Dove arriva lo scempio dell'IS
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Dove arriva lo scempio dell'IS
Iraq, nuovo scempio dell'Is: ruspe radono a suolo l'antica città assira Nimrud
Lo riporta la tv curda Rudaw citando testimoni oculari a sud-est di Mosul
vedendo il filmato in cui stanno distruggendo i resti ( statue e monumenti ) di una civiltà
del nono secolo a.c.n. , la civiltà assiro, mi sto chiedendo a che livello di barbarie siamo arrivati.
Leggendo questo titolo su repubblica molti giovani Usa pronti ad arruolarsi , avevo erroneamente pensato che alcuni giovani USA partissero per combattere
l'IS dopo aver visto quello scempio, invece vogliono arruolarsi con l'Is.
Lo riporta la tv curda Rudaw citando testimoni oculari a sud-est di Mosul
vedendo il filmato in cui stanno distruggendo i resti ( statue e monumenti ) di una civiltà
del nono secolo a.c.n. , la civiltà assiro, mi sto chiedendo a che livello di barbarie siamo arrivati.
Leggendo questo titolo su repubblica molti giovani Usa pronti ad arruolarsi , avevo erroneamente pensato che alcuni giovani USA partissero per combattere
l'IS dopo aver visto quello scempio, invece vogliono arruolarsi con l'Is.
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Re: Dove arriva lo scempio dell'IS
Isis, allarme Fbi: «Negli Usa troppi giovani pronti ad arruolarsi»
New York - Negli Stati Uniti l’Fbi e il Dipartimento per la sicurezza interna hanno lanciato un allarme sul fenomeno crescente dei “foreign fighters”.
In un messaggio congiunto inviato lo scorso fine settimana a tutte le forze dell’ordine del Paese - rivela la Cnn - si esprime preoccupazione e si chiede di esercitare la massima vigilanza sui «molti casi» e il crescente numero di ragazzi e ragazze che dagli Usa vogliono raggiungere le fila dell’Isis.
L’allarme di Fbi e Homeland Security è stato lanciato dopo l’arresto e l’incarcerazione la scorsa settimana di un diciassettenne della Virginia, sospettato di volersi unire all’Isis.
Nel “warning” inviato a tutte le forze di polizia degli Stati Uniti si spiega come tra i ragazzi che vogliono “arruolarsi” nelle fila dell’Isis, i maschi sono generalmente più grandi, e il loro obbiettivo è solitamente quello di unirsi ai militanti jihadisti in Iraq e in Siria, oppure quello di compiere attacchi negli Stati Uniti, come nel caso dei tre sospetti terroristi arrestati giorni fa Brooklyn.
Per quel che riguarda le ragazze, invece, di solito sono più giovani e nella maggior parte dei casi il loro obiettivo è quello di andare in spose a combattenti dell’Isis in Siria.
© Riproduzione riservata
http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2015/ ... vani.shtml
New York - Negli Stati Uniti l’Fbi e il Dipartimento per la sicurezza interna hanno lanciato un allarme sul fenomeno crescente dei “foreign fighters”.
In un messaggio congiunto inviato lo scorso fine settimana a tutte le forze dell’ordine del Paese - rivela la Cnn - si esprime preoccupazione e si chiede di esercitare la massima vigilanza sui «molti casi» e il crescente numero di ragazzi e ragazze che dagli Usa vogliono raggiungere le fila dell’Isis.
L’allarme di Fbi e Homeland Security è stato lanciato dopo l’arresto e l’incarcerazione la scorsa settimana di un diciassettenne della Virginia, sospettato di volersi unire all’Isis.
Nel “warning” inviato a tutte le forze di polizia degli Stati Uniti si spiega come tra i ragazzi che vogliono “arruolarsi” nelle fila dell’Isis, i maschi sono generalmente più grandi, e il loro obbiettivo è solitamente quello di unirsi ai militanti jihadisti in Iraq e in Siria, oppure quello di compiere attacchi negli Stati Uniti, come nel caso dei tre sospetti terroristi arrestati giorni fa Brooklyn.
Per quel che riguarda le ragazze, invece, di solito sono più giovani e nella maggior parte dei casi il loro obiettivo è quello di andare in spose a combattenti dell’Isis in Siria.
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http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2015/ ... vani.shtml
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Re: Dove arriva lo scempio dell'IS
Cinque mesi fa in Europa.
QUELLI CHE VANNO A COMBATTERE CON L’ISIS, PERCHÉ LO FANNO?
di minima&moralia pubblicato domenica, 12 ottobre 2014 · 35
Questo pezzo è uscito in Germania sulla TAZ. Ringraziamo l’autore e la testata.
di Marco D’Eramo
È straordinario come nessuno si soffermi davvero a chiedersi perché tanti giovani che vivono in Europa, Canada, Australia, persino Cina, vadano ad arruolarsi per combattere in Siria e in Iraq con il cosiddetto Stato islamico (Isis), o con altre milizie musulmane.
Nei giorni scorsi il New York Times ha pubblicato un diagramma impressionante sulla provenienza geografica dei volontari stranieri presenti sul terreno.
Le cifre sono sempre scivolose e spesso contraddittorie, ma la presenza straniera in Siria e Iraq è valutata intorno ai 17.000 combattenti (la confusione nasce perché alcune stime si riferiscono al solo Iraq o alla sola Siria, alcune al solo Isis, altre all’intera galassia di gruppi combattenti nei due paesi).
I contingenti più nutriti provengono naturalmente dalla Cecenia e Nord Caucaso (circa 9.000) e dalla Turchia (1.000), dove l’Islam è religione dominante, come in Kosovo (400 volontari), ma ben 1.900 vengono dall’Europa occidentale (700 dalla sola Francia, 340 dalla Gran Bretagna, una sessantina dall’Irlanda), un centinaio dagli Usa, e tra i 50 e i 100 persino dall’Australia.
L’interpretazione corrente è che questi volontari siano emarginati e fanatici, cioè “pazzi”.
La follia è stata usata come spiegazione storica dai tempi di Caligola fino a Hitler e poi Amin Dada, Saddam Hussein e tutta la compagnia di leader e/o dittatori abbattuti o da abbattere.
Ma è una spiegazione che non spiega niente e che anzi indica che siamo incapaci di spiegare il fenomeno.
Bisogna maneggiare con estrema cautela le “eterodefinizioni”: così nessuno definisce se stesso “terrorista” (come nessuno definisce se stesso “populista”).
Parafrasando una vecchia massima, il terrorista degli uni è il martire irredentista degli altri: “terrorista” è sempre la definizione che il nemico dà dell’avversario, il vincitore del vinto.
Durante la seconda guerra mondiale i tedeschi chiamavano “terroristi” i maquisards, ma dopo la vittoria alleata nessuno li ha più chiamati così.
Nello stesso modo, i francesi chiamavano “terrorista” l’Fln algerino, ma dopo l’indipendenza nessuno ha usato più questo termine, semplicemente perché l’Fln aveva vinto.
Così nessuno ha chiamato “terroristi” Begin od Ho chi min, perché anch’essi hanno imposto la “narrazione del vincitore”.
Perciò andrebbe ponderato con attenzione il fenomeno di queste nuove brigate internazionali, tanto più dopo una monografia resa pubblica solo di recente, ma preparata nel 2010 dal Rand National Defense Research Institute e intitolata An Economic Analysis of the Financial Records of al-Qaeda in Iraq che analizza i dati contabili di Al-Qaida tra il 2005 e 2010, ma che Rand considera ancora validi anche per l’Isis, almeno nei caratteri fondamentali.
Le due conclusioni di Rand sono che
1) la retribuzione non è il movente principale che spinge ad arruolarsi nelle milizie islamiche (Rand afferma che il reddito di un combattente è di gran lunga inferiore a quello percepito dalla media delle famiglie nelle regioni interessate, mentre le probabilità di morte sono assai superiori);
2) i terroristi hanno livelli d’istruzione e patrimonio superiori alle attese, il che indebolisce le teorie che spiegano la partecipazione alla militanza con una carenza finanziaria, una instabilità mentale o una scarsa educazione” (the observed higher-than-expected education and wealth levels of terrorists weakens theories explaining participation in militancy as being due to financial deprivation, mental instability, or poor education): non sono emarginazione, follia, povertà a motivare i volontari, parola di Rand.
Insomma queste nuove “brigate internazionali” sono un fenomeno che va preso sul serio e che pone un interrogativo ancora più serio.
Non dimentichiamo che i primi “volontari stranieri” moderni furono coloro che nel primo ’800 andarono a combattere e morire per l’indipendenza della Grecia cristiana dall’islamico impero ottomano.
I più famosi furono il conte italiano Santorre di Santarosa (morto a Sfacteria nel 1821) e il poeta inglese George Byron (morto a Missolungi nel 1824).
Il simbolo del volontariato internazionale ottocentesco fu Giuseppe Garibaldi non a caso chiamato “l’eroe dei due mondi” perché combatté in Brasile, Uruguay, Italia e Francia (nel 1871, contro i tedeschi).
Tutti costoro facevano proprie le parole del saint-simoniano Emile Barrault: «Un uomo, che, facendosi cosmopolita, adotta l’umanità come patria e va ad offrire la spada ed il sangue a ogni popolo che lotta contro la tirannia, è più di un soldato: è un eroe».
Nel ’900 questa tradizione fu ripresa dalle brigate internazionali, anarchiche, repubblicane, comuniste, nella guerra di Spagna che tanta traccia hanno lasciato nella letteratura: da Per chi suona la campana di Ernest Hemingway a Omaggio alla Catalogna di George Orwell.
Dopo la seconda guerra mondiale questa tradizione s’interruppe.
Nessun volontario europeo partì per il Vietnam o per l’Africa del Sud dell’apartheid.
Il fenomeno riprese all’inizio degli anni ’90 con la guerra in Bosnia e poi in Afghanistan, fino all’arruolamento attuale nell’Isis che desta molta più attenzione.
Ma c’è una novità enorme nella motivazione di questo nuovo volontariato internazionale.
Non è più l’irredentismo patriottico o la solidarietà di classe, ma è un nuovo irredentismo religioso che vuole liberarsi dal giogo degli infedeli occidentali.
I volontari europei dell’Isis potrebbero far proprie le parole di Barrault, solo che al posto dell’umanità porrebbero l’Islam.
L’interrogativo è allora: come è avvenuto che a motivare il sacrificio di tanta gioventù europea non sia più l’umanità, la patria, il socialismo, ma la religione?
Che cosa abbiamo fatto a questi ragazzi per portarli a questo punto?
Quello che fa imbestialire nel discorso dominante sul fondamentalismo islamico, soprattutto quello in Europa, è che glissa sulle cause strutturali, sull’alienazione sociale e riduce tutto a un’improbabile e inutile categoria di “insania e fanatismo”.
E che all’Isis tanto insani non siano, lo dimostra il fatto che con due “sole” decapitazioni pubbliche un gruppo di scalzacani è riuscito a farsi riconoscere come il nemico principale della maggiore superpotenza mondiale.
http://www.minimaetmoralia.it/wp/quelli ... -lo-fanno/
QUELLI CHE VANNO A COMBATTERE CON L’ISIS, PERCHÉ LO FANNO?
di minima&moralia pubblicato domenica, 12 ottobre 2014 · 35
Questo pezzo è uscito in Germania sulla TAZ. Ringraziamo l’autore e la testata.
di Marco D’Eramo
È straordinario come nessuno si soffermi davvero a chiedersi perché tanti giovani che vivono in Europa, Canada, Australia, persino Cina, vadano ad arruolarsi per combattere in Siria e in Iraq con il cosiddetto Stato islamico (Isis), o con altre milizie musulmane.
Nei giorni scorsi il New York Times ha pubblicato un diagramma impressionante sulla provenienza geografica dei volontari stranieri presenti sul terreno.
Le cifre sono sempre scivolose e spesso contraddittorie, ma la presenza straniera in Siria e Iraq è valutata intorno ai 17.000 combattenti (la confusione nasce perché alcune stime si riferiscono al solo Iraq o alla sola Siria, alcune al solo Isis, altre all’intera galassia di gruppi combattenti nei due paesi).
I contingenti più nutriti provengono naturalmente dalla Cecenia e Nord Caucaso (circa 9.000) e dalla Turchia (1.000), dove l’Islam è religione dominante, come in Kosovo (400 volontari), ma ben 1.900 vengono dall’Europa occidentale (700 dalla sola Francia, 340 dalla Gran Bretagna, una sessantina dall’Irlanda), un centinaio dagli Usa, e tra i 50 e i 100 persino dall’Australia.
L’interpretazione corrente è che questi volontari siano emarginati e fanatici, cioè “pazzi”.
La follia è stata usata come spiegazione storica dai tempi di Caligola fino a Hitler e poi Amin Dada, Saddam Hussein e tutta la compagnia di leader e/o dittatori abbattuti o da abbattere.
Ma è una spiegazione che non spiega niente e che anzi indica che siamo incapaci di spiegare il fenomeno.
Bisogna maneggiare con estrema cautela le “eterodefinizioni”: così nessuno definisce se stesso “terrorista” (come nessuno definisce se stesso “populista”).
Parafrasando una vecchia massima, il terrorista degli uni è il martire irredentista degli altri: “terrorista” è sempre la definizione che il nemico dà dell’avversario, il vincitore del vinto.
Durante la seconda guerra mondiale i tedeschi chiamavano “terroristi” i maquisards, ma dopo la vittoria alleata nessuno li ha più chiamati così.
Nello stesso modo, i francesi chiamavano “terrorista” l’Fln algerino, ma dopo l’indipendenza nessuno ha usato più questo termine, semplicemente perché l’Fln aveva vinto.
Così nessuno ha chiamato “terroristi” Begin od Ho chi min, perché anch’essi hanno imposto la “narrazione del vincitore”.
Perciò andrebbe ponderato con attenzione il fenomeno di queste nuove brigate internazionali, tanto più dopo una monografia resa pubblica solo di recente, ma preparata nel 2010 dal Rand National Defense Research Institute e intitolata An Economic Analysis of the Financial Records of al-Qaeda in Iraq che analizza i dati contabili di Al-Qaida tra il 2005 e 2010, ma che Rand considera ancora validi anche per l’Isis, almeno nei caratteri fondamentali.
Le due conclusioni di Rand sono che
1) la retribuzione non è il movente principale che spinge ad arruolarsi nelle milizie islamiche (Rand afferma che il reddito di un combattente è di gran lunga inferiore a quello percepito dalla media delle famiglie nelle regioni interessate, mentre le probabilità di morte sono assai superiori);
2) i terroristi hanno livelli d’istruzione e patrimonio superiori alle attese, il che indebolisce le teorie che spiegano la partecipazione alla militanza con una carenza finanziaria, una instabilità mentale o una scarsa educazione” (the observed higher-than-expected education and wealth levels of terrorists weakens theories explaining participation in militancy as being due to financial deprivation, mental instability, or poor education): non sono emarginazione, follia, povertà a motivare i volontari, parola di Rand.
Insomma queste nuove “brigate internazionali” sono un fenomeno che va preso sul serio e che pone un interrogativo ancora più serio.
Non dimentichiamo che i primi “volontari stranieri” moderni furono coloro che nel primo ’800 andarono a combattere e morire per l’indipendenza della Grecia cristiana dall’islamico impero ottomano.
I più famosi furono il conte italiano Santorre di Santarosa (morto a Sfacteria nel 1821) e il poeta inglese George Byron (morto a Missolungi nel 1824).
Il simbolo del volontariato internazionale ottocentesco fu Giuseppe Garibaldi non a caso chiamato “l’eroe dei due mondi” perché combatté in Brasile, Uruguay, Italia e Francia (nel 1871, contro i tedeschi).
Tutti costoro facevano proprie le parole del saint-simoniano Emile Barrault: «Un uomo, che, facendosi cosmopolita, adotta l’umanità come patria e va ad offrire la spada ed il sangue a ogni popolo che lotta contro la tirannia, è più di un soldato: è un eroe».
Nel ’900 questa tradizione fu ripresa dalle brigate internazionali, anarchiche, repubblicane, comuniste, nella guerra di Spagna che tanta traccia hanno lasciato nella letteratura: da Per chi suona la campana di Ernest Hemingway a Omaggio alla Catalogna di George Orwell.
Dopo la seconda guerra mondiale questa tradizione s’interruppe.
Nessun volontario europeo partì per il Vietnam o per l’Africa del Sud dell’apartheid.
Il fenomeno riprese all’inizio degli anni ’90 con la guerra in Bosnia e poi in Afghanistan, fino all’arruolamento attuale nell’Isis che desta molta più attenzione.
Ma c’è una novità enorme nella motivazione di questo nuovo volontariato internazionale.
Non è più l’irredentismo patriottico o la solidarietà di classe, ma è un nuovo irredentismo religioso che vuole liberarsi dal giogo degli infedeli occidentali.
I volontari europei dell’Isis potrebbero far proprie le parole di Barrault, solo che al posto dell’umanità porrebbero l’Islam.
L’interrogativo è allora: come è avvenuto che a motivare il sacrificio di tanta gioventù europea non sia più l’umanità, la patria, il socialismo, ma la religione?
Che cosa abbiamo fatto a questi ragazzi per portarli a questo punto?
Quello che fa imbestialire nel discorso dominante sul fondamentalismo islamico, soprattutto quello in Europa, è che glissa sulle cause strutturali, sull’alienazione sociale e riduce tutto a un’improbabile e inutile categoria di “insania e fanatismo”.
E che all’Isis tanto insani non siano, lo dimostra il fatto che con due “sole” decapitazioni pubbliche un gruppo di scalzacani è riuscito a farsi riconoscere come il nemico principale della maggiore superpotenza mondiale.
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Re: Dove arriva lo scempio dell'IS
STATO ISLAMICO
«Isis distrugge antica città di Hatra»
Dopo museo di Mosul e sito di Nimrud, fonti curde parlano di un’altra aggressione
di Redazione Online
Articolo + video
http://www.corriere.it/esteri/15_marzo_ ... 67e8.shtml
«Isis distrugge antica città di Hatra»
Dopo museo di Mosul e sito di Nimrud, fonti curde parlano di un’altra aggressione
di Redazione Online
Articolo + video
http://www.corriere.it/esteri/15_marzo_ ... 67e8.shtml
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Re: Dove arriva lo scempio dell'IS
La domanda è corretta, ma in effetti non è vero che nessuno si sofferma a chiedersi la ragione di questo fenomeno: è vero invece che non sembrano esserci risposte. Non ci sono nemmeno in questo articolo, che si limita a fare un veloce excursus storico sui combattenti che hanno rincorso le "guerre giuste" qua e là per il mondo.camillobenso ha scritto: QUELLI CHE VANNO A COMBATTERE CON L’ISIS, PERCHÉ LO FANNO?
di minima&moralia pubblicato domenica, 12 ottobre 2014 · 35
È straordinario come nessuno si soffermi davvero a chiedersi perché tanti giovani che vivono in Europa, Canada, Australia, persino Cina, vadano ad arruolarsi per combattere in Siria e in Iraq con il cosiddetto Stato islamico (Isis), o con altre milizie musulmane.
Una risposta valida per tutti - valida per tutte le provenienze, dalla Cina alla Turchia, agli USA, alla GB, all'Italia - può essere soltanto una motivazione psicologica, più che ideologica o etica.
Se, infatti, le ragioni fossero di questa natura, che chiameremmo genericamente "politica", ci sono nel mondo numerose e diverse situazioni in grado di attrarre giovani idealisti, in nome di quei valori di giustizia e libertà che hanno mosso i combattenti ricordati nell'articolo, nel corso dell'800 e del '900.
Questi valori non erano, tuttavia, astrattamente morali, ma avevano un substrato ideologico molto forte, anche se non sempre uguale nel corso dei due secoli precedenti: il nazionalismo, l'irredentismo, l'opposizione al fascismo, la difesa della rivoluzione socialista, per esempio, o anche l'idealità liberale.
Le situazioni che attualmente agitano il mondo - potenzialmente attrattive - sono, diversamente che nel passato, meno chiare dal punto di vista ideologico, o comunque appaiono meno chiare a una platea mondiale di giovani (soprattutto di giovani) che sono stati privati di riferimenti ideologici, o che vivono in un contesto sociale nel quale l'ideologia è stata gravemente depotenziata, ridotta al livello di "opinione", o perfino demonizzata in quanto "divisiva".
Soprattutto, è stato depotenziato il percorso culturale che conduce alla scelta ideologica, intesa come visione del mondo e come scelta di campo, capace di creare un senso di appartenenza forte quanto basta da sostenere una bandiera e, con essa, un senso elementare e individuale di "trascendenza".
E' evidente che questo discorso si ricollega in modo stretto con la crisi - occidentale, e quindi globale - della sinistra progressista, che si è attestata nei limiti del "buon governo" e di un riformismo minimalista, dal punto di vista ideologico e progettuale.
Una sinistra che ha dismesso proprio l'idea stessa della "bandiera" e dell'idealismo, ritirandosi su un'interpretazione dei rapporti sociali ed esistenziali neo-liberali, che sembrano recuperare le ragioni originarie del liberalismo, dimenticando però che in quei contesti originari l'istanza liberale era stata caratterizzata e si era sostenuta su una fortissima carica ideale e aveva avuto una potente identità "eversiva".
In conseguenza di questo depotenziamento ideale, si sviluppano dei surrogati di appartenenza, quali per esempio le tifoserie calcistiche o territoriali, le quali assumono molte caratteristiche un tempo proprie dei partiti politici, complete di un simulacro quasi parodistico di corredo ideologico e soprattutto di simboli, di bandiere, di criteri di esclusione e di inclusione.
In questo senso devono essere interpretati anche i rigurgiti neo-fascisti e neo-nazisti, tradizionalmente ricchi di simbologie carismatiche, che si appigliano in modo meno parodistico, ma altrettanto superficiale e artificioso, a ogni appiglio che sia possibile sventolare come "bandiera" nella quale riconoscersi.
Certamnte, coloro che soggiacciono a questi simulacri ideologici, a queste rappresentazioni che hanno come principio e fine una bandiera purchessìa, sono generalmente i più influenzabili, forse i più deboli psicologicamente e culturalmente. Ma non sono "pazzi": sono semmai un sintomo della pazzia della società alla quale appartengono.
Coloro, tra i giovani e meno giovani, più attrezzati e più forti psicologicamnte o culturalmente, non aderiscono a questi richiami, e tuttavia non hanno vere alternative: il loro potnziale politico rimane inespresso e nella gran parte dei casi si disperde in battaglie di minima portata, ininfluenti e inoffensive, che tutt'al più hanno un risultato "inclusivo" e che non risolve un disagio esistenziale che rimane sottotraccia.
Di fronte a questa situazione, la bandiera dell'ISIS (non a caso una bandiera, osessivamente esibita) finisce per avere un forte potere attrattivo, soprattutto nella fascia debole della platea dei giovani, e in qualcuno dei più attrezzati che rimane fuori dal meccanismo inclusivo o che è talmente attrezzato da non essere soddisfatto da un'inclusione di livello esistenziale e intellettuale troppo basso.
Quello che offre l'ISIS, insomma, è un'appartenenza barbarica e rudimentale, e ribellistica, e una bandiera, che ha una potente forza attrattiva nel momento in cui si abbatte su contesti sociali poveri di idealità, specialmente quando la proposta non chiede di rinunciare ai gadget tecnologici della modernità e non chiede eremitaggi, ma anzi sembra fornire progetto per utilizzare in prima persona le risorse della modernità e per scaricare le pulsioni distruttive, l'energia frustrata della gioventù o della disillusione.
In definitiva, queste adesioni, soprattutto occidentali, all'ISIS non sono numericamente rilevanti: ma generano interrogativi, inquietudine, perché se ne avverte il valore critico verso il contesto sociele e culturale dal quale provengono.
Un'inquitetudine che è certamnte maggiore di quella generata dal razzismo leghista, o dalle risorgenti pulsioni neofasciste, perché la barbarie dell'ISIS è più spettacolare.
Ma faremmo bene ad analizzare e dare più peso a ciò che accomuna questa migrazione di "combattenti" con il neofascismo e il neonazismo.
Eravamo giovani, eravamo arroganti, eravamo ridicoli, eravamo eccessivi, eravamo avventati. Eravamo bandiere rosse. E avevamo ragione.
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Re: Dove arriva lo scempio dell'IS
Ottima analisi, Rom.
Come fu per il crescente consenso del fascismo e del nazismo, un ruolo determinante lo gioca il senso di umiliazione, la possibilità o piuttosto l'illusione di una riscossa. La comunità musulmana nel mondo ha pagato un prezzo altissimo, ingiusto e immotivato ai fantasmi paranoici dell'occidente, oggi ricco in termini sostanziali ma arido sul piano socioculturale dopo un trentennio di turboliberismo.
Due guerre contro l'Iraq hanno visto come protagonisti gli angloamericani, provocando come conseguenza la totale devastazione di un'entità statale che non ha più avuto modo di ricostituirsi realmente. La decennale guerra in Afghanistan è stata ancora più paradossale: gli americani se ne vanno senza avere ottenuto alcunché, lasciando uno stato debole che non controlla il proprio territorio e che sarà ancora a lungo alla mercé degli estremismi religiosi. Il tutto naturalmente dopo aver foraggiato economicamente e militarmente proprio la stessa parte più retriva e integralista in funzione antisovietica quando si ebbero altri dieci anni di guerra "coloniale", stavolta condotta dall'URSS.
Dopo aver rovesciato, come nell'Iran del 1953, forme di governo orientate alla redistribuzione socialista delle risorse, in contrasto con l'industria petrolifera allora controllata dai britannici.
Ancora in tempi recenti vediamo il condizionamento occidentale dell'Egitto, dove a fronte di una forma di consenso popolare vicina ai fratelli musulmani gli angloamericani appoggiano invece l'attuale governo nato da un colpo di stato, in cui i militari esprimono la metà dei ministri e gli oppositori vengono incarcerati, torturati e condannati a morte. In Libia i governi sono addirittura due: uno filo occidentale a Tobruk, l'altro guidato dai fratelli musulmani. In Siria il paradosso maggiore: per finanziare e armare gli oppositori di Assad si è finito per regalare armi e potere all'Isis.
Tutto questo, a mio avviso, visto con gli occhi di un musulmano la cui famiglia proviene da questi luoghi, o anche visto dalla prospettiva di chi è arabo pur essendo di altre confessioni religiose (o di nessuna), costituisce una eccezionale somma di ingiustizie, di vessazioni, di umiliazioni, ancora più gravi perché causate da chi si sente appartenente a una civiltà superiore, evoluta, magari sostenendo anche come essa sia compiutamente democratica et liberale, da contrapporre agli incivili infedeli piombati, chissà perché, in un nuovo medioevo.
E via con i confronti tra dottrine religiose: quella buona, cristiana, che favorisce l'evoluzione sociale e quella cattiva, retrograda, islamica, che tutto sommato finisce sempre per generare integralismi e integralisti. Poi ci si mettono i movimenti xenofobi, che estendono il proprio consenso oltre ai numeri e alle percentuali elettorali, ma spesso trovano "ammiccamenti" anche da altre parti politiche alla ricerca di facili e rapidi consensi. Magari proprio in quelle periferie degradate che fanno sentire ancora più alienati gli immigrati o i figli di immigrati che si sono fatti un culo così lavorando sodo, sfruttati e malpagati, in una società che continua a riservare loro i quartieri peggiori, le briciole delle risorse, gli avanzi di quanto divorato dalla "gente per bene".
E questo che cos'è se non il neo liberismo? O neo liberalismo? Ancora una volta con la retorica del merito i più forti e spietati si accaparrano le risorse, poi le conseguenze delle ingiustizie e dell'umiliazione generano quelli che chiamiamo i mostri. Ma il vero mostro è in seno nostro.
L'umiliazione e l'alienazione hanno sempre determinato movimenti storici fortissimi, che non si possono estinguere solo militarmente ma con un mutamento nel modello di società. Il fascismo nacque in un contesto in cui l'Italia era impoverita da una lunga guerra che non aveva vinto ne' perso, chi aveva combattuto si trovava poverissimo quando tornava dal fronte e magari chi si era imboscato era riuscito persino ad arricchirsi. Il senso di umiliazione fu sfruttato in questo caso contro i lavoratori che scioperavano per chiedere diritti e condizioni migliori, per giustificare il manganello e il regime, visto che la borghesia e la monarchia avevano capito che poteva tornare loro utile. Il nazismo invece nasce dopo la crisi liberista del 1929 in un paese ancora più umiliato dalle sanzioni e dalle riparazioni di guerra. Quello che succede con l'Isis è molto simile: una lunga serie di vessazioni e di sconfitte, di prepotenze, di inciviltà (occidentale).
Come fu per il crescente consenso del fascismo e del nazismo, un ruolo determinante lo gioca il senso di umiliazione, la possibilità o piuttosto l'illusione di una riscossa. La comunità musulmana nel mondo ha pagato un prezzo altissimo, ingiusto e immotivato ai fantasmi paranoici dell'occidente, oggi ricco in termini sostanziali ma arido sul piano socioculturale dopo un trentennio di turboliberismo.
Due guerre contro l'Iraq hanno visto come protagonisti gli angloamericani, provocando come conseguenza la totale devastazione di un'entità statale che non ha più avuto modo di ricostituirsi realmente. La decennale guerra in Afghanistan è stata ancora più paradossale: gli americani se ne vanno senza avere ottenuto alcunché, lasciando uno stato debole che non controlla il proprio territorio e che sarà ancora a lungo alla mercé degli estremismi religiosi. Il tutto naturalmente dopo aver foraggiato economicamente e militarmente proprio la stessa parte più retriva e integralista in funzione antisovietica quando si ebbero altri dieci anni di guerra "coloniale", stavolta condotta dall'URSS.
Dopo aver rovesciato, come nell'Iran del 1953, forme di governo orientate alla redistribuzione socialista delle risorse, in contrasto con l'industria petrolifera allora controllata dai britannici.
Ancora in tempi recenti vediamo il condizionamento occidentale dell'Egitto, dove a fronte di una forma di consenso popolare vicina ai fratelli musulmani gli angloamericani appoggiano invece l'attuale governo nato da un colpo di stato, in cui i militari esprimono la metà dei ministri e gli oppositori vengono incarcerati, torturati e condannati a morte. In Libia i governi sono addirittura due: uno filo occidentale a Tobruk, l'altro guidato dai fratelli musulmani. In Siria il paradosso maggiore: per finanziare e armare gli oppositori di Assad si è finito per regalare armi e potere all'Isis.
Tutto questo, a mio avviso, visto con gli occhi di un musulmano la cui famiglia proviene da questi luoghi, o anche visto dalla prospettiva di chi è arabo pur essendo di altre confessioni religiose (o di nessuna), costituisce una eccezionale somma di ingiustizie, di vessazioni, di umiliazioni, ancora più gravi perché causate da chi si sente appartenente a una civiltà superiore, evoluta, magari sostenendo anche come essa sia compiutamente democratica et liberale, da contrapporre agli incivili infedeli piombati, chissà perché, in un nuovo medioevo.
E via con i confronti tra dottrine religiose: quella buona, cristiana, che favorisce l'evoluzione sociale e quella cattiva, retrograda, islamica, che tutto sommato finisce sempre per generare integralismi e integralisti. Poi ci si mettono i movimenti xenofobi, che estendono il proprio consenso oltre ai numeri e alle percentuali elettorali, ma spesso trovano "ammiccamenti" anche da altre parti politiche alla ricerca di facili e rapidi consensi. Magari proprio in quelle periferie degradate che fanno sentire ancora più alienati gli immigrati o i figli di immigrati che si sono fatti un culo così lavorando sodo, sfruttati e malpagati, in una società che continua a riservare loro i quartieri peggiori, le briciole delle risorse, gli avanzi di quanto divorato dalla "gente per bene".
E questo che cos'è se non il neo liberismo? O neo liberalismo? Ancora una volta con la retorica del merito i più forti e spietati si accaparrano le risorse, poi le conseguenze delle ingiustizie e dell'umiliazione generano quelli che chiamiamo i mostri. Ma il vero mostro è in seno nostro.
L'umiliazione e l'alienazione hanno sempre determinato movimenti storici fortissimi, che non si possono estinguere solo militarmente ma con un mutamento nel modello di società. Il fascismo nacque in un contesto in cui l'Italia era impoverita da una lunga guerra che non aveva vinto ne' perso, chi aveva combattuto si trovava poverissimo quando tornava dal fronte e magari chi si era imboscato era riuscito persino ad arricchirsi. Il senso di umiliazione fu sfruttato in questo caso contro i lavoratori che scioperavano per chiedere diritti e condizioni migliori, per giustificare il manganello e il regime, visto che la borghesia e la monarchia avevano capito che poteva tornare loro utile. Il nazismo invece nasce dopo la crisi liberista del 1929 in un paese ancora più umiliato dalle sanzioni e dalle riparazioni di guerra. Quello che succede con l'Isis è molto simile: una lunga serie di vessazioni e di sconfitte, di prepotenze, di inciviltà (occidentale).
Renzi elenca i successi del governo. “Sarò breve”.
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Re: Dove arriva lo scempio dell'IS
Per poter affermare questo, in toto, bisognerebbe capire bene cosa sia l'ISIS, dove e come, e da chi, nasce.flaviomob ha scritto: Quello che succede con l'Isis è molto simile: una lunga serie di vessazioni e di sconfitte, di prepotenze, di inciviltà (occidentale).
Nel pentolone ribollente mediorientale si agitano forze e interessi assai più criptici rispetto a quelli - tutt'altro che semplici - che esistevano nel nostro dopoguerra europeo: come minimo, diciamo che nel medioriente asiatico e nel nord-Africa esistono situazioni e fenomeni che è assai difficile valutare secondo i canoni socio-politici, o ideologici, che erano (e sono tutt'oggi) validi nella realtà europea, nel bene e nel male.
Io considero l'ISIS per quello che appare, secondo un criterio di base che prescinde dalla genesi del fenomeno: una "guerra" barbarica, fatta di una sistematica violazione di quei valori umani che valgono fin dal tempo delle guerre omeriche, che facevano distinguere il combattente sanguinario da quello rispettoso della pietas - il giro delle mura di Troia fatto da Achille, trascinando nella polvere il cadavere di Ettore, consegnato al disonore perenne dal poeta, che pure appartiene a un tempo in cui i momenti della vita erano fatalmente segnati dal sangue e dal dolore.
L'ISIS non è quello che appare, cioè gli eccidi sono una finzione? Se così fosse, cambieremmo il giudizio, anche se rimarrebbero da capire e analizzare le cose sotto un altro aspetto, molto diverso.
Eravamo giovani, eravamo arroganti, eravamo ridicoli, eravamo eccessivi, eravamo avventati. Eravamo bandiere rosse. E avevamo ragione.
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Re: Dove arriva lo scempio dell'IS
L'Isis fa di tutto per dimostrare la sua atrocità (la tattica usata dai barbari per spaventare i romani e provocare una rotta sfrenata ... e viceversa) per creare panico nell'Occidente e negli altri Stati arabi, al fine di indurli a comportamenti irrazionali.Rom ha scritto:Io considero l'ISIS per quello che appare, secondo un criterio di base che prescinde dalla genesi del fenomeno: una "guerra" barbarica, fatta di una sistematica violazione di quei valori umani che valgono fin dal tempo delle guerre omeriche, che facevano distinguere il combattente sanguinario da quello rispettoso della pietas ...
Le decisioni nervose e spropositate dei "nemici storici" non fanno altro che enfatizzare la forza fisica e le ragioni del califfato e ... fargli fare proseliti, dappertutto!
Se quelli dell'Isis non facevano terrorismo, uccidendo in modo raccapricciante innocenti e gente comune indifesa, non avrebbero guadagnato l'attenzione dei media internazionali ...
E così, per il diritto/dovere di cronaca, i giornali e le televisioni (in special modo quelli dei paesi "da abbattere") hanno fatto da cassa di risonanza alle "imprese" (accortamente pilotate) e alle parole dei fomentatori di odio per le altrui culture e civiltà.
Le Commissioni di vigilanza televisiva dovrebbero pur farsi sentire e giustificare il loro costo!
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Re: Dove arriva lo scempio dell'IS
http://www.internazionale.it/opinione/z ... o-islamico
Da molte analisi, tra cui quella di Internazionale (qui sopra linkata), emerge come lo Stato Islamico si regga su un delicato equilibrio tra le rivendicazioni sunnite e la forte influenza sciita che l'Iran esercita su una parte dello stesso Iraq.
A mio parere le atrocità sono una forma speculare alle torture perpetrate dagli americani in Iraq: lo stesso "califfo" è un ex detenuto (e torturato) dai nostri amiconi a stelle e strisce. Del resto anche Obama inizia ad ammettere che Isis è una creatura nata grazie all'invasione americana dell'Iraq (e se lo dice lui...).
Forse l'ultimo Obama, libero da ansie preelettorali (visto che non è rieleggibile), tornerà alle origini e spingerà per politiche più progressiste, decise e lungimiranti. Ora pare che stia cercando uno storico accordo con l'Iran, che sarebbe molto efficace per ridimensionare l'Isis ma anche l'estremismo di destra israeliano...
Europa, non pervenuta.
Da molte analisi, tra cui quella di Internazionale (qui sopra linkata), emerge come lo Stato Islamico si regga su un delicato equilibrio tra le rivendicazioni sunnite e la forte influenza sciita che l'Iran esercita su una parte dello stesso Iraq.
A mio parere le atrocità sono una forma speculare alle torture perpetrate dagli americani in Iraq: lo stesso "califfo" è un ex detenuto (e torturato) dai nostri amiconi a stelle e strisce. Del resto anche Obama inizia ad ammettere che Isis è una creatura nata grazie all'invasione americana dell'Iraq (e se lo dice lui...).
Forse l'ultimo Obama, libero da ansie preelettorali (visto che non è rieleggibile), tornerà alle origini e spingerà per politiche più progressiste, decise e lungimiranti. Ora pare che stia cercando uno storico accordo con l'Iran, che sarebbe molto efficace per ridimensionare l'Isis ma anche l'estremismo di destra israeliano...
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Re: Dove arriva lo scempio dell'IS
Queste possono essere le ragioni delle parti che una volta dominavano in quei Paesi e che sono state sconfitte dalle azioni degli occidentali, senza dimenticare, però, le richieste di aiuto pervenute dalle popolazioni che subivano quei regimi dittatoriali.flaviomob ha scritto:Da molte analisi, tra cui quella di Internazionale (qui sopra linkata), emerge come lo Stato Islamico si regga su un delicato equilibrio tra le rivendicazioni sunnite e la forte influenza sciita che l'Iran esercita su una parte dello stesso Iraq.
A mio parere le atrocità sono una forma speculare alle torture perpetrate dagli americani in Iraq: lo stesso "califfo" è un ex detenuto (e torturato) dai nostri amiconi a stelle e strisce. Del resto anche Obama inizia ad ammettere che Isis è una creatura nata grazie all'invasione americana dell'Iraq (e se lo dice lui...).
È stato giusto o non è stato giusto "esportare la democrazia ed imporre il rispetto dei diritti umani"?
Sono domande che si fanno sempre alla luce del "poi" (a distanza di anni o decenni) e che non risolvono il problema contingente.
Teniamo presenti che gli "scagnozzi" al comando dei vari dittatori (per esempio, quelli formanti la Guardia repubblicana in Irak) godevano di uno stato sociale non indifferente, quasi di immunità quando esercitavano violenze verso i civili che osavano esprimere una minima forma di dissenso (con la scusa di "nemici della rivoluzione").
Alla destituzione dei loro raiss ci saranno stati quelli che sono stati fatti prigionieri, giudicati e condannati dai vari tribunali, altri che si saranno "pentiti", ma tantissimi si saranno "imboscati" in attesa di continuare a dire la loro (con il bagaglio di armi che avevano a disposizione in qualche parte sicura) quando le cose lo avrebbero permesso (qui trovano conferma le mie supposizioni http://www.lastampa.it/2014/08/29/ester ... agina.html).
Un giornalismo d'inchiesta queste cose le riporta, ma perché gli altri sedicenti giornalisti non si vergognano di fare da megafono indiretto alle cause di questi "violenti con la scusa di imporre la sharia"?
"Prima la Siria, poi la Libia, ora in Tunisia: il nemico si sta avvicinando alle nostre coste; siamo in guerra!" è il tambureggiamento dei nostri mass media (asserviti ai nostri potenti e con il ruolo di avvoltoi) ... e ci dimentichiamo degli attentati a Parigi di qualche mese fa?
Con la scusa di esercitare il diritto/dovere di cronaca i conduttori televisivi fanno audience, altri giornalisti si guadagnano la paga di inviato di guerra (e forse qualche "onorificenza per meriti speciali" da iena) e se ne fregano se i loro video (specialmente quelli che mostrano quattro scalmanati incappucciati, inneggianti con le armi in mano o su pick-up, o a sfilare ordinati in file indiane, o quelle delle loro esecuzioni) colpiscono come non mai la mente dei più giovani spingendoli a condividere le ragioni di un qualsiasi guru spirituale. L'entusiasmo giovanile, poi, li farebbe correre per rifarsi delle ipotetiche umiliazioni subite ad opera della civiltà occidentale.
Si possono ricercare chissà quali e quante spiegazioni psicologiche o antropologiche per venire a capo dei motivi che spingono alcuni europei (forse poco integrati o emarginati) a diventare "foreign fighters"; resta il fatto, da biasimare, che sono queste immagini TV il miglior mezzo per far fare proseliti al nuovo califfo iracheno, spuntato come un fungo e, forse, destinato a crescere per mano dei suoi stessi "avversari".
Che ben vengano queste iniziative.flaviomob ha scritto:Forse l'ultimo Obama, libero da ansie preelettorali (visto che non è rieleggibile), tornerà alle origini e spingerà per politiche più progressiste, decise e lungimiranti. Ora pare che stia cercando uno storico accordo con l'Iran, che sarebbe molto efficace per ridimensionare l'Isis ma anche l'estremismo di destra israeliano...
Per quelle europee ci sta pensando una persona competente, laureata, che conosce le lingue, bella, elegante .... insomma un altro dei tanti pesci fuori dall'acqua (italiana), come l'altro che ha presieduto nel semestre scorso la Commissione Europea.
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