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Camorra, pentito Iovine: “I Casalesi fecero affari nella gestione dell’emergenza rifiuti”
Il clan puntava agli appalti per le ecoballe. "Giravano molti soldi, a farla da padrone era Michele Zagaria che aveva rapporti privilegiati con la struttura della Regione che assegnava i lavori"
di Vincenzo Iurillo | 30 maggio 2014Commenti (0)
Nei numerosi omissis che costellano i quattro verbali del suo esordio da pentito, forse, si annidano le prime rivelazioni di Antonio Iovine sugli affari del clan dei Casalesi nella gestione dell’emergenza rifiuti in Campania.
Il boss di Gomorra sa. E può raccontare molto. Ne sono certi Antonello Ardituro e Cesare Sirignano, i pm dell’anticamorra napoletana che due settimane fa hanno iniziato a raccogliere le deposizioni del ‘Ninno’.
Qualcosa già trapela nelle parti non omissate e depositate in un processo a Santa Maria Capua Vetere (Caserta) sulle infiltrazioni camorristiche negli appalti di Villa Literno. Nel primo verbale del 13 maggio, dove illustra i contenuti della collaborazione di giustizia, Iovine accenna agli appalti per la costruzione delle piazzole per le ecoballe, i rifiuti tritovagliati e cellophanati che nelle intenzioni del commissariato per l’emergenza avrebbero dovuto rappresentare il combustibile dei termovalorizzatori in costruzione.
“Si trattava di un settore nel quale giravano molti soldi e in questo ambito la faceva da padrone Michele Zagaria, che con il fratello Pasquale aveva rapporti privilegiati con la struttura della Regione che doveva assegnare i lavori e decidere i luoghi dove costruirle”.
Iovine spiega che Zagaria, detto Capastorta - l’altro superboss che insieme a lui ha diviso il comando del clan – “aveva un rapporto diretto con un ingegnere che, in pratica, rispondeva ai suoi ordini nell’ambito di un rapporto di corruzione stabile nel tempo”. E se qualche imprenditore voleva entrare in gioco doveva fare i conti con Zagaria “che pretendeva di avere il monopolio in questo settore”.
Ne sa qualcosa, secondo Iovine, Pasquale Mastrominico, finito nelle maglie dell’inchiesta di Villa Literno. L’impresa Mastrominico riuscì a entrare nell’associazione di imprese di un grosso appalto cittadino perché fu segnalata “a livello politico” a un altro imprenditore, Giovanni Malinconico, che Iovine indica come un proprio “socio” di fatto.
Mastrominico provò anche a inserirsi nel business delle piazzole. “Era riuscito ad avere un buon aggancio, credo proprio con lo stesso ingegnere, per avere la costruzione di una piazzolla su alcuni terreni di famiglia mediante il pagamento di fitti molto remunerativi con contratti decennali. Si trattava di milioni di euro…”. La cosa non fu gradita da Zagaria, che impose un “chiarimento”. Per i Mastrominico andò a trattare con Capastorta, il boss il capoclan Nicola Panaro. “Credo – racconta Iovine – che alla fine Mastrominico riuscì a procedere, anche se non ho saputo con precisione come sia finita”.
Intanto le rivelazioni di Iovine hanno permesso ai di ritrovare quattro Kalashnikov. Armi e munizioni sono state rinvenute dai carabinieri di Caserta Casal di Principe, nell’abitazione di Antonio Cioffo, già condannato per associazione camorristica. L’operazione è stata condotta dal comandante provinciale di Caserta, Giancarlo Scafuri, e coordinata dal pm della Dda Antonello Ardituro. Si tratta del secondo ritrovamento di armi avvenuto grazie alle informazioni dell’ex capo clan dei casalesi.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05 ... i/1007877/
Il clan puntava agli appalti per le ecoballe. "Giravano molti soldi, a farla da padrone era Michele Zagaria che aveva rapporti privilegiati con la struttura della Regione che assegnava i lavori"
di Vincenzo Iurillo | 30 maggio 2014Commenti (0)
Nei numerosi omissis che costellano i quattro verbali del suo esordio da pentito, forse, si annidano le prime rivelazioni di Antonio Iovine sugli affari del clan dei Casalesi nella gestione dell’emergenza rifiuti in Campania.
Il boss di Gomorra sa. E può raccontare molto. Ne sono certi Antonello Ardituro e Cesare Sirignano, i pm dell’anticamorra napoletana che due settimane fa hanno iniziato a raccogliere le deposizioni del ‘Ninno’.
Qualcosa già trapela nelle parti non omissate e depositate in un processo a Santa Maria Capua Vetere (Caserta) sulle infiltrazioni camorristiche negli appalti di Villa Literno. Nel primo verbale del 13 maggio, dove illustra i contenuti della collaborazione di giustizia, Iovine accenna agli appalti per la costruzione delle piazzole per le ecoballe, i rifiuti tritovagliati e cellophanati che nelle intenzioni del commissariato per l’emergenza avrebbero dovuto rappresentare il combustibile dei termovalorizzatori in costruzione.
“Si trattava di un settore nel quale giravano molti soldi e in questo ambito la faceva da padrone Michele Zagaria, che con il fratello Pasquale aveva rapporti privilegiati con la struttura della Regione che doveva assegnare i lavori e decidere i luoghi dove costruirle”.
Iovine spiega che Zagaria, detto Capastorta - l’altro superboss che insieme a lui ha diviso il comando del clan – “aveva un rapporto diretto con un ingegnere che, in pratica, rispondeva ai suoi ordini nell’ambito di un rapporto di corruzione stabile nel tempo”. E se qualche imprenditore voleva entrare in gioco doveva fare i conti con Zagaria “che pretendeva di avere il monopolio in questo settore”.
Ne sa qualcosa, secondo Iovine, Pasquale Mastrominico, finito nelle maglie dell’inchiesta di Villa Literno. L’impresa Mastrominico riuscì a entrare nell’associazione di imprese di un grosso appalto cittadino perché fu segnalata “a livello politico” a un altro imprenditore, Giovanni Malinconico, che Iovine indica come un proprio “socio” di fatto.
Mastrominico provò anche a inserirsi nel business delle piazzole. “Era riuscito ad avere un buon aggancio, credo proprio con lo stesso ingegnere, per avere la costruzione di una piazzolla su alcuni terreni di famiglia mediante il pagamento di fitti molto remunerativi con contratti decennali. Si trattava di milioni di euro…”. La cosa non fu gradita da Zagaria, che impose un “chiarimento”. Per i Mastrominico andò a trattare con Capastorta, il boss il capoclan Nicola Panaro. “Credo – racconta Iovine – che alla fine Mastrominico riuscì a procedere, anche se non ho saputo con precisione come sia finita”.
Intanto le rivelazioni di Iovine hanno permesso ai di ritrovare quattro Kalashnikov. Armi e munizioni sono state rinvenute dai carabinieri di Caserta Casal di Principe, nell’abitazione di Antonio Cioffo, già condannato per associazione camorristica. L’operazione è stata condotta dal comandante provinciale di Caserta, Giancarlo Scafuri, e coordinata dal pm della Dda Antonello Ardituro. Si tratta del secondo ritrovamento di armi avvenuto grazie alle informazioni dell’ex capo clan dei casalesi.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05 ... i/1007877/
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Re: Camorra
I furbetti della denuncia anticamorra
Un gruppo di imprenditori vicino al clan dei Casalesi e a Nicola Cosentino denuncia i boss rinchiusi al 41 bis. Ma secondo la procura antimafia di Napoli si tratta di una strategia per rientrare nel giro dei lavori pubblici. Per questo li ha indagati. Sospetti che trovano conferma nei verbali di un super pentito. Che rivela: «Non sono vittime del clan»
DI GIOVANNI TIZIAN
30 maggio 2014
Gomorra è corsa al si salvi chi può. Un segnale preciso della crisi irreversibile del clan dei Casalesi.
Il padrino numero uno della cupola, Antonio Iovine, si è arreso. Ha iniziato a collaborare con la giustizia indicando gli appoggi politici del Clan.
Altri capi storici stanno mostrando segni di cedimento. I reparti militari sono stati sconfitti. E chi custodisce il tesoro, i prestanome che per decenni si sono arricchiti grazie alla mafia casalese, ora tenta di salvarsi denunciando le estorsioni fatte dalla manovalanza rimasta in circolazione.
Tentano il tutto per tutto. Cercano di risorgere dalle macerie. Secondo la procura antimafia non tutti però sono vittime.
Alcuni degli indagati avevano persino organizzato riunioni con una nota associazione antiracket. Ma gli inquirenti sono intervenuti in tempo per evitare che le finte vittime diventassero paladini della legalità.
Così è finito sotto inchiesta un gruppo di dieci imprenditori di Casapesenna, feudo del clan dei Casalesi.
Sono i titolari di un cartello di aziende che hanno sempre lavorato con enti pubblici nei lavori di somma urgenza per i quali i controlli antimafia sono praticamente nulli.
I pm Antonello Ardituro e Marco Del Gaudio alcune settimane fa hanno ordinato le perquisizioni per una decina di loro. L'ipotesi su cui stanno indagando è concorso esterno in associazione mafiosa.
Non vittime, quindi, ma fiancheggiatori del super boss Michele Zagaria. La mente imprenditoriale del Clan. E le conferme arrivano proprio dal suo braccio destro: il pentito Massimiliano Caterino.
Tra gli imprenditori ci sono Giuseppe Fontana, Francesco Martino e Raffaele Galoppo. Tutti e tre già indagati nella vicenda degli appalti per la manutenzione della rete idrica regionale. Al centro ci sarebbe proprio Fontana. Da lui sono partiti gli inquirenti. Colpito da un interdittiva antimafia (il provvedimento della prefettura che vieta alle aziende di partecipare ai lavori pubblici), avrebbe tentato di aggirare l’ostacolo legandosi ad altri imprenditori e portando a sua discolpa una recente denuncia per estorsione. Un gioco di prestigio per mettere le mani sull’appalto “la bandiera blu” sul litorale domitio.
Chi doveva controllare però non è caduto nel tranello e ha escluso la cordata. Ma Pino Fontana ha amici importanti.
Fulvio Martusciello, assessore della giunta Caldoro e neo europarlamentare di Forza Italia, è uno di questi.
Secondo quanto riportano i carabinieri nell'informativa agli atti del processo Cosentino, Martusciello avrebbe chiesto a Fontana di organizzare un incontro a casa di Nick 'o Mericano, il potente ex sottosegretario del governo Berlusconi imputato per camorra.
L'assessore e Fontana hanno fatto visita a Cosentino il 22 dicembre scorso. «Una visita di cortesia», si è difeso Martusciello. La pensano diversamente i militari dell'Arma. Che hanno concentrato l'attenzione sull'imprenditore e sulla denuncia presentata per un'estorsione subita dalla manovalanza del clan. La trama è intricata. Ma i pm di Napoli avrebbero trovato importanti riscontri grazie al nuovo pentito Massimiliano Caterino. Fino all'arresto era il cassiere della famiglia Zagaria.
Non un soldato qualunque, dunque, ma l'archivio vivente degli affari. «Con riferimento agli imprenditori che ho citato devo ribadire che essi non sono assolutamente, non possono ritenersi vittime del clan», ha raccontato Massimiliano Caterino. “O Mastrone”, questo il suo soprannome, ha riempito verbali che scottano.
Il collaboratore di giustizia conosce a memoria i fiancheggiatori, i prestanome, i complici annidati negli apparati amministrativi e burocratici. Ha iniziato a fare i nomi dei tanti imprenditori al servizio del boss. «Michele Zagaria godeva di eccezionale rispetto e stima da parte di tantissimi imprenditori ed anzi il suo clan si caratterizzava essenzialmente per la capacità economica e di gestione di questi rapporti. Me ne sono occupato io personalmente per tanti anni proprio per conto di Zagaria il quale si fidava di me anche perché evitavo di trattare queste vicende con la violenza o le minacce», ha rivelato Caterino in un recente interrogatorio.
Un verbale - letto da “l'Espresso”- che ha permesso alla distrettuale antimafia di mettere insieme i pezzi del mosaico. E di proseguire nell'inchiesta sulle false denunce di un gruppo di aziende legate alla camorra casalese. Che grazie a Franco Zagaria, cognato del padrino di Gomorra, ha ottenuto numerosi appalti dalla Regione, dalla Provincia di Caserta e dai Comuni del Casertano. «Francuccio Zagaria per conto di Michele Zagaria riusciva a gestire i rapporti anche con le amministrazioni pubbliche», ha dichiarato il pentito. Seguono numerosi omissis, che lasciano presagire altri filoni investigativi. Sulle false denunce poi aggiunge: «Avevano una tutela e una protezione anche nei confronti delle altre organizzazioni criminali che operavano nei vari territori dove prendevano appalti, anche fuori dalla provincia di Caserta... pagavano una percentuale al clan competente per territorio sui lavori che svolgevano grazie alla nostra mediazione. Allo stesso modo pagavano noi quando i lavori si svolgevano nei territori di nostra competenza. In ogni caso, e a prescindere da queste divisioni territoriali, facevano sempre un regalo per ciascun lavoro a Michele Zagaria in relazione al particolare rapporto che avevano con lui».
Il braccio destro di Zagaria ha «un rapporto confidenziale» con Fontana, tanto che lo «invitò al suo matrimonio». Alla cerimonia era presente «Carmine Zagaria (il padre del capo clan) con il quale aveva un fortissimo legame». Caterino spiega ai pm di essersi mosso per l'imprenditore amico di Cosentino: «Per Fontana mi sono interessato spesso di sistemare gli accordi con i clan di zona dove svolgeva i lavori». L'imprenditore è stato interrogato. A sua discolpa ha portato la denuncia presentata nel 2013 contro un affiliato. Sostiene di non avere rapporti con Nicola Cosentino, ma di conoscere il fratello del politico, e di essere cugino di primo grado di Franco Zagaria, l'ufficiale di collegamento tra clan e apparati pubblici. Cugini sì, «ma non lo frequento», ha detto agli inquirenti. Che gli hanno chiesto anche se ha mai pagato tangenti per i lavori all'acquedotto e finanziato campagne elettorali. A entrambe le domande ha risposto di no. Quando poi nell'interrogatorio è stato tirato in ballo il provvedimento con cui la prefettura gli ha ritirato il certificato antimafia, Fontana si è difeso spiegando che ha presentato istanza di revisione. L'elemento che ha portato a supporto della domanda? «La denuncia che ho presentato ai carabinieri nel 2013 per estorsioni subite dal 2004 al 2012».
E per convincere gli inquirenti che lui è una vera vittima, si aggrappa alle amicizie nell'antiracket. Definendosi molto amico di due imprenditori che nel 2010 hanno fatto arrestare il padre, il fratello e gli scagnozzi del potente boss Michele Zagaria. Che con il pentimento dell'altro capo assoluto, Antonio Iovine “o Ninno”, si trova isolato e in difficoltà. Una collaborazione decisiva. Che potrà svelare coperture politiche e imprenditoriali del clan di Gomorra. Insomma, gli insospettabili tremano. E “o Ninno” di certo saprà indicare ai pm chi è davvero vittima e chi invece recita per convenienza.
Nei primi verbali depositati, Iovine ha raccontato delle tensioni tra le varie contrade del clan. La cupola, a partire dal 2008, si sfalda. Una frattura interna che raffredda i rapporti tra sovrani dell'impero criminale Casalese.
Questione di soldi, ovviamente, e non di onore. Ammissioni che permetteranno di rileggere gli ultimi sei anni con una prospettiva diversa. A partire da alcune denunce presentate da imprenditori legatissimi a “O Ninno” che hanno fatto fuori l'ala Zagaria.
http://espresso.repubblica.it/inchieste ... a-1.167621
Un gruppo di imprenditori vicino al clan dei Casalesi e a Nicola Cosentino denuncia i boss rinchiusi al 41 bis. Ma secondo la procura antimafia di Napoli si tratta di una strategia per rientrare nel giro dei lavori pubblici. Per questo li ha indagati. Sospetti che trovano conferma nei verbali di un super pentito. Che rivela: «Non sono vittime del clan»
DI GIOVANNI TIZIAN
30 maggio 2014
Gomorra è corsa al si salvi chi può. Un segnale preciso della crisi irreversibile del clan dei Casalesi.
Il padrino numero uno della cupola, Antonio Iovine, si è arreso. Ha iniziato a collaborare con la giustizia indicando gli appoggi politici del Clan.
Altri capi storici stanno mostrando segni di cedimento. I reparti militari sono stati sconfitti. E chi custodisce il tesoro, i prestanome che per decenni si sono arricchiti grazie alla mafia casalese, ora tenta di salvarsi denunciando le estorsioni fatte dalla manovalanza rimasta in circolazione.
Tentano il tutto per tutto. Cercano di risorgere dalle macerie. Secondo la procura antimafia non tutti però sono vittime.
Alcuni degli indagati avevano persino organizzato riunioni con una nota associazione antiracket. Ma gli inquirenti sono intervenuti in tempo per evitare che le finte vittime diventassero paladini della legalità.
Così è finito sotto inchiesta un gruppo di dieci imprenditori di Casapesenna, feudo del clan dei Casalesi.
Sono i titolari di un cartello di aziende che hanno sempre lavorato con enti pubblici nei lavori di somma urgenza per i quali i controlli antimafia sono praticamente nulli.
I pm Antonello Ardituro e Marco Del Gaudio alcune settimane fa hanno ordinato le perquisizioni per una decina di loro. L'ipotesi su cui stanno indagando è concorso esterno in associazione mafiosa.
Non vittime, quindi, ma fiancheggiatori del super boss Michele Zagaria. La mente imprenditoriale del Clan. E le conferme arrivano proprio dal suo braccio destro: il pentito Massimiliano Caterino.
Tra gli imprenditori ci sono Giuseppe Fontana, Francesco Martino e Raffaele Galoppo. Tutti e tre già indagati nella vicenda degli appalti per la manutenzione della rete idrica regionale. Al centro ci sarebbe proprio Fontana. Da lui sono partiti gli inquirenti. Colpito da un interdittiva antimafia (il provvedimento della prefettura che vieta alle aziende di partecipare ai lavori pubblici), avrebbe tentato di aggirare l’ostacolo legandosi ad altri imprenditori e portando a sua discolpa una recente denuncia per estorsione. Un gioco di prestigio per mettere le mani sull’appalto “la bandiera blu” sul litorale domitio.
Chi doveva controllare però non è caduto nel tranello e ha escluso la cordata. Ma Pino Fontana ha amici importanti.
Fulvio Martusciello, assessore della giunta Caldoro e neo europarlamentare di Forza Italia, è uno di questi.
Secondo quanto riportano i carabinieri nell'informativa agli atti del processo Cosentino, Martusciello avrebbe chiesto a Fontana di organizzare un incontro a casa di Nick 'o Mericano, il potente ex sottosegretario del governo Berlusconi imputato per camorra.
L'assessore e Fontana hanno fatto visita a Cosentino il 22 dicembre scorso. «Una visita di cortesia», si è difeso Martusciello. La pensano diversamente i militari dell'Arma. Che hanno concentrato l'attenzione sull'imprenditore e sulla denuncia presentata per un'estorsione subita dalla manovalanza del clan. La trama è intricata. Ma i pm di Napoli avrebbero trovato importanti riscontri grazie al nuovo pentito Massimiliano Caterino. Fino all'arresto era il cassiere della famiglia Zagaria.
Non un soldato qualunque, dunque, ma l'archivio vivente degli affari. «Con riferimento agli imprenditori che ho citato devo ribadire che essi non sono assolutamente, non possono ritenersi vittime del clan», ha raccontato Massimiliano Caterino. “O Mastrone”, questo il suo soprannome, ha riempito verbali che scottano.
Il collaboratore di giustizia conosce a memoria i fiancheggiatori, i prestanome, i complici annidati negli apparati amministrativi e burocratici. Ha iniziato a fare i nomi dei tanti imprenditori al servizio del boss. «Michele Zagaria godeva di eccezionale rispetto e stima da parte di tantissimi imprenditori ed anzi il suo clan si caratterizzava essenzialmente per la capacità economica e di gestione di questi rapporti. Me ne sono occupato io personalmente per tanti anni proprio per conto di Zagaria il quale si fidava di me anche perché evitavo di trattare queste vicende con la violenza o le minacce», ha rivelato Caterino in un recente interrogatorio.
Un verbale - letto da “l'Espresso”- che ha permesso alla distrettuale antimafia di mettere insieme i pezzi del mosaico. E di proseguire nell'inchiesta sulle false denunce di un gruppo di aziende legate alla camorra casalese. Che grazie a Franco Zagaria, cognato del padrino di Gomorra, ha ottenuto numerosi appalti dalla Regione, dalla Provincia di Caserta e dai Comuni del Casertano. «Francuccio Zagaria per conto di Michele Zagaria riusciva a gestire i rapporti anche con le amministrazioni pubbliche», ha dichiarato il pentito. Seguono numerosi omissis, che lasciano presagire altri filoni investigativi. Sulle false denunce poi aggiunge: «Avevano una tutela e una protezione anche nei confronti delle altre organizzazioni criminali che operavano nei vari territori dove prendevano appalti, anche fuori dalla provincia di Caserta... pagavano una percentuale al clan competente per territorio sui lavori che svolgevano grazie alla nostra mediazione. Allo stesso modo pagavano noi quando i lavori si svolgevano nei territori di nostra competenza. In ogni caso, e a prescindere da queste divisioni territoriali, facevano sempre un regalo per ciascun lavoro a Michele Zagaria in relazione al particolare rapporto che avevano con lui».
Il braccio destro di Zagaria ha «un rapporto confidenziale» con Fontana, tanto che lo «invitò al suo matrimonio». Alla cerimonia era presente «Carmine Zagaria (il padre del capo clan) con il quale aveva un fortissimo legame». Caterino spiega ai pm di essersi mosso per l'imprenditore amico di Cosentino: «Per Fontana mi sono interessato spesso di sistemare gli accordi con i clan di zona dove svolgeva i lavori». L'imprenditore è stato interrogato. A sua discolpa ha portato la denuncia presentata nel 2013 contro un affiliato. Sostiene di non avere rapporti con Nicola Cosentino, ma di conoscere il fratello del politico, e di essere cugino di primo grado di Franco Zagaria, l'ufficiale di collegamento tra clan e apparati pubblici. Cugini sì, «ma non lo frequento», ha detto agli inquirenti. Che gli hanno chiesto anche se ha mai pagato tangenti per i lavori all'acquedotto e finanziato campagne elettorali. A entrambe le domande ha risposto di no. Quando poi nell'interrogatorio è stato tirato in ballo il provvedimento con cui la prefettura gli ha ritirato il certificato antimafia, Fontana si è difeso spiegando che ha presentato istanza di revisione. L'elemento che ha portato a supporto della domanda? «La denuncia che ho presentato ai carabinieri nel 2013 per estorsioni subite dal 2004 al 2012».
E per convincere gli inquirenti che lui è una vera vittima, si aggrappa alle amicizie nell'antiracket. Definendosi molto amico di due imprenditori che nel 2010 hanno fatto arrestare il padre, il fratello e gli scagnozzi del potente boss Michele Zagaria. Che con il pentimento dell'altro capo assoluto, Antonio Iovine “o Ninno”, si trova isolato e in difficoltà. Una collaborazione decisiva. Che potrà svelare coperture politiche e imprenditoriali del clan di Gomorra. Insomma, gli insospettabili tremano. E “o Ninno” di certo saprà indicare ai pm chi è davvero vittima e chi invece recita per convenienza.
Nei primi verbali depositati, Iovine ha raccontato delle tensioni tra le varie contrade del clan. La cupola, a partire dal 2008, si sfalda. Una frattura interna che raffredda i rapporti tra sovrani dell'impero criminale Casalese.
Questione di soldi, ovviamente, e non di onore. Ammissioni che permetteranno di rileggere gli ultimi sei anni con una prospettiva diversa. A partire da alcune denunce presentate da imprenditori legatissimi a “O Ninno” che hanno fatto fuori l'ala Zagaria.
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Re: Camorra
Perez., anime reiette in una Napoli d’acciaio nel nuovo film con Zingaretti
La pellicola, presentata fuori concorso all’ultima Mostra veneziana è pronta per l’uscita in sala il 2 ottobre prossimo. Tra i protagonisti Giampaolo Fabrizio che interpreta il padre di una delle tante, troppe vittime di una criminalità quotidiana apparentemente inarrestabile
di Anna Maria Pasetti | 29 settembre 2014Commenti (1)
merolla
“Tu non l’hai proprio capita la merdosità della situazione”. L’avvocato Merolla non ha più peli sulla lingua, anzi forse non ne ha mai avuti, ma ora che la vita gli si accartoccia contro, le sue parole suonano di assoluta spietatezza. D’altra parte, perché mentire al suo amico più caro, il collega Demetrio Perez. Siamo nella Napoli d’acciaio del Centro Direzionale, il Tribunale delle anime più reiette è il cuore dei fatti & misfatti di ogni avvocato operativo nel capoluogo campano e quello da cui si aprono le scene del film Perez., opera seconda di Edoardo De Angelis, giovane regista partenopeo che dopo l’esordio Mozzarella Stories sta affermandosi tra le voci più interessanti del cosiddetto neo-Italian-criminal-genre. Perez. è stato presentato fuori concorso all’ultima Mostra veneziana ed ora è pronto per l’uscita in sala il 2 ottobre prossimo. Protagonista è Luca Zingaretti nei panni dell’avvocato d’ufficio Perez, suo “avversario” è il ricercato Francesco Corvino (Marco D’Amore, star di Gomorra – La serie): i due uomini s’incontrano giacché quest’ultimo è il nuovo fidanzato di sua figlia Tea, ventenne spavalda e orgogliosa.
Pubblicità
La “situazione di merdosità” evocata da Ignazio Merolla è proprio quest’amore che “non s’ha da benedire”. A dar corpo e voce al personaggio più tragico di Perez. è l’attore Giampaolo Fabrizio in un’interpretazione memorabile. Già interprete del gangster Ciccio Dop per Mozzarella Stories, De Angelis l’ha voluto ancora al suo fianco perché “cercavo un essere umano che fosse in grado di sintetizzare il paradosso che fosse la quintessenza dell’esistenza, cioè un’esistenza drammatica con ironia. Lui era perfetto per questo”.
Cinquantasette anni, napoletano, Fabrizio è un attore completo: una vita tra i palcoscenici italiani, qualche film e la televisione (da Calciomania a Striscia la notizia) dove spopola nei panni parodistici di Bruno Vespa. Ha accettato di diventare il controverso e crepuscolare avvocato amico e confidente di Perez, perché “in realtà, Ignazio Merolla è molto distante dalla mia vita, dalla mia serenità e dal mio inguaribile ottimismo. Ma Edoardo, al quale sono legato da lunga e profonda amicizia, conosce perfettamente il legame speciale che mi lega a mio figlio Gianmarco (da poco diciottenne). Ha intuito che in virtù di questo profondo amore avrei potuto trarre ispirazione per trasmettere in scena il dolore che può provare un padre per la perdita di un figlio, come accade a Merolla”. Così Giampaolo Fabrizio spiega a ilfattoquotidiano.it, ricordando che il figlio del suo personaggio, Angelo, scompare a causa di un colpo di pistola esploso erroneamente per strada. Una mina vagante come tante che quotidianamente affliggono lo splendore umano e urbano di Napoli.
Ed è da lì, da quel tragico contesto, che nasce la tragicità di Merolla, uomo depresso fino alla morte, emblema delle tante, troppe vittime di una criminalità quotidiana apparentemente inarrestabile. Secondo l’attore, che ben conosce il territorio, anche di fronte alle emergenze “le istituzioni girano colpevolmente la faccia dall’altra parte, e poi ci si ritrova a dover convivere con quel “male”, così ben descritto nelle immagini di Gomorra, in una terra che forse si è irrimediabilmente ammalata”. Il cinema e la cultura in generale però possono contribuire ad offrire qualche cura. “Credo il cinema possa continuare a scuotere le coscienze non solo svolgendo un’azione di denuncia ma aiutando comprendere i fenomeni criminali analizzandoli al loro interno, esattamente come proposto dall’analisi oggettiva e spietata di Saviano che ha ispirato mirabilmente Gomorra. Ma non basta: bisogna riappropriarsi del territori che sembrano perduti. La denuncia deve arrivare soprattutto nei luoghi dove violenza, arroganza e prevaricazione hanno messo radici. Napoli non ha bisogno di “leggi speciali” o dell’esercito ma, piuttosto, di una presenza costante e visibile sul territorio che deve necessariamente coinvolgere cittadini in comunione con istituzioni e forze dell’ordine. Per questa rivoluzione culturale io mi sento già in prima linea, non mi tirerò mai indietro, e so di certo che tantissimi napoletani (e non) onesti e di buona volontà stanno aspettando solo un cenno per mobilitarsi”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... i/1136675/
La pellicola, presentata fuori concorso all’ultima Mostra veneziana è pronta per l’uscita in sala il 2 ottobre prossimo. Tra i protagonisti Giampaolo Fabrizio che interpreta il padre di una delle tante, troppe vittime di una criminalità quotidiana apparentemente inarrestabile
di Anna Maria Pasetti | 29 settembre 2014Commenti (1)
merolla
“Tu non l’hai proprio capita la merdosità della situazione”. L’avvocato Merolla non ha più peli sulla lingua, anzi forse non ne ha mai avuti, ma ora che la vita gli si accartoccia contro, le sue parole suonano di assoluta spietatezza. D’altra parte, perché mentire al suo amico più caro, il collega Demetrio Perez. Siamo nella Napoli d’acciaio del Centro Direzionale, il Tribunale delle anime più reiette è il cuore dei fatti & misfatti di ogni avvocato operativo nel capoluogo campano e quello da cui si aprono le scene del film Perez., opera seconda di Edoardo De Angelis, giovane regista partenopeo che dopo l’esordio Mozzarella Stories sta affermandosi tra le voci più interessanti del cosiddetto neo-Italian-criminal-genre. Perez. è stato presentato fuori concorso all’ultima Mostra veneziana ed ora è pronto per l’uscita in sala il 2 ottobre prossimo. Protagonista è Luca Zingaretti nei panni dell’avvocato d’ufficio Perez, suo “avversario” è il ricercato Francesco Corvino (Marco D’Amore, star di Gomorra – La serie): i due uomini s’incontrano giacché quest’ultimo è il nuovo fidanzato di sua figlia Tea, ventenne spavalda e orgogliosa.
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La “situazione di merdosità” evocata da Ignazio Merolla è proprio quest’amore che “non s’ha da benedire”. A dar corpo e voce al personaggio più tragico di Perez. è l’attore Giampaolo Fabrizio in un’interpretazione memorabile. Già interprete del gangster Ciccio Dop per Mozzarella Stories, De Angelis l’ha voluto ancora al suo fianco perché “cercavo un essere umano che fosse in grado di sintetizzare il paradosso che fosse la quintessenza dell’esistenza, cioè un’esistenza drammatica con ironia. Lui era perfetto per questo”.
Cinquantasette anni, napoletano, Fabrizio è un attore completo: una vita tra i palcoscenici italiani, qualche film e la televisione (da Calciomania a Striscia la notizia) dove spopola nei panni parodistici di Bruno Vespa. Ha accettato di diventare il controverso e crepuscolare avvocato amico e confidente di Perez, perché “in realtà, Ignazio Merolla è molto distante dalla mia vita, dalla mia serenità e dal mio inguaribile ottimismo. Ma Edoardo, al quale sono legato da lunga e profonda amicizia, conosce perfettamente il legame speciale che mi lega a mio figlio Gianmarco (da poco diciottenne). Ha intuito che in virtù di questo profondo amore avrei potuto trarre ispirazione per trasmettere in scena il dolore che può provare un padre per la perdita di un figlio, come accade a Merolla”. Così Giampaolo Fabrizio spiega a ilfattoquotidiano.it, ricordando che il figlio del suo personaggio, Angelo, scompare a causa di un colpo di pistola esploso erroneamente per strada. Una mina vagante come tante che quotidianamente affliggono lo splendore umano e urbano di Napoli.
Ed è da lì, da quel tragico contesto, che nasce la tragicità di Merolla, uomo depresso fino alla morte, emblema delle tante, troppe vittime di una criminalità quotidiana apparentemente inarrestabile. Secondo l’attore, che ben conosce il territorio, anche di fronte alle emergenze “le istituzioni girano colpevolmente la faccia dall’altra parte, e poi ci si ritrova a dover convivere con quel “male”, così ben descritto nelle immagini di Gomorra, in una terra che forse si è irrimediabilmente ammalata”. Il cinema e la cultura in generale però possono contribuire ad offrire qualche cura. “Credo il cinema possa continuare a scuotere le coscienze non solo svolgendo un’azione di denuncia ma aiutando comprendere i fenomeni criminali analizzandoli al loro interno, esattamente come proposto dall’analisi oggettiva e spietata di Saviano che ha ispirato mirabilmente Gomorra. Ma non basta: bisogna riappropriarsi del territori che sembrano perduti. La denuncia deve arrivare soprattutto nei luoghi dove violenza, arroganza e prevaricazione hanno messo radici. Napoli non ha bisogno di “leggi speciali” o dell’esercito ma, piuttosto, di una presenza costante e visibile sul territorio che deve necessariamente coinvolgere cittadini in comunione con istituzioni e forze dell’ordine. Per questa rivoluzione culturale io mi sento già in prima linea, non mi tirerò mai indietro, e so di certo che tantissimi napoletani (e non) onesti e di buona volontà stanno aspettando solo un cenno per mobilitarsi”.
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