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camillobenso
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Corriere 16.3.14
Cosa accade se Pechino lascia fallire le aziende
di Guido Santevecchi

PECHINO — Qualcuno lo ha definito il «tranquillo Momento Lehman di Pechino», riferendosi al 2008 quando il crollo della Lehman Brothers segnò l’inizio della grande crisi.

Il 7 marzo la Chaori, piccola azienda di pannelli solari di Shanghai ha dichiarato di non poter onorare gli interessi per 14 milioni di dollari in obbligazioni.

La prima bancarotta sul mercato cinese dei bond.

Le dimensioni ridotte avrebbero relegato la notizia in una breve, se si fosse trattato di un’azienda europea.

Ma in Cina lo Stato era sempre intervenuto con salvataggi a favore degli investitori e di quelle industrie che non sanno stare sul mercato.

Chaori era piccola e decotta.

Ma secondo i calcoli di Standard&Poor’s il debito industriale in Cina è arrivato a 14 mila miliardi di dollari e quest’anno maturano interessi per 1.300 miliardi.


Il primo default potrebbe aprire la diga, hanno osservato diversi economisti.

Non è successo.

Ma questa settimana c’è stato un altro buco nel muro del debito: le acciaierie Haixin, nella provincia settentrionale dello Shanxi, non sono riuscite a restituire un prestito bancario.


Anche il settore dell’acciaio in Cina è afflitto da eccesso di produzione.

Il problema di Haixin è che era impegnata in una triangolazione da finanza creativa di garanzie ad altri prodotti obbligazionari che sostenevano industrie minerarie locali.


Ancora un anno fa i governi locali della Cina e le banche avevano concesso prestiti ponte a 62 società nella zona per tenerle a galla. Questi tempi sono finiti, a quanto pare.

Giovedì a Pechino il premier Li Keqiang ha incontrato la stampa e si è concesso alle domande.

Tutte concordate in anticipo, anche quella del Financial Times che ha chiesto: «La comunità internazionale guarda con preoccupazione ai rischi per l’economa globalizzata connessi alla situazione del debito in Cina».

Significativo che Li avesse accettato in anticipo la domanda. E ha risposto: «Ho letto anche io queste visioni non ottimistiche, ma ricordo che erano uguali l’anno scorso e la Cina ha centrato il suo obiettivo di crescita al 7,7%.

Il debito da investimento è sicuro. Ma default di obbligazioni sono inevitabili e il governo non li impedirà».

Resta da vedere se quella eccezionalità che ha permesso alla Cina di evitare un «momento Lehman» continuerà.
camillobenso
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Repubblica 5.9.14
Investimenti cinesi
“Italia ideale per penetrare in Europa”
Prima le infrastrutture, ora la finanza

di Giampaolo Visetti



PECHINO A METÀ ottobre il premier cinese Li Keqiang effettuerà la sua prima visita in Italia e il soggiorno avrà un valore ben diverso da quello del suo predecessore Wen Jiabao. Il leader di Pechino atterrerà a Roma nel ruolo di primo investitore straniero dell’anno nel nostro Paese, pronto a nuovi interventi per rilanciare la crescita italiana e sostenere l’euro.
Sarebbe esagerato dire che la Cina è lo sponsor straniero del premier Renzi, che proprio a Pechino ha riservato in giugno la sua prima visita transcontinentale, ma è corretto affermare che negli ultimi mesi gli aiuti indispensabili per dare ossigeno ai conti italiani sono partiti dall’Asia. Gli Usa e gli altri partner Ue si chiedono dunque perché Pechino abbia abbandonato la posizione attendista, perché accada ora e quali saranno gli effetti di questa novità. Nel giro di poche settimane la Banca centrale cinese ha investito nel nostro Paese quasi 6 miliardi di euro, eleggendo il governatore Zhou Xiaochuan al ruolo di banchiere di Stato extra europeo con il portafoglio più pesante nella Ue. Le acquisizioni di Pechino in Italia sfiorano ora quota 40, il 10% di quelle effettuate nell’intera zona euro. La Banca del popolo cinese è sì l’istituzione finanziaria più ricca del mondo, ma ciò non significa che il partito comunista le consenta di sprecare denaro. Con quote sempre appena superiori al 2% si è seduta di peso nel salotto buono della nostra economia. La novità è questa, perché per la leadership cinese questo è vero solo ufficialmente. L’influenza di una Cina «Miss 2%» sull’Italia ora è tale che la parola di Pechino è destinata a contare quanto quella di un azionista di riferimento. Esponenti del governo cinese rivelano che il via libera agli investimenti è stato dato ora per tre ragioni.
La prima è che i prezzi, rispetto al 2009, in Italia sono crollati, fino a rendere gli interventi convenienti. La seconda è che l’accoglienza politica di soci cinesi, rispetto all’era Tremonti-Berlusconi, è migliorata, mentre Pechino ha bisogno di pulire la propria immagine dopo gli scandali di Prato e della truffa sui pannelli solari. La terza è che la Cina si è convinta che sia oggi l’Italia, non la Grecia, il Portogallo, o la Spagna, il Paese più adatto per penetrare in Europa, fino a condizionare le politiche Ue. Non a caso la Banca centrale cinese ha investito in settori strategici, dall’energia alle comunicazioni, e per la prima volta, attraverso Generali, si è affacciata nella finanza. I prossimi passi, secondo analisti di Pechino, saranno le infrastrutture, porti e aeroporti, e istituti di credito leader e internazionalizzati, da Unicredit ad Intesa, se possibile prima della vetrina globale dell’Expo a Milano, priorità dopo quella di Shanghai. Un netto cambio di strategia, rispetto al decennio Wen Jiabao: dalla pretesa di acquisire la maggioranza di molte aziende, alla disponibilità ad acquistare piccole quote in poche imprese strategiche di prima fascia. Il risultato, a costi inferiori, per la Cina non cambia: ottenere un peso politico ed economico decisivo nel Paese più mediterraneo dell’Europa, mentre detiene la presidenza di turno Ue. Questo spiega perché Pechino ha scelto di stare sempre appena sopra il 2%, livello che rende obbligatorio comunicare il proprio ingresso tra i soci alla Consob e dunque ai mercati. Il valore degli investimenti, per i cinesi, è oggi direttamente proporzionale alla loro pubblicità, perché serve a legittimare il nuovo ruolo leader di Pechino sulla scena internazionale. Il Quotidiano del popolo ha sintetizzato così il senso dello shopping estivo: «Offrire a Roma soldi e tempo per avvicinare alla Cina una nazionechiave per l’euro e per gli Usa».
camillobenso
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MANIFESTAZIONI CONTRO L’ESECUTIVO DI PECHINO
Hong Kong: dilaga la protesta Governo ritira agenti anti-sommossa
Le autorità chiedono ai manifestanti di disperdersi, ma migliaia restano in piazza. Pechino blocca Instagram e avverte le potenze straniere: non intromettetevi
di Redazione online

Immagine


Hong Kong paralizzata dalle proteste. Decine di migliaia di persone sfidano Pechino e restano in piazza per chiedere più democrazia, nonostante gli inviti delle autorità a disperdersi e gli scontri scoppiati domenica. Pechino si trova ad affrontare una delle sfide politiche più impegnative da piazza Tiananmen, 25 anni fa. Lungi dal diminuire, il numero di manifestanti va crescendo di ora in ora ed ora si temono di nuovo scontri. In un estremo tentativo di sedare gli animi, l’esecutivo ha annunciato il ritiro degli agenti in assetto anti-sommossa dalle strade. E in effetti a situazione con la polizia, tesa fino alle ultime ore di domenica, è tornata a una relativa calma. Ma intanto l’esecutivo ha cancellato i fuochi d’artificio in programma per mercoledì, 1 ottobre, giornata di festa nazionale.

Sono ancora decine di migliaia gli studenti in piazza nell’area di Admiralty e Tamar, dove ha sede il governo di Hong Kong. Stamane gli studenti hanno assistito a comizi degli organizzatori delle manifestazioni, indette ufficialmente nella notte tra sabato e domenica, e intonato slogan pro-democratici. «Da movimento studentesco si è trasformato in movimento di disobbedienza civile», ha spiegato una giornalista del quotidiano locale, The Standard, incontrata ad Admiralty. «A Mongkok l’età dei manifestanti è generalmente più alta». I giovani provenienti dalle varie università dell’isola hanno sfilato lungo la Connaught Road in direzione di Admiralty, cuore delle proteste. Alcuni di loro distribuivano i nastri gialli simbolo degli scioperi degli studenti universitari in corso da lunedì. Assieme a loro, ad Admiralty, anche molti altri giovanissimi studenti delle scuole superiori, che costituiscono una delle componenti numericamente più importanti di Occupy Central. Minore, invece, la presenza delle forze dell’ordine rispetto a domenica, quando hanno attaccato la folla con lacrimogeni e spray al peperoncino (la polizia ha fatto sapere che domenica ha usato i gas lacrimogeni 87 volte).
Giù la borsa
Le proteste e gli scontri si sono fatti sentire anche sulla borsa di Hong Kong dove l’indice principale , a metà giornata, cedeva quasi due punti percentuali. Non ha invece risentito delle proteste la borsa di Shanghai.
La Cina blocca Instagram
Per impedire il diffondersi delle immagini della protesta il governo di Pechino avrebbe intanto bloccato Instagram in Cina, come riferiscono testimoni su Twitter. Questo per impedire che foto e video della protesta nella ex colonia britannica vengano diffuse attraverso i social. Il governo centrale cinese teme infatti che le rivendicazioni democratiche di Hong Kong arrivino anche nella madrepatria

VIDEO
http://video.corriere.it/hong-kong-quar ... dddac1a56f


La minaccia di Pechino
La stampa ufficiale di Pechino bolla le manifestazioni come azioni ordite da «estremisti politici» che però sono «destinati al fallimento» perché «sanno bene che è impossibile modificare la decisione» sulle modalità delle elezioni del 2017 per il governatore. Il ministero degli Esteri cinesi ha intanto avvertito Stati Uniti e altre nazioni di non immischiarsi negli affari di Hong Kong perché le proteste sono una questione interna.


29 settembre 2014 | 08:15
© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/esteri/14_settem ... a56f.shtml
Ultima modifica di camillobenso il 30/09/2014, 0:57, modificato 1 volta in totale.
camillobenso
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La guerriglia paralizza i quartieri degli affari liberato il leader teenager

(GIAMPAOLO VISETTI).

Pechino prova a raffreddare la protesta per la democrazia ma la piazza non cede, notte di lacrimogeni e barricate.

HONG Kong – ha mostrato ieri a Pechino ciò che potrebbe accadere se l’autoritarismo cinese pretendesse di cancellare i diritti democratici nell’ex colonia britannica. Un giorno di guerriglia e di caos, la metropoli finanziaria del Sud paralizzata, con il rischio che le rivendicazioni dei manifestanti anti-comunisti contagino anche il resto della nazione. Era dalle proteste del 1989 in piazza Tienanmen che la Cina non veniva scossa da una rivolta politica tanto ampia, condivisa e determinata. Allarme tale da indurre la leadership rossa a prime e inedite concessioni, nel tentativo di raffreddare una situazione prossima a sfuggire di mano.

Ad una settimana dallo scoppio delle proteste e dopo gli arresti di sabato, la magistratura ha ordinato la scarcerazione del leader degli studenti Joshua Wong. Via Twitter il diciassettenne ha scritto di aver perso scarpe e occhiali nella colluttazione con gli agenti. Il capo del governo locale filo-cinese, Leung Chun-ying, ha promesso invece «nuove e rapide consultazioni» sulla contestata riforma elettorale in vista del voto del 2017. Aperture vaghe, forse il tentativo obbligato di guadagnare tempo, ma scarcerazioni e disponibilità al dialogo non hanno precedenti nella storia del partito di Mao.
All’apparente distensione del governo di Hong Kong è però corrisposto l’irrigidimento dei suoi “azionisti” di Pechino. Le autorità cinesi hanno ribadito che «le regole del voto sono intoccabili» e che non «saranno tollerati comportamenti e movimenti illegali». Il potere cinese è tornato a definire «sovversivi» i manifestanti e a minacciare il ricorso a «qualsiasi mezzo per salvaguardare sovranità nazionale, stabilità, sicurezza e sviluppo». Avvertimenti sinistri, inviati al termine di una domenica in cui i quartieri amministrativi e del business sono stati sconvolti dagli scontri più violenti da venticinque anni. Per disperdere migliaia di oppositori democratici disarmati, la polizia ha fatto ricorso a lacrimogeni, proiettili di gomma e spray al pepe, alzando barricate attorno ad aree ed edifici politicamente sensibili, tra Admiralty e Central. Un migliaio di studenti sono riusciti a sfondare il cordone formato dagli agenti, tornando a circondare la sede del governo. Per ore la metropolitana ha smesso di fermarsi nelle zone calde e le autorità, per ostacolare le comunicazioni tra attivisti, hanno bloccato internet. Stop al web e paralisi del traffico hanno alzato ancora di più la tensione e i democratici di Occupy Central , per denunciare 78 arresti e 34 feriti, hanno anticipato il blocco del distretto finanziario, unendosi a liceali e universitari nella richiesta di ritiro della riforma elettorale, fine delle violenze e liberazione di tutti i fermati.
Il giorno cruciale resta il primo ottobre: Pechino festeggerà il 65esimo anniversario della vittoria della rivoluzione e fondazione della repubblica popolare, mentre a Hong Kong i democratici anti-cinesi minacciano di riversare nelle strade mezzo milione di persone, impedendo la tradizionale parata militare. Per la Cina è una sfida intollerabile e dal governo trapela massimo allarme: ritirare la legge contestata minerebbe la fresca leadership di Xi Jinping, precipitare Hong Kong nel caos allontanerebbe i ricchi sponsor filo-cinesi, ma scatenare la repressione sotto gli occhi del mondo infliggerebbe un duro colpo alla nuova influenza globale del Paese. Hong Kong non è Pechino, isolamento e censura restano oggi impossibili e un sondaggio rivela che il 90 per cento dei residenti preferirebbe tornare sotto Londra, piuttosto che essere normalizzato dal regime cinese. «Il golpe elettorale del partito è fallito», ha detto il leader democratico Tai Yiu-ting, «se i dirigenti rossi non accoglieranno le richieste popolari, l’escalation delle proteste è inevitabile». Per questo non solo l’Asia si prepara a giorni con il fiato sospeso.
Da La Repubblica del 29/09/2014.9/09/2014 di triskel182
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Re: Il mondo del Dragone

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Hong Kong non è Pechino, isolamento e censura restano oggi impossibili e un sondaggio rivela che il 90 per cento dei residenti preferirebbe tornare sotto Londra, piuttosto che essere normalizzato dal regime cinese.


Certamente questa riflessione fa pensare.

Nella Cina di Mao dopo la lunga marcia i cinesi non sapevano cosa mettere in tavola a pranzo e a cena.

Oggi le cose sono migliorate. Tanto che ai vertici del partito i milionari possono permettersi che i loro figli si schiantino contro un muro con la Ferrari.

Ma l'altro lato della medaglia è sempre lo stesso.

E' di qualche mese fa la notizia apparsa su La Repubblica dove una ragazza cinese chiedeva aiuto per via della vita insopportabile. Il biglietto con la richiesta di aiuto lo aveva inserito nella tasca di un paio di pantaloni.
camillobenso
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https://www.youtube.com/watch?v=7F_9FEx7ymg




Dalla parte di quei ragazzi ventenni che hanno scoperto su internet la democrazia e stanno rischiando molto.


Noi l'avevamo e l'abbiamo persa.


Ma che bravo questo PCC.


5 OTT 2014 16:55
A HONG KONG LA MAFIA CINESE INTERVIENE CONTRO GLI STUDENTI CHE OCCUPANO DA OTTO GIORNI IL CENTRO DELLA CITY E SFIDANO IL POTERE DI PECHINO

–RECLUTATA LA BASSA MANOVALANZA DELLE TRIADI FATTI VENIRE DALLA VICINA PROVINCIA DI CANTON


I Nastri blu sono la risposta dei filocinesi di Hong Kong a quelli gialli portati dagli studenti. L’altra notte i filocinesi sono andati all’assalto, hanno tirato colpi, minacciato e ferito una dozzina di manifestanti democratici e pacifici, che tenevano le mani alzate. La polizia è intervenuta in ritardo e senza convinzione…


Guido Santevecchi per il Corriere della Sera

Il primo Nastro blu salta a piedi pari sulla barricata piazzata dagli studenti. Le due del pomeriggio a Nathan Road, la strada dei mille negozi e delle infinite trame del quartiere Mong Kok a Kowloon. Dietro il tizio grosso, che fuma la pipa per darsi un’aria importante, ci sono altri due, con la faccia da picchiatori. «Teppisti da Triadi, stia attento a non avvicinarsi, ieri hanno tirato pugni anche ai cronisti quelli lì», suggerisce un ragazzo.

I Nastri blu sono la risposta dei filocinesi di Hong Kong a quelli gialli portati dagli studenti che occupano da otto giorni il centro della city e sfidano il potere di Pechino. L’altra notte i filocinesi sono andati all’assalto, hanno tirato colpi, minacciato e ferito una dozzina di manifestanti democratici e pacifici, che tenevano le mani alzate. La polizia è intervenuta in ritardo e senza convinzione.

Entra in scena un altro tizio, capelli grigi, aria da capo, urla ai giovani: «Andatevene, basta occupazione, venite a battervi con noi, vigliacchi». Dal gruppo di studenti ancora mani levate con le mani aperte e la risposta: «Mostra la carta d’identità, vediamo se sei davvero di Hong Kong».

Il sospetto è infatti che dietro gli assalti dei filocinesi ci sia il governo, che ha reclutato elementi fatti venire dalla vicina provincia di Canton e bassa manovalanza prestata dalle Triadi. Le associazioni segrete e mafiose storicamente sono favorevoli al potere di Pechino e a volte si prestano a fare lavori sporchi.


Il tizio grosso, con un tatuaggio sul collo, due anelli e la sua pipa, ha cominciato a comportarsi da padrone della strada e come prova di superiorità, dopo aver preso a calci la barricata, mi ha soffiato in faccia il fumo della pipa. Poco male.


Dietro, un altro con tunica intarsiata di draghi vari e codino annodato in verticale sulla testa ha cominciato a inveire verso il gruppo dei cronisti. «Fotografatelo, così lo identifichiamo», incitano i ragazzi. Qualche spintone, minacce e imprecazioni. Cori di «Difendete gli studenti». Polizia sempre spettatrice.


Davvero il sorridente Chief Executive di Hong Kong, CY Leung, spalleggiato dal governo centrale di Pechino, sta usando il trucco di affidare a picchiatori venuti da fuori e Triadi la «pulizia» delle strade occupate? La polizia smentisce, fa sapere di aver arrestato 19 aggressori e che otto di loro erano collusi con le Triadi.


Rex Yip, 27 anni, vive nel quartiere: «Qui c’è di tutto, gente onesta, bulli, mafiosi. E ci sono quelli che per pochi dollari menano le mani. Ho visto tipi strani, parlano cantonese ma non con l’accento di Hong Kong». Però, tra i Nastri blu, ci sono anche cittadini di Hong Kong che davvero non hanno niente da eccepire sul governo locale fedele al partito comunista cinese; e ci sono tanti esasperati dalla paralisi delle vie dei negozi, delle superstrade, delle scuole. Fino a quando vuole insistere l’alleanza degli studenti e di Occupy Central? Non state esagerando?

«Eh, questi che protestano per gli affari rovinati sono gioiellieri, arricchiti, fanno un sacco di soldi e piangono per pochi giorni di disagio. Noi pensiamo al futuro dei nostri figli», ci dice un uomo di 59 anni, ex studente dai salesiani. C’è anche molto risentimento per la diseguaglianza economica in questa crisi.


Sulla superstrada che taglia la city ad Admiralty, nella notte grande manifestazione degli studenti e di Occupy Central (che riunisce professori, intellettuali e religiosi). Un mare di gioventù entusiasta e ispirata dal sogno democratico. Canzoni e promesse di resistere.


Il Chief Executive CY Leung va in tv, dice che per lunedì mattina vuole la city sgomberata: «Ora basta, la polizia farà tutto il necessario per ripristinare l’ordine».


Appiccicato a un muro di Admiralty un manifesto scritto a mano: «Notte, neanche la luna, solo le cinque stelle della bandiera cinese, immaginate il buio che ci avvolge».
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