Il "nuovo" governo Renzi
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
dawe3 settembre 2014 | 22:18
Non credo sia lo statale a pagare la cassa-integrazione
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Risposta a: pessimopopulista Vedi la discussione > sergente garcia3 settembre 2014 | 22:17
questi sono i i protetti dei politici, dei politici crminale che abbiamo avuto.
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Lettore_57069853 settembre 2014 | 22:16
l'insegnante non è andato in vacanza. E' andato a fare un corso di aggiornamento presso località a lei ignota.
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Risposta a: giovanni 51 Vedi la discussione > flikken3 settembre 2014 | 22:15
Spero proprio che per tutta la sua vita, ogni volta che si dovrà rapportare con la pubblica amministrazione, che sia la scuola, la giustizia, la sanità, il comune ecc ecc, lei abbia sempre a che fare con persone senza arte ne parte e nullafacenti. La saluto.
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Risposta a: franco99 Vedi la discussione > Lettore_20305963 settembre 2014 | 22:15
purtroppo invece sono stati licenziati da imprenditori sfruttatori, che hanno preso la palla al balzo: contratti a tempo determinato, assunzione a progetto, in affitto e quant' altro. Quando i vari governi neo-liberisti hanno loro permesso di licenziare (con la scusa della crisi) e di assumere lavoratori a tempo, incapaci di programmare il loro futuro e di spendere il denaro… Questi "imprenditori" ora hanno i conti in Svizzera, i politici che li hanno favoriti sono ancora in parlamento, nonostante la crisi e una situazione drammatica; gli unici che hanno subito danni sono quelli che hanno perso il loro posto di lavoro, quelli che hanno visto diminuire i loro diritti nel luogo di lavoro, quelli che non si vedono riconoscere un aumento minimo di stipendio da 6 anni a questa parte a fronte del costo della vita sempre più caro, ma innanzitutto i giovani a cui è negata ogni possibilità di costruirsi un futuro indipendente dalla famiglia e dignitoso.
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Risposta a: Instant_Karma Vedi la discussione > sergente garcia3 settembre 2014 | 22:14
questi non producono ricchezza, ma debito e povertà per il paese.
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Non credo sia lo statale a pagare la cassa-integrazione
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Risposta a: pessimopopulista Vedi la discussione > sergente garcia3 settembre 2014 | 22:17
questi sono i i protetti dei politici, dei politici crminale che abbiamo avuto.
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Lettore_57069853 settembre 2014 | 22:16
l'insegnante non è andato in vacanza. E' andato a fare un corso di aggiornamento presso località a lei ignota.
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Risposta a: giovanni 51 Vedi la discussione > flikken3 settembre 2014 | 22:15
Spero proprio che per tutta la sua vita, ogni volta che si dovrà rapportare con la pubblica amministrazione, che sia la scuola, la giustizia, la sanità, il comune ecc ecc, lei abbia sempre a che fare con persone senza arte ne parte e nullafacenti. La saluto.
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Risposta a: franco99 Vedi la discussione > Lettore_20305963 settembre 2014 | 22:15
purtroppo invece sono stati licenziati da imprenditori sfruttatori, che hanno preso la palla al balzo: contratti a tempo determinato, assunzione a progetto, in affitto e quant' altro. Quando i vari governi neo-liberisti hanno loro permesso di licenziare (con la scusa della crisi) e di assumere lavoratori a tempo, incapaci di programmare il loro futuro e di spendere il denaro… Questi "imprenditori" ora hanno i conti in Svizzera, i politici che li hanno favoriti sono ancora in parlamento, nonostante la crisi e una situazione drammatica; gli unici che hanno subito danni sono quelli che hanno perso il loro posto di lavoro, quelli che hanno visto diminuire i loro diritti nel luogo di lavoro, quelli che non si vedono riconoscere un aumento minimo di stipendio da 6 anni a questa parte a fronte del costo della vita sempre più caro, ma innanzitutto i giovani a cui è negata ogni possibilità di costruirsi un futuro indipendente dalla famiglia e dignitoso.
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Risposta a: Instant_Karma Vedi la discussione > sergente garcia3 settembre 2014 | 22:14
questi non producono ricchezza, ma debito e povertà per il paese.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Lettore_92007083 settembre 2014 | 22:13
Privati o statali siamo alla revolverata, altrochè.... Per raddrizzare la situazione che non è solo economica, bene ricordarselo, anzi forse il crac economico dipende dalla devastazione culturale, occorre ripartire dalle scuole materne. Fra una ventina d'anni avremo dei cittadini e degli amministratori un po' meglio.Forse.
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4Yanko Rusev3 settembre 2014 | 22:12
Io direi che gli impiegati pubblici che passano ad aziende private si contano sulla punta delle dita della mano di un monco.
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Risposta a: ECO1313 Vedi la discussione > 19333 settembre 2014 | 22:12
Sante parole.
VOTA RISPONDIRisposta a: bricconcello Vedi la discussione > 1Campidanolibero3 settembre 2014 | 22:11
Gelato a Renzi, gelati gli statali, congelate le pensioni, surgelate le pmi: e che è?
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7jonathan_713 settembre 2014 | 22:11
Condivido in pieno l'unica possibilita' che ha questo paese e' di venire riformata direttamente dalla Troika e non manca molto, i soldi non ci sono piu' e le tasse non si possono piu' aumentare (Laffer docet!), i dipendenti pubblici sono nel classico cul de sac...
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Privati o statali siamo alla revolverata, altrochè.... Per raddrizzare la situazione che non è solo economica, bene ricordarselo, anzi forse il crac economico dipende dalla devastazione culturale, occorre ripartire dalle scuole materne. Fra una ventina d'anni avremo dei cittadini e degli amministratori un po' meglio.Forse.
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4Yanko Rusev3 settembre 2014 | 22:12
Io direi che gli impiegati pubblici che passano ad aziende private si contano sulla punta delle dita della mano di un monco.
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Risposta a: ECO1313 Vedi la discussione > 19333 settembre 2014 | 22:12
Sante parole.
VOTA RISPONDIRisposta a: bricconcello Vedi la discussione > 1Campidanolibero3 settembre 2014 | 22:11
Gelato a Renzi, gelati gli statali, congelate le pensioni, surgelate le pmi: e che è?
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7jonathan_713 settembre 2014 | 22:11
Condivido in pieno l'unica possibilita' che ha questo paese e' di venire riformata direttamente dalla Troika e non manca molto, i soldi non ci sono piu' e le tasse non si possono piu' aumentare (Laffer docet!), i dipendenti pubblici sono nel classico cul de sac...
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
I MILLE GIORNI E LE SCELTE DA NON RINVIARE
Il tramonto della fretta
di ANTONIO POLITO
Il sogno di Filippo Turati era di cambiare la società come la neve trasforma un paesaggio: fiocco dopo fiocco. Il passo dopo passo di Matteo Renzi sembra dunque segnare la conversione del giovane leader «rivoluzionario» alla tradizione dei padri del riformismo: un’azione profonda e duratura, invece di una concitazione di hashtag su #lasvoltabuona.
Si tratta di una scelta saggia, oltre che obbligata. Saggia perché ristruttura il debito di promesse contratto con l’elettorato concedendosi più tempo per realizzarle, e insieme garantisce lunga vita ai parlamentari chiamati a votarle.
Obbligata perché neanche Renzi sembra aver ancora trovato la bacchetta magica per cambiare i ritmi di produzione legislativa di un sistema lento, e non sempre per colpa del Senato. Un solo esempio: ieri pomeriggio non risultava pervenuto al Quirinale il testo del decreto legge sulla giustizia civile approvato al Consiglio dei ministri di venerdì 29 agosto.
Se pure arrivasse oggi, 3 settembre, c’è da calcolare almeno un’altra settimana per la normale attività di verifica prima della firma del capo dello Stato. Eppure si tratta di materia così urgente da finire in un decreto. Figurarsi che accade ai disegni di legge, o ai decreti attuativi. Di questo passo, passo dopo passo, i mille giorni passano in fretta.
Ma se è logico e serio prendersi qualche anno per portare a regime le decisioni assunte oggi, ne consegue che sarebbe molto pericoloso rinviare decisioni che vanno prese oggi, perché in questo caso i mille giorni diventerebbero millecinquecento, o duemila, e né l’Italia né il governo Renzi sembrano avere a disposizione tutto questo tempo.
Il rischio, che al premier certo non sfugge, è che questa nuova tattica «normalizzi» un governo nato col forcipe proprio per fare in fretta ciò che ad altri non riusciva, con ciò togliendogli senso e consenso.
In due campi in particolare le decisioni non possono aspettare: la spending review e il mercato del lavoro. Qui sarebbe sbagliato prender tempo, sperando come al solito in una provvidenziale ripresina che eviti scelte impopolari. Se si vuole tagliare sul serio la spesa pubblica, bisogna cominciare a decidere subito se accorpare le forze di polizia, chiudere gli uffici periferici dei ministeri, tagliare le prefetture, sciogliere le società municipali, e così via. Se non lo si fa subito, per poi vederne gli effetti nei prossimi mille giorni, si finirà con i soliti tagli lineari in Finanziaria. Da questo punto di vista il governo è già in ritardo.
Allo stesso modo la legge delega sul lavoro, chiamata jobs act , non sembra contenere quello choc che Draghi avrebbe suggerito a Renzi per settembre; né arriverà a settembre, essendone prevista l’approvazione «entro la fine dell’anno» e l’applicazione entro la primavera del 2015 (dopo i decreti attuativi). La stessa svalutazione retorica dell’importanza dell’articolo 18 fa temere che si stia esitando di nuovo di fronte a un tabù della sinistra e del sindacato.
Chi fa oggi le riforme può contare su più flessibilità mentre producono i loro effetti: guardate la Spagna, ha un deficit del 7 per cento ma nessuno batte ciglio. Chi promette solo di farle, sarà trattato con più severità. Lo scambio proposto da Draghi in fondo è tutto qui: non premiare chi perde tempo, ma dare tempo a chi non ne perde più.
3 settembre 2014 | 08:18
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/14_se ... 635c.shtml
Il tramonto della fretta
di ANTONIO POLITO
Il sogno di Filippo Turati era di cambiare la società come la neve trasforma un paesaggio: fiocco dopo fiocco. Il passo dopo passo di Matteo Renzi sembra dunque segnare la conversione del giovane leader «rivoluzionario» alla tradizione dei padri del riformismo: un’azione profonda e duratura, invece di una concitazione di hashtag su #lasvoltabuona.
Si tratta di una scelta saggia, oltre che obbligata. Saggia perché ristruttura il debito di promesse contratto con l’elettorato concedendosi più tempo per realizzarle, e insieme garantisce lunga vita ai parlamentari chiamati a votarle.
Obbligata perché neanche Renzi sembra aver ancora trovato la bacchetta magica per cambiare i ritmi di produzione legislativa di un sistema lento, e non sempre per colpa del Senato. Un solo esempio: ieri pomeriggio non risultava pervenuto al Quirinale il testo del decreto legge sulla giustizia civile approvato al Consiglio dei ministri di venerdì 29 agosto.
Se pure arrivasse oggi, 3 settembre, c’è da calcolare almeno un’altra settimana per la normale attività di verifica prima della firma del capo dello Stato. Eppure si tratta di materia così urgente da finire in un decreto. Figurarsi che accade ai disegni di legge, o ai decreti attuativi. Di questo passo, passo dopo passo, i mille giorni passano in fretta.
Ma se è logico e serio prendersi qualche anno per portare a regime le decisioni assunte oggi, ne consegue che sarebbe molto pericoloso rinviare decisioni che vanno prese oggi, perché in questo caso i mille giorni diventerebbero millecinquecento, o duemila, e né l’Italia né il governo Renzi sembrano avere a disposizione tutto questo tempo.
Il rischio, che al premier certo non sfugge, è che questa nuova tattica «normalizzi» un governo nato col forcipe proprio per fare in fretta ciò che ad altri non riusciva, con ciò togliendogli senso e consenso.
In due campi in particolare le decisioni non possono aspettare: la spending review e il mercato del lavoro. Qui sarebbe sbagliato prender tempo, sperando come al solito in una provvidenziale ripresina che eviti scelte impopolari. Se si vuole tagliare sul serio la spesa pubblica, bisogna cominciare a decidere subito se accorpare le forze di polizia, chiudere gli uffici periferici dei ministeri, tagliare le prefetture, sciogliere le società municipali, e così via. Se non lo si fa subito, per poi vederne gli effetti nei prossimi mille giorni, si finirà con i soliti tagli lineari in Finanziaria. Da questo punto di vista il governo è già in ritardo.
Allo stesso modo la legge delega sul lavoro, chiamata jobs act , non sembra contenere quello choc che Draghi avrebbe suggerito a Renzi per settembre; né arriverà a settembre, essendone prevista l’approvazione «entro la fine dell’anno» e l’applicazione entro la primavera del 2015 (dopo i decreti attuativi). La stessa svalutazione retorica dell’importanza dell’articolo 18 fa temere che si stia esitando di nuovo di fronte a un tabù della sinistra e del sindacato.
Chi fa oggi le riforme può contare su più flessibilità mentre producono i loro effetti: guardate la Spagna, ha un deficit del 7 per cento ma nessuno batte ciglio. Chi promette solo di farle, sarà trattato con più severità. Lo scambio proposto da Draghi in fondo è tutto qui: non premiare chi perde tempo, ma dare tempo a chi non ne perde più.
3 settembre 2014 | 08:18
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Il premier va avanti
tra scetticismo e «fuoco amico»
Arrivano attacchi da fronti diversi a cominciare dai democratici
di Massimo Franco
Colpisce che due personaggi distanti tra loro come l’ex premier Mario Monti e il segretario della Cgil, Susanna Camusso, esprimano giudizi taglienti su Matteo Renzi e il suo governo; di fatto, accusandolo di avere messo in cantiere un «piano dei mille giorni» pieno di titoli e vuoto di veri contenuti.
Ma forse sorprende ancora di più il silenzio col quale il Pd ha accolto queste critiche. Anzi, arriva il «fuoco amico» di Massimo D’Alema.
A replicare a Monti, attaccandolo, per paradosso è un’esponente di FI, Mara Carfagna: soprattutto per difendere la memoria politica di Silvio Berlusconi, spodestato nell’autunno del 2011 dall’esecutivo dei tecnici.
Per il resto, la corsa del presidente del Consiglio verso un futuro che continua a raffigurare radioso appare sempre più solitaria (di quest'oggi: avremo davanti giorni meravigliosi-ndt); circondata dal sostegno dei fedelissimi ma anche dalle ombre spesse della crisi economica e da quelle, meno vistose, di chi lo aspetta al varco.
I sondaggi continuano a darlo stabilmente in sella, e descrivono gli avversari distanziati nettamente.
Sta diventando sempre più chiaro, tuttavia, che le speranze di Palazzo Chigi di agganciare un’Europa in ripresa sono destinate a segnare il passo. Renzi ieri ha voluto sottolineare che i problemi sono continentali, non solo italiani.
«Il nostro dato negativo sulla crescita del secondo trimestre, che tanto ha alimentato il dibattito in casa nostra, è identico al dato tedesco:-0,2 per cento. Mal comune mezzo gaudio? Macché. Mal comune doppio danno», riconosce il premier, perché l’Italia è in condizioni ben peggiori. Su questo sfondo, sentirgli dire che «in mille giorni riportiamo il nostro Paese a fare la locomotiva, non l’ultimo vagone» dell’Europa, suona, a dir poco, azzardato. L’accusa di velleitarismo non è ancora esplicita, ma comincia a serpeggiare. D’altronde, ci sarà qualche ragione se una minoranza del Pd finora afona, adesso rialza la testa.
La richiesta al governo è di cancellare dalla Costituzione l’obbligo di pareggio del bilancio; e pazienza se in questo modo il Pd contraddice il suo voto del 2012. È il sintomo di un malessere che cova, represso; e che riaffiora.
D’Alema parla di «risultati insoddisfacenti del governo» e ricorda di essere «sempre stato contrario al doppio incarico di segretario Pd-premier»: tema insidioso e tarato su Renzi.
Il fatto che il presidente del Consiglio non smetta di ricordare il trionfo del partito alle europee di maggio costituisce una sorta di ammonimento ai suoi critici. Serve a sottolineare un rapporto diretto con l’opinione pubblica che oltrepassa le lealtà degli apparati del partito.
Il problema è capire se la cosiddetta «luna di miele» si perpetua, come sembra dire Palazzo Chigi additando i risultati che sostiene di avere raggiunto o di poter afferrare; o se l’affanno dell’economia ha cominciato a guastarla, rianimando chi finge di appoggiarlo.
Il Movimento 5 Stelle martella sulla tesi dell’Italia che affonda, oberata dalle tasse. FI asseconda e incalza il premier. Ma il timore che le cose possano prendere una piega negativa si avverte nelle parole di Pier Ferdinando Casini, dell’Udc, finora suo difensore. Renzi «ha il pallino in mano, glielo abbiamo dato. Ma ora bisogna passare dalle parole ai fatti», avverte: come se quelli rivendicati finora non fossero tali.
3 settembre 2014 | 12:51
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http://www.corriere.it/politica/14_sett ... 635c.shtml
tra scetticismo e «fuoco amico»
Arrivano attacchi da fronti diversi a cominciare dai democratici
di Massimo Franco
Colpisce che due personaggi distanti tra loro come l’ex premier Mario Monti e il segretario della Cgil, Susanna Camusso, esprimano giudizi taglienti su Matteo Renzi e il suo governo; di fatto, accusandolo di avere messo in cantiere un «piano dei mille giorni» pieno di titoli e vuoto di veri contenuti.
Ma forse sorprende ancora di più il silenzio col quale il Pd ha accolto queste critiche. Anzi, arriva il «fuoco amico» di Massimo D’Alema.
A replicare a Monti, attaccandolo, per paradosso è un’esponente di FI, Mara Carfagna: soprattutto per difendere la memoria politica di Silvio Berlusconi, spodestato nell’autunno del 2011 dall’esecutivo dei tecnici.
Per il resto, la corsa del presidente del Consiglio verso un futuro che continua a raffigurare radioso appare sempre più solitaria (di quest'oggi: avremo davanti giorni meravigliosi-ndt); circondata dal sostegno dei fedelissimi ma anche dalle ombre spesse della crisi economica e da quelle, meno vistose, di chi lo aspetta al varco.
I sondaggi continuano a darlo stabilmente in sella, e descrivono gli avversari distanziati nettamente.
Sta diventando sempre più chiaro, tuttavia, che le speranze di Palazzo Chigi di agganciare un’Europa in ripresa sono destinate a segnare il passo. Renzi ieri ha voluto sottolineare che i problemi sono continentali, non solo italiani.
«Il nostro dato negativo sulla crescita del secondo trimestre, che tanto ha alimentato il dibattito in casa nostra, è identico al dato tedesco:-0,2 per cento. Mal comune mezzo gaudio? Macché. Mal comune doppio danno», riconosce il premier, perché l’Italia è in condizioni ben peggiori. Su questo sfondo, sentirgli dire che «in mille giorni riportiamo il nostro Paese a fare la locomotiva, non l’ultimo vagone» dell’Europa, suona, a dir poco, azzardato. L’accusa di velleitarismo non è ancora esplicita, ma comincia a serpeggiare. D’altronde, ci sarà qualche ragione se una minoranza del Pd finora afona, adesso rialza la testa.
La richiesta al governo è di cancellare dalla Costituzione l’obbligo di pareggio del bilancio; e pazienza se in questo modo il Pd contraddice il suo voto del 2012. È il sintomo di un malessere che cova, represso; e che riaffiora.
D’Alema parla di «risultati insoddisfacenti del governo» e ricorda di essere «sempre stato contrario al doppio incarico di segretario Pd-premier»: tema insidioso e tarato su Renzi.
Il fatto che il presidente del Consiglio non smetta di ricordare il trionfo del partito alle europee di maggio costituisce una sorta di ammonimento ai suoi critici. Serve a sottolineare un rapporto diretto con l’opinione pubblica che oltrepassa le lealtà degli apparati del partito.
Il problema è capire se la cosiddetta «luna di miele» si perpetua, come sembra dire Palazzo Chigi additando i risultati che sostiene di avere raggiunto o di poter afferrare; o se l’affanno dell’economia ha cominciato a guastarla, rianimando chi finge di appoggiarlo.
Il Movimento 5 Stelle martella sulla tesi dell’Italia che affonda, oberata dalle tasse. FI asseconda e incalza il premier. Ma il timore che le cose possano prendere una piega negativa si avverte nelle parole di Pier Ferdinando Casini, dell’Udc, finora suo difensore. Renzi «ha il pallino in mano, glielo abbiamo dato. Ma ora bisogna passare dalle parole ai fatti», avverte: come se quelli rivendicati finora non fossero tali.
3 settembre 2014 | 12:51
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Altro parolaio come Berlusconi.Non ci sono i soldi per sbloccare gli stipendi agli statali contratti scaduti ecc......
Mentre La ministro dice questo, Renzi invece parla della scuola assunzione di 100.000 insegnanti nel 2015.
Dove trova i soldi?Insegnanti che andranno in pensione bignogna pagare le loro pensioni.
Intanto si parla di tagli lineari del 3% di tutti i comparti, quendi sempre lo stesso discorso che hanno fatto tutti i governi.
Cottarelli aveva trovato dove tagliare, ma ci sono molte resistenze.Io se fossi Cottarelli lo manderei ...........mi avete messo li per trovare le inefficenze e adesso non fate un tubo.
Ciao
Paolo11
Mentre La ministro dice questo, Renzi invece parla della scuola assunzione di 100.000 insegnanti nel 2015.
Dove trova i soldi?Insegnanti che andranno in pensione bignogna pagare le loro pensioni.
Intanto si parla di tagli lineari del 3% di tutti i comparti, quendi sempre lo stesso discorso che hanno fatto tutti i governi.
Cottarelli aveva trovato dove tagliare, ma ci sono molte resistenze.Io se fossi Cottarelli lo manderei ...........mi avete messo li per trovare le inefficenze e adesso non fate un tubo.
Ciao
Paolo11
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
alessandro.de.angelis@huffingtonpost.it
Il patto del Nazareno arriva a Csm e Consulta. Berlusconi e Renzi vicini su Massimo Brutti, vicepresidente condiviso
Pubblicato: 04/09/2014 17:23 CEST Aggiornato: 33 minuti fa BERLUSCONI RENZI
Un Nazareno sul Csm e sulla Consulta. Anzi sul Csm e sulla Consulta che saranno in carica durante la riforma della giustizia. La trattativa è in fase avanzata. Berlusconi ha già fatto sapere che il nome di Massimo Brutti come futuro vicepresidente non ha il suo veto. E comunque lo convince di più rispetto alla rosa esaminata nei giorni scorsi. Dove compariva il nome dell'ex guardasigilli Paola Severino e di Giovanni Fiandaca su cui però non c'era molto gradimento neanche del Pd.
Perché è vero che Brutti è “comunista” ma soprattutto è “garantista”, autonomo rispetto al partito dei giudici: “Perfetto per la pacificazione” dice uno dei pochi azzurri vicini al dossier. Semmai le perplessità riguardano Renzi. E non solo perché l’ex sottosegretario era vicino a Massimo D’Alema ma soprattutto perché non rappresenterebbe quei criteri di “novità” considerati necessari a palazzo Chigi.
Sia come sia la notizia è che c’è una rosa per il Csm. Ed è condivisa. Con Renzi e Berlusconi che, come accaduto sulle riforme costituzionali, direttamente o per via degli ambasciatori – Letta e Verdini da un lato, Lotti dall’altro – esprimono il gradimento, indicano nomi, ne depennano altri. Nomi di sinistra “graditi” al centrodestra. E nomi di centrodestra “graditi” al Pd di Renzi. È così che si è arrivati anche all’indicazione dei due nomi della Consulta.
Antonio Catricalà in quota Gianni Letta, considerato più digeribile per il Pd di Donato Bruno. E Luciano Violante su cui, alla sua terza volta, sarebbe caduto il veto di Silvio Berlusconi. Altro sdegnale di “pacificazione”.
E allora restano da comporre le ultime caselle del Csm. È il dossier più delicato. Più “politico”. E su cui l’ex premier ha raccolto le preoccupazioni di Ghedini. Perché il Csm avrà un potere enorme nei prossimi mesi. Non solo sarà in carica mentre il Parlamento discute di riforma della giustizia. Ma sarà chiamato a nominare la nuova tolda di comando di comando di parecchie procure. Già, perché con la norma che abbassa l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70, prevista nel decreto sulla PA vengono “decapitati” i vertici dei più importanti uffici giudiziari, come Milano, Venezia, Torino, Napoli e Roma. Per fare un esempio a Milano, nel luogo che Berlusconi considera più ostile, andranno in pensione Edmondo Bruti Liberati, il presidente Livia Pomodoro, il presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio e il pg Manlio Minale.
http://www.huffingtonpost.it/2014/09/04 ... _ref=italy
Il patto del Nazareno arriva a Csm e Consulta. Berlusconi e Renzi vicini su Massimo Brutti, vicepresidente condiviso
Pubblicato: 04/09/2014 17:23 CEST Aggiornato: 33 minuti fa BERLUSCONI RENZI
Un Nazareno sul Csm e sulla Consulta. Anzi sul Csm e sulla Consulta che saranno in carica durante la riforma della giustizia. La trattativa è in fase avanzata. Berlusconi ha già fatto sapere che il nome di Massimo Brutti come futuro vicepresidente non ha il suo veto. E comunque lo convince di più rispetto alla rosa esaminata nei giorni scorsi. Dove compariva il nome dell'ex guardasigilli Paola Severino e di Giovanni Fiandaca su cui però non c'era molto gradimento neanche del Pd.
Perché è vero che Brutti è “comunista” ma soprattutto è “garantista”, autonomo rispetto al partito dei giudici: “Perfetto per la pacificazione” dice uno dei pochi azzurri vicini al dossier. Semmai le perplessità riguardano Renzi. E non solo perché l’ex sottosegretario era vicino a Massimo D’Alema ma soprattutto perché non rappresenterebbe quei criteri di “novità” considerati necessari a palazzo Chigi.
Sia come sia la notizia è che c’è una rosa per il Csm. Ed è condivisa. Con Renzi e Berlusconi che, come accaduto sulle riforme costituzionali, direttamente o per via degli ambasciatori – Letta e Verdini da un lato, Lotti dall’altro – esprimono il gradimento, indicano nomi, ne depennano altri. Nomi di sinistra “graditi” al centrodestra. E nomi di centrodestra “graditi” al Pd di Renzi. È così che si è arrivati anche all’indicazione dei due nomi della Consulta.
Antonio Catricalà in quota Gianni Letta, considerato più digeribile per il Pd di Donato Bruno. E Luciano Violante su cui, alla sua terza volta, sarebbe caduto il veto di Silvio Berlusconi. Altro sdegnale di “pacificazione”.
E allora restano da comporre le ultime caselle del Csm. È il dossier più delicato. Più “politico”. E su cui l’ex premier ha raccolto le preoccupazioni di Ghedini. Perché il Csm avrà un potere enorme nei prossimi mesi. Non solo sarà in carica mentre il Parlamento discute di riforma della giustizia. Ma sarà chiamato a nominare la nuova tolda di comando di comando di parecchie procure. Già, perché con la norma che abbassa l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70, prevista nel decreto sulla PA vengono “decapitati” i vertici dei più importanti uffici giudiziari, come Milano, Venezia, Torino, Napoli e Roma. Per fare un esempio a Milano, nel luogo che Berlusconi considera più ostile, andranno in pensione Edmondo Bruti Liberati, il presidente Livia Pomodoro, il presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio e il pg Manlio Minale.
http://www.huffingtonpost.it/2014/09/04 ... _ref=italy
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
4 SET 2014 15:56
1. L’AUTUNNO CALDO SCIOGLIERÀ IL GELATO DI RENZI? PER SCOPRIRLO BASTA VEDERE COME IL PREMIER GIOCHERÀ LA PARTITA CHE CONTA DAVVERO: LA RIFORMA DEL LAVORO -
2. I CAPITALI STRANIERI E I GRANDI FONDI SPECULATIVI VORREBBERO UNA LEGGE SUL LAVORO E UNA SPENDING REVIEW FATTA “ALLA SPAGNOLA” (ESEMPIO, VIA LA 13ESIMA AGLI STATALI) -
3. SE RENZI NON FA LA RIFORMA DEL LAVORO ‘’ALLA SPAGNOLA’’ SI SCATENEREBBE LA SPECULAZIONE SUL NOSTRO PAESE E IL PREMIER SAREBBE TENTATO DI ANDARE A NUOVE ELEZIONI A TAMBUR BATTENTE. GLI ULTIMI SONDAGGI LO DANNO ANCORA MOLTO FORTE AL 36,5% -
4. PECCATO CHE SULLA STRADA DELLE ELEZIONI ANTICIPATE, OLTRE ALL’OSTACOLO DI NAPOLITANO, RENZI SI TROVEREBBE DI FRONTE A UN BERLUSCONI CHE ATTENDE UN PRONUNCIAMENTO DI STRASBURGO PER RECUPERARE I PROPRI DIRITTI POLITICI PER CANDIDARSI -
5. DOPO LA VISITA IN GINOCCHIO IN UMBRIA DA DRAGHI, RENZI ZERBINATO CON COTTARELLI -
6. “LA REPUBBLICA” MENO RENZIANA: TUTTA COLPA DEL “PATTO” MARCHIONNE-RENZI-“STAMPA” -
DAGOREPORT
L’autunno caldo scioglierà il gelato di Renzie? Per scoprirlo bisognerà aspettare di vedere come il premier giocherà le proprie carte sulla vera partita che conta, ossia la riforma del lavoro. E’ su questa riforma che si concentrerà il giudizio dei capitali stranieri e dei grandi fondi speculativi, ovvero di chi con pochi colpi di mouse può decidere l’impennata dello spread italiano sui titoli tedeschi e non solo.
Se Renzie vuole farsi del male ha due strade davanti a sé. La prima è quella, in parte già annunciata, di avviare la discussione sul Jobs Act di Giuliano Poletti e di portare poi a casa per fine anno una serie di leggi delega.
La seconda è di preparare una riforma nuova di zecca, discuterla in qualche misura con i sindacati, arrivare a un compromesso finale e poi procedere con i soliti disegni di legge buoni per le conferenza stampa con slide. In entrambi i casi i fondi esteri azzannerebbero l’Italia.
La strada maestra per evitare “scherzi” è invece quella di presentare entro il mese di ottobre una riforma completa e di affidarla a un decreto legge. E la riforma che ci chiedono gli investitori esteri è una sola: quella spagnola. In Spagna la disoccupazione non si è ridotta, in compenso è aumentata di molto la flessibilità del mercato del lavoro ed è calato il costo del lavoro.
A voler riassumere per sommi capi la riforma spagnola della primavera 2012, si può cominciare con il ricordare che ha dato maggior peso ai contratti aziendali, con la possibilità di derogare ai contratti collettivi anche per quanto riguarda i salari e gli orari di lavoro.
Sul fronte dei licenziamenti, poi, è stata introdotta la possibilità di lasciare a casa i lavoratori dopo tre trimestri consecutivi di calo dei ricavi, sono state eliminate una serie di autorizzazioni amministrative e sono stati ridimensionati i casi in cui un licenziamento può essere impugnato in tribunale.
Sono inoltre stati concessi incentivi e rimborsi fiscali alle piccole imprese che fanno assunzioni a tempo pieno e indeterminato e che nei sei mesi precedenti non abbiano ricorso a licenziamenti. Infine sono stati bloccati a due anni al massimo i contratti a tempo determinato.
L’Ocse ha dato un giudizio molto favorevole alla riforma del governo di Rajoy e lo stesso hanno fatto i mercati. Non stupisce quindi che a noi venga chiesto di fare lo stesso. Il pallino è nelle mani di Renzi. Deve solo trovare il coraggio di procedere con mano ferma e rapida.
Gli stessi fondi speculativi hanno fatto arrivare a Renzie il messaggio secondo il quale vorrebbero anche una Spending review fatta “alla spagnola”. Per dirne una, Rajoy non ha esitato a congelare le tredicesime ai dipendenti pubblici. E proprio a proposito di Spending review va raccontato che a fine luglio Pittibimbo ha convocato Lurch Cottarelli, al quale non aveva risparmiato critiche pubbliche, per chiedergli in qualche modo scusa.
Cottarelli a ottobre tornerà al Fondo Monetario e il suo giudizio sui nostri conti sarà importante. Inutile averlo come nemico. Dall’incontro, Renzie e Cottarelli sono usciti con l’impegno a coordinare meglio ogni dichiarazione pubblica sui tagli di spesa.
Il comportamento conciliante tenuto con Cottarelli dimostra che Renzie, spesso accusato di fare lo spaccone, sa quand’è il momento di rientrare nei ranghi. L’esempio più fulgido di questo doppio registro resta la visita privata a Mario Draghi nella sua casa di campagna in Umbria.
Ma che cosa succederebbe se Renzie non facesse la riforma del lavoro nei tempi e nei modi che gli vengono suggeriti dalla finanza internazionale? Si aprirebbe uno scenario impazzito in cui si scatenerebbe la speculazione sul nostro Paese e il premier potrebbe essere tentato di andare a nuove elezioni a tambur battente. Anche perché gli ultimi sondaggi della Ghisleri, in mano anche al Cavaliere, lo danno ancora molto forte al 36,5%.
Peccato che sulla strada delle elezioni anticipate, oltre all’ostacolo di Giorgio Napolitano, Renzi si troverebbe di fronte a un Berlusconi che invece vuole aspettare un pronunciamento di Strasburgo per recuperare la propria candidabilità. Insomma, Renzie si troverebbe in un vicolo cieco.
Neppure aiuterebbe a uscire dall’impasse il sogno di giocare la carta Mario Draghi per Palazzo Chigi. Il banchiere italiano fu consigliato a frau Merkel da Josef Ackermann, ex boss di Deutsche Bank, e Angelona vuole che rimanga nell’Eurotower sino alla fine del suo mandato. Che è un mandato tedesco e del Nord travestito da italiano del Sud Europa.
In attesa di vedere se il gelataio di Palazzo Chigi sopravviverà al suo autunno caldo, restano poche curiosità da quello che un tempo era il mondo dei poteri forti all’italiana. Adesso che possono essere rastrellati con quattro soldi alla Borsa di Milano, i poteri marci si gingillano con i giornali e ogni tanto tirano qualche calcetto a Renzi, reo di non considerarli.
Non così la “Stampa” di Torino, dove ci si attiene rigorosamente a una linea di pieno sostegno a Renzi, voluta personalmente da Sergio Marchionne. Carletto De Benedetti è venuto a sapere del “patto” Marchionne-Renzi e se l’è presa a male. Il risultato è che la sua “Repubblica” è molto meno renziana di un tempo. Ma davvero, sono inezie che poco spostano.
1. L’AUTUNNO CALDO SCIOGLIERÀ IL GELATO DI RENZI? PER SCOPRIRLO BASTA VEDERE COME IL PREMIER GIOCHERÀ LA PARTITA CHE CONTA DAVVERO: LA RIFORMA DEL LAVORO -
2. I CAPITALI STRANIERI E I GRANDI FONDI SPECULATIVI VORREBBERO UNA LEGGE SUL LAVORO E UNA SPENDING REVIEW FATTA “ALLA SPAGNOLA” (ESEMPIO, VIA LA 13ESIMA AGLI STATALI) -
3. SE RENZI NON FA LA RIFORMA DEL LAVORO ‘’ALLA SPAGNOLA’’ SI SCATENEREBBE LA SPECULAZIONE SUL NOSTRO PAESE E IL PREMIER SAREBBE TENTATO DI ANDARE A NUOVE ELEZIONI A TAMBUR BATTENTE. GLI ULTIMI SONDAGGI LO DANNO ANCORA MOLTO FORTE AL 36,5% -
4. PECCATO CHE SULLA STRADA DELLE ELEZIONI ANTICIPATE, OLTRE ALL’OSTACOLO DI NAPOLITANO, RENZI SI TROVEREBBE DI FRONTE A UN BERLUSCONI CHE ATTENDE UN PRONUNCIAMENTO DI STRASBURGO PER RECUPERARE I PROPRI DIRITTI POLITICI PER CANDIDARSI -
5. DOPO LA VISITA IN GINOCCHIO IN UMBRIA DA DRAGHI, RENZI ZERBINATO CON COTTARELLI -
6. “LA REPUBBLICA” MENO RENZIANA: TUTTA COLPA DEL “PATTO” MARCHIONNE-RENZI-“STAMPA” -
DAGOREPORT
L’autunno caldo scioglierà il gelato di Renzie? Per scoprirlo bisognerà aspettare di vedere come il premier giocherà le proprie carte sulla vera partita che conta, ossia la riforma del lavoro. E’ su questa riforma che si concentrerà il giudizio dei capitali stranieri e dei grandi fondi speculativi, ovvero di chi con pochi colpi di mouse può decidere l’impennata dello spread italiano sui titoli tedeschi e non solo.
Se Renzie vuole farsi del male ha due strade davanti a sé. La prima è quella, in parte già annunciata, di avviare la discussione sul Jobs Act di Giuliano Poletti e di portare poi a casa per fine anno una serie di leggi delega.
La seconda è di preparare una riforma nuova di zecca, discuterla in qualche misura con i sindacati, arrivare a un compromesso finale e poi procedere con i soliti disegni di legge buoni per le conferenza stampa con slide. In entrambi i casi i fondi esteri azzannerebbero l’Italia.
La strada maestra per evitare “scherzi” è invece quella di presentare entro il mese di ottobre una riforma completa e di affidarla a un decreto legge. E la riforma che ci chiedono gli investitori esteri è una sola: quella spagnola. In Spagna la disoccupazione non si è ridotta, in compenso è aumentata di molto la flessibilità del mercato del lavoro ed è calato il costo del lavoro.
A voler riassumere per sommi capi la riforma spagnola della primavera 2012, si può cominciare con il ricordare che ha dato maggior peso ai contratti aziendali, con la possibilità di derogare ai contratti collettivi anche per quanto riguarda i salari e gli orari di lavoro.
Sul fronte dei licenziamenti, poi, è stata introdotta la possibilità di lasciare a casa i lavoratori dopo tre trimestri consecutivi di calo dei ricavi, sono state eliminate una serie di autorizzazioni amministrative e sono stati ridimensionati i casi in cui un licenziamento può essere impugnato in tribunale.
Sono inoltre stati concessi incentivi e rimborsi fiscali alle piccole imprese che fanno assunzioni a tempo pieno e indeterminato e che nei sei mesi precedenti non abbiano ricorso a licenziamenti. Infine sono stati bloccati a due anni al massimo i contratti a tempo determinato.
L’Ocse ha dato un giudizio molto favorevole alla riforma del governo di Rajoy e lo stesso hanno fatto i mercati. Non stupisce quindi che a noi venga chiesto di fare lo stesso. Il pallino è nelle mani di Renzi. Deve solo trovare il coraggio di procedere con mano ferma e rapida.
Gli stessi fondi speculativi hanno fatto arrivare a Renzie il messaggio secondo il quale vorrebbero anche una Spending review fatta “alla spagnola”. Per dirne una, Rajoy non ha esitato a congelare le tredicesime ai dipendenti pubblici. E proprio a proposito di Spending review va raccontato che a fine luglio Pittibimbo ha convocato Lurch Cottarelli, al quale non aveva risparmiato critiche pubbliche, per chiedergli in qualche modo scusa.
Cottarelli a ottobre tornerà al Fondo Monetario e il suo giudizio sui nostri conti sarà importante. Inutile averlo come nemico. Dall’incontro, Renzie e Cottarelli sono usciti con l’impegno a coordinare meglio ogni dichiarazione pubblica sui tagli di spesa.
Il comportamento conciliante tenuto con Cottarelli dimostra che Renzie, spesso accusato di fare lo spaccone, sa quand’è il momento di rientrare nei ranghi. L’esempio più fulgido di questo doppio registro resta la visita privata a Mario Draghi nella sua casa di campagna in Umbria.
Ma che cosa succederebbe se Renzie non facesse la riforma del lavoro nei tempi e nei modi che gli vengono suggeriti dalla finanza internazionale? Si aprirebbe uno scenario impazzito in cui si scatenerebbe la speculazione sul nostro Paese e il premier potrebbe essere tentato di andare a nuove elezioni a tambur battente. Anche perché gli ultimi sondaggi della Ghisleri, in mano anche al Cavaliere, lo danno ancora molto forte al 36,5%.
Peccato che sulla strada delle elezioni anticipate, oltre all’ostacolo di Giorgio Napolitano, Renzi si troverebbe di fronte a un Berlusconi che invece vuole aspettare un pronunciamento di Strasburgo per recuperare la propria candidabilità. Insomma, Renzie si troverebbe in un vicolo cieco.
Neppure aiuterebbe a uscire dall’impasse il sogno di giocare la carta Mario Draghi per Palazzo Chigi. Il banchiere italiano fu consigliato a frau Merkel da Josef Ackermann, ex boss di Deutsche Bank, e Angelona vuole che rimanga nell’Eurotower sino alla fine del suo mandato. Che è un mandato tedesco e del Nord travestito da italiano del Sud Europa.
In attesa di vedere se il gelataio di Palazzo Chigi sopravviverà al suo autunno caldo, restano poche curiosità da quello che un tempo era il mondo dei poteri forti all’italiana. Adesso che possono essere rastrellati con quattro soldi alla Borsa di Milano, i poteri marci si gingillano con i giornali e ogni tanto tirano qualche calcetto a Renzi, reo di non considerarli.
Non così la “Stampa” di Torino, dove ci si attiene rigorosamente a una linea di pieno sostegno a Renzi, voluta personalmente da Sergio Marchionne. Carletto De Benedetti è venuto a sapere del “patto” Marchionne-Renzi e se l’è presa a male. Il risultato è che la sua “Repubblica” è molto meno renziana di un tempo. Ma davvero, sono inezie che poco spostano.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
https://www.youtube.com/watch?v=4K1q9Ntcr5g
il Fatto 5.9.14
La rapina del secolo
Agli statali sottratti 20 miliardi in 5 anni
di Marco Palombi
Qualche giorno fa avevamo scritto che il governo Renzi sembra il Letta bis. L’unica vera notizia uscita finora su come sarà la meravigliosa spending review prossima ventura ci dice che questo esecutivo è in realtà pure il Monti tris e il Berlusconi quater (aveva dichiarato 2 giorni fa in un video stile "banana". davanti anoi abbiamo giorni meravigliosi-ndt): i contratti dei dipendenti dello Stato, fermi al rinnovo 2008-2009, saranno bloccati anche l’anno prossimo e senza alcuna indennità di “vacanza contrattuale” (lo aveva già deciso fino al 2018 un previdente Enrico Letta). Renzi, insomma, è in perfetta continuità con le politiche di austerità o più correttamente di contrazione della domanda interna imposte dall’Unione europea ai paesi periferici.
NON SOLO, si potrebbe dire che questo è davvero il primo atto del “Jobs act” come lo intendono a Bruxelles e Francoforte: sotto le formule complicate tipo “riallineamento dei salari alla produttività”, c’è infatti un taglio degli stipendi, esattamente quello che i dipendenti del pubblico impiego subiscono dall’anno 2010.
Non sono spiccioli: lo dimostrano alcuni facili calcoli fatti dall’Unione sindacale di base (Usb) sui numeri dell’Aran (l’agenzia, attualmente inattiva, che si occupa di contratti pubblici) e dell’Istat. Eccoli. Se si prendono gli stipendi tabellari medi (al netto, cioè, di straordinari e eventuali premi di risultato) dei dipendenti dei principali settori dello Stato si scopre che un astratto “travet-massa” guadagna 21.405 euro lordi l’anno. Secondo i dati Istat, poi, la variazione media annua dell’indice Ipca (il livello dei prezzi, simile al tasso di inflazione, su cui si calcolano gli aumenti degli stipendi pubblici) tra il 2009 e il 2014 è stato all’ingrosso dell’1,9%. Il danno inflitto agli statali è dunque facilmente calcolabile: chi guadagnava 21.405 euro nel 2009 oggi solo per recuperare l’inflazione e cioè il potere d’acquisto avrebbe dovuto portare a casa 23.510 euro circa. Tradotto: il blocco degli stipendi ha causato un danno da 2.110 euro allo stipendio medio a fine 2014 (ovviamente, l’anno prossimo sarà ancora peggio).
CALCOLANDO gli aumenti non percepiti anno per anno, invece, il conto fa 6.250 euro a testa in cinque anni. Finita? Macché. Spiega Luigi Romagnoli (Usb Pubblico Impiego): “Queste perdite sono irreversibili ed andranno sommate nel tempo fino alla pensione del singolo lavoratore, arrivando a sfiorare i 30.000 euro nel caso l’uscita dal lavoro dovesse avvenire per esempio nel 2024. E i nostri calcoli sono basati sul blocco dei contratti fino al 2014”. Moltiplicando i dati singoli per i 3,2 milioni
di lavoratori pubblici complessivi il monte complessivo dei mancati guadagni ammonta a circa venti miliardi totali. Come si sa, il calvario non è finito visto che il governo dopo averlo smentito in ogni modo ha annunciato che il congela-
mento dei contratti continuerà anche l’anno prossimo “perché non ci sono risorse per i rinnovi”. Un voltafaccia che da ieri sera è tecnicamente corretto definire dilettantesco e patetico. Quando ad aprile, infatti, i giornali scrissero che gli stipendi pubblici sarebbero stati bloccati anche per i prossimi anni perché così era scritto nel Documento di economia e finanza, il governo smentì sdegnato con apposita nota del sottosegretario Angelo Rughetti alla Funzione pubblica, Pd di rito renziano: il Def si scrive a legislazione vigente e quindi non può contenere il rinnovo dei contratti, quello sarà definito nella Finanziaria.
Ieri sera, però, un’apposita velina di palazzo Chigi ha smentito la smentita: “Il blocco degli stipendi pubblici era già nel Def, non c’è niente di nuovo”. Allora, se è vero, tutti dovrebbero sapere che nel Def è previsto il blocco totale fino al 2018, anno in cui vengono stanziati i soldi per la sola indennità di vacanza contrattuale fino al 2020. In una tabella a pagina 31 è quantificato pure il risparmio: altri 21 miliardi e dispari totali nel quadriennio 2015-2018 (circa due e mezzo l’anno). Il governo, come si sa, s’è impegnato a tagliare 20 miliardi di spesa pubblica strutturale nel 2015 e 32 l’anno dopo: sarà ormai chiaro a tutti che chi non siede al tavolo, è sul menù.
SECONDO il ministro Madia, però, uno statale che con straordinari e tutto il resto guadagna 26mila euro l’anno è ricco, quindi deve pagare un po’ perché il momento è difficile: “#bloccocontratti 80 euro a 1 lavoratore pubblico su 4. Prima chi guadagna meno. Usciamo tutti insieme da crisi #passodopopasso”, ha scritto su Twitter. Il bonus Irpef, alla fine, è l’alfa e l’omega della visione di questo governo: “Noi ha spiegato Madia alla Festa del Pd siamo trasversali ai blocchi sociali ed elettorali tradizionali. L’alleanza è sulle persone. Non sono qui a difendere solo i lavoratori pubblici, sono qui a difendere i lavoratori della Repubblica Italiana”. Vabbè.
il Fatto 5.9.14
La rapina del secolo
Agli statali sottratti 20 miliardi in 5 anni
di Marco Palombi
Qualche giorno fa avevamo scritto che il governo Renzi sembra il Letta bis. L’unica vera notizia uscita finora su come sarà la meravigliosa spending review prossima ventura ci dice che questo esecutivo è in realtà pure il Monti tris e il Berlusconi quater (aveva dichiarato 2 giorni fa in un video stile "banana". davanti anoi abbiamo giorni meravigliosi-ndt): i contratti dei dipendenti dello Stato, fermi al rinnovo 2008-2009, saranno bloccati anche l’anno prossimo e senza alcuna indennità di “vacanza contrattuale” (lo aveva già deciso fino al 2018 un previdente Enrico Letta). Renzi, insomma, è in perfetta continuità con le politiche di austerità o più correttamente di contrazione della domanda interna imposte dall’Unione europea ai paesi periferici.
NON SOLO, si potrebbe dire che questo è davvero il primo atto del “Jobs act” come lo intendono a Bruxelles e Francoforte: sotto le formule complicate tipo “riallineamento dei salari alla produttività”, c’è infatti un taglio degli stipendi, esattamente quello che i dipendenti del pubblico impiego subiscono dall’anno 2010.
Non sono spiccioli: lo dimostrano alcuni facili calcoli fatti dall’Unione sindacale di base (Usb) sui numeri dell’Aran (l’agenzia, attualmente inattiva, che si occupa di contratti pubblici) e dell’Istat. Eccoli. Se si prendono gli stipendi tabellari medi (al netto, cioè, di straordinari e eventuali premi di risultato) dei dipendenti dei principali settori dello Stato si scopre che un astratto “travet-massa” guadagna 21.405 euro lordi l’anno. Secondo i dati Istat, poi, la variazione media annua dell’indice Ipca (il livello dei prezzi, simile al tasso di inflazione, su cui si calcolano gli aumenti degli stipendi pubblici) tra il 2009 e il 2014 è stato all’ingrosso dell’1,9%. Il danno inflitto agli statali è dunque facilmente calcolabile: chi guadagnava 21.405 euro nel 2009 oggi solo per recuperare l’inflazione e cioè il potere d’acquisto avrebbe dovuto portare a casa 23.510 euro circa. Tradotto: il blocco degli stipendi ha causato un danno da 2.110 euro allo stipendio medio a fine 2014 (ovviamente, l’anno prossimo sarà ancora peggio).
CALCOLANDO gli aumenti non percepiti anno per anno, invece, il conto fa 6.250 euro a testa in cinque anni. Finita? Macché. Spiega Luigi Romagnoli (Usb Pubblico Impiego): “Queste perdite sono irreversibili ed andranno sommate nel tempo fino alla pensione del singolo lavoratore, arrivando a sfiorare i 30.000 euro nel caso l’uscita dal lavoro dovesse avvenire per esempio nel 2024. E i nostri calcoli sono basati sul blocco dei contratti fino al 2014”. Moltiplicando i dati singoli per i 3,2 milioni
di lavoratori pubblici complessivi il monte complessivo dei mancati guadagni ammonta a circa venti miliardi totali. Come si sa, il calvario non è finito visto che il governo dopo averlo smentito in ogni modo ha annunciato che il congela-
mento dei contratti continuerà anche l’anno prossimo “perché non ci sono risorse per i rinnovi”. Un voltafaccia che da ieri sera è tecnicamente corretto definire dilettantesco e patetico. Quando ad aprile, infatti, i giornali scrissero che gli stipendi pubblici sarebbero stati bloccati anche per i prossimi anni perché così era scritto nel Documento di economia e finanza, il governo smentì sdegnato con apposita nota del sottosegretario Angelo Rughetti alla Funzione pubblica, Pd di rito renziano: il Def si scrive a legislazione vigente e quindi non può contenere il rinnovo dei contratti, quello sarà definito nella Finanziaria.
Ieri sera, però, un’apposita velina di palazzo Chigi ha smentito la smentita: “Il blocco degli stipendi pubblici era già nel Def, non c’è niente di nuovo”. Allora, se è vero, tutti dovrebbero sapere che nel Def è previsto il blocco totale fino al 2018, anno in cui vengono stanziati i soldi per la sola indennità di vacanza contrattuale fino al 2020. In una tabella a pagina 31 è quantificato pure il risparmio: altri 21 miliardi e dispari totali nel quadriennio 2015-2018 (circa due e mezzo l’anno). Il governo, come si sa, s’è impegnato a tagliare 20 miliardi di spesa pubblica strutturale nel 2015 e 32 l’anno dopo: sarà ormai chiaro a tutti che chi non siede al tavolo, è sul menù.
SECONDO il ministro Madia, però, uno statale che con straordinari e tutto il resto guadagna 26mila euro l’anno è ricco, quindi deve pagare un po’ perché il momento è difficile: “#bloccocontratti 80 euro a 1 lavoratore pubblico su 4. Prima chi guadagna meno. Usciamo tutti insieme da crisi #passodopopasso”, ha scritto su Twitter. Il bonus Irpef, alla fine, è l’alfa e l’omega della visione di questo governo: “Noi ha spiegato Madia alla Festa del Pd siamo trasversali ai blocchi sociali ed elettorali tradizionali. L’alleanza è sulle persone. Non sono qui a difendere solo i lavoratori pubblici, sono qui a difendere i lavoratori della Repubblica Italiana”. Vabbè.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Le cose importanti di Pittibimbo - 1
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
da ciwati
Scrive oggi Mario Ajello su Il Messaggero che il secondo capitolo del patto del Nazareno deve ancora essere scritto.
Si tratta quindi di un feuilleton, di un romanzo a puntate (con la differenza che questo viene solo scritto ma non pubblicato).
Il secondo capitolo – pare – riguarderà la giustizia, sarà insomma proprio quello che – come dicevo giusto un mese fa in un’intervista a Repubblica – non doveva proprio essere scritto.
Sulla giustizia, infatti, il centrodestra (un pezzo del quale è nel governo, anche con chi fu il ministro della giustizia di Berlusconi) ha sempre avuto idee molto diverse dal centrosinistra: dalla prescrizione alla separazione delle carriere, dalle intercettazioni alla responsabilità civile dei magistrati, dal falso in bilancio all’autoriciclaggio (sul quale – come sapete – sono stato particolarmente impegnato, per ora, com tutti, inutilmente) e così andando.
Ecco per questo avevo detto – chiaramente e semplicemente – che «sulla giustizia il patto del Nazareno non è riproponibile».
Oggi leggo esattamente il contrario. Il patto del Nazareno avrebbe, appunto, un bis, un secondo capitolo, proprio su questi argomenti, perché Berlusconi ha già fatto sapere che lui il falso in bilancio, per fare un esempio, non lo vuole. Spero si tratti di una mera ipotesi che non troverà alcun riscontro. Spero. Anche se i precedenti non mi rincuorano.
P.S.: pare che una sezione di questo secondo capitolo sarebbe dedicata alle nomine alla Corte costituzionale e al Csm, sulle quali sono intervenuti negli ultimi giorni il presidente della Repubblica e la presidente della Camera per sollecitarne una definizione. Essendo, come deputato, tra coloro che hanno il compito di eleggere chi andrà a ricoprire queste cariche, chiedo da tempo che facciamo delle scelte chiare e trasparenti, ponendo fine alla assurda sequela delle votazioni a vuoto. Però – come scrivevo anche ieri – prima di scegliere chi votare credo sia necessario che ne discutiamo. Nel partito e nel gruppo parlamentare, per confrontarci poi anche con gli altri. Sarebbe molto difficile – oltre che in contrasto con le previsioni costituzionali – votare persone i cui nomi venissero semplicemente comunicati a noi elettori dopo la scrittura del secondo capitolo del Romanzo Nazareno.
P.S./2: Berlusconi dice che ormai Verdini fa il vice-premier di fatto. Sono cose che fanno piacere.
Scrive oggi Mario Ajello su Il Messaggero che il secondo capitolo del patto del Nazareno deve ancora essere scritto.
Si tratta quindi di un feuilleton, di un romanzo a puntate (con la differenza che questo viene solo scritto ma non pubblicato).
Il secondo capitolo – pare – riguarderà la giustizia, sarà insomma proprio quello che – come dicevo giusto un mese fa in un’intervista a Repubblica – non doveva proprio essere scritto.
Sulla giustizia, infatti, il centrodestra (un pezzo del quale è nel governo, anche con chi fu il ministro della giustizia di Berlusconi) ha sempre avuto idee molto diverse dal centrosinistra: dalla prescrizione alla separazione delle carriere, dalle intercettazioni alla responsabilità civile dei magistrati, dal falso in bilancio all’autoriciclaggio (sul quale – come sapete – sono stato particolarmente impegnato, per ora, com tutti, inutilmente) e così andando.
Ecco per questo avevo detto – chiaramente e semplicemente – che «sulla giustizia il patto del Nazareno non è riproponibile».
Oggi leggo esattamente il contrario. Il patto del Nazareno avrebbe, appunto, un bis, un secondo capitolo, proprio su questi argomenti, perché Berlusconi ha già fatto sapere che lui il falso in bilancio, per fare un esempio, non lo vuole. Spero si tratti di una mera ipotesi che non troverà alcun riscontro. Spero. Anche se i precedenti non mi rincuorano.
P.S.: pare che una sezione di questo secondo capitolo sarebbe dedicata alle nomine alla Corte costituzionale e al Csm, sulle quali sono intervenuti negli ultimi giorni il presidente della Repubblica e la presidente della Camera per sollecitarne una definizione. Essendo, come deputato, tra coloro che hanno il compito di eleggere chi andrà a ricoprire queste cariche, chiedo da tempo che facciamo delle scelte chiare e trasparenti, ponendo fine alla assurda sequela delle votazioni a vuoto. Però – come scrivevo anche ieri – prima di scegliere chi votare credo sia necessario che ne discutiamo. Nel partito e nel gruppo parlamentare, per confrontarci poi anche con gli altri. Sarebbe molto difficile – oltre che in contrasto con le previsioni costituzionali – votare persone i cui nomi venissero semplicemente comunicati a noi elettori dopo la scrittura del secondo capitolo del Romanzo Nazareno.
P.S./2: Berlusconi dice che ormai Verdini fa il vice-premier di fatto. Sono cose che fanno piacere.
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