COME VA IL PD
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Re: COME VA IL PD
PD, RENZI ALLA GUERRA DEI CONTI: “HO TROVATO UN BILANCIO IN ROSSO”
(Wanda Marra).
04/10/2014 di triskel182
LA MINORANZA ATTACCA SUL CROLLO DELLE TESSERE, IL PREMIER RISPONDE SULLA GESTIONE: “EREDITATI PROBLEMI” E I SUOI: “CON BERSANI IN 2 ANNI 17 MILIONI DI DEFICIT”.
Ci siamo trovati un po’ di problemini nel bilancio del partito. Ma siccome siamo gente seria i panni sporchi si lavano in casa”. Dal palco del festival di Internazionale a Ferrara, Matteo Renzi non perde l’occasione di tirare la vera stilettata alla minoranza Dem.
Per tutta la giornata impazza la polemica sul calo dei tesseramenti nel Pd, con lui segretario, scatenata da un articolo di Repubblica. Ma è proprio Renzi a spostare l’attenzione sui soldi, sui buchi lasciati dalla precedente gestione della ditta.
“C’è un gruppo di persone che dice: ‘Mamma mia da quando c’è segretario Renzi, il Pd perde iscritti’”. A questi “vorrei semplicemente far notare che il Pd ha preso il 40,8 per cento, 16 punti in più delle ultimi elezioni”. E dunque, “ a qualcuno piace il Pd che ha 400mila iscritti e però perde le elezioni e prende il 25 per cento, a me quello che vince e che riconquista le Regioni”.
(La classe degli asini- Ma che c'entra con il calo degli iscritti e con la perdita dell'80 % di presenze alle primarie. Eppure di quell'80 % in meno ci stavano quelli che hanno contribuito al 40,8 %. Perché non chiarisce questo il signor Padreterno???- ndt)
Renzi puntualizza. Ad ora, le tessere sarebbero meno di 100mila. Un dato allarmante, che ha scatenato la reazione dei vecchi “proprietari” della ditta. Con Bersani che si è messo l’elmetto (“Senza iscritti, addio al Pd”) e Stefano Fassina in prima linea (“Non siamo un partito, siamo un comitato elettorale. Ma Renzi fa la Leopolda per i fedelissimi.”). Per i renziani è toccato al vicesegretario, Lorenzo Guerini confutare questa lettura: “Sono dati imprecisi. Il nostro obiettivo è superare i 300mila”. L’affondo: “Stiamo controllando anche le tessere dell’anno scorso”. Per dirla ancora con Renzi, “L’anno scorso c’era il congresso. A me piace l’idea che la tessera sia un valore, ma non quando c’è da votare per un segretario, ma perché c’è un’idea”. Il sottotitolo è chiaro: lui ha i voti, del partito tradizionale gliene importa ben poco.
LA POLEMICA sul Pd che non è più il Pd, sul leader senza base, sul premier che non fa il segretario va avanti ormai da mesi, con i “grandi vecchi” del partito all’attacco. Ma a questo punto sembra aver imboccato una strada di non ritorno. Nientetessere vuol dire anche meno soldi.
Ed è proprio sui soldi che si consuma il secondo round. “Il Pd di Renzi non ha un euro in cassa. E loro, che fanno? Organizzano cene”. È un bersaniano di ferro che parla. Il problema è incontestabile: il bilancio del 2013 è stato chiuso con 10 milioni e 800mila euro di rosso. E nel 2013 il finanziamento pubblico era di 24 milioni di euro. Saranno 13 per il 2014: 11 in meno. Altro che rosso, allora. Dai vertici del Nazareno è arrivato l’invito a tutti i parlamentari a partecipare a delle cene (2 o 3, sicuramente al nord, ma forse anche al centro e al sud), che si faranno a novembre.
Ciascuno è tenuto a portare 5 imprenditori, che dovranno versare 1000 euro ciascuno. Se anche l’operazione dovesse andare liscia come l’olio, con 400 parlamentari all’opera nelle casse del Nazareno arriverebbero 2 milioni di euro. Poca cosa.
“Ma con che coraggio parlano? Sono loro che hanno creato questa situazione”, si sfogano i renziani, ricordando che tra il 2012 e il 2013 il rosso creato dalla gestione Bersani si assomma a 17 milioni. Il tesoriere Bonifazi ha annunciato per il 2014 il pareggio, lo stesso Renzi ha sottolineato che nessuno è stato licenziato. Operazione difficile. “Noi stiamo cercando di riparare ai loro danni”, spiegano. E allora, ecco che sfoggiano una gestione più oculata del partito: tagli alle consulenze e alle collaborazioni, fine dei contratti di affitto di locali diversi da Sant’Andrea delle Fratte, ridimensionamento di Youdem, spostamento di alcuni dipendenti dal partito ai gruppi di Camera e Senato.
Basterà? Sperano in un trattamento migliore dalle banche. Poi, c’è tutto il capitolo sprechi. ALCUNImembri della segreteria Bersani avevano uno stipendio (ora non è così), il partito pagava loro appartamenti a Roma, auto, rimborsi vari. E non solo. “La segretaria di Bersani costava un milione di euro l’anno”, denunciano i renziani. Lo stesso ex segretario in direzione ha parlato di “metodo Boffo” usato nei suoi confronti.
E la fedelissima Chiara Geloni spiegava: “Non fanno altro che dire che lui sprecava i soldi del Pd”. I dossier più circostanziati i dirigenti dem dell’epoca Renzi ce li hanno nel cassetto. Non a caso, ogni tanto lanciano lì qualche cifra e qualche indizio. Una pistola carica, ma che per ora non viene scaricata: i voti delle minoranze con l’arrivo in Senato della riforma del lavoro servono. Meglio dire e non dire. E intorno a tutto questo ruotare di pallottole, aleggia il fantasma scissione. Ieri Matteo Orfini ha chiesto a Ugo Sposetti, storico tesoriere dei Ds, di passare al Pd il patrimonio rimasto alla Quercia. Ma lui non ci pensa proprio: “Quegli immobili, che abbiamo noi, come li ha la Margherita, sono il frutto del nostro lavoro. Mica è un matrimonio, che dobbiamo portarli in dote”. C’è chi dice che quei soldi potrebbero servire a fare un altro partito, magari con D’Alema a capo. Anche su questo Sposetti è categorico: “Non esiste”. Ma comunque, “chiedete a D’Alema”.
Da Il Fatto Quotidiano del 04/10/2014.
(Wanda Marra).
04/10/2014 di triskel182
LA MINORANZA ATTACCA SUL CROLLO DELLE TESSERE, IL PREMIER RISPONDE SULLA GESTIONE: “EREDITATI PROBLEMI” E I SUOI: “CON BERSANI IN 2 ANNI 17 MILIONI DI DEFICIT”.
Ci siamo trovati un po’ di problemini nel bilancio del partito. Ma siccome siamo gente seria i panni sporchi si lavano in casa”. Dal palco del festival di Internazionale a Ferrara, Matteo Renzi non perde l’occasione di tirare la vera stilettata alla minoranza Dem.
Per tutta la giornata impazza la polemica sul calo dei tesseramenti nel Pd, con lui segretario, scatenata da un articolo di Repubblica. Ma è proprio Renzi a spostare l’attenzione sui soldi, sui buchi lasciati dalla precedente gestione della ditta.
“C’è un gruppo di persone che dice: ‘Mamma mia da quando c’è segretario Renzi, il Pd perde iscritti’”. A questi “vorrei semplicemente far notare che il Pd ha preso il 40,8 per cento, 16 punti in più delle ultimi elezioni”. E dunque, “ a qualcuno piace il Pd che ha 400mila iscritti e però perde le elezioni e prende il 25 per cento, a me quello che vince e che riconquista le Regioni”.
(La classe degli asini- Ma che c'entra con il calo degli iscritti e con la perdita dell'80 % di presenze alle primarie. Eppure di quell'80 % in meno ci stavano quelli che hanno contribuito al 40,8 %. Perché non chiarisce questo il signor Padreterno???- ndt)
Renzi puntualizza. Ad ora, le tessere sarebbero meno di 100mila. Un dato allarmante, che ha scatenato la reazione dei vecchi “proprietari” della ditta. Con Bersani che si è messo l’elmetto (“Senza iscritti, addio al Pd”) e Stefano Fassina in prima linea (“Non siamo un partito, siamo un comitato elettorale. Ma Renzi fa la Leopolda per i fedelissimi.”). Per i renziani è toccato al vicesegretario, Lorenzo Guerini confutare questa lettura: “Sono dati imprecisi. Il nostro obiettivo è superare i 300mila”. L’affondo: “Stiamo controllando anche le tessere dell’anno scorso”. Per dirla ancora con Renzi, “L’anno scorso c’era il congresso. A me piace l’idea che la tessera sia un valore, ma non quando c’è da votare per un segretario, ma perché c’è un’idea”. Il sottotitolo è chiaro: lui ha i voti, del partito tradizionale gliene importa ben poco.
LA POLEMICA sul Pd che non è più il Pd, sul leader senza base, sul premier che non fa il segretario va avanti ormai da mesi, con i “grandi vecchi” del partito all’attacco. Ma a questo punto sembra aver imboccato una strada di non ritorno. Nientetessere vuol dire anche meno soldi.
Ed è proprio sui soldi che si consuma il secondo round. “Il Pd di Renzi non ha un euro in cassa. E loro, che fanno? Organizzano cene”. È un bersaniano di ferro che parla. Il problema è incontestabile: il bilancio del 2013 è stato chiuso con 10 milioni e 800mila euro di rosso. E nel 2013 il finanziamento pubblico era di 24 milioni di euro. Saranno 13 per il 2014: 11 in meno. Altro che rosso, allora. Dai vertici del Nazareno è arrivato l’invito a tutti i parlamentari a partecipare a delle cene (2 o 3, sicuramente al nord, ma forse anche al centro e al sud), che si faranno a novembre.
Ciascuno è tenuto a portare 5 imprenditori, che dovranno versare 1000 euro ciascuno. Se anche l’operazione dovesse andare liscia come l’olio, con 400 parlamentari all’opera nelle casse del Nazareno arriverebbero 2 milioni di euro. Poca cosa.
“Ma con che coraggio parlano? Sono loro che hanno creato questa situazione”, si sfogano i renziani, ricordando che tra il 2012 e il 2013 il rosso creato dalla gestione Bersani si assomma a 17 milioni. Il tesoriere Bonifazi ha annunciato per il 2014 il pareggio, lo stesso Renzi ha sottolineato che nessuno è stato licenziato. Operazione difficile. “Noi stiamo cercando di riparare ai loro danni”, spiegano. E allora, ecco che sfoggiano una gestione più oculata del partito: tagli alle consulenze e alle collaborazioni, fine dei contratti di affitto di locali diversi da Sant’Andrea delle Fratte, ridimensionamento di Youdem, spostamento di alcuni dipendenti dal partito ai gruppi di Camera e Senato.
Basterà? Sperano in un trattamento migliore dalle banche. Poi, c’è tutto il capitolo sprechi. ALCUNImembri della segreteria Bersani avevano uno stipendio (ora non è così), il partito pagava loro appartamenti a Roma, auto, rimborsi vari. E non solo. “La segretaria di Bersani costava un milione di euro l’anno”, denunciano i renziani. Lo stesso ex segretario in direzione ha parlato di “metodo Boffo” usato nei suoi confronti.
E la fedelissima Chiara Geloni spiegava: “Non fanno altro che dire che lui sprecava i soldi del Pd”. I dossier più circostanziati i dirigenti dem dell’epoca Renzi ce li hanno nel cassetto. Non a caso, ogni tanto lanciano lì qualche cifra e qualche indizio. Una pistola carica, ma che per ora non viene scaricata: i voti delle minoranze con l’arrivo in Senato della riforma del lavoro servono. Meglio dire e non dire. E intorno a tutto questo ruotare di pallottole, aleggia il fantasma scissione. Ieri Matteo Orfini ha chiesto a Ugo Sposetti, storico tesoriere dei Ds, di passare al Pd il patrimonio rimasto alla Quercia. Ma lui non ci pensa proprio: “Quegli immobili, che abbiamo noi, come li ha la Margherita, sono il frutto del nostro lavoro. Mica è un matrimonio, che dobbiamo portarli in dote”. C’è chi dice che quei soldi potrebbero servire a fare un altro partito, magari con D’Alema a capo. Anche su questo Sposetti è categorico: “Non esiste”. Ma comunque, “chiedete a D’Alema”.
Da Il Fatto Quotidiano del 04/10/2014.
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Re: COME VA IL PD
La robba
Prima o poi doveva avvenire che il PUN chiedesse conto degli immobili patrimonio del Pci. I Ds esistono ancora e sono amministrati dall'ex compagneros Sposetti punti perfetti.
4 OTT 2014 13:39
SE QUESTO È UN PARTITO
– TRA RENZIANI ED EX DIESSINI SCOPPIA LA GUERRA DEL MATTONE
– ASSEDIO ALLE 57 FONDAZIONI EX DS (PIENE DI IMMOBILI), MA INTANTO SPOSETTI RISPONDE PICCHE -
Il presidente Orfini e il tesoriere Bonifazi chiedono il patrimonio immobiliare ex Ds che fu conferito a una miriade di fondazioni sul territorio. La risposta di Sposetti: “Mi occupo dei neutroni, io? Non si occupino di cose che non sanno”. E a “Repubblica”, “il partito personale di Renzi non crea iscritti”… -
1.“Nel Pd il patrimonio è un caso. Assedio alle 57 fondazioni ex Ds”
Alessandro Trocino per “Il Corriere della Sera”
Il due di picche di Ugo Sposetti, condito dalla sua abituale ironia, se lo aspettavano. Nessuno credeva al beau geste , invocato da Matteo Orfini. Ma il braccio di ferro tra il tesoriere dei Ds e i dirigenti del Pd è solo all’inizio. Oggetto del contendere, il convitato di pietra (anzi, di mattoni) che siede al tavolo del partito fondato da Walter Veltroni: il patrimonio immobiliare dei Ds, che nel 2007 fu conferito a una miriade di 57 fondazioni sul territorio. E lì giace.
Un ordigno inesploso, che se non si troverà un accordo potrebbe deflagrare in un partito sull’orlo di una crisi di nervi. Anche perché il Pd ha sete di risorse. Lo stop al finanziamento e il crollo dei tesserati lo ha messo in ginocchio, nonostante i successi elettorali. E il tesoriere del Pd Francesco Bonifazi ha fretta di recuperare questo patrimonio. Ma non ha nessuna intenzione di andare allo scontro e dimostra un incrollabile ottimismo: «La risposta di Sposetti è anche troppo scontata. Io so quanto è affezionato al passato Ugo, ma sono sicuro che lo è anche al futuro. E ci darà una mano».
La diplomazia di Bonifazi si scontra con la tenacia di Sposetti, che pare tetragono a ogni lusinga e a ogni invocazione: «Pensino ai lavoratori, innanzitutto. E non si occupino di cose che non sanno. Mi occupo dei neutroni io? Lascino perdere, che non sanno la differenza tra codice civile e codice della strada. Questi hanno cancellato tutto. Se non ci fosse stato Sposetti a registrare, per anni, il marchio della Festa dell’Unità e il dominio Internet, ora non avremmo neanche più quello. Ha visto quanti iscritti ci sono? Hanno abbassato a 20 euro la quota del tesseramento: una vergogna. Io sono iscritto, ma verso molti più soldi».
Ieri Repubblica ha raccontato la «fuga degli iscritti», per un partito «senza più base»: «Solo 100 mila tessere in un anno, persi 400 mila iscritti». Numeri ridimensionati dal vicesegretario Lorenzo Guerini: «Il tesseramento è iniziato solo il 25 aprile, l’obiettivo sono 300 mila tessere». Ma la crisi c’è, il Pd è cambiato. Pier Luigi Bersani è critico: «Un partito fatto solo di elettori e non più di iscritti, non è più un partito». E D’Alema aggiunge: «Con l’avvento di Renzi, il partito viene visto come un peso e la democrazia non ne esce rafforzata».
Il tema si incrocia con le risorse. E qui si torna al patrimonio Ds. Orfini insiste: «Quando nacque il Pd, si volevano tagliare le radici, ma ora siamo in una fase diversa. C’è una riappacificazione con il nostro immaginario, vedi ritorno delle Feste dell’Unità. Siamo anche entrati nel Pse. Non c’è ragione perché il patrimonio dei Ds resti lì». Tra i motivi per cui si scelsero le fondazioni, nel 2007, c’era il retropensiero di un eventuale fallimento del Pd. Per questo si «privatizzò» il patrimonio: un tesoretto da tenere in sicurezza, anche dalle banche, visti i debiti. Tesoretto che può venire utile, in caso di scissione?
antonio misiani
ANTONIO MISIANI
Il meccanismo delle fondazioni è paradossale. Non tutti i Ds sono entrati nel Pd: alcune sono gestite da dirigenti vicini a Sel e Rifondazione. Nelle fondazioni, inoltre, vale il metodo della cooptazione: i presidenti possono cedere il posto e nominare chi vogliono. Con il risultato di cambi al vertice con dirigenti che non hanno nessun legame né con il Pd né con la sinistra (in Toscana una sede è entrata nell’orbita 5 Stelle). Progressivamente, la galassia rischia di allontanarsi dal sistema solare del Pd.
renzi in bici con maglietta radio deejay
RENZI IN BICI CON MAGLIETTA RADIO DEEJAY
E i debiti (pare si aggirino intorno a 150 milioni di euro)? Orfini apre: «Il Pd potrebbe farsene carico». Bonifazi è molto più cauto, se non contrario. Non è escluso che si provi a fare una compensazione tra patrimonio sul territorio (c’è chi parla di un miliardo) e debiti romani. L’ex tesoriere Antonio Misiani è scettico: «È una vicenda che non si può affrontare con superficialità. La prima cosa da fare è che si siedano a un tavolo. Ma vedo difficile c
Prima o poi doveva avvenire che il PUN chiedesse conto degli immobili patrimonio del Pci. I Ds esistono ancora e sono amministrati dall'ex compagneros Sposetti punti perfetti.
4 OTT 2014 13:39
SE QUESTO È UN PARTITO
– TRA RENZIANI ED EX DIESSINI SCOPPIA LA GUERRA DEL MATTONE
– ASSEDIO ALLE 57 FONDAZIONI EX DS (PIENE DI IMMOBILI), MA INTANTO SPOSETTI RISPONDE PICCHE -
Il presidente Orfini e il tesoriere Bonifazi chiedono il patrimonio immobiliare ex Ds che fu conferito a una miriade di fondazioni sul territorio. La risposta di Sposetti: “Mi occupo dei neutroni, io? Non si occupino di cose che non sanno”. E a “Repubblica”, “il partito personale di Renzi non crea iscritti”… -
1.“Nel Pd il patrimonio è un caso. Assedio alle 57 fondazioni ex Ds”
Alessandro Trocino per “Il Corriere della Sera”
Il due di picche di Ugo Sposetti, condito dalla sua abituale ironia, se lo aspettavano. Nessuno credeva al beau geste , invocato da Matteo Orfini. Ma il braccio di ferro tra il tesoriere dei Ds e i dirigenti del Pd è solo all’inizio. Oggetto del contendere, il convitato di pietra (anzi, di mattoni) che siede al tavolo del partito fondato da Walter Veltroni: il patrimonio immobiliare dei Ds, che nel 2007 fu conferito a una miriade di 57 fondazioni sul territorio. E lì giace.
Un ordigno inesploso, che se non si troverà un accordo potrebbe deflagrare in un partito sull’orlo di una crisi di nervi. Anche perché il Pd ha sete di risorse. Lo stop al finanziamento e il crollo dei tesserati lo ha messo in ginocchio, nonostante i successi elettorali. E il tesoriere del Pd Francesco Bonifazi ha fretta di recuperare questo patrimonio. Ma non ha nessuna intenzione di andare allo scontro e dimostra un incrollabile ottimismo: «La risposta di Sposetti è anche troppo scontata. Io so quanto è affezionato al passato Ugo, ma sono sicuro che lo è anche al futuro. E ci darà una mano».
La diplomazia di Bonifazi si scontra con la tenacia di Sposetti, che pare tetragono a ogni lusinga e a ogni invocazione: «Pensino ai lavoratori, innanzitutto. E non si occupino di cose che non sanno. Mi occupo dei neutroni io? Lascino perdere, che non sanno la differenza tra codice civile e codice della strada. Questi hanno cancellato tutto. Se non ci fosse stato Sposetti a registrare, per anni, il marchio della Festa dell’Unità e il dominio Internet, ora non avremmo neanche più quello. Ha visto quanti iscritti ci sono? Hanno abbassato a 20 euro la quota del tesseramento: una vergogna. Io sono iscritto, ma verso molti più soldi».
Ieri Repubblica ha raccontato la «fuga degli iscritti», per un partito «senza più base»: «Solo 100 mila tessere in un anno, persi 400 mila iscritti». Numeri ridimensionati dal vicesegretario Lorenzo Guerini: «Il tesseramento è iniziato solo il 25 aprile, l’obiettivo sono 300 mila tessere». Ma la crisi c’è, il Pd è cambiato. Pier Luigi Bersani è critico: «Un partito fatto solo di elettori e non più di iscritti, non è più un partito». E D’Alema aggiunge: «Con l’avvento di Renzi, il partito viene visto come un peso e la democrazia non ne esce rafforzata».
Il tema si incrocia con le risorse. E qui si torna al patrimonio Ds. Orfini insiste: «Quando nacque il Pd, si volevano tagliare le radici, ma ora siamo in una fase diversa. C’è una riappacificazione con il nostro immaginario, vedi ritorno delle Feste dell’Unità. Siamo anche entrati nel Pse. Non c’è ragione perché il patrimonio dei Ds resti lì». Tra i motivi per cui si scelsero le fondazioni, nel 2007, c’era il retropensiero di un eventuale fallimento del Pd. Per questo si «privatizzò» il patrimonio: un tesoretto da tenere in sicurezza, anche dalle banche, visti i debiti. Tesoretto che può venire utile, in caso di scissione?
antonio misiani
ANTONIO MISIANI
Il meccanismo delle fondazioni è paradossale. Non tutti i Ds sono entrati nel Pd: alcune sono gestite da dirigenti vicini a Sel e Rifondazione. Nelle fondazioni, inoltre, vale il metodo della cooptazione: i presidenti possono cedere il posto e nominare chi vogliono. Con il risultato di cambi al vertice con dirigenti che non hanno nessun legame né con il Pd né con la sinistra (in Toscana una sede è entrata nell’orbita 5 Stelle). Progressivamente, la galassia rischia di allontanarsi dal sistema solare del Pd.
renzi in bici con maglietta radio deejay
RENZI IN BICI CON MAGLIETTA RADIO DEEJAY
E i debiti (pare si aggirino intorno a 150 milioni di euro)? Orfini apre: «Il Pd potrebbe farsene carico». Bonifazi è molto più cauto, se non contrario. Non è escluso che si provi a fare una compensazione tra patrimonio sul territorio (c’è chi parla di un miliardo) e debiti romani. L’ex tesoriere Antonio Misiani è scettico: «È una vicenda che non si può affrontare con superficialità. La prima cosa da fare è che si siedano a un tavolo. Ma vedo difficile c
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Re: COME VA IL PD
4 OTT 2014 19:08
MAI DIRE PD! ALTRO CHE TESSERE, IL VERO SCAZZO È SUI SOLDI: BERSANI E I SUOI HANNO LASCIATO UN BUCO DA 17 MILIONI DI EURO! TRA STIPENDI E APPARTAMENTI A ROMA, SOLO LA SEGRETERIA DI CULATELLO COSTAVA UN MILIONE ALL’ANNO
Metodo Boffo? Nel Pd è scontro totale sul bilancio: contestate all’ex segretario le spese pazze di quando guidava il partito, tra consulenze, collaborazioni e affitti per sedi sparse nel centro di Roma. I renziani: “Stiamo cercando di riparare ai loro danni”…
Wanda Marra per “Il Fatto Quotidiano”
Ci siamo trovati un po ’ di problemini nel bilancio del partito. Ma siccome siamo gente seria i panni sporchi si lavano in casa”. Dal palco del festival di Internazionale a Ferrara, Matteo Renzi non perde l’occasione di tirare la vera stilettata alla minoranza Dem. Per tutta la giornata impazza la polemica sul calo dei tesseramenti nel Pd, con lui segretario, scatenata da un articolo di Repubblica.
Ma è proprio Renzi a spostare l’attenzione sui soldi, sui buchi lasciati dalla precedente gestione della ditta. “C’è un gruppo di persone che dice: ‘ Mamma mia da quando c’è segretario Renzi, il Pd perde iscritti’”. A questi “vorrei semplicemente far notare che il Pd ha preso il 40,8 per cento, 16 punti in più delle ultimi elezioni”. E dunque, “a qualcuno piace il Pd che ha 400 mila iscritti e però perde le elezioni e prende il 25 per cento, a me quello che vince e che riconquista le Regioni”.
Renzi puntualizza. Ad ora, le tessere sarebbero meno di 100 mila. Un dato allarmante, che ha scatenato la reazione dei vecchi “proprietari” della ditta. Con Bersani che si è messo l’elmetto (“Senza iscritti, addio al Pd”) e Stefano Fassina in prima linea (“Non siamo un partito, siamo un comitato elettorale. Ma Renzi fa la Leopolda per i fedelissimi.”).
Per i renziani è toccato al vicesegretario, Lorenzo Guerini confutare questa lettura: “Sono dati imprecisi. Il nostro obiettivo è superare i 300 mila”. L’affondo: “Stiamo controllando anche le tessere dell’anno scorso”. Per dirla ancora con Renzi, “L’anno scorso c’era il congresso. A me piace l’idea che la tessera sia un valore, ma non quando c’è da votare per un segretario, ma perché c’è un’idea”. Il sottotitolo è chiaro: lui ha i voti, del partito tradizionale gliene importa ben poco.
La polemica sul Pd che non è più il Pd, sul leader senza base, sul premier che non fa il segretario va avanti ormai da mesi, con i “grandi vecchi” del partito all’attacco. Ma a questo punto sembra aver imboccato una strada di non ritorno. Niente tessere vuol dire anche meno soldi. Ed è proprio sui soldi che si consuma il secondo round. “Il Pd di Renzi non ha un euro in cassa. E loro, che fanno? Organizzano cene”.
È un bersaniano di ferro che parla. Il problema è incontestabile: il bilancio del 2013 è stato chiuso con 10 milioni e 800 mila euro di rosso. E nel 2013 il finanziamento pubblico era di 24 milioni di euro. Saranno 13 per il 2014: 11 in meno. Altro che rosso, allora.
Dai vertici del Nazareno è arrivato l’invito a tutti i parlamentari a partecipare a delle cene (2 o 3, sicuramente al nord, ma forse anche al centro e al sud), che si faranno a novembre. Ciascuno è tenuto a portare 5 imprenditori, che dovranno versare 1000 euro ciascuno.
Se anche l’operazione dovesse andare liscia come l’olio, con 400 parlamentari all’opera nelle casse del Nazareno arriverebbero 2 milioni di euro. Poca cosa. “Ma con che coraggio parlano? Sono loro che hanno creato questa situazione”, si sfogano i renziani, ricordando che tra il 2012 e il 2013 il rosso creato dalla gestione Bersani si assomma a 17 milioni. Il tesoriere Bonifazi ha annunciato per il 2014 il pareggio, lo stesso Renzi ha sottolineato che nessuno è stato licenziato.
Operazione difficile. “Noi stiamo cercando di riparare ai loro danni”, spiegano. E allora, ecco che sfoggiano una gestione più oculata del partito: tagli alle consulenze e alle collaborazioni, fine dei contratti di affitto di locali diversi da Sant’Andrea delle Fratte, ridimensionamento di Youdem, spostamento di alcuni dipendenti dal partito ai gruppi di Camera e Senato.
Basterà? Sperano in un trattamento migliore dalle banche. Poi, c’è tutto il capitolo sprechi. Alcuni membri della segreteria Bersani avevano uno stipendio (ora non è così), il partito pagava loro appartamenti a Roma, auto, rimborsi vari. E non solo. “La segretaria di Bersani costava un milione di euro l’anno”, denunciano i renziani. Lo stesso ex segretario in direzione ha parlato di “metodo Boffo” usato nei suoi confronti.
E la fedelissima Chiara Geloni spiegava: “Non fanno altro che dire che lui sprecava i soldi del Pd”. I dossier più circostanziati i dirigenti dem dell’epoca Renzi ce li hanno nel cassetto. Non a caso, ogni tanto lanciano lì qualche cifra e qualche indizio. Una pistola carica, ma che per ora non viene scaricata: i voti delle minoranze con l’arrivo in Senato della riforma del lavoro servono. Meglio dire e non dire. E intorno a tutto questo ruotare di pallottole, aleggia il fantasma scissione.
Ieri Matteo Orfini ha chiesto a Ugo Sposetti, storico tesoriere dei Ds, di passare al Pd il patrimonio rimasto alla Quercia. Ma lui non ci pensa proprio: “Quegli immobili, che abbiamo noi, come li ha la Margherita, sono il frutto del nostro lavoro. Mica è un matrimonio, che dobbiamo portarli in dote”. C’è chi dice che quei soldi potrebbero servire a fare un altro partito, magari con D’Alema a capo. Anche su questo Sposetti è categorico: “Non esiste”. Ma comunque, “chiedete a D’Alema”.
MAI DIRE PD! ALTRO CHE TESSERE, IL VERO SCAZZO È SUI SOLDI: BERSANI E I SUOI HANNO LASCIATO UN BUCO DA 17 MILIONI DI EURO! TRA STIPENDI E APPARTAMENTI A ROMA, SOLO LA SEGRETERIA DI CULATELLO COSTAVA UN MILIONE ALL’ANNO
Metodo Boffo? Nel Pd è scontro totale sul bilancio: contestate all’ex segretario le spese pazze di quando guidava il partito, tra consulenze, collaborazioni e affitti per sedi sparse nel centro di Roma. I renziani: “Stiamo cercando di riparare ai loro danni”…
Wanda Marra per “Il Fatto Quotidiano”
Ci siamo trovati un po ’ di problemini nel bilancio del partito. Ma siccome siamo gente seria i panni sporchi si lavano in casa”. Dal palco del festival di Internazionale a Ferrara, Matteo Renzi non perde l’occasione di tirare la vera stilettata alla minoranza Dem. Per tutta la giornata impazza la polemica sul calo dei tesseramenti nel Pd, con lui segretario, scatenata da un articolo di Repubblica.
Ma è proprio Renzi a spostare l’attenzione sui soldi, sui buchi lasciati dalla precedente gestione della ditta. “C’è un gruppo di persone che dice: ‘ Mamma mia da quando c’è segretario Renzi, il Pd perde iscritti’”. A questi “vorrei semplicemente far notare che il Pd ha preso il 40,8 per cento, 16 punti in più delle ultimi elezioni”. E dunque, “a qualcuno piace il Pd che ha 400 mila iscritti e però perde le elezioni e prende il 25 per cento, a me quello che vince e che riconquista le Regioni”.
Renzi puntualizza. Ad ora, le tessere sarebbero meno di 100 mila. Un dato allarmante, che ha scatenato la reazione dei vecchi “proprietari” della ditta. Con Bersani che si è messo l’elmetto (“Senza iscritti, addio al Pd”) e Stefano Fassina in prima linea (“Non siamo un partito, siamo un comitato elettorale. Ma Renzi fa la Leopolda per i fedelissimi.”).
Per i renziani è toccato al vicesegretario, Lorenzo Guerini confutare questa lettura: “Sono dati imprecisi. Il nostro obiettivo è superare i 300 mila”. L’affondo: “Stiamo controllando anche le tessere dell’anno scorso”. Per dirla ancora con Renzi, “L’anno scorso c’era il congresso. A me piace l’idea che la tessera sia un valore, ma non quando c’è da votare per un segretario, ma perché c’è un’idea”. Il sottotitolo è chiaro: lui ha i voti, del partito tradizionale gliene importa ben poco.
La polemica sul Pd che non è più il Pd, sul leader senza base, sul premier che non fa il segretario va avanti ormai da mesi, con i “grandi vecchi” del partito all’attacco. Ma a questo punto sembra aver imboccato una strada di non ritorno. Niente tessere vuol dire anche meno soldi. Ed è proprio sui soldi che si consuma il secondo round. “Il Pd di Renzi non ha un euro in cassa. E loro, che fanno? Organizzano cene”.
È un bersaniano di ferro che parla. Il problema è incontestabile: il bilancio del 2013 è stato chiuso con 10 milioni e 800 mila euro di rosso. E nel 2013 il finanziamento pubblico era di 24 milioni di euro. Saranno 13 per il 2014: 11 in meno. Altro che rosso, allora.
Dai vertici del Nazareno è arrivato l’invito a tutti i parlamentari a partecipare a delle cene (2 o 3, sicuramente al nord, ma forse anche al centro e al sud), che si faranno a novembre. Ciascuno è tenuto a portare 5 imprenditori, che dovranno versare 1000 euro ciascuno.
Se anche l’operazione dovesse andare liscia come l’olio, con 400 parlamentari all’opera nelle casse del Nazareno arriverebbero 2 milioni di euro. Poca cosa. “Ma con che coraggio parlano? Sono loro che hanno creato questa situazione”, si sfogano i renziani, ricordando che tra il 2012 e il 2013 il rosso creato dalla gestione Bersani si assomma a 17 milioni. Il tesoriere Bonifazi ha annunciato per il 2014 il pareggio, lo stesso Renzi ha sottolineato che nessuno è stato licenziato.
Operazione difficile. “Noi stiamo cercando di riparare ai loro danni”, spiegano. E allora, ecco che sfoggiano una gestione più oculata del partito: tagli alle consulenze e alle collaborazioni, fine dei contratti di affitto di locali diversi da Sant’Andrea delle Fratte, ridimensionamento di Youdem, spostamento di alcuni dipendenti dal partito ai gruppi di Camera e Senato.
Basterà? Sperano in un trattamento migliore dalle banche. Poi, c’è tutto il capitolo sprechi. Alcuni membri della segreteria Bersani avevano uno stipendio (ora non è così), il partito pagava loro appartamenti a Roma, auto, rimborsi vari. E non solo. “La segretaria di Bersani costava un milione di euro l’anno”, denunciano i renziani. Lo stesso ex segretario in direzione ha parlato di “metodo Boffo” usato nei suoi confronti.
E la fedelissima Chiara Geloni spiegava: “Non fanno altro che dire che lui sprecava i soldi del Pd”. I dossier più circostanziati i dirigenti dem dell’epoca Renzi ce li hanno nel cassetto. Non a caso, ogni tanto lanciano lì qualche cifra e qualche indizio. Una pistola carica, ma che per ora non viene scaricata: i voti delle minoranze con l’arrivo in Senato della riforma del lavoro servono. Meglio dire e non dire. E intorno a tutto questo ruotare di pallottole, aleggia il fantasma scissione.
Ieri Matteo Orfini ha chiesto a Ugo Sposetti, storico tesoriere dei Ds, di passare al Pd il patrimonio rimasto alla Quercia. Ma lui non ci pensa proprio: “Quegli immobili, che abbiamo noi, come li ha la Margherita, sono il frutto del nostro lavoro. Mica è un matrimonio, che dobbiamo portarli in dote”. C’è chi dice che quei soldi potrebbero servire a fare un altro partito, magari con D’Alema a capo. Anche su questo Sposetti è categorico: “Non esiste”. Ma comunque, “chiedete a D’Alema”.
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Re: COME VA IL PD
Allarme di Bersani: senza iscritti, addio al Pd
L’ex segretario attacca dopo i dati sugli iscritti in calo. Guerini: «Notizie infondate». Ma la minoranza Pd rilancia la sfida con Fassina: «Degradati a comitato elettorale»
ROMA
Lo scontro nel Pd tra Renzi e la minoranza interna si sposta dal Jobs Act alla gestione interna del partito, anzi alla forma stessa che il partito deve assumere. La polemica è nata sul numero degli iscritti: secondo la minoranza sarebbe crollato, mentre la maggioranza nega il dato e con Renzi contrattacca ricordando di aver preso il 40% alle elezioni contro il 25% di Pierluigi Bersani.
Ad accendere la miccia è stato un articolo di «Repubblica» secondo cui nel 2014 gli iscritti saranno a stento 100.000 rispetto ai 539 mila che votarono nell’autunno 2013 alla fase congressuale che precedette le primarie dell’8 dicembre.
Immediato l’attacco di Stefano Fassina: «Matteo Renzi, oltre a dedicarsi a organizzare la `Leopolda´ per i suoi fedelissimi, dovrebbe innanzitutto preoccuparsi di organizzare un’assemblea nazionale dei coordinatori dei circoli del Pd». Ancora più duro Pippo Civati che paventa una «scissione» da parte di militanti: «la condotta di Renzi rischia di allontanare pezzi di partito come dimostrano anche i dati del tesseramento».
Il vicesegretario Lorenzo Guerini ribatte punto su punto pur evitando toni polemici. Innanzi tutto, puntualizza, i dati pubblicati sono sballati, perché nel 2014 si arriverà a quota 300.000, cifra «naturale» visto che quest’anno non c’è un congresso che spinge a tesserarsi. Segue, con nonchalance, l’affondo contro la vecchia gestione della «ditta»: «Tra l’altro, i dati del 2013, sono in corso di verifica».
A rendere più esplicita la controffensiva dei renziani è Lorenza Bonaccorsi, che parla di «circoli finti che aprono solo il giorno del congresso e poi non fanno alcuna attività», e ricorda l’imbarazzante risultato di sette circoli aziendali di Roma al Congresso per la segreteria regionale: 100% al candidato bersaniano Lionello Cosentino, manco in Bulgaria. «Ora non facciano i santarelli sulle tessere» attacca la parlamentare romana rivolgendosi alla minoranza.
Per altro il segretario regionale della Toscana, Dario Parrini, parla di «numeri infondati» per quanto riguarda la sua regione, mentre dall’Emilia giungono cifre (52.965) «in linea con quelle degli anni precedenti in questo periodo». Quanto a Matteo Renzi, ama giocare solo all’attacco e ricorda i risultati elettorali: «A chi dice `mamma mia...con questa segretaria abbiamo perso iscritti´ - ha detto il premier - vorrei far notare semplicemente che il Pd ha preso 40,8%, 16 punti in più delle ultimi elezioni» cioè quelle del 2013 in cui Bersani era il leader. «Qualcuno preferisce avere 400mila tessere - affonda ancora Renzi - ma poi prendere solo il 25%».
Gianni Cuperlo, che domani riunirà a Bologna la sua area SinistraDem, preferisce toni più riflessivi: «Non voglio imbastire polemiche ed è giusto conoscere i dati certi sul numero degli iscritti. Ma credo sia necessario fare presto una discussione seria su quale idea di partito abbiamo in mente e su che modello immaginiamo per rendere viva la partecipazione dei cittadini». Oltretutto, ricorda, con il progressivo taglio del finanziamento pubblico, il tesseramento rimane una fonte di autofinanziamento «per evitare di tornare a un accesso patrimoniale alle cariche elettive».
✔ @StefanoFassina
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crollo iscritti e sbandamento programmatico x il Pd. Ma Renzi fa la #leopolda x i fedelissimi. no. prima assemblea naz circoli #primailpd
11:44 - 3 Ott 2014
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L’ex segretario attacca dopo i dati sugli iscritti in calo. Guerini: «Notizie infondate». Ma la minoranza Pd rilancia la sfida con Fassina: «Degradati a comitato elettorale»
ROMA
Lo scontro nel Pd tra Renzi e la minoranza interna si sposta dal Jobs Act alla gestione interna del partito, anzi alla forma stessa che il partito deve assumere. La polemica è nata sul numero degli iscritti: secondo la minoranza sarebbe crollato, mentre la maggioranza nega il dato e con Renzi contrattacca ricordando di aver preso il 40% alle elezioni contro il 25% di Pierluigi Bersani.
Ad accendere la miccia è stato un articolo di «Repubblica» secondo cui nel 2014 gli iscritti saranno a stento 100.000 rispetto ai 539 mila che votarono nell’autunno 2013 alla fase congressuale che precedette le primarie dell’8 dicembre.
Immediato l’attacco di Stefano Fassina: «Matteo Renzi, oltre a dedicarsi a organizzare la `Leopolda´ per i suoi fedelissimi, dovrebbe innanzitutto preoccuparsi di organizzare un’assemblea nazionale dei coordinatori dei circoli del Pd». Ancora più duro Pippo Civati che paventa una «scissione» da parte di militanti: «la condotta di Renzi rischia di allontanare pezzi di partito come dimostrano anche i dati del tesseramento».
Il vicesegretario Lorenzo Guerini ribatte punto su punto pur evitando toni polemici. Innanzi tutto, puntualizza, i dati pubblicati sono sballati, perché nel 2014 si arriverà a quota 300.000, cifra «naturale» visto che quest’anno non c’è un congresso che spinge a tesserarsi. Segue, con nonchalance, l’affondo contro la vecchia gestione della «ditta»: «Tra l’altro, i dati del 2013, sono in corso di verifica».
A rendere più esplicita la controffensiva dei renziani è Lorenza Bonaccorsi, che parla di «circoli finti che aprono solo il giorno del congresso e poi non fanno alcuna attività», e ricorda l’imbarazzante risultato di sette circoli aziendali di Roma al Congresso per la segreteria regionale: 100% al candidato bersaniano Lionello Cosentino, manco in Bulgaria. «Ora non facciano i santarelli sulle tessere» attacca la parlamentare romana rivolgendosi alla minoranza.
Per altro il segretario regionale della Toscana, Dario Parrini, parla di «numeri infondati» per quanto riguarda la sua regione, mentre dall’Emilia giungono cifre (52.965) «in linea con quelle degli anni precedenti in questo periodo». Quanto a Matteo Renzi, ama giocare solo all’attacco e ricorda i risultati elettorali: «A chi dice `mamma mia...con questa segretaria abbiamo perso iscritti´ - ha detto il premier - vorrei far notare semplicemente che il Pd ha preso 40,8%, 16 punti in più delle ultimi elezioni» cioè quelle del 2013 in cui Bersani era il leader. «Qualcuno preferisce avere 400mila tessere - affonda ancora Renzi - ma poi prendere solo il 25%».
Gianni Cuperlo, che domani riunirà a Bologna la sua area SinistraDem, preferisce toni più riflessivi: «Non voglio imbastire polemiche ed è giusto conoscere i dati certi sul numero degli iscritti. Ma credo sia necessario fare presto una discussione seria su quale idea di partito abbiamo in mente e su che modello immaginiamo per rendere viva la partecipazione dei cittadini». Oltretutto, ricorda, con il progressivo taglio del finanziamento pubblico, il tesseramento rimane una fonte di autofinanziamento «per evitare di tornare a un accesso patrimoniale alle cariche elettive».
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Re: COME VA IL PD
Corriere 4.10.14
I renziani, i numeri dei tesserati e i timori per la segreteria
di Monica Guerzoni
La minoranza non aspettava altro. La notizia di un brusco calo dei tesserati, per quanto smentita dal Nazareno, è stata accolta da Bersani e compagni come la conferma che il Pd ha urgente bisogno di un tagliando. La sinistra si è scagliata contro il partito «degradato a comitato elettorale» e ha chiesto una grande assemblea per discutere di identità e modello organizzativo.
Colpi che per i renziani hanno il sapore di un attacco studiato, concepito per far risaltare plasticamente la differenza tra il PDR (il partito di Renzi) e la «ditta» di Bersani. Non a caso D’Attorre ammonisce il segretario, ricordandogli di «avere ereditato un bene che ha il dovere di trasmettere a quelli che verranno dopo di lui».
La ditta, appunto: che gli ex Ds si sono fatti sfilare dai «neofiti» fiorentini e che adesso, sospettano nell’entourage del premier, vorrebbero riprendersi.
Ecco perché, quando l’ex segretario dice no alla scissione per restare nel Pd «saldamente con tre piedi», al Nazareno suona l’allarme.
I renziani sono notoriamente immuni dalla sindrome del nemico a sinistra e mostrano di temere la nascita di un nuovo partitino meno dell’assalto alla segreteria. Davide Faraone già alza le barricate: «Non molleremo mai».
I renziani, i numeri dei tesserati e i timori per la segreteria
di Monica Guerzoni
La minoranza non aspettava altro. La notizia di un brusco calo dei tesserati, per quanto smentita dal Nazareno, è stata accolta da Bersani e compagni come la conferma che il Pd ha urgente bisogno di un tagliando. La sinistra si è scagliata contro il partito «degradato a comitato elettorale» e ha chiesto una grande assemblea per discutere di identità e modello organizzativo.
Colpi che per i renziani hanno il sapore di un attacco studiato, concepito per far risaltare plasticamente la differenza tra il PDR (il partito di Renzi) e la «ditta» di Bersani. Non a caso D’Attorre ammonisce il segretario, ricordandogli di «avere ereditato un bene che ha il dovere di trasmettere a quelli che verranno dopo di lui».
La ditta, appunto: che gli ex Ds si sono fatti sfilare dai «neofiti» fiorentini e che adesso, sospettano nell’entourage del premier, vorrebbero riprendersi.
Ecco perché, quando l’ex segretario dice no alla scissione per restare nel Pd «saldamente con tre piedi», al Nazareno suona l’allarme.
I renziani sono notoriamente immuni dalla sindrome del nemico a sinistra e mostrano di temere la nascita di un nuovo partitino meno dell’assalto alla segreteria. Davide Faraone già alza le barricate: «Non molleremo mai».
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Re: COME VA IL PD
Repubblica 4.10.14
Pd, lite sul crollo degli iscritti Bersani: così il partito muore
Renzi: ma abbiamo il 41%
La segreteria dei dem non fornisce cifre ma Guerini fissa l’obiettivo: “Puntiamo a 300mila tessere vere”
D’Alema: con Matteo democrazia più debole
di F. Bei
ROMA Dopo la rivelazione su Repubblica sui dati sul tesseramento (a stento 100mila contro gli oltre 500mila del 2013), la secchiata gelata investe in pieno il Pd. E la minoranza ne approfitta per aprire un altro fronte contro il leader. Inizia l’ex segretario Bersani: «Lo Statuto dice che il Pd è un partito ‘di iscritti e di elettori’. Ovviamente, se diventasse solo un partito di elettori diventerebbe un’altra cosa». Invece Cuperlo invoca «una discussione seria su quale idea di partito abbiamo in mente», mentre Civati evoca di nuovo la scissione, da parte però dei militanti: «Non sono io a volerla, ma la condotta di Renzi». Di un partito in «stato di semi abbandono» parla Fassina.
In serata, infine, rincara la dose D’Alema: «Renzi si è posto nella scia della personalizzazione della politica. Ma così la politica si indebolisce, la riflessione collettiva viene meno e non credo che la democrazia ne esca rafforzata».
È Matteo Renzi a rispondere a muso duro all’opposizione interna. «A qualcuno piace il Pd che ha 400mila iscritti ma prende il 25%, a qualcun altro invece piace quello che prende il 40% e vince la partita delle idee».
Sugli iscritti invece il compito di precisare è lasciato a Guerini: «L’andamento del tesseramento per il 2014 procede naturalmente e i numeri sono in linea con gli anni precedenti».
L’obiettivo «è superare i 300mila iscritti a fine anno, veri». Coda velenosa sulla precedente gestione: «Tra l’altro, i dati del 2013, sono in corso di verifica». ( f. bei)
Pd, lite sul crollo degli iscritti Bersani: così il partito muore
Renzi: ma abbiamo il 41%
La segreteria dei dem non fornisce cifre ma Guerini fissa l’obiettivo: “Puntiamo a 300mila tessere vere”
D’Alema: con Matteo democrazia più debole
di F. Bei
ROMA Dopo la rivelazione su Repubblica sui dati sul tesseramento (a stento 100mila contro gli oltre 500mila del 2013), la secchiata gelata investe in pieno il Pd. E la minoranza ne approfitta per aprire un altro fronte contro il leader. Inizia l’ex segretario Bersani: «Lo Statuto dice che il Pd è un partito ‘di iscritti e di elettori’. Ovviamente, se diventasse solo un partito di elettori diventerebbe un’altra cosa». Invece Cuperlo invoca «una discussione seria su quale idea di partito abbiamo in mente», mentre Civati evoca di nuovo la scissione, da parte però dei militanti: «Non sono io a volerla, ma la condotta di Renzi». Di un partito in «stato di semi abbandono» parla Fassina.
In serata, infine, rincara la dose D’Alema: «Renzi si è posto nella scia della personalizzazione della politica. Ma così la politica si indebolisce, la riflessione collettiva viene meno e non credo che la democrazia ne esca rafforzata».
È Matteo Renzi a rispondere a muso duro all’opposizione interna. «A qualcuno piace il Pd che ha 400mila iscritti ma prende il 25%, a qualcun altro invece piace quello che prende il 40% e vince la partita delle idee».
Sugli iscritti invece il compito di precisare è lasciato a Guerini: «L’andamento del tesseramento per il 2014 procede naturalmente e i numeri sono in linea con gli anni precedenti».
L’obiettivo «è superare i 300mila iscritti a fine anno, veri». Coda velenosa sulla precedente gestione: «Tra l’altro, i dati del 2013, sono in corso di verifica». ( f. bei)
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Re: COME VA IL PD
Repubblica 4.10.14
E il premier insiste: “Voglio una cosa nuova aperta a tutti e senza signori delle tessere”
di Goffredo De Marchis
«NON esiste più quel modello in cui o hai la tessera o non sei nessuno e ti escludono dal gioco politico. Per me il Pd non è questo».
Matteo Renzi aveva anche accarezzato, tempo fa, l’idea di una conferenza sul partito, il suo programma, il suo statuto, la sua identità aggiornata al nuovo secolo. Ma poi lo scontro con la minoranza interna e la possibilità di ridare fiato alla vecchia guardia lo aveva fatto desistere.
«Come è il Pd che voglio io? Molto semplice. Un partito che vince e non che perde, che parte dai territori e va verso il centro».
ROMA «Non esiste più quel modello in cui o hai la tessera o non sei nessuno e ti escludono dal gioco politico. Per me il Pd non è questo». Matteo Renzi aveva anche accarezzato, tempo fa, l’idea di una conferenza sul partito, il suo programma, il suo statuto, la sua identità aggiornata al nuovo secolo. Ma poi lo scontro con la minoranza interna e la possibilità di ridare fiato alla vecla chia guardia lo aveva fatto desistere. «Come è il Pd che voglio io? Molto semplice. Un partito che vince e non che perde, che parte dai territori e va verso il centro non viceversa come accadeva con Bersani. Dove, soprattutto, anche se non sei iscritto puoi discutere e partecipare. E tra il partito dei voti e il partito delle tessere, preferisco il primo». Non c’è solo il 40,8 per cento da sbandierare. «Penso a come ci siamo comportati nei territori. Lasciando la massima autonomia. Basta guardare l’Emilia. Si puntava a un candidato unitario poi lì hanno deciso diversamente e li abbiamo lasciati liberi. È successo in Abruzzo, in Piemonte. Dove il Pd ha stravinto».
Dunque, non solo non ci sarà un’assemblea dei circoli, come chiede Stefano Fassina, per discutere del crollo delle tessere e del futuro di largo del Nazareno, ma nessuno si azzardi a contestare eventi come la Leopolda che quest’anno si svolgerà dal 24 al 26 ottobre. Senza il simbolo del Pd anche se a guidarla è il segretario di quella forza politica. «Non vi preoccupate, il Pd ci sarà. C’è sempre stato», rivendica Renzi. Quello vero, quello che parla al popolo degli elettori e non soltanto degli iscritti. Un Pd diverso dal passato, aperto, liquido, non in mano ai vari signori delle tessere: questo è il ragionamento del premier. «La spinta di cambiamento di Matteo coinvolge il modo di fare politica e anche il Partito democratico», segnala il sindaco di Firenze
Dario Nardella. «Una trasformazione che non va vissuta in negativo, prevede un nuovo modello di membership che non esclude gli iscritti. Alla fine vedrete saranno molti più di 100 mila», insiste Nardella.
Parliamone, è la riposta della minoranza interna. Con alcuni guanti di sfida. Il bersaniano Alfredo D’Attorre chiede al segretario di sconvocare la Leopolda e fare un’altra cosa con le bandiere del Pd. «Andava bene quando Matteo faceva lo sfidante. Adesso che senso ha? Sei il numero uno di una forza politica. Parla nelle sedi del Pd». Il succo è che non se non si vede il Pd, la base si allontana, scompare, si volatilizza. Bersani ha sintetizzato: «Così il partito non esiste più». Nei giorni della Leopolda, poi, potrebbe andare in scena platealmente la frattura interna al Nazareno.
I renziani a Firenze e alcuni dissidenti in piazza con la Cgil che si mobilita il 25. «Dipende come si sviluppa la discussione sulla riforma del lavoro», dice Fassina.
Ovvero: se prevale lo scontro e la «politica di destra» di Sacconi, la partecipazione di alcuni dirigenti del Pd alla manifestazione sindacale va messa nel conto. L’ipotesi di una fiducia sulla legge delega, per esempio, riaprirebbe il solco, come fa capire il gruppetto di senatori guidati da Cecilia Guerra con l’hashtag #nofiducia. «Sarebbe davvero il colmo rinunciare anche alla discussione dei nostri emendamenti», dicono.
Lo strappo non avverrà sul crollo degli iscritti. Gli oppositori escludono di organizzare una contromanifestazione sabato 25 contro la Leopolda. «Vogliamo un appuntamento del Pd semmai», ripete D’Attorre. Sul tavolo resta la proposta, anche spostata nel tempo, di una conferenza sulla forma- partito. Il presidente del Pd Matteo Orfini dice di «non conoscere i numeri del tesseramento », ma è anche convinto che una «riflessione potrebbe essere utile».
Cioè se mutazione genetica dev’essere, che sia discussa e portata nel dibattito dei militanti.
Se il mondo è cambiato, sostiene la minoranza, è il caso di un confronto vero. Perché il mondo, anche quello dei partiti, è davvero cambiato, osservano i renziani, pur scommettendo su 300 mila tessere alla fine dell’anno. Il Psoe pagnolo sperimenta nuove forme di associazione, il Labour ha 200 mila aderenti. Solo l’Spd tedesca continua a coltivare il suo “esercito” di 400 mila tesserati. Su una base, però, di 80 milioni di abitanti.
E il premier insiste: “Voglio una cosa nuova aperta a tutti e senza signori delle tessere”
di Goffredo De Marchis
«NON esiste più quel modello in cui o hai la tessera o non sei nessuno e ti escludono dal gioco politico. Per me il Pd non è questo».
Matteo Renzi aveva anche accarezzato, tempo fa, l’idea di una conferenza sul partito, il suo programma, il suo statuto, la sua identità aggiornata al nuovo secolo. Ma poi lo scontro con la minoranza interna e la possibilità di ridare fiato alla vecchia guardia lo aveva fatto desistere.
«Come è il Pd che voglio io? Molto semplice. Un partito che vince e non che perde, che parte dai territori e va verso il centro».
ROMA «Non esiste più quel modello in cui o hai la tessera o non sei nessuno e ti escludono dal gioco politico. Per me il Pd non è questo». Matteo Renzi aveva anche accarezzato, tempo fa, l’idea di una conferenza sul partito, il suo programma, il suo statuto, la sua identità aggiornata al nuovo secolo. Ma poi lo scontro con la minoranza interna e la possibilità di ridare fiato alla vecla chia guardia lo aveva fatto desistere. «Come è il Pd che voglio io? Molto semplice. Un partito che vince e non che perde, che parte dai territori e va verso il centro non viceversa come accadeva con Bersani. Dove, soprattutto, anche se non sei iscritto puoi discutere e partecipare. E tra il partito dei voti e il partito delle tessere, preferisco il primo». Non c’è solo il 40,8 per cento da sbandierare. «Penso a come ci siamo comportati nei territori. Lasciando la massima autonomia. Basta guardare l’Emilia. Si puntava a un candidato unitario poi lì hanno deciso diversamente e li abbiamo lasciati liberi. È successo in Abruzzo, in Piemonte. Dove il Pd ha stravinto».
Dunque, non solo non ci sarà un’assemblea dei circoli, come chiede Stefano Fassina, per discutere del crollo delle tessere e del futuro di largo del Nazareno, ma nessuno si azzardi a contestare eventi come la Leopolda che quest’anno si svolgerà dal 24 al 26 ottobre. Senza il simbolo del Pd anche se a guidarla è il segretario di quella forza politica. «Non vi preoccupate, il Pd ci sarà. C’è sempre stato», rivendica Renzi. Quello vero, quello che parla al popolo degli elettori e non soltanto degli iscritti. Un Pd diverso dal passato, aperto, liquido, non in mano ai vari signori delle tessere: questo è il ragionamento del premier. «La spinta di cambiamento di Matteo coinvolge il modo di fare politica e anche il Partito democratico», segnala il sindaco di Firenze
Dario Nardella. «Una trasformazione che non va vissuta in negativo, prevede un nuovo modello di membership che non esclude gli iscritti. Alla fine vedrete saranno molti più di 100 mila», insiste Nardella.
Parliamone, è la riposta della minoranza interna. Con alcuni guanti di sfida. Il bersaniano Alfredo D’Attorre chiede al segretario di sconvocare la Leopolda e fare un’altra cosa con le bandiere del Pd. «Andava bene quando Matteo faceva lo sfidante. Adesso che senso ha? Sei il numero uno di una forza politica. Parla nelle sedi del Pd». Il succo è che non se non si vede il Pd, la base si allontana, scompare, si volatilizza. Bersani ha sintetizzato: «Così il partito non esiste più». Nei giorni della Leopolda, poi, potrebbe andare in scena platealmente la frattura interna al Nazareno.
I renziani a Firenze e alcuni dissidenti in piazza con la Cgil che si mobilita il 25. «Dipende come si sviluppa la discussione sulla riforma del lavoro», dice Fassina.
Ovvero: se prevale lo scontro e la «politica di destra» di Sacconi, la partecipazione di alcuni dirigenti del Pd alla manifestazione sindacale va messa nel conto. L’ipotesi di una fiducia sulla legge delega, per esempio, riaprirebbe il solco, come fa capire il gruppetto di senatori guidati da Cecilia Guerra con l’hashtag #nofiducia. «Sarebbe davvero il colmo rinunciare anche alla discussione dei nostri emendamenti», dicono.
Lo strappo non avverrà sul crollo degli iscritti. Gli oppositori escludono di organizzare una contromanifestazione sabato 25 contro la Leopolda. «Vogliamo un appuntamento del Pd semmai», ripete D’Attorre. Sul tavolo resta la proposta, anche spostata nel tempo, di una conferenza sulla forma- partito. Il presidente del Pd Matteo Orfini dice di «non conoscere i numeri del tesseramento », ma è anche convinto che una «riflessione potrebbe essere utile».
Cioè se mutazione genetica dev’essere, che sia discussa e portata nel dibattito dei militanti.
Se il mondo è cambiato, sostiene la minoranza, è il caso di un confronto vero. Perché il mondo, anche quello dei partiti, è davvero cambiato, osservano i renziani, pur scommettendo su 300 mila tessere alla fine dell’anno. Il Psoe pagnolo sperimenta nuove forme di associazione, il Labour ha 200 mila aderenti. Solo l’Spd tedesca continua a coltivare il suo “esercito” di 400 mila tesserati. Su una base, però, di 80 milioni di abitanti.
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Re: COME VA IL PD
Repubblica 4.10.14
La Ditta sciolta nel partito liquido
di Concita De Gregorio
QUATTRO mesi fa, a maggio, in questo Paese 11 milioni, 203mila e 231 persone hanno votato il Partito democratico portandolo al 40,8 per cento e facendo di Matteo Renzi il più giovane leader del più grande partito socialdemocratico europeo. Il precedente più prossimo, per un partito della sinistra italiana, è il leggendario sorpasso del Pci sulla Dc.
IL SORPASSO avvenne alle europee il 17 giugno del 1984, sei giorni dopo la morte di Enrico Berlinguer. Il nome del segretario appena scomparso era ancora capolista sulle schede: 33,3 per cento, primo partito. Con 7 punti e mezzo in più rispetto a quel Pci, a quel lutto e a quel tributo, a quell’Italia di un secolo fa, Matteo Renzi governa oggi il Paese.
La notizia di ieri, anticipata da Repubblica, è che il Pd — erede (anche) del Pci — conta a meno di due mesi dalla fine dell’anno 100 mila iscritti.
Cioè: ogni centodieci persone che hanno votato Renzi solo una è iscritta al Pd.
Proviamo a visualizzare centodieci persone: un’aula universitaria, un meganegozio di elettronica di un centro commerciale nell’ora di punta del sabato. Proviamo a immaginarli tutti elettori del Pd.
Proviamo a segnalare, nella foto, l’unico iscritto al Pd con l’evidenziatore giallo.
Ora occupiamoci degli altri 109. Chi sono? Perché non sentono il bisogno di far coincidere il loro voto per il Pd al gesto dell’iscriversi al partito?
La risposta sta nei fatti, nelle cose: chi vive nel mondo la conosce.
Il Pd — la Ditta, direbbe Bersani — è lo stesso partito che ha trattato Renzi come un estraneo e come un nemico fino ad un momento prima che vincesse.
Un ragazzotto ambizioso, un democristiano 2.0, uno svelto di lingua e di modi, irrispettoso dei padri, un rottamatore.
Non uno di noi. Uno che ci vuole far fuori.
Questo spiega perché Renzi, che è diffidente di natura, diffidi della nomenklatura e non gli si può dar torto.
“Io penso al paese, non ai dirigenti del Pd. Ogni volta che D’Alema parla mi regala un punto”, ha detto l’altro giorno.
E prima ancora aveva scritto una lettera sul sito del Partito tutta contro la vecchia guardia, e prima ancora aveva detto “Fassina chi?” del braccio destro di Bersani.
Sottotesto: io con questi non c’entro, io sono oltre.
La responsabilità dell’aver ignorato l’astensione crescente e la rivolta nascente è tutta di chi oggi si proclama all’opposizione interna, a sinistra — per così dire — di Renzi.
Avrebbero potuto fare, se solo avessero ascoltato il mondo intorno: non hanno ascoltato né fatto.
Per sovrapprezzo c’è il tema della leadership, dell’uomo solo al comando, l’uomo della Provvidenza: un’antica abitudine italica radicata in un paio di ventenni, diremmo un’attitudine, da Berlusconi cavalcata e coltivata a meraviglia fin qui. I frutti del “ghe pensi mi” sono sotto i nostri occhi.
=========================================================================
Oggi il tema all’ordine del giorno è la scomparsa dell’ultimo grande partito italiano.
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Crollo di iscritti, nemmeno in Emilia vanno più ai gazebo.
Disintegrazione. Polverizzazione.
Il Pd trasformato in un comitato elettorale, in un autobus per Palazzo Chigi che quando si arriva si parcheggia fuori, pazienza per la ruggine.
Ma quel partito, quell’idea di partito, non corrisponde più al sentire comune aizzato e fomentato negli anni dall’inerzia e dagli errori di chi poteva e doveva alimentare l’identità e l’appartenenza, premiare la lealtà e non fedeltà devota e riconoscente, infine dallo tsunami dell’anticasta: tutti corrotti, tutti uguali, non c’è più destra e sinistra, solo conservazione o innovazione — ha scritto Renzi nella prefazione del libro di Bobbio, “Destra e sinistra”. Solo stagnazione o movimento: cosa scegliete?
Ha ragione, Renzi.
Il Novecento è finito.
Non ci sono più i telefoni fissi, le cabine a gettoni, il cercapersone. Non ci sono più nemmeno i partiti, il Pd era l’ultimo.[/b]
Quei centomila iscritti sono i funzionari nazionali e locali e i loro amici intimi, i loro familiari.
Nemmeno tutti, fra i familiari. Sono anziani, in maggioranza, o personalmente interessati alla causa, o — in una minima parte — giovanissimi in cerca di casa, destinati presto a scontarsi con le logiche mefitiche e asfittiche delle appartenenze, nei circoli.
A vedere andare avanti chi “appartiene” a qualcuno piuttosto che chi sa e vuole fare qualcosa.
“Io parlo al Paese”. Perfetto, è la cosa giusta. Infatti vince.
Ma presto o tardi arriverà il momento in cui l’assenza di una struttura che non sia solo liquida e virtuale, non viaggi solo sui “like” della rete e sulle comparsate in bomber in tv, si ritorcerà contro chi ha pensato di poter fare a meno di un luogo dove le idee diverse — le idee diverse dalle sue — si confrontino e si misurino nel gioco della parola e della democrazia.
Un luogo fisico, concreto, reale, che sappia mediare fra la pancia e la testa, che trasformi in progetto politico il desiderio e il bisogno.
Nella vita vera tutto ciò che piace anche a volte un po’ dispiace. Non basta fare like a una rivoluzione, bisogna esserci di persona.
Non basta votare un leader carismatico.
Bisogna sostenerlo nella buona e nella cattiva sorte, come quando ci si sposa e si prova a convivere, e a volte è dura ma è un progetto, si discute, si soccombe, ci si arrabbia poi si prova ancora perché comunque è meglio che stare da soli, ciascuno in compagnia virtuale di tutto quello che manca.
Tutto quello che “non mi piace”.
Renzi è stato il primo degli scissionisti del Pd.
Il primo che ha mostrato di poter fare senza l’apparato, fare contro.
Ora ha l’80 per cento in direzione e il 41 nel paese: ha vinto.
Bonifichi i pozzi, segni la rotta. Se non vuole quel partito, vecchio come un telefono a gettoni, ne costruisca un altro.
Dia un posto ai milioni di ragazzi che non hanno dove andare e provi a fare quello che non hanno saputo fare molti, troppi prima di lui: pensi alle sorti dell’Italia fra trent’anni, quando anche lui sarà vecchio, più vecchio di D’Alema adesso.
Pensi a un posto dove i suoi figli bambini possano costruire la democrazia, lo faccia adesso. Alla generosità siamo così disabituati, sarebbe una rivoluzione.
La Ditta sciolta nel partito liquido
di Concita De Gregorio
QUATTRO mesi fa, a maggio, in questo Paese 11 milioni, 203mila e 231 persone hanno votato il Partito democratico portandolo al 40,8 per cento e facendo di Matteo Renzi il più giovane leader del più grande partito socialdemocratico europeo. Il precedente più prossimo, per un partito della sinistra italiana, è il leggendario sorpasso del Pci sulla Dc.
IL SORPASSO avvenne alle europee il 17 giugno del 1984, sei giorni dopo la morte di Enrico Berlinguer. Il nome del segretario appena scomparso era ancora capolista sulle schede: 33,3 per cento, primo partito. Con 7 punti e mezzo in più rispetto a quel Pci, a quel lutto e a quel tributo, a quell’Italia di un secolo fa, Matteo Renzi governa oggi il Paese.
La notizia di ieri, anticipata da Repubblica, è che il Pd — erede (anche) del Pci — conta a meno di due mesi dalla fine dell’anno 100 mila iscritti.
Cioè: ogni centodieci persone che hanno votato Renzi solo una è iscritta al Pd.
Proviamo a visualizzare centodieci persone: un’aula universitaria, un meganegozio di elettronica di un centro commerciale nell’ora di punta del sabato. Proviamo a immaginarli tutti elettori del Pd.
Proviamo a segnalare, nella foto, l’unico iscritto al Pd con l’evidenziatore giallo.
Ora occupiamoci degli altri 109. Chi sono? Perché non sentono il bisogno di far coincidere il loro voto per il Pd al gesto dell’iscriversi al partito?
La risposta sta nei fatti, nelle cose: chi vive nel mondo la conosce.
Il Pd — la Ditta, direbbe Bersani — è lo stesso partito che ha trattato Renzi come un estraneo e come un nemico fino ad un momento prima che vincesse.
Un ragazzotto ambizioso, un democristiano 2.0, uno svelto di lingua e di modi, irrispettoso dei padri, un rottamatore.
Non uno di noi. Uno che ci vuole far fuori.
Questo spiega perché Renzi, che è diffidente di natura, diffidi della nomenklatura e non gli si può dar torto.
“Io penso al paese, non ai dirigenti del Pd. Ogni volta che D’Alema parla mi regala un punto”, ha detto l’altro giorno.
E prima ancora aveva scritto una lettera sul sito del Partito tutta contro la vecchia guardia, e prima ancora aveva detto “Fassina chi?” del braccio destro di Bersani.
Sottotesto: io con questi non c’entro, io sono oltre.
La responsabilità dell’aver ignorato l’astensione crescente e la rivolta nascente è tutta di chi oggi si proclama all’opposizione interna, a sinistra — per così dire — di Renzi.
Avrebbero potuto fare, se solo avessero ascoltato il mondo intorno: non hanno ascoltato né fatto.
Per sovrapprezzo c’è il tema della leadership, dell’uomo solo al comando, l’uomo della Provvidenza: un’antica abitudine italica radicata in un paio di ventenni, diremmo un’attitudine, da Berlusconi cavalcata e coltivata a meraviglia fin qui. I frutti del “ghe pensi mi” sono sotto i nostri occhi.
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Oggi il tema all’ordine del giorno è la scomparsa dell’ultimo grande partito italiano.
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Crollo di iscritti, nemmeno in Emilia vanno più ai gazebo.
Disintegrazione. Polverizzazione.
Il Pd trasformato in un comitato elettorale, in un autobus per Palazzo Chigi che quando si arriva si parcheggia fuori, pazienza per la ruggine.
Ma quel partito, quell’idea di partito, non corrisponde più al sentire comune aizzato e fomentato negli anni dall’inerzia e dagli errori di chi poteva e doveva alimentare l’identità e l’appartenenza, premiare la lealtà e non fedeltà devota e riconoscente, infine dallo tsunami dell’anticasta: tutti corrotti, tutti uguali, non c’è più destra e sinistra, solo conservazione o innovazione — ha scritto Renzi nella prefazione del libro di Bobbio, “Destra e sinistra”. Solo stagnazione o movimento: cosa scegliete?
Ha ragione, Renzi.
Il Novecento è finito.
Non ci sono più i telefoni fissi, le cabine a gettoni, il cercapersone. Non ci sono più nemmeno i partiti, il Pd era l’ultimo.[/b]
Quei centomila iscritti sono i funzionari nazionali e locali e i loro amici intimi, i loro familiari.
Nemmeno tutti, fra i familiari. Sono anziani, in maggioranza, o personalmente interessati alla causa, o — in una minima parte — giovanissimi in cerca di casa, destinati presto a scontarsi con le logiche mefitiche e asfittiche delle appartenenze, nei circoli.
A vedere andare avanti chi “appartiene” a qualcuno piuttosto che chi sa e vuole fare qualcosa.
“Io parlo al Paese”. Perfetto, è la cosa giusta. Infatti vince.
Ma presto o tardi arriverà il momento in cui l’assenza di una struttura che non sia solo liquida e virtuale, non viaggi solo sui “like” della rete e sulle comparsate in bomber in tv, si ritorcerà contro chi ha pensato di poter fare a meno di un luogo dove le idee diverse — le idee diverse dalle sue — si confrontino e si misurino nel gioco della parola e della democrazia.
Un luogo fisico, concreto, reale, che sappia mediare fra la pancia e la testa, che trasformi in progetto politico il desiderio e il bisogno.
Nella vita vera tutto ciò che piace anche a volte un po’ dispiace. Non basta fare like a una rivoluzione, bisogna esserci di persona.
Non basta votare un leader carismatico.
Bisogna sostenerlo nella buona e nella cattiva sorte, come quando ci si sposa e si prova a convivere, e a volte è dura ma è un progetto, si discute, si soccombe, ci si arrabbia poi si prova ancora perché comunque è meglio che stare da soli, ciascuno in compagnia virtuale di tutto quello che manca.
Tutto quello che “non mi piace”.
Renzi è stato il primo degli scissionisti del Pd.
Il primo che ha mostrato di poter fare senza l’apparato, fare contro.
Ora ha l’80 per cento in direzione e il 41 nel paese: ha vinto.
Bonifichi i pozzi, segni la rotta. Se non vuole quel partito, vecchio come un telefono a gettoni, ne costruisca un altro.
Dia un posto ai milioni di ragazzi che non hanno dove andare e provi a fare quello che non hanno saputo fare molti, troppi prima di lui: pensi alle sorti dell’Italia fra trent’anni, quando anche lui sarà vecchio, più vecchio di D’Alema adesso.
Pensi a un posto dove i suoi figli bambini possano costruire la democrazia, lo faccia adesso. Alla generosità siamo così disabituati, sarebbe una rivoluzione.
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Re: COME VA IL PD
camillobenso ha scritto:Repubblica 4.10.14
La Ditta sciolta nel partito liquido
di Concita De Gregorio
QUATTRO mesi fa, a maggio, in questo Paese 11 milioni, 203mila e 231 persone hanno votato il Partito democratico portandolo al 40,8 per cento e facendo di Matteo Renzi il più giovane leader del più grande partito socialdemocratico europeo. Il precedente più prossimo, per un partito della sinistra italiana, è il leggendario sorpasso del Pci sulla Dc.
IL SORPASSO avvenne alle europee il 17 giugno del 1984, sei giorni dopo la morte di Enrico Berlinguer. Il nome del segretario appena scomparso era ancora capolista sulle schede: 33,3 per cento, primo partito. Con 7 punti e mezzo in più rispetto a quel Pci, a quel lutto e a quel tributo, a quell’Italia di un secolo fa, Matteo Renzi governa oggi il Paese.
La notizia di ieri, anticipata da Repubblica, è che il Pd — erede (anche) del Pci — conta a meno di due mesi dalla fine dell’anno 100 mila iscritti.
Cioè: ogni centodieci persone che hanno votato Renzi solo una è iscritta al Pd.
Proviamo a visualizzare centodieci persone: un’aula universitaria, un meganegozio di elettronica di un centro commerciale nell’ora di punta del sabato. Proviamo a immaginarli tutti elettori del Pd.
Proviamo a segnalare, nella foto, l’unico iscritto al Pd con l’evidenziatore giallo.
Ora occupiamoci degli altri 109. Chi sono? Perché non sentono il bisogno di far coincidere il loro voto per il Pd al gesto dell’iscriversi al partito?
La risposta sta nei fatti, nelle cose: chi vive nel mondo la conosce.
Il Pd — la Ditta, direbbe Bersani — è lo stesso partito che ha trattato Renzi come un estraneo e come un nemico fino ad un momento prima che vincesse.
Un ragazzotto ambizioso, un democristiano 2.0, uno svelto di lingua e di modi, irrispettoso dei padri, un rottamatore.
Non uno di noi. Uno che ci vuole far fuori.
Questo spiega perché Renzi, che è diffidente di natura, diffidi della nomenklatura e non gli si può dar torto.
“Io penso al paese, non ai dirigenti del Pd. Ogni volta che D’Alema parla mi regala un punto”, ha detto l’altro giorno.
E prima ancora aveva scritto una lettera sul sito del Partito tutta contro la vecchia guardia, e prima ancora aveva detto “Fassina chi?” del braccio destro di Bersani.
Sottotesto: io con questi non c’entro, io sono oltre.
La responsabilità dell’aver ignorato l’astensione crescente e la rivolta nascente è tutta di chi oggi si proclama all’opposizione interna, a sinistra — per così dire — di Renzi.
Avrebbero potuto fare, se solo avessero ascoltato il mondo intorno: non hanno ascoltato né fatto.
Per sovrapprezzo c’è il tema della leadership, dell’uomo solo al comando, l’uomo della Provvidenza: un’antica abitudine italica radicata in un paio di ventenni, diremmo un’attitudine, da Berlusconi cavalcata e coltivata a meraviglia fin qui. I frutti del “ghe pensi mi” sono sotto i nostri occhi.
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Oggi il tema all’ordine del giorno è la scomparsa dell’ultimo grande partito italiano.
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Crollo di iscritti, nemmeno in Emilia vanno più ai gazebo.
Disintegrazione. Polverizzazione.
Il Pd trasformato in un comitato elettorale, in un autobus per Palazzo Chigi che quando si arriva si parcheggia fuori, pazienza per la ruggine.
Ma quel partito, quell’idea di partito, non corrisponde più al sentire comune aizzato e fomentato negli anni dall’inerzia e dagli errori di chi poteva e doveva alimentare l’identità e l’appartenenza, premiare la lealtà e non fedeltà devota e riconoscente, infine dallo tsunami dell’anticasta: tutti corrotti, tutti uguali, non c’è più destra e sinistra, solo conservazione o innovazione — ha scritto Renzi nella prefazione del libro di Bobbio, “Destra e sinistra”. Solo stagnazione o movimento: cosa scegliete?
Ha ragione, Renzi.
Il Novecento è finito.
Non ci sono più i telefoni fissi, le cabine a gettoni, il cercapersone. Non ci sono più nemmeno i partiti, il Pd era l’ultimo.[/b]
Quei centomila iscritti sono i funzionari nazionali e locali e i loro amici intimi, i loro familiari.
Nemmeno tutti, fra i familiari. Sono anziani, in maggioranza, o personalmente interessati alla causa, o — in una minima parte — giovanissimi in cerca di casa, destinati presto a scontarsi con le logiche mefitiche e asfittiche delle appartenenze, nei circoli.
A vedere andare avanti chi “appartiene” a qualcuno piuttosto che chi sa e vuole fare qualcosa.
“Io parlo al Paese”. Perfetto, è la cosa giusta. Infatti vince.
Ma presto o tardi arriverà il momento in cui l’assenza di una struttura che non sia solo liquida e virtuale, non viaggi solo sui “like” della rete e sulle comparsate in bomber in tv, si ritorcerà contro chi ha pensato di poter fare a meno di un luogo dove le idee diverse — le idee diverse dalle sue — si confrontino e si misurino nel gioco della parola e della democrazia.
Un luogo fisico, concreto, reale, che sappia mediare fra la pancia e la testa, che trasformi in progetto politico il desiderio e il bisogno.
Nella vita vera tutto ciò che piace anche a volte un po’ dispiace. Non basta fare like a una rivoluzione, bisogna esserci di persona.
Non basta votare un leader carismatico.
Bisogna sostenerlo nella buona e nella cattiva sorte, come quando ci si sposa e si prova a convivere, e a volte è dura ma è un progetto, si discute, si soccombe, ci si arrabbia poi si prova ancora perché comunque è meglio che stare da soli, ciascuno in compagnia virtuale di tutto quello che manca.
Tutto quello che “non mi piace”.
Renzi è stato il primo degli scissionisti del Pd.
Il primo che ha mostrato di poter fare senza l’apparato, fare contro.
Ora ha l’80 per cento in direzione e il 41 nel paese: ha vinto.
Bonifichi i pozzi, segni la rotta. Se non vuole quel partito, vecchio come un telefono a gettoni, ne costruisca un altro.
Dia un posto ai milioni di ragazzi che non hanno dove andare e provi a fare quello che non hanno saputo fare molti, troppi prima di lui: pensi alle sorti dell’Italia fra trent’anni, quando anche lui sarà vecchio, più vecchio di D’Alema adesso.
Pensi a un posto dove i suoi figli bambini possano costruire la democrazia, lo faccia adesso. Alla generosità siamo così disabituati, sarebbe una rivoluzione.
Caro amico, questo e' l'ultimo atti di un dramma il cui obiettivo era quello di far ritornare la vecchia DC e prendersi gran parte dell'elettorato di Forza Italia.
L'unico modo per prendere 2 piccioni con una sola fava e cambiando solo in nome(per adesso).
un salutone da juan
ps; Zione guardi mai la posta? ;-)
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: COME VA IL PD
Pd (Partito desaparecido)
di Antonio Padellaro | 5 ottobre 2014Commenti (6)
Che gli iscritti del Pd fossero in fuga dal Pd non occorreva la Sibilla cumana per saperlo.
Pure che il gruppo dirigente democratico avrebbe finito per scannarsi in preda a un’insofferenza collettiva quasi fisica, era prevedibile.
Bastava andare al cinema per capire anche il perché. Il film si chiama Arance e martello, autore e protagonista Diego Bianchi, in arte Zoro, narratore embedded di quella sinistra romana che dà il cattivo esempio alla sinistra tutta.
Non racconteremo la storia, ma gli epifenomeni che l’avvolgono come un sudario funebre.
La sezione di partito a conduzione familiare, desertificata e adibita a location di calciobalilla e fancazzisti.
La canonica di raccolta di firme per ingannare il tempo.
Pallosi dibattiti sul nulla e microscissioni caratteriali.
Si votano mozioni, ma non si capisce mai chi ha vinto e chi ha perso.
E poi i berluscones che corteggiano i democratici fino al grand guignol del tutti contro tutti.
Renzi ancora non c’è, ma preannuncia lo spirito del nuovo tempo una ricercatrice dalle belle gambe che vuole rottamare il mercato rionale per farne un biomarket.
“Non resta più niente, i militanti se ne vanno”, osserva intristito l’ex tesoriere Sposetti che su Repubblica lamenta la fine del partito-comunità che era “come una famiglia”.
Ma poi presenta il conto, rivelando che il Pd sta in milleottocento circoli di proprietà dei Ds, “e non paga né Tarsu né Imu né condominio”.
Fatto è che quella roba da quel dì è stata distrutta pezzo dopo pezzo con furia iconoclasta.
Via le feste dell’Unità e poi via la stessa Unità, le vecchie sezioni liquidate dal partito liquido di Veltroni, mentre della dolce “famiglia” sopravvivono i parenti-serpenti dell’apparato sparsi nelle ex regioni rosse, che si spartiscono con le tessere residuali rendite di posizione e tutto il sottogoverno possibile.
La verità è che Renzi non poteva rottamare ciò che già era stato raso al suolo, ma da furbo qual è ha fatto credere il contrario, avendo bisogno di totem da abbattere mentre sgominava mummie e statue di cera (salvo poi, con le primarie, accogliere tutti sul carro del vincitore perché tutto fa brodo).
Bersani che piange sul “partito che muore” fa una certa tenerezza perché l’hanno capito tutti che nel Pd la minoranza cerca soltanto un compromesso onorevole e qualche candidatura alle prossime elezioni. E che la difesa dell’art. 18 è il ridotto in Valtellina da cui la cosiddetta sinistra sta uscendo alla spicciolata con le mani alzate. No, nessuna nostalgia: e di cosa poi?
L’inciucio con Berlusconi, per dire, lo ha inventato D’Alema e sui piccoli e grandi cedimenti – dalla finta lotta alla corruzione alle amnesie sulle evasioni fiscali – il governo Renzi appare in perfetta continuità con chi lo ha preceduto.
Non meravigli dunque che l’esaurimento del Pd coincida con il trionfo del suo leader. Che sarà anche superficiale e inattendibile ma che almeno saluta, sorride e distribuisce gli 80 euro a piene mani. Di lui l’accigliato Fassina, pensando di deriderlo, ha detto “è simpatico”. Di questi tempi agli italiani basta e avanza.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10 ... 2/1144185/
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10 ... 2/1144185/
di Antonio Padellaro | 5 ottobre 2014Commenti (6)
Che gli iscritti del Pd fossero in fuga dal Pd non occorreva la Sibilla cumana per saperlo.
Pure che il gruppo dirigente democratico avrebbe finito per scannarsi in preda a un’insofferenza collettiva quasi fisica, era prevedibile.
Bastava andare al cinema per capire anche il perché. Il film si chiama Arance e martello, autore e protagonista Diego Bianchi, in arte Zoro, narratore embedded di quella sinistra romana che dà il cattivo esempio alla sinistra tutta.
Non racconteremo la storia, ma gli epifenomeni che l’avvolgono come un sudario funebre.
La sezione di partito a conduzione familiare, desertificata e adibita a location di calciobalilla e fancazzisti.
La canonica di raccolta di firme per ingannare il tempo.
Pallosi dibattiti sul nulla e microscissioni caratteriali.
Si votano mozioni, ma non si capisce mai chi ha vinto e chi ha perso.
E poi i berluscones che corteggiano i democratici fino al grand guignol del tutti contro tutti.
Renzi ancora non c’è, ma preannuncia lo spirito del nuovo tempo una ricercatrice dalle belle gambe che vuole rottamare il mercato rionale per farne un biomarket.
“Non resta più niente, i militanti se ne vanno”, osserva intristito l’ex tesoriere Sposetti che su Repubblica lamenta la fine del partito-comunità che era “come una famiglia”.
Ma poi presenta il conto, rivelando che il Pd sta in milleottocento circoli di proprietà dei Ds, “e non paga né Tarsu né Imu né condominio”.
Fatto è che quella roba da quel dì è stata distrutta pezzo dopo pezzo con furia iconoclasta.
Via le feste dell’Unità e poi via la stessa Unità, le vecchie sezioni liquidate dal partito liquido di Veltroni, mentre della dolce “famiglia” sopravvivono i parenti-serpenti dell’apparato sparsi nelle ex regioni rosse, che si spartiscono con le tessere residuali rendite di posizione e tutto il sottogoverno possibile.
La verità è che Renzi non poteva rottamare ciò che già era stato raso al suolo, ma da furbo qual è ha fatto credere il contrario, avendo bisogno di totem da abbattere mentre sgominava mummie e statue di cera (salvo poi, con le primarie, accogliere tutti sul carro del vincitore perché tutto fa brodo).
Bersani che piange sul “partito che muore” fa una certa tenerezza perché l’hanno capito tutti che nel Pd la minoranza cerca soltanto un compromesso onorevole e qualche candidatura alle prossime elezioni. E che la difesa dell’art. 18 è il ridotto in Valtellina da cui la cosiddetta sinistra sta uscendo alla spicciolata con le mani alzate. No, nessuna nostalgia: e di cosa poi?
L’inciucio con Berlusconi, per dire, lo ha inventato D’Alema e sui piccoli e grandi cedimenti – dalla finta lotta alla corruzione alle amnesie sulle evasioni fiscali – il governo Renzi appare in perfetta continuità con chi lo ha preceduto.
Non meravigli dunque che l’esaurimento del Pd coincida con il trionfo del suo leader. Che sarà anche superficiale e inattendibile ma che almeno saluta, sorride e distribuisce gli 80 euro a piene mani. Di lui l’accigliato Fassina, pensando di deriderlo, ha detto “è simpatico”. Di questi tempi agli italiani basta e avanza.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10 ... 2/1144185/
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10 ... 2/1144185/
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