La Questione Monti
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Re: La Questione Monti
A cui si deve aggiungere la Severino che il 24 aprile ha dichiarato: "Meno tribunali e giudici di pace risparmieremo su intercettazioni e carceri."
E no cara Severino sulle intercettazione proprio no, altrimenti si fa il gioco della mafia e del cav Burlseque.
E nemmeno sulle carceri in quanto in alcuni casi ci sono problemi nell'alimentazione.
Meno tribunali? Manco per niente. Piuttosto una legge per snellire i processi.
In carcere ci sta troppa gente in attesa di giudizio.
Ma dove li hanno trovati questi Professori?
Si riesce a comprendere che se i Professori sono questi gli allievi stanno dimostrando quello che hanno imparato. Ed è per questo che il Paese va a rotoli.
Purtroppo sono della mia generazione.
E no cara Severino sulle intercettazione proprio no, altrimenti si fa il gioco della mafia e del cav Burlseque.
E nemmeno sulle carceri in quanto in alcuni casi ci sono problemi nell'alimentazione.
Meno tribunali? Manco per niente. Piuttosto una legge per snellire i processi.
In carcere ci sta troppa gente in attesa di giudizio.
Ma dove li hanno trovati questi Professori?
Si riesce a comprendere che se i Professori sono questi gli allievi stanno dimostrando quello che hanno imparato. Ed è per questo che il Paese va a rotoli.
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Re: La Questione Monti
Un’anomalia tutta italiana”, l’ha definita il ministro della Giustizia Paola Severino parlando dei 28mila detenuti in attesa di giudizio rinchiusi nelle patrie galere. Durante la presentazione del suo decreto legge, che fra le altre cose prevede la custodia nelle camere di sicurezza delle persone in attesa di processo per direttissima, il Guardasigilli ha ribadito la necessità di agire “tempestivamente” e “senza tentennamenti”.
Eppure c’è un altra anomalia ancora più assurda che andrebbe presa di petto: in Italia ci sono almeno cento penitenziari, inutilizzati, che marciscono abbandonati a se stessi. Oppure, quando va bene, vengono riconvertiti e riutilizzati nei modi più disparati e fantasiosi. Come ad Accadia, un piccolo paesino di montagna in provincia di Foggia, dove hanno in progetto di trasformare il vecchio carcere nel primo centro italiano di produzione di idrogeno da energia rinnovabile.
Un caso isolato? No. A Monopoli per esempio l’ex prigione è stata per anni dimora abusiva degli sfrattati, a Cropani, in provincia di Catanzaro, la casa mandamentale è stata trasformata dal sindaco in deposito per la raccolta differenziata e archivio del Comune. Ad Arena, a due passi da Vibo Valentia, la struttura ospita una onlus, mentre a Petilia, vicino a Crotone, l’edificio diventerà la nuova caserma dei Vigili del fuoco. A Frigento, in Irpinia, i muri delle celle sono stati abbattuti per farne una palestra e una piccola fabbrica. Pochi chilometri più a sud, a Gragnano, la vecchia casa circondariale diventerà un pastificio. Nessuno sa, invece, che fine farà l’istituto di Villalba, in provincia di Caltanissetta, abbandonato dal 1990 e scelto lo scorso anno come set per il film “Pregate, fratelli”.
Si tratta per la maggior parte di case mandamentali, i vecchi istituti di custodia degli imputati a disposizione del Pretore o condannati all’arresto per non oltre un anno. In tutto novanta strutture, che oggi potrebbero rivelarsi utilissime alla luce delle nuove disposizioni del Guardasigilli e, soprattutto, del sovraffollamento cronico dei penitenziari italiani. Eppure per Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, “le case mandamentali costruite nei decenni scorsi non rispondono alle reali esigenze del sistema penitenziario. Quando se ne parla si ignora che sono state cedute al demanio già all’inizio del 2000, spesso senza essere mai utilizzate perché antieconomiche”.
Insomma, quegli istituti sarebbero inutili. Ma non tutti sono d’accordo. Non lo è l’Associazione Antigone, che nel report 2011 sul sistema carcerario italiano include molte case mandamentali nell’elenco delle carceri ‘fantasma’ segnalate in Italia. E non lo è neppure la Corte dei Conti, che già due anni fa bocciava la decisione di chiuderle, specificando che la valutazione costi-benefici del ministero avrebbe dovuto comprendere anche “la comparazione tra gli aspetti negativi connessi alla conservazione della funzione penitenziaria degli istituti in questione e le conseguenze, altrettanto e forse ancor di più, negative scaturenti dal sovraffollamento delle carceri”.
In altre parole: viste le condizioni dei penitenziari italiani, forse era il caso di tenere ancora in piedi quelle strutture o, quanto meno, di recuperarle. Anche perché, quando è successo, i risultati sono stati evidenti. Come a Spinazzola, in Puglia, dove la riconversione della casa mandamentale a centro di custodia per sex offenders ha avuto talmente tanto successo da scatenare le ire di detenuti, poliziotti, associazioni, e anche deputati alla notizia della decisione del Ministero di sopprimerla.
Ma nella politica carceraria italiana non c’è spazio per il recupero. La parola d’ordine è solo una: costruire. E far girare soldi. Una montagna di soldi. Oltre tremila miliardi di euro negli ultimi trent’anni, buona parte dei quali appaltati con gare segretate. È il caso, ad esempio, dei nuovi penitenziari sardi, la cui costruzione fu assegnata con gara informale direttamente dal Siit (Servizi integrati infrastrutture e trasporti) di Lazio, Abruzzo e Sardegna. Era il dicembre 2005 e fino a quattro mesi prima a capo della struttura c’era Angelo Balducci, poi nominato presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Eppure, tre dei quattro nuovi istituti furono affidati comunque a imprenditori finiti con lui nell’inchiesta sulla cricca dei lavori del G8 della Maddalena: la Anemone Costruzioni srl per il carcere di Sassari, la Opere Pubbliche spa per quello di Cagliari, e la Gia. Fi. per Tempio Pausania. Tre appalti da duecento milioni di euro, che avrebbero dovuto portare sull’isola carceri nuovissime e ultramoderne già un anno fa. E invece se tutto va bene i cantieri si chiuderanno per la fine del 2012. Quando, cioè, dovrebbe essere finalmente raggiungibile anche il penitenziario di Reggio Calabria: una struttura all’avanguardia, se non fosse che dopo anni di lavori ci si è accorti che manca la strada d’accesso e i detenuti in carcere non possono neppure arrivarci. Una storia grottesca almeno quanto quella di Gela e Rieti. Qui le strade ci sono e le carceri hanno aperto, ma interi padiglioni nuovissimi costati milioni di euro sono ancora sigillati, e i detenuti ammassati in spazi ristrettissimi. Il motivo? Mancano agenti di polizia. Nessuno ci aveva pensato.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01 ... te/182580/
..........................................
I carceri ci sono li abbiamo visti in TV.
Ciao
Paolo11
Un’anomalia tutta italiana”, l’ha definita il ministro della Giustizia Paola Severino parlando dei 28mila detenuti in attesa di giudizio rinchiusi nelle patrie galere. Durante la presentazione del suo decreto legge, che fra le altre cose prevede la custodia nelle camere di sicurezza delle persone in attesa di processo per direttissima, il Guardasigilli ha ribadito la necessità di agire “tempestivamente” e “senza tentennamenti”.
Eppure c’è un altra anomalia ancora più assurda che andrebbe presa di petto: in Italia ci sono almeno cento penitenziari, inutilizzati, che marciscono abbandonati a se stessi. Oppure, quando va bene, vengono riconvertiti e riutilizzati nei modi più disparati e fantasiosi. Come ad Accadia, un piccolo paesino di montagna in provincia di Foggia, dove hanno in progetto di trasformare il vecchio carcere nel primo centro italiano di produzione di idrogeno da energia rinnovabile.
Un caso isolato? No. A Monopoli per esempio l’ex prigione è stata per anni dimora abusiva degli sfrattati, a Cropani, in provincia di Catanzaro, la casa mandamentale è stata trasformata dal sindaco in deposito per la raccolta differenziata e archivio del Comune. Ad Arena, a due passi da Vibo Valentia, la struttura ospita una onlus, mentre a Petilia, vicino a Crotone, l’edificio diventerà la nuova caserma dei Vigili del fuoco. A Frigento, in Irpinia, i muri delle celle sono stati abbattuti per farne una palestra e una piccola fabbrica. Pochi chilometri più a sud, a Gragnano, la vecchia casa circondariale diventerà un pastificio. Nessuno sa, invece, che fine farà l’istituto di Villalba, in provincia di Caltanissetta, abbandonato dal 1990 e scelto lo scorso anno come set per il film “Pregate, fratelli”.
Si tratta per la maggior parte di case mandamentali, i vecchi istituti di custodia degli imputati a disposizione del Pretore o condannati all’arresto per non oltre un anno. In tutto novanta strutture, che oggi potrebbero rivelarsi utilissime alla luce delle nuove disposizioni del Guardasigilli e, soprattutto, del sovraffollamento cronico dei penitenziari italiani. Eppure per Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, “le case mandamentali costruite nei decenni scorsi non rispondono alle reali esigenze del sistema penitenziario. Quando se ne parla si ignora che sono state cedute al demanio già all’inizio del 2000, spesso senza essere mai utilizzate perché antieconomiche”.
Insomma, quegli istituti sarebbero inutili. Ma non tutti sono d’accordo. Non lo è l’Associazione Antigone, che nel report 2011 sul sistema carcerario italiano include molte case mandamentali nell’elenco delle carceri ‘fantasma’ segnalate in Italia. E non lo è neppure la Corte dei Conti, che già due anni fa bocciava la decisione di chiuderle, specificando che la valutazione costi-benefici del ministero avrebbe dovuto comprendere anche “la comparazione tra gli aspetti negativi connessi alla conservazione della funzione penitenziaria degli istituti in questione e le conseguenze, altrettanto e forse ancor di più, negative scaturenti dal sovraffollamento delle carceri”.
In altre parole: viste le condizioni dei penitenziari italiani, forse era il caso di tenere ancora in piedi quelle strutture o, quanto meno, di recuperarle. Anche perché, quando è successo, i risultati sono stati evidenti. Come a Spinazzola, in Puglia, dove la riconversione della casa mandamentale a centro di custodia per sex offenders ha avuto talmente tanto successo da scatenare le ire di detenuti, poliziotti, associazioni, e anche deputati alla notizia della decisione del Ministero di sopprimerla.
Ma nella politica carceraria italiana non c’è spazio per il recupero. La parola d’ordine è solo una: costruire. E far girare soldi. Una montagna di soldi. Oltre tremila miliardi di euro negli ultimi trent’anni, buona parte dei quali appaltati con gare segretate. È il caso, ad esempio, dei nuovi penitenziari sardi, la cui costruzione fu assegnata con gara informale direttamente dal Siit (Servizi integrati infrastrutture e trasporti) di Lazio, Abruzzo e Sardegna. Era il dicembre 2005 e fino a quattro mesi prima a capo della struttura c’era Angelo Balducci, poi nominato presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Eppure, tre dei quattro nuovi istituti furono affidati comunque a imprenditori finiti con lui nell’inchiesta sulla cricca dei lavori del G8 della Maddalena: la Anemone Costruzioni srl per il carcere di Sassari, la Opere Pubbliche spa per quello di Cagliari, e la Gia. Fi. per Tempio Pausania. Tre appalti da duecento milioni di euro, che avrebbero dovuto portare sull’isola carceri nuovissime e ultramoderne già un anno fa. E invece se tutto va bene i cantieri si chiuderanno per la fine del 2012. Quando, cioè, dovrebbe essere finalmente raggiungibile anche il penitenziario di Reggio Calabria: una struttura all’avanguardia, se non fosse che dopo anni di lavori ci si è accorti che manca la strada d’accesso e i detenuti in carcere non possono neppure arrivarci. Una storia grottesca almeno quanto quella di Gela e Rieti. Qui le strade ci sono e le carceri hanno aperto, ma interi padiglioni nuovissimi costati milioni di euro sono ancora sigillati, e i detenuti ammassati in spazi ristrettissimi. Il motivo? Mancano agenti di polizia. Nessuno ci aveva pensato.
Eppure c’è un altra anomalia ancora più assurda che andrebbe presa di petto: in Italia ci sono almeno cento penitenziari, inutilizzati, che marciscono abbandonati a se stessi. Oppure, quando va bene, vengono riconvertiti e riutilizzati nei modi più disparati e fantasiosi. Come ad Accadia, un piccolo paesino di montagna in provincia di Foggia, dove hanno in progetto di trasformare il vecchio carcere nel primo centro italiano di produzione di idrogeno da energia rinnovabile.
Un caso isolato? No. A Monopoli per esempio l’ex prigione è stata per anni dimora abusiva degli sfrattati, a Cropani, in provincia di Catanzaro, la casa mandamentale è stata trasformata dal sindaco in deposito per la raccolta differenziata e archivio del Comune. Ad Arena, a due passi da Vibo Valentia, la struttura ospita una onlus, mentre a Petilia, vicino a Crotone, l’edificio diventerà la nuova caserma dei Vigili del fuoco. A Frigento, in Irpinia, i muri delle celle sono stati abbattuti per farne una palestra e una piccola fabbrica. Pochi chilometri più a sud, a Gragnano, la vecchia casa circondariale diventerà un pastificio. Nessuno sa, invece, che fine farà l’istituto di Villalba, in provincia di Caltanissetta, abbandonato dal 1990 e scelto lo scorso anno come set per il film “Pregate, fratelli”.
Si tratta per la maggior parte di case mandamentali, i vecchi istituti di custodia degli imputati a disposizione del Pretore o condannati all’arresto per non oltre un anno. In tutto novanta strutture, che oggi potrebbero rivelarsi utilissime alla luce delle nuove disposizioni del Guardasigilli e, soprattutto, del sovraffollamento cronico dei penitenziari italiani. Eppure per Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, “le case mandamentali costruite nei decenni scorsi non rispondono alle reali esigenze del sistema penitenziario. Quando se ne parla si ignora che sono state cedute al demanio già all’inizio del 2000, spesso senza essere mai utilizzate perché antieconomiche”.
Insomma, quegli istituti sarebbero inutili. Ma non tutti sono d’accordo. Non lo è l’Associazione Antigone, che nel report 2011 sul sistema carcerario italiano include molte case mandamentali nell’elenco delle carceri ‘fantasma’ segnalate in Italia. E non lo è neppure la Corte dei Conti, che già due anni fa bocciava la decisione di chiuderle, specificando che la valutazione costi-benefici del ministero avrebbe dovuto comprendere anche “la comparazione tra gli aspetti negativi connessi alla conservazione della funzione penitenziaria degli istituti in questione e le conseguenze, altrettanto e forse ancor di più, negative scaturenti dal sovraffollamento delle carceri”.
In altre parole: viste le condizioni dei penitenziari italiani, forse era il caso di tenere ancora in piedi quelle strutture o, quanto meno, di recuperarle. Anche perché, quando è successo, i risultati sono stati evidenti. Come a Spinazzola, in Puglia, dove la riconversione della casa mandamentale a centro di custodia per sex offenders ha avuto talmente tanto successo da scatenare le ire di detenuti, poliziotti, associazioni, e anche deputati alla notizia della decisione del Ministero di sopprimerla.
Ma nella politica carceraria italiana non c’è spazio per il recupero. La parola d’ordine è solo una: costruire. E far girare soldi. Una montagna di soldi. Oltre tremila miliardi di euro negli ultimi trent’anni, buona parte dei quali appaltati con gare segretate. È il caso, ad esempio, dei nuovi penitenziari sardi, la cui costruzione fu assegnata con gara informale direttamente dal Siit (Servizi integrati infrastrutture e trasporti) di Lazio, Abruzzo e Sardegna. Era il dicembre 2005 e fino a quattro mesi prima a capo della struttura c’era Angelo Balducci, poi nominato presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Eppure, tre dei quattro nuovi istituti furono affidati comunque a imprenditori finiti con lui nell’inchiesta sulla cricca dei lavori del G8 della Maddalena: la Anemone Costruzioni srl per il carcere di Sassari, la Opere Pubbliche spa per quello di Cagliari, e la Gia. Fi. per Tempio Pausania. Tre appalti da duecento milioni di euro, che avrebbero dovuto portare sull’isola carceri nuovissime e ultramoderne già un anno fa. E invece se tutto va bene i cantieri si chiuderanno per la fine del 2012. Quando, cioè, dovrebbe essere finalmente raggiungibile anche il penitenziario di Reggio Calabria: una struttura all’avanguardia, se non fosse che dopo anni di lavori ci si è accorti che manca la strada d’accesso e i detenuti in carcere non possono neppure arrivarci. Una storia grottesca almeno quanto quella di Gela e Rieti. Qui le strade ci sono e le carceri hanno aperto, ma interi padiglioni nuovissimi costati milioni di euro sono ancora sigillati, e i detenuti ammassati in spazi ristrettissimi. Il motivo? Mancano agenti di polizia. Nessuno ci aveva pensato.
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Un’anomalia tutta italiana”, l’ha definita il ministro della Giustizia Paola Severino parlando dei 28mila detenuti in attesa di giudizio rinchiusi nelle patrie galere. Durante la presentazione del suo decreto legge, che fra le altre cose prevede la custodia nelle camere di sicurezza delle persone in attesa di processo per direttissima, il Guardasigilli ha ribadito la necessità di agire “tempestivamente” e “senza tentennamenti”.
Eppure c’è un altra anomalia ancora più assurda che andrebbe presa di petto: in Italia ci sono almeno cento penitenziari, inutilizzati, che marciscono abbandonati a se stessi. Oppure, quando va bene, vengono riconvertiti e riutilizzati nei modi più disparati e fantasiosi. Come ad Accadia, un piccolo paesino di montagna in provincia di Foggia, dove hanno in progetto di trasformare il vecchio carcere nel primo centro italiano di produzione di idrogeno da energia rinnovabile.
Un caso isolato? No. A Monopoli per esempio l’ex prigione è stata per anni dimora abusiva degli sfrattati, a Cropani, in provincia di Catanzaro, la casa mandamentale è stata trasformata dal sindaco in deposito per la raccolta differenziata e archivio del Comune. Ad Arena, a due passi da Vibo Valentia, la struttura ospita una onlus, mentre a Petilia, vicino a Crotone, l’edificio diventerà la nuova caserma dei Vigili del fuoco. A Frigento, in Irpinia, i muri delle celle sono stati abbattuti per farne una palestra e una piccola fabbrica. Pochi chilometri più a sud, a Gragnano, la vecchia casa circondariale diventerà un pastificio. Nessuno sa, invece, che fine farà l’istituto di Villalba, in provincia di Caltanissetta, abbandonato dal 1990 e scelto lo scorso anno come set per il film “Pregate, fratelli”.
Si tratta per la maggior parte di case mandamentali, i vecchi istituti di custodia degli imputati a disposizione del Pretore o condannati all’arresto per non oltre un anno. In tutto novanta strutture, che oggi potrebbero rivelarsi utilissime alla luce delle nuove disposizioni del Guardasigilli e, soprattutto, del sovraffollamento cronico dei penitenziari italiani. Eppure per Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, “le case mandamentali costruite nei decenni scorsi non rispondono alle reali esigenze del sistema penitenziario. Quando se ne parla si ignora che sono state cedute al demanio già all’inizio del 2000, spesso senza essere mai utilizzate perché antieconomiche”.
Insomma, quegli istituti sarebbero inutili. Ma non tutti sono d’accordo. Non lo è l’Associazione Antigone, che nel report 2011 sul sistema carcerario italiano include molte case mandamentali nell’elenco delle carceri ‘fantasma’ segnalate in Italia. E non lo è neppure la Corte dei Conti, che già due anni fa bocciava la decisione di chiuderle, specificando che la valutazione costi-benefici del ministero avrebbe dovuto comprendere anche “la comparazione tra gli aspetti negativi connessi alla conservazione della funzione penitenziaria degli istituti in questione e le conseguenze, altrettanto e forse ancor di più, negative scaturenti dal sovraffollamento delle carceri”.
In altre parole: viste le condizioni dei penitenziari italiani, forse era il caso di tenere ancora in piedi quelle strutture o, quanto meno, di recuperarle. Anche perché, quando è successo, i risultati sono stati evidenti. Come a Spinazzola, in Puglia, dove la riconversione della casa mandamentale a centro di custodia per sex offenders ha avuto talmente tanto successo da scatenare le ire di detenuti, poliziotti, associazioni, e anche deputati alla notizia della decisione del Ministero di sopprimerla.
Ma nella politica carceraria italiana non c’è spazio per il recupero. La parola d’ordine è solo una: costruire. E far girare soldi. Una montagna di soldi. Oltre tremila miliardi di euro negli ultimi trent’anni, buona parte dei quali appaltati con gare segretate. È il caso, ad esempio, dei nuovi penitenziari sardi, la cui costruzione fu assegnata con gara informale direttamente dal Siit (Servizi integrati infrastrutture e trasporti) di Lazio, Abruzzo e Sardegna. Era il dicembre 2005 e fino a quattro mesi prima a capo della struttura c’era Angelo Balducci, poi nominato presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Eppure, tre dei quattro nuovi istituti furono affidati comunque a imprenditori finiti con lui nell’inchiesta sulla cricca dei lavori del G8 della Maddalena: la Anemone Costruzioni srl per il carcere di Sassari, la Opere Pubbliche spa per quello di Cagliari, e la Gia. Fi. per Tempio Pausania. Tre appalti da duecento milioni di euro, che avrebbero dovuto portare sull’isola carceri nuovissime e ultramoderne già un anno fa. E invece se tutto va bene i cantieri si chiuderanno per la fine del 2012. Quando, cioè, dovrebbe essere finalmente raggiungibile anche il penitenziario di Reggio Calabria: una struttura all’avanguardia, se non fosse che dopo anni di lavori ci si è accorti che manca la strada d’accesso e i detenuti in carcere non possono neppure arrivarci. Una storia grottesca almeno quanto quella di Gela e Rieti. Qui le strade ci sono e le carceri hanno aperto, ma interi padiglioni nuovissimi costati milioni di euro sono ancora sigillati, e i detenuti ammassati in spazi ristrettissimi. Il motivo? Mancano agenti di polizia. Nessuno ci aveva pensato.
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Re: La Questione Monti
Un mini decreto salva
la superpensione dei manager
Ricordate il tetto agli stipendi dei manager della Pubblica amministrazione previsto dal decreto Salva Italia? Il governo ha mantenuto la promessa. Il 23 marzo scorso un decreto attuativo del presidente del Consiglio ha fissato a un massimo di quasi 294mila euro il compenso annuo dei più alti funzionari di Stato. Nei giorni in cui si discute del dramma degli esodati, degli sprechi della politica e della spending review, questa sembra una storia a lieto fine. La storia di una promessa mantenuta. Un segnale di equità, insomma.
Invece ora spunta fuori una norma di poche righe che potrebbe - condizionale d’obbligo - salvare le pensioni di alcuni super-manager della Pubblica amministrazione dalla tagliola prevista dal Salva Italia. Una norma nascosta all’interno di un decreto, licenziato dal consiglio dei ministri il 24 marzo, che entro un mese arriverà in Parlamento per essere convertito in legge. Il sincronismo farebbe sospettare anche i meno maliziosi. Il 23 marzo Mario Monti firma il decreto attuativo con cui dà seguito alla normaprevista dal Salva Italia e fissa a 293.658,95 euro annui il «limite massimo retributivo» per manager e consulenti della Pubblica amministrazione.
La scelta della cifra non è casuale visto che, nell’individuare il tetto massimo dell’anno 2011, il governo ha scelto di parificarla allo stipendio annuo del primo presidente della Corte di Cassazione. Esattamente ventiquattr’ore dopo, il 24marzo, il Consiglio dei ministri licenzia un decreto legge di due articoli. Il primo è costituito da due commiche, di fatto, sono due emendamenti ad altrettante leggi che riguardano temi completamente diversi. Il primo comma, scritto in un italiano corrente e molto comprensibile, è il provvedimento che istituisce «presso il ministero dell’Economia e delle Finanze (…) un osservatorio sull’erogazione del credito da parte delle banche e delle imprese». Il secondo, stranomavero, si propone di emendare proprio l’articolo del Salva Italia, il «23-ter», che conteneva la norma sul taglio degli stipendi ai manager della Pubblica amministrazione. Esattamente quello che, un giorno prima, aveva avuto attuazione con il decreto del presidente del Consiglio.
Si tratta di una decina di righe che, al contrario del commache istituisce l’osservatorio sul credito, sono vergate in un diabolico burocratese. Dieci righe in cui, in merito al tetto agli stipendi dei manager della Pubblica amministrazione, si precisa che «resta fermo che ai fini previdenziali le disposizioni di cui al presente comma operano con riferimento alle anzianità contributive maturate a decorrere dalla data di entrata in vigore del predetto decreto del presidente del Consiglio dei ministri con riferimento ai soggetti che alla data del 22 dicembre 2011 abbiano maturato i requisiti per l’accesso al pensionamento e risultino essere percettori di un trattamento economico imponibile ai predetti fini superiore al limite stabilito dal presente comma, purché continuino a svolgere, fino al momento dell’accesso al pensionamento, le medesime funzioni che svolgevano alla predetta data».
Che cosa vuol dire? Nelle stanze dei tecnici di Palazzo Chigi e del ministero dell’Economia si sono formate due scuole di pensiero. La prima sostiene che il comma del mistero sia un atto dovuto, che serve a evitare gli effetti retroattivi della norma taglia- stipendi contro cui qualche Paperone di Stato avrebbe potuto ricorrere. Stando a questa scuola di pensiero, insomma, il governo - nell’introdurre il tetto massimo agli stipendi - avrebbe messo al riparo, ai fini previdenziali, i versamenti oltre il tetto massimo effettuati in precedenza. Domanda: ma perché farlo soltanto per i super-manager anziani, che rimarranno fino alla fine della loro carriera «nelle medesime funzioni» in cui stavano a dicembre scorso e non per tutti? E qui spunta la seconda scuola di pensiero. Tra i tecnici del ministero dell’Economia, infatti, c’è chi sostieneche lanorma contenuta nel decreto legge del 24 marzo scorso può consentire auna decina di «superfortunati » di preservare l’assegno della pensione dalla riduzione prevista dal tetto imposto agli stipendi. Traduzione: il Salva Italia taglia le pensioni e fissa un limite agli stipendi degli alti burocrati? Bene. Chi chiuderà la carriera nella Pubblica amministrazione nel giro di un paio d’anni senza cambiare l’attuale incarico perderà sì la differenza tra il vecchio stipendio (tanto per fare due esempi, il capo della Polizia Antonio Manganelli guadagnava 621mila euro, il ragioniere di Stato Mario Canzio 562 mila euro) e quello nuovo (293mila). Ma i contributi versati anche dopo la norma del taglia stipendi, stando a quello che sostengono alcuni tecnici di via XX settembre, potrebbero con questa leggina essere tarati sui vecchi stipendi e non sul nuovo (ridotto).
Censire e dare un nome agli eventuali beneficiari è impossibile, anche perché nessuno può sapere se, tanto per restare nei precedenti esempi, Manganelli (classe ’50) o Canzio (classe ’47) chiuderanno la loro carriera nelle reciproche postazioni. Mail decreto del 24 marzo potrebbe forse restituire a qualche alto funzionario, magari meno esposto sul piano pubblico, una parte dei soldi persi col nuovo tetto degli stipendi. Grazie a un intervento in extremis su quella parolina magica che per troppi è diventata un dramma e per pochissimi una risorsa: la pensione. Èdavvero così? Oppuresi tratta diun clamoroso errore che favorirà pochi fortunati? Forse, il decreto andrebbe semplicemente spiegato per fugare ogni dubbio.
Di Tommaso Labate
26 aprile 2012
L'Unità.it
la superpensione dei manager
Ricordate il tetto agli stipendi dei manager della Pubblica amministrazione previsto dal decreto Salva Italia? Il governo ha mantenuto la promessa. Il 23 marzo scorso un decreto attuativo del presidente del Consiglio ha fissato a un massimo di quasi 294mila euro il compenso annuo dei più alti funzionari di Stato. Nei giorni in cui si discute del dramma degli esodati, degli sprechi della politica e della spending review, questa sembra una storia a lieto fine. La storia di una promessa mantenuta. Un segnale di equità, insomma.
Invece ora spunta fuori una norma di poche righe che potrebbe - condizionale d’obbligo - salvare le pensioni di alcuni super-manager della Pubblica amministrazione dalla tagliola prevista dal Salva Italia. Una norma nascosta all’interno di un decreto, licenziato dal consiglio dei ministri il 24 marzo, che entro un mese arriverà in Parlamento per essere convertito in legge. Il sincronismo farebbe sospettare anche i meno maliziosi. Il 23 marzo Mario Monti firma il decreto attuativo con cui dà seguito alla normaprevista dal Salva Italia e fissa a 293.658,95 euro annui il «limite massimo retributivo» per manager e consulenti della Pubblica amministrazione.
La scelta della cifra non è casuale visto che, nell’individuare il tetto massimo dell’anno 2011, il governo ha scelto di parificarla allo stipendio annuo del primo presidente della Corte di Cassazione. Esattamente ventiquattr’ore dopo, il 24marzo, il Consiglio dei ministri licenzia un decreto legge di due articoli. Il primo è costituito da due commiche, di fatto, sono due emendamenti ad altrettante leggi che riguardano temi completamente diversi. Il primo comma, scritto in un italiano corrente e molto comprensibile, è il provvedimento che istituisce «presso il ministero dell’Economia e delle Finanze (…) un osservatorio sull’erogazione del credito da parte delle banche e delle imprese». Il secondo, stranomavero, si propone di emendare proprio l’articolo del Salva Italia, il «23-ter», che conteneva la norma sul taglio degli stipendi ai manager della Pubblica amministrazione. Esattamente quello che, un giorno prima, aveva avuto attuazione con il decreto del presidente del Consiglio.
Si tratta di una decina di righe che, al contrario del commache istituisce l’osservatorio sul credito, sono vergate in un diabolico burocratese. Dieci righe in cui, in merito al tetto agli stipendi dei manager della Pubblica amministrazione, si precisa che «resta fermo che ai fini previdenziali le disposizioni di cui al presente comma operano con riferimento alle anzianità contributive maturate a decorrere dalla data di entrata in vigore del predetto decreto del presidente del Consiglio dei ministri con riferimento ai soggetti che alla data del 22 dicembre 2011 abbiano maturato i requisiti per l’accesso al pensionamento e risultino essere percettori di un trattamento economico imponibile ai predetti fini superiore al limite stabilito dal presente comma, purché continuino a svolgere, fino al momento dell’accesso al pensionamento, le medesime funzioni che svolgevano alla predetta data».
Che cosa vuol dire? Nelle stanze dei tecnici di Palazzo Chigi e del ministero dell’Economia si sono formate due scuole di pensiero. La prima sostiene che il comma del mistero sia un atto dovuto, che serve a evitare gli effetti retroattivi della norma taglia- stipendi contro cui qualche Paperone di Stato avrebbe potuto ricorrere. Stando a questa scuola di pensiero, insomma, il governo - nell’introdurre il tetto massimo agli stipendi - avrebbe messo al riparo, ai fini previdenziali, i versamenti oltre il tetto massimo effettuati in precedenza. Domanda: ma perché farlo soltanto per i super-manager anziani, che rimarranno fino alla fine della loro carriera «nelle medesime funzioni» in cui stavano a dicembre scorso e non per tutti? E qui spunta la seconda scuola di pensiero. Tra i tecnici del ministero dell’Economia, infatti, c’è chi sostieneche lanorma contenuta nel decreto legge del 24 marzo scorso può consentire auna decina di «superfortunati » di preservare l’assegno della pensione dalla riduzione prevista dal tetto imposto agli stipendi. Traduzione: il Salva Italia taglia le pensioni e fissa un limite agli stipendi degli alti burocrati? Bene. Chi chiuderà la carriera nella Pubblica amministrazione nel giro di un paio d’anni senza cambiare l’attuale incarico perderà sì la differenza tra il vecchio stipendio (tanto per fare due esempi, il capo della Polizia Antonio Manganelli guadagnava 621mila euro, il ragioniere di Stato Mario Canzio 562 mila euro) e quello nuovo (293mila). Ma i contributi versati anche dopo la norma del taglia stipendi, stando a quello che sostengono alcuni tecnici di via XX settembre, potrebbero con questa leggina essere tarati sui vecchi stipendi e non sul nuovo (ridotto).
Censire e dare un nome agli eventuali beneficiari è impossibile, anche perché nessuno può sapere se, tanto per restare nei precedenti esempi, Manganelli (classe ’50) o Canzio (classe ’47) chiuderanno la loro carriera nelle reciproche postazioni. Mail decreto del 24 marzo potrebbe forse restituire a qualche alto funzionario, magari meno esposto sul piano pubblico, una parte dei soldi persi col nuovo tetto degli stipendi. Grazie a un intervento in extremis su quella parolina magica che per troppi è diventata un dramma e per pochissimi una risorsa: la pensione. Èdavvero così? Oppuresi tratta diun clamoroso errore che favorirà pochi fortunati? Forse, il decreto andrebbe semplicemente spiegato per fugare ogni dubbio.
Di Tommaso Labate
26 aprile 2012
L'Unità.it
Re: La Questione Monti
Votereste per Monti? Il vox di Piero Ricca
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/04/ ... io/195898/
Le politiche di rigore non giovano al consenso del governo. Eppure molti voterebbero per un’eventuale lista guidata da Mario Monti. Per gli istituti di ricerca una lista del professore è data al 30% (leggi). Lo dicono i sondaggi, lo confermano le voci dell’ “Uomo da marciapiede”. Piace la serietà del professore e non si vedono alternative politiche per affrontare la crisi economico-finanziaria. In maggioranza tuttavia i cittadini che abbiamo intervistato disapprovano. Le manovre del governo appaiono inique. “Non era necessario un tecnico per mettere tutte queste tasse!” è un commento ricorrente. Altri non voterebbero mai per Monti, perché lo vedono come un commissario di governo al servizio dei poteri finanziari internazionali. C’è poi chi pensa che la fase dei tecnici comunque deve avere un termine nel 2013. “Poi deve tornare la politica”. Ma la credibilità dei gruppi dirigenti degli attuali partiti è davvero ai minimi termini.
E voi come la pensate? Rispondete al nostro sondaggio votando la risposta che vi convince di più.
Di Piero Ricca, riprese e montaggio di Matteo Fiacchino
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/04/ ... io/195898/
Le politiche di rigore non giovano al consenso del governo. Eppure molti voterebbero per un’eventuale lista guidata da Mario Monti. Per gli istituti di ricerca una lista del professore è data al 30% (leggi). Lo dicono i sondaggi, lo confermano le voci dell’ “Uomo da marciapiede”. Piace la serietà del professore e non si vedono alternative politiche per affrontare la crisi economico-finanziaria. In maggioranza tuttavia i cittadini che abbiamo intervistato disapprovano. Le manovre del governo appaiono inique. “Non era necessario un tecnico per mettere tutte queste tasse!” è un commento ricorrente. Altri non voterebbero mai per Monti, perché lo vedono come un commissario di governo al servizio dei poteri finanziari internazionali. C’è poi chi pensa che la fase dei tecnici comunque deve avere un termine nel 2013. “Poi deve tornare la politica”. Ma la credibilità dei gruppi dirigenti degli attuali partiti è davvero ai minimi termini.
E voi come la pensate? Rispondete al nostro sondaggio votando la risposta che vi convince di più.
Di Piero Ricca, riprese e montaggio di Matteo Fiacchino
Re: La Questione Monti
Ma i guasti dei tecnici chi li ripara?
pubblicata da Marco Travaglio il giorno venerdì 27 aprile 2012 alle ore 18.23 ·
Carta Canta - l'Espresso, 27 aprile 2012
Immaginiamo un governo politico, di destra o di centro o di sinistra, che l’8 gennaio promette di mettere mano alla Rai “entro poche settimane” e poi non fa nulla per tre mesi e mezzo, anche dopo che il 28 marzo è scaduto il Cda; si dice “disponibile a un decreto” per tagliare i fondi pubblici ai partiti e mettere ordine nel caos truffaldino dei “rimborsi” e poi non muove un dito; annuncia che le province saranno abolite, poi si scopre che restano, ma i consiglieri non li eleggono più i cittadini, bensì li nominano i consiglieri comunali; alza l’età pensionabile a 68 anni mentre ogni anno decine di migliaia di lavoratori vengono rottamati a 50, e poi s’accorge, battendosi il palmo della mano in piena fronte, che così centinaia di migliaia di lavoratori restano senza stipendio né pensione; annuncia che gli “esodati” sono 65mila perché i soldi bastano solo per questi, salvo scoprire che sono 350mila; ripristina la tassa sulla prima casa (Imu), esentando le fondazioni bancarie, ma non le case di vecchi e invalidi ricoverati in ospizio; divide l’Imu prima in due poi in tre rate e annuncia aliquote più alte ma senza fissarle, gettando i contribuenti nel caos e beccandosi l’accusa di incostituzionalità dai tecnici della Camera; abolisce le imposte sulle borse di studio fino a 11.500 euro, ma non per i 25 mila medici specializzandi scippandogli il 20% di quel poco che lo Stato concede loro per finire gli studi, e si ricorda di loro solo quando protestano davanti alla Camera; abolisce dall’articolo 18 il reintegro giudiziario per i licenziati ingiustamente con la scusa dei motivi economici, poi annuncia che la riforma è immodificabile, infine fa retromarcia alla prima minaccia di sciopero; lancia il decreto liberalizzazioni, anche quello “prendere o lasciare”, e poi lo lascia svuotare in Parlamento dalle solite lobby, mentre la Ragioneria dello Stato segnala la mancanza di copertura finanziaria per alcune norme; dà parere favorevole a un emendamento Pd che cancella le commissioni bancarie, salvo poi accorgersene e cancellarlo con un altro decreto; lascia passare un altro emendamento Pd che tassa gli alcolici per assumere 10mila precari della scuola, poi lo fa bocciare in extremis; annuncia la ritassazione dei capitali scudati, ma senza spiegare come si paga, così nessuno riesce a pagarla nemmeno se vuole; tassa le ville all’estero, ma si scorda quelle intestate a società, che sono la maggioranza, così non paga quasi nessuno; toglie ai disoccupati l’esenzione dal ticket sanitario e poi la ripristina scusandosi per il “refuso”; vara il decreto “svuotacarceri” per sfollare le celle, col risultato che i detenuti aumentano (66.632 fine febbraio, 66.695 fine marzo); annuncia la tassa di 2 cent sugli sms per finanziare la Protezione civile, poi se la rimangia e aumenta le accise sulla benzina; annuncia due volte nella Delega fiscale un “fondo taglia-tasse” per abbassare le aliquote e abolire l’Irap coi proventi della lotta all’evasione, ma due volte lo cancella; depenalizza le condotte “ascrivibili all’elusione ficale” con ”abuso del diritto” che vedono imputati Dolce e Gabbana, indagati dirigenti di Unicredit e Barclays e multati dal fisco Intesa San Paolo per 270 milioni e Montepaschi per 260 (lodo salva-banche); inventa una tassa sulle barche di lusso, ma cambia tre volte le regole così pochi la pagano e quasi tutti portano gli yacht all’estero (“lodo Briatore”); nella riforma della Protezione civile scrive che “il soggetto incaricato dell'attività di previsione e prevenzione del rischio è responsabile solo in caso di dolo o colpa grave”, rischiando di mandare in fumo il processo in corso a L’Aquila contro la Commissione grandi rischi per omicidio colposo e le indagini sulla mancata prevenzione nel sisma del 2009 (lodo salva-Bertolaso & C.); nel pacchetto anticorruzione Severino cambia il nome e riduce la pena (e la prescrizione: da 15 a 10 anni) alla concussione per induzione, principale reato contestato a Berlusconi nel processo Ruby (lodo salva-Silvio); e così via.
Ecco, in uno a caso di tutti questi casi, che si direbbe di questo governo politico? Che ci vogliono dei tecnici per ripararne tutti i guasti. Ma se questi guasti li fa il governo tecnico, chi li ripara?
pubblicata da Marco Travaglio il giorno venerdì 27 aprile 2012 alle ore 18.23 ·
Carta Canta - l'Espresso, 27 aprile 2012
Immaginiamo un governo politico, di destra o di centro o di sinistra, che l’8 gennaio promette di mettere mano alla Rai “entro poche settimane” e poi non fa nulla per tre mesi e mezzo, anche dopo che il 28 marzo è scaduto il Cda; si dice “disponibile a un decreto” per tagliare i fondi pubblici ai partiti e mettere ordine nel caos truffaldino dei “rimborsi” e poi non muove un dito; annuncia che le province saranno abolite, poi si scopre che restano, ma i consiglieri non li eleggono più i cittadini, bensì li nominano i consiglieri comunali; alza l’età pensionabile a 68 anni mentre ogni anno decine di migliaia di lavoratori vengono rottamati a 50, e poi s’accorge, battendosi il palmo della mano in piena fronte, che così centinaia di migliaia di lavoratori restano senza stipendio né pensione; annuncia che gli “esodati” sono 65mila perché i soldi bastano solo per questi, salvo scoprire che sono 350mila; ripristina la tassa sulla prima casa (Imu), esentando le fondazioni bancarie, ma non le case di vecchi e invalidi ricoverati in ospizio; divide l’Imu prima in due poi in tre rate e annuncia aliquote più alte ma senza fissarle, gettando i contribuenti nel caos e beccandosi l’accusa di incostituzionalità dai tecnici della Camera; abolisce le imposte sulle borse di studio fino a 11.500 euro, ma non per i 25 mila medici specializzandi scippandogli il 20% di quel poco che lo Stato concede loro per finire gli studi, e si ricorda di loro solo quando protestano davanti alla Camera; abolisce dall’articolo 18 il reintegro giudiziario per i licenziati ingiustamente con la scusa dei motivi economici, poi annuncia che la riforma è immodificabile, infine fa retromarcia alla prima minaccia di sciopero; lancia il decreto liberalizzazioni, anche quello “prendere o lasciare”, e poi lo lascia svuotare in Parlamento dalle solite lobby, mentre la Ragioneria dello Stato segnala la mancanza di copertura finanziaria per alcune norme; dà parere favorevole a un emendamento Pd che cancella le commissioni bancarie, salvo poi accorgersene e cancellarlo con un altro decreto; lascia passare un altro emendamento Pd che tassa gli alcolici per assumere 10mila precari della scuola, poi lo fa bocciare in extremis; annuncia la ritassazione dei capitali scudati, ma senza spiegare come si paga, così nessuno riesce a pagarla nemmeno se vuole; tassa le ville all’estero, ma si scorda quelle intestate a società, che sono la maggioranza, così non paga quasi nessuno; toglie ai disoccupati l’esenzione dal ticket sanitario e poi la ripristina scusandosi per il “refuso”; vara il decreto “svuotacarceri” per sfollare le celle, col risultato che i detenuti aumentano (66.632 fine febbraio, 66.695 fine marzo); annuncia la tassa di 2 cent sugli sms per finanziare la Protezione civile, poi se la rimangia e aumenta le accise sulla benzina; annuncia due volte nella Delega fiscale un “fondo taglia-tasse” per abbassare le aliquote e abolire l’Irap coi proventi della lotta all’evasione, ma due volte lo cancella; depenalizza le condotte “ascrivibili all’elusione ficale” con ”abuso del diritto” che vedono imputati Dolce e Gabbana, indagati dirigenti di Unicredit e Barclays e multati dal fisco Intesa San Paolo per 270 milioni e Montepaschi per 260 (lodo salva-banche); inventa una tassa sulle barche di lusso, ma cambia tre volte le regole così pochi la pagano e quasi tutti portano gli yacht all’estero (“lodo Briatore”); nella riforma della Protezione civile scrive che “il soggetto incaricato dell'attività di previsione e prevenzione del rischio è responsabile solo in caso di dolo o colpa grave”, rischiando di mandare in fumo il processo in corso a L’Aquila contro la Commissione grandi rischi per omicidio colposo e le indagini sulla mancata prevenzione nel sisma del 2009 (lodo salva-Bertolaso & C.); nel pacchetto anticorruzione Severino cambia il nome e riduce la pena (e la prescrizione: da 15 a 10 anni) alla concussione per induzione, principale reato contestato a Berlusconi nel processo Ruby (lodo salva-Silvio); e così via.
Ecco, in uno a caso di tutti questi casi, che si direbbe di questo governo politico? Che ci vogliono dei tecnici per ripararne tutti i guasti. Ma se questi guasti li fa il governo tecnico, chi li ripara?
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Re: La Questione Monti
Come avete gia riportato da Maggio aumenta L'elettricità.Pensate che ho cambiato gestore ,sono in guerra con questa compagnia Francese GDF Suez.Ho bloccato tutte le fatture Gas e elettricità.Adirittura questi mi mettono IVA al 21% Energia elettrica che è del 10%.
Il vecchio gestore l'elettricità era del 10% ho chiamato diversi gestori e tutti mi hanno risposto che deve essere del 10%.
Siccome penso gia al futuro quando ad Ottobre ci metteranno IVA al 23%non solo nei carburanti ma la troviamo anche nel gas riscaldamento.E passare dal 10%
con energia elettrica con questa compagnia mi troverei l' energia elettrica con un 13% in piu.
Stiamo pensando di dare tutto in mano ad altroconsumo o altri.Ci avevano mandato pure una lettera del recupero crediti.Se non pagavamo entro 48 ore ci chiudevano il Gas.Nostra risposta:se nella vostra amministrazione vi sono degli incompetenti che sbagliano le fatturazioni gia pagate,e continuano a metterci IVA sbagliata, la colpa non e nostra.Un avviso a voi del forum se vengono a proporvi questo gestore GDF SUEZ lasciate perdere.
Ciao
Paolo11
Il vecchio gestore l'elettricità era del 10% ho chiamato diversi gestori e tutti mi hanno risposto che deve essere del 10%.
Siccome penso gia al futuro quando ad Ottobre ci metteranno IVA al 23%non solo nei carburanti ma la troviamo anche nel gas riscaldamento.E passare dal 10%
con energia elettrica con questa compagnia mi troverei l' energia elettrica con un 13% in piu.
Stiamo pensando di dare tutto in mano ad altroconsumo o altri.Ci avevano mandato pure una lettera del recupero crediti.Se non pagavamo entro 48 ore ci chiudevano il Gas.Nostra risposta:se nella vostra amministrazione vi sono degli incompetenti che sbagliano le fatturazioni gia pagate,e continuano a metterci IVA sbagliata, la colpa non e nostra.Un avviso a voi del forum se vengono a proporvi questo gestore GDF SUEZ lasciate perdere.
Ciao
Paolo11
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Re: La Questione Monti
@paolo11, hai fatto male a passare con i francesi della GDF Suez. Rompi il contratto e se puoi vai sul gestore locale.
Io da locale ero passato ad Enel Gas, ma adesso cambio e ritorno al gestore locale.
Le fatture dell'Enel sono illeggibili al limite della truffa. Inoltre fanno una sola lettura l'anno e ti arrivano fatture esose che non puoi rateizzare altrimenti c'è il distacco.
Augh
Io da locale ero passato ad Enel Gas, ma adesso cambio e ritorno al gestore locale.
Le fatture dell'Enel sono illeggibili al limite della truffa. Inoltre fanno una sola lettura l'anno e ti arrivano fatture esose che non puoi rateizzare altrimenti c'è il distacco.
Augh
Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
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Re: La Questione Monti
Caro Joblack".Eravamo col gestore Locale per la caldaia condominiale luce gas .Poi i miei fratelli un giorno mi hanno chiamato dicemdomi che questa compagnia faceva piu sconti.Ho lasciato fare, da Febbraio 2011 che ci arrivano bollette sbagliate.Quindi abbiamo bloccato i pagamenti tramite banca.Nel mio appartamento invece sono diversi anni che sono con Enel energia quella che publicizza la Pellegrini.Joblack ha scritto:@paolo11, hai fatto male a passare con i francesi della GDF Suez. Rompi il contratto e se puoi vai sul gestore locale.
Io da locale ero passato ad Enel Gas, ma adesso cambio e ritorno al gestore locale.
Le fatture dell'Enel sono illeggibili al limite della truffa. Inoltre fanno una sola lettura l'anno e ti arrivano fatture esose che non puoi rateizzare altrimenti c'è il distacco.
Augh
Questa mi blocca il prezzo per due anni,in piu dandogli io le letture Gas cucina ,e energia elettrica gli evito il cartaceo dandomi dei punti,Sia per l'iscrizione,
sia in base al consumo poi altri 100 punti quando è il mio compleanno.Dal loro catalogo posso ordinare dei premi che servono per la casa o, giornali, buoni benzina eccc....
Essendo una palazzina con due mini appartamenti e due grandi non ci serve l'amministratore.
Quindi fino a che mia madre è viva le bollette che riguardano la caldaia aqua luce gas. è intestata a lei.
Ha 88 anni e questo è un periodo brutto per lei.Ha la schiena a pezzi con continui dolori che non gli passano quasi mai.Quindi deve rimanere piu spesso a letto.
Per Fortuna che da giovane ho convinto mio padre a vendere qualche appartamento, per fare questa palazzina, pensando proprio alla loro vecchiaia.
...................
Altra cosa o notato.Le letture le fanno sempre da noi APS Oldin che poi le da a quei gestori.Quindi sono loro stessi che gli creano propblemi.
Quello che avviene anche con i gestori del telefono dopo aver provato altre compagnie sono ritornato con telecon.Motivo: telecon se hai problemi te li risolvono subito essendo un suo cliente.Ritardano invece se non sei loro cliente se qualcosa non funziona.Anche qui Attenzione un po a tutti.Quando una compagnia telefonica ti chiama:La prima parola da dire quando alzi la cornetta è dire PRONTO.Mai alzare la cornetta e dire SI.Siccome vengono registrate quel Si per loro
puo essere anche che hai acettato il loro contratto.
Ciao
Paolo11
Re: La Questione Monti
Certo che se la Corte europea dovesse accogliere il ricorso, l'ex-commissario alla concorrenza Mario Monti dovrebbe solo andarsi a nascondere.
Parafarmacie, sarà l’Europa a decidere sulla vendita dei farmaci di fascia C
L’esito del ricorso, che era stato proposto al Tar lombardo dalla titolare di una parafarmacia di Saronno (Va) contro l’Asl di Varese, il ministero della Salute, l'Aifa, il comune di Saronno e la Regione Lombardia, riaprirà la partita sull’estensione delle competenze delle 3800 parafarmacie italiane
di Alessandro Madron | 28 aprile 2012
Sarà la Corte di Giustizia Europea a pronunciarsi sulla norma che vieta alle parafarmacie italiane di vendere farmaci di fascia C, quelli con obbligo di ricetta medica ma interamente a carico del cittadino. Il Tar della Lombardia, con un’ordinanza dello scorso 22 marzo, ha infatti deciso di rinviare alla Corte di Giustizia Europea la norma che vieta alle parafarmacie di vendere questa tipologia di medicinali (tra questi ci sono ad esempio antidepressivi, pillole anticoncezionali, farmaci per disfunzioni erettili). Per il Tar questa norma sarebbe infatti in contrasto con la legislazione comunitaria.
L’esito del ricorso, che era stato proposto dalla titolare di una parafarmacia di Saronno (Va) contro l’Asl di Varese, il ministero della Salute, l’Aifa, il comune di Saronno e la Regione Lombardia, riapre la partita sull’estensione delle competenze delle 3800 parafarmacie italiane: “Il Tar ha ritenuto fondate le discriminazioni operate nei confronti dei farmacisti di parafarmacie e dei relativi esercizi e ha rimesso la questione alla Corte di giustizia europea – spiega il Coordinamento nazionale delle parafarmacie presieduto da Giuseppe Scioscia -. L’ordinanza è motivo di soddisfazione per i farmacisti titolari di parafarmacia che purtroppo non hanno visto riconosciuti, se non in parte minima e insufficiente i loro diritti nemmeno nel recente decreto liberalizzazioni”. Infatti il decreto liberalizzazioni non ha sciolto il nodo dell’interdizione alla vendita dei farmaci di fascia C al di fuori delle farmacie, limitandosi a rinviare ad un secondo momento l’approvazione di un provvedimento che prevedesse una lista di medicinali da ammettere alla vendita anche nelle parafarmacie.
Nel provvedimento del Tar si sostiene che non vi sarebbero motivazioni per impedire la vendita di questi farmaci, sottolineando come la disciplina italiana sembri essere in contrasto con la normativa europea “in quanto idonea a rendere di fatto impossibile lo stabilimento di un farmacista in Italia che voglia accedere al mercato dei farmaci di fascia C, oltre che rendere più difficile lo svolgimento di tale attività economica nel mercato nazionale”. Secondo il Tribunale amministrativo lombardo “non sembrano esserci motivi che possano giustificare una tale restrizione all’esercizio di una libertà economica, né vi è alcuna motivazione legata all’obiettivo di ripartire in modo equilibrato le farmacie nel territorio nazionale, né di aumentare la sicurezza e qualità dell’approvvigionamento della popolazione di medicinali, di un eccesso di consumo o di ammontare di risorse pubbliche assorbite”. “Vediamo ora come si pronuncerà la Corte europea – ha commentato Giuseppe Scioscia – noi comunque continueremo a lottare perché sia autorizzata la vendita dei farmaci di fascia C nelle parafarmacie”.
Le parafarmacie vedono nella notizia di questi giorni un segnale positivo, ma i tempi per il pronunciamento della Corte di giustizia europea non sono immediati: “A volte possono passare anche due anni – spiega Cristoforo Osti, avvocato dello studio legale internazionale Clifford Chance, esperto di antitrust e diritto europeo – dopodiché la questione tornerà al giudice italiano (in questo caso al Tar della Lombardia, nda), che dovrà emettere una sentenza sulla base di quanto espresso dalla Corte di giustizia europea”. Dunque, non solo si dovranno attendere i tempi della rigorosa giustizia dell’Unione, ma anche quelli dell’intero iter di quella italiana, con i suoi diversi gradi di giudizio.
In quanto al pronunciamento della Corte di giustizia dell’Ue, va sottolineato come questa non entri nel merito, ma si esprima solo su questioni di diritto: “È un giudizio su una questione di interpretazione – spiega Cristoforo Osti – il giudice non risolve il caso, fornirà dei principi interpretativi, vale a dire che stabilirà se la norma italiana è o non è in contrasto con la disciplina dell’Unione”.
Traducendo in pratica, l’organo che vigila sull’applicazione del diritto nei paesi membri potrebbe esprimersi contro la legge italiana se dovesse stabilire che, ad esempio, questa impedisca a un qualsiasi parafarmacista di un paese dell’Unione di impiantare la propria attività in Italia, perché la legge nazionale rende l’iniziativa imprenditoriale antieconomica. Ma sarà comunque il giudice nazionale a dover entrare nel merito della faccenda, intervenendo sulla controversia.
Nonostante tempi lunghi e le incertezze di una procedura complessa, per le parafarmacie il rinvio alla Corte di giustizia europea rappresenta comunque una speranza. Lo spauracchio di una procedura di infrazione, seppur ancora lontana nel tempo, potrebbe infatti bastare per innescare nel governo Monti, che ha dimostrato di essere decisamente sensibile alle pressioni dell’Unione, una revisione della norma finita sotto la lente dell’Ue.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04 ... ia/204652/
Parafarmacie, sarà l’Europa a decidere sulla vendita dei farmaci di fascia C
L’esito del ricorso, che era stato proposto al Tar lombardo dalla titolare di una parafarmacia di Saronno (Va) contro l’Asl di Varese, il ministero della Salute, l'Aifa, il comune di Saronno e la Regione Lombardia, riaprirà la partita sull’estensione delle competenze delle 3800 parafarmacie italiane
di Alessandro Madron | 28 aprile 2012
Sarà la Corte di Giustizia Europea a pronunciarsi sulla norma che vieta alle parafarmacie italiane di vendere farmaci di fascia C, quelli con obbligo di ricetta medica ma interamente a carico del cittadino. Il Tar della Lombardia, con un’ordinanza dello scorso 22 marzo, ha infatti deciso di rinviare alla Corte di Giustizia Europea la norma che vieta alle parafarmacie di vendere questa tipologia di medicinali (tra questi ci sono ad esempio antidepressivi, pillole anticoncezionali, farmaci per disfunzioni erettili). Per il Tar questa norma sarebbe infatti in contrasto con la legislazione comunitaria.
L’esito del ricorso, che era stato proposto dalla titolare di una parafarmacia di Saronno (Va) contro l’Asl di Varese, il ministero della Salute, l’Aifa, il comune di Saronno e la Regione Lombardia, riapre la partita sull’estensione delle competenze delle 3800 parafarmacie italiane: “Il Tar ha ritenuto fondate le discriminazioni operate nei confronti dei farmacisti di parafarmacie e dei relativi esercizi e ha rimesso la questione alla Corte di giustizia europea – spiega il Coordinamento nazionale delle parafarmacie presieduto da Giuseppe Scioscia -. L’ordinanza è motivo di soddisfazione per i farmacisti titolari di parafarmacia che purtroppo non hanno visto riconosciuti, se non in parte minima e insufficiente i loro diritti nemmeno nel recente decreto liberalizzazioni”. Infatti il decreto liberalizzazioni non ha sciolto il nodo dell’interdizione alla vendita dei farmaci di fascia C al di fuori delle farmacie, limitandosi a rinviare ad un secondo momento l’approvazione di un provvedimento che prevedesse una lista di medicinali da ammettere alla vendita anche nelle parafarmacie.
Nel provvedimento del Tar si sostiene che non vi sarebbero motivazioni per impedire la vendita di questi farmaci, sottolineando come la disciplina italiana sembri essere in contrasto con la normativa europea “in quanto idonea a rendere di fatto impossibile lo stabilimento di un farmacista in Italia che voglia accedere al mercato dei farmaci di fascia C, oltre che rendere più difficile lo svolgimento di tale attività economica nel mercato nazionale”. Secondo il Tribunale amministrativo lombardo “non sembrano esserci motivi che possano giustificare una tale restrizione all’esercizio di una libertà economica, né vi è alcuna motivazione legata all’obiettivo di ripartire in modo equilibrato le farmacie nel territorio nazionale, né di aumentare la sicurezza e qualità dell’approvvigionamento della popolazione di medicinali, di un eccesso di consumo o di ammontare di risorse pubbliche assorbite”. “Vediamo ora come si pronuncerà la Corte europea – ha commentato Giuseppe Scioscia – noi comunque continueremo a lottare perché sia autorizzata la vendita dei farmaci di fascia C nelle parafarmacie”.
Le parafarmacie vedono nella notizia di questi giorni un segnale positivo, ma i tempi per il pronunciamento della Corte di giustizia europea non sono immediati: “A volte possono passare anche due anni – spiega Cristoforo Osti, avvocato dello studio legale internazionale Clifford Chance, esperto di antitrust e diritto europeo – dopodiché la questione tornerà al giudice italiano (in questo caso al Tar della Lombardia, nda), che dovrà emettere una sentenza sulla base di quanto espresso dalla Corte di giustizia europea”. Dunque, non solo si dovranno attendere i tempi della rigorosa giustizia dell’Unione, ma anche quelli dell’intero iter di quella italiana, con i suoi diversi gradi di giudizio.
In quanto al pronunciamento della Corte di giustizia dell’Ue, va sottolineato come questa non entri nel merito, ma si esprima solo su questioni di diritto: “È un giudizio su una questione di interpretazione – spiega Cristoforo Osti – il giudice non risolve il caso, fornirà dei principi interpretativi, vale a dire che stabilirà se la norma italiana è o non è in contrasto con la disciplina dell’Unione”.
Traducendo in pratica, l’organo che vigila sull’applicazione del diritto nei paesi membri potrebbe esprimersi contro la legge italiana se dovesse stabilire che, ad esempio, questa impedisca a un qualsiasi parafarmacista di un paese dell’Unione di impiantare la propria attività in Italia, perché la legge nazionale rende l’iniziativa imprenditoriale antieconomica. Ma sarà comunque il giudice nazionale a dover entrare nel merito della faccenda, intervenendo sulla controversia.
Nonostante tempi lunghi e le incertezze di una procedura complessa, per le parafarmacie il rinvio alla Corte di giustizia europea rappresenta comunque una speranza. Lo spauracchio di una procedura di infrazione, seppur ancora lontana nel tempo, potrebbe infatti bastare per innescare nel governo Monti, che ha dimostrato di essere decisamente sensibile alle pressioni dell’Unione, una revisione della norma finita sotto la lente dell’Ue.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04 ... ia/204652/
Re: La Questione Monti
quotando paolo ....
Esiste il sito registrodelleopposizioni.it , ci entrate , cliccate su iscriviti e col codice fiscale della persona a cui è intestata la linea fissa vi iscrivete , nessuno vi romperà più per proporvi alcunchè. è gratuito e un domani potete chiedere di cancellare l'iscrizione e ripristinare il delirio .
io l'ho fatto a febbraio e ora viviamo in pace.
Esiste il sito registrodelleopposizioni.it , ci entrate , cliccate su iscriviti e col codice fiscale della persona a cui è intestata la linea fissa vi iscrivete , nessuno vi romperà più per proporvi alcunchè. è gratuito e un domani potete chiedere di cancellare l'iscrizione e ripristinare il delirio .
io l'ho fatto a febbraio e ora viviamo in pace.
Chi c’è in linea
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