articolo 18
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Re: articolo 18
Rottamare il rottamatore - 1
Si stava meglio quando si stava peggio. (Vecchio proverbio italiano)
A Roma dicheno: "A ridatece i puzzoni"
Siamo proprio messi male.............
Lavoro, Mineo (Pd): ‘Renzi? Non dice il vero. Mi caccino, non voto delega in bianco’
Video
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/09/ ... co/297200/
“Non voterò mai la fiducia su questa delega in bianco, così come non voterò mai una legge elettorale pasticciata come quella che Renzi e Berlusconi stanno preparando. L’Italicum è una truffa. Se mi vogliono cacciare mi caccino“. Sono le dure parole pronunciate dal senatore Pd Corradino Mineo, intervistato da Lanfranco Palazzolo per Radio Radicale, a proposito del ‘jobs act’ e della legge elettorale. E sul primo tema puntualizza: “E’ una delega in bianco. Il governo in realtà vuole che il Parlamento gli consenta di cambiare come vuole e quando vuole, in parte o in tutto, lo statuto dei lavoratori. Dopodiché procederà con i relativi decreti legislativi senza alcun controllo delle Camere. C’è la solita insofferenza nei confronti del Parlamento“. E aggiunge: “I soldi per fare una riforma del lavoro non ci sono. Questa storia tutta ideologica sull’articolo 18 nasconde il fatto che questo governo non sta facendo nulla. Già credere che le imprese che lavorano per il mercato interno e che già possono licenziare a piacimento, assumano nuovi giovani è una stupidaggine. La questione vera è che Renzi non sta dicendo la verità. Smettiamola di non dire la verità al Paese“. Mineo invoca quindi le elezioni: “Tra la crisi, che è più grave di quello che sembrava, e l’inossidabile tenuta tedesca sulla politica del rigore, gli spazi per governare quasi non ci sono. Molto meglio andare a votare subito con la legge che c’è: il ‘consultellum’. Proporzionale e preferenza”. Il parlamentare attacca poi il premier e il Pd: “Ha ragione qualche intellettuale, come Ilvo Diamanti, quando dice che non siamo più davanti al Partito Democratico, ma al partito di Renzi, e lo chiama PdR. Molti leader del Pd che hanno accettato tutto, anche l’inaccettabile, come la pessima riforma del Senato, ora cominciano a temere di scomparire del tutto”. E sottolinea: “L’atteggiamento e i toni usati da Renzi espellono dalla politica tutti quanti non siano d’accordo con lui: da Bersani a Fassina fino ad Orfini. Il ragionamento è: tutti quelli di prima sono cattivi, Renzi ha ragione, diamogli una delega in bianco. Per questa via possiamo anche abolire il Parlamento“. Mineo, infine, accusa il governo di non affrontare in modo adeguato la questione sulla lotta contro la corruzione e sul conflitto di interessi, a causa dei freni opposti da Forza Italia e Ncd
Si stava meglio quando si stava peggio. (Vecchio proverbio italiano)
A Roma dicheno: "A ridatece i puzzoni"
Siamo proprio messi male.............
Lavoro, Mineo (Pd): ‘Renzi? Non dice il vero. Mi caccino, non voto delega in bianco’
Video
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/09/ ... co/297200/
“Non voterò mai la fiducia su questa delega in bianco, così come non voterò mai una legge elettorale pasticciata come quella che Renzi e Berlusconi stanno preparando. L’Italicum è una truffa. Se mi vogliono cacciare mi caccino“. Sono le dure parole pronunciate dal senatore Pd Corradino Mineo, intervistato da Lanfranco Palazzolo per Radio Radicale, a proposito del ‘jobs act’ e della legge elettorale. E sul primo tema puntualizza: “E’ una delega in bianco. Il governo in realtà vuole che il Parlamento gli consenta di cambiare come vuole e quando vuole, in parte o in tutto, lo statuto dei lavoratori. Dopodiché procederà con i relativi decreti legislativi senza alcun controllo delle Camere. C’è la solita insofferenza nei confronti del Parlamento“. E aggiunge: “I soldi per fare una riforma del lavoro non ci sono. Questa storia tutta ideologica sull’articolo 18 nasconde il fatto che questo governo non sta facendo nulla. Già credere che le imprese che lavorano per il mercato interno e che già possono licenziare a piacimento, assumano nuovi giovani è una stupidaggine. La questione vera è che Renzi non sta dicendo la verità. Smettiamola di non dire la verità al Paese“. Mineo invoca quindi le elezioni: “Tra la crisi, che è più grave di quello che sembrava, e l’inossidabile tenuta tedesca sulla politica del rigore, gli spazi per governare quasi non ci sono. Molto meglio andare a votare subito con la legge che c’è: il ‘consultellum’. Proporzionale e preferenza”. Il parlamentare attacca poi il premier e il Pd: “Ha ragione qualche intellettuale, come Ilvo Diamanti, quando dice che non siamo più davanti al Partito Democratico, ma al partito di Renzi, e lo chiama PdR. Molti leader del Pd che hanno accettato tutto, anche l’inaccettabile, come la pessima riforma del Senato, ora cominciano a temere di scomparire del tutto”. E sottolinea: “L’atteggiamento e i toni usati da Renzi espellono dalla politica tutti quanti non siano d’accordo con lui: da Bersani a Fassina fino ad Orfini. Il ragionamento è: tutti quelli di prima sono cattivi, Renzi ha ragione, diamogli una delega in bianco. Per questa via possiamo anche abolire il Parlamento“. Mineo, infine, accusa il governo di non affrontare in modo adeguato la questione sulla lotta contro la corruzione e sul conflitto di interessi, a causa dei freni opposti da Forza Italia e Ncd
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Re: articolo 18
il Fatto 20.9.14
Video-Renzi: “Il sindacato sono io”
Camusso lo paragona alla Thatcher per la riforma del lavoro e il premier si scatena:
“Vecchie polemiche ideologiche: avete creato il precariato, io tutelo chi non ha diritti”
di Marco Palombi
Non si può dire che gli manchi l’entusiasmo o che non sappia trasformare i problemi in opportunità. Prendiamo la riforma del mercato del lavoro - cioè licenziamenti più facili e assunzioni meno onerose - quello che si tenta di fare con la legge delega chiamata Jobs Act. Matteo Renzi non può non farla: glielo ha spiegato Mario Draghi nell’incontro agostano di Santa Maria della Pieve, glielo hanno detto tanto la Commissione Ue che Berlino, glielo ribadiscono ogni volta che possono il Fmi e le grandi banche anglo-americane. Per venire a fare shopping di imprese italiane (attrarre capitali esteri, nel linguaggio corrente) serve comprimere i diritti di chi lavora. E lui lo fa, ma insieme attacca il sindacato che ha “creato il precariato”, “difende solo gli statali” fannulloni e se ne frega “dei diritti di chi non ha diritti”. Parole di miele per quelli che al bar sostengono che “l’Italia l’hanno rovinata i sindacati” (non proprio elettori del Pd, in genere, ma in futuro...).
ANDIAMO con ordine. Renzi - visto l’andazzo sui conti pubblici - per non farsi commissariare da Bruxelles è costretto a procedere a passo di carica sulla riforma del lavoro: vorrebbe almeno il sì del Senato (va in aula la settimana prossima) “prima dell’8 ottobre”, vale a dire del summit Ue sulla disoccupazione convocato a Milano. Il tentativo, attraverso il “contratto a tutele crescenti”, di scardinare l’articolo 18 dei lavoratori che prevede (anche) il reintegro in caso di licenziamento illegittimo, ha però irritato non poco i sindacati (peraltro neanche convocati a palazzo Chigi): “Mi sembra che il presidente del Consiglio - ha scandito ieri la leader della Cgil Susanna Camusso - abbia un po’ troppo in mente il modello della Thatcher”, specie nell’idea che “la riduzione dei diritti dei lavoratori sia lo strumento che permette di competere”.
Critica a cui Renzi ha risposto con un videomessaggio registrato nel suo studio di palazzo Chigi che inaugura la guerra ai confederali. Tutto un florilegio delle critiche conservatrici al sindacato: dal passatismo alla contrapposizione tra tutelati e no, il tutto condito da maestose supercazzole. “La Camusso dice che pensiamo alla Thatcher - dice Renzi - ma noi non siamo impegnati in uno scontro ideologico del passato. Noi non siamo preoccupati di Margaret Thatcher, ma di Marta, 28 anni, che non ha diritto alla maternità: aspetta un bambino ma a differenza delle sue amiche dipendenti pubbliche
non ha nessuna garanzia. Abbiamo cittadini di serie A e serie B” (dal che si dedurrebbe che è colpa dei diritti delle sue amiche statali se Marta non ne ha).
ALTRO GIRO, altro cliché: “Noi non pensiamo alla Thatcher, ma a quelli a cui non ha pensato nessuno in questi anni, che vivono di Co.co.co, condannati al precariato che il sindacato ha contribuito a creare preoccupandosi solo dei diritti di alcuni e non di tutti. Noi vogliamo regole giuste e non complicate. Se queste nuove regole spingono aziende, magari straniere, a investire in Italia e creare posti di lavoro sarà fondamentale per dare lavoro a chi non ce l’ha” (dal che si dedurrebbe che le multinazionali chiedono di eliminare il precariato e non, com’è, di estenderlo anche a chi oggi non ne è toccato).
Il finale è l’attacco al cuore di Camusso e soci: “Ai sindacati che contestano non chiedo di aspettare di vedere le leggi, ma questo: dove eravate mentre si è prodotta la più grande ingiustizia che c’è in Italia, cioè la divisione tra chi ha un lavoro e chi no, tra lavoratori a tempo indeterminato e precari? Avete pensato solo alle battaglie ideologiche e non ai problemi della gente” (dal che sembrerebbe, ma non succederà, che Renzi pensa di estendere il tempo indeterminato a tutti perché lui pensa ai problemi della gente).
APPLAUSI dalla destra ovviamente (Renato Brunetta: “Se il Pd non da retta alla Cgil votiamo il Jobs Act”), parecchia irritazione nell’ala sinistra del Pd. Pier Luigi Bersani ha vaticinato che “saranno presentati molti emendamenti e non solo sul reintegro in caso di licenziamento ingiusto. Così si va ad aggiungere alla precarietà ulteriore precarietà, andiamo a frantumare i diritti: sarà battaglia”. L’attuale formulazione dell’articolo 18, fa notare poi Cesare Damiano, “è stata modificata appena due anni fa con l’accordo di Pd e Fi e deve rimanere anche per i neoassunti”. Curioso che, dopo un attacco di questa portata al ruolo del sindacato, Luigi Angeletti della Uil senta il bisogno di distinguersi da Susanna Camusso: “Questa sorta di duello rusticano tra Renzi e la Cgil ci sta stufando. Quando non si ha uno straccio di argomentazione convincente si usano solo slogan. Renzi non è la Thatcher, ma il fatto che in passato non abbiamo avuto la forza di difendere quei lavoratori poco tutelati non è una buona argomentazione per togliere protezioni a chi ce l’ha”. Piccola notazione finale: al di là dello scontro con Camusso, il premier dovrebbe sapere che politiche di offerta (come le riforme del lavoro) in una crisi di domanda non servono a nulla (se non a far felice chi avrebbe assunto comunque).
Video-Renzi: “Il sindacato sono io”
Camusso lo paragona alla Thatcher per la riforma del lavoro e il premier si scatena:
“Vecchie polemiche ideologiche: avete creato il precariato, io tutelo chi non ha diritti”
di Marco Palombi
Non si può dire che gli manchi l’entusiasmo o che non sappia trasformare i problemi in opportunità. Prendiamo la riforma del mercato del lavoro - cioè licenziamenti più facili e assunzioni meno onerose - quello che si tenta di fare con la legge delega chiamata Jobs Act. Matteo Renzi non può non farla: glielo ha spiegato Mario Draghi nell’incontro agostano di Santa Maria della Pieve, glielo hanno detto tanto la Commissione Ue che Berlino, glielo ribadiscono ogni volta che possono il Fmi e le grandi banche anglo-americane. Per venire a fare shopping di imprese italiane (attrarre capitali esteri, nel linguaggio corrente) serve comprimere i diritti di chi lavora. E lui lo fa, ma insieme attacca il sindacato che ha “creato il precariato”, “difende solo gli statali” fannulloni e se ne frega “dei diritti di chi non ha diritti”. Parole di miele per quelli che al bar sostengono che “l’Italia l’hanno rovinata i sindacati” (non proprio elettori del Pd, in genere, ma in futuro...).
ANDIAMO con ordine. Renzi - visto l’andazzo sui conti pubblici - per non farsi commissariare da Bruxelles è costretto a procedere a passo di carica sulla riforma del lavoro: vorrebbe almeno il sì del Senato (va in aula la settimana prossima) “prima dell’8 ottobre”, vale a dire del summit Ue sulla disoccupazione convocato a Milano. Il tentativo, attraverso il “contratto a tutele crescenti”, di scardinare l’articolo 18 dei lavoratori che prevede (anche) il reintegro in caso di licenziamento illegittimo, ha però irritato non poco i sindacati (peraltro neanche convocati a palazzo Chigi): “Mi sembra che il presidente del Consiglio - ha scandito ieri la leader della Cgil Susanna Camusso - abbia un po’ troppo in mente il modello della Thatcher”, specie nell’idea che “la riduzione dei diritti dei lavoratori sia lo strumento che permette di competere”.
Critica a cui Renzi ha risposto con un videomessaggio registrato nel suo studio di palazzo Chigi che inaugura la guerra ai confederali. Tutto un florilegio delle critiche conservatrici al sindacato: dal passatismo alla contrapposizione tra tutelati e no, il tutto condito da maestose supercazzole. “La Camusso dice che pensiamo alla Thatcher - dice Renzi - ma noi non siamo impegnati in uno scontro ideologico del passato. Noi non siamo preoccupati di Margaret Thatcher, ma di Marta, 28 anni, che non ha diritto alla maternità: aspetta un bambino ma a differenza delle sue amiche dipendenti pubbliche
non ha nessuna garanzia. Abbiamo cittadini di serie A e serie B” (dal che si dedurrebbe che è colpa dei diritti delle sue amiche statali se Marta non ne ha).
ALTRO GIRO, altro cliché: “Noi non pensiamo alla Thatcher, ma a quelli a cui non ha pensato nessuno in questi anni, che vivono di Co.co.co, condannati al precariato che il sindacato ha contribuito a creare preoccupandosi solo dei diritti di alcuni e non di tutti. Noi vogliamo regole giuste e non complicate. Se queste nuove regole spingono aziende, magari straniere, a investire in Italia e creare posti di lavoro sarà fondamentale per dare lavoro a chi non ce l’ha” (dal che si dedurrebbe che le multinazionali chiedono di eliminare il precariato e non, com’è, di estenderlo anche a chi oggi non ne è toccato).
Il finale è l’attacco al cuore di Camusso e soci: “Ai sindacati che contestano non chiedo di aspettare di vedere le leggi, ma questo: dove eravate mentre si è prodotta la più grande ingiustizia che c’è in Italia, cioè la divisione tra chi ha un lavoro e chi no, tra lavoratori a tempo indeterminato e precari? Avete pensato solo alle battaglie ideologiche e non ai problemi della gente” (dal che sembrerebbe, ma non succederà, che Renzi pensa di estendere il tempo indeterminato a tutti perché lui pensa ai problemi della gente).
APPLAUSI dalla destra ovviamente (Renato Brunetta: “Se il Pd non da retta alla Cgil votiamo il Jobs Act”), parecchia irritazione nell’ala sinistra del Pd. Pier Luigi Bersani ha vaticinato che “saranno presentati molti emendamenti e non solo sul reintegro in caso di licenziamento ingiusto. Così si va ad aggiungere alla precarietà ulteriore precarietà, andiamo a frantumare i diritti: sarà battaglia”. L’attuale formulazione dell’articolo 18, fa notare poi Cesare Damiano, “è stata modificata appena due anni fa con l’accordo di Pd e Fi e deve rimanere anche per i neoassunti”. Curioso che, dopo un attacco di questa portata al ruolo del sindacato, Luigi Angeletti della Uil senta il bisogno di distinguersi da Susanna Camusso: “Questa sorta di duello rusticano tra Renzi e la Cgil ci sta stufando. Quando non si ha uno straccio di argomentazione convincente si usano solo slogan. Renzi non è la Thatcher, ma il fatto che in passato non abbiamo avuto la forza di difendere quei lavoratori poco tutelati non è una buona argomentazione per togliere protezioni a chi ce l’ha”. Piccola notazione finale: al di là dello scontro con Camusso, il premier dovrebbe sapere che politiche di offerta (come le riforme del lavoro) in una crisi di domanda non servono a nulla (se non a far felice chi avrebbe assunto comunque).
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Re: articolo 18
Repubblica 20.9.14
La colonna di Marco Aurelio e una tele-vendita aggressiva
Il video del premier supera la lezione berlusconiana
di Filippo Ceccarelli
ROMA Dalla tele-vendita alla adlocutio, che sarebbe il discorso dell’imperatore alle truppe, la distanza è apparentemente abissale, e se ne trova conferma nella colonna di Marco Aurelio che giganteggia alle spalle del presidente Renzi.
Non si penserà mica che sia finita lì per un caso. Nel lungo bassorilievo che si attorciglia nel marmo è descritto l’imperatore filosofo che debella Germani e Sarmati, in appena due minuti e mezzo il tele-premier della post- politica mette in rete un marketing aggressivo contro i sindacati «ideologici».
Il video di Palazzo Chigi è un piccolo gioiello di propaganda o, se si preferisce, di comunicazione all’altezza dei tempi. Quindi a suo modo efficace, a cominciare dalla tempistica, che oscura i malanni economici dell’Italia, le ripetute sconfitte in Parlamento e gli impicci familiari.
Lo strumento scelto non è berlusconiano, è di più: indica l’evoluzione della specie relegando definitivamente i filmati del Cavaliere — mesti, fermi, noiosi, quella scrivania vasta e pomposa, quel damasco polveroso, quel lampadario di inutile lusso — nell’archeologia visiva di un tempo remoto.
Renzi parte a bocca aperta, poi fa imitazione della Camusso attribuendole un tono ridicolmente stentoreo, quindi torna se stesso, socchiude gli occhi, aggrotta la fronte, alza il sopracciglio e a tratti anche la voce. «Con le parole — ha detto una volta Berlusconi — il ragazzo è bravo».
Per quanto riguarda i contenuti la faccenda è più complicata. Ma la tecnica dello storytelling, o narrazione di servizio, ha proprio lo scopo di superare ogni possibile divaricazione. Così contro la prevedibile retorica sindacale che evoca la Thatcher, contro gli scontati racconti collettivi del secolo scorso, cosa ti inventa il giovane premier formatosi nell’intrattenimento?
Ecco, convoca una certa «Marta», non solo giovane e precaria, ma anche e perfino incinta, e poi «Giuseppe», cinquantenne senza tutele, e infine un anonimo artigiano vessato dalle banche. Sono persone che non esistono, ma in qualche modo sì, perché lui, battezzandole, le fa vedere e le rende vive, in ciò facendone dei testimonial funzionali alla sua, di retorica.
Tutto questo sembra che il premier dica e faccia con maggiore intensità dopo essersi tolto la giacca. La camicia bianca, ormai divenuta una sorta di uniforme e addirittura esportata ai leader della sinistra europea, lo rende qualcosa di più che un politico diverso da tutti gli altri: un brand, una marca e insieme un marchio di successo. Di lotta e di governo, mai come in questo video-messaggio.
In una approfondita disamina al recente festival della Mente di Sarzana, Marco Belpoliti, col sussidio di esempi storici e di parecchie immagini, ha concluso che i più accorti leader di questo tempo privo di ideologie tendono a operare nella società come la Apple o la Coca Cola. «L’hanno imparato a fare dagli attori hollywoodiani» aggiunge. «Le sette camicie di Matteo» — questo il titolo — dicono che l’indumento dello stilista Scervino è parte essenziale dello stile, della strategia, «notorietà e desiderabilità» incluse.
Ma recitava Renzi nel suo video di guerra alla Cgil? Certo che sì. Tutti i politici più o meno lo fanno. Lui meglio — anche se ieri le mani, che pure sono parte fondamentale della sua recitazione, si vedevano e non si vedevano. Anche in questo superando la lezione berlusconiana, quanto a tecnica attoriale il premier comunica sincerità «a prescindere dai fatti». In altre parole è la premessa della persuasione. I cococò e i cocoprò, menzionati con qualche lampo di troppo, avranno modo di giudicare.
Il momento migliore quando sembrava che l’ardore dell’oratoria presidenziale si fosse placato e invece, a sorpresa, lui è ripartito in quarta accusando gli odiosi «ideologici » con la formula, che è da sempre la sua grande forza: «Dove eravate in questi anni »? Qui il messaggio è ritornato implicitamente alle origini del renzismo: rottura generazionale, giovinezza, rottamazione, illimitata fiducia in se stesso. Quindi slogan pubblicitario, dall’inclinazione vagamente pannelliana: difendiamo «i diritti di chi non ha diritti».
Io, noi, siamo dunque i buoni. Loro, che si opporranno a questa mirabile riforma, sono i cattivi. La vedremo. La politica post-ideologica, dopo tutto, non coltiva sfumature e pencola e slitta sempre un po’ sul manicheismo e un ingenuo semplicismo. Ne fa fede una genericità che nell’oratoria del premier in camicia risuona spesso come una sospetta costante. Il nuovo mercato del lavoro sarà «giusto»; le nuove regole pure «giuste» — ci mancherebbe — e «non complicate»; il suo sforzo sarà compiuto «in modo concreto e serio ». Fine.
Poi, appunto, i video finiscono e di solito tutto si rivela terribilmente difficile. La realtà si prende i suoi tempi e le sue rivincite. Nel frattempo, fuori dalla finestra di palazzo Chigi, il lungo bassorilievo della Colonna e dei trionfi di Marco Aurelio ancora una volta confermavano che in genere la storia procede come vuole lei.
La Stampa 20.9.14
Un video su Youtube per chiudere con il “vecchio”
di Mattia Feltri
Sarebbe piaciuto tanto a Silvio Berlusconi che qualcuno gli desse dell’epigono di Margaret Thatcher. Figuriamoci, soltanto qualche sprovveduto è cascato nell’errore, e di rado e non Susanna Camusso, nemmeno ieri che ha descritto Matteo Renzi come una sintesi del thatcherismo e del berlusconismo, giusto per mettere assieme un male nobile e un male abietto.
Doveva essere, sempre che ci fosse strategia, l’insolenza perfetta rivolta al leader di un partito collocato a sinistra, secondo gli schemi di ieri applicati a oggi per ragioni di comodità. E ieri Renzi ci ha messo forse mezz’ora per armare la replica e portare a casa il match col punteggio di tre a zero.
Per l’occasione il premier ha abbandonato i ferri del mestiere, tweet e roba del genere, e ha registrato un video artigianale in cui - camicia bianca, finestra di Palazzo Chigi aperta, colonna di Marco Aurelio alle spalle - ha spostato la questione per la millesima volta con una facilità umiliante, e con una ferocia inedita nella storia dei rapporti fra partitone e Cgil.
Non è la Thatcher che ci preoccupa, ha detto, ma è Marta che è una precaria incinta di ventotto anni; non è la Thatcher, ma Giuseppe, cinquantenne senza lavoro. Non sono le vostre polemiche novecentesche - intendeva dire - a smuovere il nostro orgoglio o la nostra suscettibilità, non i vostri paralleli muffiti a stuzzicarci, né i vostri orizzonti confusi e ormai rimasti alle spalle del resto del mondo.
Niente, non la capiscono. Lo si è scritto fino ad averne il mal di stomaco che Renzi parla in un altro modo, ad altra gente, ha interlocutori diversi, non riceve il sindacato, non va da Confindustria, rifugge ogni liturgia istituzionale, si è messo su un piano diverso - più in alto o più in basso, qui non importa - e gli altri non se ne sono accorti.
Si leggono sui giornali le interviste a Sergio Cofferati e a Guglielmo Epifani, si vedono le foto del Circo Massimo gremito in ostilità a Berlusconi, le bandiere rosse, tutto un armamentario di volti e simboli e lessico ormai disastrosamente inefficaci.
Difendete le vostre battaglie ideologiche - ha detto ancora Renzi - e non i problemi concreti della gente, difendete il vostro ormai piccolo e declinante potere per non occuparvi dei «diritti di chi non ha diritti». Voi siete il vecchio, vi occupate del vecchio, parlate da vecchi. Resta da stabilire, aspetto non da poco, se il nuovo, oltre a parlare da nuovo, saprà davvero occuparsi di Marta e Giuseppe.
La colonna di Marco Aurelio e una tele-vendita aggressiva
Il video del premier supera la lezione berlusconiana
di Filippo Ceccarelli
ROMA Dalla tele-vendita alla adlocutio, che sarebbe il discorso dell’imperatore alle truppe, la distanza è apparentemente abissale, e se ne trova conferma nella colonna di Marco Aurelio che giganteggia alle spalle del presidente Renzi.
Non si penserà mica che sia finita lì per un caso. Nel lungo bassorilievo che si attorciglia nel marmo è descritto l’imperatore filosofo che debella Germani e Sarmati, in appena due minuti e mezzo il tele-premier della post- politica mette in rete un marketing aggressivo contro i sindacati «ideologici».
Il video di Palazzo Chigi è un piccolo gioiello di propaganda o, se si preferisce, di comunicazione all’altezza dei tempi. Quindi a suo modo efficace, a cominciare dalla tempistica, che oscura i malanni economici dell’Italia, le ripetute sconfitte in Parlamento e gli impicci familiari.
Lo strumento scelto non è berlusconiano, è di più: indica l’evoluzione della specie relegando definitivamente i filmati del Cavaliere — mesti, fermi, noiosi, quella scrivania vasta e pomposa, quel damasco polveroso, quel lampadario di inutile lusso — nell’archeologia visiva di un tempo remoto.
Renzi parte a bocca aperta, poi fa imitazione della Camusso attribuendole un tono ridicolmente stentoreo, quindi torna se stesso, socchiude gli occhi, aggrotta la fronte, alza il sopracciglio e a tratti anche la voce. «Con le parole — ha detto una volta Berlusconi — il ragazzo è bravo».
Per quanto riguarda i contenuti la faccenda è più complicata. Ma la tecnica dello storytelling, o narrazione di servizio, ha proprio lo scopo di superare ogni possibile divaricazione. Così contro la prevedibile retorica sindacale che evoca la Thatcher, contro gli scontati racconti collettivi del secolo scorso, cosa ti inventa il giovane premier formatosi nell’intrattenimento?
Ecco, convoca una certa «Marta», non solo giovane e precaria, ma anche e perfino incinta, e poi «Giuseppe», cinquantenne senza tutele, e infine un anonimo artigiano vessato dalle banche. Sono persone che non esistono, ma in qualche modo sì, perché lui, battezzandole, le fa vedere e le rende vive, in ciò facendone dei testimonial funzionali alla sua, di retorica.
Tutto questo sembra che il premier dica e faccia con maggiore intensità dopo essersi tolto la giacca. La camicia bianca, ormai divenuta una sorta di uniforme e addirittura esportata ai leader della sinistra europea, lo rende qualcosa di più che un politico diverso da tutti gli altri: un brand, una marca e insieme un marchio di successo. Di lotta e di governo, mai come in questo video-messaggio.
In una approfondita disamina al recente festival della Mente di Sarzana, Marco Belpoliti, col sussidio di esempi storici e di parecchie immagini, ha concluso che i più accorti leader di questo tempo privo di ideologie tendono a operare nella società come la Apple o la Coca Cola. «L’hanno imparato a fare dagli attori hollywoodiani» aggiunge. «Le sette camicie di Matteo» — questo il titolo — dicono che l’indumento dello stilista Scervino è parte essenziale dello stile, della strategia, «notorietà e desiderabilità» incluse.
Ma recitava Renzi nel suo video di guerra alla Cgil? Certo che sì. Tutti i politici più o meno lo fanno. Lui meglio — anche se ieri le mani, che pure sono parte fondamentale della sua recitazione, si vedevano e non si vedevano. Anche in questo superando la lezione berlusconiana, quanto a tecnica attoriale il premier comunica sincerità «a prescindere dai fatti». In altre parole è la premessa della persuasione. I cococò e i cocoprò, menzionati con qualche lampo di troppo, avranno modo di giudicare.
Il momento migliore quando sembrava che l’ardore dell’oratoria presidenziale si fosse placato e invece, a sorpresa, lui è ripartito in quarta accusando gli odiosi «ideologici » con la formula, che è da sempre la sua grande forza: «Dove eravate in questi anni »? Qui il messaggio è ritornato implicitamente alle origini del renzismo: rottura generazionale, giovinezza, rottamazione, illimitata fiducia in se stesso. Quindi slogan pubblicitario, dall’inclinazione vagamente pannelliana: difendiamo «i diritti di chi non ha diritti».
Io, noi, siamo dunque i buoni. Loro, che si opporranno a questa mirabile riforma, sono i cattivi. La vedremo. La politica post-ideologica, dopo tutto, non coltiva sfumature e pencola e slitta sempre un po’ sul manicheismo e un ingenuo semplicismo. Ne fa fede una genericità che nell’oratoria del premier in camicia risuona spesso come una sospetta costante. Il nuovo mercato del lavoro sarà «giusto»; le nuove regole pure «giuste» — ci mancherebbe — e «non complicate»; il suo sforzo sarà compiuto «in modo concreto e serio ». Fine.
Poi, appunto, i video finiscono e di solito tutto si rivela terribilmente difficile. La realtà si prende i suoi tempi e le sue rivincite. Nel frattempo, fuori dalla finestra di palazzo Chigi, il lungo bassorilievo della Colonna e dei trionfi di Marco Aurelio ancora una volta confermavano che in genere la storia procede come vuole lei.
La Stampa 20.9.14
Un video su Youtube per chiudere con il “vecchio”
di Mattia Feltri
Sarebbe piaciuto tanto a Silvio Berlusconi che qualcuno gli desse dell’epigono di Margaret Thatcher. Figuriamoci, soltanto qualche sprovveduto è cascato nell’errore, e di rado e non Susanna Camusso, nemmeno ieri che ha descritto Matteo Renzi come una sintesi del thatcherismo e del berlusconismo, giusto per mettere assieme un male nobile e un male abietto.
Doveva essere, sempre che ci fosse strategia, l’insolenza perfetta rivolta al leader di un partito collocato a sinistra, secondo gli schemi di ieri applicati a oggi per ragioni di comodità. E ieri Renzi ci ha messo forse mezz’ora per armare la replica e portare a casa il match col punteggio di tre a zero.
Per l’occasione il premier ha abbandonato i ferri del mestiere, tweet e roba del genere, e ha registrato un video artigianale in cui - camicia bianca, finestra di Palazzo Chigi aperta, colonna di Marco Aurelio alle spalle - ha spostato la questione per la millesima volta con una facilità umiliante, e con una ferocia inedita nella storia dei rapporti fra partitone e Cgil.
Non è la Thatcher che ci preoccupa, ha detto, ma è Marta che è una precaria incinta di ventotto anni; non è la Thatcher, ma Giuseppe, cinquantenne senza lavoro. Non sono le vostre polemiche novecentesche - intendeva dire - a smuovere il nostro orgoglio o la nostra suscettibilità, non i vostri paralleli muffiti a stuzzicarci, né i vostri orizzonti confusi e ormai rimasti alle spalle del resto del mondo.
Niente, non la capiscono. Lo si è scritto fino ad averne il mal di stomaco che Renzi parla in un altro modo, ad altra gente, ha interlocutori diversi, non riceve il sindacato, non va da Confindustria, rifugge ogni liturgia istituzionale, si è messo su un piano diverso - più in alto o più in basso, qui non importa - e gli altri non se ne sono accorti.
Si leggono sui giornali le interviste a Sergio Cofferati e a Guglielmo Epifani, si vedono le foto del Circo Massimo gremito in ostilità a Berlusconi, le bandiere rosse, tutto un armamentario di volti e simboli e lessico ormai disastrosamente inefficaci.
Difendete le vostre battaglie ideologiche - ha detto ancora Renzi - e non i problemi concreti della gente, difendete il vostro ormai piccolo e declinante potere per non occuparvi dei «diritti di chi non ha diritti». Voi siete il vecchio, vi occupate del vecchio, parlate da vecchi. Resta da stabilire, aspetto non da poco, se il nuovo, oltre a parlare da nuovo, saprà davvero occuparsi di Marta e Giuseppe.
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Re: articolo 18
Renzi forse non ha capito una cosa.In parlamento ci sono le persone che nelle votazioni politiche Vinte da Bersani, non sono persone messe da lui.Quindi ........
Ciao
Paolo11
Ciao
Paolo11
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Re: articolo 18
Renzi DEVE essere mandato a casa per evitare danni irreversibili all'Italia... Spero che la parte sana del PD capisca e se ne vada da quello pseudo partito...
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Re: articolo 18
http://www.ilgiornale.it/video/interni/ ... 09071.html
Lo Stato salderà solo 13 miliardi di debiti. Una cifra di gran lunga inferiore alle promesse. Eppure a Vespa aveva detto: "Se non pago, caro Bruno, andrai in pellegrinaggio a Monte Senario". Il premier sta per perdere la scommessa
Mer, 09/04/2014 - 14:31
...................
Renzi hai cominciato a camminare...............
Ciao
Paolo11
Lo Stato salderà solo 13 miliardi di debiti. Una cifra di gran lunga inferiore alle promesse. Eppure a Vespa aveva detto: "Se non pago, caro Bruno, andrai in pellegrinaggio a Monte Senario". Il premier sta per perdere la scommessa
Mer, 09/04/2014 - 14:31
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Renzi hai cominciato a camminare...............
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Paolo11
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Re: articolo 18
Articolo 18, Renzi avverte il Pd: “La riforma dà diritti”. Da Brunetta “soccorso azzurro”
Tra i dem si infiamma lo scontro sul Jobs Act. Il premier: "Dopo il 40,8% delle europee non si può continuare con la 'ammuina', cambieremo davvero. Anche la Costituzione". Cuperlo ribatte: "Delega vaga, basta ultimatum". Il capogruppo berlusconiano apre: "Pronti a votare la fiducia, ma passando per una crisi di governo". Angeletti (Uil): "Sì a nuovi contratti, ma tutele acquisite non si toccano"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 21 settembre 2014Commenti
Sull’articolo 18 e sul Jobs Act arrivano le geometrie variabili. Forza Italia sbandiera la piena disponbilità a votare la riforma voluta da Matteo Renzi se “quest’ultimo ce la farà a vincere le resistenze vive all’interno del Pd”, come afferma Renato Brunetta. E proprio su questo punto il premier-segretario, intervistato al Tg2, avverte la minoranza dem: “Nel mio partito c’è chi pensa” che dopo il 40,8% alle europee “si possa” continuare con “un ‘facite ammuina‘” per cui “non cambia niente e Renzi fa la foglia di fico: sono cascati male, ho preso questi voti per cambiare l’Italia davvero”.
A una sinistra del partito che annuncia barricate sulla revisione dello Statuto dei lavoratori, Renzi dice che “con la riforma vogliamo rendere più semplice il lavoro: nessuno vuole togliere diritti, ma darli a chi non li ha avuti”. Secondo il premier, “servono nuove regole semplici per gli imprenditori e in grado di garantire chi perde il posto di lavoro”. Ai microfoni del Tg2 Renzi ribadisce che attualmente in Italia “è come se ci fosse la serie A e la serie B” dei lavoratori.
Ma non è solo l’articolo 18 – la norma oggetto di eterno dibattito che garantisce il reintegro dei lavoratori licenziati senza giusta causa – l’oggetto del contendere: “L’Italia deve cambiare: sono anni che continuiamo a cambiare il governo, ma non le cose. E così come riformando la Costituzione non stiamo attentanto alla democrazia”.
La replica della fronda interna non si fa attendere, ed è a muso altrettanto duro: “La delega sul lavoro è ancora troppo vaga. Chi fa il segretario e premier ha il dovere di indicare il percorso”, ribatte l’ex sfidante alla segreteria Gianni Cuperlo. ”Non possiamo accettare una discussione strumentalizzata per dividere il Pd tra innovatori e conservatori o minacciare decreti”. Basta con “le provocazioni e gli ultimatum”, parlare di merito senza “propaganda”.
In questo quadro arriva il “soccorso azzurro”: “Se davvero Renzi ce la farà a vincere le resistenze vive all’interno del Pd e vorrà andare avanti sulla strada che porta al superamento dell’articolo 18 con la riscrittura dello Statuto dei lavoratori avrà il nostro appoggio”, afferma Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, in un’intervista a “Il Mattino”. “Quello che probabilmente succederà -sottolinea- è che il Pd si spaccherà. D’altronde se un partito ha un leader che vuole una cosa e l’altra metà del partito fa le barricate, vuol dire che il Pd non è più un partito. È un elemento di instabilità e di conservazione della politica e della società italiane”.
Brunetta ribadisce che Fi valuterà sulla base dei testi e “se la riforma del mercato del lavoro ci convince e magari il premier chiederà la fiducia noi siamo pronti a votare. Ma a quel punto saranno larghi settori del Pd a votare contro”. Vorrà dire che Fi entra in maggioranza? “Attenzione, niente affatto. Piuttosto significherà il fatto che la maggioranza sarà cambiata e si dovrà passare per una crisi di governo“. Alla domanda a quel punto sarà necessario andare alle urne , Brunetta replica: “Sarà un problema del premier e del segretario del Pd”. E anche del presidente della Repubblica? “Certo, sarà un problema anche del Quirinale che dovrà prendere atto del cambiamento”.
Dal fronte sindacale arriva un’altra apertura, quella del leader della Uil, Luigi Angeletti. “Le forme di tutele che già ci sono, che sono oggi acquisite, non si toccano”, afferma. “Se si vuole provare ad introdurre nel jobs act un nuovo tipo di contratto a tempo indeterminato con un sistema diverso riguardo i licenziamenti illegittimi che riguardi le persone oggi disoccupate e possa, quindi, allargare la platea degli assunti, allora siamo disposti a discuterne”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... o/1128197/
Tra i dem si infiamma lo scontro sul Jobs Act. Il premier: "Dopo il 40,8% delle europee non si può continuare con la 'ammuina', cambieremo davvero. Anche la Costituzione". Cuperlo ribatte: "Delega vaga, basta ultimatum". Il capogruppo berlusconiano apre: "Pronti a votare la fiducia, ma passando per una crisi di governo". Angeletti (Uil): "Sì a nuovi contratti, ma tutele acquisite non si toccano"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 21 settembre 2014Commenti
Sull’articolo 18 e sul Jobs Act arrivano le geometrie variabili. Forza Italia sbandiera la piena disponbilità a votare la riforma voluta da Matteo Renzi se “quest’ultimo ce la farà a vincere le resistenze vive all’interno del Pd”, come afferma Renato Brunetta. E proprio su questo punto il premier-segretario, intervistato al Tg2, avverte la minoranza dem: “Nel mio partito c’è chi pensa” che dopo il 40,8% alle europee “si possa” continuare con “un ‘facite ammuina‘” per cui “non cambia niente e Renzi fa la foglia di fico: sono cascati male, ho preso questi voti per cambiare l’Italia davvero”.
A una sinistra del partito che annuncia barricate sulla revisione dello Statuto dei lavoratori, Renzi dice che “con la riforma vogliamo rendere più semplice il lavoro: nessuno vuole togliere diritti, ma darli a chi non li ha avuti”. Secondo il premier, “servono nuove regole semplici per gli imprenditori e in grado di garantire chi perde il posto di lavoro”. Ai microfoni del Tg2 Renzi ribadisce che attualmente in Italia “è come se ci fosse la serie A e la serie B” dei lavoratori.
Ma non è solo l’articolo 18 – la norma oggetto di eterno dibattito che garantisce il reintegro dei lavoratori licenziati senza giusta causa – l’oggetto del contendere: “L’Italia deve cambiare: sono anni che continuiamo a cambiare il governo, ma non le cose. E così come riformando la Costituzione non stiamo attentanto alla democrazia”.
La replica della fronda interna non si fa attendere, ed è a muso altrettanto duro: “La delega sul lavoro è ancora troppo vaga. Chi fa il segretario e premier ha il dovere di indicare il percorso”, ribatte l’ex sfidante alla segreteria Gianni Cuperlo. ”Non possiamo accettare una discussione strumentalizzata per dividere il Pd tra innovatori e conservatori o minacciare decreti”. Basta con “le provocazioni e gli ultimatum”, parlare di merito senza “propaganda”.
In questo quadro arriva il “soccorso azzurro”: “Se davvero Renzi ce la farà a vincere le resistenze vive all’interno del Pd e vorrà andare avanti sulla strada che porta al superamento dell’articolo 18 con la riscrittura dello Statuto dei lavoratori avrà il nostro appoggio”, afferma Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, in un’intervista a “Il Mattino”. “Quello che probabilmente succederà -sottolinea- è che il Pd si spaccherà. D’altronde se un partito ha un leader che vuole una cosa e l’altra metà del partito fa le barricate, vuol dire che il Pd non è più un partito. È un elemento di instabilità e di conservazione della politica e della società italiane”.
Brunetta ribadisce che Fi valuterà sulla base dei testi e “se la riforma del mercato del lavoro ci convince e magari il premier chiederà la fiducia noi siamo pronti a votare. Ma a quel punto saranno larghi settori del Pd a votare contro”. Vorrà dire che Fi entra in maggioranza? “Attenzione, niente affatto. Piuttosto significherà il fatto che la maggioranza sarà cambiata e si dovrà passare per una crisi di governo“. Alla domanda a quel punto sarà necessario andare alle urne , Brunetta replica: “Sarà un problema del premier e del segretario del Pd”. E anche del presidente della Repubblica? “Certo, sarà un problema anche del Quirinale che dovrà prendere atto del cambiamento”.
Dal fronte sindacale arriva un’altra apertura, quella del leader della Uil, Luigi Angeletti. “Le forme di tutele che già ci sono, che sono oggi acquisite, non si toccano”, afferma. “Se si vuole provare ad introdurre nel jobs act un nuovo tipo di contratto a tempo indeterminato con un sistema diverso riguardo i licenziamenti illegittimi che riguardi le persone oggi disoccupate e possa, quindi, allargare la platea degli assunti, allora siamo disposti a discuterne”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... o/1128197/
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Re: articolo 18
Vedo in lontananza.Il PD si sfascia e Renzi passa con il centrodestra magari in sostituzione di Berlusconi con la sua benedizione.
Ciao
Paolo11
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Paolo11
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Re: articolo 18
Mentre Pinocchio, Benito, Matteo Renzi, apre la guerra per l'articolo 18, La Gabbia manda in onda un servizio SUI NUOVI SCHIAVI NEL NAPOLETANO.
LAVORAVANO AD:
1 EURO
A CUCIRE PER LE GRANDI AZIENDE DI MODA DEL NORD
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Re: articolo 18
http://www.beppegrillo.it/la_cosa/2014/ ... i-lart-18/
Renzi e l’art. 18
http://www.tzetze.it/redazione/2014/09/ ... su_grillo/
Ciao
Paolo11
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http://www.tzetze.it/redazione/2014/09/ ... su_grillo/
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