La corsa per il colle

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aaaa42
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Re: La corsa per il colle

Messaggio da aaaa42 »

massimo Cacciari ha cercato una relazione sessuale con libera e bella ma e stato respinto, donna e meglio ha corteggiato la fornero che da piemontese la mandato a quel paese , poi ha perso letteralmente la testa per monti, documentiamoci prima di proporre ...i nostri avversari anche se a nostra insaputa
camillobenso
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Re: La corsa per il colle

Messaggio da camillobenso »

20 DIC 2014 14:19
- QUIRINAL VIETNAM
- LA PROFEZIA DI MACALUSO, SULL’ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO “PIÙ CAOTICA DI SEMPRE”, NON E’ COSÌ ASSURDA E RENZI TREMA: IL BANANA NON CONTROLLA LE TRUPPE, FITTO CREA LA FRONDA, SALVINI E GRILLO FARANNO AMMUINA - - - - -


Ieri Renzi ha cominciato a fare gli esorcismi, a dire che non importa se il nuovo capo dello Stato arriverà “al primo, al quarto, al settimo giro. Non è importante nemmeno se verrà eletto a maggioranza qualificata o semplice” - I nomi sono sempre gli stessi ma c’è sempre l’outsider non previsto e non prevedibile…


Amedeo La Mattina per “la Stampa”

Emanuele Macaluso, vecchio amico di Giorgio Napolitano, prevede l’elezione del capo dello Stato «più caotica che ci sia mai stata». Matteo Renzi ne è consapevole. L’ottimismo di facciata espresso nei giorni scorsi vira verso il pessimismo.

Aveva detto che tutto andrà bene: i parlamentari, a cominciare da quelli del Pd, avrebbero imparato la lezione del 2013, quando vennero impallinati Franco Marini e Romano Prodi per poi chiedere a Napolitano di rimanere al Quirinale.

Ieri il premier ha cominciato a fare gli esorcismi, a dire che non importa se il nuovo capo dello Stato arriverà «al primo, al quarto, al settimo giro». Non è importante nemmeno se verrà eletto a maggioranza qualificata o semplice». «Io spero che, quando sarà il momento, il Presidente della Repubblica sarà eletto con il più alto consenso possibile. Come Pd, faremo di tutto perché questo succeda».


LE TRUPPE DI BERLUSCONI
Renzi teme lo stallo cavalcato da Grillo e Salvini, lo sfarinamento dei gruppi parlamentari, non solo quello del Pd. Osserva lo scontro all’arma bianca dentro Forza Italia. Chiede informazioni a Denis Verdini su quante armate dispone effettivamente Berlusconi. La risposta non è rassicurante. Lo stesso Fitto ha confidato, ironicamente, che se continua così avrà più parlamentari lui che il Cavaliere: «Alla fine Renzi dovrà parlare con me». Intanto ci parla Verdini per portare il partito unito al voto del Colle. Una missione quasi impossibile ma Verdini ci prova, avendo ricevuto il mandato da Berlusconi anche a trattare con il premier sul Quirinale.

IL METODO DELLE ROSE
Renzi gioca al buio. Sa che i primi tre scrutini si faranno entro gennaio, essendo molto probabile che Napolitano si dimetterà il 14 gennaio. La supplenza toccherà al presidente del Senato Pietro Grasso, che auspica una convergenza «in breve tempo su una figura autorevole e condivisa».

Anche l’ex premier Enrico Letta ha messo l’accento su una figura «autorevole», un presidente «dotato di autonomia e indipendenza». Il nuovo capo dello Stato, dice Berlusconi, sia garanzia di tutti, non solo del premier. Insomma tutti, dentro e fuori il Pd, vogliono evitare che il Quirinale diventi una dependance di Palazzo Chigi. Angelino Alfano avverte che la scelta non può cadere su una personalità che appartiene a un partito e fa un passo in più quando ricorda che da troppo tempo manca al Colle un cattolico. Il pensiero corre a Pierferdinando Casini.

Una cosa è sicura per Maurizio Lupi: Renzi non può presentare una rosa di nomi prendere o lasciare. «Così non va bene», spiega il ministro per le Infrastrutture. Ecco che siamo al classico ma ormai desueto metodo della rosa dei nomi. In sostanza viene suggerito che ogni partito disposto a trattare avanzi in maniera assolutamente riservata due, tre nomi.

A quel punto Renzi dovrebbe arrivare a un punto di equilibrio, proponendo dopo il terzo scrutinio candidature non ostili. È un metodo che piace a Ncd e a Fi, ma non al premier che tiene le carte coperte. Nessuno gli strappa un nome: vuole prima il voto sulla legge elettorale e la riforma costituzionale. Soprattutto è cosciente che non c’è un metodo da seguire.

Con l’imminenza delle dimissioni di Napolitano è inevitabile che girino i nomi dei papabili, ma non c’è ancora una traccia credibile. I nomi sono quelli di Giuliano Amato, Walter Veltroni, Pierferdinando Casini, Anna Finocchiaro, Romano Prodi, Piero Fassino, il giudice costituzionale Sergio Mattarella. Ma c’è sempre l’outsider non previsto e non prevedibile. Si è fatto poco o niente il nome di Emma Bonino, ma non va trascurato: con Papa Francesco è caduto il veto dei cattolici.
camillobenso
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Re: La corsa per il colle

Messaggio da camillobenso »

QUIRINALE
Colle, Vendola: «Se lo vuole il Pd Prodi eletto dopo quarta votazione»
ll leader di Sel: «Tenere fuori dalla partita il patto del Nazareno»
Civati (Pd): «Il segretario del nostro partito dovrà dirci perché sì o perché no»

di Redazione Online


«Se il Pd vuole, dopo quattro votazioni possiamo eleggere Romano Prodi al Quirinale». Così Nichi Vendola, nel corso di un intervento all’assemblea di Sel. Evento nel corso del quale il leader di Sinistra, ecologia, libertà chiarisce anche che, «se si tiene fuori dalla partita la fonte prevalente di inquinamento, ossia il patto del Nazareno, allora è possibile eleggere subito il presidente della Repubblica». «Se l’inquilino del Colle da eleggere serve per ridare speranza e un’immagine pulita delle istituzioni», aggiunge, allora Sel potrà essere della partita.

Civati: «Il segretario dovrà dirci sì o no»
Sull’ipotesi del nome di Prodi, replica dalla minoranza Pd, in serata, Pippo Civati: è un «esempio» di risposte a proposte concrete. «L’interrogativo di Prodi - spiega - non è malizioso ma costruttivo e il segretario del Pd ci dirà perché sì o perché no, così vale per mille proposte che abbiamo avanzato e che stiamo costruendo».

Salvini: «Prodi o Amato, vecchi rottami»
Del prossimo capo dello Stato si parla anche altrove. Pur premettendo che la scelta del nuovo presidente della Repubblica «è l’ultima delle preoccupazioni», il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, dice sabato, a margine di una manifestazione contro l’immigrazione clandestina organizzata dalla Lega a Torino: «Spero solo che non sia un vecchio rottame della sinistra, come Prodi, Amato o quella gente lì».

Di Maio: «Serve un profilo alla Pertini»
Sulla questione interviene anche uno dei membri del direttorio del Movimento cinque stelle, Luigi Di Maio: «Ci serve un presidente che non parli di indulto ma incalzi il Parlamento e il governo a fare subito una seria legge anticorruzione. Più che un nome, un profilo alla Pertini» dice alla Stampa. «Per ora crediamo che solo con le Quirinarie, che prevedono il coinvolgimento diretto dei cittadini, si possa raggiungere un profilo simile».

Udc: «5 Stelle? Aspetterei pima di parlare»
«La partita del Quirinale sarà un banco di prova per i partiti: o si trova la convergenza su un nome super partes e di alto profilo o il rischio palude danneggerà irrimediabilmente la credibilità della politica» interviene il vicesegretario vicario Udc Antonio De Poli. Che, «sulla disponibilità dei Cinque stelle», aggiunge: «aspetterei prima di parlare di vera apertura».
20 dicembre 2014 | 16:14

http://www.corriere.it/politica/14_dice ... 228e.shtml
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camillobenso
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Re: La corsa per il colle

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I prossimi giorni produrranno la nausea verso le istituzioni. I media daranno una mano non indifferente.


QUIRINALE, NON C’È SOLUZIONE
(Fabrizio d’Esposito).
28/12/2014 di triskel182


NESSUN CANDIDATO IN VISTA PER SOSTITUIRE NAPOLITANO. INTANTO SI BRUCIANO NOMI SUI MEDIA.

Il Caos allo stato puro. A partire da oggi manca un mese e un giorno al probabile primo scrutinio per il futuro capo dello Stato e il totonomi dell’Era renziana e nazarena assomiglia a un gigantesco gioco dove si fa a gara per bruciare quanti più candidati possibili, sul modello della casa del Grande Fratello. L’ultima nomination per andare al rogo riguarda l’ex dalemiano Pier Carlo Padoan, oggi ministro dell’Economia. È dal 16 dicembre, da quando cioè Giorgio Napolitano lo elogiò nel discorso di auguri alle alte cariche, che il suo nome è cresciuto nel chiacchiericcio politico-parlamentare. Poi i titoli letali per vedere l’effetto che facevano, tipo “La carta di Renzi è Padoan”. Ma la candidatura del ministro perlopiù tecnico dell’esecutivo di Matteo Renzi non ha smosso passioni ed entusiasmi in direzione di un metodo Ciampi (o Cossiga) sin dal primo scrutinio. Risultato: un altro candidato bruciato.

In tutto sono almeno trenta le personalità indicate sinora per la successione a Giorgio il Breve, riconfermato al Colle nell’aprile del 2013. Tra questi, archiviati come Padoan ci sono: Walter Veltroni, Paola Severino, Riccardo Muti, Sabino Cassese, Gianni Letta, Renzo Piano, Anna Finocchiaro, Roberta Pinotti, Emma Bonino, Pier Ferdinando Casini, Dario Franceschini. Romano Prodi e Giuliano Amato meritano invece un paragrafo a parte. Le dimissioni e il primo scrutinio del 29 gennaio

Le uniche certezze riguardano allora solo il percorso tracciato da Napolitano. Prossimo ai 90 anni, la sera del 31 dicembre, nel tradizionale discorso di fine anno dalla durata di venti minuti, dirà agli italiani che si dimetterà per l’età e per la salute. E troverà una sintesi diversa da quella affidata recentemente nel dialetto natìo, il napoletano, al vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri: “Nun c’a faccio cchiù”. “Non ce la faccio più”. A quel punto il 14 gennaio, il giorno successivo alla fine del semestre europeo a guida italiana, invierà le sue dimissioni a Pietro Grasso, Laura Boldrini e Renzi. Al primo, presidente del Senato, sarà affidata la delicata supplenza del vertice della Repubblica. Alla seconda, alla guida della Camera, spetterà la convocazione a Montecitorio dei grandi elettori (il numero è 1.009) entro le due settimane previste dalla Costituzione. Si comincerà verosimilmente il 29 gennaio, di giovedì.

Lo sfogo di Re Giorgio a Natale: “Renzi non mi ascolta” Il primo a essere drammaticamente consapevole del Caos che si impadronirà del Parlamento in seduta comune è proprio Napolitano. Non a caso il pessimismo è il sentimento prevalente tra i suoi antichi amici. Tipo Emanuele Macaluso che in un’intervista ha detto esplicitamente che “sarà l’elezione più caotica di sempre”. E tipo Ugo Sposetti , ex tesoriere ds e senatore, che al Foglio ha pronosticato con minaccioso sarcasmo almeno 202 franchi tiratori, il doppio dei 101 antiprodiani del 2013.

Di qui la controffensiva renziana per spargere ottimismo e serenità, diffondendo numeri altisonanti e rassicuranti. Ma la realtà non è così, se lo stesso capo dello Stato, in occasione degli ultimi incontri al Colle per le feste natalizie, ha avuto un lungo sfogo sulle maldestre e spregiudicate manovre del premier. Ecco Napolitano, nella versione riferita dai suoi interlocutori: “A Renzi ho tentato di dare alcuni consigli ma lui non mi ha mai ascoltato. Adesso però non ce la faccio più fisicamente e devo andarmene. L’unica cosa che ho potuto fare è quella di blindarlo in nome della stabilità ma molto dipenderà da chi verrà qui dopo di me.

Ci vuole una figura autorevole e autonoma, non un personaggio scelto in base ai sondaggi del momento oppure per assecondare senza se e senza ma il patto del Nazareno”. I rischi di quest’ultimo punto, l’accordo tra B. e Renzi, sono evidenti a Napolitano. Ed è per questo che volutamente, secondo quanto riportato dall’Huffington Post, il presidente della Repubblica ha ricordato in questi colloqui i momenti di “opposizione e contrasto” all’ex Cavaliere. Il motivo è semplice: il futuro capo dello Stato, per Napolitano, deve essere autonomo da Renzi ma anche da Berlusconi, il quale al contrario va dicendo ai suoi che gli andrebbe bene persino Romano Prodi se questi gli garantisse una grazia piena, in grado di estinguere gli effetti della Severino (interdizione per 6 anni) e consentirgli così la sesta candidatura a premier quando sarà.

La solita solfa della pacificazione ad personam. Esiste il Mister X del premier? I capitoli Amato e Prodi Tra l’ennesimo ricatto di B. (che può garantire solo 100 grandi elettori, tolti i ribelli di Raffaele Fitto) e il modello democristiano che ha in testa Renzi (un presidente al servizio di Palazzo Chigi e non viceversa, stile Prima Repubblica), si inseriscono le perfidie tattiche del troncone centrista diviso in tre: alfaniani di Ncd, casiniani dell’Udc, ex montiani di Scelta Civica. In questo quadro, è impensabile un metodo Ciampi. Anche perché in giro non c’è nessuno che corrisponda al profilo unificante del misterioso Mister X, il famigerato asso che Renzi dice di avere nella manica della sua camicia bianca. A meno di un mese i candidati veri sono pochissimi. Se tutti si adeguassero all’ultima, estrema moral suasion di Napolitano il nome è quello di Giuliano Amato, su cui oltre a Berlusconi potrebbero convergere alcuni volti della minoranza dem, da Bersani a Fassina. Ma i bersaniani, in prima battuta, useranno Romano Prodi come manganello antirenziano con l’obiettivo di dire sì a un ex ds (Piero Fassino?). C’è quindi la carta Grasso: il presidente del Senato è attento a non farsi bruciare ed è in prima fila. Alla fine verrà fuori il metodo Napolitano, quello della prima elezione. L’attuale capo dello Stato fu una seconda scelta dei Ds (la prima era D’Alema) e venne eletto al quarto scrutinio con 543 voti, con la maggioranza assoluta. Nel frattempo si continuano a bruciare nomi. Stavolta dovrebbe toccare all’ineffabile Luigi Zanda, capogruppo del Pd a Palazzo Madama.

Da Il Fatto Quotidiano del 28/12/2014.
camillobenso
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Re: La corsa per il colle

Messaggio da camillobenso »

Repubblica 29.12.14
Perché Prodi congela (per ora) la voglia di veto di Matteo e Silvio
Il Professore è uno dei candidati più autorevoli per lui soffiano venti distanti dal premie
r
di Stefano Folli

Va evitata la guerra civile all’interno del centrosinistra in Parlamento L’ex Cavaliere tiene un profilo basso e osa soltanto dire un flebile no

SECONDO il premier Renzi, è grave che qualcuno voglia «gettare il nome di Prodi nel tritacarne dei retroscena » giornalistici. Ma la storia non è proprio in questi termini. Romano Prodi è uno dei più autorevoli candidati alla presidenza della Repubblica ed è normale che si parli di lui. Soprattutto quando attorno all’ex presidente del Consiglio si sta giocando una partita politica complessa e dall’esito ancora imprevedibile.
Certo, manca un mese all’inizio delle votazioni nell’aula di Montecitorio. Di qui ad allora vivremo di mezze notizie, indiscrezioni e supposizioni, molte delle quali infondate o incomplete. Eppure dove c’è molto fumo spesso c’è anche un po’ d’arrosto. In ogni caso è poco plausibile che nessuno stia tessendo in queste settimane i fili di una strategia, che non si stia creando una griglia per evitare il Vietnam parlamentare di fine gennaio. In fondo le voci su Prodi sono nate quando il premier lo ha ricevuto a Palazzo Chigi, un paio di settimane fa. E si sono rafforzate quando Berlusconi, l’avversario di sempre, ha lasciato intendere di non avere più alcuna pregiudiziale contro il suo antico nemico (l’uomo che lo ha battuto due volte nelle urne). Così ha preso forma l’ipotesi di Prodi al Quirinale con i voti, nientemeno, del «patto del Nazareno», cioè lo schema politico più indigesto per lui.
Ma come stanno in realtà le cose? Non come sembrano. Al momento l’unico gruppo ad avere avanzato in modo pressoché ufficiale la candidatura prodiana è il Sel per bocca di Vendola. Con l’idea di mettere in difficoltà Renzi, non certo di favorire la convergenza fra lui e Forza Italia. Sono emerse poi altre voci. Bersani, memore dei 101 franchi tiratori del 2013, ha detto più volte, a nome di una frazione ragguardevole del Pd, che «occorre ricominciare da Prodi», ossia che un accordo all’interno del partito non può ignorare la ferita di allora (garbata allusione al fatto che gli amici di Renzi sono fra i maggiori indiziati della fronda). A seguire si sono dichiarati a favore di Prodi alcuni intransigenti di Forza Italia, ad esempio Minzolini e la Santanché. Anche qui non si è trattato di togliere le castagne dal fuoco a Renzi, ma al contrario di buttargli fra le gambe il nome più scomodo e meno malleabile.
Come si spiega allora che una candidatura avanzata da personaggi e ambienti non certo amici del presidente del Consiglio si trasformi in un punto di convergenza fra lui e Berlusconi? Per capirlo occorre guardare la vicenda da un’altra angolatura. Il problema di Renzi è che egli non può mettere veti ad alcun candidato vero o presunto che nasca dentro i confini del Pd, tanto meno al fondatore dell’Ulivo. La sua speranza di impedire la guerra civile all’interno dei gruppi parlamentari del centrosinistra passa proprio di qui: dalla capacità di non tagliare la strada a nessuno, ma di far scaturire l’accordo vincente al momento opportuno intorno al nome più condiviso.
Tuttavia, non basta dire che Renzi non può mettere veti: la questione è che non può nemmeno subirli. Se il premier accettasse, per ipotesi, una bocciatura secca e definitiva di Berlusconi su Prodi, tutta l’architettura del «patto » salterebbe e l’intera strategia per la successione di Napolitano rischierebbe di essere vanificata. Quindi Berlusconi, da bravo partner, ha tenuto un profilo molto basso e ha evitato di porre qualsiasi veto. Finché ieri ha affidato a un collaboratore il compito di dire un mezzo «no», ma abbastanza flebile da non essere troppo compromettente.
Non sarebbe la prima volta che per l’eterogenesi dei fini, un passo dopo l’altro, ci si ritrova ad eleggere la figura meno gradita, in questo caso Prodi. Ma è più probabile un altro sbocco. Se Renzi e Berlusconi non vogliono Prodi al Quirinale, e se hanno giocato fino qui una mano tattica di una partita ancora molto lunga, arriverà il giorno in cui qualcuno dovrà pur scoprire le carte. Quel giorno potrebbe entrare in crisi il «patto» oppure il Pd. In entrambi i casi, il premier avrebbe di che preoccuparsi.
camillobenso
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Re: La corsa per il colle

Messaggio da camillobenso »

La Stampa 12.1.15
Il Quirinale e i nemici del premier
di Marcello Sorgi

Se serviva una conferma delle divisioni interne del Pd alla vigilia delle dimissioni di Napolitano, è arrivata puntuale dal tormentato andamento delle primarie in Liguria.
Contrapposizioni locali, ma non solo, in una regione in cui i disastri provocati dalle recenti alluvioni hanno intaccato il rapporto tra sindaci, amministratori ed elettori di centrosinistra. Ma quello della Liguria non è il solo esempio di tensioni interne, a un anno dall’ascesa di Renzi alla guida del partito e a dieci mesi dall’approdo a Palazzo Chigi.
Dopo il lungo negoziato tra maggioranza e minoranza interna del Pd, che aveva preceduto l’approvazione della legge-delega sul Jobs Act, l’arrivo in Parlamento dei decreti delegati, con cui il governo si accinge a rendere operativa la riforma, rischia di far ripartire il braccio di ferro.

Anche se la delega dà alle Camere solo un parere consultivo sul contenuto dei decreti, l’ex ministro Damiano, che aveva condotto la trattativa nella fase precedente all’approvazione della legge, ha annunciato che intende ottenere dal governo una serie di modifiche sulla spinosa materia dei licenziamenti. Se Renzi, che ha già accettato un compromesso pur di portare a casa la riforma, dovesse accettare di modificarla ulteriormente, il contenzioso con la minoranza Pd sarebbe risolto, ma subito se ne aprirebbe un altro con Ncd, che a malincuore aveva accettato l’edulcorazione del testo originario. Ma cosa accadrebbe, invece, se dovesse tener duro?

È opinione diffusa che la recrudescenza dell’opposizione interna nei confronti del premier abbia varie ragioni, non ultimo il recente indebolimento della sua immagine personale, causato dalla decisione di usare l’aereo di Stato per portare in vacanza la famiglia e dal controverso inserimento nel decreto fiscale, poi ritirato, della cosiddetta norma salva-Berlusconi. Due indiscutibili errori, anche se di diversa entità, ma non tali da motivare una riscossa a tutto campo degli avversari di Renzi. La ragione vera delle turbolenze sta nella corsa al Quirinale: partita nel momento in cui il Presidente ha annunciato l’addio nel messaggio tv di Capodanno, e destinata ad entrare nel vivo da giovedì, se mercoledì, come tutto lascia pensare, saranno formalizzate le dimissioni.

Per quanto la lista dei diciannove candidati annunciata da Renzi sia ormai pubblica, la sensazione è che uno straccio di accordo, dentro e fuori il Pd non sia ancora all’orizzonte. Di giorno in giorno, il borsino dei «presidenziabili» fa registrare alti e bassi, sia in zona promozione che retrocessione. Ma finché non matura un’intesa di massima su un nome, o su un numero ristretto di nomi, la trattativa vera non può cominciare. Il nome, o i nomi, non si trovano, perché una larga parte del partito che controlla la maggioranza dei Grandi Elettori (ben 450 dei 505 che bastano dalla quarta votazione in poi) considera la scadenza del Quirinale, non solo come il delicato - vieppiù delicato, dopo l’arrembaggio dei franchi tiratori e il fallimento del 2013 - passaggio che deve servire a scegliere il successore di Napolitano. Ma anche come la grande occasione per piegare Renzi ed eleggere un Presidente a lui sgradito.


È in questa chiave che bisogna leggere le tensioni di questi giorni. Dalle primarie al Jobs Act, al cammino delle riforme istituzionali e di quella elettorale, il discorso è chiaro: o Renzi si rassegna alla sottomissione, o si condanna a una guerriglia parlamentare e a un rinvio delle riforme, in coincidenza con le votazioni per il Quirinale. Che a quel punto, in un Parlamento ancora intossicato dai fumi della battaglia, non potrebbero che indirizzarsi verso uno stallo, o peggio ancora verso una soluzione imprevedibile e fuori controllo.
Va detto che non tutti, tra gli avversari di Renzi, la mettono giù così pesante.

E quelli che lo fanno apertamente e davanti alle telecamere rappresentano una minoranza della minoranza, il grosso della quale, guidata da Bersani, al contrario punta a trattare e a trovare un punto di convergenza con il premier. Ma il problema non sta nei toni e neppure nelle tattiche adoperate per convincere Renzi a mollare, per evitare di sottoporsi a un ulteriore logoramento o a una sconfitta. Infatti, comunque lo si proponga, un ragionamento del genere non sta in piedi.
Puntare a convincere il premier ad accettare un compromesso, e perfino a farsene promotore, è legittimo. In politica, non a caso, si dice che chi ha più filo tesse. Ma credere che sia davvero possibile eleggere un Presidente della Repubblica a dispetto di Renzi è fuori dalla realtà. Renzi ha messo da parte da tempo la baldanza con cui all’inizio approcciava la questione, forse anche perché ha capito che la corsa al Colle è disseminata di trappole. Ma conserva in pieno il potere di proposta, se non come premier, come segretario del Pd. Se non sta bene a lui, in altre parole, nessun candidato potrà allinearsi ai nastri di partenza. Né alla prima, né alla quarta votazione, né in quelle successive. È su questo dettaglio che dovrebbero riflettere i suoi oppositori. Prima di scatenare un’altra guerriglia che non porterebbe a nulla.
soloo42001
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Re: La corsa per il colle

Messaggio da soloo42001 »

Ma allora del Presidente non si parla più?
Ma che razza di forum siamo?

A me sembra che allo stato i giochi siano ormai fatti.

M5S si è tirato fuori, per cui Civati è rimasto di nuovo isolato.
E a qual punto la sinistra PD non può certo mettere a rischio il Governo per farsi prendere in giro da Grillo.

Per cui vedo due scenari:
- Renzi strappa e presenta delle figure improponibili e/o in assenza di un accordo con la SX PD
(sia sul nome sia sulle altre partite in corso)
- trovano un accordo interno e alla quarta votazione presentano una figura di compromesso gradita a B (Amato?)

Voi che ne pensate?


soloo42000
camillobenso
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Re: La corsa per il colle

Messaggio da camillobenso »

soloo42001 ha scritto:Ma allora del Presidente non si parla più?
Ma che razza di forum siamo?

A me sembra che allo stato i giochi siano ormai fatti.

M5S si è tirato fuori, per cui Civati è rimasto di nuovo isolato.
E a qual punto la sinistra PD non può certo mettere a rischio il Governo per farsi prendere in giro da Grillo.

Per cui vedo due scenari:
- Renzi strappa e presenta delle figure improponibili e/o in assenza di un accordo con la SX PD
(sia sul nome sia sulle altre partite in corso)
- trovano un accordo interno e alla quarta votazione presentano una figura di compromesso gradita a B (Amato?)

Voi che ne pensate?


soloo42000

Io mi tiro fuori da questo tema perché ritengo che qualsiasi presidente venga aletto da quella cricca sia illegittimo.

Non perché non rispettino la procedura quando sarà il momento, ma perché questo Parlamento non può essere legittimato ad eleggere il presidente.

Già era evidente che nel pacchetto del Pacco del Nazareno era contemplato l'accordo tra i due capibanda.

Ma che madama Santanchè annunci, come ha fatto una decina di giorni fa, che il prossimo presidente dovrà concedere la grazia a Berlusconi, è a mio avviso da banditi.

Non è assolutamente accettabile che nuovo capo dello Stato sia legato ancora ad un inciucio di Berlusconi.
camillobenso
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Re: La corsa per il colle

Messaggio da camillobenso »

Ha ragione soloo42001 quando cita:

Ma allora del Presidente non si parla più?
Ma che razza di forum siamo?



Non dovete badare al sottoscritto che se ne tira fuori perché non riconosce legittimità a queste istituzioni.

Voi dovete discuterne come forum. Io mi limiterò al dovere di cronaca.

I media e la classe politica per come hanno impostato il tutto mi hanno fatto venire la nausea.

La classe politica si sta giocando una partita per la sua sola sopravvivenza. E’ la stessa cosa che ha fatto con la seconda nomina di Napolitano. I partiti erano già sfasciati ed hanno scelto Napolitano affinché tenesse in piedi le mura del crollo dei partiti.

A me tutto questo non interessa, in quanto ritengo sia più importante il destino di questo Paese e dei suoi abitanti e non il destino della casta.

Che sia Renzi a proporre un personaggio che non gli faccia ombra e che gli sia riconoscente per la nomina, mi da parecchio fastidio. Come mi da fastidio che nello stesso tempo sia gradito a Berlusconi in quanto possa curare in futuro i suoi interessi.

Questo è stato il pensiero dominante della seconda Repubblica dominata dal pensiero della mummia del Faraone di Hardcore. Con conseguente sfascio del Paese.

Bisogna cambiare pagina se come condizione minima questo Paese possa esibire un minimo di speranza per ricominciare da capo. Così non c'è nessuna speranza.

Sentire i Tg annunciare che Pittibimbo all’assemblea del Pd ha fatto capire che tutti devono votare per il candidato che proporrà lui o altrimenti si va a casa, oltre ad essere ripugnante, è da irresponsabili sfascisti.

Un pasdaran delle Br (Brigate renziane), mi ha fatto notare che il presidente proposto da Pittibimbo lo voteranno tutti e subito perché nessuno ha interesse di far terminare la legislatura, per via del decadimento del vitalizio.

Un presidente eletto sui ricatti, è da ritenersi delegittimato da subito. Ancora prima di essere eletto se queste sono le premesse.

E non è questo che questo stramaledetto Paese ha bisogno in questo momento.
camillobenso
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Re: La corsa per il colle

Messaggio da camillobenso »

Riprendo da altro 3D, l'intervista ad Alessandro Pace, professore emerito di Diritto costituzionale alla Sapienza di Roma, pubblicata oggi su Il Fatto Quotidiano, per suffragare una parte delle motivazioni per cui nel post precedente ho espresso la convinzione della deligittimazione del Parlamento e delle Istituzioni.



Il Parlamento è ormai totalmente svuotato della sua principale funzione, quella legislativa.


Da tempo legiferano i governi, o per delega o con i decreti: una grave alterazione del principio di separazione dei poteri. Purtroppo è così. Ma quel che è peggio è che se dovessero essere approvati sia l’Italicum che la riforma costituzionale, lo svuotamento della funzione legislativa del Parlamento, che ora è patologico, diverrebbe fisiologico.

Da Il Fatto Quotidiano del 17/01/2015.
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