G R E C I A
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Re: G R E C I A
E’ iniziato il poker Merkel-Tsipras
“Sono finiti i tempi in cui dovevamo per forza salvare la Grecia, perché non ha più una rilevanza sistemica per l’euro. Non sono più possibili ricatti politici”. La dichiarazione, diffusa dalla Reuters, è di Michael Fuchs, definito un membro autorevole del partito di Angela Merkel, e segue di pochi giorni quella del ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble che metteva in guardia i greci dall’allontanarsi dalla strada delle riforme. Il pensiero corre subito alle banche tedesche e ai cospicui crediti che vantavano nel 2011 verso la Grecia, e al fatto che il debito greco, oggi, è detenuto quasi interamente da istituzioni: per il 60% dai Fondi salva-Stati, ha scritto Il Sole 24 Ore, per il 12% dal Fmi e per l’8% dalla Bce, e dunque sul mercato ne rimane solo il 15%. Le banche tedesche, in altre parole, sono riuscite probabilmente a scaricare almeno la gran parte di quei crediti che avrebbero potuto mandarle a fondo. Si può osservare di sfuggita la diversità di comportamento fra il netto rifiuto tedesco di qualsiasi messa in comune dei debiti pubblici, e di contro la grande disponibilità a mettere in comune i crediti in sofferenza dei privati, soprattutto se tra quei privati ci sono le loro banche. E si potrebbe anche sospettare che, sistemata quella partita, la cancelliera e il suo partito possano pensare che i Greci, se non si mantengono disciplinati, possono pure andare al diavolo, come ipotizza un articolo dello Spiegel citando non meglio precisate "fonti del governo". Può darsi che sia così, ma può darsi anche che la spiegazione sia un’altra.
Si sa che in Grecia il 25 gennaio ci saranno le elezioni anticipate, e che Syriza, il partito di sinistra di Alexis Tsipras, è in testa nei sondaggi e potrebbe andare al governo. Se così fosse aprirebbe una dura trattativa con l’Europa per ottenere una netta svolta rispetto alle ricette imposte dalla Troika che hanno ridotto il suo paese in uno stato miserabile, e uno dei primi punti è la cancellazione di gran parte del debito.
Non c’è bisogno di dire che la signora Merkel vede questa prospettiva come un vampiro vede l’aglio. La dichiarazione di Fuchs suona come un pesante avvertimento: non pensate di poter fare gli scapestrati o vi abbandoniamo al vostro destino, tanto ormai per noi (tedeschi) i danni sarebbero meno gravi. Già, già. Ma in questa partita di poker un tale avvertimento suona piuttosto come un bluff preventivo. Perché non è affatto vero che la Grecia “non ha più una rilevanza sistemica”. Non si può certo dimenticare che cosa accadde nel 1992, quando un paese non molto più grande della Grecia, la Danimarca, bocciò con un referendum l’adesione al Trattato di Maastricht. Ne seguì una crisi finanziaria di dimensioni ciclopiche che di fatto spazzò via lo Sme, l’accordo monetario precursore dell’euro, con Inghilterra e Italia costrette ad uscire e, per evitare un analogo destino alla Francia, le bande di oscillazione tra i cambi delle altre monete allargati al 15% in su e in giù: un accordo di cambio che ammetta un’oscillazione così ampia è come se non esistesse.
Si disse allora che 20.000 casalinghe danesi (quello il ristretto margine della vittoria dei “no”) avevano affossato lo Sme. In realtà il chiamarsi fuori della Danimarca aveva fatto venir meno nei mercati la fiducia nel percorso europeo – con le sue conseguenze economiche – che era stato dato per scontato. Allo stesso modo, un’uscita della Grecia dall’euro non peserebbe per l’abbandono di quella piccola economia, ma perché indicherebbe che, contro tutte le dichiarazioni politiche, l’adesione all’euro è reversibile. Ne seguirebbe un attacco alla penultima economia dell’euro (il Portogallo) e se questo avesse successo si continuerebbe con gli altri paesi in difficoltà, Irlanda, Spagna, Italia…
Attacchi che potrebbero essere respinti, ma solo se la Bce facesse quello che i tedeschi non vogliono assolutamente che si faccia, ossia acquisti senza limiti di titoli pubblici dei paesi sotto scacco, perché è sui debiti pubblici che si scatenerebbe la speculazione. Davvero la signora Merkel non considera che tutto questo possa accadere? Difficile pensarlo, a meno che non si sia convertita alle posizioni anti-euro: e anche questo non sembra probabile, essendo ella ben cosciente dei vantaggi che la moneta unica comporta per la Germania.
Aggiungiamo un altro dettaglio: oggi, per la prima volta, la Grecia ha un saldo primario positivo, ossia ha più entrate che spese al netto degli interessi sul debito. Ciò significa che, se smettesse di rimborsare i debiti e pagare gli interessi, potrebbe andare avanti senza bisogno di farsi prestare soldi da chicchessia. Nel mondo improbabile di cui stiamo parlando anche questa è una carta a suo favore di non poco conto.
La strategia è dunque quella di tentare di influenzare gli elettori greci, spaventandoli. Prima del 25 gennaio accadrà certamente altre volte, in varie forme e anche da parte di altri. Se i greci non si lasceranno spaventare e manderanno al governo Syriza si accenderà una piccola speranza che qualcosa in Europa possa cambiare. Se invece faranno vincere di nuovo l’attuale governo, daranno una prova collettiva di masochismo, mostrando di accettare le angherie subite finora.
“Sono finiti i tempi in cui dovevamo per forza salvare la Grecia, perché non ha più una rilevanza sistemica per l’euro. Non sono più possibili ricatti politici”. La dichiarazione, diffusa dalla Reuters, è di Michael Fuchs, definito un membro autorevole del partito di Angela Merkel, e segue di pochi giorni quella del ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble che metteva in guardia i greci dall’allontanarsi dalla strada delle riforme. Il pensiero corre subito alle banche tedesche e ai cospicui crediti che vantavano nel 2011 verso la Grecia, e al fatto che il debito greco, oggi, è detenuto quasi interamente da istituzioni: per il 60% dai Fondi salva-Stati, ha scritto Il Sole 24 Ore, per il 12% dal Fmi e per l’8% dalla Bce, e dunque sul mercato ne rimane solo il 15%. Le banche tedesche, in altre parole, sono riuscite probabilmente a scaricare almeno la gran parte di quei crediti che avrebbero potuto mandarle a fondo. Si può osservare di sfuggita la diversità di comportamento fra il netto rifiuto tedesco di qualsiasi messa in comune dei debiti pubblici, e di contro la grande disponibilità a mettere in comune i crediti in sofferenza dei privati, soprattutto se tra quei privati ci sono le loro banche. E si potrebbe anche sospettare che, sistemata quella partita, la cancelliera e il suo partito possano pensare che i Greci, se non si mantengono disciplinati, possono pure andare al diavolo, come ipotizza un articolo dello Spiegel citando non meglio precisate "fonti del governo". Può darsi che sia così, ma può darsi anche che la spiegazione sia un’altra.
Si sa che in Grecia il 25 gennaio ci saranno le elezioni anticipate, e che Syriza, il partito di sinistra di Alexis Tsipras, è in testa nei sondaggi e potrebbe andare al governo. Se così fosse aprirebbe una dura trattativa con l’Europa per ottenere una netta svolta rispetto alle ricette imposte dalla Troika che hanno ridotto il suo paese in uno stato miserabile, e uno dei primi punti è la cancellazione di gran parte del debito.
Non c’è bisogno di dire che la signora Merkel vede questa prospettiva come un vampiro vede l’aglio. La dichiarazione di Fuchs suona come un pesante avvertimento: non pensate di poter fare gli scapestrati o vi abbandoniamo al vostro destino, tanto ormai per noi (tedeschi) i danni sarebbero meno gravi. Già, già. Ma in questa partita di poker un tale avvertimento suona piuttosto come un bluff preventivo. Perché non è affatto vero che la Grecia “non ha più una rilevanza sistemica”. Non si può certo dimenticare che cosa accadde nel 1992, quando un paese non molto più grande della Grecia, la Danimarca, bocciò con un referendum l’adesione al Trattato di Maastricht. Ne seguì una crisi finanziaria di dimensioni ciclopiche che di fatto spazzò via lo Sme, l’accordo monetario precursore dell’euro, con Inghilterra e Italia costrette ad uscire e, per evitare un analogo destino alla Francia, le bande di oscillazione tra i cambi delle altre monete allargati al 15% in su e in giù: un accordo di cambio che ammetta un’oscillazione così ampia è come se non esistesse.
Si disse allora che 20.000 casalinghe danesi (quello il ristretto margine della vittoria dei “no”) avevano affossato lo Sme. In realtà il chiamarsi fuori della Danimarca aveva fatto venir meno nei mercati la fiducia nel percorso europeo – con le sue conseguenze economiche – che era stato dato per scontato. Allo stesso modo, un’uscita della Grecia dall’euro non peserebbe per l’abbandono di quella piccola economia, ma perché indicherebbe che, contro tutte le dichiarazioni politiche, l’adesione all’euro è reversibile. Ne seguirebbe un attacco alla penultima economia dell’euro (il Portogallo) e se questo avesse successo si continuerebbe con gli altri paesi in difficoltà, Irlanda, Spagna, Italia…
Attacchi che potrebbero essere respinti, ma solo se la Bce facesse quello che i tedeschi non vogliono assolutamente che si faccia, ossia acquisti senza limiti di titoli pubblici dei paesi sotto scacco, perché è sui debiti pubblici che si scatenerebbe la speculazione. Davvero la signora Merkel non considera che tutto questo possa accadere? Difficile pensarlo, a meno che non si sia convertita alle posizioni anti-euro: e anche questo non sembra probabile, essendo ella ben cosciente dei vantaggi che la moneta unica comporta per la Germania.
Aggiungiamo un altro dettaglio: oggi, per la prima volta, la Grecia ha un saldo primario positivo, ossia ha più entrate che spese al netto degli interessi sul debito. Ciò significa che, se smettesse di rimborsare i debiti e pagare gli interessi, potrebbe andare avanti senza bisogno di farsi prestare soldi da chicchessia. Nel mondo improbabile di cui stiamo parlando anche questa è una carta a suo favore di non poco conto.
La strategia è dunque quella di tentare di influenzare gli elettori greci, spaventandoli. Prima del 25 gennaio accadrà certamente altre volte, in varie forme e anche da parte di altri. Se i greci non si lasceranno spaventare e manderanno al governo Syriza si accenderà una piccola speranza che qualcosa in Europa possa cambiare. Se invece faranno vincere di nuovo l’attuale governo, daranno una prova collettiva di masochismo, mostrando di accettare le angherie subite finora.
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Re: G R E C I A
Il punto di vista di Fabio Marcelli. (IFQ)
ZONAEURO
Grecia: Syriza o Nuova Democrazia, crescita o austerità?
di Fabio Marcelli | 2 gennaio 2015 COMMENTI
Il programma del 15 settembre 2014 contiene anche la seguente premessa, relativa al tema cruciale del negoziato con l’Unione europea. Obiettivo è sostituire al dannosissimo Memorandum della Trojka un piano di ricostruzione nazionale, poggiato sui quattro pilastri che ho già postato in sede di commento (intervento umanitario, rilancio dell’economia, ampliamento dell’occupazione, ampliamento dell’occupazione). Ecco il testo integrale della premessa relativa al negoziato.
Chiediamo elezioni parlamentari immediate e un forte mandato di negoziazione con l’obiettivo di:
1- Cancellare la maggior parte del valore nominale del debito pubblico in modo che diventi sostenibile nel contesto di una “Conferenza europea del debito». E’ successo per la Germania nel 1953. Può anche accadere per il Sud Europa e la Grecia.
2- Includere una “clausola di crescita” nel rimborso della parte restante in modo che tale rimborso sia finanziato con la crescita e non attraverso leggi di bilancio.
3- Includere un periodo significativo di grazia (“moratoria”) del pagamento del debito per recuperare i fondi per la crescita.
4- Escludere gli investimenti pubblici dai vincoli del Patto di Stabilità e di Crescita.
5- Un “New Deal Europeo” di investimenti pubblici finanziati dalla Banca europea per gli investimenti.
6- Un aiuto quantitativo da parte della Banca Centrale Europea con acquisti diretti di obbligazioni sovrane.
7- Infine, dichiariamo ancora una volta che la questione del prestito forzoso durante l’occupazione nazista della Banca di Grecia è una questione ancora aperta per noi. I nostri partner lo sanno. Diventerà la posizione ufficiale del paese a partire dal nostro primo giorno al potere.
In base a questo piano, ci batteremo e garantiremo una soluzione socialmente praticabile sul problema del debito della Grecia in modo che il nostro paese sia in grado di pagare il debito residuo attraverso la creazione di nuova ricchezza e non di avanzi primari, che privano la società di reddito.
Con questo programma, noi porteremo avanti mettendo in sicurezza il Paese, il recupero e la ricostruzione produttiva con:
1- Aumento immediato di investimenti pubblici di almeno € 4 miliardi.
2- Graduale inversione di tutte le ingiustizie del Memorandum.
3- Graduale ripristino di stipendi e pensioni in modo da far aumentare i consumi e la domanda.
4- Sostegno alle piccole e medie imprese, con incentivi per l’occupazione, e sovvenzione per il costo energetico del settore in cambio di occupazione e di clausole ambientali.
5- Investimenti nella conoscenza, la ricerca, e la nuova tecnologia al fine di far tornare a casa giovani scienziati, che sono massicciamente emigrati negli ultimi anni.
6- Ricostruzione dello stato sociale, il ripristino dello stato di diritto e la creazione di un regime meritocratico.
Siamo pronti a negoziare e stiamo lavorando per costruire le più ampie alleanze possibili in Europa.
L’attuale governo Samaras è di nuovo pronto ad accettare le decisioni dei creditori. L’unica alleanza che si preoccupa di costruire è con il governo tedesco.
Questa è la differenza tra di noi e questo è, alla fine, il dilemma:
Negoziazione europea di un governo di Syriza, o accettazione dei termini dei creditori sulla Grecia da parte del governo Samaras.
Negoziazione o non-negoziazione.
Crescita o austerità.
Syriza o Nuova Democrazia.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01 ... a/1309341/
ZONAEURO
Grecia: Syriza o Nuova Democrazia, crescita o austerità?
di Fabio Marcelli | 2 gennaio 2015 COMMENTI
Il programma del 15 settembre 2014 contiene anche la seguente premessa, relativa al tema cruciale del negoziato con l’Unione europea. Obiettivo è sostituire al dannosissimo Memorandum della Trojka un piano di ricostruzione nazionale, poggiato sui quattro pilastri che ho già postato in sede di commento (intervento umanitario, rilancio dell’economia, ampliamento dell’occupazione, ampliamento dell’occupazione). Ecco il testo integrale della premessa relativa al negoziato.
Chiediamo elezioni parlamentari immediate e un forte mandato di negoziazione con l’obiettivo di:
1- Cancellare la maggior parte del valore nominale del debito pubblico in modo che diventi sostenibile nel contesto di una “Conferenza europea del debito». E’ successo per la Germania nel 1953. Può anche accadere per il Sud Europa e la Grecia.
2- Includere una “clausola di crescita” nel rimborso della parte restante in modo che tale rimborso sia finanziato con la crescita e non attraverso leggi di bilancio.
3- Includere un periodo significativo di grazia (“moratoria”) del pagamento del debito per recuperare i fondi per la crescita.
4- Escludere gli investimenti pubblici dai vincoli del Patto di Stabilità e di Crescita.
5- Un “New Deal Europeo” di investimenti pubblici finanziati dalla Banca europea per gli investimenti.
6- Un aiuto quantitativo da parte della Banca Centrale Europea con acquisti diretti di obbligazioni sovrane.
7- Infine, dichiariamo ancora una volta che la questione del prestito forzoso durante l’occupazione nazista della Banca di Grecia è una questione ancora aperta per noi. I nostri partner lo sanno. Diventerà la posizione ufficiale del paese a partire dal nostro primo giorno al potere.
In base a questo piano, ci batteremo e garantiremo una soluzione socialmente praticabile sul problema del debito della Grecia in modo che il nostro paese sia in grado di pagare il debito residuo attraverso la creazione di nuova ricchezza e non di avanzi primari, che privano la società di reddito.
Con questo programma, noi porteremo avanti mettendo in sicurezza il Paese, il recupero e la ricostruzione produttiva con:
1- Aumento immediato di investimenti pubblici di almeno € 4 miliardi.
2- Graduale inversione di tutte le ingiustizie del Memorandum.
3- Graduale ripristino di stipendi e pensioni in modo da far aumentare i consumi e la domanda.
4- Sostegno alle piccole e medie imprese, con incentivi per l’occupazione, e sovvenzione per il costo energetico del settore in cambio di occupazione e di clausole ambientali.
5- Investimenti nella conoscenza, la ricerca, e la nuova tecnologia al fine di far tornare a casa giovani scienziati, che sono massicciamente emigrati negli ultimi anni.
6- Ricostruzione dello stato sociale, il ripristino dello stato di diritto e la creazione di un regime meritocratico.
Siamo pronti a negoziare e stiamo lavorando per costruire le più ampie alleanze possibili in Europa.
L’attuale governo Samaras è di nuovo pronto ad accettare le decisioni dei creditori. L’unica alleanza che si preoccupa di costruire è con il governo tedesco.
Questa è la differenza tra di noi e questo è, alla fine, il dilemma:
Negoziazione europea di un governo di Syriza, o accettazione dei termini dei creditori sulla Grecia da parte del governo Samaras.
Negoziazione o non-negoziazione.
Crescita o austerità.
Syriza o Nuova Democrazia.
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Re: G R E C I A
Per bloccare ogni speculazione in merito oggi è intervenuta la Commissione europea che, tramite un portavoce, ha ribadito che, in base ai trattati Ue, la partecipazione di un Paese all'area euro è "irreversibile". "L'euro c'è per restare e ha dato prova di resistenza" ha aggiunto la portavoce.
Il riferimento della Commissione Ue è all'articolo 140, paragrafo 3, del Trattato dell'Unione europea: per uscire dall'euro sarebbe prima necessaria una modifica del trattato, la cui procedura prevede l'unanimità dei paesi, l'approvazione del Parlamento e le successive ratifiche, dove previsto, da parte dei parlamenti nazionali.
DA REPUBBLICA.IT
SE così recitano i trattati mi sembra non sia possibile uscire dall'area euro
Il riferimento della Commissione Ue è all'articolo 140, paragrafo 3, del Trattato dell'Unione europea: per uscire dall'euro sarebbe prima necessaria una modifica del trattato, la cui procedura prevede l'unanimità dei paesi, l'approvazione del Parlamento e le successive ratifiche, dove previsto, da parte dei parlamenti nazionali.
DA REPUBBLICA.IT
SE così recitano i trattati mi sembra non sia possibile uscire dall'area euro
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Re: G R E C I A
TSIPRAS: “LA MIA GRECIA NON DANNEGGERA’ L’EUROPA”
Il leader di Syriza assicura che Atene rispetterà gli impegni con l’Europa, ma puntando sulla crescita e sulla cancellazione della maggior parte del debito pubblico
di Alexis Tsipras – da il Corriere della Sera del 7 gennaio 2014
La Grecia è davanti a una svolta storica. Syriza non è più una semplice speranza per il popolo greco: incarna l’aspettativa di un mutamento di rotta per l’intera Europa, che non uscirà dalla crisi senza una profonda revisione delle sue scelte politiche. La vittoria di Syriza darà slancio alle forze che spingono per il cambiamento. Perché se la Grecia è finita in una strada senza uscita, l’Europa di oggi è destinata a fare la stessa fine.
Il 25 gennaio, i greci sono chiamati a scrivere la storia con il voto, a tracciare un cammino di rinnovamento e di speranza per tutti gli europei, condannando le politiche fallimentari di austerità e dimostrando che quando il popolo lo vuole, ha il coraggio di osare e sa superare angosce e timori, la situazione può cambiare. Syriza non è un orco né una minaccia: è solo la voce della ragione, e saprà suonare la sveglia all’Europa, per riscuoterla da torpore e passività. Per questo Syriza non è più considerata un pericolo come nel 2012, ma come una sfida per il cambiamento.
Ma una piccola minoranza dei Paesi membri, stretta attorno alla leadership conservatrice del governo tedesco e di una parte della stampa populista, continua a far circolare vecchie dicerie a proposito di una GrExit (l’uscita della Grecia dalla zona euro). Proprio come Antonis Samaras in Grecia, tali voci non convincono più nessuno. Dopo aver sperimentato il suo governo, il popolo greco sa distinguere le menzogne dalla verità.
Samaras non ha niente da offrire, tranne la sottomissione ai precetti di un’austerità dannosa e fallimentare, che hanno imposto alla Grecia nuovi aumenti fiscali e tagli a stipendi e pensioni, che vanno a sommarsi a sei anni di sacrifici. Chiede ai greci di votare per lui per proseguire su questa strada. Nasconde però il fatto che la Grecia si è impegnata a raggiungere questi obiettivi, non a farlo seguendo una precisa linea politica. Syriza si impegna ad applicare sin dai primi giorni del mandato il Programma di Tessalonica, economicamente vantaggioso e fiscalmente equilibrato, a prescindere dai negoziati con i nostri creditori. Il programma prevede azioni per porre fine alla crisi umanitaria; misure di equità fiscale, affinché l’oligarchia finanziaria, che non è stata sfiorata dalla crisi, sia finalmente costretta a pagare; un piano di rilancio dell’economia per contrastare gli altissimi livelli di disoccupazione e tornare a crescere. Sono previste riforme radicali nella gestione dello Stato e della pubblica amministrazione, perché non vogliamo tornare al 2009, ma cambiare ciò che ha portato il Paese sull’orlo della bancarotta non solo economica, ma anche morale. Clientelismo (di uno Stato ostile ai suoi cittadini), evasione ed elusione, operazioni in nero, contrabbando sono solo alcuni aspetti di un sistema di potere che ha governato il Paese per troppi anni, portandolo alla disperazione, e che continua a governare nel nome dell’emergenza e per timore della crisi.
In realtà non si tratta di timore della crisi, bensì di timore del cambiamento. È questa paura, aggravata dall’incapacità di un sistema di governo, ad aver portato il popolo greco a una tragedia senza precedenti. E i responsabili di tutto questo, se conoscono l’antica tragedia greca, hanno buoni motivi per spaventarsi, perché l’ hybris è seguita dalla nemesi e dalla catarsi!
Il popolo greco e l’Europa non hanno nulla da temere: Syriza non vuole il crollo, ma la salvezza dell’euro. È impossibile salvare l’euro quando il debito pubblico è fuori controllo. Ma il debito è un problema europeo, non solo greco: e l’Europa deve accollarsi il compito di cercare una soluzione sostenibile. Syriza e la sinistra europea sostengono che occorre cancellare la maggior parte del valore nominale del debito pubblico, per poi introdurre una moratoria sul piano di rientro e una clausola di crescita per ripianare il debito restante, in modo da utilizzare le rimanenti risorse per stimolare la ripresa. Esigiamo condizioni che non sprofondino il Paese nella recessione e non spingano il popolo alla miseria e alla disperazione.
Samaras danneggia la Grecia, se si ostina ad affermare che il debito greco è sostenibile. [...]
Ci sono due posizioni diametralmente opposte per il futuro dell’Europa. Da una parte, la prospettiva delineata dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble: occorre rispettare gli impegni presi e proseguire su quella strada, a prescindere dai risultati ottenuti. Dall’altra, la volontà di «fare tutto il possibile» – suggerita dal presidente della Banca centrale europea – per salvare l’euro. Le elezioni greche saranno il campo sul quale si sfideranno queste due strategie. Sono convinto che quest’ultima prevarrà per un’altra ragione ancora: perché la Grecia è la patria di Sofocle, il quale ci ha insegnato, con Antigone, che talvolta la suprema legge è la giustizia.
Il leader di Syriza assicura che Atene rispetterà gli impegni con l’Europa, ma puntando sulla crescita e sulla cancellazione della maggior parte del debito pubblico
di Alexis Tsipras – da il Corriere della Sera del 7 gennaio 2014
La Grecia è davanti a una svolta storica. Syriza non è più una semplice speranza per il popolo greco: incarna l’aspettativa di un mutamento di rotta per l’intera Europa, che non uscirà dalla crisi senza una profonda revisione delle sue scelte politiche. La vittoria di Syriza darà slancio alle forze che spingono per il cambiamento. Perché se la Grecia è finita in una strada senza uscita, l’Europa di oggi è destinata a fare la stessa fine.
Il 25 gennaio, i greci sono chiamati a scrivere la storia con il voto, a tracciare un cammino di rinnovamento e di speranza per tutti gli europei, condannando le politiche fallimentari di austerità e dimostrando che quando il popolo lo vuole, ha il coraggio di osare e sa superare angosce e timori, la situazione può cambiare. Syriza non è un orco né una minaccia: è solo la voce della ragione, e saprà suonare la sveglia all’Europa, per riscuoterla da torpore e passività. Per questo Syriza non è più considerata un pericolo come nel 2012, ma come una sfida per il cambiamento.
Ma una piccola minoranza dei Paesi membri, stretta attorno alla leadership conservatrice del governo tedesco e di una parte della stampa populista, continua a far circolare vecchie dicerie a proposito di una GrExit (l’uscita della Grecia dalla zona euro). Proprio come Antonis Samaras in Grecia, tali voci non convincono più nessuno. Dopo aver sperimentato il suo governo, il popolo greco sa distinguere le menzogne dalla verità.
Samaras non ha niente da offrire, tranne la sottomissione ai precetti di un’austerità dannosa e fallimentare, che hanno imposto alla Grecia nuovi aumenti fiscali e tagli a stipendi e pensioni, che vanno a sommarsi a sei anni di sacrifici. Chiede ai greci di votare per lui per proseguire su questa strada. Nasconde però il fatto che la Grecia si è impegnata a raggiungere questi obiettivi, non a farlo seguendo una precisa linea politica. Syriza si impegna ad applicare sin dai primi giorni del mandato il Programma di Tessalonica, economicamente vantaggioso e fiscalmente equilibrato, a prescindere dai negoziati con i nostri creditori. Il programma prevede azioni per porre fine alla crisi umanitaria; misure di equità fiscale, affinché l’oligarchia finanziaria, che non è stata sfiorata dalla crisi, sia finalmente costretta a pagare; un piano di rilancio dell’economia per contrastare gli altissimi livelli di disoccupazione e tornare a crescere. Sono previste riforme radicali nella gestione dello Stato e della pubblica amministrazione, perché non vogliamo tornare al 2009, ma cambiare ciò che ha portato il Paese sull’orlo della bancarotta non solo economica, ma anche morale. Clientelismo (di uno Stato ostile ai suoi cittadini), evasione ed elusione, operazioni in nero, contrabbando sono solo alcuni aspetti di un sistema di potere che ha governato il Paese per troppi anni, portandolo alla disperazione, e che continua a governare nel nome dell’emergenza e per timore della crisi.
In realtà non si tratta di timore della crisi, bensì di timore del cambiamento. È questa paura, aggravata dall’incapacità di un sistema di governo, ad aver portato il popolo greco a una tragedia senza precedenti. E i responsabili di tutto questo, se conoscono l’antica tragedia greca, hanno buoni motivi per spaventarsi, perché l’ hybris è seguita dalla nemesi e dalla catarsi!
Il popolo greco e l’Europa non hanno nulla da temere: Syriza non vuole il crollo, ma la salvezza dell’euro. È impossibile salvare l’euro quando il debito pubblico è fuori controllo. Ma il debito è un problema europeo, non solo greco: e l’Europa deve accollarsi il compito di cercare una soluzione sostenibile. Syriza e la sinistra europea sostengono che occorre cancellare la maggior parte del valore nominale del debito pubblico, per poi introdurre una moratoria sul piano di rientro e una clausola di crescita per ripianare il debito restante, in modo da utilizzare le rimanenti risorse per stimolare la ripresa. Esigiamo condizioni che non sprofondino il Paese nella recessione e non spingano il popolo alla miseria e alla disperazione.
Samaras danneggia la Grecia, se si ostina ad affermare che il debito greco è sostenibile. [...]
Ci sono due posizioni diametralmente opposte per il futuro dell’Europa. Da una parte, la prospettiva delineata dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble: occorre rispettare gli impegni presi e proseguire su quella strada, a prescindere dai risultati ottenuti. Dall’altra, la volontà di «fare tutto il possibile» – suggerita dal presidente della Banca centrale europea – per salvare l’euro. Le elezioni greche saranno il campo sul quale si sfideranno queste due strategie. Sono convinto che quest’ultima prevarrà per un’altra ragione ancora: perché la Grecia è la patria di Sofocle, il quale ci ha insegnato, con Antigone, che talvolta la suprema legge è la giustizia.
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Re: G R E C I A
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Grecia, nei sondaggi Syriza sempre in testa. “L’Europa non deve temerci”
A meno di una settimana dal voto in Grecia, i sondaggi confermano il primato di Syriza, il partito della sinistra radicale guidato da Alexis Tsipras, che avrebbe il 31,2 per cento, su Nea Dimokratia, di centro-destra, del premier Antonis Samaras, ferma al 28,1.
Un dato che permette al portavoce del partito di ironizzare sulla presunta paura europea di una loro vittoria.
“L’Europa non dovrebbe temere partiti come Syriza. Se proprio deve aver paura di qualcosa abbia paura di se stessa, e della strategia dell’austerità estrema. Una politica imposta dal vero potere nell’Unione, quello della Germania”.
La vittoria di Syriza potrebbe riaprire la discussione sulle politiche di austerità e sui termini di rimborso del debito greco.
Uno scenario che non viene visto con favore soprattutto da Berlino ma che non preoccupa gli elettori greci – che accusano Bruxelles di voler continuare la spoliazione del paese.
In questo clima, la periodica protesta contro la Gran Bretagna, per la restituzione dei marmi del Partenone sottratti nel 1804, diventa il simbolo di Atene che solleva la testa.
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Grecia, nei sondaggi Syriza sempre in testa. “L’Europa non deve temerci”
A meno di una settimana dal voto in Grecia, i sondaggi confermano il primato di Syriza, il partito della sinistra radicale guidato da Alexis Tsipras, che avrebbe il 31,2 per cento, su Nea Dimokratia, di centro-destra, del premier Antonis Samaras, ferma al 28,1.
Un dato che permette al portavoce del partito di ironizzare sulla presunta paura europea di una loro vittoria.
“L’Europa non dovrebbe temere partiti come Syriza. Se proprio deve aver paura di qualcosa abbia paura di se stessa, e della strategia dell’austerità estrema. Una politica imposta dal vero potere nell’Unione, quello della Germania”.
La vittoria di Syriza potrebbe riaprire la discussione sulle politiche di austerità e sui termini di rimborso del debito greco.
Uno scenario che non viene visto con favore soprattutto da Berlino ma che non preoccupa gli elettori greci – che accusano Bruxelles di voler continuare la spoliazione del paese.
In questo clima, la periodica protesta contro la Gran Bretagna, per la restituzione dei marmi del Partenone sottratti nel 1804, diventa il simbolo di Atene che solleva la testa.
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Re: G R E C I A
BUSINESS
Grecia, l’Fmi mette in guardia contro il taglio del debito chiesto da Syriza
Di Giacomo Segantini | Con AFP
19/01 18:49 CET
"La Grecia, per il bene suo e della sua ripresa economica, deve fare le riforme strutturali che le vengono chieste in modo urgente. E noi, ovviamente, ci auguriamo che rispetti i patti"[*]
Da Dublino, capitale di un Paese emerso da una crisi del debito grazie agli aiuti internazionali, il Fondo monetario vibra una stoccata. Bersaglio di Christine Lagarde è la lontana Atene, dalla quale la sinistra di Syriza (data per vincente alle imminenti elezioni) chiede a gran voce una rinegoziazione del debito greco. I contratti, dice il numero uno dell’Fmi, vanno rispettati.
“C‘è un problema di credibilità sui mercati finanziari che deve essere messo in conto”, spiega. “Dal nostro punto di vista la Grecia si è presa degli impegni. Il Paese, per il bene suo e della sua ripresa economica, deve fare le riforme strutturali che le vengono chieste in modo urgente. E noi, ovviamente, ci auguriamo che rispetti i patti”.
Per Christine Lagarde l’unica via d’uscita dal debito è la crescita. Ma sono sempre di più gli esperti secondo cui il debito greco non è sostenibile a causa della situazione disastrata dell’economia.
“Sappiamo che la Grecia ha necessariamente bisogno di un ‘Piano Marshall’ per gli investimenti. Alla Grecia serve davvero una significativa svalutazione del suo debito. Il ruolo dell’Europa deve essere centrale, come lo fu nel processo riunificazione tedesca”, spiega Constantin Gurdgiev, professore di economia al Trinity College. “È il momento della verità – aggiunge – Più rimandiamo questo momento, più sarà doloroso non solo per la Grecia ma anche per il resto della zona euro”.
L’idea lanciata da Syriza è quella di una conferenza internazionale sulla falsariga di quella che, nel 1953, cancellò metà del debito della Germania ed estese le scadenze per la parte restante. Soluzione necessaria, secondo gli economisti del partito, per un Paese il cui debito ha raggiunto il 177% del Prodotto interno lordo.
Di Giacomo Segantini | Con AFP
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Grecia, l’Fmi mette in guardia contro il taglio del debito chiesto da Syriza
Di Giacomo Segantini | Con AFP
19/01 18:49 CET
"La Grecia, per il bene suo e della sua ripresa economica, deve fare le riforme strutturali che le vengono chieste in modo urgente. E noi, ovviamente, ci auguriamo che rispetti i patti"[*]
Da Dublino, capitale di un Paese emerso da una crisi del debito grazie agli aiuti internazionali, il Fondo monetario vibra una stoccata. Bersaglio di Christine Lagarde è la lontana Atene, dalla quale la sinistra di Syriza (data per vincente alle imminenti elezioni) chiede a gran voce una rinegoziazione del debito greco. I contratti, dice il numero uno dell’Fmi, vanno rispettati.
“C‘è un problema di credibilità sui mercati finanziari che deve essere messo in conto”, spiega. “Dal nostro punto di vista la Grecia si è presa degli impegni. Il Paese, per il bene suo e della sua ripresa economica, deve fare le riforme strutturali che le vengono chieste in modo urgente. E noi, ovviamente, ci auguriamo che rispetti i patti”.
Per Christine Lagarde l’unica via d’uscita dal debito è la crescita. Ma sono sempre di più gli esperti secondo cui il debito greco non è sostenibile a causa della situazione disastrata dell’economia.
“Sappiamo che la Grecia ha necessariamente bisogno di un ‘Piano Marshall’ per gli investimenti. Alla Grecia serve davvero una significativa svalutazione del suo debito. Il ruolo dell’Europa deve essere centrale, come lo fu nel processo riunificazione tedesca”, spiega Constantin Gurdgiev, professore di economia al Trinity College. “È il momento della verità – aggiunge – Più rimandiamo questo momento, più sarà doloroso non solo per la Grecia ma anche per il resto della zona euro”.
L’idea lanciata da Syriza è quella di una conferenza internazionale sulla falsariga di quella che, nel 1953, cancellò metà del debito della Germania ed estese le scadenze per la parte restante. Soluzione necessaria, secondo gli economisti del partito, per un Paese il cui debito ha raggiunto il 177% del Prodotto interno lordo.
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Re: G R E C I A
LA MIOPIA DELL’EUROPA CHE HA PAURA DI SYRIZA
di Felice Roberto Pizzuti, 14 gennaio 2015 -
Come era prevedibile, l’annuncio delle elezioni anticipate in Grecia e i sondaggi che indicano al primo posto Syriza, la sinistra di Alexis Tsipras, hanno fatto scattare la strategia dell’allarmismo economico, una risposta conservatrice che, tuttavia, rischia di essere negligentemente alimentata anche da chi la subisce il processo d’unificazione europeo si sta pericolosamente involvendo e si avvicina la resa dei conti sul se e sul come potrà andare a compimento.
Una ipotesi ottimistica è che l’inasprirsi delle posizioni tedesche (e collegate) indichi l’inizio dalla Grande Contrattazione su come definire la costruzione dell’Ue. Le considerazioni che le banche tedesche sono oggi (rispetto al 2012) molto meno esposte verso il debito greco e che le piccole dimensioni dell’economia greca la rendano non «troppo grande per poter fallire», potrebbero farla ritenere la vittima ideale nella logica di «colpire uno per educarne cento». Ma sarebbe una visione miope, da apprendista stregone. Chi è tentato da questa strategia, ma anche i critici «da sinistra» del processo unitario, dovrebbero riflettere su due questioni. La prima è che per ognuno dei Paesi europei è difficile immaginare un’alternativa economica e politica migliore alla permanenza nell’Unione. La seconda è che oggi non è in discussione se costruire ex novo l’Unione europea e/o la moneta unica, ma se procedere alla necessaria riqualificazione delle scelte fatte – improntate ad un iniquo e controproducente liberismo austero — tenendo conto che anche solo recedere ordinatamente dalla moneta unica richiederebbe molta più cooperazione tra gli attuali Paesi membri che non per avanzare verso una unione economica e politica più organica e coesa. Ma non sarebbe facile tornare indietro senza aggravare crisi col rischio di estenderla oltre la dimensione economica.
da il manifesto del 15 gennaio 2015
I contrasti sulla costruzione europea si stanno concentrano sulle politiche di bilancio da attuare (o imporre) nei paesi dell’Unione e l’esperienza greca si avvia ad assumere una valenza dimostrativa. Peraltro, emerge una paradossale convergenza nell’enfatizzare il debito pubblico: tra chi lo considera una “colpa” da rimuovere a tappe forzate per poter riavviare una crescita “sana” (la logica del fiscal compact) e chi tout-court lo vuole ripudiare come scelta politica riparatrice dell’economia iniqua che l’ha creato. In entrambe le posizioni si tende ad attribuire un ruolo simbolico al debito pubblico che pregiudica le possibilità di disinnescarne gli effetti negativi.
Elevati e persistenti debiti pubblici possono generare problemi per la crescita e per la distribuzione del reddito, ma per non cadere in demonizzazioni controproducenti è necessario anche tener presente che essi non hanno tutti le stesse origini e la stessa composizione dei creditori. Ad esempio, il debito tedesco ricontrattato nella conferenza del 1953 originava da riparazioni di danni di guerra imposti dai paesi vincitori e riguardava rapporti tra stati; l’accordo fu una scelta politica lungimirante (diversa da quella successiva alla prima guerra mondiale che alimentò l’avvento del nazismo). La questione del debito greco che Syriza vuole ridiscutere riguarda essenzialmente le condizioni imposte nel 2012 dalla troika (Fmi, Bce, Ue) al governo greco per il piano di salvataggio delle finanze pubbliche elleniche improntato alla logica dell’austerità che non solo sta opprimendo le condizioni economico-sociali del Paese, ma sta minando la crescita dell’intera Ue e le sue stesse prospettive d’esistenza. Anche in questo caso si tratta di una richiesta di ricontrattazione tra istituzioni che andrà valutata in un contesto politico.
Il debito pubblico italiano, che da decenni condiziona la nostra economia, riguarda prestiti contratti dallo stato italiano sui mercati che ogni anno vengono rinnovati per i titoli che arrivano a scadenza. Anche solo evocare forme di consolidamento da parte dei responsabili politici ed economici italiani provocherebbe reazioni dei mercati, degli altri stati, delle istituzioni internazionali e nella società ben più concrete di generici allarmismi; cosicché, prima di parlarne, sarebbe opportuno almeno confrontare preventivamente questi effetti con quelli di altre possibili politiche di rientro del debito.
A scopo esemplificativo, ricordiamo che il fiscal compact prevede che il rapporto debito/Pil sia ridotto in 20 anni entro il 60%. Per l’Italia, ciò implicherebbe avanzi annuali del bilancio pubblico primario (al netto delle uscite per interessi sul debito) la cui entità dipende dalla crescita nominale del Pil (comprensiva dunque dell’inflazione) e dal tasso medio d’interesse sul debito. Se nel prossimo ventennio ci fosse costantemente una crescita reale dell’1%, inflazione allo 0,5%, e un tasso medio d’interesse nominale sul debito del 3% (condizioni tutte più favorevoli di quelle attuali), astraendo dalle condizioni di compatibilità di queste ipotesi, per ridurre il nostro debito al 60% del Pil occorrerebbe ogni anno un avanzo primario del 6% del Pil (più di 3 volte quello programmato per il 2015) cioè una manovra annuale corrispondente a 90 miliardi attuali. È del tutto evidente che manovre di questa entità non sarebbero nemmeno lontanamente sostenibili né economicamente né socialmente e comunque avrebbero effetti peggiorativi sulla crescita e sul rapporto debito/Pil.
Se invece ci fosse una crescita reale del 3%, inflazione al 3% e un tasso d’interesse sul debito del 4% (valori attualmente molto ottimistici, ma non anomali) sarebbe sufficiente ogni anno un avanzo primario dell’1,8% (valore leggermente inferiore a quello programmato dal governo per il 2015; il quale, però, non consentirà né di rilanciare la crescita né di ridurre l’incidenza del debito perché inserito in un quadro di politiche “austere” che interagiscono negativamente). L’esercizio serve ad evidenziare come il rientro del debito pubblico richiederebbe oneri molto minori e comunque sostenibili se inserito in un circolo virtuoso alimentato da politiche rivolte alla crescita del Pil, a bassi tassi d’interesse e a una moderata inflazione che dovrebbe essere accompagnata da misure di salvaguardia del potere d’acquisto dei redditi da lavoro.
Una politica di questo tipo – che ripagherebbe il debito con la crescita evitando gli effetti imprevedibilmente rischiosi e conflittuali di un default — avrebbe molte chance di successo proprio se effettuata a livello europeo, dove favorirebbe la crescita generale (anche della Germania), la distribuzione del reddito e la riduzione delle disomogeneità nazionali. La maggiore dimensione e la minore apertura verso l’estero dell’intero sistema economico continentale consentirebbero maggiori margini di scelta anche rispetto al necessario miglioramento della qualità sociale ed ecologica della crescita, attenuando i vincoli posti dall’equilibrio della bilancia dei pagamenti, dai mercati e dalla speculazione internazionali. Questi sarebbero aspetti strutturali del New Deal europeo necessario a ribaltare la visione liberistico-austera che sta trascinando l’Ue nella crisi e verso la sua dissoluzione. È in questa direzione di cambiamento concreto — e non con quello genericamente “strillato” funzionale all’allarmismo conservatore — che dovrebbero convergere tutte le forze progressiste europee, a cominciare — per quanto ci riguarda più da vicino — da quelle della sinistra italiana.
da L'Altra Europa..
di Felice Roberto Pizzuti, 14 gennaio 2015 -
Come era prevedibile, l’annuncio delle elezioni anticipate in Grecia e i sondaggi che indicano al primo posto Syriza, la sinistra di Alexis Tsipras, hanno fatto scattare la strategia dell’allarmismo economico, una risposta conservatrice che, tuttavia, rischia di essere negligentemente alimentata anche da chi la subisce il processo d’unificazione europeo si sta pericolosamente involvendo e si avvicina la resa dei conti sul se e sul come potrà andare a compimento.
Una ipotesi ottimistica è che l’inasprirsi delle posizioni tedesche (e collegate) indichi l’inizio dalla Grande Contrattazione su come definire la costruzione dell’Ue. Le considerazioni che le banche tedesche sono oggi (rispetto al 2012) molto meno esposte verso il debito greco e che le piccole dimensioni dell’economia greca la rendano non «troppo grande per poter fallire», potrebbero farla ritenere la vittima ideale nella logica di «colpire uno per educarne cento». Ma sarebbe una visione miope, da apprendista stregone. Chi è tentato da questa strategia, ma anche i critici «da sinistra» del processo unitario, dovrebbero riflettere su due questioni. La prima è che per ognuno dei Paesi europei è difficile immaginare un’alternativa economica e politica migliore alla permanenza nell’Unione. La seconda è che oggi non è in discussione se costruire ex novo l’Unione europea e/o la moneta unica, ma se procedere alla necessaria riqualificazione delle scelte fatte – improntate ad un iniquo e controproducente liberismo austero — tenendo conto che anche solo recedere ordinatamente dalla moneta unica richiederebbe molta più cooperazione tra gli attuali Paesi membri che non per avanzare verso una unione economica e politica più organica e coesa. Ma non sarebbe facile tornare indietro senza aggravare crisi col rischio di estenderla oltre la dimensione economica.
da il manifesto del 15 gennaio 2015
I contrasti sulla costruzione europea si stanno concentrano sulle politiche di bilancio da attuare (o imporre) nei paesi dell’Unione e l’esperienza greca si avvia ad assumere una valenza dimostrativa. Peraltro, emerge una paradossale convergenza nell’enfatizzare il debito pubblico: tra chi lo considera una “colpa” da rimuovere a tappe forzate per poter riavviare una crescita “sana” (la logica del fiscal compact) e chi tout-court lo vuole ripudiare come scelta politica riparatrice dell’economia iniqua che l’ha creato. In entrambe le posizioni si tende ad attribuire un ruolo simbolico al debito pubblico che pregiudica le possibilità di disinnescarne gli effetti negativi.
Elevati e persistenti debiti pubblici possono generare problemi per la crescita e per la distribuzione del reddito, ma per non cadere in demonizzazioni controproducenti è necessario anche tener presente che essi non hanno tutti le stesse origini e la stessa composizione dei creditori. Ad esempio, il debito tedesco ricontrattato nella conferenza del 1953 originava da riparazioni di danni di guerra imposti dai paesi vincitori e riguardava rapporti tra stati; l’accordo fu una scelta politica lungimirante (diversa da quella successiva alla prima guerra mondiale che alimentò l’avvento del nazismo). La questione del debito greco che Syriza vuole ridiscutere riguarda essenzialmente le condizioni imposte nel 2012 dalla troika (Fmi, Bce, Ue) al governo greco per il piano di salvataggio delle finanze pubbliche elleniche improntato alla logica dell’austerità che non solo sta opprimendo le condizioni economico-sociali del Paese, ma sta minando la crescita dell’intera Ue e le sue stesse prospettive d’esistenza. Anche in questo caso si tratta di una richiesta di ricontrattazione tra istituzioni che andrà valutata in un contesto politico.
Il debito pubblico italiano, che da decenni condiziona la nostra economia, riguarda prestiti contratti dallo stato italiano sui mercati che ogni anno vengono rinnovati per i titoli che arrivano a scadenza. Anche solo evocare forme di consolidamento da parte dei responsabili politici ed economici italiani provocherebbe reazioni dei mercati, degli altri stati, delle istituzioni internazionali e nella società ben più concrete di generici allarmismi; cosicché, prima di parlarne, sarebbe opportuno almeno confrontare preventivamente questi effetti con quelli di altre possibili politiche di rientro del debito.
A scopo esemplificativo, ricordiamo che il fiscal compact prevede che il rapporto debito/Pil sia ridotto in 20 anni entro il 60%. Per l’Italia, ciò implicherebbe avanzi annuali del bilancio pubblico primario (al netto delle uscite per interessi sul debito) la cui entità dipende dalla crescita nominale del Pil (comprensiva dunque dell’inflazione) e dal tasso medio d’interesse sul debito. Se nel prossimo ventennio ci fosse costantemente una crescita reale dell’1%, inflazione allo 0,5%, e un tasso medio d’interesse nominale sul debito del 3% (condizioni tutte più favorevoli di quelle attuali), astraendo dalle condizioni di compatibilità di queste ipotesi, per ridurre il nostro debito al 60% del Pil occorrerebbe ogni anno un avanzo primario del 6% del Pil (più di 3 volte quello programmato per il 2015) cioè una manovra annuale corrispondente a 90 miliardi attuali. È del tutto evidente che manovre di questa entità non sarebbero nemmeno lontanamente sostenibili né economicamente né socialmente e comunque avrebbero effetti peggiorativi sulla crescita e sul rapporto debito/Pil.
Se invece ci fosse una crescita reale del 3%, inflazione al 3% e un tasso d’interesse sul debito del 4% (valori attualmente molto ottimistici, ma non anomali) sarebbe sufficiente ogni anno un avanzo primario dell’1,8% (valore leggermente inferiore a quello programmato dal governo per il 2015; il quale, però, non consentirà né di rilanciare la crescita né di ridurre l’incidenza del debito perché inserito in un quadro di politiche “austere” che interagiscono negativamente). L’esercizio serve ad evidenziare come il rientro del debito pubblico richiederebbe oneri molto minori e comunque sostenibili se inserito in un circolo virtuoso alimentato da politiche rivolte alla crescita del Pil, a bassi tassi d’interesse e a una moderata inflazione che dovrebbe essere accompagnata da misure di salvaguardia del potere d’acquisto dei redditi da lavoro.
Una politica di questo tipo – che ripagherebbe il debito con la crescita evitando gli effetti imprevedibilmente rischiosi e conflittuali di un default — avrebbe molte chance di successo proprio se effettuata a livello europeo, dove favorirebbe la crescita generale (anche della Germania), la distribuzione del reddito e la riduzione delle disomogeneità nazionali. La maggiore dimensione e la minore apertura verso l’estero dell’intero sistema economico continentale consentirebbero maggiori margini di scelta anche rispetto al necessario miglioramento della qualità sociale ed ecologica della crescita, attenuando i vincoli posti dall’equilibrio della bilancia dei pagamenti, dai mercati e dalla speculazione internazionali. Questi sarebbero aspetti strutturali del New Deal europeo necessario a ribaltare la visione liberistico-austera che sta trascinando l’Ue nella crisi e verso la sua dissoluzione. È in questa direzione di cambiamento concreto — e non con quello genericamente “strillato” funzionale all’allarmismo conservatore — che dovrebbero convergere tutte le forze progressiste europee, a cominciare — per quanto ci riguarda più da vicino — da quelle della sinistra italiana.
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Re: G R E C I A
Schaeuble a Davos
«Se ho capito bene, se la Grecia rifiuta il programma non farà parte del Quantitative easing» insomma non verrà aiutata con l’immissione di liquidità decisa ieri dalla Bce guidata da Mario Draghi. Lo dice il ministro dell'Economia tedesco, Wolfang Schaeuble, al Word economic forum di Davos e ricorda che la Germania ha fatto molto per aiutare il Paese ed «euro o no, la Grecia ha bisogno di riforme strutturali. Negli ultimi anni ha fatto più progressi delle attese».
Merkel a Firenze
L’avvertimento non sembra però una condanna senza appello visto anche le parole di Merkel: «Il vero cuore dei nostri principi è quello della solidarietà. Voglio che la Grecia, nonostante le sue difficoltà, resti a far parte della nostra storia» dice Merkel durante la conferenza stampa a Firenze. Sulle elezioni in Grecia «non sono preoccupata per il risultato. La popolazione scegliera' in maniera libera e indipendente la strada da percorrere. Sono sicura che troveremo delle soluzioni». Così la cancelliera a chiusura del bilaterale Italia - Germania.
I tempi, le scadenze
Il programma di assistenza finanziaria alla Grecia sarà probabilmente prorogato oltre la scadenza, prevista il prossimo 28 febbraio. Ma per poter dare il via libera alla proroga è necessario che il nuovo esecutivo che uscirà dalle elezioni di domenica prossima ne faccia richiesta e difficilmente la riunione dell'Eurogruppo di lunedì prossimo a Bruxelles potrà decidere sul rinvio del programma. Un alto funzionario europeo ha ricordato che «l'attuale programma scade 5 settimane dopo le elezioni, il 28 febbraio, e dal primo marzo non ci sarà più». In ogni caso il nuovo governo di Atene, «qualunque esso sia, terrà conto degli interessi e del bene della società greca. Non sono preoccupato», ha aggiunto il funzionario. La riunione successiva dei ministri delle Finanze dei Paesi dell'area euro è prevista per il 16 febbraio.
da Il sole 24ore
«Se ho capito bene, se la Grecia rifiuta il programma non farà parte del Quantitative easing» insomma non verrà aiutata con l’immissione di liquidità decisa ieri dalla Bce guidata da Mario Draghi. Lo dice il ministro dell'Economia tedesco, Wolfang Schaeuble, al Word economic forum di Davos e ricorda che la Germania ha fatto molto per aiutare il Paese ed «euro o no, la Grecia ha bisogno di riforme strutturali. Negli ultimi anni ha fatto più progressi delle attese».
Merkel a Firenze
L’avvertimento non sembra però una condanna senza appello visto anche le parole di Merkel: «Il vero cuore dei nostri principi è quello della solidarietà. Voglio che la Grecia, nonostante le sue difficoltà, resti a far parte della nostra storia» dice Merkel durante la conferenza stampa a Firenze. Sulle elezioni in Grecia «non sono preoccupata per il risultato. La popolazione scegliera' in maniera libera e indipendente la strada da percorrere. Sono sicura che troveremo delle soluzioni». Così la cancelliera a chiusura del bilaterale Italia - Germania.
I tempi, le scadenze
Il programma di assistenza finanziaria alla Grecia sarà probabilmente prorogato oltre la scadenza, prevista il prossimo 28 febbraio. Ma per poter dare il via libera alla proroga è necessario che il nuovo esecutivo che uscirà dalle elezioni di domenica prossima ne faccia richiesta e difficilmente la riunione dell'Eurogruppo di lunedì prossimo a Bruxelles potrà decidere sul rinvio del programma. Un alto funzionario europeo ha ricordato che «l'attuale programma scade 5 settimane dopo le elezioni, il 28 febbraio, e dal primo marzo non ci sarà più». In ogni caso il nuovo governo di Atene, «qualunque esso sia, terrà conto degli interessi e del bene della società greca. Non sono preoccupato», ha aggiunto il funzionario. La riunione successiva dei ministri delle Finanze dei Paesi dell'area euro è prevista per il 16 febbraio.
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Re: G R E C I A
Elezioni Grecia 2015, Tsipras: “Syriza non rispetterà accordi presi dai predecessori”
Articolo + Video
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01 ... i/1365306/
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Re: G R E C I A
CONTROCORRENTE
L’onda di Alexis Tsipras travolge la Grecia e l’eco delle sue dichiarazioni si diffonde in Europa. Un governo Syriza “non rispetterà accordi firmati dal suo predecessore”, ha detto in conferenza stampa il leader che promette di cambiare il volto e la storia del suo Paese, spiegando che “il nostro partito rispetta gli obblighi che derivano dalla partecipazione della Grecia alle istituzioni europee.
^^^^^
Non mi è piaciuta quest’ultima affermazione di Tsipras:
Syriza “non rispetterà accordi firmati dal suo predecessore”
In questa foresta europea, e non solo, piena di avvoltoi fdp che non aspettano altro che un minimo errore per poterlo demolire, a mio avviso il giovane condottiero greco ha commesso un errore.
Quell’annuncio gli porterà senz’altro domani qualche voto in più, ed avrà qualche amico in più in Europa, ma i falchi potrebbero fargliela pagare da subito.
Il coltello dalla parte del manico ce l’hanno sempre loro.
E se Tsipras vince ma non decolla, verrà spenta sul nascere tutta la speranza che è stata riposta in lui.
Anche da noi il Partito della Nazione si fregherebbe le mani.
L’onda di Alexis Tsipras travolge la Grecia e l’eco delle sue dichiarazioni si diffonde in Europa. Un governo Syriza “non rispetterà accordi firmati dal suo predecessore”, ha detto in conferenza stampa il leader che promette di cambiare il volto e la storia del suo Paese, spiegando che “il nostro partito rispetta gli obblighi che derivano dalla partecipazione della Grecia alle istituzioni europee.
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Non mi è piaciuta quest’ultima affermazione di Tsipras:
Syriza “non rispetterà accordi firmati dal suo predecessore”
In questa foresta europea, e non solo, piena di avvoltoi fdp che non aspettano altro che un minimo errore per poterlo demolire, a mio avviso il giovane condottiero greco ha commesso un errore.
Quell’annuncio gli porterà senz’altro domani qualche voto in più, ed avrà qualche amico in più in Europa, ma i falchi potrebbero fargliela pagare da subito.
Il coltello dalla parte del manico ce l’hanno sempre loro.
E se Tsipras vince ma non decolla, verrà spenta sul nascere tutta la speranza che è stata riposta in lui.
Anche da noi il Partito della Nazione si fregherebbe le mani.
Chi c’è in linea
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