COME VA IL PD
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Re: COME VA IL PD
Italicum, Ricchiuti (Pd) si sfoga in aula: ”Nel mio partito siamo arrivati alla frutta”
VIDEO
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/01/ ... to/332512/
“Siamo arrivati alla frutta nel mio partito”. La senatrice Pd Lucrezia Ricchiuti, vicina a Pippo Civati, si sfoga così in aula. Oggetto del contendere, il suo emendamento all’Italicum che chiedeva le primarie obbligatorie e regolamentate dalla legge per i candidati parlamentari, soprattutto dopo il caso Liguria. Il governo ha espresso parere contrario e l’aula lo ha respinto (tra i 78 favorevoli, solo 12 senatori Pd). Alla ripresa pomeridiana, il senatore di Liguria civica (Gruppo misto), Maurizio Rossi, ha presentato un ordine del giorno dal contenuto identico e il governo ha espresso parere favorevole. Così la senatrice Ricchiuti ha perso le staffe: “Posso pensare solo che l’emendamento sia stato bocciato, perché presentato da quelli che nel mio partito vengono chiamati gufi”, ha concluso. Al che, racconta a ilfattoquotidiano.it, “sono stata redarguita dal capogruppo Pd (Luigi Zanda, ndr), perché non conoscerei la distinzione tra emendamenti e ordini del giorno. Allora – continua – delle due l’una: o l’ordine del giorno non serve a niente e allora il parere favorevole del governo è puramente ipocrita. Oppure l’ordine del giorno ha una sua forza d’indirizzo vincolante. E e allora non si capisce per quale motivo sia stato dato il parere contrario sul mio emendamento”
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/01/ ... to/332512/
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“Siamo arrivati alla frutta nel mio partito”. La senatrice Pd Lucrezia Ricchiuti, vicina a Pippo Civati, si sfoga così in aula. Oggetto del contendere, il suo emendamento all’Italicum che chiedeva le primarie obbligatorie e regolamentate dalla legge per i candidati parlamentari, soprattutto dopo il caso Liguria. Il governo ha espresso parere contrario e l’aula lo ha respinto (tra i 78 favorevoli, solo 12 senatori Pd). Alla ripresa pomeridiana, il senatore di Liguria civica (Gruppo misto), Maurizio Rossi, ha presentato un ordine del giorno dal contenuto identico e il governo ha espresso parere favorevole. Così la senatrice Ricchiuti ha perso le staffe: “Posso pensare solo che l’emendamento sia stato bocciato, perché presentato da quelli che nel mio partito vengono chiamati gufi”, ha concluso. Al che, racconta a ilfattoquotidiano.it, “sono stata redarguita dal capogruppo Pd (Luigi Zanda, ndr), perché non conoscerei la distinzione tra emendamenti e ordini del giorno. Allora – continua – delle due l’una: o l’ordine del giorno non serve a niente e allora il parere favorevole del governo è puramente ipocrita. Oppure l’ordine del giorno ha una sua forza d’indirizzo vincolante. E e allora non si capisce per quale motivo sia stato dato il parere contrario sul mio emendamento”
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Re: COME VA IL PD
La vox populi dell'articolo precedente.
Vincenzo Giancristofaro • 32 minuti fa
Cara Senatrice il tuo partito non è alla frutta, peggio.. è MARCIO!
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Vincenzo Giancristofaro • 32 minuti fa
Cara Senatrice il tuo partito non è alla frutta, peggio.. è MARCIO!
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Re: COME VA IL PD
candela raffaele • un'ora fa
voleva dire alla banana.......
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Alessandro • 2 ore fa
Renzi sta accelerando soprattutto nelle riforme dittatoriali che gli garantiscono di
auto-perpetuarsi e di mettere al sicuro il suo personale potere. Intanto: ISTAT 9 gennaio 2015 "La pressione fiscale in Italia è cresciuta". Degli Italiani e dei loro problemi non gli interessa un granché!! Anche il pifferaio magico diceva ai topini di accelerare... nel buttarsi nel fiume.
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voleva dire alla banana.......
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Alessandro • 2 ore fa
Renzi sta accelerando soprattutto nelle riforme dittatoriali che gli garantiscono di
auto-perpetuarsi e di mettere al sicuro il suo personale potere. Intanto: ISTAT 9 gennaio 2015 "La pressione fiscale in Italia è cresciuta". Degli Italiani e dei loro problemi non gli interessa un granché!! Anche il pifferaio magico diceva ai topini di accelerare... nel buttarsi nel fiume.
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Re: COME VA IL PD
IL PD VA' ALLA GUERRA
Oramai è diventato un caso nazionale. Tutti i Tg ne parlano.
Ovviamente le ancelle delle Br smentiscono su tutto il fronte.
^^^^^
Pd, rissa su Italicum e 101 Fassina: fu Renzi a guidarli
Nuovo Senato dopo il Colle
(SILVIO BUZZANCA).
23/01/2015 di triskel182
Frenata sulla riforma costituzionale, niente voto entro gennaio Bersani: per il Quirinale no alla minestra preparata con la destra.
ROMA – Il voto finale della Camera sulla riforma costituzionale arriverà solo dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica e il suo giuramento. Lo ha deciso ieri sera la conferenza dei capigruppo che ha stabilito di concludere l’esame degli emendamenti mercoledì 28, ma di rinviare l’atto finale. Il Senato invece, ha votato per proseguire i lavori e di approvare l’Italicum il 27 gennaio. Scelte diverse arrivate dopo una giornata convulsa. Alla Camera, infatti, l’ostruzionismo delle opposizioni e le assenze nel Pd hanno spinto verso il compromesso del rinvio.
L’articolo 2 della riforma, quella su nuovo Senato, per esempio è passato solo con 270 voti favorevoli. Non erano presenti, fra gli altri, Bersani, Bindi, Cuperlo, D’Attore, Fassina. Lo stesso Fassina ha animato la giornata dicendo che «non è un segreto» che fosse Renzi l’ispiratore dei famosi 101 franchi tiratori che nel 2013 affossarono Romano Prodi candidato al Quirinale. Accusa usata da Fassina per rivendicare la lealtà della minoranza nel futuro voto sul Colle: «Noi siamo persone serie. Nessuno deve temere da noi i franchi tiratori». Però conferma che la minoranza dem voterà no all’Italicum al Senato. La sortita di Fassina è bocciata in maniera lapidaria da Lorenzo Guerini. «Una sciocchezza incredibile», dice il vicesegretario del Pd. Anche Pierluigi Bersani parla di lealtà e fedeltà al Pd. «Io — dice l’ex segretario — ho subito la slealtà, ma preferisco subire la slealtà che praticarla. Chiedo solo che non si pensi di poter preparare una minestra con la destra e farla bere di forza ad un pezzo del Pd. Al netto di questo ci sarà assoluta lealtà».
Ma al Senato l’annuncio di Fassina sul no dei dissidenti trova conferma in un altro voto contrario su un emendamento presentato da Anna Finocchiaro per cercare soluzioni ai problemi sulle modalità di assegnazione dei seggi.
Sempre ieri il governo e l’aula hanno detto no alla proposta della “dissidente” Lucrezia Ricchiuti di introdurre e regolamentare le primarie per legge.
Salvo poi approvare subito dopo un ordine del giorno identico. «Il mio partito è alla frutta», ha commentato la Ricchiuti.
Da La Repubblica del 23/01/2015
Oramai è diventato un caso nazionale. Tutti i Tg ne parlano.
Ovviamente le ancelle delle Br smentiscono su tutto il fronte.
^^^^^
Pd, rissa su Italicum e 101 Fassina: fu Renzi a guidarli
Nuovo Senato dopo il Colle
(SILVIO BUZZANCA).
23/01/2015 di triskel182
Frenata sulla riforma costituzionale, niente voto entro gennaio Bersani: per il Quirinale no alla minestra preparata con la destra.
ROMA – Il voto finale della Camera sulla riforma costituzionale arriverà solo dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica e il suo giuramento. Lo ha deciso ieri sera la conferenza dei capigruppo che ha stabilito di concludere l’esame degli emendamenti mercoledì 28, ma di rinviare l’atto finale. Il Senato invece, ha votato per proseguire i lavori e di approvare l’Italicum il 27 gennaio. Scelte diverse arrivate dopo una giornata convulsa. Alla Camera, infatti, l’ostruzionismo delle opposizioni e le assenze nel Pd hanno spinto verso il compromesso del rinvio.
L’articolo 2 della riforma, quella su nuovo Senato, per esempio è passato solo con 270 voti favorevoli. Non erano presenti, fra gli altri, Bersani, Bindi, Cuperlo, D’Attore, Fassina. Lo stesso Fassina ha animato la giornata dicendo che «non è un segreto» che fosse Renzi l’ispiratore dei famosi 101 franchi tiratori che nel 2013 affossarono Romano Prodi candidato al Quirinale. Accusa usata da Fassina per rivendicare la lealtà della minoranza nel futuro voto sul Colle: «Noi siamo persone serie. Nessuno deve temere da noi i franchi tiratori». Però conferma che la minoranza dem voterà no all’Italicum al Senato. La sortita di Fassina è bocciata in maniera lapidaria da Lorenzo Guerini. «Una sciocchezza incredibile», dice il vicesegretario del Pd. Anche Pierluigi Bersani parla di lealtà e fedeltà al Pd. «Io — dice l’ex segretario — ho subito la slealtà, ma preferisco subire la slealtà che praticarla. Chiedo solo che non si pensi di poter preparare una minestra con la destra e farla bere di forza ad un pezzo del Pd. Al netto di questo ci sarà assoluta lealtà».
Ma al Senato l’annuncio di Fassina sul no dei dissidenti trova conferma in un altro voto contrario su un emendamento presentato da Anna Finocchiaro per cercare soluzioni ai problemi sulle modalità di assegnazione dei seggi.
Sempre ieri il governo e l’aula hanno detto no alla proposta della “dissidente” Lucrezia Ricchiuti di introdurre e regolamentare le primarie per legge.
Salvo poi approvare subito dopo un ordine del giorno identico. «Il mio partito è alla frutta», ha commentato la Ricchiuti.
Da La Repubblica del 23/01/2015
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Re: COME VA IL PD
https://www.youtube.com/watch?v=8XmSg3w ... ploademail
Nicola Morra intervista il prof. Pace: "Democrazia significa trasparenza"
Ciao
Paolo11
Nicola Morra intervista il prof. Pace: "Democrazia significa trasparenza"
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Paolo11
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Re: COME VA IL PD
Il problema ora e' di trovare un'amalgama che sia in grado di tenerci uniti pur nelle ns, diversita' lasciando da parte antichi schemi ma nello stesso tempo definire quali siano i paletti da non oltrepassare. Paletti che devono essere il cardine di una nuova sinistra e che ci possono identificare facilmente da altri pseudo sinistri.
pancho
L’amalgama più efficace e rapido, da sempre, è il nemico. In questo caso i nemici sono due.
https://triskel182.files.wordpress.com/ ... =964&h=604
pancho
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Re: COME VA IL PD
il Fatto 24.1.15
Sinistra cimiteriale
L’inciucio con B. li ha ammazzati tutti
di Fabrizio d’Esposito
L’altra sera, a Servizio Pubblico destava una certa impressione il mostro tipo Gabibbo del Connubio Bierre, Nazareno Renzoni, intervistato sul Totoquirinale da Alessandro De Angelis dell’Huffington Post.
Nazareno Renzoni è figlio, anche nel nome, dell’antico Dalemoni, fantastica crasi dell’inciucio scolpita ab aeterno da Giampaolo Pansa sull’Espresso. “Dalem” stava per D’Alema, il primo a sinistra a credere di poter fare un patto con Silvio Berlusconi-oni-oni.
Il patto della crostata e l’ammissione di Violante
Per il Generale Massimo, penultimo dei togliattiani del Pci (l’ultimo è stato Giorgio Napolitano al Quirinale), quella storia a base di crostate gustate in casa di Gianni Letta alla fine è stata letale.
Non solo per il marchio infame dell’inciucio che ha accompagnato D’Alema per tutto il ventennio della Seconda Repubblica. Ma anche e soprattutto perché l’intelligenza con il Cavaliere si trasfigura sempre in un abbraccio mortale.
Ed è questo che deve temere Matteo Renzi. Riuscirà a sopravvivere al Nazareno dopo che anni e anni di consociativismo hanno devastato un’intera classe dirigente del centrosinistra, con la sola eccezione dell’antiberlusconiano Romano Prodi?
In origine, appunto, fu Massimo D’Alema. E al di là di retroscena e ricostruzioni di quella cena nel 1997 a casa Letta del mostro Dalemoni, per parlare di Bicamerale sulle riforme e salvezza delle tv del Biscione, fa fede la clamorosa e ormai nota rivelazione pubblica di Luciano Violante nell’aula di Montecitorio nel febbraio del 2002.
(https://www.youtube.com/watch?v=RSPs85eKP6o - ndt)
Promesse e garanzie, ma D’Alema fu sempre bruciato
La citazione di Violante edizione 2002 va riportata per intero come memorandum a Renzi e al suo fidato Lotti quando s’incontrano con B. e Verdini.
Violante, nel suo ruolo di capogruppo dei Ds, rispose a un deputato dell’allora An, Anedda, che accusò la sinistra di voler espropriare il Cavaliere: “Se dovessi applicare i vostri criteri, quelli che avete applicato voi nella scorsa legislatura contro di noi, che non avevamo fatto una legge sul conflitto di interessi, non avevamo tolto le televisioni all’onorevole Berlusconi. Onorevole Anedda, la invito a consultare l’onorevole Berlusconi perché lui sa per certo che gli è stata data la garanzia piena, non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di governo, che non sarebbero state toccate le televisioni.
Lo sa lui e lo sa l’onorevole Letta. A parte questo, la questione è un’altra. Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto di interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni.
Durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte”.
Un passaggio che è ancora di una sconcertante attualità. Eppure, nonostante tutto, B. ha combinato a D’Alema due macabri scherzi. Dapprima fece saltare la tanto decantata Bicamerale, poi nel 2006 bruciò l’amico “Massimo” per il Quirinale, dopo che il povero Fassino aveva lanciato la candidatura di D’Alema sul solito Foglio di Ferrara.
L’accordo con Veltroni e l’èra Bersani-Enrico Letta
Perfidia della storia, il cognome Veltroni è invece una crasi naturale dell’accordo tra “Walter” e “Silvio”. Stavolta siamo nel 2008. Alle politiche, Veltroni è il candidato del centrosinistra e non cita mai l’avversario in campagna elettorale.
Una cortesia che verrà utile un anno dopo quando Goffredo Bettini, factotum veltroniano, incontra segretamente Denis Verdini per un accordone su legge elettorale per l’Europee e assetto radio-tv. In pratica, l’attuale Pregiudicato dopo aver rottamato D’Alema, estinguerà anche il nemico giurato di “Massimo”.
Il resto è storia di questi anni, sotto l’ombrello consociativo di Re Giorgio. Certo, fu il capo dello Stato a imporre l’inciucio a Pier Luigi Bersani per il governo Monti, ma lo stesso segretario del Pd non ebbe difficoltà a fare un patto con B. sul congelamento del Porcellum, per portare nel 2013 i rispettivi nominati in Parlamento. Garanti di quell’intesa furono Verdini per Berlusconi e e Migliavacca per Bersani.
Con Enrico Letta a Palazzo Chigi, l’inciucio diventa di famiglia. Il nipote premier, lo zio Gianni con B. Dal ’94 a oggi Silvio Berlusconi ha abbracciato e ucciso tutti i leader di centrosinistra che hanno voluto accordarsi con lui. Bisogna dargliene atto. Adesso c’è Renzi, che pensa di essere più furbo del Caimano.
Sinistra cimiteriale
L’inciucio con B. li ha ammazzati tutti
di Fabrizio d’Esposito
L’altra sera, a Servizio Pubblico destava una certa impressione il mostro tipo Gabibbo del Connubio Bierre, Nazareno Renzoni, intervistato sul Totoquirinale da Alessandro De Angelis dell’Huffington Post.
Nazareno Renzoni è figlio, anche nel nome, dell’antico Dalemoni, fantastica crasi dell’inciucio scolpita ab aeterno da Giampaolo Pansa sull’Espresso. “Dalem” stava per D’Alema, il primo a sinistra a credere di poter fare un patto con Silvio Berlusconi-oni-oni.
Il patto della crostata e l’ammissione di Violante
Per il Generale Massimo, penultimo dei togliattiani del Pci (l’ultimo è stato Giorgio Napolitano al Quirinale), quella storia a base di crostate gustate in casa di Gianni Letta alla fine è stata letale.
Non solo per il marchio infame dell’inciucio che ha accompagnato D’Alema per tutto il ventennio della Seconda Repubblica. Ma anche e soprattutto perché l’intelligenza con il Cavaliere si trasfigura sempre in un abbraccio mortale.
Ed è questo che deve temere Matteo Renzi. Riuscirà a sopravvivere al Nazareno dopo che anni e anni di consociativismo hanno devastato un’intera classe dirigente del centrosinistra, con la sola eccezione dell’antiberlusconiano Romano Prodi?
In origine, appunto, fu Massimo D’Alema. E al di là di retroscena e ricostruzioni di quella cena nel 1997 a casa Letta del mostro Dalemoni, per parlare di Bicamerale sulle riforme e salvezza delle tv del Biscione, fa fede la clamorosa e ormai nota rivelazione pubblica di Luciano Violante nell’aula di Montecitorio nel febbraio del 2002.
(https://www.youtube.com/watch?v=RSPs85eKP6o - ndt)
Promesse e garanzie, ma D’Alema fu sempre bruciato
La citazione di Violante edizione 2002 va riportata per intero come memorandum a Renzi e al suo fidato Lotti quando s’incontrano con B. e Verdini.
Violante, nel suo ruolo di capogruppo dei Ds, rispose a un deputato dell’allora An, Anedda, che accusò la sinistra di voler espropriare il Cavaliere: “Se dovessi applicare i vostri criteri, quelli che avete applicato voi nella scorsa legislatura contro di noi, che non avevamo fatto una legge sul conflitto di interessi, non avevamo tolto le televisioni all’onorevole Berlusconi. Onorevole Anedda, la invito a consultare l’onorevole Berlusconi perché lui sa per certo che gli è stata data la garanzia piena, non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di governo, che non sarebbero state toccate le televisioni.
Lo sa lui e lo sa l’onorevole Letta. A parte questo, la questione è un’altra. Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto di interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni.
Durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte”.
Un passaggio che è ancora di una sconcertante attualità. Eppure, nonostante tutto, B. ha combinato a D’Alema due macabri scherzi. Dapprima fece saltare la tanto decantata Bicamerale, poi nel 2006 bruciò l’amico “Massimo” per il Quirinale, dopo che il povero Fassino aveva lanciato la candidatura di D’Alema sul solito Foglio di Ferrara.
L’accordo con Veltroni e l’èra Bersani-Enrico Letta
Perfidia della storia, il cognome Veltroni è invece una crasi naturale dell’accordo tra “Walter” e “Silvio”. Stavolta siamo nel 2008. Alle politiche, Veltroni è il candidato del centrosinistra e non cita mai l’avversario in campagna elettorale.
Una cortesia che verrà utile un anno dopo quando Goffredo Bettini, factotum veltroniano, incontra segretamente Denis Verdini per un accordone su legge elettorale per l’Europee e assetto radio-tv. In pratica, l’attuale Pregiudicato dopo aver rottamato D’Alema, estinguerà anche il nemico giurato di “Massimo”.
Il resto è storia di questi anni, sotto l’ombrello consociativo di Re Giorgio. Certo, fu il capo dello Stato a imporre l’inciucio a Pier Luigi Bersani per il governo Monti, ma lo stesso segretario del Pd non ebbe difficoltà a fare un patto con B. sul congelamento del Porcellum, per portare nel 2013 i rispettivi nominati in Parlamento. Garanti di quell’intesa furono Verdini per Berlusconi e e Migliavacca per Bersani.
Con Enrico Letta a Palazzo Chigi, l’inciucio diventa di famiglia. Il nipote premier, lo zio Gianni con B. Dal ’94 a oggi Silvio Berlusconi ha abbracciato e ucciso tutti i leader di centrosinistra che hanno voluto accordarsi con lui. Bisogna dargliene atto. Adesso c’è Renzi, che pensa di essere più furbo del Caimano.
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Re: COME VA IL PD
il Fatto 25.1.15
Bella Ciao è l’inno mondiale contro le oppressioni (ma non ditelo al Pd)
di Silvia Truzzi
NEL 2011 il consiglio d’amministrazione della Rai vietò di far eseguire Bella ciao sul palco dell’Ariston (Sanremo è Sanremo perché è davvero lo specchio del Paese). Il venerdì ci sarebbe stata la serata commemorativa per i 150 anni dell’Unità d’Italia, e Gianni Morandi voleva Bella ciao tra i brani che avrebbero dovuto simbolicamente ripercorrere la storia d’Italia.
“È il canto delle mondine”, disse stupito del casino che si era creato dopo l’annuncio. Gianmarco Mazzi – che di quell’edizione era il direttore artistico – propose di affiancare Giovinezza, per questioni di par condicio.
Né l’una né l’altra furono eseguite, causa veto politico di Viale Mazzini. Allora si disse che c’era una certa differenza perché Bella ciao era l’inno della Resistenza, Giovinezza la canzone simbolo del Fascismo.
Ma siccome le censure trovano sempre il modo di aggirare l’ostacolo, negli ultimi anni Bella ciao si è presa una rivincita mondiale.
A cominciare proprio dal 2011: a Zuccotti Park, la intonarono gli indignados di Occupy Wall Street.
François Hollande la usò per chiudere la campagna elettorale delle Presidenziali 2012: gli portò fortuna, sconfisse Sarkozy.
E molto probabilmente la stessa cosa succederà in Grecia: Alexis Tsipras l’ha cantata dopo l’ultimo comizio prima del voto di oggi.
A Istanbul nel 2013 divenne l’inno dei manifestanti di Gezi park, contro il premier Erdogan.
In ottobre, a Hong Kong, Franco Mella, un sacerdote italiano, intonò al megafono Bella ciao e i ragazzi della rivoluzione degli ombrelli si misero a cantare con lui.
La canzone del partigiano morto per la libertà ha salutato i vignettisti Tignous e Charb, uccisi nella strage di Charlie Hebdo.
Huffington Post ricorda anche precedenti più domestici: Michele Santoro, in tv dopo l’editto bulgaro.
E NATURALMENTE Don Gallo: fu la colonna sonora del suo commovente corteo funebre. La cantava sempre, come diceva lui, “in una mano il Vangelo, nell’altra la Costituzione”.
La cosa buffa è che mentre una canzone italiana – sul sito dell’Anpi si trova la storia dettagliata – diventa la bandiera mondiale contro le oppressioni, il più grande partito della sinistra italiana si è ormai definitivamente “nazarenizzato”.
Non da oggi, ovviamente: ora è solo tutto molto più chiaro. Ieri un articolo di Repubblica, citando un libro del 2005 (Bella ciao. Canto e politica nella storia d'Italia di Stefano Pivato, Laterza) ricorda che “la sua storia e la sua memoria ‘la accreditano come la canzone che unifica le speranze e le attese della democrazia’”.
L’inno dei costituenti. Solo che quelli nuovi, quelli che dovrebbero riscrivere le regole, lo fanno con patti segreti.
Ve lo immaginate il lupetto di Rignano sull’Arno che chiude la sua campagna elettorale con Bella ciao?
Al massimo potrebbe dire ciao bella alla Boschi. Senza contare che agli amici Silvio e Denis verrebbe un colpo apoplettico e, se la riconoscesse (il che non è detto), anche al compagno di governo Angelino. Che poi, perfino la versione delle mondine s’addice poco al partito del Jobs Act: “Il capo in piedi col suo bastone o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao, il capo in piedi col suo bastone e noi curve a lavorare”.
Bella Ciao è l’inno mondiale contro le oppressioni (ma non ditelo al Pd)
di Silvia Truzzi
NEL 2011 il consiglio d’amministrazione della Rai vietò di far eseguire Bella ciao sul palco dell’Ariston (Sanremo è Sanremo perché è davvero lo specchio del Paese). Il venerdì ci sarebbe stata la serata commemorativa per i 150 anni dell’Unità d’Italia, e Gianni Morandi voleva Bella ciao tra i brani che avrebbero dovuto simbolicamente ripercorrere la storia d’Italia.
“È il canto delle mondine”, disse stupito del casino che si era creato dopo l’annuncio. Gianmarco Mazzi – che di quell’edizione era il direttore artistico – propose di affiancare Giovinezza, per questioni di par condicio.
Né l’una né l’altra furono eseguite, causa veto politico di Viale Mazzini. Allora si disse che c’era una certa differenza perché Bella ciao era l’inno della Resistenza, Giovinezza la canzone simbolo del Fascismo.
Ma siccome le censure trovano sempre il modo di aggirare l’ostacolo, negli ultimi anni Bella ciao si è presa una rivincita mondiale.
A cominciare proprio dal 2011: a Zuccotti Park, la intonarono gli indignados di Occupy Wall Street.
François Hollande la usò per chiudere la campagna elettorale delle Presidenziali 2012: gli portò fortuna, sconfisse Sarkozy.
E molto probabilmente la stessa cosa succederà in Grecia: Alexis Tsipras l’ha cantata dopo l’ultimo comizio prima del voto di oggi.
A Istanbul nel 2013 divenne l’inno dei manifestanti di Gezi park, contro il premier Erdogan.
In ottobre, a Hong Kong, Franco Mella, un sacerdote italiano, intonò al megafono Bella ciao e i ragazzi della rivoluzione degli ombrelli si misero a cantare con lui.
La canzone del partigiano morto per la libertà ha salutato i vignettisti Tignous e Charb, uccisi nella strage di Charlie Hebdo.
Huffington Post ricorda anche precedenti più domestici: Michele Santoro, in tv dopo l’editto bulgaro.
E NATURALMENTE Don Gallo: fu la colonna sonora del suo commovente corteo funebre. La cantava sempre, come diceva lui, “in una mano il Vangelo, nell’altra la Costituzione”.
La cosa buffa è che mentre una canzone italiana – sul sito dell’Anpi si trova la storia dettagliata – diventa la bandiera mondiale contro le oppressioni, il più grande partito della sinistra italiana si è ormai definitivamente “nazarenizzato”.
Non da oggi, ovviamente: ora è solo tutto molto più chiaro. Ieri un articolo di Repubblica, citando un libro del 2005 (Bella ciao. Canto e politica nella storia d'Italia di Stefano Pivato, Laterza) ricorda che “la sua storia e la sua memoria ‘la accreditano come la canzone che unifica le speranze e le attese della democrazia’”.
L’inno dei costituenti. Solo che quelli nuovi, quelli che dovrebbero riscrivere le regole, lo fanno con patti segreti.
Ve lo immaginate il lupetto di Rignano sull’Arno che chiude la sua campagna elettorale con Bella ciao?
Al massimo potrebbe dire ciao bella alla Boschi. Senza contare che agli amici Silvio e Denis verrebbe un colpo apoplettico e, se la riconoscesse (il che non è detto), anche al compagno di governo Angelino. Che poi, perfino la versione delle mondine s’addice poco al partito del Jobs Act: “Il capo in piedi col suo bastone o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao, il capo in piedi col suo bastone e noi curve a lavorare”.
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Re: COME VA IL PD
La Stampa 28.1.15
Renzi incassa l’Italicum. Ma il Pd ormai è spaccato
I senatori dissidenti confermano la scelta e non partecipano Gotor attacca: un’altra soluzione non è stata neanche cercata
di Amedeo La Mattina
Il patto del Nazareno ha retto al giro di boa del Senato dove ieri sera la nuova legge elettorale è stato approvata con 184 sì contro 66 no e 2 astenuti (l’astensione a Palazzo Madama vale voto contrario). Ora passa alla Camera per il via libera definitivo. Ma in mezzo c’è la corsa per il Quirinale che dovrebbe chiudersi entro sabato, almeno nelle intenzioni di Renzi. Regalando l’Italicum nella versione voluta dal premier, Berlusconi intende passare all’incasso di una candidatura «amica» per il Colle e replicare per cerchi concentrici le larghe maggioranze che stanno funzionando per le riforme. In Fi c’è pure chi pensa che questo passaggio aprirà le porte a un nuovo governo con dentro ministri azzurri. Le votazioni di questi giorni, compresa quella ieri, hanno però messo in evidenza le profonde fratture nei due maggiori partiti (Pd e Fi), con tutto quello che ne può conseguire al momento del voto segreto per eleggere il nuovo capo dello Stato. I dissidenti a volto scoperto (altri si sono adeguati alle indicazioni dei loro gruppi) sono stati 24 senatori bersaniani guidati da Gotor, 4 di Ncd, 13 di Fi e 6 di Gal (questi ultimi 19 sono tutti vicini alle posizioni ribelle di Fitto). Sono usciti dall’aula o, rimanendoci, non hanno partecipato alla votazione. «E’ un numero destinato a raddoppiare quando nei prossimi giorni si tratterà di decidere per il Colle», assicura Minzolini.
Maggioranza sufficiente
Intanto Renzi si gode il successo. «E due. Legge elettorale approvata anche al Senato. Il coraggio paga, le riforme vanno avanti», ha scritto su Twitter, aggiungendo il consueto hashtag #lavoltabuona. Raggiante il ministro Boschi («sembrava impossibile qualche mese fa...», la quale con malizia ha fatto notare l’autosufficienza della maggioranza che sostiene il governo, nonostante «l’importante il contributo di Fi». I votanti in aula erano 252, la maggioranza richiesta era di 127 voti: ecco, i sì provenienti dal Pd più Area popolare (Ncd più Udc e Scelta civica) sono stati 130. Tre in più del necessario. Un’autosufficienza che è stata sottolineata anche dal capogruppo dem Zanda , che però è rimasto con l’amaro in bocca per la dissociazione dei senatori del suo gruppo. A suo giudizio avrebbero dovuto rivendicare i miglioramenti che loro stessi hanno ottenuto al testo della legge. Tra questi miglioramenti quello che più stava a cuore a Ncd erano le preferenze e Alfano le ha portate a casa (oltre allo sbarramento del 3%).
Fitto, no a soccorso azzurro
La maggioranza sarà pure stata autosufficiente nel voto finale, ma senza Fi non sarebbero passati tutti gli emendamenti voluti da Palazzo Chigi. Con il risultato, ha sottolineato Fitto, che questo modello elettorale avrà l’effetto di «spezzettare il centrodestra, impedire agli elettori di scegliere i candidati, concedere al Pd tutto quello che voleva». «Ringrazio molto i coraggiosi senatori che hanno lasciato l’aula marcando un giusto e pieno dissenso», ha detto Fitto. Critiche da Sel e dalla Lega. Sarcastico Calderoli: «Chiamatelo Italicum, stronzellum ma si capisce che appartiene alla specie dei suini e quindi del maiale. Se Berlusconi è tornato politicamente in vita lo deve a Renzi con buona pace del bipolarismo e del bipartismo... Francia o Spagna purché se magna».
Renzi incassa l’Italicum. Ma il Pd ormai è spaccato
I senatori dissidenti confermano la scelta e non partecipano Gotor attacca: un’altra soluzione non è stata neanche cercata
di Amedeo La Mattina
Il patto del Nazareno ha retto al giro di boa del Senato dove ieri sera la nuova legge elettorale è stato approvata con 184 sì contro 66 no e 2 astenuti (l’astensione a Palazzo Madama vale voto contrario). Ora passa alla Camera per il via libera definitivo. Ma in mezzo c’è la corsa per il Quirinale che dovrebbe chiudersi entro sabato, almeno nelle intenzioni di Renzi. Regalando l’Italicum nella versione voluta dal premier, Berlusconi intende passare all’incasso di una candidatura «amica» per il Colle e replicare per cerchi concentrici le larghe maggioranze che stanno funzionando per le riforme. In Fi c’è pure chi pensa che questo passaggio aprirà le porte a un nuovo governo con dentro ministri azzurri. Le votazioni di questi giorni, compresa quella ieri, hanno però messo in evidenza le profonde fratture nei due maggiori partiti (Pd e Fi), con tutto quello che ne può conseguire al momento del voto segreto per eleggere il nuovo capo dello Stato. I dissidenti a volto scoperto (altri si sono adeguati alle indicazioni dei loro gruppi) sono stati 24 senatori bersaniani guidati da Gotor, 4 di Ncd, 13 di Fi e 6 di Gal (questi ultimi 19 sono tutti vicini alle posizioni ribelle di Fitto). Sono usciti dall’aula o, rimanendoci, non hanno partecipato alla votazione. «E’ un numero destinato a raddoppiare quando nei prossimi giorni si tratterà di decidere per il Colle», assicura Minzolini.
Maggioranza sufficiente
Intanto Renzi si gode il successo. «E due. Legge elettorale approvata anche al Senato. Il coraggio paga, le riforme vanno avanti», ha scritto su Twitter, aggiungendo il consueto hashtag #lavoltabuona. Raggiante il ministro Boschi («sembrava impossibile qualche mese fa...», la quale con malizia ha fatto notare l’autosufficienza della maggioranza che sostiene il governo, nonostante «l’importante il contributo di Fi». I votanti in aula erano 252, la maggioranza richiesta era di 127 voti: ecco, i sì provenienti dal Pd più Area popolare (Ncd più Udc e Scelta civica) sono stati 130. Tre in più del necessario. Un’autosufficienza che è stata sottolineata anche dal capogruppo dem Zanda , che però è rimasto con l’amaro in bocca per la dissociazione dei senatori del suo gruppo. A suo giudizio avrebbero dovuto rivendicare i miglioramenti che loro stessi hanno ottenuto al testo della legge. Tra questi miglioramenti quello che più stava a cuore a Ncd erano le preferenze e Alfano le ha portate a casa (oltre allo sbarramento del 3%).
Fitto, no a soccorso azzurro
La maggioranza sarà pure stata autosufficiente nel voto finale, ma senza Fi non sarebbero passati tutti gli emendamenti voluti da Palazzo Chigi. Con il risultato, ha sottolineato Fitto, che questo modello elettorale avrà l’effetto di «spezzettare il centrodestra, impedire agli elettori di scegliere i candidati, concedere al Pd tutto quello che voleva». «Ringrazio molto i coraggiosi senatori che hanno lasciato l’aula marcando un giusto e pieno dissenso», ha detto Fitto. Critiche da Sel e dalla Lega. Sarcastico Calderoli: «Chiamatelo Italicum, stronzellum ma si capisce che appartiene alla specie dei suini e quindi del maiale. Se Berlusconi è tornato politicamente in vita lo deve a Renzi con buona pace del bipolarismo e del bipartismo... Francia o Spagna purché se magna».
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Re: COME VA IL PD
Diventare erede di Bettino porta male......
Uno dei leitmotiv è che, con Renzi e Mattarella, il Pd si sia trasformato in una nuova Dc.
«Noi non siamo morti né comunisti, né democristiani. Viviamo benissimo da socialisti europei: anzi, siamo il più grande partito della sinistra europea»
Corriere 3.2.15
Orfini alla minoranza: rivedere l’Italicum? No, ha un buon equilibrio
di Daria Gorodisky
ROMA Matteo Orfini, presidente del Pd: appena eletto il presidente della Repubblica, il governo rilancia il 3% come soglia di non punibilità per l’evasione fiscale. Molti lo ritengono un favore a Berlusconi, e voi lo avevate ritirato.
«Il decreto era stato scritto in modo sbagliato e lo abbiamo ritirato. Però riteniamo giusto che ci sia una differenza fra frode fiscale e errore fiscale: se c’è dolo, si tratta di reato, dunque punibile penalmente; mentre, in caso di sbaglio, basta la sanzione amministrativa».
In Europa non è contemplato nulla del genere. Anche la Francia, citata dal ministro Boschi, ha una norma severissima: il Code général des impôts all’articolo 1741 parla sì di soglia del 10%, ma solo se non supera i 153 euro.
«I tecnici si occuperanno di numeri e soglie. Io mi fermo al principio che ho appena descritto, e che all’articolo 8 del decreto fiscale è stato approvato da tutti, incluso il Movimento 5 Stelle: la necessità di distinguere fra errore e dolo. Servirà anche a snellire la Giustizia, il tribunale penale è ingolfato di procedimenti».
Ma non è più intasato il tribunale civile?
«Infatti è previsto un incontro preventivo con le Procure per valutare gli effetti del decreto. Il testo sarà anche pubblicato online e aperto a tutte le osservazioni».
Come vede il percorso delle riforme dopo la grande «pacificazione» tra le diverse aree del suo partito intorno al nome di Sergio Mattarella?
«Credo che la bella pagina dell’elezione per il Quirinale ci indichi il dovere di portare a completamento le riforme: a partire da legge elettorale e modifiche costituzionali».
Partiamo dal futuro sistema di voto.
La vostra minoranza era e rimane contraria ai capilista bloccati: c’è disponibilità, adesso, a rivedere questo elemento?
«Mi sembra che la legge elettorale, così come è stata licenziata dal Senato in seconda lettura, rappresenti un buon punto di equilibrio fra le diverse esigenze di tanti di noi. Quindi penso che concluderà il suo iter con l’approvazione della Camera, non credo che ci saranno modifiche. Del resto, un partito offre un nome in un collegio: se all’elettore quel nome non piace, può non votare quella formazione».
E le riforme costituzionali?
«L’impianto generale è definito. Ci sono ancora alcuni nodi, per esempio sul Titolo V, ma rispetteremo il calendario. Vedo in questo Parlamento una volontà molto ampia di compiere riforme. Certo, sento dichiarazioni curiose di esponenti di Forza Italia che le legano all’elezione del capo dello Stato: ma non c’è nesso fra patto del Nazareno e Quirinale».
Il dubbio ha più che sfiorato settori del suo partito.
«Direi che l’elezione del presidente della Repubblica con un consenso così ampio è servito a cancellare i dubbi di chi ne aveva e descriveva il patto del Nazareno come qualcosa di mefistofelico. Credo che questo aiuterà anche a purificare dalle scorie il clima interno al Pd. Da presidente, devo garantire il massimo sforzo per raggiungere una sintesi. Però a volte questo è impossibile, e allora esistono delle regole per decidere. Il partito non può essere paralizzato».
Uno dei leitmotiv è che, con Renzi e Mattarella, il Pd si sia trasformato in una nuova Dc.
«Noi non siamo morti né comunisti, né democristiani. Viviamo benissimo da socialisti europei: anzi, siamo il più grande partito della sinistra europea».
Uno dei leitmotiv è che, con Renzi e Mattarella, il Pd si sia trasformato in una nuova Dc.
«Noi non siamo morti né comunisti, né democristiani. Viviamo benissimo da socialisti europei: anzi, siamo il più grande partito della sinistra europea»
Corriere 3.2.15
Orfini alla minoranza: rivedere l’Italicum? No, ha un buon equilibrio
di Daria Gorodisky
ROMA Matteo Orfini, presidente del Pd: appena eletto il presidente della Repubblica, il governo rilancia il 3% come soglia di non punibilità per l’evasione fiscale. Molti lo ritengono un favore a Berlusconi, e voi lo avevate ritirato.
«Il decreto era stato scritto in modo sbagliato e lo abbiamo ritirato. Però riteniamo giusto che ci sia una differenza fra frode fiscale e errore fiscale: se c’è dolo, si tratta di reato, dunque punibile penalmente; mentre, in caso di sbaglio, basta la sanzione amministrativa».
In Europa non è contemplato nulla del genere. Anche la Francia, citata dal ministro Boschi, ha una norma severissima: il Code général des impôts all’articolo 1741 parla sì di soglia del 10%, ma solo se non supera i 153 euro.
«I tecnici si occuperanno di numeri e soglie. Io mi fermo al principio che ho appena descritto, e che all’articolo 8 del decreto fiscale è stato approvato da tutti, incluso il Movimento 5 Stelle: la necessità di distinguere fra errore e dolo. Servirà anche a snellire la Giustizia, il tribunale penale è ingolfato di procedimenti».
Ma non è più intasato il tribunale civile?
«Infatti è previsto un incontro preventivo con le Procure per valutare gli effetti del decreto. Il testo sarà anche pubblicato online e aperto a tutte le osservazioni».
Come vede il percorso delle riforme dopo la grande «pacificazione» tra le diverse aree del suo partito intorno al nome di Sergio Mattarella?
«Credo che la bella pagina dell’elezione per il Quirinale ci indichi il dovere di portare a completamento le riforme: a partire da legge elettorale e modifiche costituzionali».
Partiamo dal futuro sistema di voto.
La vostra minoranza era e rimane contraria ai capilista bloccati: c’è disponibilità, adesso, a rivedere questo elemento?
«Mi sembra che la legge elettorale, così come è stata licenziata dal Senato in seconda lettura, rappresenti un buon punto di equilibrio fra le diverse esigenze di tanti di noi. Quindi penso che concluderà il suo iter con l’approvazione della Camera, non credo che ci saranno modifiche. Del resto, un partito offre un nome in un collegio: se all’elettore quel nome non piace, può non votare quella formazione».
E le riforme costituzionali?
«L’impianto generale è definito. Ci sono ancora alcuni nodi, per esempio sul Titolo V, ma rispetteremo il calendario. Vedo in questo Parlamento una volontà molto ampia di compiere riforme. Certo, sento dichiarazioni curiose di esponenti di Forza Italia che le legano all’elezione del capo dello Stato: ma non c’è nesso fra patto del Nazareno e Quirinale».
Il dubbio ha più che sfiorato settori del suo partito.
«Direi che l’elezione del presidente della Repubblica con un consenso così ampio è servito a cancellare i dubbi di chi ne aveva e descriveva il patto del Nazareno come qualcosa di mefistofelico. Credo che questo aiuterà anche a purificare dalle scorie il clima interno al Pd. Da presidente, devo garantire il massimo sforzo per raggiungere una sintesi. Però a volte questo è impossibile, e allora esistono delle regole per decidere. Il partito non può essere paralizzato».
Uno dei leitmotiv è che, con Renzi e Mattarella, il Pd si sia trasformato in una nuova Dc.
«Noi non siamo morti né comunisti, né democristiani. Viviamo benissimo da socialisti europei: anzi, siamo il più grande partito della sinistra europea».
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