Re Giorgio abdica? Va in esilio a Cascais o a Capri
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Re: Re Giorgio abdica? Va in esilio a Cascais o a Capri
La presidente della Camera Boldrini chiede un presidente donna.
Questa volta di no. Nessuna pregiudiziale nei confronti di una donna. Me la sarei augurata negli anni passati in tempi "normali".
Adesso il passaggio è difficilissimo e ci vogliono attributi.
E' deprimente che molti italiani considerino questi tempi normali.
Qualcuno fa il di nome della Finocchiaro. Ma per favore è un'icona della delusione della donna di sinistra.
Qualcun altro chiede la Pinotti. Ma vogliamo scherzare??? Mica siamo al circo Barnum.
Questa volta di no. Nessuna pregiudiziale nei confronti di una donna. Me la sarei augurata negli anni passati in tempi "normali".
Adesso il passaggio è difficilissimo e ci vogliono attributi.
E' deprimente che molti italiani considerino questi tempi normali.
Qualcuno fa il di nome della Finocchiaro. Ma per favore è un'icona della delusione della donna di sinistra.
Qualcun altro chiede la Pinotti. Ma vogliamo scherzare??? Mica siamo al circo Barnum.
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Re: Re Giorgio abdica? Va in esilio a Cascais o a Capri
Un’altra carica dei 101 Il premier ha paura
(Wanda Marra).
09/11/2014 di triskel182
IL CAPO DEL GOVERNO SI AFFANNA INVANO: “NAPOLITANO È E RESTA UN’ASSOLUTA GARANZIA PER QUESTO PAESE”. MA PARTE LA CACCIA ALL’IDENTIKIT “GRADITO”. UN DEBOLE O UN FORTE COME VELTRONI?.
Giorgio Napolitano è e resta un’assoluta garanzia per questo Paese e un punto di riferimento molto importante”. Matteo Renzi sulle probabili imminenti dimissioni del capo dello Stato è nettissimo. In privato più di una volta gli ha chiesto di restare. Raccontano che abbia smesso solo recentemente, visto che il presidente è deciso a lasciare. Ma ancora spera che cambi idea. Contro le previsioni della vigilia, l’inquilino del Colle per lui è stato un alleato prezioso: l’ha assecondato sulle questioni principali, è intervenuto dove lui non arrivava, gli ha persino corretto provvedimenti scritti in maniera confusa. Certo, ogni tanto qualcosa il giovane Matteo ha dovuto cedere. Ma molto meno di quanto ci si sarebbe potuto aspettare. Il punto, però, non è il presente, quanto il futuro.
ELEGGERE il successore toccherà a questo Parlamento. Che è ingovernabile, come hanno dimostrato le venti fumate nere per l’elezione dei giudici della Consulta. Il prolungarsi del voto per il Quirinale ha varie controindicazioni: prima tra tutte, rischia di far chiudere a Renzi la finestra elettorale di primavera. Tra le caratteristiche, il neo presidente deve avere quella di essere pronto a sciogliere le Camere appena eletto. Mica poco. Il rischio Vietnam è dietro l’angolo: nei tre giorni che portarono alla rielezione di Napolitano, furono bruciati due candidati dipeso (Marini e Prodi) e il segretario Pd, Bersani, dovette dimettersi. Sui 101 traditori esiste una vasta letteratura, ma ancora nessuna certezza. Renzi sa bene che le fronde sono pronte a scatenarsi. L’elezione (regolata dall’articolo 83 della Costituzione) avviene dal Parlamento in seduta comune e per scrutinio segreto, a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione (la Valle d’Aosta ne ha uno solo). GLI SCENARI sono variabili e tutti aperti. Intanto, si tratta di capire con quale maggioranza si procederà. Nonostante le scaramucce sulla legge elettorale, l’asse privilegiato resta il patto del Nazareno. Con incognita: quanto B. tiene Forza Italia? Renzi potrebbe anche tentare lo schema opposto, quello di votare con i 5 Stelle. Ipotesi remota. Dopo l’elezione della candidata alla Consulta del Pd con i voti del M5s, Di Maio ha aperto a un accordo sul Quirinale. Prontamente sconfessato dai suoi. Variabile centrale, la vecchia guardia dem: potrebbe approfittare del voto segreto per vendicarsi del segretario-premier e far fuori un po’ di candidati. Per ora, poi, non è chiaro neanche quale debba essere l’identikit del futuro presidente, nelle intenzioni del premier, che darà le carte. Un grande vecchio? Una figura malleabile? Un outsider? Raccontano che per una volta abbia la tentazione di scegliere un nome meno ad effetto, ma più di peso. Autorevole, da spendere in Europa per dire. Difficile pensare a una figura come Giuliano Amato (che potrebbe andare bene a B.) o Prodi (che potrebbero votare anche i grillini). Chi lo conosce bene dice che “Matteo è molto arrabbiato” con il Professore, perché ha accreditato la tesi che ad armare i 101 contro di lui fosse stato anche l’allora sindaco di Firenze. Poi, c’è l’ipotesi opposta, ovvero un presidente debole, pronto ad obbedire. In quest’ottica, è girato molto il nome di Roberta Pi-notti. Che però sembra più uno specchietto per le allodole. Restano gli outsider. Torna Anna Finocchiaro. Sulla legge elettorale e la riforma del Senato fino a qui è stata molto fedele. Come Violante, potrebbe andar bene alla minoranza Dem. E come Violante, per questo potrebbe essere impallinata da alcuni renziani. “Non è roba questa da decidere con lo schema della donna in testa”, pare che Renzi abbia detto a un’interlocutrice interessata in prima persona alla questione. Ci spera ancora Graziano Delrio. La coabitazione tra i due a Palazzo Chigi non è andata benissimo, ma il suo trasferimento al Quirinale potrebbe ancora servire, secondo la regola del “promuovere per rimuovere”. E ci sarebbe un presidente abbastanza affidabile, ma anche relativamente esperto. Sullo sfondo rimane Walter Veltroni, che sembrerebbe il coronamento di un percorso politico. Lui è più autorevole che potente. Ma potrebbe far ombra al giovane Matteo. Mai escludere il coniglio dal cilindro. Magari svelato il giorno prima.
Da Il Fatto Quotidiano del 09/11/2014.
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Re: Re Giorgio abdica? Va in esilio a Cascais o a Capri
Oliviero Beha alla Gabbia, chiamato a dare una valutazione su una rosa di 5 candidati alla presidenza della Repubblica. Arrivato a alla Finocchiaro ha dichiarato che la senatrice piddina potrebbe diventare presidente dell'Ikea.
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Re: Re Giorgio abdica? Va in esilio a Cascais o a Capri
Il titolo dell'intervista di Emiliano Liuzzi, IFQ, al politologo Gianfranco Pasquino è:
"Non si fida dei dilettanti, non lascerà a breve".
Quando una società fallita entra nel caos il tam tam delle voci è questo.
Smentisce e non smentisce è la linea politica del Fatto, ma questo produce caos nel caos.
Ci vuole un uomo di polso che sappia indicare la via.
Questa volta Pasquino si è sbagliato. RE GIORGIO questa tienè pienè e' palle.
"Non si fida dei dilettanti, non lascerà a breve".
Quando una società fallita entra nel caos il tam tam delle voci è questo.
Smentisce e non smentisce è la linea politica del Fatto, ma questo produce caos nel caos.
Ci vuole un uomo di polso che sappia indicare la via.
Questa volta Pasquino si è sbagliato. RE GIORGIO questa tienè pienè e' palle.
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Re: Re Giorgio abdica? Va in esilio a Cascais o a Capri
La partenza di Re Giorgio oltre a mettere sconquasso nella politica italiana, fa emergere un'altra tragedia nazionale dopo i dati dell'economia, della disoccupazione, e della tendenza al non voto che Massimo Fini identifica con la fine della democrazia nel Bel Paese.
Hanno tutti perso la testa nel prospettare il successore di Napolitano.
Ieri, sul Fatto riproponevano cinque candidati:
1) Amato- Maronn o' Carmn, nata vota lui. Quann vedonò isso purè e' topì si grattàn e' pallè.
2) Romano Prodi - E i 101 dove stanno?
3) La Pinotti- e che c'entra, micà tienè e' palle
4) Sabino Cassese- Gesù, Gesù. Solo sabato ha fatto l'elogio di Matteo Cuor di coniglio.
5) Il maestro Muti- Eccheccentra isso.
Sto Paese è veramente a terra con le ruote sgonfie.
^^^^^^^^^
Repubblica 1.12.14
Il mister X che Renzi sogna al Quirinale
di Stefano Folli
Berlusconi non ha rinunciato a far pesare i suoi voti nella scelta del successore di Napolitano
UN REBUS avvolto in un enigma, diceva Churchill a proposito dell’Unione Sovietica di Stalin. E un rompicapo senza apparente soluzione sta diventando la ricerca del nuovo presidente della Repubblica. Renzi si è reso conto che non sarà una guerra lampo, ma il rischio di una lunga paralisi è troppo alto per il governo.
Nell’intervista di ieri a Repubblica e poi nell’intervento televisivo a “In mezz’ora”, il presidente del Consiglio ha fatto capire di non credere più negli accordi con Berlusconi e di cercare un piano B che può coinvolgere i Cinque Stelle in crisi, o magari i fuoriusciti e i dissidenti del movimento grillino. Ma siamo ancora ai segnali politici, messaggi suscettibili di essere contraddetti il giorno dopo. «Berlusconi non può pensare di dare ancora le carte» dice Renzi. E sulla carta non ha torto: il famoso “patto del Nazareno” non è mai stato una diarchia, bensì un’intesa politica in cui uno era alla guida (il premier) e l’altro ricavava alcuni vantaggi espliciti e impliciti dal trovarsi ancora nel cuore dei giochi.
Cosa è cambiato? Un solo aspetto, ma decisivo: l’uscita di scena di Napolitano è arrivata prima del previsto (nonostante infiniti indizi al riguardo) e il presidente del Consiglio si trova con il cesto delle riforme ancora semi-vuoto. A questo punto anche per un Berlusconi declinante, incapace di tenere a bada un partito sfilacciato, la tentazione è troppo grande. Perché dare il via al candidato di Renzi, ammesso che oggi esista, quando si può alzare il prezzo e negoziare? Del resto, se il “patto” non serve come griglia per eleggere il capo dello Stato, vuol dire che è talmente fragile da risultare inconsistente. Non stupisce che i nodi e le contraddizioni stiano venendo al pettine.
Negli ultimi giorni Berlusconi si mostra più baldanzoso: è tornato a occuparsi di politica in pubblico e ha ripreso uno dei suoi cavalli di battaglia, gli attacchi ai magistrati. Significa che vede Renzi in difficoltà sia sulla legge elettorale sia sull’elezione del capo dello Stato e spera di ricavarne qualche utile marginale. Ma non vuol dire che abbia rinunciato a far pesare i suoi voti nella scelta del successore di Napolitano. Al contrario. Aver messo sul tavolo il nome di Giuliano Amato non rappresenta una scelta definitiva, ma solo un modo per cominciare a giocare. Il problema è che Renzi non accetta, almeno per ora, di trattare da pari a pari con il centrodestra. Perché, appunto, «Berlusconi non dà le carte ».
Detto in altri termini, il premier respinge il metodo di fondo, quello che consiste nel dare la precedenza al suo semi-alleato per individuare insieme un nome di garanzia autorevole e neutrale, accettabile da tutti. Non siamo nel 1985, quando De Mita convinse il Pci a votare Cossiga, che in fondo era cugino di Berlinguer; e nemmeno nel 1999, quando Veltroni costruì un’ampia rete di sicurezza intorno a Ciampi. Oggi Renzi guarda a un presidente della Repubblica che sia, in un certo senso, a-politico: ossia privo di reale autonomia e soprattutto poco propenso a sviluppare una propria iniziativa istituzionale, sia pure nell’ambito della «persuasione morale». Il modello del presidente tedesco, la cui figura non si sovrappone mai a quella del Cancelliere, è ben vivo nella sua mente. Ecco perché è così difficile per lui discutere con altri le possibili candidature: al momento sarebbe un dialogo fra sordi, visto che non tutti — dentro e soprattutto fuori della maggioranza — condividono l’identikit politico-istituzionale del nuovo capo dello Stato secondo Renzi.
Senza dubbio Amato non corrisponde ai requisiti che il premier ritiene debbano essere prioritari. Ma una volta esclusa Forza Italia, è tutto da dimostrare che sia agevole raccogliere i voti necessari in Parlamento, fra un Pd diviso, i centristi e i Cinque Stelle, a favore di un «mister X» o di una «miss X». Ci vuole più forza politica a imporre un candidato imprevisto di quanta sia necessaria per far votare un nome conosciuto e sperimentato. Tuttavia siamo solo ai primi passi della contesa. Aspettiamoci molti colpi di scena.
Hanno tutti perso la testa nel prospettare il successore di Napolitano.
Ieri, sul Fatto riproponevano cinque candidati:
1) Amato- Maronn o' Carmn, nata vota lui. Quann vedonò isso purè e' topì si grattàn e' pallè.
2) Romano Prodi - E i 101 dove stanno?
3) La Pinotti- e che c'entra, micà tienè e' palle
4) Sabino Cassese- Gesù, Gesù. Solo sabato ha fatto l'elogio di Matteo Cuor di coniglio.
5) Il maestro Muti- Eccheccentra isso.
Sto Paese è veramente a terra con le ruote sgonfie.
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Il mister X che Renzi sogna al Quirinale
di Stefano Folli
Berlusconi non ha rinunciato a far pesare i suoi voti nella scelta del successore di Napolitano
UN REBUS avvolto in un enigma, diceva Churchill a proposito dell’Unione Sovietica di Stalin. E un rompicapo senza apparente soluzione sta diventando la ricerca del nuovo presidente della Repubblica. Renzi si è reso conto che non sarà una guerra lampo, ma il rischio di una lunga paralisi è troppo alto per il governo.
Nell’intervista di ieri a Repubblica e poi nell’intervento televisivo a “In mezz’ora”, il presidente del Consiglio ha fatto capire di non credere più negli accordi con Berlusconi e di cercare un piano B che può coinvolgere i Cinque Stelle in crisi, o magari i fuoriusciti e i dissidenti del movimento grillino. Ma siamo ancora ai segnali politici, messaggi suscettibili di essere contraddetti il giorno dopo. «Berlusconi non può pensare di dare ancora le carte» dice Renzi. E sulla carta non ha torto: il famoso “patto del Nazareno” non è mai stato una diarchia, bensì un’intesa politica in cui uno era alla guida (il premier) e l’altro ricavava alcuni vantaggi espliciti e impliciti dal trovarsi ancora nel cuore dei giochi.
Cosa è cambiato? Un solo aspetto, ma decisivo: l’uscita di scena di Napolitano è arrivata prima del previsto (nonostante infiniti indizi al riguardo) e il presidente del Consiglio si trova con il cesto delle riforme ancora semi-vuoto. A questo punto anche per un Berlusconi declinante, incapace di tenere a bada un partito sfilacciato, la tentazione è troppo grande. Perché dare il via al candidato di Renzi, ammesso che oggi esista, quando si può alzare il prezzo e negoziare? Del resto, se il “patto” non serve come griglia per eleggere il capo dello Stato, vuol dire che è talmente fragile da risultare inconsistente. Non stupisce che i nodi e le contraddizioni stiano venendo al pettine.
Negli ultimi giorni Berlusconi si mostra più baldanzoso: è tornato a occuparsi di politica in pubblico e ha ripreso uno dei suoi cavalli di battaglia, gli attacchi ai magistrati. Significa che vede Renzi in difficoltà sia sulla legge elettorale sia sull’elezione del capo dello Stato e spera di ricavarne qualche utile marginale. Ma non vuol dire che abbia rinunciato a far pesare i suoi voti nella scelta del successore di Napolitano. Al contrario. Aver messo sul tavolo il nome di Giuliano Amato non rappresenta una scelta definitiva, ma solo un modo per cominciare a giocare. Il problema è che Renzi non accetta, almeno per ora, di trattare da pari a pari con il centrodestra. Perché, appunto, «Berlusconi non dà le carte ».
Detto in altri termini, il premier respinge il metodo di fondo, quello che consiste nel dare la precedenza al suo semi-alleato per individuare insieme un nome di garanzia autorevole e neutrale, accettabile da tutti. Non siamo nel 1985, quando De Mita convinse il Pci a votare Cossiga, che in fondo era cugino di Berlinguer; e nemmeno nel 1999, quando Veltroni costruì un’ampia rete di sicurezza intorno a Ciampi. Oggi Renzi guarda a un presidente della Repubblica che sia, in un certo senso, a-politico: ossia privo di reale autonomia e soprattutto poco propenso a sviluppare una propria iniziativa istituzionale, sia pure nell’ambito della «persuasione morale». Il modello del presidente tedesco, la cui figura non si sovrappone mai a quella del Cancelliere, è ben vivo nella sua mente. Ecco perché è così difficile per lui discutere con altri le possibili candidature: al momento sarebbe un dialogo fra sordi, visto che non tutti — dentro e soprattutto fuori della maggioranza — condividono l’identikit politico-istituzionale del nuovo capo dello Stato secondo Renzi.
Senza dubbio Amato non corrisponde ai requisiti che il premier ritiene debbano essere prioritari. Ma una volta esclusa Forza Italia, è tutto da dimostrare che sia agevole raccogliere i voti necessari in Parlamento, fra un Pd diviso, i centristi e i Cinque Stelle, a favore di un «mister X» o di una «miss X». Ci vuole più forza politica a imporre un candidato imprevisto di quanta sia necessaria per far votare un nome conosciuto e sperimentato. Tuttavia siamo solo ai primi passi della contesa. Aspettiamoci molti colpi di scena.
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