Il "nuovo" governo Renzi

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POLITICA & PALAZZO
Il Jobs Act tra vendette e giochi di potere
di Pierfranco Pellizzetti | 27 dicembre 2014


Attorno al varo della definitiva precarizzazione del lavoro dipendente in Italia (l’americanata “Jobs Act”, espressione voluta da un premier che pure continua nello standard dei predecessori negati per le lingue) hanno intrecciato le proprie danze pulsioni varie, che nulla avrebbero a che spartire con qualsivoglia politica industriale: trattasi semmai di regolamenti di conti ed inconfessate blandizie.


L’espressione minacciosamente corrucciata sulla faccia di bull-dog Maurizio Sacconi era il manifesto ambulante degli intenti vendicativi che motivavano parte degli assalitori dell’articolo 18 (dello statuto dei lavoratori del tempo che fu); a cui nulla interessa dello specifico in questione, visto che l’intento è prendersi una rivincita su chi in gioventù gli aveva fatto ingoiare polvere e gonfiare il fegato di bile. In larga parte, schiera composta da sopravvissuti ai naufragi del craxismo.

Infatti il Sacconi è un antico enfant prodige del PSI al tempo dell’Italia “da bere”; eletto deputato nel 1979 a soli 29 anni e subito intruppato come apprendista nella banda del Lider Maximo.

Gente che masticava amaro per l’egemonia dell’allora PCI, che vissero l’ultima battaglia di Enrico Berlinguer sulla “questione morale” e la mutazione genetica del ceto politico in corporazione di potere (la futura “Casta”) come un vero e proprio affronto personale.

Dato che nel frattempo il Partito Comunista è scomparso e con lui la Sinistra politica, ci si può prendere tardive rivincite e relative soddisfazioni sadiche prendendosela con quello che resta della Sinistra sociale: bastonando la parte ancora combattiva del sindacato e gli odiati “ultimi mohicani di fabbrica” (il lavoro manuale, che nel passato ormai lontano fu la massa di manovra per infliggere pesanti sconfitte e cocenti umiliazioni a quei socialisti, penetrati nella stanza dei bottoni per poi smarrirsi negli “ozi di Capua” del tempo. E le ferite bruciano ancora!).

Sicché, sul terreno del farla pagare ai sindacati, i paleo-craxiani, rimessi a nuovo da un passaggio nel berlusconismo, trovano altri compagni di strada: i falchi di Confindustria; alcuni ormai spennacchiati e con un principio di Alzheimer, ma tutti con addosso ancora la fifa blu provata al tempo degli “autunni caldi”, ormai virata a proterva volontà di rivalsa.

Il guaio per falchi e zombi (del PSI) è che il premier pensa ad altro che a rifare il CAF (l’alleanza Andreotti-Craxi-Forlani, nata dal comune intento di incaprettare Berlinguer e tagliare le unghie alla Sinistra). L’aria furbetta/compiaciuta di Matteo Renzi (“svolta storica”, trionfaleggia)nasce dal fatto che ritiene di aver compiuto un passo importante per il consolidamento del suo potere personale, mandando un segnale ai “poteri forti” internazionali: lo sgombero del campo da ogni impedimento, contrappesi e – dunque – controlli al libero dispiegarsi del business, nella sua prevalente natura finanziario-speculativa.

Sicché gli scalpi dei lavoratori e dei residui del sindacato rivendicativo qui servono per strategie d’immagine; a consolidamento di un regime che sembrerebbe muoversi lungo le rotte tracciate dal capo della P2 Licio Gelli: il suo Piano ironicamente detto “di rinascita democratica”.

Che questo significhi la definitiva liquidazione degli assetti costituzionali nati dalla Resistenza non tocca minimamente i diversi cultori del ecchisenefrega, siano essi antichi risentiti o giovani apprendisti stregoni degli incantamenti controriformisti.

Molte le possibili lezioni. Una va dedicata ai “lotofagi” e ai “bambini sperduti dell’isola che non c’è” che frequentano questo blog. A cui si è fatto credere che nel campo politico non esistono più i dualismi. Un tempo si chiamavano destra/sinistra.

Oggi – visto il discredito da collusività della Sinistra organizzata – si preferisce parlare di sopra/sotto, alto/basso. Solo una sottigliezza terminologica, perché lo scontro è insito nel sistema delle disuguaglianze in cui siamo immersi: inclusione (tradizionalmente Sinistra) contro esclusione (vulgo Destra). E per coglierne il senso urge recuperare la cassetta degli attrezzi politici; le categorie che lo sciocchezzaio acchiappatutto di qualche guru riccioluto (e destrorso) pretendeva di accantonare.


Articolo con annessi 89 commenti alle 16,14 del 27/2014

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Jobs act, Ncd: “Delusi ma no a strappi”. Sinistra Pd e sindacati: “Cambiare norme”
Politica & Palazzo
Sacconi, Fassina, Damiano, Forza Italia, la Cgil e perfino la Cisl: i decreti attuativi della riforma del lavoro ricevono critiche da destra a sinistra. Ma il governo non risponde nemmeno. D'altra parte il Ncd si dice deluso ma assicura che per queste cose "non si fa una crisi di governo". E le organizzazioni dei lavoratori puntano il dito contro il "rischio di licenziamenti collettivi"
di F. Q. | 26 dicembre 2014 COMMENTI


L’approvazione dei decreti attuativi sembrava la fine della storia, ma pare diventata solo l’inizio. Il Jobs act diventa realtà e protestano da destra a sinistra, di nuovo: da Maurizio Sacconi che si dice deluso e Gaetano Quagliariello che giura battaglia alla Cgil che denuncia la possibilità di “licenziamenti collettivi” fino alla sinistra Pd che, oltre a fare da voce politica di Susanna Camusso, ritrova anche qualche parola d’ordine, come Stefano Fassina che dice che Renzi fa quello che la Troika dice. Certo, tutte parole: la Cgil – pur trovando nel merito della critica il sostegno anche di Cisl e Uil – non va oltre alla “mobilitazione continua”; i mugugni delle “ali” della maggioranza di governo (quella destra di Ncd e quella sinistra della minoranza democratica) non trovano uno sbocco concreto. Il governo, insomma, non pare rischiare niente. E forse anche per questo, nel giorno di Santo Stefano, nessuno dell’entourage di Renzi si preoccupa di replicare in mezzo al pulviscolo di dichiarazioni a mezzo agenzia.


Il capogruppo del Nuovo Centrodestra al Senato Sacconi è il battistrada e con una nota comunica di “avvertire molta delusione” perché ”la montagna ha partorito il topolino”: “Abbiamo una disciplina complicata, intraducibile in inglese, di incerta applicazione”. Un po’ diverso dall’ultimatum della vigilia di Natale: “O via l’articolo 18 o via il governo per crollo di credibilità”. Per Sacconi, insomma, va ancora quasi tutto male, non c’è nemmeno il cosiddetto opting out chiesto dal partito. Abbastanza per mettere in discussione l’esecutivo? Macché: “Non si fa una crisi di governo – spiega all’Ansa il coordinatore nazionale Quagliariello – per un risultato insoddisfacente”. Il governo, insiste, “deve andare avanti e noi continueremo le nostre battaglie in Parlamento”. Dunque non è il momento di uno strappo un po’ perché – si spiega – non è il momento (non è mai il momento per una crisi di governo) e poi perché ha sottolineato Matteo Renzi subito dopo il consiglio dei ministri del 24, a “un risultato come questo” non c’era mai arrivato nessuno. Nemmeno la destra. Anzi, come ha detto il presidente del Consiglio a chi critica: “Dove eravate voi quando governavate?”. Che questo risultato sia “avanzato”, secondo Quagliariello, è dimostrato dalle “reazioni di netta ostilità da parte di Landini e della Cgil“.

Proprio il sindacato torna ad attaccare il governo sul Jobs act. Le nuove misure, dice la Cgil, danno “il via libera alle imprese a licenziare in maniera discrezionale lavoratori singoli e gruppi di lavoratori. Più che di rivoluzione copernicana, siamo ad una delega in bianco alle imprese a cui viene appaltata la crescita”. E aggiunge: “Queste misure ledono diritti collettivi ed individuali”. Secondo il sindacato di corso Italia “con il decreto al posto delle tutele crescenti si passa alla ‘monetizzazione crescente’ dei diritti. I lavoratori (operai, impiegati e quadri), infatti, potranno essere licenziati anche senza giusta causa ottenendo il solo indennizzo e questo varrà per i licenziamenti economici, per quelli disciplinari e per quelli collettivi”. Il segretario della Uil Carmelo Barbagallo ribadisce il suo giudizio negativo sulla riforma che non risolverà, dice, le questioni della disoccupazione e, anzi, farà emergere altre contraddizioni. E anche la Cisl non è soddisfatta: “Il testo del Governo sul Jobs act – dichiara il segretario confederale Gigi Petteni – è ancora migliorabile, in particolare per quanto riguarda le norme sui licenziamenti collettivi”.

E se si muove il sindacato, figurarsi se non si fa sentire la sinistra del Pd. Parla, per esempio, il presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano, ex ministro, ex sindacalista della Cgil e uno dei fautori dell’intesa che sembrava definitiva sulla parziale retromarcia del governo sull’articolo 18 (anche a quel giro Ncd sembrava voler far cadere il governo). “Le nuove regole riguardano anche i licenziamenti collettivi, questo è un punto che per noi deve essere modificato – spiega Damiano – Per quanto ci riguarda la modifica dell’articolo 18 deve riguardare solo i licenziamenti individuali per i neoassunti”. Un’altra correzione investirebbe il numero di mensilità d’indennizzo, per Damiano “si dovrebbe partire da sei nelle aziende sopra i 15 dipendenti” e non da quattro, come precede lo schema di decreto attuativo del Jobs act.

Mette il carico Stefano Fassina: “Purtroppo, i primi due decreti attuativi della delega lavoro confermano l’obiettivo vero dell’intervento – scrive nel suo blog sull’HuffingtonPost – Ulteriore svalutazione del lavoro, data l’impossibilità di svalutare la moneta, per puntare illusoriamente a crescere via export. Insomma, un’altra tappa del mercantilismo liberista raccomandato dalla Troika”. Per il deputato Pd ed ex viceministro dell’Economia: “Non è una rivoluzione copernicana. È una rivoluzione conservatrice, un cambiamento regressivo”. Pippo Civati, che ribattezza il decreto in “contratto a tutele ridotte”. Per i Cinque Stelle Luigi Di Maio parla di “fregatura” e Fi ironizza con Giovanni Toti: “Tra i tanti ‘pacchi’ giunti agli italiani in questi giorni è arrivato anche questo”.

La notizia è che in questo dibattito entra anche Forza Italia ma solo per il gusto di irridere un po’ gli ex colleghi di partito diventati alfaniani. Di “marginalità” di Ncd nel governo parla l’azzurra Elvira Savino, mentre Il Mattinale di Renato Brunetta lancia l’affondo: “Il braccio esile di Ncd è stato piegato in fretta dalla preponderante volontà nel Pd dell’anima arcipotente di Cgil”. Ncd reagisce e, come fa Fabrizio Cicchitto, accusa Fi di “proposte solo propagandistiche” perché “dire 3 volte tagliamo le tasse e 1 volta aumentiamo le pensioni, senza dire quali spese tagliare, significa fare solo propaganda”. Quindi, accusa Renzi di essere un “rottamatore-innovatore sugli organigrammi e un morodoroteo di nuova generazione sul terreno dei contenuti”. Mentre Sacconi invita berlusconiani e Lega a non “dare lezioni” perché da loro sono arrivate “solo confusione e propaganda”. Dedicassero piuttosto “alla sinistra le energie che stanno sprecando contro di noi”, è il suo appello. Più concreto, Renato Schifani che invita a riprendere “il cammino delle riforme” senza lasciarsi “trascinare da istinti di rivalsa che avrebbero come unico effetto quello di danneggiare l’Italia e gli italiani”.


In precedenza Gasparri aveva usato una variante sul tema: “Sacconi irato per sconfitta, Schifani finge vittoria, Quagliariello media, Cicchitto sbarella, Ncd patetico su art. 18″. E Cicchitto ha replicato di nuovo: “Ma quale unità del centrodestra con gli insulti e gli sproloqui di Gasparri che dimentica fra l’altro che sull’articolo 18 i risultati del Ncd sono certamente maggiori di quelli ottenuti a suo tempo dal governo Berlusconi che dovette fare una ritirata pressoché totale”.

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il Fatto 29.12.14
Licenziare è possibile
Jobs Act, Renzi mette nel mirino anche gli statali

di Salvatore Cannavò

Sul Jobs Act il governo di Matteo Renzi ha deciso di sfoderare la formula del tridente. Il premier al centro, i ministri Marianna Madia e Giuliano Poletti a sinistra, l’Ncd a destra. È questa la fotografia che emerge dalle polemiche sull’estendibilità delle nuove norme agli Statali ormai nel mirino del governo. Se, infatti, in due distinte interviste Poletti e Madia, ieri mattina, escludevano che il nuovo contratto a tutele crescente, con il corollario dell’abolizione dell’articolo 18, potesse essere esteso ai dipendenti pubblici, il presidente del Consiglio nella sua intervista a Qn è stato molto più sfuggente: “Sarà il Parlamento a pronunciarsi su questo punto, sollevato da Ichino” ha risposto Renzi al direttore del quotidiano. “Esiste giurisprudenza nell’uno e nell’altro senso. Ma non sarà il governo a decidere. A febbraio, quando il provvedimento sul pubblico impiego firmato da Marianna Madia verrà discusso in Parlamento, saranno le Camere a scegliere. Non mancherà il dibattito, certo”.

RENZI ASSOMIGLIA sempre di più al gatto che si diverte a giocare con il topo e quel rinvio al dibattito parlamentare assomiglia all’apertura di un nuovo fronte di guerra con il sindacato. E assomiglia, anche, a una nuova sconfessione dei due ministri più esposti al contatto, e all’interlocuzione, con i sindacati. Questa divaricazione tra le parole del premier e quelle del suo responsabile lavoro vengono impietosamente sottolineate dal senatore Pietro Ichino (già Pd, oggi Scelta Civica, giuslavorista tra i più noti) il quale ha pubblicato sul proprio blog una ricostruzione “segreta” del dibattito avvenuto a lato e dentro al Consiglio dei ministri che ha varato i decreti legislativi sul Jobs Act. Secondo Ichino, infatti, “fino alla mezzanotte fra il 23 e il 24 dicembre” nel testo era presenta un comma che “ sostanzialmente escludeva l’impiego pubblico dall’applicazione della disciplina contenuta nel nuovo decreto”. Quella esclusione è stata poi “espunta in extremis” generando quella dubbia interpretazione di cui si discute ora. Il Pubblico impiego, infatti, è governato dal Testo unico del 2001 il quale stabilisce che gli Statali vanno equiparati ai dipendenti del settore privato, norme sull’articolo 18 comprese, anche se poi disciplina separatamente le norme sul licenziamento. Se Renzi avesse voluto sgombrare il campo da ogni equivoco, sarebbe bastato ricordare questa realtà oppure, come ha fatto il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, dichiarare che la “volontà politica dell’esecutivo non è quella di estendere il Jobs Act agli Statali”. Ma non l’ha fatto. Per la semplice ragione che il dossier resta aperto. E, come fa notare la Cgil, rimane sul tavolo in vista di ulteriori trattative con gli alleati di governo. Pietro Ichino, ad esempio, ricorda ancora che nel testo approvato dal Consiglio dei ministri, è scomparsa all’ultimo istante una modifica dei contratti a termine, con la riduzione da 36 a 24 mesi della durata massima dei contratti precari. Così come è scomparsa l’abolizione di contratti come l’Associazione in partecipazione o il lavoro intermittente, richieste esplicite della Cisl che Poletti aveva inserito nel testo e che, con ogni probabilità, ha dovuto sacrificare ai desiderata del Ncd di Alfano e Sacconi. Dallo stesso testo, infatti, è scomparso il riferimento allo “scarso rendimento” richiesto a gran voce da Maurizio Sacconi.
La trattativa, quindi non è ancora conclusa. Il governo dovrà varare ancora altri decreti applicativi, in particolare il “Codice semplificato” delle norme sul lavoro, l’oggetto più ambizioso di questa attività riformatrice. Che ad oggi, come notava ieri il giuslavorista Michele Tiraboschi, non è certamente traducibile in inglese come Renzi aveva promesso circa un anno fa.

Chi non fa alcuno sconto al governo è Beppe Grillo che rilancia la difesa dei diritti del lavoro. Sul suo blog, infatti, le nuove norme sono definite “le fregature crescenti”: “Tra qualche giorno iniziano i saldi, e il governo quest’anno propone la svendita del diritto al lavoro” scrive il leader del M5S. “Nessuna tutela reale, ma solo un ristoro economico, vero ricatto morale che fa leva sulla fragilità di chi oggi non si può permettere di perdere il lavoro, di chi è costretto ad adeguarsi, per sopravvivere, al detto ‘pochi, maledetti e subito’”.
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Da: IL GIORNO DELLO SCIACALLO



Licenziamenti collettivi, giuslavorista: ‘Jobs act incostituzionale, discriminatorio’
Lavoro & Precari
L'analisi del decreto attuativo sull'articolo 18 del professor Umberto Romagnoli: "Se Renzi potesse riscrivere l'articolo 1 della Costituzione, direbbe che la Repubblica Italiana è fondata sulla libertà d'impresa". E fa un esempio: con un solo giorno di assenza ingiustificata l'imprenditore potrà licenziare, senza che il giudice possa valutare
di Stefano De Agostini | 29 dicembre 2014 COMMENTI


Complicata da attuare, potenzialmente incostituzionale e discriminatoria, mirata a bypassare la trattativa sindacale “a un modico prezzo”. Questo, in sintesi, il giudizio del giuslavorista Umberto Romagnoli sull’estensione della riforma dell’articolo 18 ai licenziamenti collettivi contenuta in uno dei due decreti attuativi del Jobs Act approvati dall’esecutivo alla vigilia di Natale. “Il Jobs Act determina un doppio binario nella gestione dei licenziamenti. I nuovi assunti hanno un trattamento di tutela assai meno efficace rispetto ai colleghi al lavoro da più tempo”, sottolinea il professore diventato docente ordinario di diritto del lavoro nel 1970 all’Università di Bologna, che negli anni novanta ha fatto parte della Commissione di garanzia sugli scioperi. Stando al decreto attuativo la riforma, che prevede in quasi tutti i casi la sostituzione del reintegro con un’indennità, si applica ai lavoratori “assunti (…) a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. Questa disparità di trattamento, fa notare il giuslavorista, si ritrova sia nei licenziamenti collettivi sia in quelli individuali. Ma con una sostanziale differenza. “Se il provvedimento è collettivo, si presentano ulteriori complicazioni a livello pratico – continua Romagnoli – Tra i vari licenziati, bisognerebbe distinguere tra quelli assunti prima e quelli assunti dopo l’entrata in vigore del Jobs Act e agire in modo diverso”. Insomma, i dipendenti di lunga data avrebbero diritto al reintegro, gli altri solo all’indennizzo. “Siamo di fronte a un trattamento diversificato che è discrezionale, immotivato, non ragionevole – conclude il professore – Sono situazioni identiche trattate in maniera disuguale. Questa riforma aumenta le divisioni tra i lavoratori”.

Diretta conseguenza di questo ragionamento sono i profili di incostituzionalità del Jobs Act. “Credo che questo provvedimento non sia legittimo – aggiunge – E’ una legge che costituzionalmente non sta in piedi: viola il principio di uguaglianza riconosciuto dalla Carta”. La previsione, quindi, è che presto partiranno ricorsi per rilevare l’incostituzionalità della norma. “Ma mentre la Consulta deciderà, passerà molto tempo – riflette il professore – Basti pensare all’estromissione della Fiom da parte della Fiat a Pomigliano d’Arco. La Corte impiegò due anni prima di decretare la sua riammissione in fabbrica. Nel frattempo, il danno si produce e si generano lesioni non riparabili“. Un’altra conseguenza dell’estensione delle nuove regole ai licenziamenti collettivi risiede, secondo Romagnoli, nell’ulteriore indebolimento del ruolo del sindacato. “Con il Jobs Act, l’imprenditore potrà evitare la fase della trattativa sindacale che precede l’avvio dei licenziamenti collettivi, pagando il piccolo prezzo della corresponsione delle indennità – ragiona il giurista – Qui si monetizza non solo il diritto alla continuità del rapporto di lavoro, ma anche il potere contrattuale del sindacato”.

A essere ridimensionato dalla riforma, sempre nella visione di Romagnoli, non sarà solo il potere delle sigle sindacali, ma anche quello dei giudici. Il riferimento è a quel passaggio del decreto attuativo dove si contempla il reintegro per i licenziamenti disciplinari, ma esclusivamente nei casi in cui sia “direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento“. Secondo il professore “è incostituzionale limitare l’esercizio del potere giurisdizionale. Il giudice deve avere la possibilità di accertare se c’è stata proporzione tra gravità del fatto commesso e la sanzione che è stata inflitta. Con un tratto di penna, il governo ha cancellato un principio di equità”. A sostegno della sua tesi, il giuslavorista porta un esempio pratico: nel caso di un solo giorno di assenza ingiustificata dal lavoro, l’imprenditore potrà procedere al licenziamento, senza che il giudice possa decidere se si tratta di un provvedimento sproporzionato rispetto al fatto commesso.

Eppure, il potere dei magistrati era già limitato, nella pratica, dalla scarsa applicazione dei loro verdetti. “Su dieci sentenze di reintegro, otto non avevano luogo – spiega Romagnoli – Se l’imprenditore non voleva, il lavoratore non riprendeva il servizio”. In sostanza, precisa il docente, era garantita l’erogazione dello stipendio e del versamento dei contributi, ma di fatto il dipendente non era più ammesso sul posto di lavoro, a causa della mancanza di strumenti coercitivi che obbligassero l’imprenditore a dare piena attuazione alla sentenza. E molti lavoratori, pur avendo diritto al reintegro, finivano per accettare il risarcimento. “Anche per questo motivo, i discorsi del governo sull’articolo 18 e sui maggiori investimenti che la riforma dovrebbe attrarre, sono pura propaganda – conclude – Si dice che stiamo andando verso il futuro, ma in realtà stiamo recuperando il passato, con un ritorno al potere unilaterale e tendenzialmente insindacabile dell’imprenditore. Se Matteo Renzi potesse riscrivere l’articolo 1 della Costituzione, direbbe che la Repubblica Italiana è fondata non sul lavoro, ma sulla libertà d’impresa“.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12 ... o/1302561/
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RACCONTANO BALLE.
31/12/2014 di triskel182

Immagine
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Re: Il "nuovo" governo Renzi

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Che voto dai al 2014 del governo Renzi
L'esecutivo dell'ex sindaco di Firenze si è insediato a fine febbraio, ma la conclusione dell'anno è sempre il momento per i bilanci. Tra riforme annunciate o portate a termine, alleanze e scontri, dicci cosa ne pensi
Dai il tuo voto al governo

http://temi.repubblica.it/espresso-sond ... ollId=4750
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Re: Il "nuovo" governo Renzi

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Luca Ricolfi, esordendo su Il Sole 24 Ore ieri, si è chiesto se Renzi è di destra o di sinistra.

C’era bisogno di chiederselo?




Sblocco degli sfratti: rischiano in 30 mila.
02/01/2015 di triskel182


DAL MILLEPROROGHE SPARISCE LA MISURA ANTI-CRISI: “MIGLIAIA DI FAMIGLIE PER STRADA”.

Sorpresa: niente proroga per il blocco degli sfratti. Rompendo una tradizione che va avanti da decenni, il governo ha scelto di non inserire nel testo la proroga del blocco degli sgomberi per gli inquilini in difficoltà. Un diritto che peraltro riguardava una singola fattispecie: quelli per finita locazione (quindi escludeva sia la morosità – oggi la causa prevalente – sia la necessità per il proprietario di riavere l’alloggio) e interessava un numero limitato di famiglie, quelle con redditi complessivilordi inferiori a 29 mila euro e presenza di anziani, minori, portatori di handicap gravi e malati terminali.

Nel Milleproroghe appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale, lo slittamento dei termini per impedire di mettere in strada quelle che per il Sunia, il sindacato degli inquilini, sono circa “30 mila famiglie, in estremo disagio abitativo”, non compare, nonostante l’appello inviato mercoledì al premier Matteo Renzi dall’Unione inquilini. SECONDO il governo, però, non si stratterebbe di una svista. Dal ministero delle Infrastrutture, infatti, fanno sapere che la misura è saltata semplicemente perché sul fronte affitti sono già operativi due fondi previsti nel decreto casa, con uno stanziamento di 446 milioni di euro. E pazienza se finora la misura è stata sempre prorogata, e che “la categoria di inquilini questione – spiega il Sunia – non è interessata dai fondi di cui parla il ministero”. Non a caso, lo stesso ministro Maurizio Lupi, al momento dell’approvazione del Piano casa aveva chiarito di essere contrario a quel “vecchio rito”. Un plauso è ovviamente arrivato dalle associazioni dei proprietari immobiliari, come Confedilizia. Per il presidente Corrado Sforza Fogliani, infatti, “il governo evita il trentunesimo blocco degli sfratti”, interrompendo quella che era diventata una “liturgia”. La maggior parte delle famiglie si trova nelle “grandi aree metropolitane”, come Roma, Napoli, Milano, Torino.

Da Il Fatto Quotidiano del 02/01/2015.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi

Messaggio da iospero »

e poi

«Una follia» (a Natale siamo tutti più buoni, soprattutto con gli evasori)


Solo il Fatto Quotidiano (e Lucrezia Ricchiuti, già al lavoro da giorni sulla questione) sembrano avere notato che c’è qualche problema con il decreto «a Natale siamo tutti più buoni, soprattutto con gli evasori» che il governo ha approvato il 24 dicembre (nigro signanda lapillo).

Vincenzo Visco commenta così: «è una follia, non capisco cosa diavolo abbiano combinato». L’ex-ministro dice che si tratta di «un gigantesco regalo ai grandi evasori» e parla di «una roba incredibile». Il Mef, sostiene il giornale di Padellaro, aveva bocciato l’idea geniale. Secondo il Sole, se ne andranno come neve al sole (appunto) un terzo dei processi. Se evadi sotto il 3% del fatturato, non rientri più nel penale. Pensate a grandi gruppi o a grandi banche: e non è un esempio casuale.

Come spiega Bruno Tinti, «il “penale” è morto»:


Ne Il Ciclone, il protagonista Levante, professione commercialista, diceva alla sua ex fidanzata Carlina, erborista che faceva “nero” a go go, che doveva smetterla perché “c’è il penale Carlina, come te lo devo dire, c’è il penale”. Il film era del 1996 e oggi Pieraccioni quella battuta non avrebbe potuto dirla. Perché “il penale” per i reati tributari non c’è più, è morto assassinato. Le prime coltellate gliele hanno date 15 anni fa, con gli arresti domiciliari garantiti fino a 3 anni (pena mai data al 99,9 % degli evasori) e con la prescrizione berlusconiana, 7 anni e mezzo per un reato che, statisticamente, si scopre a distanza minima di 3/4 anni da quando è commesso; si capisce che indagini, Tribunale, Appello e Cassazione richiedono un po’ più di 3 anni e mezzo per arrivare alla fine.

[…] Il “nero” serve per fare la corruzione, lo sanno anche i sassi. Così l’assassino (gli assassini, i nostri politici complici degli evasori che portano voti) sono passati al vilipendio di cadavere: moderni maramaldi hanno “ucciso un uomo morto” (Francesco Ferrucci a Maramaldo, appunto); o perlomeno si apprestano a farlo. Le soglie di punibilità sono triplicate, sotto i 150.000 euro di imposta evasa (300.000 di nero) non c’è il penale: Carlina può dormire tranquilla. […] Siccome, poi, c’è l’articolo 2 del codice penale, secondo cui nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce più reato, la maggior parte dei processi pendenti si chiuderà con un’assoluzione, proprio come è capitato a B per il falso in bilancio. Insomma un mega condono. Ma cosa gli dice la testa a questa gente?
iospero
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Re: Il "nuovo" governo Renzi

Messaggio da iospero »

E POI DA ciwati
La soglia del 3% che interessa a molti e forse a qualcuno


Se evadi sotto il 3% del fatturato, allora puoi #staresereno. Lo scrivevo ieri, oggi ne parla diffusamente Repubblica: se il Fatto faceva l’esempio di Unicredit, il giornale più vicino all’attuale Pd (diciamo così) fa l’esempio di Berlusconi e della sua ormai celebre condanna-decadenza-interdizione.

Molti berlusconiani esultano: bisogna capirli. Erano abituati a farle loro, le leggi che una volta chiamavamo vergogna.

Secondo qualcuno avrebbe conseguenze immediate e molto concrete: «Se la norma è com’è stata pubblicata sul sito del governo, la conseguenza pare scontata: se si facesse il processo adesso il reato di Berlusconi non esisterebbe più. Quindi può fare un “incidente di esecuzione”. Quindi può cadere la sentenza e con lei anche l’interdizione dai pubblici uffici. Ovviamente, se cade la sentenza, cade anche l’esclusione dalle candidature della legge Severino, che è solo una conseguenza della condanna».

In ogni caso, la norma ha, di per sé, un forte carattere di simbolo politico, economico e morale. Alla rovescia.

Il premier si dice pronto a cambiare il testo, ma è molto strano che non se ne sia accorto nessuno, nel Consiglio dei ministri del 24 dicembre. Repubblica sostiene, peraltro, che se ne siano accorti al Mef e che se ne siano indignati all’Agenzia delle Entrate. Ma the show must go on, si sa, e il decreto è stato approvato così, tra i soliti mille proclami (meno uno).

Siccome, al di là di Berlusconi, non va affatto bene, lo si lasci cadere. Per sempre.
pancho
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Re: Il "nuovo" governo Renzi

Messaggio da pancho »

iospero ha scritto:E POI DA ciwati
La soglia del 3% che interessa a molti e forse a qualcuno


Se evadi sotto il 3% del fatturato, allora puoi #staresereno. Lo scrivevo ieri, oggi ne parla diffusamente Repubblica: se il Fatto faceva l’esempio di Unicredit, il giornale più vicino all’attuale Pd (diciamo così) fa l’esempio di Berlusconi e della sua ormai celebre condanna-decadenza-interdizione.

Molti berlusconiani esultano: bisogna capirli. Erano abituati a farle loro, le leggi che una volta chiamavamo vergogna.

Secondo qualcuno avrebbe conseguenze immediate e molto concrete: «Se la norma è com’è stata pubblicata sul sito del governo, la conseguenza pare scontata: se si facesse il processo adesso il reato di Berlusconi non esisterebbe più. Quindi può fare un “incidente di esecuzione”. Quindi può cadere la sentenza e con lei anche l’interdizione dai pubblici uffici. Ovviamente, se cade la sentenza, cade anche l’esclusione dalle candidature della legge Severino, che è solo una conseguenza della condanna».

In ogni caso, la norma ha, di per sé, un forte carattere di simbolo politico, economico e morale. Alla rovescia.

Il premier si dice pronto a cambiare il testo, ma è molto strano che non se ne sia accorto nessuno, nel Consiglio dei ministri del 24 dicembre. Repubblica sostiene, peraltro, che se ne siano accorti al Mef e che se ne siano indignati all’Agenzia delle Entrate. Ma the show must go on, si sa, e il decreto è stato approvato così, tra i soliti mille proclami (meno uno).

Siccome, al di là di Berlusconi, non va affatto bene, lo si lasci cadere. Per sempre.
La pistola fumante del Nazzareno!
Per avere questo sicuramente il Berlusca avrebbe ceduto su tutto e anche sulla nomina del nuovo Presidente delle repubblica.
Ora i giochi e le guerre si sono riaperte con un dente avvelanato.

Ma, ditemi,chi se ne e' accorto di tutto questo? Non e' cosa da niente saperlo

un salutone da Juan
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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