Il "nuovo" governo Renzi
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
http://www.tzetze.it/redazione/2015/01/ ... serire_io/
Salva Berlusconi, Renzi confessa: 'La norma l'ho fatta inserire io'
http://www.beppegrillo.it/la_cosa/2014/ ... -battista/
Tutte le menzogne del Ministro Galletti – Alessandro Di Battista
ciao
Paolo11
Salva Berlusconi, Renzi confessa: 'La norma l'ho fatta inserire io'
http://www.beppegrillo.it/la_cosa/2014/ ... -battista/
Tutte le menzogne del Ministro Galletti – Alessandro Di Battista
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Paolo11
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/01/ ... ni/326928/
La manina che ha inserito la marchetta “Salva Berlusconi” nella delega fiscale è quella di Denis Verdini, il politico di riferimento dell’ex Cavaliere e di Renzi rinviato a giudizio per corruzione”. La denuncia arriva da Alessandro Di Battista, deputato del Movimento Cinque Stelle, il giorno in cui il premier Renzi si assume la responsabilità dell’introduzione della norma che avrebbe cancellato gli effetti della condanna Mediaset per Berlusconi. “A rivelare la notizia – continua Di Battista – sono stati proprio i deputati di Forza Italia che odiano Verdini. L’atteggiamento di Renzi è come quello dello camorristi: si autoaccusa per proteggere il vero responsabile” di Annalisa Ausilio
Ciao
Paolo11
La manina che ha inserito la marchetta “Salva Berlusconi” nella delega fiscale è quella di Denis Verdini, il politico di riferimento dell’ex Cavaliere e di Renzi rinviato a giudizio per corruzione”. La denuncia arriva da Alessandro Di Battista, deputato del Movimento Cinque Stelle, il giorno in cui il premier Renzi si assume la responsabilità dell’introduzione della norma che avrebbe cancellato gli effetti della condanna Mediaset per Berlusconi. “A rivelare la notizia – continua Di Battista – sono stati proprio i deputati di Forza Italia che odiano Verdini. L’atteggiamento di Renzi è come quello dello camorristi: si autoaccusa per proteggere il vero responsabile” di Annalisa Ausilio
Ciao
Paolo11
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Il Salva-Silvio è segreto di stato
Governo. Gaffe su gaffe, la ministra Boschi respinge la richiesta dello stesso Pd di riferire sul pasticcio del decreto fiscale:
zitti e mosca. Sinistra Pd in stato di massima allerta contro «l’ombra» che si allunga sull’elezione del Colle.
Bersani e Bindi: «Ripartire da Prodi»
Chi ha ideato la norma Salva-Silvio, chi l’ha scritta, chi l’ha taciuta e inserita nel decreto poi ritirato? Cosa si sono detti davvero i ministri nel consiglio della vigilia di Natale che l’ha approvata, dato che Renzi sostiene che il testo «è stato approfondito punto per punto»? Se fosse così, non si capisce perché tanto mistero sulla genesi dell’iniziativa che imbarazza il Pd e fa felice Berlusconi. E invece no: il governo seppellisce tutte gli interrogativi sotto un’abbondante palata di sabbia.
Dopo la chiamata in correo ai ministri del sottosegretario Delrio («Quando esce un testo la responsabilità è sempre della collegialità del consiglio»), Renzi intima ai suoi di farsi i fatti loro: in sostanza lo ha fatto mercoledì davanti deputati, zittendoli con un definitivo «la manina sono io». Poi sull’ordine di reticenza ieri è arrivato perfino il timbro dell’ufficialità: alla capigruppo del senato la ministra Boschi sentenzia che «gli atti del consiglio dei ministri non sono oggetto di informativa». In pratica sono secretati.
Ma nel gruppo del Pd, che pure ha dimostrato di avere stomaco forte, la cosa non va giù. Ieri mattina al senato Massimo Mucchetti prende la parola: «Chiedo che il presidente del consiglio venga a raccontarci per filo e per segno come sono andate le cose». Mucchetti riassume implacabilmente tutte le domande che da quattro giorni mezzo mondo rivolge a Renzi: «Quale sia stato il testo del decreto fiscale licenziato dal ministero dell’Economia, quale testo sia arrivato in Consiglio dei ministri, se sia lo stesso o se abbia subito modificazioni di contenuto e, qualora tali modificazioni di contenuto siano state apportate, chi le abbia apportate e come. È possibile che non emerga niente di speciale da queste informazioni, ma è possibile anche, ed è questa la preoccupazione che mi muove, che emerga un funzionamento non perfetto della formazione delle decisioni politiche». Tradotto: c’è un suggeritore fuori dal governo?
Fra i senatori dem scoppia il panico. Era stato il presidente Zanda ad autorizzare Mucchetti a prendere parola per «svelenire il clima». L’effetto è un clamoroso autogol. Corre ai ripari Giorgio Tonini, uomo di buone maniere nella compagnia un po’ grossier dei renziani. Ma stavolta è spiccio anche lui: Mucchetti parla «in considerazione del suo ruolo importante di presidente di commissione» ma il gruppo confidava «nel senso di responsabilità e di equilibrio del collega». Invece il collega ha parlato fuori dai denti, quindi l’intervento è a titolo personale.
Le opposizioni si uniscono alla richiesta. La Lega chiede chiarezza «sul blitz natalizio». Per Sel il vero tema è l’eterno mistero del patto del Nazareno e le sue implicazioni sull’elezione del nuovo capo dello stato che, dice Loredana De Petris, «deve essere messa al riparo da tutte le operazioni e i tentativi di scambio emersi da questa vicenda». Alla capigruppo Boschi esclude senza mezzi termini che il governo vada in aula a riferire del Salva-Silvio: gli atti del consiglio non sono oggetto di informativa.
La scena si ripete alla camera, dove Pippo Civati e Arturo Scotto (Sel) si associano alla richiesta dei senatori. Ma anche Pier Luigi Bersani mette in relazione «la manina» che ha scritto la norma che anticipa il ritorno di Berlusconi alla politica attiva (norma per ora ritirata) con l’elezione del Colle. Sul fisco «non guasterebbe se Renzi spiegasse in parlamento». E ora per fugare i dubbi sullo scambio con Forza italia dovrebbe proporre Prodi: «È immaginabile ripartire da dove ci si è fermati. Non ho bisogno di dire niente altrimenti poi Prodi si arrabbia». Gli fa eco Rosy Bindi: «Bisogna ripartire da lì, dalla vicenda dei 101, da quella ferita che sanguina ancora». Prodi torna il tormentone della sinistra Pd, inutilmente il vicepresidente Matteo Orfini chiede di «non gettare nomi nel tritacarne mediatico».
Ma il pasticcio è frutto del pasticciere Renzi che, lanciando un «segnale» di apertura verso Berlusconi, di fatto ha messo in stato di massima allerta la sinistra Pd. Che ora chiede che il nome del successore di Napolitano non sia (troppo) riconoscibile come l’ennesimo frutto del Patto del Nazareno. E non sarà Prodi, ma è probabile che alla fine la sinistra Pd non sarà scontentata. Tanto ormai un impresentabile presidente da larghe intese non serve neanche più, oggi che Berlusconi, rassicurato dal «segnale» di Renzi, è pronto a votare chiunque.
http://ilmanifesto.info/il-salva-silvio ... -di-stato/
Governo. Gaffe su gaffe, la ministra Boschi respinge la richiesta dello stesso Pd di riferire sul pasticcio del decreto fiscale:
zitti e mosca. Sinistra Pd in stato di massima allerta contro «l’ombra» che si allunga sull’elezione del Colle.
Bersani e Bindi: «Ripartire da Prodi»
Chi ha ideato la norma Salva-Silvio, chi l’ha scritta, chi l’ha taciuta e inserita nel decreto poi ritirato? Cosa si sono detti davvero i ministri nel consiglio della vigilia di Natale che l’ha approvata, dato che Renzi sostiene che il testo «è stato approfondito punto per punto»? Se fosse così, non si capisce perché tanto mistero sulla genesi dell’iniziativa che imbarazza il Pd e fa felice Berlusconi. E invece no: il governo seppellisce tutte gli interrogativi sotto un’abbondante palata di sabbia.
Dopo la chiamata in correo ai ministri del sottosegretario Delrio («Quando esce un testo la responsabilità è sempre della collegialità del consiglio»), Renzi intima ai suoi di farsi i fatti loro: in sostanza lo ha fatto mercoledì davanti deputati, zittendoli con un definitivo «la manina sono io». Poi sull’ordine di reticenza ieri è arrivato perfino il timbro dell’ufficialità: alla capigruppo del senato la ministra Boschi sentenzia che «gli atti del consiglio dei ministri non sono oggetto di informativa». In pratica sono secretati.
Ma nel gruppo del Pd, che pure ha dimostrato di avere stomaco forte, la cosa non va giù. Ieri mattina al senato Massimo Mucchetti prende la parola: «Chiedo che il presidente del consiglio venga a raccontarci per filo e per segno come sono andate le cose». Mucchetti riassume implacabilmente tutte le domande che da quattro giorni mezzo mondo rivolge a Renzi: «Quale sia stato il testo del decreto fiscale licenziato dal ministero dell’Economia, quale testo sia arrivato in Consiglio dei ministri, se sia lo stesso o se abbia subito modificazioni di contenuto e, qualora tali modificazioni di contenuto siano state apportate, chi le abbia apportate e come. È possibile che non emerga niente di speciale da queste informazioni, ma è possibile anche, ed è questa la preoccupazione che mi muove, che emerga un funzionamento non perfetto della formazione delle decisioni politiche». Tradotto: c’è un suggeritore fuori dal governo?
Fra i senatori dem scoppia il panico. Era stato il presidente Zanda ad autorizzare Mucchetti a prendere parola per «svelenire il clima». L’effetto è un clamoroso autogol. Corre ai ripari Giorgio Tonini, uomo di buone maniere nella compagnia un po’ grossier dei renziani. Ma stavolta è spiccio anche lui: Mucchetti parla «in considerazione del suo ruolo importante di presidente di commissione» ma il gruppo confidava «nel senso di responsabilità e di equilibrio del collega». Invece il collega ha parlato fuori dai denti, quindi l’intervento è a titolo personale.
Le opposizioni si uniscono alla richiesta. La Lega chiede chiarezza «sul blitz natalizio». Per Sel il vero tema è l’eterno mistero del patto del Nazareno e le sue implicazioni sull’elezione del nuovo capo dello stato che, dice Loredana De Petris, «deve essere messa al riparo da tutte le operazioni e i tentativi di scambio emersi da questa vicenda». Alla capigruppo Boschi esclude senza mezzi termini che il governo vada in aula a riferire del Salva-Silvio: gli atti del consiglio non sono oggetto di informativa.
La scena si ripete alla camera, dove Pippo Civati e Arturo Scotto (Sel) si associano alla richiesta dei senatori. Ma anche Pier Luigi Bersani mette in relazione «la manina» che ha scritto la norma che anticipa il ritorno di Berlusconi alla politica attiva (norma per ora ritirata) con l’elezione del Colle. Sul fisco «non guasterebbe se Renzi spiegasse in parlamento». E ora per fugare i dubbi sullo scambio con Forza italia dovrebbe proporre Prodi: «È immaginabile ripartire da dove ci si è fermati. Non ho bisogno di dire niente altrimenti poi Prodi si arrabbia». Gli fa eco Rosy Bindi: «Bisogna ripartire da lì, dalla vicenda dei 101, da quella ferita che sanguina ancora». Prodi torna il tormentone della sinistra Pd, inutilmente il vicepresidente Matteo Orfini chiede di «non gettare nomi nel tritacarne mediatico».
Ma il pasticcio è frutto del pasticciere Renzi che, lanciando un «segnale» di apertura verso Berlusconi, di fatto ha messo in stato di massima allerta la sinistra Pd. Che ora chiede che il nome del successore di Napolitano non sia (troppo) riconoscibile come l’ennesimo frutto del Patto del Nazareno. E non sarà Prodi, ma è probabile che alla fine la sinistra Pd non sarà scontentata. Tanto ormai un impresentabile presidente da larghe intese non serve neanche più, oggi che Berlusconi, rassicurato dal «segnale» di Renzi, è pronto a votare chiunque.
http://ilmanifesto.info/il-salva-silvio ... -di-stato/
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
>>Sinistra Pd in stato di massima allerta contro «l’ombra» che si allunga sull’elezione del Colle.
Chissà come trema Renzi.
La "sinistra PD" se rimane ferma e non si muove per aggregare una maggioranza alternativa, si troverà a votare uno alla Violante.
La politica si fa attivamente, lavorando nelle assemblee, elaborando ipotesi su cui contarsi, non certo rimanendo a guardare le curve di Boschi.
Questo vale per Civati/Fassina/Bindi/Bersani.
Ma anche per Vendola e grillini vari fuoriusciti e non.
soloo42000
Chissà come trema Renzi.
La "sinistra PD" se rimane ferma e non si muove per aggregare una maggioranza alternativa, si troverà a votare uno alla Violante.
La politica si fa attivamente, lavorando nelle assemblee, elaborando ipotesi su cui contarsi, non certo rimanendo a guardare le curve di Boschi.
Questo vale per Civati/Fassina/Bindi/Bersani.
Ma anche per Vendola e grillini vari fuoriusciti e non.
soloo42000
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Corriere 12.1.15
Vannino Chiti
«Non appoggerò l’Italicum se non ci sono preferenze vere»
intervista di Daria Gorodisky
ROMA Senatore Vannino Chiti, siamo alla fase finale della riforma elettorale?
«A Palazzo Madama forse si voterà la settimana prossima. Poi tornerà alla Camera. Ci sono già importanti modifiche: lo sbarramento unico al 3% per accedere alla ripartizione dei seggi e il 40% come soglia, al primo turno, per il premio di maggioranza di lista. Ma spero che ce ne siano altre».
La minoranza del Partito democratico, di cui lei fa parte, è contraria ai capilista bloccati.
«Non esiste un problema di maggioranze o minoranze pd: lo scorso congresso è passato e il prossimo è lontano anni… Si tratta di avere un sistema di voto che tenga insieme governabilità e rappresentatività. Il premio alla lista garantisce la prima».
Mentre per la rappresentatività?
«Con un Senato che non sarà più eletto dai cittadini non possono andare bene i capilista bloccati per la Camera: il 60% dei deputati non verrebbero scelti, ma nominati. E, per avere anche solo 1 o 2 “scelti”, il partito arrivato secondo dovrebbe ottenere almeno il 20% dei consensi».
C’è chi propone di presentare lo stesso capolista in diverse circoscrizioni: l’eletto, optando per una, lascerebbe il posto a chi ha conquistato più preferenze.
«No, prevarrebbe l’appartenenza a correnti partitiche o amicali. E sono anche contrario all’ipotesi di ridurre il numero delle circoscrizioni, che aumenterebbe i costi ed eroderebbe ancora la fiducia dei cittadini nella politica. Servono pochi candidati ben noti localmente. E ci sono soltanto due strade: o i collegi uninominali, o le liste circoscrizionali con almeno il 75% di eletti con le preferenze. Poi si potrebbe valutare la possibilità di coalizione in caso di secondo turno».
Forza Italia dissente su molti punti. Ci può essere riforma senza di loro?
«Siamo vicini all’elezione per il Quirinale, non credo che si voglia una rottura con Forza Italia».
E la minoranza pd la voterà comunque?
«Sono valutazioni personali. Per me, una legge elettorale che non consente la vera scelta dei deputati non può essere appoggiata».
Vannino Chiti
«Non appoggerò l’Italicum se non ci sono preferenze vere»
intervista di Daria Gorodisky
ROMA Senatore Vannino Chiti, siamo alla fase finale della riforma elettorale?
«A Palazzo Madama forse si voterà la settimana prossima. Poi tornerà alla Camera. Ci sono già importanti modifiche: lo sbarramento unico al 3% per accedere alla ripartizione dei seggi e il 40% come soglia, al primo turno, per il premio di maggioranza di lista. Ma spero che ce ne siano altre».
La minoranza del Partito democratico, di cui lei fa parte, è contraria ai capilista bloccati.
«Non esiste un problema di maggioranze o minoranze pd: lo scorso congresso è passato e il prossimo è lontano anni… Si tratta di avere un sistema di voto che tenga insieme governabilità e rappresentatività. Il premio alla lista garantisce la prima».
Mentre per la rappresentatività?
«Con un Senato che non sarà più eletto dai cittadini non possono andare bene i capilista bloccati per la Camera: il 60% dei deputati non verrebbero scelti, ma nominati. E, per avere anche solo 1 o 2 “scelti”, il partito arrivato secondo dovrebbe ottenere almeno il 20% dei consensi».
C’è chi propone di presentare lo stesso capolista in diverse circoscrizioni: l’eletto, optando per una, lascerebbe il posto a chi ha conquistato più preferenze.
«No, prevarrebbe l’appartenenza a correnti partitiche o amicali. E sono anche contrario all’ipotesi di ridurre il numero delle circoscrizioni, che aumenterebbe i costi ed eroderebbe ancora la fiducia dei cittadini nella politica. Servono pochi candidati ben noti localmente. E ci sono soltanto due strade: o i collegi uninominali, o le liste circoscrizionali con almeno il 75% di eletti con le preferenze. Poi si potrebbe valutare la possibilità di coalizione in caso di secondo turno».
Forza Italia dissente su molti punti. Ci può essere riforma senza di loro?
«Siamo vicini all’elezione per il Quirinale, non credo che si voglia una rottura con Forza Italia».
E la minoranza pd la voterà comunque?
«Sono valutazioni personali. Per me, una legge elettorale che non consente la vera scelta dei deputati non può essere appoggiata».
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Corriere 12.1.15
Fassina-Civati, missione greca: qui a scuola di sinistra vera
Il tour dei due esponenti pd per studiare Syriza
di Andrea Nicastro
ATENE L’autoironia non manca. «Ci fosse anche Gianni Cuperlo potremmo anche fondare un nuovo Pd in esilio». Fine settimana di vacanze-lavoro per Stefano Fassina e Pippo Civati. Due dei più coriacei dissidenti del renzismo sono arrivati alla scuola di Atene per abbeverarsi alla fonte della nuova sinistra-sinistra di Alexis Tsipras.
Sono l’avanguardia delle scanzonate Brigate Kalimera della sinistra italiana prenotate sui voli low cost per il weekend elettorale di fine gennaio quando il partito anti liberista e anti austerity Syriza potrebbe conquistare la maggioranza del Parlamento greco. «Per chi come noi crede sia possibile un’alternativa alle politiche rigoriste europee sarebbe una bella spinta». Solo all’idea brilla nuova luce negli occhi.
Sono come al primo giorno di un nuovo corso che promette di insegnare cose meravigliose.
Invece di Platone hanno trovato il giovane Tsipras. Civati è venuto a sue spese con la compagna. Anche Fassina attinge al portafogli personale, ma in compagnia di «uno degli ultimi funzionari di partito viventi, praticamente un dinosauro» (così come si definisce l’interessato). Pure «l’esemplare in via di estinzione» è in ferie.
Sarà la passione, l’aria dolce di Atene, il profumo di souvlaki o che qui discutere di politica attorno ad una bella cena costa meno di 10 euro a testa, fatto sta che la maggior parte degli incontri assume una venatura nostalgica. Non è mai bello stare in panchina a guardare gli altri vincere, anche quando sono degli amici. La rete di accoglienza è fatta da pochi elementi scelti. Un ex candidato nelle liste di Tsipras in Italia, un’ex giovane comunista esiliata a Roma ai tempi dei colonnelli, simpatizzanti di origini disparate.
Compare anche Stathis, fratello del rivoluzionario Panagulis, amore di Oriana Fallaci e ispiratore del suo «Un uomo». Pare un viaggio nel tempo: passato e futuro.
Il lavoro che la coppia di minoranza si propone in Grecia è serio quanto ciclopico: capire come Syriza sia riuscito in tre anni a passare dal 2-3% a proiezioni che lo danno primo partito con il 30 per cento. La scalata greca è avvenuta per di più senza rinnegare l’ispirazione marxista del movimento. Ai due Pd in trasferta potrebbe forse bastare un innesto di egalitarismo e una spintarella keynesiana. Civati sembra preoccuparsi soprattutto di carpire il segreto del radicamento sociale di Syriza attraverso le associazioni di assistenza promosse dal partito.
Mense sociali, ambulatori gratuiti, il vecchio sano lavoro di base che nel Pd «made in Renzi» è dato per «desaparecido». «Movimento sociale e politico crescono insieme — dice Pippo —. E crescita dovrebbe coincidere con uguaglianza». Fassina, da buon economista, è concentrato sui numeri. Guarda alla gravità della crisi sociale greca e alla disperazione che ne è nata. «In Italia, fortunatamente, non siamo arrivati a tanto».
Tra un piatto di tzatziki e un dibattito, il gioco degli specchi tra Grecia e Italia regala riflessi a volontà. Un tempo era la sinistra ateniese a scappare da noi, domani chissà? Allora la sinistra italiana era la più forte d’Europa, il 26 gennaio potrebbe essere la greca. Una volta facevano scuola le salamelle alle Feste dell’Unità e la capillarità delle sezioni Pci.
Oggi è Syriza ad inventarsi le lenticchie equosolidali e le associazioni di auto-aiuto. Parallelismi e fughe in avanti. Da noi la frammentata banda dell’Ulivo di Prodi è stata incapace di reggere alla prova di governo, qui ad Atene l’ala massimalista del partito potrebbe togliere il sorriso a Tsipras. C’è spazio anche per qualche frecciatina al frenetico segretario restato in Italia. «Nel semestre europeo di presidenza italiana, Renzi non ha aperto alcun discorso di verità sull’Eurozona — dice Fassina —. Vediamo se ci riesce la Grecia con la vittoria di Alexis Tsipras».
I due hanno alberghi e agende diverse, ma incontri a ripetizione anche con esponenti di partiti diversi dal rosso Sypras. Fassina ne approfitta per presentare il suo libro-manifesto «Il lavoro prima di tutto» (Donzelli editore) nel Caffè Aitiou, giusto sotto il Partenone.
«Il programma di Syriza non è affatto estremista — spiega —. Anzi è l’unico realista perché prende atto che l’agenda della Troika non funziona».
La vera domanda dal pubblico all’ex dipendente del Fondo Monetario Internazionale è «riusciremo a convincere il mondo a condonare il nostro debito pubblico?». L’ex vice ministro delle Finanze cerca di regalare le rassicurazioni che i compagni greci vorrebbero sentire da lui. Parla della necessità di una «conferenza sul debito» e di una «rinegoziazione». Ma chi è minoranza non può dare garanzie. Il massimo che gli esce è: «Farò di tutto per convincere il Pd ad appoggiare le richieste di Syriza».
Fassina-Civati, missione greca: qui a scuola di sinistra vera
Il tour dei due esponenti pd per studiare Syriza
di Andrea Nicastro
ATENE L’autoironia non manca. «Ci fosse anche Gianni Cuperlo potremmo anche fondare un nuovo Pd in esilio». Fine settimana di vacanze-lavoro per Stefano Fassina e Pippo Civati. Due dei più coriacei dissidenti del renzismo sono arrivati alla scuola di Atene per abbeverarsi alla fonte della nuova sinistra-sinistra di Alexis Tsipras.
Sono l’avanguardia delle scanzonate Brigate Kalimera della sinistra italiana prenotate sui voli low cost per il weekend elettorale di fine gennaio quando il partito anti liberista e anti austerity Syriza potrebbe conquistare la maggioranza del Parlamento greco. «Per chi come noi crede sia possibile un’alternativa alle politiche rigoriste europee sarebbe una bella spinta». Solo all’idea brilla nuova luce negli occhi.
Sono come al primo giorno di un nuovo corso che promette di insegnare cose meravigliose.
Invece di Platone hanno trovato il giovane Tsipras. Civati è venuto a sue spese con la compagna. Anche Fassina attinge al portafogli personale, ma in compagnia di «uno degli ultimi funzionari di partito viventi, praticamente un dinosauro» (così come si definisce l’interessato). Pure «l’esemplare in via di estinzione» è in ferie.
Sarà la passione, l’aria dolce di Atene, il profumo di souvlaki o che qui discutere di politica attorno ad una bella cena costa meno di 10 euro a testa, fatto sta che la maggior parte degli incontri assume una venatura nostalgica. Non è mai bello stare in panchina a guardare gli altri vincere, anche quando sono degli amici. La rete di accoglienza è fatta da pochi elementi scelti. Un ex candidato nelle liste di Tsipras in Italia, un’ex giovane comunista esiliata a Roma ai tempi dei colonnelli, simpatizzanti di origini disparate.
Compare anche Stathis, fratello del rivoluzionario Panagulis, amore di Oriana Fallaci e ispiratore del suo «Un uomo». Pare un viaggio nel tempo: passato e futuro.
Il lavoro che la coppia di minoranza si propone in Grecia è serio quanto ciclopico: capire come Syriza sia riuscito in tre anni a passare dal 2-3% a proiezioni che lo danno primo partito con il 30 per cento. La scalata greca è avvenuta per di più senza rinnegare l’ispirazione marxista del movimento. Ai due Pd in trasferta potrebbe forse bastare un innesto di egalitarismo e una spintarella keynesiana. Civati sembra preoccuparsi soprattutto di carpire il segreto del radicamento sociale di Syriza attraverso le associazioni di assistenza promosse dal partito.
Mense sociali, ambulatori gratuiti, il vecchio sano lavoro di base che nel Pd «made in Renzi» è dato per «desaparecido». «Movimento sociale e politico crescono insieme — dice Pippo —. E crescita dovrebbe coincidere con uguaglianza». Fassina, da buon economista, è concentrato sui numeri. Guarda alla gravità della crisi sociale greca e alla disperazione che ne è nata. «In Italia, fortunatamente, non siamo arrivati a tanto».
Tra un piatto di tzatziki e un dibattito, il gioco degli specchi tra Grecia e Italia regala riflessi a volontà. Un tempo era la sinistra ateniese a scappare da noi, domani chissà? Allora la sinistra italiana era la più forte d’Europa, il 26 gennaio potrebbe essere la greca. Una volta facevano scuola le salamelle alle Feste dell’Unità e la capillarità delle sezioni Pci.
Oggi è Syriza ad inventarsi le lenticchie equosolidali e le associazioni di auto-aiuto. Parallelismi e fughe in avanti. Da noi la frammentata banda dell’Ulivo di Prodi è stata incapace di reggere alla prova di governo, qui ad Atene l’ala massimalista del partito potrebbe togliere il sorriso a Tsipras. C’è spazio anche per qualche frecciatina al frenetico segretario restato in Italia. «Nel semestre europeo di presidenza italiana, Renzi non ha aperto alcun discorso di verità sull’Eurozona — dice Fassina —. Vediamo se ci riesce la Grecia con la vittoria di Alexis Tsipras».
I due hanno alberghi e agende diverse, ma incontri a ripetizione anche con esponenti di partiti diversi dal rosso Sypras. Fassina ne approfitta per presentare il suo libro-manifesto «Il lavoro prima di tutto» (Donzelli editore) nel Caffè Aitiou, giusto sotto il Partenone.
«Il programma di Syriza non è affatto estremista — spiega —. Anzi è l’unico realista perché prende atto che l’agenda della Troika non funziona».
La vera domanda dal pubblico all’ex dipendente del Fondo Monetario Internazionale è «riusciremo a convincere il mondo a condonare il nostro debito pubblico?». L’ex vice ministro delle Finanze cerca di regalare le rassicurazioni che i compagni greci vorrebbero sentire da lui. Parla della necessità di una «conferenza sul debito» e di una «rinegoziazione». Ma chi è minoranza non può dare garanzie. Il massimo che gli esce è: «Farò di tutto per convincere il Pd ad appoggiare le richieste di Syriza».
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Un governo di baby incompetenti??? Si direbbe di sì. O si tratta di altro???
Da qualche parte del forum ci sta la dichiarazione di Sartori sul Corriere della Sera dopo aver letto la lista dei ministri: <<E' un governo di incompetenti guidato da un incompetente>>
Oggi, ad 11 mesi dall'insediamento è Bruno Tinti a certificarlo.
il Fatto 17.1.15
Turboriforme
Il falso in bilancio ora è impossibile
di Bruno Tinti
magistrato
Ma perché nessuno glielo dice Renzi che il suo ministro della Giustizia di Giustizia non capisce niente? Ha senso assumersi orgogliosamente la paternità degli inciuci? Per di più affrontando con superba faciloneria questioni tecniche di cui sfuggono significato e conseguenze.
Prendiamo l’ultima schifezza, il falso in bilancio riveduto, corretto e rimasto tale quale.
Orlando e Renzi lo sanno cosa sono le soglie di punibilità e a che servono Evidentemente no, però – se hanno pazienza – leggendo qui lo possono capire.
Queste soglie nascono nel 1982, con i reati tributari: sono talmente tanti che è impossibile celebrare tutti i processi. Attenzione, tutti i processi per i reati che si scoprono; che sono una piccola parte (il 10%) di quelli che si commettono.
Sicché si decide di alleggerire lo strumento penale: sarà utilizzato solo per le evasioni più rilevanti quelle al di sopra di una certa “soglia” (fissa, uguale per tut ti, non percentuale) ; per quelle più piccole, sotto la “soglia”, se ne occuperà l’Agenzia delle Entrate che oltre a riscuotere le imposte dovute, irrogherà sanzioni amministrative, le multe.
Il sistema dunque sanziona tutta l’evasione fiscale (scoperta): parte con la Giustizia penale e parte con quella amministrativa. Ma le “soglie fantasiosamente immaginate dall’avv. Ghedini in Tribunale a Milano, mentre difende va B. imputato di falso in bilancio, respinte con perdite perché non previste dalla legge, quindi introdotte con legge dallo stesso B., oggi riproposte dal duo dinamico, semplicemente depenalizzano questo reato.
In altre parole se la posta falsificata è inferiore al 5% del risultato di esercizio, o all’1% del patrimonio netto, il bilancio è falso sì; ma è un falso lecito; nessuna sanzione, penale o amministrativa è prevista.
LA COSA più assurda è che tanto più è ricco il falsificatore, tanto più è elevato il falso; ma, purché inferiore alle soglie, non costituisce reato Invece un piccolo falsificatore, che però superi le soglie lui sì che può essere condannato. Orlando e Renzi non lo sanno (ma Renzi dovrebbe, laureato in Legge, ha studiato Diritto penale) ma stanno applicando a rovescio una vituperata teoria giuridica nazista: la colpa d’autore (Taterschuld). Secondo questa teoria ciò che merita punizione non è tanto il delitto ma il modo di essere di chi lo ha commesso: si punisce qualcuno perché è molto cattivo indipendentemente dalla gravità del reato.
Ovviamente è un’aberrazione: la legge punisce il reato in funzione della sua gravità; e prevede una pena variabile tra un minimo e un massimo; entro questi limiti si tiene conto della personalità del reo e si determina la misura della pena, più o meno alta. Con le soglie previste da Orlando (e prima ancora e non a caso da B) succede che, quanto più è ricca una persona, tanto meno è meritevole di pena. Sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere.
La riforma copia carbone ha mantenuto la procedibilità a querela: vuol dire che non si può procedere (tranne si tratti di società quotate) anche per un falso gravissimo, se i soci della società o i creditori non sporgono querela.
I SOCI: avete mai visto un ladro che si autodenuncia? I soci che non fanno parte del Consiglio di Amministrazione e che nulla sanno della gestione della società; e i creditori: come fanno a sapere che il bilancio è falso? Magari lo scoprono dopo un anno o due: con una prescrizione di 7 anni e mezzo, meglio che risparmino i soldi dell’avvocato, non ce la faranno mai.
Soprattutto il falso in bilancio riformato (!) mantiene la natura (inventata da Ghedini, lui sa benissimo ciò che fa) di reato di danno: occorre, perché sia reato, che il falso abbia cagionato un danno ai soci o ai creditori. Che siano danneggiati i soci che lo hanno fatto è da escludere: il falso gli serviva per procurarsi un vantaggio: ottenere finanziamenti, distribuire dividendi, pagare meno imposte. Restano i soci eventualmente fregati e i creditori. Ma siamo sempre lì: chi glielo dice che il bilancio è falso? E quando se ne accorgono?
Insomma: avrà qualche significato il fatto che, dal 2000 (legge Ghedini/B), di processi per falso in bilancio non se ne sono fatti più? Questa è la non contestabile dimostrazione che una legge del genere di fatto lo depenalizza.
E, TANTO per concludere con un’ovvietà: il falso in bilancio è la mamma di tutti i reati contro l’economia. Procura i soldi “neri” per pagare la corruzione e il voto di scambio; e senza di lui non si può commettere evasione fiscale. Stando così le cose, le vanterie di Orlando (l’avevamo previsto proprio così, siamo noi che lo vogliamo così) equivalgono a spararsi in un piede.
Se proprio devi fare le porcate, falle di nascosto e spera che non ti scoprano. Ma forse hanno ragione loro. Forse alla gggente di tutto ciò non gliene importa nulla: sperano solo che, un giorno, un bel falso in bilancio capiti di farlo anche a loro.
Da qualche parte del forum ci sta la dichiarazione di Sartori sul Corriere della Sera dopo aver letto la lista dei ministri: <<E' un governo di incompetenti guidato da un incompetente>>
Oggi, ad 11 mesi dall'insediamento è Bruno Tinti a certificarlo.
il Fatto 17.1.15
Turboriforme
Il falso in bilancio ora è impossibile
di Bruno Tinti
magistrato
Ma perché nessuno glielo dice Renzi che il suo ministro della Giustizia di Giustizia non capisce niente? Ha senso assumersi orgogliosamente la paternità degli inciuci? Per di più affrontando con superba faciloneria questioni tecniche di cui sfuggono significato e conseguenze.
Prendiamo l’ultima schifezza, il falso in bilancio riveduto, corretto e rimasto tale quale.
Orlando e Renzi lo sanno cosa sono le soglie di punibilità e a che servono Evidentemente no, però – se hanno pazienza – leggendo qui lo possono capire.
Queste soglie nascono nel 1982, con i reati tributari: sono talmente tanti che è impossibile celebrare tutti i processi. Attenzione, tutti i processi per i reati che si scoprono; che sono una piccola parte (il 10%) di quelli che si commettono.
Sicché si decide di alleggerire lo strumento penale: sarà utilizzato solo per le evasioni più rilevanti quelle al di sopra di una certa “soglia” (fissa, uguale per tut ti, non percentuale) ; per quelle più piccole, sotto la “soglia”, se ne occuperà l’Agenzia delle Entrate che oltre a riscuotere le imposte dovute, irrogherà sanzioni amministrative, le multe.
Il sistema dunque sanziona tutta l’evasione fiscale (scoperta): parte con la Giustizia penale e parte con quella amministrativa. Ma le “soglie fantasiosamente immaginate dall’avv. Ghedini in Tribunale a Milano, mentre difende va B. imputato di falso in bilancio, respinte con perdite perché non previste dalla legge, quindi introdotte con legge dallo stesso B., oggi riproposte dal duo dinamico, semplicemente depenalizzano questo reato.
In altre parole se la posta falsificata è inferiore al 5% del risultato di esercizio, o all’1% del patrimonio netto, il bilancio è falso sì; ma è un falso lecito; nessuna sanzione, penale o amministrativa è prevista.
LA COSA più assurda è che tanto più è ricco il falsificatore, tanto più è elevato il falso; ma, purché inferiore alle soglie, non costituisce reato Invece un piccolo falsificatore, che però superi le soglie lui sì che può essere condannato. Orlando e Renzi non lo sanno (ma Renzi dovrebbe, laureato in Legge, ha studiato Diritto penale) ma stanno applicando a rovescio una vituperata teoria giuridica nazista: la colpa d’autore (Taterschuld). Secondo questa teoria ciò che merita punizione non è tanto il delitto ma il modo di essere di chi lo ha commesso: si punisce qualcuno perché è molto cattivo indipendentemente dalla gravità del reato.
Ovviamente è un’aberrazione: la legge punisce il reato in funzione della sua gravità; e prevede una pena variabile tra un minimo e un massimo; entro questi limiti si tiene conto della personalità del reo e si determina la misura della pena, più o meno alta. Con le soglie previste da Orlando (e prima ancora e non a caso da B) succede che, quanto più è ricca una persona, tanto meno è meritevole di pena. Sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere.
La riforma copia carbone ha mantenuto la procedibilità a querela: vuol dire che non si può procedere (tranne si tratti di società quotate) anche per un falso gravissimo, se i soci della società o i creditori non sporgono querela.
I SOCI: avete mai visto un ladro che si autodenuncia? I soci che non fanno parte del Consiglio di Amministrazione e che nulla sanno della gestione della società; e i creditori: come fanno a sapere che il bilancio è falso? Magari lo scoprono dopo un anno o due: con una prescrizione di 7 anni e mezzo, meglio che risparmino i soldi dell’avvocato, non ce la faranno mai.
Soprattutto il falso in bilancio riformato (!) mantiene la natura (inventata da Ghedini, lui sa benissimo ciò che fa) di reato di danno: occorre, perché sia reato, che il falso abbia cagionato un danno ai soci o ai creditori. Che siano danneggiati i soci che lo hanno fatto è da escludere: il falso gli serviva per procurarsi un vantaggio: ottenere finanziamenti, distribuire dividendi, pagare meno imposte. Restano i soci eventualmente fregati e i creditori. Ma siamo sempre lì: chi glielo dice che il bilancio è falso? E quando se ne accorgono?
Insomma: avrà qualche significato il fatto che, dal 2000 (legge Ghedini/B), di processi per falso in bilancio non se ne sono fatti più? Questa è la non contestabile dimostrazione che una legge del genere di fatto lo depenalizza.
E, TANTO per concludere con un’ovvietà: il falso in bilancio è la mamma di tutti i reati contro l’economia. Procura i soldi “neri” per pagare la corruzione e il voto di scambio; e senza di lui non si può commettere evasione fiscale. Stando così le cose, le vanterie di Orlando (l’avevamo previsto proprio così, siamo noi che lo vogliamo così) equivalgono a spararsi in un piede.
Se proprio devi fare le porcate, falle di nascosto e spera che non ti scoprano. Ma forse hanno ragione loro. Forse alla gggente di tutto ciò non gliene importa nulla: sperano solo che, un giorno, un bel falso in bilancio capiti di farlo anche a loro.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Falso in bilancio, Orlando ‘confessa’. Favore a Berlusconi? ‘No, a Confindustria’
Il Guardasigilli al Senato risponde agli attacchi dei 5 stelle sulle soglie di non punibilità riprese dalla legge ad personam: "Non siamo amici dei criminali, abbiamo ascoltato le preoccupazioni degli imprenditori". E ammette: "Sulla giustizia contraddizioni interne alla maggioranza". L'annuncio: "Pentiti anche nei processi per tangenti"
di Mario Portanova | 20 gennaio 2015
Non è per fare un piacere a Berlusconi, ma a Confindustria e alle altre organizzazioni imprenditoriali. Così, intervenendo al Senato per illustrare la relazione sulla Giustizia già approvata ieri dalla Camera, il ministro della Giustizia Andrea Orlando giustifica la volontà del governo di mantenere le soglie di non punibilità penale per il falso in bilancio, introdotte nel 2003 dalla maggioranza berlusconiana. “Non è perché abbiamo introdotto delle soglie che siamo amici di quelli che fanno il falso in bilancio” ha detto il ministro in aula, rivolgendosi in particolare al Movimento 5 Stelle, che nei giorni scorsi aveva attaccato pesantemente l’emendamento governativo al ddl anticorruzione, volto a lasciare inalterati i limiti del 5% dell’utile di esercizio e dell’1% del patrimonio netto al di sotto dei quali i magistrati non possono intervenire. “Nella stesura estiva non avevamo previsto soglie”, ha spiegato Orlando, “abbiamo fatto una consultazione nella quale forze sociali ci hanno posto il tema di distinguere tra aziende quotate e non quotate e di tener conto che alcune aziende hanno strumenti diversi per fare il bilancio. Per alcune la possibilità di cadere nell’errore è più alto, ne vogliamo tenere conto o no?”. Poi ha chiarito: “Venite ad ascoltare con me ciò che dice Confindustria, Cna, Confartigianato, le preoccupazioni delle imprese, e vediamo in che misura tenerne conto”. L’intervento di Orlando sembra chiarire un punto sollevato qualche giorno fa da ilfattoquotidiano.it: sul sito del ministero di via Arenula campeggia infatti una relazione tecnica del 17 luglio 2014 in cui si manifesta l’intenzione di “riconsiderare le soglie” del falso in bilancio, perché rischiano di “incentivare le condotte di falso”. Poi sono arrivate le consultazioni con Confindustria e con le altre sigle imprenditoriali, e le soglie sono ritornate in auge.
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Insomma, nessun favore a Berlusconi, contraente del patto del Nazareno con Matteo Renzi. Il che è anche plausibile, dato che il leader di Forza Italia oggi non risulta avere pendenze per reati societari di questo tipo e ha già raccolto a suo tempo il frutto della legge ad personam, che gli ha consentito per esempio di uscire assolto dal processo Sme, e non solo, “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, proprio grazie alle provvidenziali soglie percentuali. Discorso diverso per altre soglie introdotte in un testo governativo, quello sulla frode fiscale, che potrebbero cancellare la condanna definitiva al processo Mediaset, e che in seguito alle polemiche Renzi ha annunciato di aver bloccato. Di fronte al Senato, però, Orlando pone un tema ben più ampio dei favori a Berlusconi: quello della diffusa insofferenza degli imprenditori italiani verso maglie di legalità troppo strette. Dove “stretto” è un concetto relativo dato che, come più volte segnalato su Il Fatto Quotidiano, i limiti del 5% dell’utile e dell’1% del patrimonio concedono ai bilanci dei grandi gruppi una sorta di franchigia da centinaia di milioni di euro l’anno. Tanto che in questi giorni il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone è stato molto cauto nel commentare la questione, a cui pure è interessato dato che il falso in bilancio può nascondere i fondi neri necessari a pagare mazzette. “E’ chiaro che, entro certi limiti di tolleranza, lo spostamento dal vero può anche essere non punibile”, afferma oggi Cantone in un’intervista a Repubblica. “Ma la percentuale non può essere molto elevata e soprattutto non convince che ci sia un pezzo di perseguibilità a querela”.
Per uscire dall’angolo, Orlando mette a nudo un altro nodo cruciale che riguarda i provvedimenti legislativi sulla giustizia, soprattutto quando coinvolgono i colletti bianchi. Quello delle “contraddizioni che esistono anche dentro la maggioranza“. Leggi certamente l’Ncd di Angelino Alfano, ma non solo. Anche all’interno del Pd, negli ultimi mesi, i mal di pancia su questo fronte sono stati tanti ed espliciti, da Piero Grasso a Pippo Civati, da Felice Casson a Lucrezia Ricchiuti, fino alla recente rottura di Sergio Cofferati, che ha lasciato polemicamente il partito dopo il caso delle primarie inquinate a Genova. “Il tema è fare le corse e arrivare nell’altro ramo del Parlamento per poi non sanare le contraddizioni e lasciare i provvedimenti galleggiare”, si chiede retoricamente Orlando, “o forse è meglio sciogliere le contraddizioni che esistono anche dentro la maggioranza in modo tale da far arrivare alla meta il provvedimento? Lo dico perché non considero di aver boicottato la legge sulla responsabilità civile (dei magistrati, ndr), abbiamo fatto una scelta di composizione e lo stesso ragionamento va fatto su altri temi delicati”.
Come ieri la Camera, il Senato ha approvato la relazione di Orlando sulla Giustizia. Il ministro ha poi rilanciato con l’annuncio di un nuovo provvedimento: il pentito anti-tangenti: “Credo che manchi oggettivamente un intervento tra quelli all’esame del Parlamento, che sono convinto porteranno a un risultato significativo, che è lo sconto di pena per chi collabora nell’ambito delle inchieste per corruzione, che è l’unico intervento perché in grado di rompere la logica di omertà che spesso caratterizza le organizzazioni corruttive”. Ad avanzare la richiesta di introdurre la figura del pentito nei processo per corruzione era stato, l’11 dicembre davanti la commissione Antimafia, il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone.
di Mario Portanova | 20 gennaio 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01 ... a/1355889/
Il Guardasigilli al Senato risponde agli attacchi dei 5 stelle sulle soglie di non punibilità riprese dalla legge ad personam: "Non siamo amici dei criminali, abbiamo ascoltato le preoccupazioni degli imprenditori". E ammette: "Sulla giustizia contraddizioni interne alla maggioranza". L'annuncio: "Pentiti anche nei processi per tangenti"
di Mario Portanova | 20 gennaio 2015
Non è per fare un piacere a Berlusconi, ma a Confindustria e alle altre organizzazioni imprenditoriali. Così, intervenendo al Senato per illustrare la relazione sulla Giustizia già approvata ieri dalla Camera, il ministro della Giustizia Andrea Orlando giustifica la volontà del governo di mantenere le soglie di non punibilità penale per il falso in bilancio, introdotte nel 2003 dalla maggioranza berlusconiana. “Non è perché abbiamo introdotto delle soglie che siamo amici di quelli che fanno il falso in bilancio” ha detto il ministro in aula, rivolgendosi in particolare al Movimento 5 Stelle, che nei giorni scorsi aveva attaccato pesantemente l’emendamento governativo al ddl anticorruzione, volto a lasciare inalterati i limiti del 5% dell’utile di esercizio e dell’1% del patrimonio netto al di sotto dei quali i magistrati non possono intervenire. “Nella stesura estiva non avevamo previsto soglie”, ha spiegato Orlando, “abbiamo fatto una consultazione nella quale forze sociali ci hanno posto il tema di distinguere tra aziende quotate e non quotate e di tener conto che alcune aziende hanno strumenti diversi per fare il bilancio. Per alcune la possibilità di cadere nell’errore è più alto, ne vogliamo tenere conto o no?”. Poi ha chiarito: “Venite ad ascoltare con me ciò che dice Confindustria, Cna, Confartigianato, le preoccupazioni delle imprese, e vediamo in che misura tenerne conto”. L’intervento di Orlando sembra chiarire un punto sollevato qualche giorno fa da ilfattoquotidiano.it: sul sito del ministero di via Arenula campeggia infatti una relazione tecnica del 17 luglio 2014 in cui si manifesta l’intenzione di “riconsiderare le soglie” del falso in bilancio, perché rischiano di “incentivare le condotte di falso”. Poi sono arrivate le consultazioni con Confindustria e con le altre sigle imprenditoriali, e le soglie sono ritornate in auge.
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Insomma, nessun favore a Berlusconi, contraente del patto del Nazareno con Matteo Renzi. Il che è anche plausibile, dato che il leader di Forza Italia oggi non risulta avere pendenze per reati societari di questo tipo e ha già raccolto a suo tempo il frutto della legge ad personam, che gli ha consentito per esempio di uscire assolto dal processo Sme, e non solo, “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, proprio grazie alle provvidenziali soglie percentuali. Discorso diverso per altre soglie introdotte in un testo governativo, quello sulla frode fiscale, che potrebbero cancellare la condanna definitiva al processo Mediaset, e che in seguito alle polemiche Renzi ha annunciato di aver bloccato. Di fronte al Senato, però, Orlando pone un tema ben più ampio dei favori a Berlusconi: quello della diffusa insofferenza degli imprenditori italiani verso maglie di legalità troppo strette. Dove “stretto” è un concetto relativo dato che, come più volte segnalato su Il Fatto Quotidiano, i limiti del 5% dell’utile e dell’1% del patrimonio concedono ai bilanci dei grandi gruppi una sorta di franchigia da centinaia di milioni di euro l’anno. Tanto che in questi giorni il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone è stato molto cauto nel commentare la questione, a cui pure è interessato dato che il falso in bilancio può nascondere i fondi neri necessari a pagare mazzette. “E’ chiaro che, entro certi limiti di tolleranza, lo spostamento dal vero può anche essere non punibile”, afferma oggi Cantone in un’intervista a Repubblica. “Ma la percentuale non può essere molto elevata e soprattutto non convince che ci sia un pezzo di perseguibilità a querela”.
Per uscire dall’angolo, Orlando mette a nudo un altro nodo cruciale che riguarda i provvedimenti legislativi sulla giustizia, soprattutto quando coinvolgono i colletti bianchi. Quello delle “contraddizioni che esistono anche dentro la maggioranza“. Leggi certamente l’Ncd di Angelino Alfano, ma non solo. Anche all’interno del Pd, negli ultimi mesi, i mal di pancia su questo fronte sono stati tanti ed espliciti, da Piero Grasso a Pippo Civati, da Felice Casson a Lucrezia Ricchiuti, fino alla recente rottura di Sergio Cofferati, che ha lasciato polemicamente il partito dopo il caso delle primarie inquinate a Genova. “Il tema è fare le corse e arrivare nell’altro ramo del Parlamento per poi non sanare le contraddizioni e lasciare i provvedimenti galleggiare”, si chiede retoricamente Orlando, “o forse è meglio sciogliere le contraddizioni che esistono anche dentro la maggioranza in modo tale da far arrivare alla meta il provvedimento? Lo dico perché non considero di aver boicottato la legge sulla responsabilità civile (dei magistrati, ndr), abbiamo fatto una scelta di composizione e lo stesso ragionamento va fatto su altri temi delicati”.
Come ieri la Camera, il Senato ha approvato la relazione di Orlando sulla Giustizia. Il ministro ha poi rilanciato con l’annuncio di un nuovo provvedimento: il pentito anti-tangenti: “Credo che manchi oggettivamente un intervento tra quelli all’esame del Parlamento, che sono convinto porteranno a un risultato significativo, che è lo sconto di pena per chi collabora nell’ambito delle inchieste per corruzione, che è l’unico intervento perché in grado di rompere la logica di omertà che spesso caratterizza le organizzazioni corruttive”. Ad avanzare la richiesta di introdurre la figura del pentito nei processo per corruzione era stato, l’11 dicembre davanti la commissione Antimafia, il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone.
di Mario Portanova | 20 gennaio 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01 ... a/1355889/
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Italicum, Berlusconi: ‘Noi a favore’. Ma Fi si spacca. Minoranza Pd lascia assemblea
Il leader di Forza Italia per un’ora a Palazzo Chigi e poi conferma l'appoggio per la riforma della legge elettorale. Venti frondisti azzurri contestano la scelta. Fitto: "E' un suicidio". Ventinove senatori democratici firmano documento contro il ddl: "Non trattiamo"
di F. Q. | 20 gennaio 2015
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http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01 ... o/1354023/
Il leader di Forza Italia per un’ora a Palazzo Chigi e poi conferma l'appoggio per la riforma della legge elettorale. Venti frondisti azzurri contestano la scelta. Fitto: "E' un suicidio". Ventinove senatori democratici firmano documento contro il ddl: "Non trattiamo"
di F. Q. | 20 gennaio 2015
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