Sveglia ragazzi!!!!!.....Stiamo per saltare!!!!!!!!!!!!!!!!!

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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Maucat
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Re: Sveglia ragazzi!!!!!.....Stiamo per saltare!!!!!!!!!!!!!

Messaggio da Maucat »

camillobenso ha scritto: Ovviamente è lecito chiedere quali sono le soluzioni. Nessuna convincente se non quella di un sistema per eliminare le persone. In pratica la guerra.
E' purtroppo lo stesso schema logico che da tempo faccio anch'io: automazione dilagante, popolazione in esubero quindi o nuove forme di schiavitù per mantenere ricchi i soliti pochi e poveri i soliti tanti o una guerra di quelle serie... fino ad ora ci ha salvati solo lo spauracchio atomico e meno male che Putin ha detto che rafforzerà il suo armamento nucleare altrimenti gli Yankees coi loro fedeli e scodinzolanti alleati l'avrebbero già scatenata la guerra. Li ha fermati solo il terrore di non riuscire a fermare i missili lanciati dai sottomarini russi che raderebbero al suolo le città americane sulle due coste e limitrofe, in pratica gran parte degli USA, e dopo con chi li fai gli affari anche se avessi la fortuna di sopravvivere? Come li tieni schiavi i sopravvissuti inc****ti?
Paradossalmente l'unica via di salvezza per il mondo è un nuovo equilibrio del terrore come quello dal 1945 al 1989 che costringerebbe ciascuna delle due parti a dover trattare "bene" i propri sudditi per non perderne il consenso... 8-)
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Re: Sveglia ragazzi!!!!!.....Stiamo per saltare!!!!!!!!!!!!!

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Corriere 1.9.14
L’impresa di resistere alla crisi in un Paese stanco senza più passioni
di Claudio Magris

Nel Tramonto dell’Occidente — libro che negli anni Venti ebbe un enorme successo per il suo pathos epocale e il suo miscuglio di intuizioni geniali ed enfasi apocalittica zeppa di strafalcioni logici — Spengler annunciava che la civiltà occidentale — per lui sostanzialmente germanica — esaurito il suo slancio faustiano di espansione e di conquista sarebbe presto morta.

Il suo ultimo stadio sarebbe stata una sua pallida ed esangue copia collocata vagamente in Oriente, fra la Vistola e l’Amur, presto destinata a spegnersi. Non è il caso di lasciarsi affascinare dai bagliori della decadenza — già la musica e il suono della parola «Occidente» hanno una seduzione di declino — né dai profeti quasi sempre soddisfatti di proclamare sventure e impermaliti, come Giona, quando tali sventure non si avverano.

Se la nostra civiltà occidentale ha certo le sue gravi difficoltà, nelle altre parti del mondo e nelle altre culture non si sta molto bene.

È innegabile tuttavia che la descrizione di quella civiltà spenta e opaca, priva di passioni, che Spengler situa in un’Europa orientale semiasiatica, assomiglia all’atmosfera che, da non molto tempo ma sempre più diffusamente, si è creata nel nostro Paese.

La crisi economica sembra provocare non tanto una lotta per la sopravvivenza, quanto una fiacca rassegnazione.

Certamente vi sono molti individui che lottano, con le unghie e con i denti, per la loro esistenza e per la dignità della loro esistenza.

Sono essi i protagonisti, i combattenti di questa difficile battaglia.


Quello che resiste è il più autentico capitalismo legato ancora all’iniziativa individuale, al rapporto diretto tra il lavoro e il profitto, alla piccola attività ed impresa, mentre il grande capitalismo dei tronfi ed inetti signori del mondo, sempre più anonimi e scissi dalla dura realtà del lavoro, è spesso largamente, talvolta criminosamente colpevole della crisi.


Ma la nostra società sembra aver perso, in generale, mordente, slancio, capacità di progetto e di protesta, passione. Ciò che manca, da qualche tempo, è soprattutto la passione politica, che ha contrassegnato — con le sue lotte, i suoi furori, le sue faziosità, i suoi ideali — la vita del Paese dal Dopoguerra (l’antifascismo e i diversi antifascismi, lo scontro tra comunismo e democrazia liberale, la tumultuosa crescita economica che portava con sé tensioni, entusiasmi e progressi sociali) agli anni dei governi Berlusconi, che scatenavano ancora amori e odi.


L’ultima fiammata di irruente accensione degli animi è stato il Movimento 5 Stelle, che tuttavia non solo sembra affievolirsi, ma che non pare essere stato, a differenza di altre formazioni pur tendenti all’estremismo, una componente organica del Paese.


L’Italia sembra vivere stanca, depressa ma senza drammi, indifferente alla politica ovvero al proprio destino, giacché la politica è la vita della Polis, della comunità.

Un Paese senza.

Fra i negozi vuoti spiccano le trattorie e i ristoranti, decisamente più frequentati; la gola è l’ultimo appetito a morire, resiste alla depressione e alla mancanza di senso più del sesso.

Speriamo di non essere alle soglie di un abisso, come negli anni Venti; in ogni caso, manca quella frenesia trasgressiva e disperata di vita che c’era in quegli anni sciagurati ma vivi e che risuona nelle canzoni di Brecht o nelle musiche di Cabaret.

La nostra esistenza assomiglia piuttosto a quella di un personaggio di Gozzano, Totò Merùmeni: «E vive. Un giorno è nato, un giorno morirà»
camillobenso
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Questa azione, combinata con la cancellazione del Senato si chiama:

NUOVO FASCISMO



Corriere 8.9.14
Alfredo Robledo, procuratore di Milano
La politica punta al controllo totale dei magistrati

di Giuseppe Guastella

PIETRASANTA (Lucca) — È in corso «una manovra che tende al controllo totale della magistratura», un’azione a tenaglia del potere politico che minaccia l’indipendenza della magistratura e che approfitterebbe delle mosse del Presidente della Repubblica, mettendo in pericolo la democrazia e la stessa libertà degli italiani.

È la tesi di Alfredo Robledo, il procuratore aggiunto di Milano protagonista da mesi di uno scontro al calor bianco senza precedenti con il capo dell’ufficio Edmondo Bruti Liberati. Prepensionamento dei magistrati e aumento del potere nelle mani dei procuratori capo sono a parere di Robledo le due ali di una strategia che vuole limitare l’indipendenza del potere giudiziario sottomettendolo a quello politico. «Sembra quasi che il prepensionamento sia solo una questione sindacale», dice Robledo intervenendo a Marina di Pietrasanta alla festa del Fatto quotidiano . Invece, dietro la decisione di anticipare a 70 anni il limite d’età per i magistrati in servizio, si nasconderebbe una precisa volontà di far «saltare la struttura direttiva della magistratura» italiana per sostituirla con una meno impermeabile alle pressioni della politica. Una scelta che potrebbe incorrere nei rigori della Corte di giustizia europea, che ha già condannato l’Ungheria che nel 2011 fece una cosa analoga che era stata «bocciata anche dalla Corte costituzionale ungherese» perché «contraria al principio di amovibilità dei magistrati e discriminatoria». A selezionare i nuovi capi sarà un Csm in cui i membri togati sono l’espressione della «degenerazione delle correnti» mentre quelli laici, dopo l’accordo del Nazareno Renzi-Berlusconi, «saranno nominati dal potere della maggioranza politica». Robledo è convinto che per ottenere l’incarico i candidati alla guida degli uffici giudiziari dovranno «sottoscrivere una cambiale che poi sarà presentata a pagamento chiedendo conto dell’aiuto che è stato dato loro». A «chiudere il cerchio» c’è la gerarchizzazione delle procure. Non parla della sua vicenda, ma si richiama ad essa quando fa riferimento alla «interpretazione suggerita dal capo dello Stato» sul ruolo guida dei procuratori che sarebbe stata «accolta dal Csm andando contro tre sue disposizioni precedenti». Gli applausi scrosciano quando fa notare che sono stati i giornali a parlare di «pressioni evidenti» sulle «commissioni del Csm che hanno cambiato le loro conclusioni dopo l’intervento fantasmagorico del capo dello Stato».
camillobenso
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Teste di Legnini
(Marco Travaglio).
11/09/2014 di triskel182

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Ricordate i profeti della fine di Berlusconi e della “pacificazione” dopo la “guerra dei vent’anni”? Noi l’abbiamo sempre saputo, e scritto, che erano tutte balle. L’Italia politica, quella del Palazzo e quella dell’indotto, è talmente impregnata di berlusconismo che Berlusconi continuerà a comandarla anche da morto. Figurarsi ora che è ancora vivo e vegeto, anche se momentaneamente ristretto ai servizi sociali. Forse non tornerà più a Palazzo Chigi, ma chi sta meglio di lui? Al governo c’è il suo pupillo, fra l’altro suo fervente ammiratore, che gliele dà tutte vinte e riesce a fare anche quello che a lui non riuscì, meglio di come l’avrebbe fatto lui, nel silenzio tombale di chi strillerebbe se a farlo fosse lui. Non gli resta che assistere compiaciuto allo spettacolo dalle finestre di Cesano Boscone, senza neppure pagare il prezzo di logoramento che consuma chi governa.

Tanto il governo sta in piedi grazie a lui, ma lui formalmente è all’opposizione, anche se vota sempre con la maggioranza. Comanda per interposto Renzi. Geniale. Prendete quel che è successo ieri: dopo mesi di fumate nere, il partito unico renziano Pd&FI&frattaglie varie ha deciso che il vicepresidente del Csm sarà Giovanni Legnini, 55 anni, in politica da 38, avvocato e docente in aspettativa, ex Pci, ex Pds, ex Ds, ora Pd, già sindaco di Roccamontepiano (Chieti), senatore dal 2004, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del governo Letta e all’Economia nel governo Renzi. Cioè: per la prima volta un membro del governo in carica passa, senza soluzione di continuità, a vicepresiedere il Csm. Così il governo mette il cappello e le mani sulla più alta carica elettiva dell’organo costituzionale che dovrebbe garantire l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati (seconda solo al capo dello Stato, membro di diritto). Con tanti saluti a quel che resta della divisione dei poteri. Nemmeno B. era arrivato a tanto, anzi sotto i suoi governi si erano sempre alternati vicepresidenti dell’area di opposizione (Capotosti nel ‘94, Rognoni nel 2002, Vietti nel 2010), in nome di quella democrazia dei contrappesi ora archiviata. Renzi piazza al vertice operativo del fu organo di autogoverno dei magistrati un membro del suo stesso governo, con il via libera di B. che ottiene due posti nel nuovo Csm, mentre i 5Stelle – che hanno molti più voti di lui – dovranno accontentarsi di uno. Cose da pazzi, mai accadute neppure nella nostra repubblichetta delle banane. Si spera che, al momento di votarlo, i membri togati del nuovo Csm abbiano un sussulto di dignità e oppongano un netto rifiuto al vicepresidente Legnini, commissario politico del governo, ma c’è da dubitarne. Basti pensare che due togati hanno goduto della sfacciata propaganda elettorale del sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, che in un paese normale sarebbe stato cacciato a pedate dal governo, invece è sempre lì per conto di B. che lo designò quando ancora sosteneva il governo Letta. Ora, quando sarà insediato, il Csm più governativo della storia dovrà nominare circa 300 capi degli uffici giudiziari, decapitati da Renzi con la dissennata norma che prepensiona i magistrati a 70 anziché a 75 anni. Completa il quadro dell’immonda spartizione l’accordo Renzusconi per mandare alla Corte costituzionale due vecchi politicanti come Luciano Violante (noto participio presente, molto gradito al Colle che lo promosse “saggio”) e Donato Bruno (noto amico di Previti). Il primo è in politica dal ‘79, il secondo dal ’96: ora andranno a giudicare le leggi che hanno contribuito a scrivere e ad approvare. L’apoteosi del conflitto d’interessi. Chi pensasse a un cedimento di Renzi al berlusconismo declinante non avrebbe capito nulla: Renzi non cede a B., Renzi la pensa esattamente come B. Perché ha le stesse urgenze di B. La sua classe dirigente (si fa sempre per dire) è lo stesso frittomisto di incompetenti e di inquisiti, come dimostrano i casi di Richetti & Bonaccini. Con l’unica differenza dell’età. Se non si sbriga a mettere sotto controllo i giudici, finisce come B. Ma, diversamente da B., ce la può fare. Quod non fecerunt berluscones, fecerunt renzini.

Da Il Fatto Quotidiano del 11/09/2014.
cielo 70
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Messaggio da cielo 70 »

Anche il miliardario Santoro, che dirige il programma di cui Travaglio fa parte, ha partecipato alla pacificazione quando ha invitato Berlusconi.
camillobenso
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SCUOLA

SCUOLE BELLE, IL GRANDE INGANNO

Il ministero ammette: fondi distribuiti non in base alle necessità edilizie, ma al numero di lavoratori
socialmente utili. Una preside: "50mila euro per verniciare 16 aule. Ne bastavano meno della metà"


“Non siamo partiti dall’edilizia, ma dal problema dei lavoratori socialmente utili”. A svelare il trucco dell’operazione “Scuole belle” è lo stesso Miur. L’obiettivo non erano le scuole: i soldi, 450 milioni di euro in tre anni, sono stati in realtà stanziati per gli ‘ex Lsu’, migliaia di lavoratori che svolgono le opere di pulizia nelle strutture. Così gli istituti sono passati in secondo piano: fondi a pioggia decisi da Roma, senza considerare gli interventi necessari, ma in base al numero di Lsu per provincia
di Lorenzo Vendemiale

http://www.ilfattoquotidiano.it/#?refresh_ce

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Scuole Belle, l’inganno del governo Renzi per dare lavoro agli Lsu
I fondi del governo distribuiti in base alla platea di Lavoratori socialmente utili sul territorio e senza tenere conto delle esigenze degli istituti. Così la Campania prende più di un terzo dei 450 milioni complessivi. Ma i presidi possono scegliere solo tra pochi interventi "di cacciavite". E a volte spendono di più che a prezzi di mercato
di Lorenzo Vendemiale | 8 ottobre 2014

“Non siamo partiti dall’edilizia, ma dall’annoso problema dei lavoratori socialmente utili e della gara per i servizi di pulizia”. A svelare il bluff dell’operazione “Scuole belle” sono gli stessi vertici del ministero dell’Istruzione. L’obiettivo non erano le scuole: i soldi, 450 milioni di euro in totale, sono stati in realtà stanziati per risolvere il problema degli ‘ex Lsu’, migliaia di lavoratori che svolgono le opere di pulizia nelle strutture scolastiche del Paese, messi in difficoltà dal ribasso dell’ultima convenzione Consip. Il progetto di manutenzione è solo il modo di garantire a questi dipendenti la continuità occupazionale perduta. Così gli istituti scivolano in secondo piano: fondi distribuiti a pioggia, senza considerare gli interventi realmente necessari; importi, in alcuni casi di decine di migliaia di euro, spesi per operazioni marginali, perché solo queste rientravano nelle competenze dei lavoratori da occupare.

“Scuole Belle” insomma si trasforma, diventa la storia un’iniziativa che riguarda sì la scuola italiana, ma non è stata calibrata sulle esigenze della scuola italiana. Non più il grande progetto annunciato in pompa magna dal presidente del Consiglio, ma i classici due piccioni con una fava. Anche i presidi ne sono consapevoli. “Il progetto non è come l’hanno presentato: pensavamo di poter gestire quelle risorse, con certe cifre avremmo potuto fare cose importanti. In realtà c’è solo da scegliere tra alcune opzioni di lavori possibili. È tutto incanalato perché quei soldi servono a dare da mangiare ai lavoratori socialmente utili, le scuole vengono dopo”, spiega Fernando Iurlaro, dirigente dell’Istituto comprensivo Copertino, in provincia di Lecce.

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I SOLDI DOVE CI SONO PIÙ LAVORATORI

La riprova sta proprio nel processo con cui l’esecutivo ha elaborato la graduatoria e quantificato gli importi. I 150 milioni per il 2014, che diventeranno 450 milioni fino ai primi mesi del 2016, sono esattamente quanto serve a colmare il gap aperto dall’ultimo bando Consip. E i fondi sono stati distribuiti tra le varie province del Paese non sulla base delle richieste delle scuole ma sul numero dei lavoratori. Tanto che su 450 milioni totali 330 finiscono al Meridione – la Campania da sola ne prende 171, la Puglia 68 – solo perché la maggior parte degli Lsu si trova in queste regioni. Non certo perché le strutture del Sud siano messe peggio di quelle del Nord.

A ricostruire l’iter è Sabrina Bono, capo dipartimento Miur per le risorse finanziarie: “Quella dei lavoratori socialmente utili è un’emergenza che nasce dalla gara per i servizi di pulizia: l’esternalizzazione, se da un lato ha razionalizzato i costi, dall’altro ha generato una pressante questione sociale. Per affrontarla, il nuovo governo ha pensato ad una soluzione che non fosse il solito ricorso agli ammortizzatori sociali. E visto che sul tavolo c’era già il tema dell’edilizia scolastica, si è deciso di inaugurare un filone riguardante la piccola manutenzione”. Questo genere di lavori, infatti, ricade proprio all’interno della convenzione Consip che riguarda gli “ex Lsu”. Così sono stati messi in cantiere un tot di opere in base al fabbisogno di questi lavoratori, non delle scuole. Legittimo. Anche lodevole, a sentire alcuni protagonisti come i sindacati o i vertici del ministero, soddisfatti di aver raggiunto un duplice obiettivo: “Per noi è una bella iniziativa, fino all’anno scorso in alcune scuole si facevano collette fra i genitori per riverniciare le aule. Abbiamo ricevuto tante lettere di ringraziamento”, afferma la Bono. Sicuramente, però, non è quello che aveva raccontato il premier Renzi, che negli ultimi mesi aveva più volte sbandierato l’intenzione di mettere la scuola al centro dei piani del governo. Mentre le cose sono andate diversamente.

GLI EFFETTI NEGATIVI SUI LAVORI

La particolare genesi del progetto, infatti, ha comportato alcune storture nella destinazione dei fondi alle scuole e nel loro impiego. La prima, la più macroscopica, è che il principale criterio di ripartizione è stato il numero di lavoratori presenti nella provincia: i soldi, insomma, non sono andati alle scuole che ne avevano più bisogno. Del resto, non c’è stato alcun bando a cui gli istituti potevano partecipare, nessun censimento specifico per monitorare gli interventi da effettuare (se non la consueta comunicazione che all’inizio di ogni anno i presidi fanno ai Comuni di appartenenza). Così nelle province più “munificate” dal progetto (come ad esempio Napoli con 37 milioni di euro, o Lecce con 10 milioni) è capitato che alcune scuole, le più grandi, si vedessero assegnati fino 200mila euro. Cifre ben lontane dai 7mila euro fissati come importo minimo dal Miur, o dalla media di 20mila euro scarsi per plesso. Sempre, però, per fare interventi “di cacciavite”.

La lista delle operazioni possibili, poi, è abbastanza ristretta: verniciatura delle pareti e cancellazioni di scritte; riparazioni degli infissi; rimozione e riallocazione delle strutture didattiche (praticamente montare o spostare mensole, armadi, lavagne); piccoli interventi all’impianto idrico-sanitario (caldaie escluse, però); rifacimento e manutenzione del giardino. È possibile spendere decine, a volte centinaia di migliaia di euro solo in questo tipo di lavori? Evidentemente sì. Si doveva farlo, del resto. Al massimo è stata concessa la possibilità di destinare fondi avanzati per pagare a canone servizi di pulizia e giardinaggio per i prossimi mesi.

E pazienza che in alcuni casi gli stessi presidi abbiano avanzato dei dubbi. “A me alcuni costi sono sembrati spropositati. Ad esempio, il 15% secco solo per pulizie di fine cantiere (altra voce della circolare, ndr) mi è sembrato esagerato”, spiega Tonino Bacca, dirigente scolastico del circolo “Livio Tempesta” a Lecce. La sua direzione didattica si è vista assegnare 166mila euro, di cui 25mila circa se ne andranno solo per smontare i cantieri. “A casa mia non avrei mai fatto quei lavori a quelle cifre”, conclude. “Se avessi potuto decidere, avrei speso solo una parte dei fondi in manutenzione e il resto li avrei destinati a migliore la qualità delle attrezzature e dell’offerta formativa”. Discorso simile in un’altra scuola della provincia: qui la preside (che ha preferito rimanere anonima) ha speso circa 50mila euro per riverniciare 16 aule; ma pochi mesi prima la ritinteggiatura di 10 aule, a spese del Comune, era costata solo 17mila euro; in proporzione, meno della metà. È il genere di inconvenienti che si verifica con i finanziamenti a pioggia.

Il risultato, alla fine della giostra, è una “mano di fresco” ai 7.751 plessi interessati, che ha lasciato parzialmente soddisfatti i presidi: da una parte felici di aver migliorato le condizioni delle loro strutture, dall’altra convinti che con le stesse cifre si sarebbe potuto fare di più e di meglio. Tutti contenti, invece, i lavoratori impiegati dal progetto, i veri beneficiari dell’iniziativa.

LSU: CHI E QUANTI SONO

Per capire di chi si tratta e da dove nasce questa esigenza bisogna fare un passo indietro. In totale parliamo di circa 21mila uomini e donne in tutta Italia, concentrati per oltre il 50% nelle regioni del Sud. Alcuni provengono dai cosiddetti “appalti storici”, impiegati in questo settore sin dagli anni Ottanta.

Altri, la maggior parte, sono appunto gli ex “lavoratori socialmente utili” (Lsu): disoccupati o cassaintegrati che nel 2001 il governo Prodi decise di stabilizzare all’interno delle scuole per i lavori di pulizia, impegnandosi a stanziare ogni anno le risorse necessarie per mantenerli. La loro situazione si è però complicata nel corso degli anni: le opere di pulizia sono state prima sottratte agli enti locali nel 2007, poi esternalizzate. E l’ultima gara Consip del 2011 ha visto dei ribassi tali (in alcuni casi anche del 30-50%) da indurre le ditte a presentare un piano di riduzione consistente dell’orario di lavoro. Si tratta della Dussmann in Puglia e Toscana; della Manutencoop in Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Lombardia e Trentino Alto-Adige; e del consorzio Rti in Sardegna, Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo Molise, Valle D’Aosta, Piemonte e Liguria (nelle altre regioni la gara non è stata completata).

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10 ... u/1146893/
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il Fatto 8.10.14
La truffa del Jobs Act E chi lavora resta in fila
Usare l’art.18 per umiliare un sindacato che pur ne ha fatte di tutti i colori
non aiuta i lavoratori, ma li raggira

di Oliviero Beha

IERI, in una delle strade nevralgiche di Roma, via Nomentana, c’era un traffico superiore a quello abituale, assolutamente già invivibile di suo. Tre km scarsi, e tra semafori impazziti, vigili come l’arbitro Rocchi, corsie preferenziali intasate da chiunque, vialetti laterali impercorribili, si rimaneva imbottigliati per più di un’ora: spiegazione, i lavori stradali. Giacché era interrotto il percorso viario, mi sono immesso in quello mentale.

Perché a Roma i lavori di manutenzione si fanno di giorno, meglio se nelle ore di punta, con costi sociali enormi non facilmente misurabili ed effetti collaterali determinanti sulla psiche collettiva, e non invece di notte come nelle metropoli civili o decenti all’estero? Dice: perché di notte dovrebbero fare gli straordinari e il Comune non ha i soldi per pagarli, né direttamente né indirettamente. E comunque magari c’è chi si rifiuterebbe di farlo. Mi domando se tutto ciò abbia qualcosa a che fare con l’art. 18, con la discussione sul Job’s act (o semplificato Jobs act senza genitivo sassone e in ogni caso stolidamente esterofilo: mercato del lavoro andava così male?), con il dato del Fmi che indica nell’Italia l’unico Paese in recessione tra le grandi economie, con i numeri degli italiani che espatriano alla ricerca di lavoro che doppiano quelli degli immigrati (94 mila nel 2013 in crescita esponenziale). C’entra l’art. 18 per esempio con la possibilità di rotazione negli orari notturni senza straordinari per i lavoratori stradali? Negli altri Paesi in cui lavorano per le strade di notte come sono messi da questo punto di vista? Si metterebbero a rischio diritti acquisiti o sarebbe giusto ridiscuterne alla luce della “più grave crisi del dopoguerra”? E nel concreto la discussione sul Job’s act (oddio...) tocca anche questo genere di problemi?

E che distanza c’è realmente tra via Nomentana e Palazzo Chigi? Rubo all’effervescente sociologo De Masi alcuni dati. Il numero complessivo degli occupati da noi è 22 milioni e 380 mila. I casi da art. 18 sono 40 mila. Ma – obietta De Masi – l’80% di essi arriva a un accordo extragiudiziale. Dunque ne restano 8 mila. In 4.500 casi il lavoratore perde e in 3.500 vince. Ma non sempre se vince ottiene il reintegro, calcolabile invece solo sui due terzi, quindi poco più che in 2.500 casi. Ovviamente come già stradetto, scritto e ripetuto, il valore simbolico e rappresentativo di un modo di intendere il diritto al lavoro non si misura contrapponendo i dati esigui all’universo dei lavoratori.


MA È SICURO che nel maneggiare la polemica politica strumentale sull’art. 18 non si possono tralasciare considerazioni di fondo: se davvero interessa far ripartire il Paese, è impensabile farlo escludendo da questa ripartenza l’unità sindacale, i datori di lavoro e l’esecutivo politico. Basta voler indebolire uno di questi tre fattori ed è come estrarre maldestramente dal castello di bastoncini dello shanghai quello sbagliato.


Usare l’art.18 per costringere nel ridotto un sindacato che pur ne ha fatte di tutti i colori negli ultimi vent’anni non significa aiutare i lavoratori, ma soltanto raggirarli nell’imbuto tra teoria e pratica. Così come imbastire polemiche lessicali sul termine “padroni/imprenditori” fa ridere per non piangere in tempi in cui è un sistemaPaese che va in rovina. Che poi tutto ciò serva a un regolamento di conti interno al Pd, è la ciliegina su una torta andata a male e fanno sorridere i proclami di “lealtà” in aula dopo le esperienze dell’ultima elezione per il Quirinale... Se vogliamo continuare sulla falsariga di un derby che si trasferisce da JuveRoma all’art.18, prego, accomodatevi. Ma intanto noi siamo in fila da una vita sulla Nomentana...
camillobenso
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Rottama Italia
Sedici grandi "firme" prendono posizione sul decreto "Sblocca-Italia", che -nel tentativo di "rilanciare" l'economia italiana- rischia di essere un pesante contributo alla devastazione del paesaggio, e un regalo alle lobby.
Un libro -corredato da 13 vignette dei più graffianti autori satirici italiani- disponibile gratuitamente in formato pdf, affinché -mentre il decreto viene discusso in Aula-, si apra il dibattito nel Paese e lo Sblocca-Italia (che in realtà è un "Rottama-Italia") si possa fermare


di redazione - 6 ottobre 2014


Un'operazione editoriale unica: un istant book gratuito nel quale 16 autorevoli firme smontano pezzo per pezzo il decreto Sblocca-Italia elaborato dal governo di Matteo Renzi (per leggerlo si può andare sul sito della Gazzetta Ufficiale).

Ellekappa, Altan, Tomaso Montanari, Pietro Raitano, Giannelli, Mauro Biani, Paolo Maddalena, Giovanni Losavio, Massimo Bray, Maramotti, Edoardo Salzano, Bucchi, Paolo Berdini, Vezio De Lucia, Riverso, Salvatore Settis, Beduschi, Vincino, Luca Martinelli, Anna Donati, Franzaroli, Maria Pia Guermandi, Vauro, Pietro Dommarco, Domenico Finiguerra, Giuliano, Anna Maria Bianchi, Antonello Caporale, Staino, Carlo Petrini: un elenco importante e inedito per ribadire i valori della tutela del territorio, della legalità e della visione di un futuro sostenibile.
È stato Sergio Staino a pensare per primo a questo libro. Tutti gli autori (dei testi e delle vignette) e l’editore hanno lavorato gratuitamente.

Ecco l'introduzione, scritta dal curatore del volume, il professor Tomaso Montanari:

Perché vogliamo che l’Italia cambi verso. Ma davvero.
Vogliamo un Paese moderno. E cioè un Paese che guardi avanti. Un Paese che sappia distinguere tra cemento e futuro. E scelga il futuro.
Vogliamo un Paese in cui chiamiamo sviluppo ciò che coincide con il bene di tutti, e non con l’interesse di pochi. Un Paese in cui lo sviluppo sia ciò che innalza -e non ciò che distrugge- la qualità della nostra vita.
Un Paese che cresca, e non un Paese che divori se stesso.
Un Paese capace di attuare il progetto della sua Costituzione. Una Costituzione che da troppo tempo “è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere”, una Costituzione in cui “è scritta a chiare lettere la condanna dell’ordinamento sociale in cui viviamo” (Piero Calamandrei).
Il decreto Sblocca-Italia è, invece, un doppio salto mortale all’indietro. Un terribile ritorno a un passato che speravamo di aver lasciato per sempre. Un passato in cui “sviluppo” era uguale a “cemento”. In cui per “fare” era necessario violare la legge, o aggirarla. In cui i diritti fondamentali delle persone (come la salute) erano considerati ostacoli superabili, e non obiettivi da raggiungere.

Giuseppe Dossetti avrebbe voluto che nella Costituzione ci fosse questo articolo: “La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione è diritto e dovere di ogni cittadino”.

La prima, e più importante, resistenza allo Sblocca Italia passa attraverso la conoscenza, l’informazione, la possibilità di farsi un’opinione e di farla valere. Discutendone nelle piazze e nei teatri, nelle televisioni e alla radio. Richiamando al progetto della Costituzione i nostri rappresentanti in Parlamento. E, se necessario, anche ricorrendo al referendum: se -alla fine e nonostante tutto- questo sciagurato decreto Rottama Italia diventerà legge dello Stato.

Perché non siamo contro lo Sblocca Italia. Siamo per l’Italia.
cielo 70
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Andavano fatte meno autostrade e più ferrovie. Come hanno detto nella puntata di Presa diretta di 2 domeniche fa l'Italia doveva investire nel trasporto pubblico per rilanciare l'economia e non lo sta facendo.
camillobenso
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Re: Sveglia ragazzi!!!!!.....Stiamo per saltare!!!!!!!!!!!!!

Messaggio da camillobenso »

Genova è lo specchio dell'Italia fallita e allo sbando.

Una città messa in ginocchio dalle locuste della politica.

Stamani, altre tre persone incontrate per strada, oltre al sottoscritto, stanno provando la stessa sensazione.

Qualcosa sta per succedere. Quando e come non sappiamo dirlo. Ma elaborando i dati che ci pervengono giorno dopo giorno la sensazione che stia per accadere qualcosa aumenta.

Le immagine pervenute da Genova in questi giorni, oltre la rabbia più che lecita dei genovesi confermano la sensazione trasmessa da Luttwak alla fine del mese di aprile scorso a Ballarò, in collegamento dagli Usa.

"Agli investitori Usa l'articolo 18 non interessa a nessuno. Da questa parte dell'Atlantico vi vedono come falliti.

Anche Alberto Forchielli, tre lunedì fa a Piazzapulita ha ripetuto lo stesso concetto.
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