allora sì che «la crescita del Pil dello 0,4 o 0,8 o 1,5 per cento» cambierebbe «la vita quotidiana delle persone».
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Bonus 80 euro, Confcommercio: “Effetto minimo”. Renzi: “Italiani non la pensano così”
Per la confederazione dei commercianti ci sono "segnali positivi ma straordinariamente deboli e insufficienti per affermare che la domanda delle famiglie sia giunta a un incoraggiante punto di svolta". Immediata la reazione del presidente del Consiglio, che evoca gli "undici milioni di cittadini che li hanno ricevuti" e garantisce: "C'è ancora molto da fare ma lo faremo con ancora più decisione"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 5 agosto 2014Commenti (1107)


L’effetto sui consumi del bonus Irpef da 80 euro? “Quasi invisibile”. A dirlo è la Confcommercio, secondo la quale la strategia è “giusta” ma “è stata realizzata male”.

Immediata la risposta di Matteo Renzi: “Ci sono 11 milioni di italiani che la pensano in modo diverso perché hanno ricevuto un modo per andare avanti con determinazione. Non siamo ancora fuori dalle difficoltà, c’è ancora molto da fare, ma lo faremo con ancor più decisione”. Solo lunedì, in un’intervista a Repubblica, il presidente del Consiglio aveva d’altronde risposto ai cosiddetti “gufi” chiedendo di “aspettare i risultati consolidati” prima di dire che la riduzione delle tasse sul lavoro non ha fatto ripartire la spesa delle famiglie. Ma, secondo l’organizzazione dei commercianti, la crescita tendenziale dei consumi dello 0,4% registrata a giugno è “troppo poco rispetto alle attese. Sono segnali positivi ma straordinariamente deboli e insufficienti per affermare che la domanda delle famiglie sia giunta a un incoraggiante punto di svolta”. Nessuna inversione di marcia, dunque. E, ha sottolineato il presidente della confederazione Carlo Sangalli, non c’è traccia dello “shock sui consumi” e della “stabilizzazione della fiducia” auspicati dal governo. Il che, “dopo un lungo ed eccezionale periodo recessivo, non può non preoccupare molto”. Anche perché, per i commercianti, servirebbe un’estensione del bonus “a tutte le categorie”. La cui fattibilità è stata però smentita solo due giorni fa dallo stesso premier e sta provocando tensioni tra le diverse anime del governo.

Il giudizio di Confcommercio arriva peraltro alla vigilia della diffusione dei dati definitivi dell’Istat sulla variazione del Pil nel secondo trimestre. La parte alta della “forchetta” indicata a fine giugno, +0,3%, sembra ormai irraggiungibile, e l’attesa è per un dato vicino allo zero. Se si concretizzerà lo scenario peggiore, cioè un calo del prodotto dello 0,1%, il Paese tornerà tecnicamente in recessione dopo esserne uscito solo a fine 2013. Renzi, parlando con i giornalisti, ha ammesso che “la situazione del Paese, la ripresa, non è quella che ci aspettavamo”. “E’ come l’estate: non è quella attesa, arriva in ritardo, ma arriva”. L’usuale ottimismo, ma il verdetto finale dell’istituto di statistica si conoscerà solo mercoledì mattina ed è cruciale per il governo, che ha già iniziato a lavorare alla legge di Stabilità per il 2015 da presentare in autunno. E i cui contenuti dipenderanno moltissimo dal reale andamento del prodotto interno e dal conseguente valore del rapporto deficit/Pil, che potrebbe superare il 2,6% indicato ad aprile nel Documento di economia e finanza da Renzi e dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Che nel pomeriggio è atteso alla Camera per presentare un’informativa sulla spending review, altro tasto dolente dopo la querelle con il commissario Carlo Cottarelli.

L’analisi dell’ufficio studi di Confcommercio presentata martedì evidenzia poi il “peggioramento registrato a luglio proprio dal clima di fiducia delle famiglie, il secondo consecutivo, sintomo del permanere di uno stato di disagio caratterizzato dalla dominanza dell’incertezza per il futuro rispetto agli effetti reali di un maggior reddito disponibile”. Sul versante dell’occupazione, però, “gli ultimi dati sembrano confermare una tendenza alla stabilizzazione”. A giugno, come Renzi aveva ricordato poche settimane fa, gli occupati sono aumentati di 50mila unità rispetto a maggio: un aumento di 68mila unità rispetto a dicembre 2013. Il confronto su base annua, pur risultando ancora negativo (-11mila unità), “conferma la tendenza, già emersa nei mesi precedenti, all’attenuazione della fase di espulsione di forza lavoro dal sistema produttivo”, sostiene l’analisi. Come certificato nei giorni scorsi dall’Istat, a giugno il tasso di disoccupazione è in effetti calato dal 12,6% al 12,3%.
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5 AGO 2014 11:53
GROS GUAI PER PITTIBIMBO - L’ECONOMISTA CRUCCO DANIEL GROS: “L’ITALIA È DI NUOVO L’ANELLO DEBOLE D’EUROPA - SONO MISURE ININFLUENTI IL TETTO AGLI STIPENDI DEI MANAGER - GLI 80 EURO? NESSUNO CREDEVA A CHISSÀ QUALE FIAMMATA DELLA DOMANDA”
“Ora il tema delle coperture finanziarie è reso più pressante dal fatto che la spending review non va bene. Né ci si può aspettare uno stimolo alla crescita solo perché in Parlamento si accumulano chissà quante riforme. L’ostacolo alla crescita? Burocrazia inefficiente, la giustizia è peggiorata. E troppa evasione”


Eugenio Occorsio per “La Repubblica”


«L’Italia è tornata ad essere l’anello debole dell’area euro. Eppure l’Europa le getterà l’ennesima ciambella di salvataggio». Daniel Gros, già consulente del Fondo Monetario e della Commissione Ue, oggi direttore del Centre for European Policy Studies, è fra gli economisti tedeschi uno dei meno ortodossi.

E valuta con pragmatismo la situazione. «Il primo motivo per la benevolenza europea è un paradosso: la crescita è debole ovunque. Non così debole come in Italia, però tale da non consentire a nessuno di salire in cattedra, neanche alla Germania».


E le altre ragioni?

«Non c’è iniziativa di un singolo Paese che tenga: l’interpretazione del Fiscal Compact, compreso l’allentamento dei termini e dei parametri, spetta alla Commissione. Che decide con autonomia sulla base delle sue opportunità politiche. E questa Commissione non potrà non avere un occhio di riguardo per l’Italia.

Juncker, malgrado fosse lo spitzenkandidat (capolista, ndr) dei popolari, è stato eletto grazie ai progressisti italiani. E tutti vedono in Renzi il vincitore delle elezioni, per di più con un’aggressiva campagna pro-Europa senza rifugiarsi nel vittimismo dell’arcigna Bruxelles. Così si è guadagnato la gratitudine della Commissione».


Però per modifiche sostanziali serve un passaggio all’Ecofin, con maggioranze qualificate in voti dai quali, se si parla di Italia, il nostro Paese è escluso.
«Persino in queste occasioni l’orientamento politico della Commissione è decisivo. E nessuno può permettersi di essere rigido perché la crescita è debole ovunque. Certo, ciò premesso, la situazione per l’Italia è davvero pesante».


Ma perché non si riesce ad imboccare il cammino dello sviluppo?
«Nessun governo, per quanto volitivo, può ricreare le basi per la crescita in pochi mesi ma ha bisogno di anni. Nessuno credeva in chissà quale fiammata della domanda per gli 80 euro. Altrettanto populistiche e ininfluenti sono misure come il tetto agli stipendi dei manager specie se non si controlla che quel manager abbia più incarichi.

Ora il tema delle coperture finanziarie è reso più pressante dalla circostanza che la spending review non va bene. Né ci si può aspettare uno stimolo alla crescita solo perché in Parlamento si accumulano chissà quante riforme. Ciò detto, mi aspettavo di meglio: non si può non vedere che un grosso aggiustamento fiscale è stato fatto con i governi Monti e Letta, e i modelli economici dicono che quando c’è un aggiustamento forte la domanda dopo un iniziale ulteriore calo tende a ripartire. Ma così non è in Italia».


E allora?

«Pesano le ragioni di fondo. L’ostacolo alla crescita costituito dall’inefficienza della burocrazia e della giustizia è peggiorato. La riforma non si risolve con una legge ma ha bisogno di un’implementazione capillare, affidata alla volontà non di un leader carismatico ma di migliaia di funzionari volenterosi. Altrettanto per l’evasione: non si può scaricare il peso fiscale sui pochi sfortunati che pagano perché alla fine questi abbandonano il Paese.

Quanto alle imprese, devono rendersi conto che hanno perso il treno della globalizzazione e la loro quota nell’export dell’eurozona scende: accettino di consorziarsi, modificare i sistemi produttivi e uscire in molti casi dall’area grigia del semi-sommerso perché così restano escluse dai grandi database e quindi dal circuito delle forniture e degli appalti internazionali».


Ma l’idea che la Germania investa parte del suo surplus commerciale in investimenti paneuropei in grado di risvegliare la domanda un po’ dappertutto?
«É una proposta ricorrente ma non verosimile. Gli investimenti pubblici in Germania sono governati in minima parte dallo Stato e per lo più affidati ai singoli laender. E perché le autorità locali siano convinte ad investire in nome dell’Europa, i tempi non sono maturi».
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