Lavoratori MASSACRATI DI BOTTE e il governo non dice NIENTE!
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Re: Lavoratori MASSACRATI DI BOTTE e il governo non dice NIE
Repubblica 30.10.14
I rottamatori e i cipputiani
di Michele Serra
I MANGANELLI della polizia sugli operai di Terni gettano una ulteriore manciata di sale su una ferita non facilmente rimarginabile — ammesso che alle parti interessi rimarginarla. Quella aperta dal duro contenzioso, verbale e dunque politico, tra il Pd di governo e i sindacati, ovvero tra la nuova configurazione (almeno in senso cronologico) della sinistra italiana e le sue radici profonde.
APARTIRE dal colpo d’occhio, la distanza tra Leopolda e piazza romana è sembrata infinita, perfino più di quanto sia interesse della giovane classe dirigente renziana, che sulla rottura con tutti i passati, specie il proprio, punta molte delle sue carte, ma sulla sostanziale unità della sinistra, o di ciò che ne ha preso il posto, poggia molto del suo potere elettorale e parlamentare. Non poteva esserci, quello storico sabato, rappresentazione più efficace delle due antropologie politiche che, pur con cento sfumature intermedie, nei giorni successivi e in modo molto acceso ieri è come se avessero accelerato il reciproco allontanamento, prendendosi a male parole, accusandosi reciprocamente di ogni male e di ogni dolo.
Come potrebbero sopportarsi, del resto, una classe dirigente “democrat” e postideologica, che crede nella forza demiurgica del “fare” e nel dinamismo dell’impresa come sola grande leva per ribaltare la crisi (essendo lei stessa l’emblema di un’impresa politica di successo), tanto da far pensare che Jobs Act derivi da Steve Jobs; e una piazza cipputiana, orgogliosa e scontenta, tenuta insieme, va detto, soprattutto dalle conquiste passate, ma animata dall’idea che la centralità del lavoro, il suo valore, la sua dignità siano la sola vera chiave del futuro, e convinta, a ragione o a torto, che il governo Renzi quella chiave non intenda usarla?
È facile dire, nei convegni e di fronte alle telecamere, che Leopolda e piazza San Giovanni sono complementari, che non ha più senso contrapporre impresa e lavoro (piuttosto complicato spiegarlo agli operai di Terni), che la differenza, in politica, è ricchezza. Sta di fatto che la crisi, drammatizzando i conflitti, mette inevitabilmente in scena molte delle “cose vecchie” delle quali Renzi non vorrebbe più sentire parlare, e che spesso liquida come assurda zavorra: se una piazza operaia è “vecchia”, se “vecchio” è il riflesso condizionato di scioperare e magari occupare una stazione ferroviaria, è perché la vecchia abitudine di considerare il lavoro, e la vita di chi lavora, come il punching ball sul quale scaricare tutti i colpi della crisi, è pienamente in atto. È oggi che succede. Proprio oggi.
Diventa dunque complicato, perfino nella lettura renziana, retrodatare questo pezzo di sinistra al punto da consegnarlo agli archivi. Quella sinistra ce l’ha di fronte qui e ora, ce l’ha in casa qui e ora, il segretario del Pd, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, le sue forme di rappresentanza con la loro vocazione sociale («l’interesse generale» rivendicato da Camusso) e le loro pigrizie consociative e corporative. Quando Renzi dice, con la sua sbrigativa franchezza, che il governo non deve trattare le sue riforme con i sindacati, a ogni italiano di buon senso viene alla mente l’estenuante palude della “concertazione” che per decenni ha imbozzolato la vita socio-economica del Paese fino a renderlo quasi comatoso, tarpando le ali a ogni cambiamento. Ma subito dopo, ogni italiano di buon senso si domanda come mai dei tre protagonisti della (non rimpianta) concertazione, tocchi soprattutto ai sindacati finire in rotta di collisione con la dinamica navigazione renziana, non certo a Confindustria, mai come in questo periodo in buoni rapporti con il governo. Per evitare il sospetto di considerare “vecchio” il sindacato e “meno vecchio” un mondo imprenditoriale che dalla produzione ha progressivamente levato risorse e quattrini per destinarli al capitalismo finanziario; e per smentire l’accusa camussiana, per la verità un poco complottarda, di essere uomo dei “poteri forti”, eterna oscura e mitizzata presenza in un Paese dove tutto, alla prova dei fatti, è comunque debole; a Renzi non basterà tassare qualche rendita finanziaria e detassare qualche busta-paga.
Dovrà inventare, per dirla con parole sue, il gettone da mettere nello smartphone, e cioè trovare una forma decente di sopportazione, e magari di collaborazione, tra il suo esercito in camicia bianca e il mondo del lavoro salariato così com’è. Una società di soli imprenditori e di sole partite Iva non è nelle cose, il lavoro dipendente, a tempo determinato o indeterminato che sia, è ancora la forma prevalente di sussistenza (dunque di vita) della stragrande maggioranza degli italiani che lo votano, e il vero limite della Leopolda non sono i bollori thatcheriani (molto vetero) del finanziere Serra, è il sogno ingenuo di un mondo del lavoro di soli vincenti, tutto energia, ottimismo e sorrisi, una specie di Truman Show che tiene fuori dalla porta, e lontano dalle telecamere, la durezza del conflitto e l’umiliazione di tante vite a perdere.
Se questo sindacato non valesse più come interlocutore politico degno, Renzi e i suoi collaboratori hanno calcolato e/o immaginato chi e che cosa, nell’ambito dell’agognato “nuovo”, possa farne le veci? Un ribellismo frantumato e casuale? Corporazioni tignose ed egoiste? Ognuno per sé, Dio per tutti? Sindacati aziendali alla tedesca, pienamente coinvolti nella gestione, ma poi chi glielo dice a Marchionne e a Squinzi? Come capo del governo e ancora di più come segretario del maggiore partito della sinistra europea, Renzi sicuramente sa che la spaccatura astiosa di questi giorni non è liquidabile con le battute, e merita una riflessione. Fa rima con concertazione, ma non è la stessa cosa.
I rottamatori e i cipputiani
di Michele Serra
I MANGANELLI della polizia sugli operai di Terni gettano una ulteriore manciata di sale su una ferita non facilmente rimarginabile — ammesso che alle parti interessi rimarginarla. Quella aperta dal duro contenzioso, verbale e dunque politico, tra il Pd di governo e i sindacati, ovvero tra la nuova configurazione (almeno in senso cronologico) della sinistra italiana e le sue radici profonde.
APARTIRE dal colpo d’occhio, la distanza tra Leopolda e piazza romana è sembrata infinita, perfino più di quanto sia interesse della giovane classe dirigente renziana, che sulla rottura con tutti i passati, specie il proprio, punta molte delle sue carte, ma sulla sostanziale unità della sinistra, o di ciò che ne ha preso il posto, poggia molto del suo potere elettorale e parlamentare. Non poteva esserci, quello storico sabato, rappresentazione più efficace delle due antropologie politiche che, pur con cento sfumature intermedie, nei giorni successivi e in modo molto acceso ieri è come se avessero accelerato il reciproco allontanamento, prendendosi a male parole, accusandosi reciprocamente di ogni male e di ogni dolo.
Come potrebbero sopportarsi, del resto, una classe dirigente “democrat” e postideologica, che crede nella forza demiurgica del “fare” e nel dinamismo dell’impresa come sola grande leva per ribaltare la crisi (essendo lei stessa l’emblema di un’impresa politica di successo), tanto da far pensare che Jobs Act derivi da Steve Jobs; e una piazza cipputiana, orgogliosa e scontenta, tenuta insieme, va detto, soprattutto dalle conquiste passate, ma animata dall’idea che la centralità del lavoro, il suo valore, la sua dignità siano la sola vera chiave del futuro, e convinta, a ragione o a torto, che il governo Renzi quella chiave non intenda usarla?
È facile dire, nei convegni e di fronte alle telecamere, che Leopolda e piazza San Giovanni sono complementari, che non ha più senso contrapporre impresa e lavoro (piuttosto complicato spiegarlo agli operai di Terni), che la differenza, in politica, è ricchezza. Sta di fatto che la crisi, drammatizzando i conflitti, mette inevitabilmente in scena molte delle “cose vecchie” delle quali Renzi non vorrebbe più sentire parlare, e che spesso liquida come assurda zavorra: se una piazza operaia è “vecchia”, se “vecchio” è il riflesso condizionato di scioperare e magari occupare una stazione ferroviaria, è perché la vecchia abitudine di considerare il lavoro, e la vita di chi lavora, come il punching ball sul quale scaricare tutti i colpi della crisi, è pienamente in atto. È oggi che succede. Proprio oggi.
Diventa dunque complicato, perfino nella lettura renziana, retrodatare questo pezzo di sinistra al punto da consegnarlo agli archivi. Quella sinistra ce l’ha di fronte qui e ora, ce l’ha in casa qui e ora, il segretario del Pd, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, le sue forme di rappresentanza con la loro vocazione sociale («l’interesse generale» rivendicato da Camusso) e le loro pigrizie consociative e corporative. Quando Renzi dice, con la sua sbrigativa franchezza, che il governo non deve trattare le sue riforme con i sindacati, a ogni italiano di buon senso viene alla mente l’estenuante palude della “concertazione” che per decenni ha imbozzolato la vita socio-economica del Paese fino a renderlo quasi comatoso, tarpando le ali a ogni cambiamento. Ma subito dopo, ogni italiano di buon senso si domanda come mai dei tre protagonisti della (non rimpianta) concertazione, tocchi soprattutto ai sindacati finire in rotta di collisione con la dinamica navigazione renziana, non certo a Confindustria, mai come in questo periodo in buoni rapporti con il governo. Per evitare il sospetto di considerare “vecchio” il sindacato e “meno vecchio” un mondo imprenditoriale che dalla produzione ha progressivamente levato risorse e quattrini per destinarli al capitalismo finanziario; e per smentire l’accusa camussiana, per la verità un poco complottarda, di essere uomo dei “poteri forti”, eterna oscura e mitizzata presenza in un Paese dove tutto, alla prova dei fatti, è comunque debole; a Renzi non basterà tassare qualche rendita finanziaria e detassare qualche busta-paga.
Dovrà inventare, per dirla con parole sue, il gettone da mettere nello smartphone, e cioè trovare una forma decente di sopportazione, e magari di collaborazione, tra il suo esercito in camicia bianca e il mondo del lavoro salariato così com’è. Una società di soli imprenditori e di sole partite Iva non è nelle cose, il lavoro dipendente, a tempo determinato o indeterminato che sia, è ancora la forma prevalente di sussistenza (dunque di vita) della stragrande maggioranza degli italiani che lo votano, e il vero limite della Leopolda non sono i bollori thatcheriani (molto vetero) del finanziere Serra, è il sogno ingenuo di un mondo del lavoro di soli vincenti, tutto energia, ottimismo e sorrisi, una specie di Truman Show che tiene fuori dalla porta, e lontano dalle telecamere, la durezza del conflitto e l’umiliazione di tante vite a perdere.
Se questo sindacato non valesse più come interlocutore politico degno, Renzi e i suoi collaboratori hanno calcolato e/o immaginato chi e che cosa, nell’ambito dell’agognato “nuovo”, possa farne le veci? Un ribellismo frantumato e casuale? Corporazioni tignose ed egoiste? Ognuno per sé, Dio per tutti? Sindacati aziendali alla tedesca, pienamente coinvolti nella gestione, ma poi chi glielo dice a Marchionne e a Squinzi? Come capo del governo e ancora di più come segretario del maggiore partito della sinistra europea, Renzi sicuramente sa che la spaccatura astiosa di questi giorni non è liquidabile con le battute, e merita una riflessione. Fa rima con concertazione, ma non è la stessa cosa.
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Re: Lavoratori MASSACRATI DI BOTTE e il governo non dice NIE
DIRITTI
Ast Terni: a noi i manganelli non piacciono mai
di Beppe Giulietti | 30 ottobre 2014 COMMENTI
Non ci piacevano i conflitti di interessi ieri, non ci piacciono oggi.
Non ci piacevano i voti di fiducia a ripetizione ieri, non ci piacciono oggi.
Non ci piacevano le leggi bavaglio e non ci piacciono neppure le leggi “bavaglino”.
Non ci piacevano le interviste “senza domande” ieri e neppure oggi.
Non ci piacevano i manganelli a Genova, non ci piacciono quelli alzati contro gli operai di Terni.
Che piaccia o no, non siamo interessati né alle lotte intestine nel Pd, né agli scontri tra Pd e Cgil; ci interessa il merito delle singole questioni e non abbiamo intenzione alcuna di cambiare opinione e giudizio a seconda del colore dei governi o delle maggioranze di turno.
Quelli che urlavano ieri e tacciono oggi sono i veri “professionisti dell’antiberlusconismo”, perché ,venuto meno l’ex Cavaliere, fingono di non vedere e di non sentire e naturalmente non parlano, perché ora sono i cortigiani di un altro sovrano.
Presto, molto presto, anche Renzi scoprirà che costoro saranno i primi a tradirlo, senza neppure il bisogno che il gallo canti…
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10 ... i/1181123/
Ast Terni: a noi i manganelli non piacciono mai
di Beppe Giulietti | 30 ottobre 2014 COMMENTI
Non ci piacevano i conflitti di interessi ieri, non ci piacciono oggi.
Non ci piacevano i voti di fiducia a ripetizione ieri, non ci piacciono oggi.
Non ci piacevano le leggi bavaglio e non ci piacciono neppure le leggi “bavaglino”.
Non ci piacevano le interviste “senza domande” ieri e neppure oggi.
Non ci piacevano i manganelli a Genova, non ci piacciono quelli alzati contro gli operai di Terni.
Che piaccia o no, non siamo interessati né alle lotte intestine nel Pd, né agli scontri tra Pd e Cgil; ci interessa il merito delle singole questioni e non abbiamo intenzione alcuna di cambiare opinione e giudizio a seconda del colore dei governi o delle maggioranze di turno.
Quelli che urlavano ieri e tacciono oggi sono i veri “professionisti dell’antiberlusconismo”, perché ,venuto meno l’ex Cavaliere, fingono di non vedere e di non sentire e naturalmente non parlano, perché ora sono i cortigiani di un altro sovrano.
Presto, molto presto, anche Renzi scoprirà che costoro saranno i primi a tradirlo, senza neppure il bisogno che il gallo canti…
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10 ... i/1181123/
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Re: Lavoratori MASSACRATI DI BOTTE e il governo non dice NIE
Repubblica 5.11.14
Le bugie del ministro Così Alfano ha mentito sui lavoratori picchiati
Ecco perché la versione ufficiale viene smentita dal video
Oggi alla Camera il voto sulla mozione di sfiducia
di Carlo Bonini
ROMAIn un perfetto déjà vu, per la seconda volta in appena sedici mesi, il ministro dell’Interno Angelino Alfano torna a sottoporsi al voto del Parlamento su una mozione di sfiducia individuale. Di cui cambia solo il proscenio: un anno e mezzo fa fu il Senato, oggi la Camera. Ma non la sostanza politica. Come nel luglio del 2013 (caso Shalabayeva), gli ingredienti della vicenda che lo investe — gli scontri di piazza del 29 ottobre scorso durante il corteo degli operai della Ast — ripropongono infatti un identico canovaccio. Come in quell’estate, Alfano mente al Parlamento, cui annuncia una «rigorosa e oggettiva ricostruzione dei fatti» che, al contrario, è costruita su circostanze ora fuorvianti, ora sapientemente manipolate. Non è dato sapere se figlie del dolo o della superficialità con cui le ha recepite da chi gliele ha confezionate (questura e Prefettura di Roma). In ogni caso, necessarie innanzitutto a sottrarlo alla sua responsabilità politica di ministro e, insieme, a dissimulare l’errore degli apparati. Ancora: come in quell’estate, la mossa gli è resa agevole dal silenzio di un Presidente del Consiglio (allora Enrico Letta, oggi Matteo Renzi), alla cui maggioranza sa di essere indispensabile. E in nome della quale ritiene per altro di poter chiudere la faccenda con una “democristiana” e dunque ecumenica «solidarietà ai lavoratori della Ast e della Polizia di Stato».
Per riuscire nell’operazione, è appunto necessario stravolgere i fatti e la loro sequenza. Ma questa volta, grazie alle immagini degli scontri del 29 mattina registrate dalle telecamere di “ Gazebo” e diffuse da Repubblica. it, l’azzardo mostra rapidamente la sua natura abusiva.
LA “VOCE COLTA IN PIAZZA”
Dice Alfano in Senato il 30 ottobre.
« Èsubentrata la preoccupa-zione che alcuni manifestanti vo-lessero dirigersi verso la vicina stazione Termini, atteso che ta-le voce era stata colta dai funzio-nari di polizia in servizio a piazza Indipendenza. Un folto numero di manifestanti, dando vita a un improvviso corteo, si è diretto verso via Solferino e, visto lo sbarramento opposto dalla poli-zia, ha poi deviato verso altre vie limitrofe che conducono comun-que a piazza dei Cinquecento e quindi alla stazione Termini.
Rafforzando così la preoccupa-zione che era già stata avvertita e cioè che volessero dirigersi alla stazione » .
Non è fortunato l’ incipit della ricostruzione «oggettiva e rigorosa » del ministro. Nelle sue parole, si contano infatti un’informazione tanto anodina quanto inverificabile («una voce raccolta in piazza» vuole che i manifestanti intendano dirigersi verso Termini per “occuparla”), e, soprattutto, una prima decisiva manipolazione che le immagini televisive svelano come tale. Per poter infatti sostenere che le intenzioni dell’«improvvisato» corteo siano, come vorrebbe la misteriosa “voce”, quelle di marciare su Termini, Alfano è costretto a collocarne la testa in via Solferino, nel tratto che unisce piazza Indipendenza a piazza dei Cinquecento. Ma è falso. Il corteo infatti non solo non si dirige o entra in via Solferino, ma, al contrario, piega sulla destra di piazza Indipendenza, per entrare in via Curtatone. Una «via limitrofa » che non conduce affatto «a piazza dei Cinquecento» (corre infatti in direzione esattamente opposta), ma al ministero, dove gli operai intendono e dichiarano di andare. E dove — mostrano ancora le immagini televisive — dirigono per scelta e non perché «uno sbarramento della polizia» gli abbia ostacolato il passo in via Solferino.
IL “CONCITATO CONTATTO FISICO”
Ancora Alfano: «Al corteo è stato inutilmente intimato l’alt.
Per cui si è in breve arrivati a un concitato contatto fisico tra manifestanti e polizia da cui è con-seguito il ferimento di 4manife-stanti e di 4operatori della Poli-zia di stato: un funzionario e tre agenti del reparto mobile, i qua-li hanno riportato tutti lesioni guaribili da un minimo di tre a un massimo di quindici giorni » .
Le immagini e il sonoro delle riprese televisive non lasciano percepire alcuna intimazione al corteo di fermarsi. Al contrario, mostrano una improvvisa frenesia che coglie i funzionari in borghese sulla piazza. Uno di loro indossa un giacca di pelle e lo si ascolta nitidamente impartire immediatamente l’ordine di “carica” agli agenti del reparto mobile che chiude l’accesso di via Curtatone. La “concitazione” comincia in quell’esatto momento. Con quell’ordine, con le visiere che si abbassano, gli scudi che si alzano, i manganelli che mulinellano sulle teste degli operai che sorreggono lo striscione in testa al corteo. Non c’è dunque un «concitato contatto fisico». C’è una carica. C’è un funzionario che perde la testa e ordina un uso sproporzionato della forza. Un funzionario così disorientato da vederlo gridare a favore di telecamera « Dovete dircelo dove andate!!! », quando ormai il guaio e fatto e qualche testa è già stata scassata. Ma anche di questo, nella «rigorosa e oggettiva relazione » del ministro non c’è, né può esserci traccia. Anche perché questo significherebbe non solo ammettere un errore e doversene scusare, assumendone il peso politico. Significherebbe anche dover rispondere ad alcune domande. L’ordine di caricare è stata l’iniziativa di un singo- lo? Quali indicazioni avevano ricevuto i funzionari in piazza circa l’uso della forza? E da chi? Dal questore? Dal prefetto? E quali erano state le direttive di ordine pubblico che questore e prefetto avevano ricevuto dal ministro? Il 29 mattina si doveva cercare la cogestione pacifica della piazza o, al contrario, la prova di forza muscolare con Landini e gli operai? La verità è che nel vuoto della relazione di Alfano non c’è traccia di responsabilità. Non è colpa di nessuno. Né «è stato il governo a dare l’ordine di caricare » , dirà il presidente del Consiglio intervistato da Massimo Giannini a Ballarò.
“SOPRAGGIUNGE LANDINI”
Manca un ultimo tassello: « È poi sopraggiunto il segretario generale della Fiom Landini, il cui intervento ha contribuito a ri-portare la calma fra i manife-stanti. In seguito, ha avuto avvio un breve negoziato per l’autoriz-zazione a effettuare un corteo verso la sede dello sviluppo eco-nomico, che si è concluso positi-vamente con la definizione di un percorso concordato » .
Anche nel dare conto di quest’ultimo anello della catena degli eventi, è necessario al ministro un sapiente ritocco, utile a sostenere, tra le righe, che l’animosità del corteo è stata raffreddata grazie alla “sopraggiunta” diplomazia del segretario della Fiom. Peccato che Landini non sopraggiunga. Lo si distingue nitidamente a pochi passi dalla testa del corteo nel tentativo insieme disperato e furioso di fermare i manganelli. « Che caXXo state facendo?! », urla alzando le mani al cielo davanti agli agenti del reparto Mobile. « Siamo lavoratori come voi! ». E peccato che Landini non negozi, ma gridi sul volto dello spiritato funzionario di polizia con la giacca di pelle che è al ministero che gli operai vogliono andare. Non alla stazione Termini. Al ministero. Perché è lì che porta la “limitrofa” via Curtatone.
Corriere 5.11.14
Le tensioni sul voto di sfiducia ad Alfano
Distinguo nel Pd dopo il video sulle cariche, ma non si prevedono sorprese. Forza Italia con il ministro
di Mariolina Iossa
ROMA C’era ancora molta agitazione nel Pd ieri per i fatti accaduti la settimana scorsa durante la manifestazione degli operai della TyssenKrupp. Stasera alla Camera si vota la mozione di sfiducia al ministro dell’Interno Alfano, a firma Sel, Cinquestelle e Lega e la posizione del Pd era chiara, nonostante le insofferenze di qualcuno, dopo che il ministro aveva spiegato in aula che non c’è stata volontà di colpire gli operai e dopo che Landini e Camusso hanno accettato le scuse.
Ma la trasmissione, domenica su Raitre, di un filmato nel quale un funzionario della polizia ordina agli agenti di «caricare» i manifestanti, getta un sasso pesante in un mare ancora mosso e ora di nuovo in tempesta. Già lunedì, il presidente del Pd Matteo Orfini aveva attaccato il prefetto di Roma («Capisco che è impegnato ad annullare matrimoni, ma potrebbe trovare un minuto per spiegare queste nuove immagini sulla carica»).
Ieri ha ribadito al Corriere : «L’informativa di Alfano è stata smentita dalle nuove testimonianze video. È evidente che il corteo non andava verso Termini e che c’è stata una “carica a freddo”. Non credo ci saranno sorprese in aula ma ci aspettiamo che il ministro vada oltre. Chi dice che lui è direttamente responsabile della gestione della piazza dice una sciocchezza, ma è responsabile del suo ministero e se lo mandano in Parlamento a raccontare cose che vengono poi smentite clamorosamente, bisognerà pure cercare di capire meglio che cosa è accaduto».
C’è tutta la giornata, conclude Orfini, per ascoltare cosa Alfano ha da dire di nuovo. Chiede più di un chiarimento, e cioè «individuare e rimuovere tempestivamente i responsabili di questa brutta pagina», la deputata Pd Chiara Grubaudo, mentre è esplicito il deputato Pd ed ex operaio della Tyssen, Antonio Boccuzzi: «Se dal ministro non arrivano novità rispetto alla scorsa settimana, sarà difficile per il sottoscritto votargli la fiducia».
Dal ministero dell’Interno non si aspettano sorprese, comunque. Alfano oggi probabilmente ripeterà che ci sono stati errori ma nessuna volontà di manganellare gli operai e aggiungerà che un video da solo non basta a dare un’interpretazione esaustiva della vicenda.
Nel Pd c’è chi vuole riportare la calma. «In aula — dice Stefano Fassina — prevarrà tra di noi un atteggiamento di ulteriore disponibilità a vedere correzioni sostanziali dei comportamenti nei confronti di chi compie errori come quelli della settimana scorsa». Come dire: niente voto di sfiducia ma qualche atto concreto. Forza Italia vota contro la sfiducia, Ncd «apprezza» con Sacconi e Quagliariello e accusa la Lega di scelta «sconsiderata».
Le bugie del ministro Così Alfano ha mentito sui lavoratori picchiati
Ecco perché la versione ufficiale viene smentita dal video
Oggi alla Camera il voto sulla mozione di sfiducia
di Carlo Bonini
ROMAIn un perfetto déjà vu, per la seconda volta in appena sedici mesi, il ministro dell’Interno Angelino Alfano torna a sottoporsi al voto del Parlamento su una mozione di sfiducia individuale. Di cui cambia solo il proscenio: un anno e mezzo fa fu il Senato, oggi la Camera. Ma non la sostanza politica. Come nel luglio del 2013 (caso Shalabayeva), gli ingredienti della vicenda che lo investe — gli scontri di piazza del 29 ottobre scorso durante il corteo degli operai della Ast — ripropongono infatti un identico canovaccio. Come in quell’estate, Alfano mente al Parlamento, cui annuncia una «rigorosa e oggettiva ricostruzione dei fatti» che, al contrario, è costruita su circostanze ora fuorvianti, ora sapientemente manipolate. Non è dato sapere se figlie del dolo o della superficialità con cui le ha recepite da chi gliele ha confezionate (questura e Prefettura di Roma). In ogni caso, necessarie innanzitutto a sottrarlo alla sua responsabilità politica di ministro e, insieme, a dissimulare l’errore degli apparati. Ancora: come in quell’estate, la mossa gli è resa agevole dal silenzio di un Presidente del Consiglio (allora Enrico Letta, oggi Matteo Renzi), alla cui maggioranza sa di essere indispensabile. E in nome della quale ritiene per altro di poter chiudere la faccenda con una “democristiana” e dunque ecumenica «solidarietà ai lavoratori della Ast e della Polizia di Stato».
Per riuscire nell’operazione, è appunto necessario stravolgere i fatti e la loro sequenza. Ma questa volta, grazie alle immagini degli scontri del 29 mattina registrate dalle telecamere di “ Gazebo” e diffuse da Repubblica. it, l’azzardo mostra rapidamente la sua natura abusiva.
LA “VOCE COLTA IN PIAZZA”
Dice Alfano in Senato il 30 ottobre.
« Èsubentrata la preoccupa-zione che alcuni manifestanti vo-lessero dirigersi verso la vicina stazione Termini, atteso che ta-le voce era stata colta dai funzio-nari di polizia in servizio a piazza Indipendenza. Un folto numero di manifestanti, dando vita a un improvviso corteo, si è diretto verso via Solferino e, visto lo sbarramento opposto dalla poli-zia, ha poi deviato verso altre vie limitrofe che conducono comun-que a piazza dei Cinquecento e quindi alla stazione Termini.
Rafforzando così la preoccupa-zione che era già stata avvertita e cioè che volessero dirigersi alla stazione » .
Non è fortunato l’ incipit della ricostruzione «oggettiva e rigorosa » del ministro. Nelle sue parole, si contano infatti un’informazione tanto anodina quanto inverificabile («una voce raccolta in piazza» vuole che i manifestanti intendano dirigersi verso Termini per “occuparla”), e, soprattutto, una prima decisiva manipolazione che le immagini televisive svelano come tale. Per poter infatti sostenere che le intenzioni dell’«improvvisato» corteo siano, come vorrebbe la misteriosa “voce”, quelle di marciare su Termini, Alfano è costretto a collocarne la testa in via Solferino, nel tratto che unisce piazza Indipendenza a piazza dei Cinquecento. Ma è falso. Il corteo infatti non solo non si dirige o entra in via Solferino, ma, al contrario, piega sulla destra di piazza Indipendenza, per entrare in via Curtatone. Una «via limitrofa » che non conduce affatto «a piazza dei Cinquecento» (corre infatti in direzione esattamente opposta), ma al ministero, dove gli operai intendono e dichiarano di andare. E dove — mostrano ancora le immagini televisive — dirigono per scelta e non perché «uno sbarramento della polizia» gli abbia ostacolato il passo in via Solferino.
IL “CONCITATO CONTATTO FISICO”
Ancora Alfano: «Al corteo è stato inutilmente intimato l’alt.
Per cui si è in breve arrivati a un concitato contatto fisico tra manifestanti e polizia da cui è con-seguito il ferimento di 4manife-stanti e di 4operatori della Poli-zia di stato: un funzionario e tre agenti del reparto mobile, i qua-li hanno riportato tutti lesioni guaribili da un minimo di tre a un massimo di quindici giorni » .
Le immagini e il sonoro delle riprese televisive non lasciano percepire alcuna intimazione al corteo di fermarsi. Al contrario, mostrano una improvvisa frenesia che coglie i funzionari in borghese sulla piazza. Uno di loro indossa un giacca di pelle e lo si ascolta nitidamente impartire immediatamente l’ordine di “carica” agli agenti del reparto mobile che chiude l’accesso di via Curtatone. La “concitazione” comincia in quell’esatto momento. Con quell’ordine, con le visiere che si abbassano, gli scudi che si alzano, i manganelli che mulinellano sulle teste degli operai che sorreggono lo striscione in testa al corteo. Non c’è dunque un «concitato contatto fisico». C’è una carica. C’è un funzionario che perde la testa e ordina un uso sproporzionato della forza. Un funzionario così disorientato da vederlo gridare a favore di telecamera « Dovete dircelo dove andate!!! », quando ormai il guaio e fatto e qualche testa è già stata scassata. Ma anche di questo, nella «rigorosa e oggettiva relazione » del ministro non c’è, né può esserci traccia. Anche perché questo significherebbe non solo ammettere un errore e doversene scusare, assumendone il peso politico. Significherebbe anche dover rispondere ad alcune domande. L’ordine di caricare è stata l’iniziativa di un singo- lo? Quali indicazioni avevano ricevuto i funzionari in piazza circa l’uso della forza? E da chi? Dal questore? Dal prefetto? E quali erano state le direttive di ordine pubblico che questore e prefetto avevano ricevuto dal ministro? Il 29 mattina si doveva cercare la cogestione pacifica della piazza o, al contrario, la prova di forza muscolare con Landini e gli operai? La verità è che nel vuoto della relazione di Alfano non c’è traccia di responsabilità. Non è colpa di nessuno. Né «è stato il governo a dare l’ordine di caricare » , dirà il presidente del Consiglio intervistato da Massimo Giannini a Ballarò.
“SOPRAGGIUNGE LANDINI”
Manca un ultimo tassello: « È poi sopraggiunto il segretario generale della Fiom Landini, il cui intervento ha contribuito a ri-portare la calma fra i manife-stanti. In seguito, ha avuto avvio un breve negoziato per l’autoriz-zazione a effettuare un corteo verso la sede dello sviluppo eco-nomico, che si è concluso positi-vamente con la definizione di un percorso concordato » .
Anche nel dare conto di quest’ultimo anello della catena degli eventi, è necessario al ministro un sapiente ritocco, utile a sostenere, tra le righe, che l’animosità del corteo è stata raffreddata grazie alla “sopraggiunta” diplomazia del segretario della Fiom. Peccato che Landini non sopraggiunga. Lo si distingue nitidamente a pochi passi dalla testa del corteo nel tentativo insieme disperato e furioso di fermare i manganelli. « Che caXXo state facendo?! », urla alzando le mani al cielo davanti agli agenti del reparto Mobile. « Siamo lavoratori come voi! ». E peccato che Landini non negozi, ma gridi sul volto dello spiritato funzionario di polizia con la giacca di pelle che è al ministero che gli operai vogliono andare. Non alla stazione Termini. Al ministero. Perché è lì che porta la “limitrofa” via Curtatone.
Corriere 5.11.14
Le tensioni sul voto di sfiducia ad Alfano
Distinguo nel Pd dopo il video sulle cariche, ma non si prevedono sorprese. Forza Italia con il ministro
di Mariolina Iossa
ROMA C’era ancora molta agitazione nel Pd ieri per i fatti accaduti la settimana scorsa durante la manifestazione degli operai della TyssenKrupp. Stasera alla Camera si vota la mozione di sfiducia al ministro dell’Interno Alfano, a firma Sel, Cinquestelle e Lega e la posizione del Pd era chiara, nonostante le insofferenze di qualcuno, dopo che il ministro aveva spiegato in aula che non c’è stata volontà di colpire gli operai e dopo che Landini e Camusso hanno accettato le scuse.
Ma la trasmissione, domenica su Raitre, di un filmato nel quale un funzionario della polizia ordina agli agenti di «caricare» i manifestanti, getta un sasso pesante in un mare ancora mosso e ora di nuovo in tempesta. Già lunedì, il presidente del Pd Matteo Orfini aveva attaccato il prefetto di Roma («Capisco che è impegnato ad annullare matrimoni, ma potrebbe trovare un minuto per spiegare queste nuove immagini sulla carica»).
Ieri ha ribadito al Corriere : «L’informativa di Alfano è stata smentita dalle nuove testimonianze video. È evidente che il corteo non andava verso Termini e che c’è stata una “carica a freddo”. Non credo ci saranno sorprese in aula ma ci aspettiamo che il ministro vada oltre. Chi dice che lui è direttamente responsabile della gestione della piazza dice una sciocchezza, ma è responsabile del suo ministero e se lo mandano in Parlamento a raccontare cose che vengono poi smentite clamorosamente, bisognerà pure cercare di capire meglio che cosa è accaduto».
C’è tutta la giornata, conclude Orfini, per ascoltare cosa Alfano ha da dire di nuovo. Chiede più di un chiarimento, e cioè «individuare e rimuovere tempestivamente i responsabili di questa brutta pagina», la deputata Pd Chiara Grubaudo, mentre è esplicito il deputato Pd ed ex operaio della Tyssen, Antonio Boccuzzi: «Se dal ministro non arrivano novità rispetto alla scorsa settimana, sarà difficile per il sottoscritto votargli la fiducia».
Dal ministero dell’Interno non si aspettano sorprese, comunque. Alfano oggi probabilmente ripeterà che ci sono stati errori ma nessuna volontà di manganellare gli operai e aggiungerà che un video da solo non basta a dare un’interpretazione esaustiva della vicenda.
Nel Pd c’è chi vuole riportare la calma. «In aula — dice Stefano Fassina — prevarrà tra di noi un atteggiamento di ulteriore disponibilità a vedere correzioni sostanziali dei comportamenti nei confronti di chi compie errori come quelli della settimana scorsa». Come dire: niente voto di sfiducia ma qualche atto concreto. Forza Italia vota contro la sfiducia, Ncd «apprezza» con Sacconi e Quagliariello e accusa la Lega di scelta «sconsiderata».
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