riforma Pensioni Fornero-Si lotta per i diritti cancellati.
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Re: riforma Pensioni Fornero-Si lotta per i diritti cancella
Hai perfettamente ragione.Invece di distribuire gli 80 euro, altra schifezza che privilegiava due famigliari che lavorano con un
rettito sotto i 25000 euro quindi prendevano in due gli 80 euro.Potevano sistemare gli esodati.
Ciao
Paolo11
rettito sotto i 25000 euro quindi prendevano in due gli 80 euro.Potevano sistemare gli esodati.
Ciao
Paolo11
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Re: riforma Pensioni Fornero-Si lotta per i diritti cancella
Andava comunque fatto qualche cosa per recuperare il potere d'acquisto distrutto da quando c'è stato l'euro (non condanno la moneta ma le speculazioni che ci sono state). E 80 euro sono pure pochi. I contratti non sono stati rinnovati quindi si poteva agire con la leva fiscale anche restituendo il fiscal drag (di questo nessuno ne parla perché ora c'è la bufala della deflazione).
Capisco che come sempre c'è chi sta peggio ma non si può fare una guerra fra ceti poveri (ormai anche chi è impiegato e deve mantenere altri) e i soldi andavano presi da un'altra parte, visto che c'è il 10% che ha più della metà del reddito nazionale.
Capisco che come sempre c'è chi sta peggio ma non si può fare una guerra fra ceti poveri (ormai anche chi è impiegato e deve mantenere altri) e i soldi andavano presi da un'altra parte, visto che c'è il 10% che ha più della metà del reddito nazionale.
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Re: riforma Pensioni Fornero-Si lotta per i diritti cancella
Damiano bacchetta Renzi su quota 100
E’ ancora lite nel Partito democratico sulle riforme messe in cantiere del Governo Renzi.
Divisi su tutto la maggioranza dei renziani e la minoranza del Pd.
A ‘suonarle’ ancora una volta al premier Matteo Renzi è Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera dei Deputati, esponente della sinistra Pd.
“Caro Renzi, la ‘quota 100′ – ha dichiarato in una nota stampa Cesare Damiano intervenendo sulla riforma pensioni 2015 e la nuova legge elettorale – applichiamola alle pensioni per fare uscire dal lavoro chi ha 60 anni di età e 40 di contributi e non ai capilista della nuova legge elettorale”, ha sottolineato l’ex ministro del Lavoro del Governo Prodi rivolgendosi al presidente del consiglio dei ministri e segretario del Partito democratico Matteo Renzi.
L’ipotesi dell’ex ministro del lavoro, supportata dalla minoranza dem, chiede l’approvazione entro il mese di Febbraio di uno strumento di flessibilità in uscita per migliaia di lavoratori rimasti intrappolati nelle maglie della Riforma Fornero.
In questo modo, osserva Damiano, potrebbero essere risolti quei tanti capitoli oggi ancora rimasti aperti ad iniziare dal fenomeno degli esodati.
Difatti come spiega Damiano:
“La nomina di Boeri all’Inps deve essere l’occasione per affrontare quei temi sulla previdenza che sono stati trascurati sino ad oggi.
Ricordiamo al commissario in pectore dell’INPS che oltre alla revisione dell’età pensionabile ci sono anche altri temi previdenziali da affrontare con una certa urgenza:
ad iniziare dalle ricongiunzioni, gli esodati, l’opzione donna, i macchinisti delle ferrovie e i Quota 96 della scuola.
Si tratta di un pacchetto di problemi causati da errori legislativi ai quali va posto riparo se si vuole perseguire un criterio di giustizia sociale.
Da non dimenticare anche la stangata sulle partite Iva:
anche su questo tema il Governo ha annunciato a breve un intervento”.
http://www.pensioniblog.it/2015/01/08/d ... quota-100/
E’ ancora lite nel Partito democratico sulle riforme messe in cantiere del Governo Renzi.
Divisi su tutto la maggioranza dei renziani e la minoranza del Pd.
A ‘suonarle’ ancora una volta al premier Matteo Renzi è Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera dei Deputati, esponente della sinistra Pd.
“Caro Renzi, la ‘quota 100′ – ha dichiarato in una nota stampa Cesare Damiano intervenendo sulla riforma pensioni 2015 e la nuova legge elettorale – applichiamola alle pensioni per fare uscire dal lavoro chi ha 60 anni di età e 40 di contributi e non ai capilista della nuova legge elettorale”, ha sottolineato l’ex ministro del Lavoro del Governo Prodi rivolgendosi al presidente del consiglio dei ministri e segretario del Partito democratico Matteo Renzi.
L’ipotesi dell’ex ministro del lavoro, supportata dalla minoranza dem, chiede l’approvazione entro il mese di Febbraio di uno strumento di flessibilità in uscita per migliaia di lavoratori rimasti intrappolati nelle maglie della Riforma Fornero.
In questo modo, osserva Damiano, potrebbero essere risolti quei tanti capitoli oggi ancora rimasti aperti ad iniziare dal fenomeno degli esodati.
Difatti come spiega Damiano:
“La nomina di Boeri all’Inps deve essere l’occasione per affrontare quei temi sulla previdenza che sono stati trascurati sino ad oggi.
Ricordiamo al commissario in pectore dell’INPS che oltre alla revisione dell’età pensionabile ci sono anche altri temi previdenziali da affrontare con una certa urgenza:
ad iniziare dalle ricongiunzioni, gli esodati, l’opzione donna, i macchinisti delle ferrovie e i Quota 96 della scuola.
Si tratta di un pacchetto di problemi causati da errori legislativi ai quali va posto riparo se si vuole perseguire un criterio di giustizia sociale.
Da non dimenticare anche la stangata sulle partite Iva:
anche su questo tema il Governo ha annunciato a breve un intervento”.
http://www.pensioniblog.it/2015/01/08/d ... quota-100/
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Re: riforma Pensioni Fornero-Si lotta per i diritti cancella
...
3. Qualche esempio concreto
Mario è un operaio di 58 anni: da otto anni lavora ai telai della “Paola Textile” di Montemurlo, vicino Prato. Durante un periodo di malattia dovuto ad un grave problema cardiaco, Mario chiede, in vista del rientro, di cambiare mansione; l'azienda, per tutta risposta, lo licenzia adducendo un giustificato motivo soggettivo. Mario fa ricorso contro la sentenza e il giudice, avendo riconosciuto l'illegittimità del licenziamento, condanna l'azienda alla reintegrazione del lavoratore e al pagamento di tutte le mensilità e i contributi dovuti dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione. Mario potrebbe scegliere di prendere 15 mensilità, oltre a quelle già dovute dall'azienda, e di non rientrare, ma è lontano dalla pensione, non è riuscito a trovare un altro lavoro ed ha bisogno di continuare a versare i contributi pensionistici, quindi sceglie di rientrare in fabbrica. La norma di riferimento è l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Domenico è un operaio della Fiat di Pomigliano d'Arco, vicino Napoli. La Fiat lo licenzia in seguito ad una manifestazione durante la quale Domenico, in qualità di RSU, aveva esposto striscioni contro la precarietà e per la sicurezza sul posto di lavoro, facendo anche un intervento al megafono. Il giudice ha stabilito che il licenziamento era sproporzionato, quindi illeggitimo, e ha condannato la FIAT alla riassunzione a alla corresponsione di tutte le mensilità e i contributi intercorsi dal licenziamento alla riassunzione. La norma di riferimento è l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Piero è un impiegato dell'Atla srl. Un giorno manda una mail a un collega con giudizi poco lusinghieri sul lavoro di un particolare settore (“Parlare di pianificazione nel gruppo Atti è come parlare di psicologia con un maiale”), la mail finisce sulla scrivania del titolare dell'azienda che lo licenzia in tronco, senza preavviso, per “giusta causa”. Il giudice ridimensiona il fatto a un comportamento non particolarmente offensivo, considera dunque spropositata la sanzione e condanna l'azienda alla reintegrazione, fatta salva la scelta di Piero di avere, in alternativa, 15 mensilità. La norma di riferimento è l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Mario, Domenico e Piero sono persone realmente esistenti (solo il primo nome è inventato). Le loro storie sono prese dalle cronache degli ultimi anni. Che cosa sarebbe successo alle loro vite se, al momento del licenziamento, fosse stato già in vigore il contratto a tutele crescenti di Renzi?
Mario: il licenziamento è stato riconosciuto illegittimo, ma non è annullabile (il fatto addotto dall'azienda, forse la prolungata assenza del lavoratore e l'impossibilità di rimpiegarlo con una nuova mansione, sussiste). Mario viene mandato a casa con circa 20000 euro, a 58, con scarse o nulle possibilità di ricollocarsi (data l'età e la patologia)
Domenico: il licenziamento è stato riconosciuto illegittimo in quanto sproporzionato, ma non é annullabile (il fatto contestato dalla Fiat, cioè la manifestazione, sussiste). Domenico viene mandato a casa con un indennizzo massimo di poco meno di 30000 euro.
Piero: il licenziamento è stato riconosciuto illegittimo in quanto sproporzionato, ma non è annulabile (il fatto contestato dall'azienda, cioè la mail, sussiste). Piero, come Domenico, viene mandato a casa con un indennizzo massimo di poco meno di 30000 euro.
Questo è ciò che succederà a lavoratrici e lavoratori che, ad un certo punto della loro carriera, vengono licenziati e fanno ricorso davanti al giudice. Ma che dire di tutti gli altri?
Maria è un'addetta alle pulizie e lavora in un Ateneo. Assunta da un anno, un giorno lascia incustodite le attrezzature e i prodotti per la pulizia, che vengono rubati. Maria viene licenziata. Il giudice riconosce l'illegittimità del licenziamento – il contratto di categoria prevede una multa per questa dimenticanza, non il licenziamento - ma non può ordinare la reintegrazione: Maria viene mandata a casa con meno di 2000 euro di indennizzo.
Adriana è un'operatrice di call center. Lavora da due anni senza problemi, finché l'azienda non decide di ristrutturare, ridimensionando il personale, e la licenzia adducendo come motivo l'aver perso una commessa da un cliente di grandi dimensioni. Il giudice riconosce l'illegittimità del licenziamento, in quanto l'azienda avrebbe potuto ricollocare Adriana in un altro settore, ma il fatto – la perdita della commessa – sussiste, per cui non può ordinare la reintegrazione: Adriana va a casa con meno di 4000 euro di indennizzo.
...
http://www.sinistrainrete.info/lavoro-e ... cnico.html
Articolo sul Jobs Act scritto da Clash City Workers
3. Qualche esempio concreto
Mario è un operaio di 58 anni: da otto anni lavora ai telai della “Paola Textile” di Montemurlo, vicino Prato. Durante un periodo di malattia dovuto ad un grave problema cardiaco, Mario chiede, in vista del rientro, di cambiare mansione; l'azienda, per tutta risposta, lo licenzia adducendo un giustificato motivo soggettivo. Mario fa ricorso contro la sentenza e il giudice, avendo riconosciuto l'illegittimità del licenziamento, condanna l'azienda alla reintegrazione del lavoratore e al pagamento di tutte le mensilità e i contributi dovuti dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione. Mario potrebbe scegliere di prendere 15 mensilità, oltre a quelle già dovute dall'azienda, e di non rientrare, ma è lontano dalla pensione, non è riuscito a trovare un altro lavoro ed ha bisogno di continuare a versare i contributi pensionistici, quindi sceglie di rientrare in fabbrica. La norma di riferimento è l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Domenico è un operaio della Fiat di Pomigliano d'Arco, vicino Napoli. La Fiat lo licenzia in seguito ad una manifestazione durante la quale Domenico, in qualità di RSU, aveva esposto striscioni contro la precarietà e per la sicurezza sul posto di lavoro, facendo anche un intervento al megafono. Il giudice ha stabilito che il licenziamento era sproporzionato, quindi illeggitimo, e ha condannato la FIAT alla riassunzione a alla corresponsione di tutte le mensilità e i contributi intercorsi dal licenziamento alla riassunzione. La norma di riferimento è l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Piero è un impiegato dell'Atla srl. Un giorno manda una mail a un collega con giudizi poco lusinghieri sul lavoro di un particolare settore (“Parlare di pianificazione nel gruppo Atti è come parlare di psicologia con un maiale”), la mail finisce sulla scrivania del titolare dell'azienda che lo licenzia in tronco, senza preavviso, per “giusta causa”. Il giudice ridimensiona il fatto a un comportamento non particolarmente offensivo, considera dunque spropositata la sanzione e condanna l'azienda alla reintegrazione, fatta salva la scelta di Piero di avere, in alternativa, 15 mensilità. La norma di riferimento è l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Mario, Domenico e Piero sono persone realmente esistenti (solo il primo nome è inventato). Le loro storie sono prese dalle cronache degli ultimi anni. Che cosa sarebbe successo alle loro vite se, al momento del licenziamento, fosse stato già in vigore il contratto a tutele crescenti di Renzi?
Mario: il licenziamento è stato riconosciuto illegittimo, ma non è annullabile (il fatto addotto dall'azienda, forse la prolungata assenza del lavoratore e l'impossibilità di rimpiegarlo con una nuova mansione, sussiste). Mario viene mandato a casa con circa 20000 euro, a 58, con scarse o nulle possibilità di ricollocarsi (data l'età e la patologia)
Domenico: il licenziamento è stato riconosciuto illegittimo in quanto sproporzionato, ma non é annullabile (il fatto contestato dalla Fiat, cioè la manifestazione, sussiste). Domenico viene mandato a casa con un indennizzo massimo di poco meno di 30000 euro.
Piero: il licenziamento è stato riconosciuto illegittimo in quanto sproporzionato, ma non è annulabile (il fatto contestato dall'azienda, cioè la mail, sussiste). Piero, come Domenico, viene mandato a casa con un indennizzo massimo di poco meno di 30000 euro.
Questo è ciò che succederà a lavoratrici e lavoratori che, ad un certo punto della loro carriera, vengono licenziati e fanno ricorso davanti al giudice. Ma che dire di tutti gli altri?
Maria è un'addetta alle pulizie e lavora in un Ateneo. Assunta da un anno, un giorno lascia incustodite le attrezzature e i prodotti per la pulizia, che vengono rubati. Maria viene licenziata. Il giudice riconosce l'illegittimità del licenziamento – il contratto di categoria prevede una multa per questa dimenticanza, non il licenziamento - ma non può ordinare la reintegrazione: Maria viene mandata a casa con meno di 2000 euro di indennizzo.
Adriana è un'operatrice di call center. Lavora da due anni senza problemi, finché l'azienda non decide di ristrutturare, ridimensionando il personale, e la licenzia adducendo come motivo l'aver perso una commessa da un cliente di grandi dimensioni. Il giudice riconosce l'illegittimità del licenziamento, in quanto l'azienda avrebbe potuto ricollocare Adriana in un altro settore, ma il fatto – la perdita della commessa – sussiste, per cui non può ordinare la reintegrazione: Adriana va a casa con meno di 4000 euro di indennizzo.
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Articolo sul Jobs Act scritto da Clash City Workers
Renzi elenca i successi del governo. “Sarò breve”.
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Re: riforma Pensioni Fornero-Si lotta per i diritti cancella
Una vera riforma sarà quella in cui sara scorporato tutto quello che non ha attinenza con le pensioni ma che invece spetta a tutta la comunita e quindi a spese dello stato.
E gli enti previdenziali che sono in passivo non possono essere messi in un unico calderone sole per il motivo di far pareggiare il loro passivo.
Se non avrà questo percorso non saranno mai risolte le cause di un possibile ed eventuale crack del sistema previdenziale e quindi si continuerà a far pagare come al solito a chi colpe non ne ha.
Su questo mi sembra ci sia poco informazione da parte dei media. Che sia forse perché costore fanno parte di quei sistemi che ora sono in rosso?
E allora, anche qui, come possiamo venirne fuori informati se non siamo informati di queste incongruenze?
Non basta la FIOM . Qui ci vuole una forza maggiore in grado di far presa verso l'esterno altrimenti non ne verremo mai fuori visto che su questo il PD che continua a definirsi di sinistra, glissa ogni volta che si entra su questo tema.
Quali proposte presenterà il nuovo presidente dell'INPS Boeri?
Un salutone
E gli enti previdenziali che sono in passivo non possono essere messi in un unico calderone sole per il motivo di far pareggiare il loro passivo.
Se non avrà questo percorso non saranno mai risolte le cause di un possibile ed eventuale crack del sistema previdenziale e quindi si continuerà a far pagare come al solito a chi colpe non ne ha.
Su questo mi sembra ci sia poco informazione da parte dei media. Che sia forse perché costore fanno parte di quei sistemi che ora sono in rosso?
E allora, anche qui, come possiamo venirne fuori informati se non siamo informati di queste incongruenze?
Non basta la FIOM . Qui ci vuole una forza maggiore in grado di far presa verso l'esterno altrimenti non ne verremo mai fuori visto che su questo il PD che continua a definirsi di sinistra, glissa ogni volta che si entra su questo tema.
Quali proposte presenterà il nuovo presidente dell'INPS Boeri?
Un salutone
Ultima modifica di pancho il 09/02/2015, 10:14, modificato 1 volta in totale.
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: riforma Pensioni Fornero-Si lotta per i diritti cancella
Boeri può essere un nome davvero valido, stiamo a vedere.
Renzi elenca i successi del governo. “Sarò breve”.
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Re: riforma Pensioni Fornero-Si lotta per i diritti cancella
Senza integrazione al minimo i giovani rischiano la fame.
Una pensione da 502 euro al mese non è certo invidiabile.
Eppure per molti lavoratori, l’attuale minimo sindacale della previdenza rischia di essere solo un miraggio. Anche se il vitalizio sarà molto basso in futuro non si aprirà più alcun paracadute, la famosa integrazione al minimo da parte dello Stato è già andata (è il caso di dirlo) in pensione.
Così, ad esempio, un dipendente trentenne che oggi ha un reddito netto mensile di mille euro e che accumulerà forti buchi contributivi, prenderà appena 408 euro netti il mese, cioè quasi cento in meno della soglia minima attualmente in vigore.
Un autonomo nella stessa situazione arriverà ad appena 341 euro netti il mese.
Le simulazioni realizzate dalla società di consulenza Progetica sipingono uno scenario a dir poco allarmante.
“Si tratta tipicamente di chi riesce a mettere insieme tra i venti e i trentacinque anni di contribuzione, invece degli oltre quaranta richiesti, e ha un reddito di mille euro netti il mese – spiega Andrea Carbone, partner di Progetica – per questi lavoratori la pensione raramente supererà i cinquecento euro il mese:
a differenza dei cinquantenni delle simulazioni, che hanno iniziato prima della legge Dini del 1995, non avranno alcun paracadute.
Il sistema contributivo, infatti, non prevede l’integrazione al minimo, che negli esempi porta a un vitalizio di cinquecentodue euro netti al mese”.
In pratica, senza integrazione al minimo da parte dello Stato, con contratti precari e comunque salutari e la prospettata flessibilità lavorativa – ossia la tendenza a cambiare spesso lavoro e costruire conseguentemente in modo discontinuo la propria storia previdenziale – la pensione di “domani” costruita tra i 20 ed i 35 anni al massimo di contributi, non ha molte speranze di raggiungere soglie superiori se la situazione generale non migliora (salvo per ruoli di maggior spessore che possano far raggiungere un vitalizio mensile pari al 37% dell’ultimo stipendio).
Il nuovo metodo di calcolo non lascia troppe speranze dunque anche per chi aspira ad un migliaio di euro, visto che con i calcoli nel sistema contributivo (esclusa ogni integrazione al minimo) si supera di poco una pensione minima da poco più di 500 euro netti al mese.
http://www.pensioniblog.it/2015/02/10/s ... o-la-fame/
Una pensione da 502 euro al mese non è certo invidiabile.
Eppure per molti lavoratori, l’attuale minimo sindacale della previdenza rischia di essere solo un miraggio. Anche se il vitalizio sarà molto basso in futuro non si aprirà più alcun paracadute, la famosa integrazione al minimo da parte dello Stato è già andata (è il caso di dirlo) in pensione.
Così, ad esempio, un dipendente trentenne che oggi ha un reddito netto mensile di mille euro e che accumulerà forti buchi contributivi, prenderà appena 408 euro netti il mese, cioè quasi cento in meno della soglia minima attualmente in vigore.
Un autonomo nella stessa situazione arriverà ad appena 341 euro netti il mese.
Le simulazioni realizzate dalla società di consulenza Progetica sipingono uno scenario a dir poco allarmante.
“Si tratta tipicamente di chi riesce a mettere insieme tra i venti e i trentacinque anni di contribuzione, invece degli oltre quaranta richiesti, e ha un reddito di mille euro netti il mese – spiega Andrea Carbone, partner di Progetica – per questi lavoratori la pensione raramente supererà i cinquecento euro il mese:
a differenza dei cinquantenni delle simulazioni, che hanno iniziato prima della legge Dini del 1995, non avranno alcun paracadute.
Il sistema contributivo, infatti, non prevede l’integrazione al minimo, che negli esempi porta a un vitalizio di cinquecentodue euro netti al mese”.
In pratica, senza integrazione al minimo da parte dello Stato, con contratti precari e comunque salutari e la prospettata flessibilità lavorativa – ossia la tendenza a cambiare spesso lavoro e costruire conseguentemente in modo discontinuo la propria storia previdenziale – la pensione di “domani” costruita tra i 20 ed i 35 anni al massimo di contributi, non ha molte speranze di raggiungere soglie superiori se la situazione generale non migliora (salvo per ruoli di maggior spessore che possano far raggiungere un vitalizio mensile pari al 37% dell’ultimo stipendio).
Il nuovo metodo di calcolo non lascia troppe speranze dunque anche per chi aspira ad un migliaio di euro, visto che con i calcoli nel sistema contributivo (esclusa ogni integrazione al minimo) si supera di poco una pensione minima da poco più di 500 euro netti al mese.
http://www.pensioniblog.it/2015/02/10/s ... o-la-fame/
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Re: riforma Pensioni Fornero-Si lotta per i diritti cancella
Fnp Cisl fa il punto della situazione
Luciano Semper, Fnp (Federazione nazionale pensionati) Cisl Reggio Emilia spiega che “per il 2015 l’accesso alla pensione anticipata è consentito a fronte di 42 anni e 6 mesi di contributi per gli uomini e di 41 anni e 6 mesi per le donne.
Tale situazione è destinata a mutare nel 2016, quando serviranno rispettivamente 42 anni e 10 mesi per le donne e 41 anni e 10 mesi per gli uomini”.
“Il combinato disposto della Legge pensioni Fornero – precisa Semper – prevede un progressivo inasprimento di questi requisiti, che di anno in anno continueranno a divenire più gravosi.
La Legge di Stabilità ha sospeso le penalizzazioni previste per l’accesso alla pensione anticipata per chi fruisca dell’istituto prima del compimento dei 62 anni di età”.
“In precedenza – prosegue –, chi accedeva al pensionamento anticipato prima dei 62 anni subiva delle penalizzazioni sugli assegni percepiti dall’Inps (meno 1% per ogni anno prima dei 62 che diventava meno 2% per ogni ulteriore anno di anticipo rispetto ai 60 anni) che la Legge di Stabilità ha provveduto a sospendere sino al 2017”.
“La situazione – evidenzia Semper – è invece rimasta invariata per gli individui impegnati in lavori usuranti, ai quali in vista di un pensionamento anticipato vengono richiesti un minimo di 35 anni di contributi più 61 anni di età. Il Piano Damiano è già delineato. L’ex ministro punta su tre ipotesi:
pensionamento per tutti a 62 anni di età più 35 anni di contributi;
pensionamento per tutti a quota 42 anni di contributi;
pensionamento per tutti una volta maturata quota 100.
Le prime due proposte sono contenute in un decreto di legge che in queste settimane sarà al vaglio delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato.
Di fatto, i due organismi hanno già avviato un ciclo di incontri finalizzato alla creazione di un percorso di riforma condiviso e partecipato”.
http://www.pensioniblog.it/2015/02/11/f ... ituazione/
**********************
commento:
io sono per la soluzione n.3 cioè "quota 100"
Luciano Semper, Fnp (Federazione nazionale pensionati) Cisl Reggio Emilia spiega che “per il 2015 l’accesso alla pensione anticipata è consentito a fronte di 42 anni e 6 mesi di contributi per gli uomini e di 41 anni e 6 mesi per le donne.
Tale situazione è destinata a mutare nel 2016, quando serviranno rispettivamente 42 anni e 10 mesi per le donne e 41 anni e 10 mesi per gli uomini”.
“Il combinato disposto della Legge pensioni Fornero – precisa Semper – prevede un progressivo inasprimento di questi requisiti, che di anno in anno continueranno a divenire più gravosi.
La Legge di Stabilità ha sospeso le penalizzazioni previste per l’accesso alla pensione anticipata per chi fruisca dell’istituto prima del compimento dei 62 anni di età”.
“In precedenza – prosegue –, chi accedeva al pensionamento anticipato prima dei 62 anni subiva delle penalizzazioni sugli assegni percepiti dall’Inps (meno 1% per ogni anno prima dei 62 che diventava meno 2% per ogni ulteriore anno di anticipo rispetto ai 60 anni) che la Legge di Stabilità ha provveduto a sospendere sino al 2017”.
“La situazione – evidenzia Semper – è invece rimasta invariata per gli individui impegnati in lavori usuranti, ai quali in vista di un pensionamento anticipato vengono richiesti un minimo di 35 anni di contributi più 61 anni di età. Il Piano Damiano è già delineato. L’ex ministro punta su tre ipotesi:
pensionamento per tutti a 62 anni di età più 35 anni di contributi;
pensionamento per tutti a quota 42 anni di contributi;
pensionamento per tutti una volta maturata quota 100.
Le prime due proposte sono contenute in un decreto di legge che in queste settimane sarà al vaglio delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato.
Di fatto, i due organismi hanno già avviato un ciclo di incontri finalizzato alla creazione di un percorso di riforma condiviso e partecipato”.
http://www.pensioniblog.it/2015/02/11/f ... ituazione/
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io sono per la soluzione n.3 cioè "quota 100"
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Re: riforma Pensioni Fornero-Si lotta per i diritti cancella
Lettera al presidente INPS Tito Boeri
(Autore: Luciano Gallino – La Repubblica)
Caro professor Boeri, mi permetto di richiamare la sua attenzione sul fatto che l’informazione riguardo alle pensioni è in gran parte incompleta, fuorviante o addirittura falsa.
È superfluo ricordare che qualunque informazione venga diffusa in merito alla previdenza pubblica tocca milioni di persone che sperano di arrivare quanto prima a percepire una pensione, e altri milioni che una pensione già riscuotono.
Penso che tutti loro abbiano un ragionevole diritto a che l’informazione pubblica sul sistema pensionistico sia possibilmente completa e corretta.
Sono tre gli ambiti in merito ai quali si grida alla prossima rovina dell’Inps, ricorrendo a dati che sono o scorretti o scorrettamente usati.
In primo luogo vi sono le gestioni deficitarie perché le pensioni pagate eccedono i contributi versati.
In cima alla lista figura l’Inpdap, l’ente che gestisce le pensioni degli statali, da pochi anni incorporato nell’Inps.
Nel 2012 ha registrato un disavanzo di 24 miliardi, in aumento dagli anni precedenti, compensato da un intervento dello Stato.
Ma per la maggior parte esso non è affatto dovuto allo scarso numero di coloro che versano i contributi rispetto ai pensionati.
È dovuto al fatto che molti enti della pubblica amministrazione, pressati dalle note ristrettezze di bilancio, da anni non versavano all’Inpdap, né ora all’Inps, i contributi dovuti.
Piuttosto che rimediare ai mancati versamenti della PA trasferendo all’Inps quei fondi che permettono a molti di accusarlo di gestione dissennata del bilancio, lo Stato farebbe meglio a fornire agli enti pubblici non in regola le necessario risorse.
Perché non sollecitarlo in tal senso?
Ci sono, è vero, le gestioni in passivo alle quali i contributi non li versa quasi nessuno, vuoi perché i giovani che li versavano sono diventati pensionati e non sono stati sostituiti, oppure perché si tratta di prepensionamenti aventi per definizione una copertura contributiva insufficiente ma imposti a suo tempo dal governo.
Il primo caso è quello dei coltivatori diretti:
dato che il loro numero è fortemente diminuito con gli anni, oggi sono in tanti a ricevere la pensione, ma pochi a versare i contributi, da cui deriva un passivo di circa 6 miliardi l’anno.
Il secondo caso riguarda (ex) ferrovieri, addetti ai trasporti, telefonici e altri, soggetti a prepensionamento forzato come forma di sostegno al reddito — che in quanto tale non avrebbe dovuta essere caricata all’Inps.
Nell’insieme si tratta di circa 20 miliardi di passivo, ma sarà solo il tempo a tappare il buco di bilancio di queste gestioni.
Nel frattempo questi resti del passato non dovrebbero essere usati per spaventare pensionati e pensionandi descrivendo l’Inps come un’azienda sull’orlo del baratro.
Un altro settore dove un suo intervento parrebbe indispensabile è l’enorme ammontare delle prestazioni assistenziali e affini di cui lo Stato più di 25 anni fa accollò la gestione all’Inps.
Nel 2014, stando al Bilancio preventivo Inps, esse hanno comportato trasferimenti da parte dello Stato per oltre 95 miliardi.
Per 77 miliardi si tratta di somme imputabili alla Gestione prestazioni temporanee (trattamenti di famiglia, di integrazione salariale — cioè la Cig — di disoccupazione, di malattia ecc.) e alla Gestione degli interventi assistenziali (principalmente oneri per il mantenimento dei salari e per interventi a sostegno della famiglia). Quei 17,7 miliardi restanti rappresentano le spese per invalidi civili (costituite dall’indennità ad personam, più il costo degli accompagnatori e simili).
Tali onerosi trasferimenti non hanno nulla a che fare con l’ordinario sistema previdenziale — come si legge in numerosi rapporti dell’Istituto — tuttavia spingono molti commentatori a dire o scrivere che «le pensioni costano allo Stato più di 90 miliardi l’anno».
Questa scorrettezza influisce negativamente anche sulle statistiche internazionali, poiché in ogni altro paese Ue le suddette spese sono imputate a voci quali “sostegno alla famiglia” o “esclusione sociale”.
Al proposito cito da un bel rapporto del giugno 2014 curato dal centro studi Itinerari previdenziali su Il bilancio del sistema previdenziale italiano:
«Sarebbe forse il momento per chi fornisce dati a Eurostat di far sì che la corretta classificazione delle spese pensionistiche consenta di evitare al nostro Paese lo stigma di una bassa posizione nelle classifiche Ocse e Eurostat per gli interventi a sostegno della famiglia, del reddito, della esclusione sociale e della casa mentre appare lo Stato che spende moltissimo per pensioni» (pag. 60).
Mi pare che sarebbe un bel compito per il nuovo presidente Inps affrontare tale compito.
Non da ultimo perché i nostri saggi commentatori desumono dalle statistiche Ocse e Eurostat che il nostro sistema pensionistico assorbe una quota eccezionalmente elevata sul Pil.
Tuttavia, più importante ancora sarebbe un suo intervento sul governo affinchè rispolveri una proposta di legge di almeno vent’anni fa che prevedeva la separazione delle gestioni assistenziali dall’Inps, sì da allineare la situazione italiana a quella internazionale.
Richiamo infine la sua attenzione su un punto cruciale rilevato già tempo addietro da un noto esperto del sistema previdenziale, il professor Pizzuti dell’Università di Roma, e però ignorato in genere da chi esprime giudizi sulle pensioni.
Il punto è che i pensionati italiani pagano l’Irpef al pari di ogni altro contribuente. Qualche anno fa il professor Pizzuti stimava che l’Irpef versata dai pensionati ammontasse a circa 48 miliardi, ossia tre punti di Pil.
Al presente saranno forse qualcosa di meno, causa la crisi, ma fossero anche scesi a 45 ciò significherebbe comunque che i pensionati anche nel 2014 hanno fornito allo Stato i soldi per pagare le anticipazioni che ha versato all’Inps per tappare i buchi di varie gestioni previdenziali (21 miliardi), e inoltre hanno contribuito con 24 miliardi al derelitto bilancio pubblico.
Per cui, prima di bastonarli come si usa da tanti proporre, bisognerebbe considerare la loro reale posizione economica, e soprattutto usare in modo corretto e completo i dati del sistema previdenziale.
Mi auguro, signor presidente, che ella sia disponibile a operare in tal senso.
http://www.intermediachannel.it/lettera ... ente-inps/
(Autore: Luciano Gallino – La Repubblica)
Caro professor Boeri, mi permetto di richiamare la sua attenzione sul fatto che l’informazione riguardo alle pensioni è in gran parte incompleta, fuorviante o addirittura falsa.
È superfluo ricordare che qualunque informazione venga diffusa in merito alla previdenza pubblica tocca milioni di persone che sperano di arrivare quanto prima a percepire una pensione, e altri milioni che una pensione già riscuotono.
Penso che tutti loro abbiano un ragionevole diritto a che l’informazione pubblica sul sistema pensionistico sia possibilmente completa e corretta.
Sono tre gli ambiti in merito ai quali si grida alla prossima rovina dell’Inps, ricorrendo a dati che sono o scorretti o scorrettamente usati.
In primo luogo vi sono le gestioni deficitarie perché le pensioni pagate eccedono i contributi versati.
In cima alla lista figura l’Inpdap, l’ente che gestisce le pensioni degli statali, da pochi anni incorporato nell’Inps.
Nel 2012 ha registrato un disavanzo di 24 miliardi, in aumento dagli anni precedenti, compensato da un intervento dello Stato.
Ma per la maggior parte esso non è affatto dovuto allo scarso numero di coloro che versano i contributi rispetto ai pensionati.
È dovuto al fatto che molti enti della pubblica amministrazione, pressati dalle note ristrettezze di bilancio, da anni non versavano all’Inpdap, né ora all’Inps, i contributi dovuti.
Piuttosto che rimediare ai mancati versamenti della PA trasferendo all’Inps quei fondi che permettono a molti di accusarlo di gestione dissennata del bilancio, lo Stato farebbe meglio a fornire agli enti pubblici non in regola le necessario risorse.
Perché non sollecitarlo in tal senso?
Ci sono, è vero, le gestioni in passivo alle quali i contributi non li versa quasi nessuno, vuoi perché i giovani che li versavano sono diventati pensionati e non sono stati sostituiti, oppure perché si tratta di prepensionamenti aventi per definizione una copertura contributiva insufficiente ma imposti a suo tempo dal governo.
Il primo caso è quello dei coltivatori diretti:
dato che il loro numero è fortemente diminuito con gli anni, oggi sono in tanti a ricevere la pensione, ma pochi a versare i contributi, da cui deriva un passivo di circa 6 miliardi l’anno.
Il secondo caso riguarda (ex) ferrovieri, addetti ai trasporti, telefonici e altri, soggetti a prepensionamento forzato come forma di sostegno al reddito — che in quanto tale non avrebbe dovuta essere caricata all’Inps.
Nell’insieme si tratta di circa 20 miliardi di passivo, ma sarà solo il tempo a tappare il buco di bilancio di queste gestioni.
Nel frattempo questi resti del passato non dovrebbero essere usati per spaventare pensionati e pensionandi descrivendo l’Inps come un’azienda sull’orlo del baratro.
Un altro settore dove un suo intervento parrebbe indispensabile è l’enorme ammontare delle prestazioni assistenziali e affini di cui lo Stato più di 25 anni fa accollò la gestione all’Inps.
Nel 2014, stando al Bilancio preventivo Inps, esse hanno comportato trasferimenti da parte dello Stato per oltre 95 miliardi.
Per 77 miliardi si tratta di somme imputabili alla Gestione prestazioni temporanee (trattamenti di famiglia, di integrazione salariale — cioè la Cig — di disoccupazione, di malattia ecc.) e alla Gestione degli interventi assistenziali (principalmente oneri per il mantenimento dei salari e per interventi a sostegno della famiglia). Quei 17,7 miliardi restanti rappresentano le spese per invalidi civili (costituite dall’indennità ad personam, più il costo degli accompagnatori e simili).
Tali onerosi trasferimenti non hanno nulla a che fare con l’ordinario sistema previdenziale — come si legge in numerosi rapporti dell’Istituto — tuttavia spingono molti commentatori a dire o scrivere che «le pensioni costano allo Stato più di 90 miliardi l’anno».
Questa scorrettezza influisce negativamente anche sulle statistiche internazionali, poiché in ogni altro paese Ue le suddette spese sono imputate a voci quali “sostegno alla famiglia” o “esclusione sociale”.
Al proposito cito da un bel rapporto del giugno 2014 curato dal centro studi Itinerari previdenziali su Il bilancio del sistema previdenziale italiano:
«Sarebbe forse il momento per chi fornisce dati a Eurostat di far sì che la corretta classificazione delle spese pensionistiche consenta di evitare al nostro Paese lo stigma di una bassa posizione nelle classifiche Ocse e Eurostat per gli interventi a sostegno della famiglia, del reddito, della esclusione sociale e della casa mentre appare lo Stato che spende moltissimo per pensioni» (pag. 60).
Mi pare che sarebbe un bel compito per il nuovo presidente Inps affrontare tale compito.
Non da ultimo perché i nostri saggi commentatori desumono dalle statistiche Ocse e Eurostat che il nostro sistema pensionistico assorbe una quota eccezionalmente elevata sul Pil.
Tuttavia, più importante ancora sarebbe un suo intervento sul governo affinchè rispolveri una proposta di legge di almeno vent’anni fa che prevedeva la separazione delle gestioni assistenziali dall’Inps, sì da allineare la situazione italiana a quella internazionale.
Richiamo infine la sua attenzione su un punto cruciale rilevato già tempo addietro da un noto esperto del sistema previdenziale, il professor Pizzuti dell’Università di Roma, e però ignorato in genere da chi esprime giudizi sulle pensioni.
Il punto è che i pensionati italiani pagano l’Irpef al pari di ogni altro contribuente. Qualche anno fa il professor Pizzuti stimava che l’Irpef versata dai pensionati ammontasse a circa 48 miliardi, ossia tre punti di Pil.
Al presente saranno forse qualcosa di meno, causa la crisi, ma fossero anche scesi a 45 ciò significherebbe comunque che i pensionati anche nel 2014 hanno fornito allo Stato i soldi per pagare le anticipazioni che ha versato all’Inps per tappare i buchi di varie gestioni previdenziali (21 miliardi), e inoltre hanno contribuito con 24 miliardi al derelitto bilancio pubblico.
Per cui, prima di bastonarli come si usa da tanti proporre, bisognerebbe considerare la loro reale posizione economica, e soprattutto usare in modo corretto e completo i dati del sistema previdenziale.
Mi auguro, signor presidente, che ella sia disponibile a operare in tal senso.
http://www.intermediachannel.it/lettera ... ente-inps/
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Re: riforma Pensioni Fornero-Si lotta per i diritti cancella
Cisal: Il Parlamento azzeri la riforma Fornero
“Il Parlamento azzeri la riforma pensioni Fornero e avvii un nuovo percorso legislativo sul sistema previdenziale che sia ampiamente condiviso con le parti sociali”.
E’ quanto auspica il segretario generale della Cisal, Francesco Cavallaro, in vista del tanto atteso nuovo vertice a Palazzo Chigi tra Governo Renzi e sindacati in programma venerdì 20 febbraio 2015.
“Ci attendiamo dunque – continua Cavallaro – che il Parlamento azzeri la legge Fornero e proponga un percorso sulla previdenza condiviso con le parti sociali e, almeno per una volta, trasparente e attento al rispetto dei diritti costituzionali.
Primo fra tutti il diritto di proprietà, in quanto i contributi previdenziali sono soldi dei lavoratori e non strumento di alchimie contabili per sanare i conti dello Stato”.
“Solo il Governo – secondo il leader della Confederazione Italiana Sindacati Autonomi Lavoratori – non si è reso conto che la riforma pensioni del Governo Monti è già stata di fatto ampiamente bocciata, respinta e rifiutata dai cittadini italiani”.
Secondo la Cisal bisogna “provvedere con assoluta priorità ad una strutturale riforma fiscale”.
Il sindacato dei lavoratori autonomi propone sostanzialmente una redistribuzione più equa e solidale della ricchezza e un potenziamento delle misure contro l’evasione fiscale e contributiva “che sta massacrando l’economia italiana e in primis il sistema previdenziale”.
http://www.pensioniblog.it/2015/02/18/c ... a-fornero/
“Il Parlamento azzeri la riforma pensioni Fornero e avvii un nuovo percorso legislativo sul sistema previdenziale che sia ampiamente condiviso con le parti sociali”.
E’ quanto auspica il segretario generale della Cisal, Francesco Cavallaro, in vista del tanto atteso nuovo vertice a Palazzo Chigi tra Governo Renzi e sindacati in programma venerdì 20 febbraio 2015.
“Ci attendiamo dunque – continua Cavallaro – che il Parlamento azzeri la legge Fornero e proponga un percorso sulla previdenza condiviso con le parti sociali e, almeno per una volta, trasparente e attento al rispetto dei diritti costituzionali.
Primo fra tutti il diritto di proprietà, in quanto i contributi previdenziali sono soldi dei lavoratori e non strumento di alchimie contabili per sanare i conti dello Stato”.
“Solo il Governo – secondo il leader della Confederazione Italiana Sindacati Autonomi Lavoratori – non si è reso conto che la riforma pensioni del Governo Monti è già stata di fatto ampiamente bocciata, respinta e rifiutata dai cittadini italiani”.
Secondo la Cisal bisogna “provvedere con assoluta priorità ad una strutturale riforma fiscale”.
Il sindacato dei lavoratori autonomi propone sostanzialmente una redistribuzione più equa e solidale della ricchezza e un potenziamento delle misure contro l’evasione fiscale e contributiva “che sta massacrando l’economia italiana e in primis il sistema previdenziale”.
http://www.pensioniblog.it/2015/02/18/c ... a-fornero/
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