La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Ho spostato questo tema iniziato in altro 3D con pancho perché più inerente al thread.
RIFARE IL MONDO, COME DICE PANCHO, OPPURE IL MONDO HA RIFATTO NOI?
E che dovremo fare?
Rifare il mondo o aspettare sempre quel Godot che non arriva mai?
pancho
PRIMA PARTE
Tavistock
Il Tavistock Institute of Human Relations
Diversi autori espongono i panni sporchi del Tavistock Institute, ma la maggior parte di loro attinge da un’opera fondamentale per l’argomento, una delle 15 scritte dal Dr. John Coleman, che titola con il nome dello stesso istituto. Io faccio riferimento solo a quella, perché è l’indagine più sobria e approfondita.
Wellington House, Rothschild e Rockefeller
Diciamo subito che le attività dell’istituto iniziano a Londra, nel 1913, presso la Wellington House. Il tale Sir Edward Grey, ministro degli Esteri britannico dell’epoca, nomina come direttore Lord Northcliffe (il magnate della stampa più influente in Gran Bretagna).
La posizione di Lord Northcliffe è avallata da Lord Rothmere in nome della Corona britannica, e il suo lavoro è affiancato da quello di Lord Rothmere. Il personale operativo della Wellington House comprende: Arnold Toynbee (futuro direttore degli studi presso il Royal Institute of International Affairs) e gli americani Walter Lippmann ed Edward Bernays (nipote di Signund Freud).
Le finanze per la formazione dell’istituto provengono dalla corona britannica, inizialmente, e poi dalla famiglia Rothschild (con la quale è imparentato Lord Northcliffe per via di qualche matrimonio fra cugini o nipotini) e dai Rockefeller.
Cambierà nome in Tavistock institute nel 1921, dopo che sono assicurate rispettivamente il consolidamento del raggiro della banca centrale statunitense (Federal Reserve Bank) negli Stati Uniti d’America e le vittorie programmate delle nazioni vincitrici la prima guerra mondiale.
L’organizzazione viene spesso definita segreta, o segretissima, perché, come al solito, i giornalisti non ne parlano; questo non equivale a dire che qualcuno abbia cercato di celarne l’esistenza.
Cosa deve fare?
Deve raccontare frottole per convincere la popolazione inglese, e poi quella statunitense, ad andare in guerra contro la Germania. Non stiamo qui a spendere tempo sulle ragioni della guerra, ci porterebbe fuori tema; diciamo che, per qualche motivo, alcuni signori inglesi decidono di farla e, come abbiamo visto con Fromm, Hermann Göring e Pound, le popolazioni non hanno proprio nessuna voglia di andare incontro ai disagi della guerra.
Bisogna quindi convincerle, per i motivi che vedremo più sotto, a proposito della macchina di distruzione della guerra, che deve coinvolgere tutti gli elementi della società. Questa è la missione esplicita e formale che viene data ai ricercatori della Wellington House.
Scegliere fra due gabbie
Bernays nasce a Vienna il 22 novembre 1891. Suo zio Sigmund Freud, per luogo comune è detto da tutti il “padre della psicoanalisi” e Bernays e detto il “padre delle pubbliche relazioni”; ma, secondo Coleman, il vero padre delle cosiddette “pubbliche relazioni” è Willy Munzenberg.
Con la “fabbricazione del consenso”, Bernays individua con successo due fasi nel lavoro di lavaggio dei cervelli;
la prima fase consiste nel convincere i capi-gruppi di una certa ideologia (opinion making);
la seconda fase consiste nel far niente, nell’osservare come la naturale stupidità umana faccia il resto del lavoro per conto suo, propagando idee improprie che sono considerate da ciascuno le “sue opinioni” personali.
Le masse vengono irregimentate senza essere consapevoli di essere irregimentate.
Gli schiavi vengono comandati ed asserviti alla volontà dei fabbricatori di consenso, ma ognuno è convinto di fare ciò che giudica giusto e appropriato, secondo la propria coscienza, perché chi fabbrica il consenso fabbrica anche il dissenso.
La coscienza di ciascuno si forma sulla base di ciò che viene insegnato e indottrinato dal sistema; i fanciulli vengono catechizzati ma, una volta adulti, sono convinti che le opinioni dinamiche sulla quale basano le loro azioni e decisioni siano idee loro proprie.
La coscienza acquisita viene percepita come coscienza individuale “propria”.
Wilson, Roosevelt, Clinton, Bush padre e figlio, sono condizionati a coinvolgere gli Stati Uniti in tutte le guerre più disastrose del mondo, con metodi simili a quelli di Bernays, e gli interessi personali delle loro famiglie nella guerra, sono soltanto un ottimo incentivo per la loro docile collaborazione ai veri padroni del petrolio e della moneta.
RIFARE IL MONDO, COME DICE PANCHO, OPPURE IL MONDO HA RIFATTO NOI?
E che dovremo fare?
Rifare il mondo o aspettare sempre quel Godot che non arriva mai?
pancho
PRIMA PARTE
Tavistock
Il Tavistock Institute of Human Relations
Diversi autori espongono i panni sporchi del Tavistock Institute, ma la maggior parte di loro attinge da un’opera fondamentale per l’argomento, una delle 15 scritte dal Dr. John Coleman, che titola con il nome dello stesso istituto. Io faccio riferimento solo a quella, perché è l’indagine più sobria e approfondita.
Wellington House, Rothschild e Rockefeller
Diciamo subito che le attività dell’istituto iniziano a Londra, nel 1913, presso la Wellington House. Il tale Sir Edward Grey, ministro degli Esteri britannico dell’epoca, nomina come direttore Lord Northcliffe (il magnate della stampa più influente in Gran Bretagna).
La posizione di Lord Northcliffe è avallata da Lord Rothmere in nome della Corona britannica, e il suo lavoro è affiancato da quello di Lord Rothmere. Il personale operativo della Wellington House comprende: Arnold Toynbee (futuro direttore degli studi presso il Royal Institute of International Affairs) e gli americani Walter Lippmann ed Edward Bernays (nipote di Signund Freud).
Le finanze per la formazione dell’istituto provengono dalla corona britannica, inizialmente, e poi dalla famiglia Rothschild (con la quale è imparentato Lord Northcliffe per via di qualche matrimonio fra cugini o nipotini) e dai Rockefeller.
Cambierà nome in Tavistock institute nel 1921, dopo che sono assicurate rispettivamente il consolidamento del raggiro della banca centrale statunitense (Federal Reserve Bank) negli Stati Uniti d’America e le vittorie programmate delle nazioni vincitrici la prima guerra mondiale.
L’organizzazione viene spesso definita segreta, o segretissima, perché, come al solito, i giornalisti non ne parlano; questo non equivale a dire che qualcuno abbia cercato di celarne l’esistenza.
Cosa deve fare?
Deve raccontare frottole per convincere la popolazione inglese, e poi quella statunitense, ad andare in guerra contro la Germania. Non stiamo qui a spendere tempo sulle ragioni della guerra, ci porterebbe fuori tema; diciamo che, per qualche motivo, alcuni signori inglesi decidono di farla e, come abbiamo visto con Fromm, Hermann Göring e Pound, le popolazioni non hanno proprio nessuna voglia di andare incontro ai disagi della guerra.
Bisogna quindi convincerle, per i motivi che vedremo più sotto, a proposito della macchina di distruzione della guerra, che deve coinvolgere tutti gli elementi della società. Questa è la missione esplicita e formale che viene data ai ricercatori della Wellington House.
Scegliere fra due gabbie
Bernays nasce a Vienna il 22 novembre 1891. Suo zio Sigmund Freud, per luogo comune è detto da tutti il “padre della psicoanalisi” e Bernays e detto il “padre delle pubbliche relazioni”; ma, secondo Coleman, il vero padre delle cosiddette “pubbliche relazioni” è Willy Munzenberg.
Con la “fabbricazione del consenso”, Bernays individua con successo due fasi nel lavoro di lavaggio dei cervelli;
la prima fase consiste nel convincere i capi-gruppi di una certa ideologia (opinion making);
la seconda fase consiste nel far niente, nell’osservare come la naturale stupidità umana faccia il resto del lavoro per conto suo, propagando idee improprie che sono considerate da ciascuno le “sue opinioni” personali.
Le masse vengono irregimentate senza essere consapevoli di essere irregimentate.
Gli schiavi vengono comandati ed asserviti alla volontà dei fabbricatori di consenso, ma ognuno è convinto di fare ciò che giudica giusto e appropriato, secondo la propria coscienza, perché chi fabbrica il consenso fabbrica anche il dissenso.
La coscienza di ciascuno si forma sulla base di ciò che viene insegnato e indottrinato dal sistema; i fanciulli vengono catechizzati ma, una volta adulti, sono convinti che le opinioni dinamiche sulla quale basano le loro azioni e decisioni siano idee loro proprie.
La coscienza acquisita viene percepita come coscienza individuale “propria”.
Wilson, Roosevelt, Clinton, Bush padre e figlio, sono condizionati a coinvolgere gli Stati Uniti in tutte le guerre più disastrose del mondo, con metodi simili a quelli di Bernays, e gli interessi personali delle loro famiglie nella guerra, sono soltanto un ottimo incentivo per la loro docile collaborazione ai veri padroni del petrolio e della moneta.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
SECONDA PARTE
La prima guerra mondiale e il declino delle civiltà occidentale
Nel 1905 la marina militare giapponese attacca la flotta russa; l’operazione è finanziata da Jacob Schiff, banchiere di Wall Street, imparentato con Rothschild.
Il denaro per finanziare la guerra russo-giapponese giunge attraverso Schiff, ma proviene dal Rockefeller General Education Board, il cui proposito esteriore sarebbe quello di finanziare l’istruzione negra.
Tutta la propaganda e la pubblicità fatta intorno a questo istituto di beneficenza viene prodotta dal Tavistock, che in quel tempo si chiama “Wellington House.
” Il secondo attacco giapponese a sorpresa, quello di Pearl Harbor, viene finanziato da un’altra opera pia di Rockefeller, l’Institute for Pacific Relations (IPR); grosse somme di denaro vengono inviate dal IPR alla sua controparte di Tokyo, indirizzate a un membro della famiglia imperiale attraverso un certo Richard Sorge, spia russa; anche in questo caso, tutte le pubblicazioni propagandistiche attorno al IPR sono curate direttamente del Tavistock.
Abbiamo già visto che la rivoluzione russa è un trucco delle famiglie del grande capitalismo occidentale, per far fuori la dinastia Romanov, impiantare una banca centrale, appropriarsi delle risorse petrolifere e di tungsteno ed espropriare tutta la classe possidente russa; anche in quel caso, la parte ideologica e propagandistica utilizzata per la fabbricare la rivoluzione viene curata dal Tavistock Insistute, che è un braccio del comitato dei 300 e che, si può dire con sufficiente prudenza, con le sue frottole sulla rivoluzione d’ottobre, ha frodato almeno metà del mondo.
La fine della prima guerra mondiale e la farsa della rivoluzione bolscevica impongono i cambiamenti d’assetto mondiale, congegnati dal Tavistock, e avviano il declino della società occidentale.
La prima guerra mondiale è architettata proprio da quel Lord Edward Gray che abbiamo visto di sopra; l’Inghilterra deve andare in guerra con la Germania, secondo il pretesto di Gray, perché la Germania sta diventando un potere economico concorrente, tanto da prendere, forse in proiezione, il posto dell’Inghilterra.
La popolazione inglese non ne vuole sapere, come dicevamo, e per questo è data la missione alla Wellington House di manipolare l’opinione pubblica prevalente.
Questo è più o meno l’inizio; i successi ottenuti dipoi portano a quello che oggi è il Tavistock Institute of Human Relations, secondo Coleman, il maggiore e più sinistro centro di lavaggio dei cervelli del pianeta.
E Coleman crede bene, assieme ad un certo numero di senatori innominati che collaborano alla redazione del suo lavoro, che, per salvare formalmente l’assetto democratico-costituzionale degli Stati Uniti d’America, è essenziale che l’istituto sia dismesso.
Quindi l’istituto non viene considerato un centro di condizionamento il cui fine ultimo sia quello di far prevalere sul mondo l’imperialismo statunitense; perlomeno, non mi pare che lo vedano così.
Viene vissuto, piuttosto, come la filiale di un centro di lavoro estero, che, dall’estero, probabilmente dal Regno Unito, controlla i cervelli degli statunitensi per servire interessi esteri.
Ma anche questi “interessi esteri”, a loro volta, sono esteri pure rispetto alle proprie bandiere, perché, oltre che a Londra, si trovano collocati fisicamente anche in altri Stati, come per esempio la Svizzera, o in Giappone, o in Arabia Saudita, e persino a Hong Kong e in Cina comunista.
Non è la collocazione fisica che identifica quegli interessi con la bandiera e con la popolazione di quel dato luogo fisico; le élite al potere, che cercano di dominare il mondo, trattano i loro connazionali esattamente come tutti gli altri, se non peggio, ed impongono alle loro stesse razze sofferenze anche maggiori, se possibile, rispetto a quelle che impongono al resto del mondo.
Quindi cerchiamo anche noi di non ripetere il solito tragico errore di ridurre tutto ad un complotto che nasce a New York, o a Londra, o a Pechino, o a Basilea o a Francoforte.
Non è una bandiera contro un’altra, non è un popolo contro un altro e non sono neppure i capi di stato che vogliono fare guerra ad altri capi di stato, anche se questo è esattamente quello che istituti come il Tavistock fanno credere agli allocchi dei governi, delle scuole, del cinematografo, dei giornali e delle televisioni.
Tra la fine della prima guerra mondiale e il 1935, nonostante la terribile tragedia umana ed economica che segue, nonostante il numero dei soldati sopravvissuti all’inferno delle trincee eguagli quello delle vittime dello shock da granata, una strana forma di euforia indotta pervade gli spiriti dei cittadini europei ed americani; qualcuno la definisce ribellione giovanile, rifiuto della guerra e disgusto per la politica; nei fatti stanno solo reagendo ad un condizionamento penetrante di lungo raggio dei maestri del Tavistock.
In questo stato di ebbrezza forzata, indotta dal 1918 in poi, l’incapacità di vedere la realtà presente domina il pensiero degli anni ’20, è molto diffusa e molto pericolosa.
Trascurando l’inadatta realtà che si è mossa sotto la facciata irreale dei bei tempi andati, i popoli europei si lasciano trasportare dalle illusioni fino alla depressione mondiale del 1929-1935 e alla crisi internazionale che segue; una volta strappata la veste illusoria dei bei tempi andati e perduti, la realtà, a lungo trascurata, si mostra poi in tutto il suo orrore.
Spengler predice l’inizio della decadenza dei costumi, della decadenza della società, in cui gli uomini girano con la fiashetta nel cappotto, domandano e ottengono la riduzione del pudore femminile, le donne iniziano ad accorciare le gonne e i capelli, a pitturare le facce con il trucco, a fumare e bere in pubblico.
Nello stesso tempo in cui il denaro scarseggia sempre di più e si allungano le file dei disoccupati in attesa della zuppa di carità, gli spettacoli alla Broadway e i molti night club rivelano e mostrano pubblicamente tutta quella parte di fascino femminile che il senso del pudore precedentemente riserva all’intimità privata delle coppie sposate.
E questo è solo l’inizio.
Nel 1935, mentre Hitler accresce potere e popolarità, e domanda ai tedeschi costumi pudichi e rispetto per le donne, nel resto del mondo si promuove qualsiasi tipo di licenza; nel resto d’Europa e negli Stati Uniti, regna l’indulgenza verso qualunque tipo di piacere, incluso quello omosessuale, che in precedenza viene sempre soddisfatto in segreto.
L’omosessualità viene promossa non già per la soddisfazione dei desideri latenti che vengono liberati; essa serve a shoccare i sostenitori del sistema morale precedente, fatto di sistemi ordinati basati sulla centralità della famiglia e su codici rigidi.
Il Jazz, e altre forme di decadenza della musica, sono promosse per lo stesso motivo; il Tavistock Institute deve distruggere i vecchi canoni della civiltà occidentale; il disorientamento morale, spirituale, razziale, economico e culturale odierno non si ha per caso; è i risultato del lavoro degli esperti del Tavistock. La crisi morale e quella sociale sono volute; le aberrazioni della storia, pure.
Personaggi come Mick Jagger, Oprah Winfrey, Britney Spears, sono pilotati con il preciso scopo di contestare un ordine sociale preesistente e di infangarlo.
Lo stesso vale per i cosiddetti reality televisivi, per le “musiche” prive di ritmi e ripetitive, che sembrano l’amalgama di tutti gli istinti animali di base, per Fox News, per la pornografia, la pubblicità sconcia, i comportamenti rozzi nei luoghi pubblici, il cinema che sforna film sempre più brutti e privi di qualunque standard culturale, eccetera, secondo Coleman, sono il frutto del lavoro del Tavistock. Per calpestare il rigore morale della società esistente prima del 1918, si glorificano i matrimoni interrazziali, il divorzio, l’aborto, l’omosessualità aperta, l’ostentazione di pratiche lesbiche, i matrimoni gay, l’uso di droghe illegali e legali, la perdita dei credi religiosi, e il decadere dell’istituto della famiglia nella civiltà occidentale.
Il decadere della rigidità di certi costumi può anche far piacere a qualcuno e può apparire come il riflesso di una società più libera. Eppure non è necessariamente così, perché, assieme ai valori e alle regole rigide delle società occidentali, cadono anche le rigidissime procedure costituzionali.
In occidente, nessuno si scandalizza più nel vedere le parti intime esposte dalle fanciulle, che imitano i loro modelli musicali, e nessuno si scandalizza più nel notare con quanta noncuranza le costituzioni rigide degli Stati vengono calpestate, snobbate, ignorate, derise.
La Costituzione di uno Stato è la legge suprema di quello Stato ed è, deve essere, rigida, proprio per evitare gli abusi dei singoli burattini messi a fare i tiranni da uomini potenti.
E invece le Costituzioni vengono stracciate, come gli antichi costumi e le antiche tradizioni pudiche, e la peggior forma di corruzione e perversione di uno Stato diventa un fatto lecito e perfettamente normale.
In occidente, a cominciare proprio dagli Stati Uniti, il sistema politico costituzionale è un sistema di vendita all’ingrosso; vi si permettono fragranti violazioni delle più alte leggi di uno Stato, a tutti i livelli di governo e soprattutto al livello del potere esecutivo, dal quale, ogni e ciascun presidente, da Roosevelt in poi, si prende dei poteri che non gli sono dati.
Il potere di andare a far guerra in giro per il mondo, ammazzando milioni di persone innocenti, con il complice ausilio delle nazioni criminalmente associate alla NATO, è esplicitamente vietato al presidente dell’esecutivo dalla Costituzione statunitense.
Anche l’articolo 11 della Costituzione italiana suona bene in contraddizione con ciò che le forze armate italiane sono mandate a fare in medio oriente, in Africa, in Serbia e in altri luoghi di genocidio; eppure pochi lo notano e tutti gli altri se ne fregano.
La violazione della costituzione è considerata come una piccola svista formale più che l’atto criminale supremo, anche perché l’atto si mescola con una miriade di fatti completamente irrilevanti, che vengono trattati con maggiore interesse ed attenzione; questo metodo di miscelare idiozie, frivolezze, declino di costumi con eventi gravissimi è un altro dei tanti modelli studiati e implementati con successo dal Tavistock.
La prima guerra mondiale e il declino delle civiltà occidentale
Nel 1905 la marina militare giapponese attacca la flotta russa; l’operazione è finanziata da Jacob Schiff, banchiere di Wall Street, imparentato con Rothschild.
Il denaro per finanziare la guerra russo-giapponese giunge attraverso Schiff, ma proviene dal Rockefeller General Education Board, il cui proposito esteriore sarebbe quello di finanziare l’istruzione negra.
Tutta la propaganda e la pubblicità fatta intorno a questo istituto di beneficenza viene prodotta dal Tavistock, che in quel tempo si chiama “Wellington House.
” Il secondo attacco giapponese a sorpresa, quello di Pearl Harbor, viene finanziato da un’altra opera pia di Rockefeller, l’Institute for Pacific Relations (IPR); grosse somme di denaro vengono inviate dal IPR alla sua controparte di Tokyo, indirizzate a un membro della famiglia imperiale attraverso un certo Richard Sorge, spia russa; anche in questo caso, tutte le pubblicazioni propagandistiche attorno al IPR sono curate direttamente del Tavistock.
Abbiamo già visto che la rivoluzione russa è un trucco delle famiglie del grande capitalismo occidentale, per far fuori la dinastia Romanov, impiantare una banca centrale, appropriarsi delle risorse petrolifere e di tungsteno ed espropriare tutta la classe possidente russa; anche in quel caso, la parte ideologica e propagandistica utilizzata per la fabbricare la rivoluzione viene curata dal Tavistock Insistute, che è un braccio del comitato dei 300 e che, si può dire con sufficiente prudenza, con le sue frottole sulla rivoluzione d’ottobre, ha frodato almeno metà del mondo.
La fine della prima guerra mondiale e la farsa della rivoluzione bolscevica impongono i cambiamenti d’assetto mondiale, congegnati dal Tavistock, e avviano il declino della società occidentale.
La prima guerra mondiale è architettata proprio da quel Lord Edward Gray che abbiamo visto di sopra; l’Inghilterra deve andare in guerra con la Germania, secondo il pretesto di Gray, perché la Germania sta diventando un potere economico concorrente, tanto da prendere, forse in proiezione, il posto dell’Inghilterra.
La popolazione inglese non ne vuole sapere, come dicevamo, e per questo è data la missione alla Wellington House di manipolare l’opinione pubblica prevalente.
Questo è più o meno l’inizio; i successi ottenuti dipoi portano a quello che oggi è il Tavistock Institute of Human Relations, secondo Coleman, il maggiore e più sinistro centro di lavaggio dei cervelli del pianeta.
E Coleman crede bene, assieme ad un certo numero di senatori innominati che collaborano alla redazione del suo lavoro, che, per salvare formalmente l’assetto democratico-costituzionale degli Stati Uniti d’America, è essenziale che l’istituto sia dismesso.
Quindi l’istituto non viene considerato un centro di condizionamento il cui fine ultimo sia quello di far prevalere sul mondo l’imperialismo statunitense; perlomeno, non mi pare che lo vedano così.
Viene vissuto, piuttosto, come la filiale di un centro di lavoro estero, che, dall’estero, probabilmente dal Regno Unito, controlla i cervelli degli statunitensi per servire interessi esteri.
Ma anche questi “interessi esteri”, a loro volta, sono esteri pure rispetto alle proprie bandiere, perché, oltre che a Londra, si trovano collocati fisicamente anche in altri Stati, come per esempio la Svizzera, o in Giappone, o in Arabia Saudita, e persino a Hong Kong e in Cina comunista.
Non è la collocazione fisica che identifica quegli interessi con la bandiera e con la popolazione di quel dato luogo fisico; le élite al potere, che cercano di dominare il mondo, trattano i loro connazionali esattamente come tutti gli altri, se non peggio, ed impongono alle loro stesse razze sofferenze anche maggiori, se possibile, rispetto a quelle che impongono al resto del mondo.
Quindi cerchiamo anche noi di non ripetere il solito tragico errore di ridurre tutto ad un complotto che nasce a New York, o a Londra, o a Pechino, o a Basilea o a Francoforte.
Non è una bandiera contro un’altra, non è un popolo contro un altro e non sono neppure i capi di stato che vogliono fare guerra ad altri capi di stato, anche se questo è esattamente quello che istituti come il Tavistock fanno credere agli allocchi dei governi, delle scuole, del cinematografo, dei giornali e delle televisioni.
Tra la fine della prima guerra mondiale e il 1935, nonostante la terribile tragedia umana ed economica che segue, nonostante il numero dei soldati sopravvissuti all’inferno delle trincee eguagli quello delle vittime dello shock da granata, una strana forma di euforia indotta pervade gli spiriti dei cittadini europei ed americani; qualcuno la definisce ribellione giovanile, rifiuto della guerra e disgusto per la politica; nei fatti stanno solo reagendo ad un condizionamento penetrante di lungo raggio dei maestri del Tavistock.
In questo stato di ebbrezza forzata, indotta dal 1918 in poi, l’incapacità di vedere la realtà presente domina il pensiero degli anni ’20, è molto diffusa e molto pericolosa.
Trascurando l’inadatta realtà che si è mossa sotto la facciata irreale dei bei tempi andati, i popoli europei si lasciano trasportare dalle illusioni fino alla depressione mondiale del 1929-1935 e alla crisi internazionale che segue; una volta strappata la veste illusoria dei bei tempi andati e perduti, la realtà, a lungo trascurata, si mostra poi in tutto il suo orrore.
Spengler predice l’inizio della decadenza dei costumi, della decadenza della società, in cui gli uomini girano con la fiashetta nel cappotto, domandano e ottengono la riduzione del pudore femminile, le donne iniziano ad accorciare le gonne e i capelli, a pitturare le facce con il trucco, a fumare e bere in pubblico.
Nello stesso tempo in cui il denaro scarseggia sempre di più e si allungano le file dei disoccupati in attesa della zuppa di carità, gli spettacoli alla Broadway e i molti night club rivelano e mostrano pubblicamente tutta quella parte di fascino femminile che il senso del pudore precedentemente riserva all’intimità privata delle coppie sposate.
E questo è solo l’inizio.
Nel 1935, mentre Hitler accresce potere e popolarità, e domanda ai tedeschi costumi pudichi e rispetto per le donne, nel resto del mondo si promuove qualsiasi tipo di licenza; nel resto d’Europa e negli Stati Uniti, regna l’indulgenza verso qualunque tipo di piacere, incluso quello omosessuale, che in precedenza viene sempre soddisfatto in segreto.
L’omosessualità viene promossa non già per la soddisfazione dei desideri latenti che vengono liberati; essa serve a shoccare i sostenitori del sistema morale precedente, fatto di sistemi ordinati basati sulla centralità della famiglia e su codici rigidi.
Il Jazz, e altre forme di decadenza della musica, sono promosse per lo stesso motivo; il Tavistock Institute deve distruggere i vecchi canoni della civiltà occidentale; il disorientamento morale, spirituale, razziale, economico e culturale odierno non si ha per caso; è i risultato del lavoro degli esperti del Tavistock. La crisi morale e quella sociale sono volute; le aberrazioni della storia, pure.
Personaggi come Mick Jagger, Oprah Winfrey, Britney Spears, sono pilotati con il preciso scopo di contestare un ordine sociale preesistente e di infangarlo.
Lo stesso vale per i cosiddetti reality televisivi, per le “musiche” prive di ritmi e ripetitive, che sembrano l’amalgama di tutti gli istinti animali di base, per Fox News, per la pornografia, la pubblicità sconcia, i comportamenti rozzi nei luoghi pubblici, il cinema che sforna film sempre più brutti e privi di qualunque standard culturale, eccetera, secondo Coleman, sono il frutto del lavoro del Tavistock. Per calpestare il rigore morale della società esistente prima del 1918, si glorificano i matrimoni interrazziali, il divorzio, l’aborto, l’omosessualità aperta, l’ostentazione di pratiche lesbiche, i matrimoni gay, l’uso di droghe illegali e legali, la perdita dei credi religiosi, e il decadere dell’istituto della famiglia nella civiltà occidentale.
Il decadere della rigidità di certi costumi può anche far piacere a qualcuno e può apparire come il riflesso di una società più libera. Eppure non è necessariamente così, perché, assieme ai valori e alle regole rigide delle società occidentali, cadono anche le rigidissime procedure costituzionali.
In occidente, nessuno si scandalizza più nel vedere le parti intime esposte dalle fanciulle, che imitano i loro modelli musicali, e nessuno si scandalizza più nel notare con quanta noncuranza le costituzioni rigide degli Stati vengono calpestate, snobbate, ignorate, derise.
La Costituzione di uno Stato è la legge suprema di quello Stato ed è, deve essere, rigida, proprio per evitare gli abusi dei singoli burattini messi a fare i tiranni da uomini potenti.
E invece le Costituzioni vengono stracciate, come gli antichi costumi e le antiche tradizioni pudiche, e la peggior forma di corruzione e perversione di uno Stato diventa un fatto lecito e perfettamente normale.
In occidente, a cominciare proprio dagli Stati Uniti, il sistema politico costituzionale è un sistema di vendita all’ingrosso; vi si permettono fragranti violazioni delle più alte leggi di uno Stato, a tutti i livelli di governo e soprattutto al livello del potere esecutivo, dal quale, ogni e ciascun presidente, da Roosevelt in poi, si prende dei poteri che non gli sono dati.
Il potere di andare a far guerra in giro per il mondo, ammazzando milioni di persone innocenti, con il complice ausilio delle nazioni criminalmente associate alla NATO, è esplicitamente vietato al presidente dell’esecutivo dalla Costituzione statunitense.
Anche l’articolo 11 della Costituzione italiana suona bene in contraddizione con ciò che le forze armate italiane sono mandate a fare in medio oriente, in Africa, in Serbia e in altri luoghi di genocidio; eppure pochi lo notano e tutti gli altri se ne fregano.
La violazione della costituzione è considerata come una piccola svista formale più che l’atto criminale supremo, anche perché l’atto si mescola con una miriade di fatti completamente irrilevanti, che vengono trattati con maggiore interesse ed attenzione; questo metodo di miscelare idiozie, frivolezze, declino di costumi con eventi gravissimi è un altro dei tanti modelli studiati e implementati con successo dal Tavistock.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Che ne dici pancho, ....... c'è materia su cui discutere?????
Dobbiamo aspettare Godot, oppure è già arrivato??? Un po' come gli ebrei aspettano da migliaia d'anni il Messia ????
Spero che tu non sia in cortile a caricare le valigie per partire per le vacanze.
Ma mi aspetto ovviamente anche il pensiero degli altri amici, non perché questo tema l'ho posto io, ma perché siamo in fase di forte transizione della storia e quindi riguarda il destino di tutti noi e abbiamo bisogno dell'apporto di tutti.
Questo è un forum politico-culturale della sinistra e mi aspetto quindi che la sinistra popolare che continua a vivere batta un colpo.
Dobbiamo aspettare Godot, oppure è già arrivato??? Un po' come gli ebrei aspettano da migliaia d'anni il Messia ????
Spero che tu non sia in cortile a caricare le valigie per partire per le vacanze.
Ma mi aspetto ovviamente anche il pensiero degli altri amici, non perché questo tema l'ho posto io, ma perché siamo in fase di forte transizione della storia e quindi riguarda il destino di tutti noi e abbiamo bisogno dell'apporto di tutti.
Questo è un forum politico-culturale della sinistra e mi aspetto quindi che la sinistra popolare che continua a vivere batta un colpo.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Manco farlo apposta, riferendomi alle considerazione di due post prima di questo.
Dal sito del Corriere.it in questo momento:
LE FOTO
Barcellona,
gli italiani nudi
e la polemica
sul turismo
«low cost»
Le foto dei tre fanno il giro del web e rilanciano le critiche dei cittadini della città spagnola sulla gestione del turismo.
Non sono moralista né bacchettone, ma non posso sottrarmi ad un'analisi dell'esistente a 360 gradi.
Dal sito del Corriere.it in questo momento:
LE FOTO
Barcellona,
gli italiani nudi
e la polemica
sul turismo
«low cost»
Le foto dei tre fanno il giro del web e rilanciano le critiche dei cittadini della città spagnola sulla gestione del turismo.
Non sono moralista né bacchettone, ma non posso sottrarmi ad un'analisi dell'esistente a 360 gradi.
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- Iscritto il: 19/04/2012, 12:04
Re: La Terza Guerra Mondiale
Molto interessanti i post sul Tavistock, molto plausibili purtroppo come ricostruzione dei fatti dell'ultimo secolo. E' ovvio che una ristretta cerchia di super-potenti stia manipolando a loro uso e consumo i governi e le popolazioni mondiali per garantirsi ricchezze sempre più cospicue e ovviamente potere.
Come affrontarla? Con l'informazione e l'istruzione solo così si possono avere cervelli ancora capaci di pensare autonomamente e non dietro stimolo esterno. Purtroppo di menti di questo modello ce ne sono sempre di meno in circolazione specialmente in Italia e il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Come affrontarla? Con l'informazione e l'istruzione solo così si possono avere cervelli ancora capaci di pensare autonomamente e non dietro stimolo esterno. Purtroppo di menti di questo modello ce ne sono sempre di meno in circolazione specialmente in Italia e il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Ultima modifica di Maucat il 22/08/2014, 14:58, modificato 1 volta in totale.
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- Iscritto il: 21/02/2012, 19:25
Re: La Terza Guerra Mondiale
Si, Zione ce n'e' abbastanza.camillobenso ha scritto:Che ne dici pancho, ....... c'è materia su cui discutere?????
Dobbiamo aspettare Godot, oppure è già arrivato??? Un po' come gli ebrei aspettano da migliaia d'anni il Messia ????
Spero che tu non sia in cortile a caricare le valigie per partire per le vacanze.
Ma mi aspetto ovviamente anche il pensiero degli altri amici, non perché questo tema l'ho posto io, ma perché siamo in fase di forte transizione della storia e quindi riguarda il destino di tutti noi e abbiamo bisogno dell'apporto di tutti.
Questo è un forum politico-culturale della sinistra e mi aspetto quindi che la sinistra popolare che continua a vivere batta un colpo.
Qui c'e' un po di tutto e di piu' col pericolo pero' di rimanerci infangati senza alcun risultato se non approfondiamo.
Cmq possiamo fare delle verifiche arando un po' il web.
Una cosa e' certa e non mi occorre alcun approfondimento:
La manipolazione dei popoli e' sempre avvenuta e sempre avverrà e di questo ne dobbiamo prendere coscienza . E' per questo che non bisogna MAI prendere per oro colato quello che dicono i media. Costoro sono alle dipendenze di un determinato potere. Piaccia o non piaccia.
La discussione su questo cmq va fatta perchè ritengo importante proseguire.
Chiedo pero che vengano messi i link di riferimento da cui sono stati tratti per il semplice fatto che avremo la possibilità di ampliare le ns. ricerche di approfondimento.
In attesa, Zione.
un salutone da Juan
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Questo è il link:
http://www.cssbi.net/index.php/signoraggio-e-fisco/
andate poi sulla colonna di destra, incontrerete subito:
Centri finanziari offshore
poi sotto:
Fisco e potere monetario
Facendo scorrere la barra a destra dello schermo verso il basso incontrate in azzurrino :
Tavistock
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Ritorno al passato
Siamo come nel 1938, quando ci si rende conto che la vecchia Società delle Nazioni era carta straccia.
^^^^^^^^^^
“L’Onu è scomparsa, l’ordine mondiale è saltato e gli Stati seguono le convenienze”
Gianluca Pastori, docente di "Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa" alla Cattolica di Milano: "Con l'11 settembre e la guerra al terrore le Nazioni Unite sono diventate un'organizzazione umanitaria". L'assenza del segretario generale Ban Ki-moon è "imbarazzante", l'ordine internazionale è saltato e gli Stati Uniti non vogliono più fare il "poliziotto del mondo": "E' diventato troppo costoso"
di Roberto Festa | 21 agosto 2014
Un quadro internazionale saltato. L’Onu assente e una serie di conflitti che esplodono un po’ ovunque, soprattutto in Medio Oriente ma anche in altre parti del mondo, senza che ci sia una presa di responsabilità collettiva da parte dei vari organismi statali e con gli Stati Uniti che cercano di mantenere, sempre più faticosamente, il loro ruolo di arbitro.
E’ questo secondo Gianluca Pastori, docente di “Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa” alla Cattolica di Milano, lo stato degli affari mondiali.
La frammentarietà, l’assenza di politiche condivise, la rincorsa dei rispettivi “piccoli interessi” sembrano anzi essere i caratteri salienti del mondo post-Seconda guerra mondiale, post-Guerra Fredda ma anche post-11 settembre. Quello che un tempo veniva definito “ordine mondiale“, insomma, non c’è più.
“Un dato sicuramente evidente di questi mesi, anzi di questi anni”, secondo Gianluca Pastori, “è la scomparsa dell’Onu“.
Questo segretario generale, Ban Ki-moon, si è segnalato per la sua “assenza imbarazzante” ogni volta che una crisi è scoppiata da qualche parte del mondo. (Ce l'avranno messo apposta)
Non fa eccezione la vicenda recente dell’Iraq. Il Consiglio di Sicurezza si è limitato a condannare le azioni dei militanti dell’Isis e a minacciare sanzioni contro chi arma e finanzia gli islamisti. “In realtà le Nazioni Unite hanno di fatto delegato agli Stati Uniti la gestione della crisi; come hanno fatto ogni volta che, negli ultimi anni, si è presentato un problema”.
Si tratta a giudizio di Pastori di un triste epilogo per molte delle ambizioni che avevano caratterizzato l’azione dell’Onu negli anni Novanta.
“Allora si era sperato che l’Onu tornasse a essere un’organizzazione politica, che ai sensi del suo statuto operasse per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali”.
Dalla fine degli anni Novanta, e poi soprattutto con l’11 settembre e la war on terror, le cose cambiano. Il ruolo politico decade, i tentativi di governare politicamente i conflitti falliscono e l’Onu “diventa sostanzialmente un’organizzazione umanitaria“.
La conferma viene, in queste ore, dalla scelta di stabilire un gigantesco ponte aereo, su strada e via mare per aiutare il mezzo milione di profughi nel nord dell’Iraq. Una nobile operazione umanitaria, “ma non politica”.
Il risultato è “il venir meno di un quadro normativo della conflittualità internazionale”.
Senza un’istituzione che raccolga i diversi interessi e cerchi un compromesso, ognuno procede in ordine sparso.
“Quello che l’Iraq mostra in modo inquietante”, racconta Pastori, “è che i singoli Stati agiscono sulla base dei loro petty interests, delle loro meschine convenienze“.
Oggi i Paesi europei, compresa l’Italia, armano i peshmerga curdi. Altri ancora forniscono aiuti militari e finanziari ai miliziani dell’Isis. Il risultato sono sempre azioni episodiche, che difficilmente portano a una vera soluzione dei conflitti, anche perché prendere vere decisioni politiche “costa, dal punto di vista politico, economico e delle opinioni pubbliche”. In altre parole, le opinioni pubbliche occidentali sono pronte a indignarsi per l’Isis, ma “nessuno desidera davvero impegnarsi in un intervento militare diretto o indiretto sul campo”.
Ciò non toglie che, al momento, l’Isis costituisca un “grave elemento di destabilizzazione della situazione mediorientale” e che debba essere in qualche modo contenuto e fermato.
Nel mondo frammentato post-Guerra Fredda e post-11 settembre, questo compito spetta ancora una volta agli Stati Uniti.
“Non penso che Barack Obama voglia allargare l’intervento in Iraq”, spiega Pastori, “e del resto tutta la sua politica estera si sta caratterizzando per l’esatto contrario rispetto a quella di George W. Bush. Gli Stati Uniti di Obama sono una potenza che tendenzialmente cerca di non intervenire, o di intervenire il meno possibile, preferendo aiutare i propri alleati sul campo”. A questo punto Obama non può però far finta di nulla e deve fare qualcosa. “Ne va del suo standing, del giudizio storico che verrà dato sulla sua presidenza”, spiega Pastori. “Obama deve fare qualcosa, anche perché sinora non ha fatto molto”.
Oltre l’Iraq, oltre le contingenze della minaccia dell’Isis, si intravvede comunque un problema più vasto e generale.
Senza l’Onu, senza vere istituzioni internazionali, con un presidente americano che, come lui stesso ha più volte detto, mira “a una politica estera che faccia meno danni possibili”, come si impone un vero ordine internazionale? Gli Stati Uniti, nel futuro, potranno ancora svolgere il ruolo di “arbitro”? “
La domanda non è tanto se gli Stati Uniti potranno svolgere un ruolo di arbitro, ma se vorranno farlo”, risponde Pastori. “Il ruolo egemone è costoso. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Washington ha favorito l’emergere di una rete istituzionale basata sulle Nazioni Unite, sugli accordi di Bretton Woods, sui patti della Nato, del sud-est asiatico.
La crisi di questo sistema ha fatto sì che i costi gravassero sempre più sugli Stati Uniti. La cronaca di questi giorni mostra che, se il governo americano vuole, quei costi possono essere comunque sostenuti. La domanda però è: i cittadini americani lo vogliono? E’ questo il grande interrogativo che dovremo affrontare in futuro”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08 ... e/1094909/
Siamo come nel 1938, quando ci si rende conto che la vecchia Società delle Nazioni era carta straccia.
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“L’Onu è scomparsa, l’ordine mondiale è saltato e gli Stati seguono le convenienze”
Gianluca Pastori, docente di "Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa" alla Cattolica di Milano: "Con l'11 settembre e la guerra al terrore le Nazioni Unite sono diventate un'organizzazione umanitaria". L'assenza del segretario generale Ban Ki-moon è "imbarazzante", l'ordine internazionale è saltato e gli Stati Uniti non vogliono più fare il "poliziotto del mondo": "E' diventato troppo costoso"
di Roberto Festa | 21 agosto 2014
Un quadro internazionale saltato. L’Onu assente e una serie di conflitti che esplodono un po’ ovunque, soprattutto in Medio Oriente ma anche in altre parti del mondo, senza che ci sia una presa di responsabilità collettiva da parte dei vari organismi statali e con gli Stati Uniti che cercano di mantenere, sempre più faticosamente, il loro ruolo di arbitro.
E’ questo secondo Gianluca Pastori, docente di “Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa” alla Cattolica di Milano, lo stato degli affari mondiali.
La frammentarietà, l’assenza di politiche condivise, la rincorsa dei rispettivi “piccoli interessi” sembrano anzi essere i caratteri salienti del mondo post-Seconda guerra mondiale, post-Guerra Fredda ma anche post-11 settembre. Quello che un tempo veniva definito “ordine mondiale“, insomma, non c’è più.
“Un dato sicuramente evidente di questi mesi, anzi di questi anni”, secondo Gianluca Pastori, “è la scomparsa dell’Onu“.
Questo segretario generale, Ban Ki-moon, si è segnalato per la sua “assenza imbarazzante” ogni volta che una crisi è scoppiata da qualche parte del mondo. (Ce l'avranno messo apposta)
Non fa eccezione la vicenda recente dell’Iraq. Il Consiglio di Sicurezza si è limitato a condannare le azioni dei militanti dell’Isis e a minacciare sanzioni contro chi arma e finanzia gli islamisti. “In realtà le Nazioni Unite hanno di fatto delegato agli Stati Uniti la gestione della crisi; come hanno fatto ogni volta che, negli ultimi anni, si è presentato un problema”.
Si tratta a giudizio di Pastori di un triste epilogo per molte delle ambizioni che avevano caratterizzato l’azione dell’Onu negli anni Novanta.
“Allora si era sperato che l’Onu tornasse a essere un’organizzazione politica, che ai sensi del suo statuto operasse per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali”.
Dalla fine degli anni Novanta, e poi soprattutto con l’11 settembre e la war on terror, le cose cambiano. Il ruolo politico decade, i tentativi di governare politicamente i conflitti falliscono e l’Onu “diventa sostanzialmente un’organizzazione umanitaria“.
La conferma viene, in queste ore, dalla scelta di stabilire un gigantesco ponte aereo, su strada e via mare per aiutare il mezzo milione di profughi nel nord dell’Iraq. Una nobile operazione umanitaria, “ma non politica”.
Il risultato è “il venir meno di un quadro normativo della conflittualità internazionale”.
Senza un’istituzione che raccolga i diversi interessi e cerchi un compromesso, ognuno procede in ordine sparso.
“Quello che l’Iraq mostra in modo inquietante”, racconta Pastori, “è che i singoli Stati agiscono sulla base dei loro petty interests, delle loro meschine convenienze“.
Oggi i Paesi europei, compresa l’Italia, armano i peshmerga curdi. Altri ancora forniscono aiuti militari e finanziari ai miliziani dell’Isis. Il risultato sono sempre azioni episodiche, che difficilmente portano a una vera soluzione dei conflitti, anche perché prendere vere decisioni politiche “costa, dal punto di vista politico, economico e delle opinioni pubbliche”. In altre parole, le opinioni pubbliche occidentali sono pronte a indignarsi per l’Isis, ma “nessuno desidera davvero impegnarsi in un intervento militare diretto o indiretto sul campo”.
Ciò non toglie che, al momento, l’Isis costituisca un “grave elemento di destabilizzazione della situazione mediorientale” e che debba essere in qualche modo contenuto e fermato.
Nel mondo frammentato post-Guerra Fredda e post-11 settembre, questo compito spetta ancora una volta agli Stati Uniti.
“Non penso che Barack Obama voglia allargare l’intervento in Iraq”, spiega Pastori, “e del resto tutta la sua politica estera si sta caratterizzando per l’esatto contrario rispetto a quella di George W. Bush. Gli Stati Uniti di Obama sono una potenza che tendenzialmente cerca di non intervenire, o di intervenire il meno possibile, preferendo aiutare i propri alleati sul campo”. A questo punto Obama non può però far finta di nulla e deve fare qualcosa. “Ne va del suo standing, del giudizio storico che verrà dato sulla sua presidenza”, spiega Pastori. “Obama deve fare qualcosa, anche perché sinora non ha fatto molto”.
Oltre l’Iraq, oltre le contingenze della minaccia dell’Isis, si intravvede comunque un problema più vasto e generale.
Senza l’Onu, senza vere istituzioni internazionali, con un presidente americano che, come lui stesso ha più volte detto, mira “a una politica estera che faccia meno danni possibili”, come si impone un vero ordine internazionale? Gli Stati Uniti, nel futuro, potranno ancora svolgere il ruolo di “arbitro”? “
La domanda non è tanto se gli Stati Uniti potranno svolgere un ruolo di arbitro, ma se vorranno farlo”, risponde Pastori. “Il ruolo egemone è costoso. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Washington ha favorito l’emergere di una rete istituzionale basata sulle Nazioni Unite, sugli accordi di Bretton Woods, sui patti della Nato, del sud-est asiatico.
La crisi di questo sistema ha fatto sì che i costi gravassero sempre più sugli Stati Uniti. La cronaca di questi giorni mostra che, se il governo americano vuole, quei costi possono essere comunque sostenuti. La domanda però è: i cittadini americani lo vogliono? E’ questo il grande interrogativo che dovremo affrontare in futuro”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08 ... e/1094909/
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Re: La Terza Guerra Mondiale
L'italietta e il Terzo conflitto mondiale - 1
Come al solito, da noi le tragedie si tramutano in farsa. Basta leggere l'articolo di fondo di stamani di Marco Travaglio dal titolo: Armiamoli e partite.
E' come se stessimo girando l'ennesimo film sulla farsa all'italiana.
Siamo tutti chiamati a fare le (s)comparse recitando il nostro ruolo di tutti i giorni.
Per la Lux film, prossimamente su questo schermo.
Quelli della classe digerente ce la mettono tutta per non far mancare la tradizione:
^^^^^^^^^
Lui
non farà cinema con Lino Banfi.
Antonio Razzi al cinema con Oronzo Canà - Sport - Libero
sport.libero.it/gossip/1039535/antonio-razzi-al-cinema-con-oronzo-cana
10/ago/2014 - Il senatore di Forza Italia potrebbe recitare nel prossimo capitolo de ... Antonio Razzi al cinema con Oronzo Canà - Il senatore di Forza Italia ... Nella vita però non si finisce mai di imparare e quindi se son rose fioriranno.
*
Lino Banfi smentisce Antonio Razzi: "Allenatore nel pallone ...
Il Fatto Quotidiano - 6 giorni fa
Sarò a fianco di Lino Banfi nel film L'allenatore nel pallone 3. ... film cult degli anni 80, dove l'attore pugliese impersonava Oronzo Canà. ... non l'ho mai cercato per recitare e soprattutto finora non c'è alcun ... Inoltre, chi posterà più volte lo stesso commento (anche se con parole diverse) verrà segnalato.
****
UN PO’ ACCA’ E UN PO’ ALLAH - INTERROGATI SULLA CRISI IN MEDIO ORIENTE, I DIS-ONOREVOLI, CHE HANNO PURE VOTATO PER SPEDIRE LE ARMI AI CURDI, RACCOLGONO SOLO FIGURACCE - CARLO SIBILIA (M5S) ”L’AVANZATA MINACCIA I CAGAI“ - STUMPO (PD) ”IL CALIFFATO? SONO SCIITI”
Secondo la Biancofiore la minoranza cattolica più a rischio in Iraq è quella dei copti (i copti in realtà sono i cristiani egiziani. In Iraq ci sono i cattolici caldei) - Sempre in cattedra Antonio Razzi: “Serve dialogo, non armi: io parlo abruzzese, lei italiano, ma poi ci capiamo. L’Isis? Non so chi siano. Ogni tanto esce un gruppo nuovo e si dà un nome, per confondere le idee”…
Tommaso Rodano e Alessio Schiesari per il “Fatto quotidiano”
Mercoledì mattina le commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato hanno votato la risoluzione del governo che autorizza l’invio di materiale bellico ai Peshmerga, i guerriglieri curdi che stanno contrastando l’avanzata dei jihadisti nel nord dell’Iraq. L’obiettivo è sconfiggere l’Isis (anche chiamato Isil o Is e guidato dal califfo al Baghdadi), movimento terrorista sunnita formatosi in Siria.
Isis combatte su due fronti: in Siria contro l’alawita Bashar al-Assad e in Iraq contro il governo a maggioranza sciita. Dal 2006 fino alla settimana scorsa il Paese è stato retto dal leader del partito Da’wa, Nuri al-Maliki. Secondo buona parte degli osservatori internazionali, la responsabilità della rivolta sunnita è da ascriversi al suo modo di governare, che ha privilegiato la maggioranza sciita a discapito della minoranza sunnita (Saddam Hussein, al contrario, era un dittatore laico, ma di religione sunnita e durante il suo regime i seguaci di questa confessione ricoprivano i ruoli chiave all’interno dell’organizzazione statale e delle forze armate).
L’incarico di formare il nuovo governo è stato affidato ad Haider al-Abadi, anch’egli sciita. Entrambi mercoledì hanno incontrato Renzi. Abbiamo chiesto ai parlamentari delle due commissioni (più qualche esterno, che si è autoqualificato come “competente”) di spiegare ai lettori i rudimenti della situazione per la quale hanno votato: chi riceverà le armi, quali armamenti verranno inviati, chi sono i terroristi dell’Isis, in quali zone si combatte, quali sono le minoranze a rischio.
Senatore, chi sono i peshmerga che stiamo armando? “È difficile capire, chi sta di qua, chi di là”. Certo, ma chi sono i peshmerga? “Il pericolo è enorme. Ai jihadisti basta andare sulle coste libiche, saltare sul barcone e iniziare le azioni di disturbo”. Ok, ma chi sono i peshmerga? “Voi giornalisti avete l’obbligo di scavare oltre la superficie. Io mi fermo qui”.
DANIELA SANTANCHÈ (FI) TE LO DO IO, L’ISIS
“L’Islam è violento, ho scritto due libri al riguardo. Bisogna studiare il Corano”. Mi dica cos’è l’Isis. “Fa paura quello che insegnano nelle scuole. Nel Corano c’è scritto che bisogna decapitare gli infedeli”. D’accordo, ma cos’è, quest’Isis di cui parlano tutti? “Il fondamentalismo dilaga. La political correct (sic) sta facendo danni pazzeschi. È normale che ci sia un presidente della commissione Esteri come Di Battista?”. Le chiedevo dell’Isis. “Chieda a Di Battista”. Abbiamo dato le armi ai peshmerga. Chi sono? “Siamo tutti in pericolo, tutti. Loro vogliono uccidere. Mare Nostrum è una porcata. Le moschee in Italia sono califfati sotto la nostra
GIUSEPPE FIORONI (PD) IL TAUTOLOGICO FANTASIOSO
Perché avete votato per armare i peshmerga? “La posizione è quella assunta con la risoluzione del governo”. Ma chi sono questi peshmerga? “Passiamo tramite il governo iracheno che si farà carico di individuare gli interlocutori, al quale i curdi hanno dato la disponibilità”. Sarà. Ma i peshmerga? “Sono quelli sottoposti agli attacchi, al genocidio: il governo curdo”.
MICHAELA BIANCOFIORE (FI) ”SALVIAMO I COPTI IRACHENI”
Qual è la minoranza cattolica più a rischio in Iraq? “I copti sono originari di quell’area, quindi sono i più a rischio” (i copti in realtà sono i cristiani egiziani. In Iraq ci sono i cattolici caldei, ndr). Cos’è l’Isis? È difficilmente identificabile. Oriana Fallaci l’aveva teorizzato anni fa: l’Eurabia. Noi siamo uno stato cuscinetto tra l’Europa del nord in cui non arrivano i clandestini e il Califfato”.
NICOLA STUMPO (PD) ”IL CALIFFATO? SONO SCIITI”
“L’Isis? Meglio non definire niente con termini nuovi. È una nuova evoluzione dei fondamentalisti islamici”. Ma sono sciiti o sunniti? “Al di là del fatto se siano sciiti o sunniti, il problema non è aiutare gli sciiti a far fronte ai sunniti o viceversa. Credo sciiti, ma non sono sicuro”. Chi è il premier iracheno? “Non lo ricordo. Prima c’era al-Maliki. A prescindere dal nome, speriamo sia la persona giusta.
FABIO RAMPELLI (FDI) ”MA CHI SIETE, LE IENE?”
“Che io sappia c’è un accordo col governo iracheno, che deciderà a chi dare le armi”. Le darà ai peshmerga. “Non saprei”. Cos’è l’Isis? “Ma chi siete Le Iene? È una specie di neocaliffato, autoproclamato da una settantina di giorni”. L’Isil è la stessa cosa? “È simpatico, il Fatto Quotidiano, non è un interlocutore abituale”. Chi è il premier iracheno? “Al Maliki è quello appena... vediamo... no, è che c’hanno i nomi abbastanza simili. Dunque...” (passano un po’ di secondi, ndr)Rampelli, non è che controlla sullo smartphone? “No, no, sto parlando con lei. Aspetti. (ancora secondi) No, non me lo ricordo”.
CARLO SIBILIA (M5S) ”L’AVANZATA MINACCIA I CAGAI“
Cos’è l’Isis? “L’Isis non è una cosa semplice da spiegare. Nel 2007 cresce questa forza, l’Isis, che faceva gli spot su Al Jazeera. Gli Usa lo hanno finanziato e anche l’Italia, attraverso l’associazione Amici della Siria”. Chi è il nuovo premier iracheno? “Su questo non ci siamo soffermati: ci sono stati troppi avvicendamenti in questi anni”. (al-Maliki è stato premier ininterrottamente dal maggio 2006 all’11 agosto scorso, ndr). Quali sono le minoranze a rischio? “Molte: gli yazidi, i cagai e altri”. Chi sarebbero i cagai? “Soffermarsi sulle singole minoranze è riduttivo, lo faccia la destra o Scelta Civica.
MAURIZIO GASPARRI (FD’I) ISIS? OLTRE SCIITI E SUNNITI
Chi sono i peshmerga? “C’è una situazione poco chiara. Capisco cos’è insito nella domanda: si rischiano di armare gli stessi soggetti che poi usano le munizioni contro l’Occidente”. Chi è il premier iracheno? “Non conosco i vari personaggi della guerra. Dopo la caduta di Saddam non ci sono state leadership stabili” (al-Maliki è durato 8 anni, ndr).
ROBERTO GIACHETTI (PD) ”NO, IL QUIZ NO!”
“Un quiz, no ti prego! (Ride, ndr) Stroncami, non ne so un caXXo, sono assolutamente non in grado. Il premier iracheno? C’è quello nuovo, che deve arrivare e quell’altro che l’appoggia. Non so manco i nomi italiani. Già con l’inglese non sono capace, figurati con gli iracheni...”
ANTONIO RAZZI STRATEGIA DELLA CONFUSIONE
“Serve dialogo, non armi: io parlo abruzzese, lei italiano, ma poi ci capiamo. L’Isis? Non so chi siano. Ogni tanto esce un gruppo nuovo e si dà un nome, per confondere le idee”.
In questo quadro desolante, alcuni parlamentari hanno risposto in modo competente.
Su tutti: Edmondo Cirielli (FdI), Luis Orellana (ex M5s), Emanuele Fiano e Marina Sereni (Pd)
Come al solito, da noi le tragedie si tramutano in farsa. Basta leggere l'articolo di fondo di stamani di Marco Travaglio dal titolo: Armiamoli e partite.
E' come se stessimo girando l'ennesimo film sulla farsa all'italiana.
Siamo tutti chiamati a fare le (s)comparse recitando il nostro ruolo di tutti i giorni.
Per la Lux film, prossimamente su questo schermo.
Quelli della classe digerente ce la mettono tutta per non far mancare la tradizione:
^^^^^^^^^
Lui
non farà cinema con Lino Banfi.
Antonio Razzi al cinema con Oronzo Canà - Sport - Libero
sport.libero.it/gossip/1039535/antonio-razzi-al-cinema-con-oronzo-cana
10/ago/2014 - Il senatore di Forza Italia potrebbe recitare nel prossimo capitolo de ... Antonio Razzi al cinema con Oronzo Canà - Il senatore di Forza Italia ... Nella vita però non si finisce mai di imparare e quindi se son rose fioriranno.
*
Lino Banfi smentisce Antonio Razzi: "Allenatore nel pallone ...
Il Fatto Quotidiano - 6 giorni fa
Sarò a fianco di Lino Banfi nel film L'allenatore nel pallone 3. ... film cult degli anni 80, dove l'attore pugliese impersonava Oronzo Canà. ... non l'ho mai cercato per recitare e soprattutto finora non c'è alcun ... Inoltre, chi posterà più volte lo stesso commento (anche se con parole diverse) verrà segnalato.
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UN PO’ ACCA’ E UN PO’ ALLAH - INTERROGATI SULLA CRISI IN MEDIO ORIENTE, I DIS-ONOREVOLI, CHE HANNO PURE VOTATO PER SPEDIRE LE ARMI AI CURDI, RACCOLGONO SOLO FIGURACCE - CARLO SIBILIA (M5S) ”L’AVANZATA MINACCIA I CAGAI“ - STUMPO (PD) ”IL CALIFFATO? SONO SCIITI”
Secondo la Biancofiore la minoranza cattolica più a rischio in Iraq è quella dei copti (i copti in realtà sono i cristiani egiziani. In Iraq ci sono i cattolici caldei) - Sempre in cattedra Antonio Razzi: “Serve dialogo, non armi: io parlo abruzzese, lei italiano, ma poi ci capiamo. L’Isis? Non so chi siano. Ogni tanto esce un gruppo nuovo e si dà un nome, per confondere le idee”…
Tommaso Rodano e Alessio Schiesari per il “Fatto quotidiano”
Mercoledì mattina le commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato hanno votato la risoluzione del governo che autorizza l’invio di materiale bellico ai Peshmerga, i guerriglieri curdi che stanno contrastando l’avanzata dei jihadisti nel nord dell’Iraq. L’obiettivo è sconfiggere l’Isis (anche chiamato Isil o Is e guidato dal califfo al Baghdadi), movimento terrorista sunnita formatosi in Siria.
Isis combatte su due fronti: in Siria contro l’alawita Bashar al-Assad e in Iraq contro il governo a maggioranza sciita. Dal 2006 fino alla settimana scorsa il Paese è stato retto dal leader del partito Da’wa, Nuri al-Maliki. Secondo buona parte degli osservatori internazionali, la responsabilità della rivolta sunnita è da ascriversi al suo modo di governare, che ha privilegiato la maggioranza sciita a discapito della minoranza sunnita (Saddam Hussein, al contrario, era un dittatore laico, ma di religione sunnita e durante il suo regime i seguaci di questa confessione ricoprivano i ruoli chiave all’interno dell’organizzazione statale e delle forze armate).
L’incarico di formare il nuovo governo è stato affidato ad Haider al-Abadi, anch’egli sciita. Entrambi mercoledì hanno incontrato Renzi. Abbiamo chiesto ai parlamentari delle due commissioni (più qualche esterno, che si è autoqualificato come “competente”) di spiegare ai lettori i rudimenti della situazione per la quale hanno votato: chi riceverà le armi, quali armamenti verranno inviati, chi sono i terroristi dell’Isis, in quali zone si combatte, quali sono le minoranze a rischio.
Senatore, chi sono i peshmerga che stiamo armando? “È difficile capire, chi sta di qua, chi di là”. Certo, ma chi sono i peshmerga? “Il pericolo è enorme. Ai jihadisti basta andare sulle coste libiche, saltare sul barcone e iniziare le azioni di disturbo”. Ok, ma chi sono i peshmerga? “Voi giornalisti avete l’obbligo di scavare oltre la superficie. Io mi fermo qui”.
DANIELA SANTANCHÈ (FI) TE LO DO IO, L’ISIS
“L’Islam è violento, ho scritto due libri al riguardo. Bisogna studiare il Corano”. Mi dica cos’è l’Isis. “Fa paura quello che insegnano nelle scuole. Nel Corano c’è scritto che bisogna decapitare gli infedeli”. D’accordo, ma cos’è, quest’Isis di cui parlano tutti? “Il fondamentalismo dilaga. La political correct (sic) sta facendo danni pazzeschi. È normale che ci sia un presidente della commissione Esteri come Di Battista?”. Le chiedevo dell’Isis. “Chieda a Di Battista”. Abbiamo dato le armi ai peshmerga. Chi sono? “Siamo tutti in pericolo, tutti. Loro vogliono uccidere. Mare Nostrum è una porcata. Le moschee in Italia sono califfati sotto la nostra
GIUSEPPE FIORONI (PD) IL TAUTOLOGICO FANTASIOSO
Perché avete votato per armare i peshmerga? “La posizione è quella assunta con la risoluzione del governo”. Ma chi sono questi peshmerga? “Passiamo tramite il governo iracheno che si farà carico di individuare gli interlocutori, al quale i curdi hanno dato la disponibilità”. Sarà. Ma i peshmerga? “Sono quelli sottoposti agli attacchi, al genocidio: il governo curdo”.
MICHAELA BIANCOFIORE (FI) ”SALVIAMO I COPTI IRACHENI”
Qual è la minoranza cattolica più a rischio in Iraq? “I copti sono originari di quell’area, quindi sono i più a rischio” (i copti in realtà sono i cristiani egiziani. In Iraq ci sono i cattolici caldei, ndr). Cos’è l’Isis? È difficilmente identificabile. Oriana Fallaci l’aveva teorizzato anni fa: l’Eurabia. Noi siamo uno stato cuscinetto tra l’Europa del nord in cui non arrivano i clandestini e il Califfato”.
NICOLA STUMPO (PD) ”IL CALIFFATO? SONO SCIITI”
“L’Isis? Meglio non definire niente con termini nuovi. È una nuova evoluzione dei fondamentalisti islamici”. Ma sono sciiti o sunniti? “Al di là del fatto se siano sciiti o sunniti, il problema non è aiutare gli sciiti a far fronte ai sunniti o viceversa. Credo sciiti, ma non sono sicuro”. Chi è il premier iracheno? “Non lo ricordo. Prima c’era al-Maliki. A prescindere dal nome, speriamo sia la persona giusta.
FABIO RAMPELLI (FDI) ”MA CHI SIETE, LE IENE?”
“Che io sappia c’è un accordo col governo iracheno, che deciderà a chi dare le armi”. Le darà ai peshmerga. “Non saprei”. Cos’è l’Isis? “Ma chi siete Le Iene? È una specie di neocaliffato, autoproclamato da una settantina di giorni”. L’Isil è la stessa cosa? “È simpatico, il Fatto Quotidiano, non è un interlocutore abituale”. Chi è il premier iracheno? “Al Maliki è quello appena... vediamo... no, è che c’hanno i nomi abbastanza simili. Dunque...” (passano un po’ di secondi, ndr)Rampelli, non è che controlla sullo smartphone? “No, no, sto parlando con lei. Aspetti. (ancora secondi) No, non me lo ricordo”.
CARLO SIBILIA (M5S) ”L’AVANZATA MINACCIA I CAGAI“
Cos’è l’Isis? “L’Isis non è una cosa semplice da spiegare. Nel 2007 cresce questa forza, l’Isis, che faceva gli spot su Al Jazeera. Gli Usa lo hanno finanziato e anche l’Italia, attraverso l’associazione Amici della Siria”. Chi è il nuovo premier iracheno? “Su questo non ci siamo soffermati: ci sono stati troppi avvicendamenti in questi anni”. (al-Maliki è stato premier ininterrottamente dal maggio 2006 all’11 agosto scorso, ndr). Quali sono le minoranze a rischio? “Molte: gli yazidi, i cagai e altri”. Chi sarebbero i cagai? “Soffermarsi sulle singole minoranze è riduttivo, lo faccia la destra o Scelta Civica.
MAURIZIO GASPARRI (FD’I) ISIS? OLTRE SCIITI E SUNNITI
Chi sono i peshmerga? “C’è una situazione poco chiara. Capisco cos’è insito nella domanda: si rischiano di armare gli stessi soggetti che poi usano le munizioni contro l’Occidente”. Chi è il premier iracheno? “Non conosco i vari personaggi della guerra. Dopo la caduta di Saddam non ci sono state leadership stabili” (al-Maliki è durato 8 anni, ndr).
ROBERTO GIACHETTI (PD) ”NO, IL QUIZ NO!”
“Un quiz, no ti prego! (Ride, ndr) Stroncami, non ne so un caXXo, sono assolutamente non in grado. Il premier iracheno? C’è quello nuovo, che deve arrivare e quell’altro che l’appoggia. Non so manco i nomi italiani. Già con l’inglese non sono capace, figurati con gli iracheni...”
ANTONIO RAZZI STRATEGIA DELLA CONFUSIONE
“Serve dialogo, non armi: io parlo abruzzese, lei italiano, ma poi ci capiamo. L’Isis? Non so chi siano. Ogni tanto esce un gruppo nuovo e si dà un nome, per confondere le idee”.
In questo quadro desolante, alcuni parlamentari hanno risposto in modo competente.
Su tutti: Edmondo Cirielli (FdI), Luis Orellana (ex M5s), Emanuele Fiano e Marina Sereni (Pd)
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Re: La Terza Guerra Mondiale
L'italietta e il Terzo conflitto mondiale - 2
Ciak si gira
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Armiamoli e partite
(Marco Travaglio).
22/08/2014 di triskel182
Ha fatto bene Renzi a visitare Baghdad, dove ha incontrato il governo di quel che resta dell’Iraq, e poi anche il campo profughi di Erbil, dove ha parlato con i capi dell’enclave autonoma curda. Ha fatto male invece a non telefonare subito a Roma per bloccare le allegre ministre Mogherini & Pinotti che stavano incassando l’ok delle ignare commissioni Esteri e Difesa all’invio di armi ai curdi. Ciò che il premier ha visto e sentito in Iraq era più che sufficiente per indurlo ad archiviare l’idea balzana di spedire una carrettata di vecchi kalashnikov, missili e razzi anticarro di fabbricazione sovietica sequestrati nel lontano 1994 alle milizie croate e da allora giacenti nei magazzini del nostro esercito. Che si guardava bene dall’usarli, il che la dice lunga sulla loro efficienza. Qui non si tratta di fare del pacifismo a buon mercato: anche le missioni di pace e i corridoi umanitari esistono grazie alla protezione armata. Qui si tratta di domandarsi chi stiamo armando, con quali armi, con quali procedure e contro chi verranno usate non solo oggi, ma anche domani.
1) Chi stiamo armando? I guerriglieri curdi, che si oppongono alle milizie jihadiste sunnite del Califfato (Isis), anch’esse dotate di armi occidentali ereditate dagli arsenali di Saddam Hussein, e animate da spirito di vendetta dopo l’umiliazione subita dai sunniti con la sconfitta saddamita e la salita al potere di un regime sciita. Dunque al momento i curdi che andiamo ad armare sono alleati degli sciiti, sostenuti dall’Iran, che fino a qualche anno fa erano la bestia nera dell’Occidente. Chi ci garantisce che le nostre armi non passino dai curdi agli sciiti che fra qualche anno ci toccherà disarmare quando decideremo di reiscriverli all’albo dei terroristi? 2) Con quali armi? Il capo di gabinetto del presidente della regione autonoma curda Fuad Hussein spiega al Corriere che ai suoi soldati occorrono “blindati anti-mina, armi anticarro nuovo modello, visori per la guerra notturna ed elicotteri da guerra”. Noi, per tutta risposta, inviamo i ferrivecchi di cui sopra: c’è da sperare che i curdi non ce li rimandino indietro con spedizione a carico del destinatario. La Germania, che è la Germania, ha deciso di inviare caschi e giubbotti antiproiettile, che almeno servono a qualcosa. E la Svezia ha comunicato: “Non siamo una potenza in campo militare, mentre lo siamo in campo umanitario, quindi invieremo cibo, medicinali e soccorsi”. Un discorso serio che avremmo dovuto fare anche noi: invece due mesi fa il governo ha tagliato i progetti umanitari all’Iraq e ora se la tira da superpotenza militare con i fondi di magazzino per soddisfare gli uzzoli interventisti della Pinotti, in corsa per il Quirinale, e della Mogherini, ansiosa di accreditarsi in Europa per l’inutile poltrona di Mister Pesc (lesso). 3) Con quali procedure? Il premier dimissionario iracheno al Maliki e quello incaricato al Abadi han chiesto a Renzi di non consegnare le armi ai curdi, ma al governo di Baghdad, mentre il presidente dell’enclave curda Barzani gli ha chiesto di spedirle direttamente a lui. Il perché è semplice: il governo filosciita iracheno detesta cordialmente i curdi, che ricambiano con interessi, rivendicando la propria indipendenza e profittando della guerra al Califfo per farsi il proprio stato. “Una soluzione di compromesso – dice Renzi al Corriere – potrebbe essere far arrivare le armi a Erbil, ma consegnarle a un inviato di Baghdad”. La classica farsa all’italiana: per armare i curdi, diamo le armi a un inviato del governo che odia i curdi, e poi se la vedano loro. Ma non si esclude un’altra furbata: io le armi le lascio qui, per non saper né leggere né scrivere, e il primo che passa se le prende. Del resto – secondo le cronache, depurate dalla retorica sulla “storica visita” e sullo “scout Matteo” – Renzi ha promesso ad al Maliki “il rispetto della sovranità irachena”. Impegno che fa a pugni con le armi alla regione curda che Baghdad non riconosce, anzi osteggia. Finirà come al solito, con l’Italietta alleata contemporaneamente di due nemici che si odiano. Così ci guadagneremo la prestigiosa carica di Mister Pesc In Barile.
Da Il Fatto Quotidiano del 22/08/2014.
Ciak si gira
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Armiamoli e partite
(Marco Travaglio).
22/08/2014 di triskel182
Ha fatto bene Renzi a visitare Baghdad, dove ha incontrato il governo di quel che resta dell’Iraq, e poi anche il campo profughi di Erbil, dove ha parlato con i capi dell’enclave autonoma curda. Ha fatto male invece a non telefonare subito a Roma per bloccare le allegre ministre Mogherini & Pinotti che stavano incassando l’ok delle ignare commissioni Esteri e Difesa all’invio di armi ai curdi. Ciò che il premier ha visto e sentito in Iraq era più che sufficiente per indurlo ad archiviare l’idea balzana di spedire una carrettata di vecchi kalashnikov, missili e razzi anticarro di fabbricazione sovietica sequestrati nel lontano 1994 alle milizie croate e da allora giacenti nei magazzini del nostro esercito. Che si guardava bene dall’usarli, il che la dice lunga sulla loro efficienza. Qui non si tratta di fare del pacifismo a buon mercato: anche le missioni di pace e i corridoi umanitari esistono grazie alla protezione armata. Qui si tratta di domandarsi chi stiamo armando, con quali armi, con quali procedure e contro chi verranno usate non solo oggi, ma anche domani.
1) Chi stiamo armando? I guerriglieri curdi, che si oppongono alle milizie jihadiste sunnite del Califfato (Isis), anch’esse dotate di armi occidentali ereditate dagli arsenali di Saddam Hussein, e animate da spirito di vendetta dopo l’umiliazione subita dai sunniti con la sconfitta saddamita e la salita al potere di un regime sciita. Dunque al momento i curdi che andiamo ad armare sono alleati degli sciiti, sostenuti dall’Iran, che fino a qualche anno fa erano la bestia nera dell’Occidente. Chi ci garantisce che le nostre armi non passino dai curdi agli sciiti che fra qualche anno ci toccherà disarmare quando decideremo di reiscriverli all’albo dei terroristi? 2) Con quali armi? Il capo di gabinetto del presidente della regione autonoma curda Fuad Hussein spiega al Corriere che ai suoi soldati occorrono “blindati anti-mina, armi anticarro nuovo modello, visori per la guerra notturna ed elicotteri da guerra”. Noi, per tutta risposta, inviamo i ferrivecchi di cui sopra: c’è da sperare che i curdi non ce li rimandino indietro con spedizione a carico del destinatario. La Germania, che è la Germania, ha deciso di inviare caschi e giubbotti antiproiettile, che almeno servono a qualcosa. E la Svezia ha comunicato: “Non siamo una potenza in campo militare, mentre lo siamo in campo umanitario, quindi invieremo cibo, medicinali e soccorsi”. Un discorso serio che avremmo dovuto fare anche noi: invece due mesi fa il governo ha tagliato i progetti umanitari all’Iraq e ora se la tira da superpotenza militare con i fondi di magazzino per soddisfare gli uzzoli interventisti della Pinotti, in corsa per il Quirinale, e della Mogherini, ansiosa di accreditarsi in Europa per l’inutile poltrona di Mister Pesc (lesso). 3) Con quali procedure? Il premier dimissionario iracheno al Maliki e quello incaricato al Abadi han chiesto a Renzi di non consegnare le armi ai curdi, ma al governo di Baghdad, mentre il presidente dell’enclave curda Barzani gli ha chiesto di spedirle direttamente a lui. Il perché è semplice: il governo filosciita iracheno detesta cordialmente i curdi, che ricambiano con interessi, rivendicando la propria indipendenza e profittando della guerra al Califfo per farsi il proprio stato. “Una soluzione di compromesso – dice Renzi al Corriere – potrebbe essere far arrivare le armi a Erbil, ma consegnarle a un inviato di Baghdad”. La classica farsa all’italiana: per armare i curdi, diamo le armi a un inviato del governo che odia i curdi, e poi se la vedano loro. Ma non si esclude un’altra furbata: io le armi le lascio qui, per non saper né leggere né scrivere, e il primo che passa se le prende. Del resto – secondo le cronache, depurate dalla retorica sulla “storica visita” e sullo “scout Matteo” – Renzi ha promesso ad al Maliki “il rispetto della sovranità irachena”. Impegno che fa a pugni con le armi alla regione curda che Baghdad non riconosce, anzi osteggia. Finirà come al solito, con l’Italietta alleata contemporaneamente di due nemici che si odiano. Così ci guadagneremo la prestigiosa carica di Mister Pesc In Barile.
Da Il Fatto Quotidiano del 22/08/2014.
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