Il "nuovo" governo Renzi
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
il Fatto 8.9.14
Renzi si blinda: no ai “tecnici” e ai veti del Pd
di Wanda Marra
Bologna “Sia chiaro che se qualcuno vuole la rivincita deve aspettare il novembre 2017, ma se vuole lavorare lo può fare da domani”. È un crescendo il comizio di chiusura della Festa dell’Unità di Bologna di Matteo Renzi, i toni diventano più duri via via che il discorso s’infiamma. E alla fine, ecco l’avvertimento: il Pd sono io, il sottotitolo. E non c’è spazio per dissenso o battaglie intestine. Tutti avvertiti. Gli stessi leader ringraziati all’inizio, gli ex segretari, Franceschini, Veltroni, Epifani. E Bersani, lui “sa perché”: “Ci ha fatto prendere un bel coccolone l’anno scorso”.
È ABILE RENZI a creare un clima di apparente inclusione, a usare parole “dolci” per gli avversari, che in questi giorni l’hanno ripetutamente attaccato. Anche per Cuperlo e Civati. Ma intanto, sul palco c’è lui da solo. I dirigenti dem, renziani o no, sono tutti ad ascoltarlo da sotto. Gli stessi Bersani, Cuperlo ed Epifani, il presidente del partito Orfini, i ministri (la Mogherini, la Madia, la Boschi, anche Poletti), i vicesegretari Guerini e Serracchiani. Non c’è D’Alema, ma c’è anche Vasco Errani, che “ha messo la sua dignità come elemento non in discussione facendo un passo indietro che non era tenuto a fare. Gli rinnovo la mia stima incommensurabile”, scandisce Renzi. L’interessato si commuove, la platea gli dedica un tributo entusiasta. Sotto al palco ci sono anche Stefano Bonaccini e Matteo Richetti, gli sfidanti alle primarie per la presidenza della Regione, che si faranno il 28 settembre. “Stefano, Matteo e Roberto (Balzani, sindaco di Forlì, ndr) hanno combinato un bel casino”, dice lui. Nessuna soluzione dall’alto, nonostante le ripetute indiscrezioni in questo senso, sono la prima competizione veramente aperta dell’era renziana.
Sa come scaldare la platea dell’Emilia Romagna, la regione più rossa di tutte, Renzi. D’altra parte la giornata di ieri è tutto un lavoro sui simboli, è tutto un inglobare riti e tradizioni.
ARRIVA PRESTO alla Festa il segretario, alle 11,30 di mattina. Marca il territorio. Annuncia che la segreteria la farà venerdì. Sono in corso trattative. Come dirà dal palco, la pensa “unitaria”. A patto che non ci siano né veti, né rivincite. Poi un po’ scherzando: “Siglerò il patto del tortellino con i leader europei”. Lo scippo alla tradizione emilian-bersaniana è compiuto: era l’ex segretario, l’uomo del tortellino magico. Passerella per la Festa. Curiosità ed entusiasmo. “Mi ha stretto la mano, non me la lavo più”. A un certo punto una ragazza attraversa la folla: “I nostri figli adottati in Congo, quando arrivano? ”. Lui si ferma. Ascolta. Chiama Sandro Gozi e Lia Quartapelle e gli affida la pratica. Piglio da statista e costruzione del consenso. Prima tappa dai Giovani Democratici. Poi, pranzo al ristorante “da Bertoldo”. Con lui, oltre ad alcuni dirigenti del Pd, i leader europei. Achim Post (segretario del Partito socialdemocratico tedesco), Diederik Samsom (capo del Partito laburista olandese), Pedro Sanchez (nuova stella del Partito socialista spagnolo) e Manuel Valls, premier francese. Pranzo tradizionale: cappellini in brodo e grigliata di carne. Foto con i militanti. Brindisi. Poi, il primo palco, quello in cui tutti, da Valls a Sanchez, assicurano la loro condivisione della battaglia contro il rigore. Matteo introduce, ringrazia. Da padrone di casa presenta Valls come il nipote dell’autore dell’inno del Barcellona. Pare una via di mezzo tra il capo scout e l’aspirante leader di futuribili Stati Uniti d’Europa.
IL COMIZIO INIZIA verso le cinque e mezza. È il primo da segretario. Non ci sono folle oceaniche, non ci sono la curiosità e l’elettrizzazione dell’anno scorso a Genova o di due anni fa a Reggio Emilia. Folla composta, più che altro speranzosa. L’area è piena, ma c’è chi si aspettava di più. Lui inizia con i ringraziamenti ai volontari, che sono 10mila “più degli anni precedenti”. Discorso a braccio come da copione, sull’importanza delle riforme costituzionali, la scuola e il valore del merito. Attacco ai Cinque Stelle per l’invito a trattare con l’Isis, difesa a spada tratta di “quel grande italiano” che è Giorgio Napolitano. Che però mentre lui parla è al cinema a Roma a vedere Arance e martello di Diego Bianchi. Nessun tema scomodo: né la legge di stabilità, né i provvedimenti sul lavoro. E neanche la questione dell’Unità come nota, deluso, il Cdr del giornale. Alla fine, di nuovo giro delle cucine: è il segretario del Pd adesso e adesso questa è la sua gente. “Non mollo di mezzo centimetro”, ha ribadito, come al solito. E il “popolo” gli serve.
La Stampa 8.9.14
“Merito e talento sono di sinistra”
Così il premier aggiorna i valori
Cade un altro tabù erede della tradizione cattolica e comunista che mette al centro l’uguaglianza
di Federico Geremicca
Citato a ripetizione da Manuel Valls e Pedro Sanchez, definito addirittura «la speranza» dell’Europa e della sinistra europea, Matteo Renzi - magari con sua stessa sorpresa - è ormai assurto a modello per la disastrata e litigiosa «grande famiglia» del socialismo europeo. Effetto, certo, del 40 e passa per cento raccolto alle elezioni del 25 maggio scorso, mentre le altre forze socialiste venivano surclassate da conservatori ed antieuropeisti: ma effetto anche dell’arrembante opera di demolizione e ricostruzione degli obiettivi, dei valori e perfino degli strumenti di una moderna forza di sinistra. Opera alla quale, dal palco della Festa di Bologna, ieri Renzi ha aggiunto un altro tassello.
I più giovani - e magari anche i meno giovani, dopo anni di sconfitte - avranno forse giudicato ovvia l’affermazione con la quale il segretario-presidente, parlando della riforma della scuola, ha sepolto un altro totem, un altro sacro feticcio del socialismo del secolo passato. «Il merito è di sinistra, la qualità è di sinistra, il talento è di sinistra - ha detto -. Io voglio stare dalla parte dell’eguaglianza, non dell’egualitarismo».
Per un partito, il Pd, che ha fuso e cerca di far convivere la cultura cattolica e quella di origine e tradizione comunista, l’affermazione rappresenta invece un piccolo terremoto all’interno di una gerarchia di valori che in testa a tutto - e prima di ogni altra cosa - metteva sempre la solidarietà e l’uguaglianza. Per molti versi, lo «strappo» ricorda quello operato qualche anno fa dai sindaci di sinistra di grandi città (Cofferati a Bologna e Veltroni a Roma, in testa a tutti) che di fronte al dilagare di violenze nei quartieri - spesso a opera di immigrati - affermarono che «la sicurezza (fino a quel punto storico cavallo di battaglia della destra, ndr) non è né di destra né di sinistra».
Tabù dietro tabù, insomma, Matteo Renzi sta cambiando (o cercando di cambiare) il bagaglio politico-culturale di una sinistra accusata da tempo e da più parti di esser rimasta prigioniera di un polveroso armamentario ideale e di valori che affonda le sue radici nel ’900. In realtà, il più giovane premier della storia repubblicana non dice, oggi, cose così diverse da quelle che aveva cominciato a predicare fin dal tempo delle prime primarie contro Bersani per la scelta del candidato premier: parole d’ordine e spinta innovativa evidentemente vincenti, se hanno reso possibili - e probabilmente addirittura determinato - prima la vittoria nella corsa alla segreteria e poi lo stupefacente 41% alle elezioni europee.
Molti ricorderanno, per esempio, la sorta di «processo popolare» cui Matteo Renzi fu sottoposto al tempo della sfida con Bersani con l’accusa di «parlare alla destra» e chiedere i voti di chi stava «dall’altra parte». «Io penso alle elezioni secondarie - si difendeva l’allora sindaco di Firenze - e vorrei ricordare che se non sottraiamo voti alla destra non vinceremo mai». Aveva evidentemente ragione: e il risultato delle elezioni europee, con il grande flusso di voti arrivati al Pd da ex elettori del centrodestra, è lì a dimostrarlo. Quei voti vanno conservati, insiste oggi Renzi: con proposte e politiche, evidentemente, che parlino anche agli elettori che hanno votato Pd per la prima volta.
È anche per questo che l’opera di rinnovamento politico-culturale non può fermarsi. «Nel 41% ottenuto alle europee - ha spiegato ieri Renzi - c’è il voto di tante gente che non viene dalla nostra storia e dalla nostra tradizione, ma che vuol condividere il futuro con noi». È il preannuncio, insomma, del tentativo di stabilizzare quel consenso con idee, suggestioni e perfino un linguaggio che tenga conto dei tanti «nuovi arrivati»: che magari non sono poi così convinti che il merito, la sicurezza dei cittadini, andare ad «Amici» o magari dar torto ogni tanto al sindacato siano, tout court, cose di destra.
E c’è un’altra sorta di mito che il premier-segretario ha preso a picconare con grande vigore: il fascino (consolatoria e talvolta deresponsabilizzante) storicamente esercitato dai «tecnici» sulla sinistra italiana. Tecnici, professoroni e convegnisti d’ogni sorta. «Veniamo da un’ubriacatura da tecnicismo - ha contestato Renzi - che ha fatto passare l’idea che la politica sia inutile. Ma la politica non è una parolaccia: e loro, i tecnici, in 20 anni non hanno saputo leggere sociologicamente e culturalmente Berlusconi e il berlusconismo».
Ce ne è a sufficienza per sostenere che, nella sua prima chiusura da segretario della Festa de l’Unità, Renzi abbia confermato quel che ancora ieri ha ripetuto: nell’opera di cambiar verso all’Italia non arretrerà, non mollerà di un centimetro. «Mettiamoci l’energia dei nostri nonni e la fantasia dei nostri giovani. E smettiamo di vivere il futuro come una minaccia». Una scommessa, una filosofia che - in mancanza di alternative - evidentemente convince e piace, se il consenso verso il premier cresce invece di diminuire, nonostante l’«annuncite» e il pantano in cui ancora si trova il Paese...
Corriere 8.9.14
Un centimetro e Mille Giorni
di Antonio Polito
Pochi primi ministri italiani hanno goduto delle eccezionali circostanze di cui si avvale Matteo Renzi. Più si addensano nubi minacciose sul nostro Paese, sulla sua economia, sulla sua solvibilità, e più la mongolfiera del consenso personale del leader vola in alto. Più gli economisti fanno fosche previsioni, dividendosi tra pessimisti e catastrofisti, e più gli italiani si affidano all’uomo che li chiama gufi, e che ai loro convegni preferisce i rubinettifici. La nostra situazione, un debito così alto con un’inflazione quasi a zero, è pesante e alla lunga insostenibile, ma Renzi rivendica la sostenibile leggerezza dell’essere e del mangiare gelati. In patria non ha alternative né oppositori; in Europa è pieno di imitatori, come la scena dei blues brothers socialisti, tutti in camicia bianca ieri sul palco di Bologna, ha plasticamente dimostrato; e l’apoteosi della Festa dell’Unità (pur senza Unità), derubrica a broncio i mugugni tardivi di un D’Alema.
Ma gli stessi italiani che nei sondaggi premiano Renzi perché gli riconoscono il piglio del vendicatore anti-establishment, del fustigatore dei privilegi e dei vecchi assetti di potere, si dichiarano scettici sulle misure che sta prendendo per l’economia, non ritenendole le mosse giuste. Matteo Renzi è insomma entrato a buon diritto nel cerchio magico dei leader al Teflon, quei politici fatti del materiale delle padelle cui non si attacca lo sporco: ciò non vuol dire che lo sporco non ci sia.
E in effetti finora, nei duecento giorni già passati, l’azione di governo non ha dato i frutti sperati, come lo stesso ministro Padoan ha di recente riconosciuto. Le due misure prescelte, il bonus di 80 euro e la riforma del Senato, comunque le si giudichi, di sicuro non hanno provocato lo choc di cui l’economia ha bisogno. Anzi, l’indice di fiducia delle famiglie, dopo una prima impennata, è da tre mesi in calo.
L’orizzonte è diventato quello dei mille giorni ma la sensazione è di incertezza sulla direzione di marcia. Per quanto il premier annunci che non cederà di un centimetro, non è chiaro da dove. C’è al Senato la madre di tutte le riforme, quella del mercato del lavoro, annunciata ormai da gennaio, che da sola potrebbe cambiare l’appetibilità del nostro Paese per gli investitori. Ma i segnali sono contraddittori, il linguaggio è prudente, non si vede la determinazione necessaria per liberarsi della giungla di rigidità del nostro Statuto dei lavoratori, e rendere finalmente più facile assumere, prima ancora che licenziare. Sulle privatizzazioni c’è stato un alt. Sulle municipalizzate c’è stato un vedremo. Sulla ristrutturazione della spesa c’è stato un faremo. Sulla pubblica amministrazione si alternano messaggi contrastanti, prima si promettono 150 mila precari assunti nella scuola, poi il blocco degli stipendi per tutti gli statali, poi lo sblocco per i soli statali in divisa. E anche quando si fa, come nel caso dello sblocca Italia, si fa così poco da rischiare un effetto boomerang sulle aspettative.
Questa sorta di limbo autorizza, soprattutto all’estero, il sospetto che in Italia ci sia ancora chi prende tempo, nella convinzione che prima o poi ci penserà la Banca centrale europea con un acquisto massiccio di titoli del debito pubblico, nella speranza di risparmiarsi così scelte troppo difficili e impopolari. Ma il guaio è che, come in un circolo vizioso, più questo sospetto si diffonde e meno Draghi avrà le mani libere, e più Renzi le mani legate.
Renzi si blinda: no ai “tecnici” e ai veti del Pd
di Wanda Marra
Bologna “Sia chiaro che se qualcuno vuole la rivincita deve aspettare il novembre 2017, ma se vuole lavorare lo può fare da domani”. È un crescendo il comizio di chiusura della Festa dell’Unità di Bologna di Matteo Renzi, i toni diventano più duri via via che il discorso s’infiamma. E alla fine, ecco l’avvertimento: il Pd sono io, il sottotitolo. E non c’è spazio per dissenso o battaglie intestine. Tutti avvertiti. Gli stessi leader ringraziati all’inizio, gli ex segretari, Franceschini, Veltroni, Epifani. E Bersani, lui “sa perché”: “Ci ha fatto prendere un bel coccolone l’anno scorso”.
È ABILE RENZI a creare un clima di apparente inclusione, a usare parole “dolci” per gli avversari, che in questi giorni l’hanno ripetutamente attaccato. Anche per Cuperlo e Civati. Ma intanto, sul palco c’è lui da solo. I dirigenti dem, renziani o no, sono tutti ad ascoltarlo da sotto. Gli stessi Bersani, Cuperlo ed Epifani, il presidente del partito Orfini, i ministri (la Mogherini, la Madia, la Boschi, anche Poletti), i vicesegretari Guerini e Serracchiani. Non c’è D’Alema, ma c’è anche Vasco Errani, che “ha messo la sua dignità come elemento non in discussione facendo un passo indietro che non era tenuto a fare. Gli rinnovo la mia stima incommensurabile”, scandisce Renzi. L’interessato si commuove, la platea gli dedica un tributo entusiasta. Sotto al palco ci sono anche Stefano Bonaccini e Matteo Richetti, gli sfidanti alle primarie per la presidenza della Regione, che si faranno il 28 settembre. “Stefano, Matteo e Roberto (Balzani, sindaco di Forlì, ndr) hanno combinato un bel casino”, dice lui. Nessuna soluzione dall’alto, nonostante le ripetute indiscrezioni in questo senso, sono la prima competizione veramente aperta dell’era renziana.
Sa come scaldare la platea dell’Emilia Romagna, la regione più rossa di tutte, Renzi. D’altra parte la giornata di ieri è tutto un lavoro sui simboli, è tutto un inglobare riti e tradizioni.
ARRIVA PRESTO alla Festa il segretario, alle 11,30 di mattina. Marca il territorio. Annuncia che la segreteria la farà venerdì. Sono in corso trattative. Come dirà dal palco, la pensa “unitaria”. A patto che non ci siano né veti, né rivincite. Poi un po’ scherzando: “Siglerò il patto del tortellino con i leader europei”. Lo scippo alla tradizione emilian-bersaniana è compiuto: era l’ex segretario, l’uomo del tortellino magico. Passerella per la Festa. Curiosità ed entusiasmo. “Mi ha stretto la mano, non me la lavo più”. A un certo punto una ragazza attraversa la folla: “I nostri figli adottati in Congo, quando arrivano? ”. Lui si ferma. Ascolta. Chiama Sandro Gozi e Lia Quartapelle e gli affida la pratica. Piglio da statista e costruzione del consenso. Prima tappa dai Giovani Democratici. Poi, pranzo al ristorante “da Bertoldo”. Con lui, oltre ad alcuni dirigenti del Pd, i leader europei. Achim Post (segretario del Partito socialdemocratico tedesco), Diederik Samsom (capo del Partito laburista olandese), Pedro Sanchez (nuova stella del Partito socialista spagnolo) e Manuel Valls, premier francese. Pranzo tradizionale: cappellini in brodo e grigliata di carne. Foto con i militanti. Brindisi. Poi, il primo palco, quello in cui tutti, da Valls a Sanchez, assicurano la loro condivisione della battaglia contro il rigore. Matteo introduce, ringrazia. Da padrone di casa presenta Valls come il nipote dell’autore dell’inno del Barcellona. Pare una via di mezzo tra il capo scout e l’aspirante leader di futuribili Stati Uniti d’Europa.
IL COMIZIO INIZIA verso le cinque e mezza. È il primo da segretario. Non ci sono folle oceaniche, non ci sono la curiosità e l’elettrizzazione dell’anno scorso a Genova o di due anni fa a Reggio Emilia. Folla composta, più che altro speranzosa. L’area è piena, ma c’è chi si aspettava di più. Lui inizia con i ringraziamenti ai volontari, che sono 10mila “più degli anni precedenti”. Discorso a braccio come da copione, sull’importanza delle riforme costituzionali, la scuola e il valore del merito. Attacco ai Cinque Stelle per l’invito a trattare con l’Isis, difesa a spada tratta di “quel grande italiano” che è Giorgio Napolitano. Che però mentre lui parla è al cinema a Roma a vedere Arance e martello di Diego Bianchi. Nessun tema scomodo: né la legge di stabilità, né i provvedimenti sul lavoro. E neanche la questione dell’Unità come nota, deluso, il Cdr del giornale. Alla fine, di nuovo giro delle cucine: è il segretario del Pd adesso e adesso questa è la sua gente. “Non mollo di mezzo centimetro”, ha ribadito, come al solito. E il “popolo” gli serve.
La Stampa 8.9.14
“Merito e talento sono di sinistra”
Così il premier aggiorna i valori
Cade un altro tabù erede della tradizione cattolica e comunista che mette al centro l’uguaglianza
di Federico Geremicca
Citato a ripetizione da Manuel Valls e Pedro Sanchez, definito addirittura «la speranza» dell’Europa e della sinistra europea, Matteo Renzi - magari con sua stessa sorpresa - è ormai assurto a modello per la disastrata e litigiosa «grande famiglia» del socialismo europeo. Effetto, certo, del 40 e passa per cento raccolto alle elezioni del 25 maggio scorso, mentre le altre forze socialiste venivano surclassate da conservatori ed antieuropeisti: ma effetto anche dell’arrembante opera di demolizione e ricostruzione degli obiettivi, dei valori e perfino degli strumenti di una moderna forza di sinistra. Opera alla quale, dal palco della Festa di Bologna, ieri Renzi ha aggiunto un altro tassello.
I più giovani - e magari anche i meno giovani, dopo anni di sconfitte - avranno forse giudicato ovvia l’affermazione con la quale il segretario-presidente, parlando della riforma della scuola, ha sepolto un altro totem, un altro sacro feticcio del socialismo del secolo passato. «Il merito è di sinistra, la qualità è di sinistra, il talento è di sinistra - ha detto -. Io voglio stare dalla parte dell’eguaglianza, non dell’egualitarismo».
Per un partito, il Pd, che ha fuso e cerca di far convivere la cultura cattolica e quella di origine e tradizione comunista, l’affermazione rappresenta invece un piccolo terremoto all’interno di una gerarchia di valori che in testa a tutto - e prima di ogni altra cosa - metteva sempre la solidarietà e l’uguaglianza. Per molti versi, lo «strappo» ricorda quello operato qualche anno fa dai sindaci di sinistra di grandi città (Cofferati a Bologna e Veltroni a Roma, in testa a tutti) che di fronte al dilagare di violenze nei quartieri - spesso a opera di immigrati - affermarono che «la sicurezza (fino a quel punto storico cavallo di battaglia della destra, ndr) non è né di destra né di sinistra».
Tabù dietro tabù, insomma, Matteo Renzi sta cambiando (o cercando di cambiare) il bagaglio politico-culturale di una sinistra accusata da tempo e da più parti di esser rimasta prigioniera di un polveroso armamentario ideale e di valori che affonda le sue radici nel ’900. In realtà, il più giovane premier della storia repubblicana non dice, oggi, cose così diverse da quelle che aveva cominciato a predicare fin dal tempo delle prime primarie contro Bersani per la scelta del candidato premier: parole d’ordine e spinta innovativa evidentemente vincenti, se hanno reso possibili - e probabilmente addirittura determinato - prima la vittoria nella corsa alla segreteria e poi lo stupefacente 41% alle elezioni europee.
Molti ricorderanno, per esempio, la sorta di «processo popolare» cui Matteo Renzi fu sottoposto al tempo della sfida con Bersani con l’accusa di «parlare alla destra» e chiedere i voti di chi stava «dall’altra parte». «Io penso alle elezioni secondarie - si difendeva l’allora sindaco di Firenze - e vorrei ricordare che se non sottraiamo voti alla destra non vinceremo mai». Aveva evidentemente ragione: e il risultato delle elezioni europee, con il grande flusso di voti arrivati al Pd da ex elettori del centrodestra, è lì a dimostrarlo. Quei voti vanno conservati, insiste oggi Renzi: con proposte e politiche, evidentemente, che parlino anche agli elettori che hanno votato Pd per la prima volta.
È anche per questo che l’opera di rinnovamento politico-culturale non può fermarsi. «Nel 41% ottenuto alle europee - ha spiegato ieri Renzi - c’è il voto di tante gente che non viene dalla nostra storia e dalla nostra tradizione, ma che vuol condividere il futuro con noi». È il preannuncio, insomma, del tentativo di stabilizzare quel consenso con idee, suggestioni e perfino un linguaggio che tenga conto dei tanti «nuovi arrivati»: che magari non sono poi così convinti che il merito, la sicurezza dei cittadini, andare ad «Amici» o magari dar torto ogni tanto al sindacato siano, tout court, cose di destra.
E c’è un’altra sorta di mito che il premier-segretario ha preso a picconare con grande vigore: il fascino (consolatoria e talvolta deresponsabilizzante) storicamente esercitato dai «tecnici» sulla sinistra italiana. Tecnici, professoroni e convegnisti d’ogni sorta. «Veniamo da un’ubriacatura da tecnicismo - ha contestato Renzi - che ha fatto passare l’idea che la politica sia inutile. Ma la politica non è una parolaccia: e loro, i tecnici, in 20 anni non hanno saputo leggere sociologicamente e culturalmente Berlusconi e il berlusconismo».
Ce ne è a sufficienza per sostenere che, nella sua prima chiusura da segretario della Festa de l’Unità, Renzi abbia confermato quel che ancora ieri ha ripetuto: nell’opera di cambiar verso all’Italia non arretrerà, non mollerà di un centimetro. «Mettiamoci l’energia dei nostri nonni e la fantasia dei nostri giovani. E smettiamo di vivere il futuro come una minaccia». Una scommessa, una filosofia che - in mancanza di alternative - evidentemente convince e piace, se il consenso verso il premier cresce invece di diminuire, nonostante l’«annuncite» e il pantano in cui ancora si trova il Paese...
Corriere 8.9.14
Un centimetro e Mille Giorni
di Antonio Polito
Pochi primi ministri italiani hanno goduto delle eccezionali circostanze di cui si avvale Matteo Renzi. Più si addensano nubi minacciose sul nostro Paese, sulla sua economia, sulla sua solvibilità, e più la mongolfiera del consenso personale del leader vola in alto. Più gli economisti fanno fosche previsioni, dividendosi tra pessimisti e catastrofisti, e più gli italiani si affidano all’uomo che li chiama gufi, e che ai loro convegni preferisce i rubinettifici. La nostra situazione, un debito così alto con un’inflazione quasi a zero, è pesante e alla lunga insostenibile, ma Renzi rivendica la sostenibile leggerezza dell’essere e del mangiare gelati. In patria non ha alternative né oppositori; in Europa è pieno di imitatori, come la scena dei blues brothers socialisti, tutti in camicia bianca ieri sul palco di Bologna, ha plasticamente dimostrato; e l’apoteosi della Festa dell’Unità (pur senza Unità), derubrica a broncio i mugugni tardivi di un D’Alema.
Ma gli stessi italiani che nei sondaggi premiano Renzi perché gli riconoscono il piglio del vendicatore anti-establishment, del fustigatore dei privilegi e dei vecchi assetti di potere, si dichiarano scettici sulle misure che sta prendendo per l’economia, non ritenendole le mosse giuste. Matteo Renzi è insomma entrato a buon diritto nel cerchio magico dei leader al Teflon, quei politici fatti del materiale delle padelle cui non si attacca lo sporco: ciò non vuol dire che lo sporco non ci sia.
E in effetti finora, nei duecento giorni già passati, l’azione di governo non ha dato i frutti sperati, come lo stesso ministro Padoan ha di recente riconosciuto. Le due misure prescelte, il bonus di 80 euro e la riforma del Senato, comunque le si giudichi, di sicuro non hanno provocato lo choc di cui l’economia ha bisogno. Anzi, l’indice di fiducia delle famiglie, dopo una prima impennata, è da tre mesi in calo.
L’orizzonte è diventato quello dei mille giorni ma la sensazione è di incertezza sulla direzione di marcia. Per quanto il premier annunci che non cederà di un centimetro, non è chiaro da dove. C’è al Senato la madre di tutte le riforme, quella del mercato del lavoro, annunciata ormai da gennaio, che da sola potrebbe cambiare l’appetibilità del nostro Paese per gli investitori. Ma i segnali sono contraddittori, il linguaggio è prudente, non si vede la determinazione necessaria per liberarsi della giungla di rigidità del nostro Statuto dei lavoratori, e rendere finalmente più facile assumere, prima ancora che licenziare. Sulle privatizzazioni c’è stato un alt. Sulle municipalizzate c’è stato un vedremo. Sulla ristrutturazione della spesa c’è stato un faremo. Sulla pubblica amministrazione si alternano messaggi contrastanti, prima si promettono 150 mila precari assunti nella scuola, poi il blocco degli stipendi per tutti gli statali, poi lo sblocco per i soli statali in divisa. E anche quando si fa, come nel caso dello sblocca Italia, si fa così poco da rischiare un effetto boomerang sulle aspettative.
Questa sorta di limbo autorizza, soprattutto all’estero, il sospetto che in Italia ci sia ancora chi prende tempo, nella convinzione che prima o poi ci penserà la Banca centrale europea con un acquisto massiccio di titoli del debito pubblico, nella speranza di risparmiarsi così scelte troppo difficili e impopolari. Ma il guaio è che, come in un circolo vizioso, più questo sospetto si diffonde e meno Draghi avrà le mani libere, e più Renzi le mani legate.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Mappe - Il leader che spara sul quartier generale
LO SGUARDO degli italiani sul futuro economico del Paese è scettico. Anzi: piuttosto pessimista. Eppure, la fiducia nel governo resiste. Tanto più nei confronti del premier. Di Renzi. Lo dimostrano i primi sondaggi realizzati dopo la pausa estiva.
Non è un fatto nuovo. È avvenuto anche in passato. Quando al governo erano Berlusconi, in particolare, e, più di recente, Monti. È l’effetto di diversi fattori. Riflette, in particolare, la capacità del leader di trasmettere fiducia ai cittadini.
E, reciprocamente, la ricerca, da parte dei cittadini, di qualcosa o qualcuno in cui credere, in tempi di crisi.
Il problema, però, è che se la crisi dovesse acuirsi ancora e durare a lungo, com’è probabile, allora la sfiducia tenderebbe a trasferirsi, soprattutto, sul governo e, per primo, sul Capo. Ne è ben consapevole Renzi. Il quale, anche per questo, sta seguendo una strategia di comunicazione e di relazioni, in parte, diversa dalla fase precedente.
1. In primo luogo, sembra aver temperato lo stile iper-cinetico dei primi mesi di governo. Non che sia divenuto “lento”, ci mancherebbe. Non è nella sua natura. Ma ha cambiato tabella di marcia. Non più — solo — tappe ripetute, a scadenze ravvicinate. L’orizzonte di governo, così, si è allungato.
Abbraccia i prossimi 1000 giorni. E giunge, cioè, quasi alla fine della legislatura.
Un modo per lanciare due messaggi.
A) Che intende restare e governare a lungo.
B) Che è finito il tempo dell’annuncite.
Degli annunci reiterati e ansiogeni, senza soluzione di continuità. Oggi Renzi detta tempi “realisti”. Anzi, chiarisce che “correrà” per mesi, anni.
“Passo dopo passo”.
E, dunque, durerà a lungo. Come la legislatura. Naturalmente, ciò non significa che Renzi abbia, davvero, rinunciato all’idea di elezioni anticipate. Dipende: dall’opportunità, dalla convenienza, dalle condizioni — economiche e politiche — generali. Insomma, dal clima d’opinione.
2. Anche per questa ragione il premier ha affilato l’altra faccia della sua strategia di comunicazione e di relazioni. Ben espressa, nei giorni scorsi, dalla sua assenza all’incontro organizzato, come ogni anno, a Cernobbio dal Forum Ambrosetti.
Il “salotto buono” (come ha appuntato ieri Eugenio Scalfari) frequentato dai principali attori dell’impresa e della finanza. Oltre che, di riflesso, delle istituzioni e della politica. (Era presente anche Roberto Casaleggio, ideologo del M5s.)
Renzi, invece, ha preferito inaugurare una rubinetteria. Si è recato a Gussago, nel bresciano. Dove «le imprese investono». E, ha aggiunto, «ne girerò tante». Un modo esplicito per dichiarare la sua “diversità” rispetto alla classe dirigente nazionale. La sua “estraneità” rispetto ai luoghi e ai gruppi che guidano e controllano la politica e i mercati. I “grandi imprenditori”. Ma non solo, visto che a Cernobbio si riuniscono anche i gruppi dirigenti della finanza. E del sindacato. Verso il quale Renzi, d’altronde, non ha mai mostrato particolare attenzione. Fin dall’inizio ha annunciato che «la musica è cambiata. Andiamo avanti anche senza i sindacati ». E, dunque, anche senza concertazione.
Così, Renzi ha proceduto “veloce”, marcando la sua distanza dal sindacato ma anche dalle associazioni imprenditoriali. Da molto tempo, in declino di consensi, fra gli elettori. Il sindacato, in particolare: stimato da circa 2 italiani su 10. E, di conseguenza, guardato con diffidenza dagli altri 8. Anzitutto e soprattutto, dai lavoratori dipendenti. D’altronde, la componente più ampia degli iscritti è costituita dai pensionati. Mentre la fiducia nelle associazioni degli imprenditori non supera il 30%. Renzi, in altri termini, ha scelto di prendere le distanze da soggetti e organizzazioni che gran parte dei cittadini considera “lontani” dai loro problemi e dai loro interessi. Complici della Casta. Anzi, anch’essi Casta (e, dunque, non “casti”). Per la stessa ragione, il premier ha agito, senza troppa diplomazia, nell’ambito della Ue. Dove ha “imposto” la ministra degli Esteri, Federica Mogherini, come “Lady Pesc”.
Cioè, al posto di Alto Rappresentante per la politica estera europea. Dopo lunghe trattative e tensioni molto accese. Ieri, a Bologna, ha annunciato il “patto del tortellino” con i leader della sinistra europea, per prendere le distanze dalla Germania e dalla Merkel.
Perché a Renzi interessa contare, ma, ancor più, marcare i confini con i “poteri forti”. In Europa. E non solo.
Gli interessa mostrarsi “dalla parte del popolo”. Per usare le sue parole: “Contro l’Europa delle banche e a favore dell’Europa delle famiglie”. Contro l’establishment che oggi lo tratta con sospetto o, peggio, con dispetto. Ma, come ha sostenuto di recente, sul Sole 2-4 Ore , intervistato dal direttore Roberto Napoletano, «è lo stesso che ha portato il Paese in queste condizioni». Mentre lui, lo ha ribadito ieri, alla Festa dell’Unità a Bologna, non accetta lezioni «da tecnici della Prima Repubblica».
Renzi, dunque, oltre agli amici, sceglie con cura i “nemici”. I “gufi” che scommettono contro di lui e contro il governo. L’establishment, appunto. Che controlla economia e affari. I professionisti del sindacato, i circoli degli affari e dell’impresa. Dell’informazione e della cultura.
Allo stesso tempo, non esita a riproporre il blocco delle retribuzioni dei dipendenti. Pubblici. In primo luogo: statali. Non solo perché, come ha ammesso la ministra Madia, «non ci sono i soldi». Ma anche perché il pubblico impiego, gli “statali”, nella percezione popolare, rappresentano una categoria privilegiata. Non (sol) tanto dal punto di vista retributivo, anche per condizioni e tempi di lavoro, oltre che (un tempo, soprattutto) di pensionamento.
Renzi, dunque, per contrastare le difficoltà crescenti che minacciano la popolarità del suo governo, polemizza contro il mondo economico e politico. Di cui, tuttavia, anch’egli fa parte. Prende le distanze dalle caste e dai gruppi di interesse. Dalle categorie sociali “privilegiate”. Dall’establishment europeo e statale. Dagli “statali”. Anche dal Pd. Che Renzi ha trasformato in PdR. Renzi oggi è il leader di un post-partito e di un post- governo personale. Premier di un “popolo” di post-italiani. Che, come avvertiva Edmondo Berselli oltre 10 anni fa, abitano un “Paese provvisorio”. Da ciò il problema di Renzi. Perché è difficile correre veloce, da solo contro tutti, per mille giorni e oltre. Senza che la “provvisorietà”, più che un vizio, divenga uno stile narrativo necessario per governare il Paese. Dunque, uno stile di governo, visto che, in tempi di democrazia ibrida, la distanza fra narrazione e governo è molto sottile.
TagsArgomenti:mappeProtagonisti:Matteo Renzi
© Riproduzione riservata 08 settembre 2014
http://www.repubblica.it/politica/2014/ ... ef=HRER2-1
LO SGUARDO degli italiani sul futuro economico del Paese è scettico. Anzi: piuttosto pessimista. Eppure, la fiducia nel governo resiste. Tanto più nei confronti del premier. Di Renzi. Lo dimostrano i primi sondaggi realizzati dopo la pausa estiva.
Non è un fatto nuovo. È avvenuto anche in passato. Quando al governo erano Berlusconi, in particolare, e, più di recente, Monti. È l’effetto di diversi fattori. Riflette, in particolare, la capacità del leader di trasmettere fiducia ai cittadini.
E, reciprocamente, la ricerca, da parte dei cittadini, di qualcosa o qualcuno in cui credere, in tempi di crisi.
Il problema, però, è che se la crisi dovesse acuirsi ancora e durare a lungo, com’è probabile, allora la sfiducia tenderebbe a trasferirsi, soprattutto, sul governo e, per primo, sul Capo. Ne è ben consapevole Renzi. Il quale, anche per questo, sta seguendo una strategia di comunicazione e di relazioni, in parte, diversa dalla fase precedente.
1. In primo luogo, sembra aver temperato lo stile iper-cinetico dei primi mesi di governo. Non che sia divenuto “lento”, ci mancherebbe. Non è nella sua natura. Ma ha cambiato tabella di marcia. Non più — solo — tappe ripetute, a scadenze ravvicinate. L’orizzonte di governo, così, si è allungato.
Abbraccia i prossimi 1000 giorni. E giunge, cioè, quasi alla fine della legislatura.
Un modo per lanciare due messaggi.
A) Che intende restare e governare a lungo.
B) Che è finito il tempo dell’annuncite.
Degli annunci reiterati e ansiogeni, senza soluzione di continuità. Oggi Renzi detta tempi “realisti”. Anzi, chiarisce che “correrà” per mesi, anni.
“Passo dopo passo”.
E, dunque, durerà a lungo. Come la legislatura. Naturalmente, ciò non significa che Renzi abbia, davvero, rinunciato all’idea di elezioni anticipate. Dipende: dall’opportunità, dalla convenienza, dalle condizioni — economiche e politiche — generali. Insomma, dal clima d’opinione.
2. Anche per questa ragione il premier ha affilato l’altra faccia della sua strategia di comunicazione e di relazioni. Ben espressa, nei giorni scorsi, dalla sua assenza all’incontro organizzato, come ogni anno, a Cernobbio dal Forum Ambrosetti.
Il “salotto buono” (come ha appuntato ieri Eugenio Scalfari) frequentato dai principali attori dell’impresa e della finanza. Oltre che, di riflesso, delle istituzioni e della politica. (Era presente anche Roberto Casaleggio, ideologo del M5s.)
Renzi, invece, ha preferito inaugurare una rubinetteria. Si è recato a Gussago, nel bresciano. Dove «le imprese investono». E, ha aggiunto, «ne girerò tante». Un modo esplicito per dichiarare la sua “diversità” rispetto alla classe dirigente nazionale. La sua “estraneità” rispetto ai luoghi e ai gruppi che guidano e controllano la politica e i mercati. I “grandi imprenditori”. Ma non solo, visto che a Cernobbio si riuniscono anche i gruppi dirigenti della finanza. E del sindacato. Verso il quale Renzi, d’altronde, non ha mai mostrato particolare attenzione. Fin dall’inizio ha annunciato che «la musica è cambiata. Andiamo avanti anche senza i sindacati ». E, dunque, anche senza concertazione.
Così, Renzi ha proceduto “veloce”, marcando la sua distanza dal sindacato ma anche dalle associazioni imprenditoriali. Da molto tempo, in declino di consensi, fra gli elettori. Il sindacato, in particolare: stimato da circa 2 italiani su 10. E, di conseguenza, guardato con diffidenza dagli altri 8. Anzitutto e soprattutto, dai lavoratori dipendenti. D’altronde, la componente più ampia degli iscritti è costituita dai pensionati. Mentre la fiducia nelle associazioni degli imprenditori non supera il 30%. Renzi, in altri termini, ha scelto di prendere le distanze da soggetti e organizzazioni che gran parte dei cittadini considera “lontani” dai loro problemi e dai loro interessi. Complici della Casta. Anzi, anch’essi Casta (e, dunque, non “casti”). Per la stessa ragione, il premier ha agito, senza troppa diplomazia, nell’ambito della Ue. Dove ha “imposto” la ministra degli Esteri, Federica Mogherini, come “Lady Pesc”.
Cioè, al posto di Alto Rappresentante per la politica estera europea. Dopo lunghe trattative e tensioni molto accese. Ieri, a Bologna, ha annunciato il “patto del tortellino” con i leader della sinistra europea, per prendere le distanze dalla Germania e dalla Merkel.
Perché a Renzi interessa contare, ma, ancor più, marcare i confini con i “poteri forti”. In Europa. E non solo.
Gli interessa mostrarsi “dalla parte del popolo”. Per usare le sue parole: “Contro l’Europa delle banche e a favore dell’Europa delle famiglie”. Contro l’establishment che oggi lo tratta con sospetto o, peggio, con dispetto. Ma, come ha sostenuto di recente, sul Sole 2-4 Ore , intervistato dal direttore Roberto Napoletano, «è lo stesso che ha portato il Paese in queste condizioni». Mentre lui, lo ha ribadito ieri, alla Festa dell’Unità a Bologna, non accetta lezioni «da tecnici della Prima Repubblica».
Renzi, dunque, oltre agli amici, sceglie con cura i “nemici”. I “gufi” che scommettono contro di lui e contro il governo. L’establishment, appunto. Che controlla economia e affari. I professionisti del sindacato, i circoli degli affari e dell’impresa. Dell’informazione e della cultura.
Allo stesso tempo, non esita a riproporre il blocco delle retribuzioni dei dipendenti. Pubblici. In primo luogo: statali. Non solo perché, come ha ammesso la ministra Madia, «non ci sono i soldi». Ma anche perché il pubblico impiego, gli “statali”, nella percezione popolare, rappresentano una categoria privilegiata. Non (sol) tanto dal punto di vista retributivo, anche per condizioni e tempi di lavoro, oltre che (un tempo, soprattutto) di pensionamento.
Renzi, dunque, per contrastare le difficoltà crescenti che minacciano la popolarità del suo governo, polemizza contro il mondo economico e politico. Di cui, tuttavia, anch’egli fa parte. Prende le distanze dalle caste e dai gruppi di interesse. Dalle categorie sociali “privilegiate”. Dall’establishment europeo e statale. Dagli “statali”. Anche dal Pd. Che Renzi ha trasformato in PdR. Renzi oggi è il leader di un post-partito e di un post- governo personale. Premier di un “popolo” di post-italiani. Che, come avvertiva Edmondo Berselli oltre 10 anni fa, abitano un “Paese provvisorio”. Da ciò il problema di Renzi. Perché è difficile correre veloce, da solo contro tutti, per mille giorni e oltre. Senza che la “provvisorietà”, più che un vizio, divenga uno stile narrativo necessario per governare il Paese. Dunque, uno stile di governo, visto che, in tempi di democrazia ibrida, la distanza fra narrazione e governo è molto sottile.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Alle 14,00 di oggi, Richicetti, uno dei fedelissimi di Pittibimbo annuncia il suo ritiro dalla corsa alle primarie del dopo Errani.
Questa sera Mentana apre il Tg annunciando prima la notizia di Richetti e poi le ultime notizie sul suo avversario Bonaccini, anche lui indagato.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
E due
E chissà quanti altri...
pd meno elle, su quello Grillo ha ragione
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"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Renzi: "Non sono ottimista su Pil 2014
Ma coi tagli abbasserò tasse sul lavoro"
Il premier a Porta a Porta: "E' stagnazione. Balliamo intorno allo zero, non basta per ripartire"
Cottarelli? "Due mesi fa mi chiese di andar via". 80 euro? "Non possiamo estendere la platea"
Renzi: "Non sono ottimista su Pil 2014 Ma coi tagli abbasserò tasse sul lavoro"
“Penso e credo che nella legge di stabilità avremo un ulteriore diminuzione di tasse sul lavoro. Ci sono varie ipotesi sui modi e la finanziamo con la riduzione della spesa”. Così Renzi a Porta a Porta. Il premier è tornato su una sorta di definizione di “gufi”, tema che torna spesso. “C’è un sacco di gente che in 20 anni ha fatto tanti convegni, io li chiamo i professionisti della tartina, che dicono l’Italia non ce la fa e poi vanno in vacanza in Australia"
^^^^^
Pd, Richetti è indagato per peculato. Poche ore prima il ritiro dalle primarie
La procura di Bologna ha iscritto nel registro degli indagati il deputato Pd per la vicende della auto blu nell'ambito delle inchiesta delle spese pazze in Regione Emilia Romagna. Poco prima aveva annunciato il ritiro dalla consultazione elettorale
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 9 settembre 2014Commenti (733)
Matteo Richetti è indagato per peculato nell’ambito dell’inchiesta sulle spese pazze in Regione Emilia Romagna. Una notizia che arriva poche ore dopo il ritiro del deputato di Modena dalla corsa per le primarie del centrosinistra. “L’unità è un valore che non va solo dichiarato, ma anche praticato”, aveva commentato su Facebook dopo l’annuncio. Poi la rivelazione del fascicolo aperto sul suo conto probabilmente per la vicenda delle auto blu, caso sollevato da ilfattoquotidiano.it nel 2011 e dai consiglieri M5S Giovanni Favia e Andrea Defranceschi. “La decisione di ritirarsi”, ha fatto sapere il legale Gino Bottiglioni, “è solo politica e non è legata a questa notizia”. Il Partito democratico ancora una volta, dopo i tentennamenti degli ultimi mesi e gli scontri interni, si trova a dover raccoglie i pezzi. Le primarie in Regione si fanno sempre più contrastate. Prima l’ipotesi di far saltare le consultazioni, poi la rivolta dei renziani della prima ora e infine l’incapacità di trovare un accordo.
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Il Partito fa l’ennesima brutta figura in un clima teso che va avanti da settimane. Domenica 7 settembre, durante la chiusura della festa dell’Unità nazionale, Matteo Renzi aveva cercato di alleggerire il clima con una battuta: “Roberto, Stefano e Matteo hanno organizzato un bel casino, ma il giorno dopo saranno uno per tutti e tutti per uno”. Mentre tutti puntano il dito contro le pressioni del presidente del Consglio, Richetti su Facebook si è giusticato: “L’unità per me, in politica, è un valore importante”, ha scritto, “così come lo è trovare un punto di sintesi, di lavoro insieme. Per questo non metterò in campo la mia candidatura. Decisione sofferta e meditata, ma credo sia nell’interesse dell’Emilia Romagna e del Pd. Ora non è il momento delle divisioni, il nostro Paese e la nostra regione non possono permetterselo”. “Nel tempo in cui stiamo portando avanti riforme importanti per l’Italia – aggiunge – accolgo l’invito, arrivato da più parti, all’unità. Lo faccio perché non basta prendere applausi scroscianti dal nostro popolo, dai democratici, quando si fanno appelli alla coesione. Bisogna saperla realizzare. Voglio ringraziare tutti coloro che hanno messo la loro faccia e la loro firma a mio sostegno, sapendo che non una goccia di questo sforzo andrà perduta”.
Il ritiro di Matteo Richetti era nell’aria, dentro il partito, da alcuni giorni, anche se non aveva trovato nessuna conferma negli ambienti vicini al deputato modenese. A sorprendere è stato più che altro il modo in cui questa decisione si è palesata: da parte del diretto interessato non c’è stato alcun annuncio ufficiale, ma solo la mancata presentazione delle firme alle 12 di oggi, scadenza da tempo fissata per consegnare le firme necessarie per ufficializzare la candidatura. Firme che, a quanto si apprende, erano già state regolarmente raccolte.
Oltre la discussione politica però, per il deputato di Modena si apre il fronte giudiziario. L’indagine parte da un esposto dai consiglieri del Movimento 5 stelle, Andrea Defranceschi e Giovanni Favia. A ottobre del 2011 il capogruppo Defranceschi presentò sul tavolo della Procura di Bologna una serie di carte, che documentavano gli spostamenti effettuati attraverso l’auto con conducente dall’allora presidente dell’Assemblea regionale. Oltre cento le pagine allegate, con le ricevute rilasciate dall’azienda Cosepuri per i numerosi viaggi. Su alcuni in particolare si concentravano le accuse dei 5 stelle. Quello del 2010, ad esempio, uno dei più costosi: a ottobre Richetti venne prelevato a casa sua, portato a Roma per una visita al Quirinale, e poi di nuovo alla sua abitazione, con un passaggio ad Ancona, per un incontro Pd. Totale della spesa: 1024, 12 euro. In treno sarebbe costato 200 euro. Ma di esempi ce n’erano parecchi, e hanno fatto lievitare il conto delle spese per le auto blu a decine di migliaia di euro. “Perché usare l’auto a noleggio quando Richetti percepisce già una cifra forfettaria di oltre 1200 euro al mese per gli spostamenti casa-lavoro?” chiese Defranceschi. Dopo la denuncia, i pm Morena Plazzi e Antonella Scandellari, già impegnate su altre inchieste sui fondi regionali, aprirono un fascicolo conoscitivo per verificare la correttezza delle spese per le missioni. Oggi la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati per Richetti
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... e/1115221/
Ma coi tagli abbasserò tasse sul lavoro"
Il premier a Porta a Porta: "E' stagnazione. Balliamo intorno allo zero, non basta per ripartire"
Cottarelli? "Due mesi fa mi chiese di andar via". 80 euro? "Non possiamo estendere la platea"
Renzi: "Non sono ottimista su Pil 2014 Ma coi tagli abbasserò tasse sul lavoro"
“Penso e credo che nella legge di stabilità avremo un ulteriore diminuzione di tasse sul lavoro. Ci sono varie ipotesi sui modi e la finanziamo con la riduzione della spesa”. Così Renzi a Porta a Porta. Il premier è tornato su una sorta di definizione di “gufi”, tema che torna spesso. “C’è un sacco di gente che in 20 anni ha fatto tanti convegni, io li chiamo i professionisti della tartina, che dicono l’Italia non ce la fa e poi vanno in vacanza in Australia"
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Pd, Richetti è indagato per peculato. Poche ore prima il ritiro dalle primarie
La procura di Bologna ha iscritto nel registro degli indagati il deputato Pd per la vicende della auto blu nell'ambito delle inchiesta delle spese pazze in Regione Emilia Romagna. Poco prima aveva annunciato il ritiro dalla consultazione elettorale
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 9 settembre 2014Commenti (733)
Matteo Richetti è indagato per peculato nell’ambito dell’inchiesta sulle spese pazze in Regione Emilia Romagna. Una notizia che arriva poche ore dopo il ritiro del deputato di Modena dalla corsa per le primarie del centrosinistra. “L’unità è un valore che non va solo dichiarato, ma anche praticato”, aveva commentato su Facebook dopo l’annuncio. Poi la rivelazione del fascicolo aperto sul suo conto probabilmente per la vicenda delle auto blu, caso sollevato da ilfattoquotidiano.it nel 2011 e dai consiglieri M5S Giovanni Favia e Andrea Defranceschi. “La decisione di ritirarsi”, ha fatto sapere il legale Gino Bottiglioni, “è solo politica e non è legata a questa notizia”. Il Partito democratico ancora una volta, dopo i tentennamenti degli ultimi mesi e gli scontri interni, si trova a dover raccoglie i pezzi. Le primarie in Regione si fanno sempre più contrastate. Prima l’ipotesi di far saltare le consultazioni, poi la rivolta dei renziani della prima ora e infine l’incapacità di trovare un accordo.
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Il Partito fa l’ennesima brutta figura in un clima teso che va avanti da settimane. Domenica 7 settembre, durante la chiusura della festa dell’Unità nazionale, Matteo Renzi aveva cercato di alleggerire il clima con una battuta: “Roberto, Stefano e Matteo hanno organizzato un bel casino, ma il giorno dopo saranno uno per tutti e tutti per uno”. Mentre tutti puntano il dito contro le pressioni del presidente del Consglio, Richetti su Facebook si è giusticato: “L’unità per me, in politica, è un valore importante”, ha scritto, “così come lo è trovare un punto di sintesi, di lavoro insieme. Per questo non metterò in campo la mia candidatura. Decisione sofferta e meditata, ma credo sia nell’interesse dell’Emilia Romagna e del Pd. Ora non è il momento delle divisioni, il nostro Paese e la nostra regione non possono permetterselo”. “Nel tempo in cui stiamo portando avanti riforme importanti per l’Italia – aggiunge – accolgo l’invito, arrivato da più parti, all’unità. Lo faccio perché non basta prendere applausi scroscianti dal nostro popolo, dai democratici, quando si fanno appelli alla coesione. Bisogna saperla realizzare. Voglio ringraziare tutti coloro che hanno messo la loro faccia e la loro firma a mio sostegno, sapendo che non una goccia di questo sforzo andrà perduta”.
Il ritiro di Matteo Richetti era nell’aria, dentro il partito, da alcuni giorni, anche se non aveva trovato nessuna conferma negli ambienti vicini al deputato modenese. A sorprendere è stato più che altro il modo in cui questa decisione si è palesata: da parte del diretto interessato non c’è stato alcun annuncio ufficiale, ma solo la mancata presentazione delle firme alle 12 di oggi, scadenza da tempo fissata per consegnare le firme necessarie per ufficializzare la candidatura. Firme che, a quanto si apprende, erano già state regolarmente raccolte.
Oltre la discussione politica però, per il deputato di Modena si apre il fronte giudiziario. L’indagine parte da un esposto dai consiglieri del Movimento 5 stelle, Andrea Defranceschi e Giovanni Favia. A ottobre del 2011 il capogruppo Defranceschi presentò sul tavolo della Procura di Bologna una serie di carte, che documentavano gli spostamenti effettuati attraverso l’auto con conducente dall’allora presidente dell’Assemblea regionale. Oltre cento le pagine allegate, con le ricevute rilasciate dall’azienda Cosepuri per i numerosi viaggi. Su alcuni in particolare si concentravano le accuse dei 5 stelle. Quello del 2010, ad esempio, uno dei più costosi: a ottobre Richetti venne prelevato a casa sua, portato a Roma per una visita al Quirinale, e poi di nuovo alla sua abitazione, con un passaggio ad Ancona, per un incontro Pd. Totale della spesa: 1024, 12 euro. In treno sarebbe costato 200 euro. Ma di esempi ce n’erano parecchi, e hanno fatto lievitare il conto delle spese per le auto blu a decine di migliaia di euro. “Perché usare l’auto a noleggio quando Richetti percepisce già una cifra forfettaria di oltre 1200 euro al mese per gli spostamenti casa-lavoro?” chiese Defranceschi. Dopo la denuncia, i pm Morena Plazzi e Antonella Scandellari, già impegnate su altre inchieste sui fondi regionali, aprirono un fascicolo conoscitivo per verificare la correttezza delle spese per le missioni. Oggi la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati per Richetti
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
A ROMAGNA
Pd Emilia, dopo Richetti anche Bonaccini]Indagati due candidati su tre alla Regione
Pd Emilia, dopo Richetti anche Bonaccini Indagati due candidati su tre alla Regione
Alle primarie del Pd da cui uscirà il candidato per il post-Errani non ci sarà Richetti: si è ritirato, "ma non per l'iscrizione nel registro degli indagati nelle vicenda 'spese pazze' in Regione" dice il suo legale. Nella stessa inchiesta compare anche il nome dell'altro candidato: Stefano Bonaccini, ora favorito contro Roberto Balzani (sempre dem) di David Marceddu
^^^^^^
Spese pazze Regione, otto consiglieri Pd indagati per peculato in Emilia
Questo è il primo sviluppo clamoroso di una attività di indagine iniziata oramai due anni fa. A ottobre 2013 c’era stato un primo sussulto, quando era venuta a galla la notizia che erano stati messi sotto indagine tutti i capigruppo della legislatura appena conclusa, per il periodo che va dal 2010 al 2012. Nel frattempo anche la procura della Corte dei conti dell’Emilia Romagna si è mossa per rintracciare eventuali danni erariali causati dalle azioni dei politici
di David Marceddu | Bologna | 9 settembre 2014Commenti (144)
regione emilia romagna
Una bufera giudiziaria, da tempo attesa, scuote alle fondamenta il Partito democratico dell’Emilia Romagna. Sono otto i consiglieri regionali del Pd indagati per peculato nell’inchiesta della procura della Repubblica di Bologna relative alle spese dei gruppi dell’assemblea legislativa. Tra loro quelli che fino a poche ore fa erano i cavalli di razza che si sarebbero contesi le primarie per succedere al governatore Vasco Errani: Matteo Richetti, che del consiglio regionale è stato presidente sino alla sua elezione al parlamento nel febbraio 2013 e Stefano Bonaccini, fedelissimo e braccio destro di Matteo Renzi a Roma. Richetti si era ritirato dalla corsa per le primarie in mattinata, poco prima che il suo stesso legale confermasse la notizia del suo coinvolgimento nell’indagine. Ora non è chiaro se anche Bonaccini, che del partito è segretario regionale e responsabile nazionale per gli enti locali, farà un passo indietro. Alle ore 18 era atteso in un hotel a Reggio Emilia per un incontro con gli amministratori locali, ma ha disdetto la prenotazione mezz’ora prima dell’incontro e non si sa se la decisione sia collegata agli sviluppi dell’inchiesta sulle spese dei gruppi regionali. A tremare sono tuttavia anche gli altri partiti in Regione coinvolti nel cosiddetto scandalo delle spese pazze, che riguarderebbe tutto l’arco di forze politiche in consiglio.
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Questo è il primo sviluppo clamoroso di una attività di indagine iniziata oramai due anni fa. A ottobre 2013 c’era stato un primo sussulto, quando era venuta a galla la notizia che erano stati messi sotto indagine tutti i capigruppo della legislatura appena conclusa, per il periodo che va dal 2010 al 2012. Si trattava dei responsabili dei gruppi Pdl (Luigi Giuseppe Villani), Pd (Marco Monari), Lega nord (Mauro Manfredini), Idv (Liana Barbati), M5S (Andrea Defranceschi), Udc (Silvia Noé), Gruppo Misto (Matteo Riva), Fds (Roberto Sconciaforni) e Sel-Verdi (Gianguido Naldi). Per tutti, si disse allora, una iscrizione quasi d’ufficio: come presidenti dei loro gruppi erano infatti considerati responsabili delle uscite finanziarie dei propri colleghi di partito eletti in Viale Aldo Moro. Già allora era apparso chiaro che altri nomi sarebbero saltati fuori tra i membri del parlamentino regionale. Ed è quello che sta accadendo proprio ora.
Nel frattempo anche la procura della Corte dei conti dell’Emilia Romagna si è mossa per rintracciare eventuali danni erariali causati dalle azioni dei politici. A luglio 2014 il procuratore contabile Salvatore Pilato aveva inviato diversi inviti a dedurre (richieste di chiarimenti a cui potrebbe seguire una citazione a giudizio o una archiviazione) ad alcuni consiglieri. Tra loro anche i consiglieri democratici, sette in tutto, Marco Monari, Tiziano Alessandrini, Marco Carini, Thomas Casadei, Gabriele Ferrari e Roberto Montanari e Stefano Bonaccini. Oltre a questa inchiesta, dalla Corte dei conti si attende anche la sentenza sul filone delle cosiddette interviste a pagamento: le spese sostenute dai consiglieri regionali per apparire nei programmi televisivi delle tv locali nello stesso periodo che va dal 2010 al 2012.
L’inchiesta della procura della Repubblica, condotta dalle pm Antonella Scandellari e Morena Plazzi, con la supervisione del procuratore capo Roberto Alfonso e dell’aggiunto Valter Giovannini, dovrebbe chiudersi entro un mese, comunque dopo le primarie del Partito democratico previste per il 28 settembre. Nella mattinata di martedì era uscita la notizia che Matteo Richetti, attuale deputato del Partito democratico, fosse iscritto nel registro degli indagati. Una notizia confermata dal suo legale poco dopo il ritiro di Richetti dalle primarie per l’elezione del governatore dell’Emilia Romagna. L’avvocato Gino Bottiglioni però ha specificato: “La rinuncia alla candidatura alle primarie non è assolutamente legata all’indagine per peculato. La decisione è politica”. Questa mattina l’avvocato Bottiglioni ha verificato l’esistenza del procedimento a carico di Richetti, “che peraltro era nell’aria, ma non si può per ora sapere con certezza se riguardi la questione delle auto blu”. Il nome di Matteo Richetti era infatti comparso in un esposto presentato da Andrea Defranceschi, del Movimento 5 Stelle, sulle auto blu che, secondo la denuncia, sarebbero state usate in maniera non corretta nel periodo in cui Ricchetti era presidente dell’assemblea regionale.
Pd Emilia, dopo Richetti anche Bonaccini]Indagati due candidati su tre alla Regione
Pd Emilia, dopo Richetti anche Bonaccini Indagati due candidati su tre alla Regione
Alle primarie del Pd da cui uscirà il candidato per il post-Errani non ci sarà Richetti: si è ritirato, "ma non per l'iscrizione nel registro degli indagati nelle vicenda 'spese pazze' in Regione" dice il suo legale. Nella stessa inchiesta compare anche il nome dell'altro candidato: Stefano Bonaccini, ora favorito contro Roberto Balzani (sempre dem) di David Marceddu
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Spese pazze Regione, otto consiglieri Pd indagati per peculato in Emilia
Questo è il primo sviluppo clamoroso di una attività di indagine iniziata oramai due anni fa. A ottobre 2013 c’era stato un primo sussulto, quando era venuta a galla la notizia che erano stati messi sotto indagine tutti i capigruppo della legislatura appena conclusa, per il periodo che va dal 2010 al 2012. Nel frattempo anche la procura della Corte dei conti dell’Emilia Romagna si è mossa per rintracciare eventuali danni erariali causati dalle azioni dei politici
di David Marceddu | Bologna | 9 settembre 2014Commenti (144)
regione emilia romagna
Una bufera giudiziaria, da tempo attesa, scuote alle fondamenta il Partito democratico dell’Emilia Romagna. Sono otto i consiglieri regionali del Pd indagati per peculato nell’inchiesta della procura della Repubblica di Bologna relative alle spese dei gruppi dell’assemblea legislativa. Tra loro quelli che fino a poche ore fa erano i cavalli di razza che si sarebbero contesi le primarie per succedere al governatore Vasco Errani: Matteo Richetti, che del consiglio regionale è stato presidente sino alla sua elezione al parlamento nel febbraio 2013 e Stefano Bonaccini, fedelissimo e braccio destro di Matteo Renzi a Roma. Richetti si era ritirato dalla corsa per le primarie in mattinata, poco prima che il suo stesso legale confermasse la notizia del suo coinvolgimento nell’indagine. Ora non è chiaro se anche Bonaccini, che del partito è segretario regionale e responsabile nazionale per gli enti locali, farà un passo indietro. Alle ore 18 era atteso in un hotel a Reggio Emilia per un incontro con gli amministratori locali, ma ha disdetto la prenotazione mezz’ora prima dell’incontro e non si sa se la decisione sia collegata agli sviluppi dell’inchiesta sulle spese dei gruppi regionali. A tremare sono tuttavia anche gli altri partiti in Regione coinvolti nel cosiddetto scandalo delle spese pazze, che riguarderebbe tutto l’arco di forze politiche in consiglio.
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Questo è il primo sviluppo clamoroso di una attività di indagine iniziata oramai due anni fa. A ottobre 2013 c’era stato un primo sussulto, quando era venuta a galla la notizia che erano stati messi sotto indagine tutti i capigruppo della legislatura appena conclusa, per il periodo che va dal 2010 al 2012. Si trattava dei responsabili dei gruppi Pdl (Luigi Giuseppe Villani), Pd (Marco Monari), Lega nord (Mauro Manfredini), Idv (Liana Barbati), M5S (Andrea Defranceschi), Udc (Silvia Noé), Gruppo Misto (Matteo Riva), Fds (Roberto Sconciaforni) e Sel-Verdi (Gianguido Naldi). Per tutti, si disse allora, una iscrizione quasi d’ufficio: come presidenti dei loro gruppi erano infatti considerati responsabili delle uscite finanziarie dei propri colleghi di partito eletti in Viale Aldo Moro. Già allora era apparso chiaro che altri nomi sarebbero saltati fuori tra i membri del parlamentino regionale. Ed è quello che sta accadendo proprio ora.
Nel frattempo anche la procura della Corte dei conti dell’Emilia Romagna si è mossa per rintracciare eventuali danni erariali causati dalle azioni dei politici. A luglio 2014 il procuratore contabile Salvatore Pilato aveva inviato diversi inviti a dedurre (richieste di chiarimenti a cui potrebbe seguire una citazione a giudizio o una archiviazione) ad alcuni consiglieri. Tra loro anche i consiglieri democratici, sette in tutto, Marco Monari, Tiziano Alessandrini, Marco Carini, Thomas Casadei, Gabriele Ferrari e Roberto Montanari e Stefano Bonaccini. Oltre a questa inchiesta, dalla Corte dei conti si attende anche la sentenza sul filone delle cosiddette interviste a pagamento: le spese sostenute dai consiglieri regionali per apparire nei programmi televisivi delle tv locali nello stesso periodo che va dal 2010 al 2012.
L’inchiesta della procura della Repubblica, condotta dalle pm Antonella Scandellari e Morena Plazzi, con la supervisione del procuratore capo Roberto Alfonso e dell’aggiunto Valter Giovannini, dovrebbe chiudersi entro un mese, comunque dopo le primarie del Partito democratico previste per il 28 settembre. Nella mattinata di martedì era uscita la notizia che Matteo Richetti, attuale deputato del Partito democratico, fosse iscritto nel registro degli indagati. Una notizia confermata dal suo legale poco dopo il ritiro di Richetti dalle primarie per l’elezione del governatore dell’Emilia Romagna. L’avvocato Gino Bottiglioni però ha specificato: “La rinuncia alla candidatura alle primarie non è assolutamente legata all’indagine per peculato. La decisione è politica”. Questa mattina l’avvocato Bottiglioni ha verificato l’esistenza del procedimento a carico di Richetti, “che peraltro era nell’aria, ma non si può per ora sapere con certezza se riguardi la questione delle auto blu”. Il nome di Matteo Richetti era infatti comparso in un esposto presentato da Andrea Defranceschi, del Movimento 5 Stelle, sulle auto blu che, secondo la denuncia, sarebbero state usate in maniera non corretta nel periodo in cui Ricchetti era presidente dell’assemblea regionale.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
..................peanuts ha scritto:E due
E chissà quanti altri...
pd meno elle, su quello Grillo ha ragione
Chi ha scavato è stato il M5S e fatto risalire al caso dei due del PD
Ciao
Paolo11
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Decadenza immediata e interdizione dai pubblici uffici per chiunque risulti invischiato in atti di corruzione/malgoverno/sottrazione di fondi pubblici ecc. ecc....
Certo dovremmo sostituire circa il 90% almeno della classe politica italiana...
Certo dovremmo sostituire circa il 90% almeno della classe politica italiana...
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Spese pazze, Bonaccini: “Mi contestano meno di 4mila euro”. A Richetti 5500
Il candidato alle primarie per le Regionali ha confermato che intende andare avanti nonostante la notizia del suo coinvolgimento nell'inchiesta sui rimborsi dei partiti di viale Aldo Moro: "Sono sereno"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | Bologna | 10 settembre 2014Commenti (199)
Quattromila euro circa a Stefano Bonaccini. Cinquemila e cinquecento a Matteo Richetti. Sono queste le cifre che la Procura di Bologna contesta per l’inchiesta “spese pazze” in Regione al responsabile Enti locali e al deputato del Partito democratico. I rimborsi “sospetti” riguardano diciannove mesi di mandato nel consiglio regionale dell’Emilia Romagna: cene, pranzi e rimborsi chilometrici che secondo i pm non sarebbero consoni con l’attività politica. Tra le spese contestate a Richetti ci sarebbero anche due notti in albergo a Riva del Garda, circa 500 euro in tutto, in due distinte occasioni.
Le indagini sono quasi giunte al termine e nelle scorse ore era è trapelata la notizia del coinvolgimento dei due candidati alla corsa per le primarie del centrosinistra. Il parlamentare solo ieri mattina aveva fatto un passo indietro, anche se in quel caso i motivi erano essenzialmente politici: pressioni da Roma e uno scontro all’ultimo voto con un altro renziano doc. Bonaccini invece, nonostante le voci di indecisioni e tentennamenti, ribadisce l’intenzione di continuare la campagna elettorale. Per questo nel pomeriggio, il segretario Regionale si è presentato in Procura a Bologna ed ha chiesto di essere sentito dai pm. Richetti invece, con il suo legale Gino Bottiglioni, valuterà nei prossimi giorni se farsi interrogare.
“Si tratta di spese abbastanza modeste”, ha spiegato invece l’avvocato di Bonaccini ai cronisti, “parliamo di qualcosa come 200 euro al mese. Durante il colloquio sono state date tutte le spiegazioni e credo siano risultate pienamente convincenti”. Il responsabile Enti locali della segreteria nazionale Pd ha ribadito l’intenzione di correre alle primarie: “Ero sereno prima”, ha commentato uscendo dalla Procura, “e sono ancora più sereno adesso. Perché penso che abbiamo potuto dare spiegazioni per qualsiasi eventuale addebito”. E ha poi aggiunto di essere “determinato a proseguire perché so come mi sono sempre comportato in questi anni”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... o/1116967/
Il candidato alle primarie per le Regionali ha confermato che intende andare avanti nonostante la notizia del suo coinvolgimento nell'inchiesta sui rimborsi dei partiti di viale Aldo Moro: "Sono sereno"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | Bologna | 10 settembre 2014Commenti (199)
Quattromila euro circa a Stefano Bonaccini. Cinquemila e cinquecento a Matteo Richetti. Sono queste le cifre che la Procura di Bologna contesta per l’inchiesta “spese pazze” in Regione al responsabile Enti locali e al deputato del Partito democratico. I rimborsi “sospetti” riguardano diciannove mesi di mandato nel consiglio regionale dell’Emilia Romagna: cene, pranzi e rimborsi chilometrici che secondo i pm non sarebbero consoni con l’attività politica. Tra le spese contestate a Richetti ci sarebbero anche due notti in albergo a Riva del Garda, circa 500 euro in tutto, in due distinte occasioni.
Le indagini sono quasi giunte al termine e nelle scorse ore era è trapelata la notizia del coinvolgimento dei due candidati alla corsa per le primarie del centrosinistra. Il parlamentare solo ieri mattina aveva fatto un passo indietro, anche se in quel caso i motivi erano essenzialmente politici: pressioni da Roma e uno scontro all’ultimo voto con un altro renziano doc. Bonaccini invece, nonostante le voci di indecisioni e tentennamenti, ribadisce l’intenzione di continuare la campagna elettorale. Per questo nel pomeriggio, il segretario Regionale si è presentato in Procura a Bologna ed ha chiesto di essere sentito dai pm. Richetti invece, con il suo legale Gino Bottiglioni, valuterà nei prossimi giorni se farsi interrogare.
“Si tratta di spese abbastanza modeste”, ha spiegato invece l’avvocato di Bonaccini ai cronisti, “parliamo di qualcosa come 200 euro al mese. Durante il colloquio sono state date tutte le spiegazioni e credo siano risultate pienamente convincenti”. Il responsabile Enti locali della segreteria nazionale Pd ha ribadito l’intenzione di correre alle primarie: “Ero sereno prima”, ha commentato uscendo dalla Procura, “e sono ancora più sereno adesso. Perché penso che abbiamo potuto dare spiegazioni per qualsiasi eventuale addebito”. E ha poi aggiunto di essere “determinato a proseguire perché so come mi sono sempre comportato in questi anni”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... o/1116967/
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
La vox populi:
ConteZero76 • un minuto fa
E'la stessa inchiesta in cui è indagato (a tuttora indagato) lo stesso Defranceschi del M5S.
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Cobra89 • 2 minuti fa
Ovviamente i piddini dimenticano di dire che si va al voto in Emilia Romagna non per scadenza naturale della legislatura ma perché i loro governatore è stato condannato per falso ideologico avendo dato un milione alla coop del fratello.
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patrizia • 14 minuti fa
Meno di quanto mangia la Bulga Relli ogni due mesi a nostre spese! >Controllare per credere
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pompadour • 14 minuti fa
Se i giudici facessere una indagine a tappeto sulla probità degli italiani credo che non una casa avrebbe una porta senza cancello :prigioni solo prigioni.
Confesso:ho rubato una caramellina a un bambino distratto.Ho avuto una vita d'inferno per il rimorso di coscienza.Altri,con ben altre colpe,invece, si sperticano a impartire lezioni di morale e di eticità.
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patrizia • 15 minuti fa
Scomparsi i miei post. siamo al giornalismo che da la caccia ai "morti di fame"!
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gabri • 15 minuti fa
ammazza se sono sporcati la camicia con il ragu alla bolognese, ma è ancora rosso? o i 5s se sono sporcati a fà le belle statuine è pronto il caffè? qualè la peggio macchia
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claude47 • 16 minuti fa
Bonaccini e Richetti siete indagati perciò andate entrambi a casa e lasciate alla magistratura di fare il loro corso e accertamenti , che siano poche migliaia di euro non conta niente non vi spettavano ...............
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MASTRUCATO • 17 minuti fa
si tratta di spese modeste ; la prossima volta ricordatevi il carrello della spesa.....con la scorta
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patrizia • 18 minuti fa
In un Paese che si stanno divorando giorno dopo giorno i "nostri" Giudici, i comunisti, contestano addirittura quattromila euro a un consigliere regionale.... meno della metà del loro stipendio. Assurdo!
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IOsolo • 19 minuti fa
che sia 1€ o 1milione chi sbaglia DEVE PAGARE
ConteZero76 • un minuto fa
E'la stessa inchiesta in cui è indagato (a tuttora indagato) lo stesso Defranceschi del M5S.
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Cobra89 • 2 minuti fa
Ovviamente i piddini dimenticano di dire che si va al voto in Emilia Romagna non per scadenza naturale della legislatura ma perché i loro governatore è stato condannato per falso ideologico avendo dato un milione alla coop del fratello.
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patrizia • 14 minuti fa
Meno di quanto mangia la Bulga Relli ogni due mesi a nostre spese! >Controllare per credere
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pompadour • 14 minuti fa
Se i giudici facessere una indagine a tappeto sulla probità degli italiani credo che non una casa avrebbe una porta senza cancello :prigioni solo prigioni.
Confesso:ho rubato una caramellina a un bambino distratto.Ho avuto una vita d'inferno per il rimorso di coscienza.Altri,con ben altre colpe,invece, si sperticano a impartire lezioni di morale e di eticità.
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patrizia • 15 minuti fa
Scomparsi i miei post. siamo al giornalismo che da la caccia ai "morti di fame"!
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gabri • 15 minuti fa
ammazza se sono sporcati la camicia con il ragu alla bolognese, ma è ancora rosso? o i 5s se sono sporcati a fà le belle statuine è pronto il caffè? qualè la peggio macchia
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claude47 • 16 minuti fa
Bonaccini e Richetti siete indagati perciò andate entrambi a casa e lasciate alla magistratura di fare il loro corso e accertamenti , che siano poche migliaia di euro non conta niente non vi spettavano ...............
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MASTRUCATO • 17 minuti fa
si tratta di spese modeste ; la prossima volta ricordatevi il carrello della spesa.....con la scorta
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patrizia • 18 minuti fa
In un Paese che si stanno divorando giorno dopo giorno i "nostri" Giudici, i comunisti, contestano addirittura quattromila euro a un consigliere regionale.... meno della metà del loro stipendio. Assurdo!
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IOsolo • 19 minuti fa
che sia 1€ o 1milione chi sbaglia DEVE PAGARE
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