G R E C I A
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Re: G R E C I A
Per precisione è di Rignano, un paesone fuori Firenze. Lo dico perchè molti fiorentini sono costernati dal vedere il nome del bimbetto associato a Firenze.
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Re: G R E C I A
Dalla Grecia una speranza per l’Europa dei Popoli.
Una serata per comprendere.
Incontro pubblico con Argyrios Argiris Panagopoulos
Portavoce in Italia di Syriza
Giornalista di AVGI
MARTEDI’ 10 MARZO ORE 21.00 – SALONE “A. BERTOLIO” – VIA LISSI, 6 COMO
L’accoglimento delle proposte del governo greco da parte dell’Eurogruppo è utile a tutta l'Europa. E’ un primo passo per rimettere in discussione un modello, quello dell'austerità e del liberismo, che ha dato pessima prova di sé e avviare, finalmente, un processo di democratizzazione dell'Europa in senso unitario e federale. La resistenza al programma di Syriza conferma solo il timore che attraverso la breccia greca possa passare la rinascita dell'Europa su basi più giuste, fondate sul riconoscimento dei diritti, della solidarietà e della giustizia sociale.
Per questo il governo tedesco, pur con qualche importante distinguo, ha cercato di ottenere che il governo di Syriza firmasse esattamente le stesse cose che il precedente governo avrebbe firmato.
Si cerca di far credere che nulla è cambiato e che le politiche della Grecia non subiranno sostanziali modifiche. Non è così. Chi lo sostiene vuole solo cancellare la possibilità che le speranze dei popoli europei diventino concrete.
Il debito non l’hanno creato i popoli ma le oligarchie politiche e finanziarie, le stesse che grazie alla macelleria sociale delle politiche di austerità si stanno arricchendo sempre di più.
Le proposte all’Eurogruppo del governo greco non contengono più tagli a stipendi, pensioni e servizi sociali. Né licenziamenti di massa, pignoramenti delle prime case e limitazioni dei diritti sindacali. Esse riflettono in gran parte il programma preelettorale di Syriza, specialmente la parte degli interventi contro quella che Tsipras chiama «catastrofe umanitaria». Le entrate deriveranno da lotta all’evasione fiscale, introduzione di una patrimoniale, lotta agli sprechi e ai privilegi delle oligarchie. Un radicale cambiamento nelle politiche imposte dal neoliberismo. Per questo la Grecia oggi fa paura e ha bisogno di tutta la nostra solidarietà.
Per il Comitato comasco Altra Europa
Una serata per comprendere.
Incontro pubblico con Argyrios Argiris Panagopoulos
Portavoce in Italia di Syriza
Giornalista di AVGI
MARTEDI’ 10 MARZO ORE 21.00 – SALONE “A. BERTOLIO” – VIA LISSI, 6 COMO
L’accoglimento delle proposte del governo greco da parte dell’Eurogruppo è utile a tutta l'Europa. E’ un primo passo per rimettere in discussione un modello, quello dell'austerità e del liberismo, che ha dato pessima prova di sé e avviare, finalmente, un processo di democratizzazione dell'Europa in senso unitario e federale. La resistenza al programma di Syriza conferma solo il timore che attraverso la breccia greca possa passare la rinascita dell'Europa su basi più giuste, fondate sul riconoscimento dei diritti, della solidarietà e della giustizia sociale.
Per questo il governo tedesco, pur con qualche importante distinguo, ha cercato di ottenere che il governo di Syriza firmasse esattamente le stesse cose che il precedente governo avrebbe firmato.
Si cerca di far credere che nulla è cambiato e che le politiche della Grecia non subiranno sostanziali modifiche. Non è così. Chi lo sostiene vuole solo cancellare la possibilità che le speranze dei popoli europei diventino concrete.
Il debito non l’hanno creato i popoli ma le oligarchie politiche e finanziarie, le stesse che grazie alla macelleria sociale delle politiche di austerità si stanno arricchendo sempre di più.
Le proposte all’Eurogruppo del governo greco non contengono più tagli a stipendi, pensioni e servizi sociali. Né licenziamenti di massa, pignoramenti delle prime case e limitazioni dei diritti sindacali. Esse riflettono in gran parte il programma preelettorale di Syriza, specialmente la parte degli interventi contro quella che Tsipras chiama «catastrofe umanitaria». Le entrate deriveranno da lotta all’evasione fiscale, introduzione di una patrimoniale, lotta agli sprechi e ai privilegi delle oligarchie. Un radicale cambiamento nelle politiche imposte dal neoliberismo. Per questo la Grecia oggi fa paura e ha bisogno di tutta la nostra solidarietà.
Per il Comitato comasco Altra Europa
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Re: G R E C I A
Questo articolo, pubblicato stamani su Libre - associazione di idee, è un classico articolo che può essere classificato come "multi-thread" in quanto si presta a più argomenti trattati in questi ultimi giorni. E' un articolo che può essere condiviso, in parte condiviso, oppure per niente condiviso. Certo però è tale da essere preso in considerazione.
Estorsioni e bugie, perché la Germania non cambia mai
Scritto il 04/3/15 • nella Categoria: idee
Spezzare le reni alla Grecia per mettere in chiaro le cose: chi comanda non avrà pietà di nessuno.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Si chiama: capitalismo tedesco.
Mordeva l’Europa già prima di Hitler, è deflagrato nella Seconda Guerra Mondiale e ora ha ripreso a correre, col Quarto Reich dei poteri forti che manovrano la loro figurina politica, Angela Merkel.
-I regimi cambiano, ma le linee geopolitiche di fondo restano le stesse: «La tracotanza delle classi dominanti tedesche al tavolo negoziale di Bruxelles sulla questione greca non si spiega solo ricorrendo alle origini luterane della loro cultura», sostiene Moreno Pasquinelli.
«Si può comprendere piuttosto alla luce delle costanti della politica di potenza tedesca».
Sono evidenti le medesime tendenze espansionistiche, attraverso i secoli:
da Federico II il Grande alla cancelliera Merkel, passando prima per Bismarck e poi per Hitler.
«Com’è ovvio nessun regime confessa i suoi appetiti, tanto più se sono imperialistici».
La verità, quindi, esplode solo con la guerra: allora, «ciò che è latente si disvela e viene alla luce».
E riecco dunque la vecchia Germania, col suo pericoloso suprematismo mercantilista: sottomettere economie per conquistare mercati.
Da Bismarck in poi, «l’espansionismo militare germanico ha sempre fatto seguito a una strategia economica mercantilistica».
Oggi l’ordine dei fattori sembra invertito, ma il risultato (disastroso per l’Europa) è lo stesso, scrive Pasquinelli su “Sollevazione”.
Attenzione: se una potenza imperialistica viene contrastata e i suoi mercati di sbocco tendono a sfuggirle, prima o poi sviluppa la sua potenza bellica.
«La posizione punitiva e oltranzista di Berlino verso la Grecia non dev’essere fraintesa», perché – oggi come ieri – non è certo il Mediterraneo «il boccone succulento che brama davvero l’imperialismo tedesco», ma «le praterie euroasiatiche, Russia in primis – e di cui Polonia, baltici e Ucraina sono solo dei ponti».
Per lanciarsi ad Est, proprio come il Terzo Reich ieri, anche oggi «Berlino non avere nemici né ad Ovest né a Sud».
Infatti, prima di marciare su Mosca, «Hitler dovette coprirsi le spalle ad Occidente, e lo fece – non senza prima essersi assicurata la benevolenza russa col Patto Ribbentrop-Molotov – annientando militarmente la Francia».
Perché allora la Merkel tiene duro contro i greci, fino al punto di spingerli fuori dall’Eurozona?
«Berlino deve “spezzare le reni” alla piccola Grecia per ribadire, anzi irrobustire, la sua supremazia, non più solo economica ma politica, sull’Europa occidentale, e avere quindi mani libere ad Est».
Oggi, le armi tedesche sono l’Unione Europea e l’euro: Ue e moneta unica «sono i ferri con i quali la Germania soggioga e incatena a sé la Francia e tutti i suoi alleati».
Hollande? Ridotto a comparsa, anche ai negoziati di Minsk. E se qualcuno crede alla sincerità – talora drammatica – dei tedeschi, si sbaglia di grosso.
E’ la storia a smentirlo: «Contrariamente a quanto si pensa, Hitler fu un maestro nell’arte dell’occultamento dei suoi piani di aggressione», ricorda Pasquinelli.
La famigerata Conferenza di Monaco del settembre 1938, con la quale ottenne da inglesi, francesi e italiani l’autorizzazione ad annettersi (dopo l’Austria) la Cecoslovacchia, «fu anche il frutto della sua memorabile abilità nell’ingannare i suoi interlocutori».
Ne abbiamo le prove, data la risaputa meticolosità tedesca: i nazisti trascrissero anche le discussioni informali tra loro.
«Grazie a queste – continua Pasquinelli – sappiamo non solo che tutti i piani di aggressione erano stati pensati e preparati fin nei dettagli molti anni prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale; abbiamo un’immagine icastica di quale fosse realmente il disegno strategico del grande capitalismo tedesco che sosteneva il regime nazista». Non ci credete?
«Chi trova esagerato quanto noi affermiamo, che cioè esista una linea di continuità tra l’attuale geopolitica tedesca e quella nazista – scrive Pasquinelli – dovrebbe leggere con attenzione quanto affermò Hitler nelle sue conversazioni coi suoi più stretti collaboratori.
Al netto delle farneticazioni razziali (“Herrenvolk”) e dei deliri di onnipotenza hitleriani, questa linea di continuità e una certa peculiare “essenza” del capitalismo tedesco, emergono con chiarezza».
L’europeismo di facciata della Germania, paese da sempre ultra-nazionalista, «sfocia nell’esterofobia e nello sciovinismo conclamato».
Non stupitevi, dunque, se la Germania minaccia sistematicamente l’Europa.
Vale la pena considerare «quanto conti, nella psicologia dell’élite tedesca, l’amorevole adesione dei propri sudditi», e quindi oggi «quanto quindi pesi, per la Merkel, il sostegno dei suoi connazionali, la cui dimensione è direttamente proporzionale alla spietata durezza che ostenta col popolo greco».
«L’ultimo degli apprendisti, il più modesto dei carrettieri tedeschi, è più vicino a me che non il più importante dei lord inglesi», chiarì Hitler nel marzo del 1942.
Per Pasquinelli, «sarebbe sbagliato sottovalutare, malgrado i reiterati proclami di fede globalistici e cosmopolitici delle classi dominanti tedesche, quanto insomma pesi, nella psicologia di quelle élite, il “Deutschtum”, la germanitudine.
Se si va alle radici di certo pensiero politico nazionalistico tedesco non c’è solo il reazionario Carl Schmitt col suo concetto geopolitico di “Grossraum”, che egli non a caso declinava come “comunità pluralistica di liberi popoli”.
C’è Herbert Backe, che enunciò la tesi del “Grossraumordung”, come premessa del predominio imperialistico tedesco non solo ad Est ma anche ad Ovest (“Nahrungsfreiheit”).
E come dimenticare Franz Albert Six, uno dei massimi e più arguti teorici della politica estera nazista?
Egli vedeva “nella concentrazione delle forze economiche europee sotto l’egida del Reich l’attuazione del principio della solidarietà europea”».
L’europeismo? «Si può declinare in modi molto diversi, quello nazista compreso», che è la “versione estrema” della tradizionale geopolitica tedesca.
«Una politica egemonica connaturata a quello che riteniamo sia il Quarto Reich, quello che ha avuto i suoi natali con il crollo del Muro di Berlino e quindi l’annessione della Germania orientale».
Ancora Hitler affermava: «Lo spazio russo è la nostra India. Come gli inglesi, noi domineremo questo impero con un pugno di uomini».
E poi: «La sicurezza dell’Europa
non sarà assicurata se non quando avremo ricacciato l’Asia dietro agli Urali».
Quanto alla rozza plebe della Romania, «farebbe bene a rinunciare nei limiti del possibile ad avere un’industria propria», perché in quel modo «dirigerebbe le ricchezze del suo suolo, e specialmente il grano, verso il mercato tedesco; in cambio riceverebbe da noi i prodotti manifatturati di cui ha bisogno».
Oggi il menù è cambiato, ma la musica no: deindustrializzare il Sud Europa, a cominciare dall’Italia, per fornire al capitalismo tedesco manodopera a basso costo.
L’11 aprile 1942, nell’euforia delle prime folgoranti vittorie, Hitler sintetizza la politica tedesca in questi termini: «Per dominare i popoli che abbiamo sottomessi nei territori a est del Reich, dovremo di conseguenza rispondere nella misura del possibile ai desideri di libertà individuale che essi potranno manifestare, privarli dunque di qualsiasi organizzazione di Stato e mantenerli così a un livello culturale il più basso possibile».
Chiaro, no? «Bisogna partire dal concetto che questi popoli non hanno altro dovere che servirci sul piano economico.
Il nostro sforzo deve dunque consistere nel trarre dai territori che essi occupano tutto quanto se ne può trarre. Per impegnarli a consegnarci i loro prodotti agricoli, a lavorare nelle nostre miniere e nelle nostre fabbriche d’armi, li adescheremo aprendo un po’ dappertutto spacci di vendita nei quali potranno procurarsi i prodotti manifatturati dei quali abbisognano.
Se vogliamo preoccuparci del benessere individuale di ognuno, non otterremo alcun risultato imponendo loro un’organizzazione sul modello della nostra amministrazione.
In tal modo non faremmo che attirarci il loro odio.
Infatti, quanto più gli uomini sono primitivi, tanto più avvertono come una costrizione insopportabile qualsiasi limitazione della loro libertà personale».
Estorsioni e bugie, perché la Germania non cambia mai
Scritto il 04/3/15 • nella Categoria: idee
Spezzare le reni alla Grecia per mettere in chiaro le cose: chi comanda non avrà pietà di nessuno.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Si chiama: capitalismo tedesco.
Mordeva l’Europa già prima di Hitler, è deflagrato nella Seconda Guerra Mondiale e ora ha ripreso a correre, col Quarto Reich dei poteri forti che manovrano la loro figurina politica, Angela Merkel.
-I regimi cambiano, ma le linee geopolitiche di fondo restano le stesse: «La tracotanza delle classi dominanti tedesche al tavolo negoziale di Bruxelles sulla questione greca non si spiega solo ricorrendo alle origini luterane della loro cultura», sostiene Moreno Pasquinelli.
«Si può comprendere piuttosto alla luce delle costanti della politica di potenza tedesca».
Sono evidenti le medesime tendenze espansionistiche, attraverso i secoli:
da Federico II il Grande alla cancelliera Merkel, passando prima per Bismarck e poi per Hitler.
«Com’è ovvio nessun regime confessa i suoi appetiti, tanto più se sono imperialistici».
La verità, quindi, esplode solo con la guerra: allora, «ciò che è latente si disvela e viene alla luce».
E riecco dunque la vecchia Germania, col suo pericoloso suprematismo mercantilista: sottomettere economie per conquistare mercati.
Da Bismarck in poi, «l’espansionismo militare germanico ha sempre fatto seguito a una strategia economica mercantilistica».
Oggi l’ordine dei fattori sembra invertito, ma il risultato (disastroso per l’Europa) è lo stesso, scrive Pasquinelli su “Sollevazione”.
Attenzione: se una potenza imperialistica viene contrastata e i suoi mercati di sbocco tendono a sfuggirle, prima o poi sviluppa la sua potenza bellica.
«La posizione punitiva e oltranzista di Berlino verso la Grecia non dev’essere fraintesa», perché – oggi come ieri – non è certo il Mediterraneo «il boccone succulento che brama davvero l’imperialismo tedesco», ma «le praterie euroasiatiche, Russia in primis – e di cui Polonia, baltici e Ucraina sono solo dei ponti».
Per lanciarsi ad Est, proprio come il Terzo Reich ieri, anche oggi «Berlino non avere nemici né ad Ovest né a Sud».
Infatti, prima di marciare su Mosca, «Hitler dovette coprirsi le spalle ad Occidente, e lo fece – non senza prima essersi assicurata la benevolenza russa col Patto Ribbentrop-Molotov – annientando militarmente la Francia».
Perché allora la Merkel tiene duro contro i greci, fino al punto di spingerli fuori dall’Eurozona?
«Berlino deve “spezzare le reni” alla piccola Grecia per ribadire, anzi irrobustire, la sua supremazia, non più solo economica ma politica, sull’Europa occidentale, e avere quindi mani libere ad Est».
Oggi, le armi tedesche sono l’Unione Europea e l’euro: Ue e moneta unica «sono i ferri con i quali la Germania soggioga e incatena a sé la Francia e tutti i suoi alleati».
Hollande? Ridotto a comparsa, anche ai negoziati di Minsk. E se qualcuno crede alla sincerità – talora drammatica – dei tedeschi, si sbaglia di grosso.
E’ la storia a smentirlo: «Contrariamente a quanto si pensa, Hitler fu un maestro nell’arte dell’occultamento dei suoi piani di aggressione», ricorda Pasquinelli.
La famigerata Conferenza di Monaco del settembre 1938, con la quale ottenne da inglesi, francesi e italiani l’autorizzazione ad annettersi (dopo l’Austria) la Cecoslovacchia, «fu anche il frutto della sua memorabile abilità nell’ingannare i suoi interlocutori».
Ne abbiamo le prove, data la risaputa meticolosità tedesca: i nazisti trascrissero anche le discussioni informali tra loro.
«Grazie a queste – continua Pasquinelli – sappiamo non solo che tutti i piani di aggressione erano stati pensati e preparati fin nei dettagli molti anni prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale; abbiamo un’immagine icastica di quale fosse realmente il disegno strategico del grande capitalismo tedesco che sosteneva il regime nazista». Non ci credete?
«Chi trova esagerato quanto noi affermiamo, che cioè esista una linea di continuità tra l’attuale geopolitica tedesca e quella nazista – scrive Pasquinelli – dovrebbe leggere con attenzione quanto affermò Hitler nelle sue conversazioni coi suoi più stretti collaboratori.
Al netto delle farneticazioni razziali (“Herrenvolk”) e dei deliri di onnipotenza hitleriani, questa linea di continuità e una certa peculiare “essenza” del capitalismo tedesco, emergono con chiarezza».
L’europeismo di facciata della Germania, paese da sempre ultra-nazionalista, «sfocia nell’esterofobia e nello sciovinismo conclamato».
Non stupitevi, dunque, se la Germania minaccia sistematicamente l’Europa.
Vale la pena considerare «quanto conti, nella psicologia dell’élite tedesca, l’amorevole adesione dei propri sudditi», e quindi oggi «quanto quindi pesi, per la Merkel, il sostegno dei suoi connazionali, la cui dimensione è direttamente proporzionale alla spietata durezza che ostenta col popolo greco».
«L’ultimo degli apprendisti, il più modesto dei carrettieri tedeschi, è più vicino a me che non il più importante dei lord inglesi», chiarì Hitler nel marzo del 1942.
Per Pasquinelli, «sarebbe sbagliato sottovalutare, malgrado i reiterati proclami di fede globalistici e cosmopolitici delle classi dominanti tedesche, quanto insomma pesi, nella psicologia di quelle élite, il “Deutschtum”, la germanitudine.
Se si va alle radici di certo pensiero politico nazionalistico tedesco non c’è solo il reazionario Carl Schmitt col suo concetto geopolitico di “Grossraum”, che egli non a caso declinava come “comunità pluralistica di liberi popoli”.
C’è Herbert Backe, che enunciò la tesi del “Grossraumordung”, come premessa del predominio imperialistico tedesco non solo ad Est ma anche ad Ovest (“Nahrungsfreiheit”).
E come dimenticare Franz Albert Six, uno dei massimi e più arguti teorici della politica estera nazista?
Egli vedeva “nella concentrazione delle forze economiche europee sotto l’egida del Reich l’attuazione del principio della solidarietà europea”».
L’europeismo? «Si può declinare in modi molto diversi, quello nazista compreso», che è la “versione estrema” della tradizionale geopolitica tedesca.
«Una politica egemonica connaturata a quello che riteniamo sia il Quarto Reich, quello che ha avuto i suoi natali con il crollo del Muro di Berlino e quindi l’annessione della Germania orientale».
Ancora Hitler affermava: «Lo spazio russo è la nostra India. Come gli inglesi, noi domineremo questo impero con un pugno di uomini».
E poi: «La sicurezza dell’Europa
non sarà assicurata se non quando avremo ricacciato l’Asia dietro agli Urali».
Quanto alla rozza plebe della Romania, «farebbe bene a rinunciare nei limiti del possibile ad avere un’industria propria», perché in quel modo «dirigerebbe le ricchezze del suo suolo, e specialmente il grano, verso il mercato tedesco; in cambio riceverebbe da noi i prodotti manifatturati di cui ha bisogno».
Oggi il menù è cambiato, ma la musica no: deindustrializzare il Sud Europa, a cominciare dall’Italia, per fornire al capitalismo tedesco manodopera a basso costo.
L’11 aprile 1942, nell’euforia delle prime folgoranti vittorie, Hitler sintetizza la politica tedesca in questi termini: «Per dominare i popoli che abbiamo sottomessi nei territori a est del Reich, dovremo di conseguenza rispondere nella misura del possibile ai desideri di libertà individuale che essi potranno manifestare, privarli dunque di qualsiasi organizzazione di Stato e mantenerli così a un livello culturale il più basso possibile».
Chiaro, no? «Bisogna partire dal concetto che questi popoli non hanno altro dovere che servirci sul piano economico.
Il nostro sforzo deve dunque consistere nel trarre dai territori che essi occupano tutto quanto se ne può trarre. Per impegnarli a consegnarci i loro prodotti agricoli, a lavorare nelle nostre miniere e nelle nostre fabbriche d’armi, li adescheremo aprendo un po’ dappertutto spacci di vendita nei quali potranno procurarsi i prodotti manifatturati dei quali abbisognano.
Se vogliamo preoccuparci del benessere individuale di ognuno, non otterremo alcun risultato imponendo loro un’organizzazione sul modello della nostra amministrazione.
In tal modo non faremmo che attirarci il loro odio.
Infatti, quanto più gli uomini sono primitivi, tanto più avvertono come una costrizione insopportabile qualsiasi limitazione della loro libertà personale».
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Re: G R E C I A
Prepararsi a un piano B è doveroso per Tsipras e gli consentirebbe di trattare con l'UE a un livello ben diverso.
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Re: G R E C I A
iospero ha scritto:Prepararsi a un piano B è doveroso per Tsipras e gli consentirebbe di trattare con l'UE a un livello ben diverso.
Caro iospero,
la domanda la rivolgo in modo particolare a te, che segui in modo determinato gli sviluppi della vicenda greca con la remota speranza che l'affermazione del governo di sinistra inneschi una nuova stagione politica europea e che possa essere d'esempio all'inesistente sinistra italiana.
Il primo Tg7 delle 07,30, ha presentato come notizia di testa, quindi la più importante, circa le intenzioni dell'Eurogruppo di mettere in difficoltà il governo di Atene. Parte il piano Draghi ma la Grecia è esclusa, perché ritengono insufficienti le misure adottate.
Per gli italiani privi di memoria storica, quella per il calcio è formidabile, la formula di Draghi è la stessa adottata all'inizio del 2012. Denaro alle banche per aiutare famiglie ed imprese. In realtà per salvare nuovamente le banche come allora, per via dell'assenza di un piano organico per il rilancio economico dell'Europa.
La Grecia è di nuovo all'angolo mettendo in pericolo la stabilità dell'Europa.
Tu come la vedi?
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Re: G R E C I A
Grecia, Eurogruppo: “Lista riforme incompleta. Niente aiuti a marzo”
Zonaeuro
In giornata Tsipras aveva telefonato al presidente della Bce Mario Draghi confermando il rispetto per l'indipendenza dell’Eurotower e raccomandandosi che questa non soccomba alle pressioni politiche
di F. Q. | 8 marzo 2015 COMMENTI
La lista di riforme che la Grecia ha inviato all’Ue in vista dell’Eurogruppo di lunedì è “lontana dall’essere completa” e per essere attuata richiederà “tempi lunghi”.
Lo ha detto, secondo quanto riferisce l’agenzia Bloomberg, il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem assicurando che nessuna tranche di aiuti verrà versata ad Atene nel mese di marzo.
La riunione di lunedì a Bruxelles secondo il Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung che cita fonti diplomatiche europee, potrebbe per altro portare all’invio della Troika ad Atene per controllare le capacità di solvibilità, la liquidità disponibile, del governo greco.
Indiscrezione che va di pari passo con quanto scritto dallo stesso Dijsselbloem in una lettera all’esecutivo Tsipras pubblicata dal sito del quotidiano ellenico Ekathimerini.
Nella missiva si legge che l’elenco delle riforme inviata dalla Grecia all’Eurogruppo sarà “di aiuto” per precisare una prima lista di misure da adottare, ma dovrà essere verificata dai rappresentanti dei Paesi creditori e quindi “ulteriormente discussa con le istituzioni”.
In particolare, “nel corso della revisione in corso, le istituzioni dovranno verificare le cose in modo più ampio, per coprire tutte le politiche“, ha aggiunto Dijsselbloem precisando di aver accolto la richiesta che le discussioni con le “istituzioni” si tengano a Bruxelles e non più ad Atene, dove si svolgerà solo il lavoro tecnico in sostegno di questo processo.
Sempre domenica il primo ministro greco Alexis Tsipras ha telefonato al governatore della Bce, Mario Draghi e al presidente francese Francois Hollande.
A Draghi, riferisce ancora Bloomberg citando funzionari del governo di Atene, Tsipras avrebbe in particolare confermato il rispetto per l’indipendenza dell’Eurotower, raccomandandosi che questa non soccomba alle pressioni politiche.
Invece il ministro greco dell’Economia, Yanis Varoufakis, in un colloquio con il Corriere della Sera ha sottolineato come se Bruxelles non accetterà il piano di Atene “potrebbero esserci problemi.
Ma, come mi ha detto il mio primo ministro, non siamo ancora incollati alle poltrone.
Possiamo tornare alle elezioni.
Convocare un referendum” sull’euro. Affermazione per altro smentita a stretto giro.
In una nota il dicastero di Varoufakis ha tenuto a precisare che il ministro non ha mai suggerito che il referendum sarebbe sul futuro della partecipazione della Grecia nell’eurozona: “L’appartenenza della Grecia alla zona della valuta comune europea non è in discussione … ovviamente in caso di un referendum la questione sollevata riguarderebbe l’agenda fiscale e di riforme del governo”.
Nella nota si parla anche di una lunga serie di “interpretazioni sbagliate” di dichiarazioni di Varoufakis da parte di media greci e internazionali e di “distorsioni e speculazioni su un imminente credit event” e il ministero rimprovera “tentativi intenzionali o non intenzionali di minare il positivo progresso dei colloqui fra il governo greco e i suoi partner”.
Nel comunicato, il ministero di Varoufakis sottolineava anche che si sta procedendo senza problemi in base all’accordo raggiunto nell’Eurogruppo dello scorso 20 febbraio e che “la Grecia rispetterà in tempo tutti i suoi obblighi finanziari“.
In base all’accordo del 20 febbraio, Atene ha ottenuto un’estensione di quattro mesi del programma di salvataggio di quattro anni che scadeva il 28 febbraio per assicurare più aiuti da parte dei creditori internazionali e negoziare una soluzione definitiva alla crisi del debito greco.
Stando all’intesa, la Grecia non riceverà assistenza finanziaria fino ad aprile e Varoufakis è sembrato fiducioso sul fatto che la lista finale delle riforme che Atene applicherà in cambio del sostegno dei creditori sarà completata entro aprile.
Le casse dello Stato sono sotto enorme pressione, il che alimenta speculazioni sulla situazione delle banche elleniche nelle prossime settimane.
Stando a un sondaggio pubblicato questo fine settimana da un quotidiano greco, in Grecia sei cittadini su 10 approvano la posizione assunta finora dal governo, mentre tre su 10 non sono contenti.
A febbraio, poco dopo le elezioni, otto cittadini su 10 si dicevano contenti delle politiche del nuovo governo.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03 ... o/1487912/
Zonaeuro
In giornata Tsipras aveva telefonato al presidente della Bce Mario Draghi confermando il rispetto per l'indipendenza dell’Eurotower e raccomandandosi che questa non soccomba alle pressioni politiche
di F. Q. | 8 marzo 2015 COMMENTI
La lista di riforme che la Grecia ha inviato all’Ue in vista dell’Eurogruppo di lunedì è “lontana dall’essere completa” e per essere attuata richiederà “tempi lunghi”.
Lo ha detto, secondo quanto riferisce l’agenzia Bloomberg, il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem assicurando che nessuna tranche di aiuti verrà versata ad Atene nel mese di marzo.
La riunione di lunedì a Bruxelles secondo il Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung che cita fonti diplomatiche europee, potrebbe per altro portare all’invio della Troika ad Atene per controllare le capacità di solvibilità, la liquidità disponibile, del governo greco.
Indiscrezione che va di pari passo con quanto scritto dallo stesso Dijsselbloem in una lettera all’esecutivo Tsipras pubblicata dal sito del quotidiano ellenico Ekathimerini.
Nella missiva si legge che l’elenco delle riforme inviata dalla Grecia all’Eurogruppo sarà “di aiuto” per precisare una prima lista di misure da adottare, ma dovrà essere verificata dai rappresentanti dei Paesi creditori e quindi “ulteriormente discussa con le istituzioni”.
In particolare, “nel corso della revisione in corso, le istituzioni dovranno verificare le cose in modo più ampio, per coprire tutte le politiche“, ha aggiunto Dijsselbloem precisando di aver accolto la richiesta che le discussioni con le “istituzioni” si tengano a Bruxelles e non più ad Atene, dove si svolgerà solo il lavoro tecnico in sostegno di questo processo.
Sempre domenica il primo ministro greco Alexis Tsipras ha telefonato al governatore della Bce, Mario Draghi e al presidente francese Francois Hollande.
A Draghi, riferisce ancora Bloomberg citando funzionari del governo di Atene, Tsipras avrebbe in particolare confermato il rispetto per l’indipendenza dell’Eurotower, raccomandandosi che questa non soccomba alle pressioni politiche.
Invece il ministro greco dell’Economia, Yanis Varoufakis, in un colloquio con il Corriere della Sera ha sottolineato come se Bruxelles non accetterà il piano di Atene “potrebbero esserci problemi.
Ma, come mi ha detto il mio primo ministro, non siamo ancora incollati alle poltrone.
Possiamo tornare alle elezioni.
Convocare un referendum” sull’euro. Affermazione per altro smentita a stretto giro.
In una nota il dicastero di Varoufakis ha tenuto a precisare che il ministro non ha mai suggerito che il referendum sarebbe sul futuro della partecipazione della Grecia nell’eurozona: “L’appartenenza della Grecia alla zona della valuta comune europea non è in discussione … ovviamente in caso di un referendum la questione sollevata riguarderebbe l’agenda fiscale e di riforme del governo”.
Nella nota si parla anche di una lunga serie di “interpretazioni sbagliate” di dichiarazioni di Varoufakis da parte di media greci e internazionali e di “distorsioni e speculazioni su un imminente credit event” e il ministero rimprovera “tentativi intenzionali o non intenzionali di minare il positivo progresso dei colloqui fra il governo greco e i suoi partner”.
Nel comunicato, il ministero di Varoufakis sottolineava anche che si sta procedendo senza problemi in base all’accordo raggiunto nell’Eurogruppo dello scorso 20 febbraio e che “la Grecia rispetterà in tempo tutti i suoi obblighi finanziari“.
In base all’accordo del 20 febbraio, Atene ha ottenuto un’estensione di quattro mesi del programma di salvataggio di quattro anni che scadeva il 28 febbraio per assicurare più aiuti da parte dei creditori internazionali e negoziare una soluzione definitiva alla crisi del debito greco.
Stando all’intesa, la Grecia non riceverà assistenza finanziaria fino ad aprile e Varoufakis è sembrato fiducioso sul fatto che la lista finale delle riforme che Atene applicherà in cambio del sostegno dei creditori sarà completata entro aprile.
Le casse dello Stato sono sotto enorme pressione, il che alimenta speculazioni sulla situazione delle banche elleniche nelle prossime settimane.
Stando a un sondaggio pubblicato questo fine settimana da un quotidiano greco, in Grecia sei cittadini su 10 approvano la posizione assunta finora dal governo, mentre tre su 10 non sono contenti.
A febbraio, poco dopo le elezioni, otto cittadini su 10 si dicevano contenti delle politiche del nuovo governo.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03 ... o/1487912/
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Re: G R E C I A
Ciao camillobensocamillobenso ha scritto:Caro iospero,iospero ha scritto:Prepararsi a un piano B è doveroso per Tsipras e gli consentirebbe di trattare con l'UE a un livello ben diverso.
la domanda la rivolgo in modo particolare a te, che segui in modo determinato gli sviluppi della vicenda greca con la remota speranza che l'affermazione del governo di sinistra inneschi una nuova stagione politica europea e che possa essere d'esempio all'inesistente sinistra italiana.
Il primo Tg7 delle 07,30, ha presentato come notizia di testa, quindi la più importante, circa le intenzioni dell'Eurogruppo di mettere in difficoltà il governo di Atene. Parte il piano Draghi ma la Grecia è esclusa, perché ritengono insufficienti le misure adottate.
Per gli italiani privi di memoria storica, quella per il calcio è formidabile, la formula di Draghi è la stessa adottata all'inizio del 2012. Denaro alle banche per aiutare famiglie ed imprese. In realtà per salvare nuovamente le banche come allora, per via dell'assenza di un piano organico per il rilancio economico dell'Europa.
La Grecia è di nuovo all'angolo mettendo in pericolo la stabilità dell'Europa.
Tu come la vedi?
Come tu scrivi seguo la vicenda greca con la remota speranza che l'affermazione del governo di sinistra inneschi una nuova stagione politica europea e che possa essere d'esempio all'inesistente sinistra italiana
, e la cosa mi sembra del tutto naturale.
Ci troviamo nell'assurda situazione che a parte l'attuale minoranza nell'UE (sommando sia i pro che i contro all'euro) una buona parte dell'attuale maggioranza è contraria all'attuale politica di austerità che ci porta certamente al fallimento, ma tuttavia quando c'è da decidere
se dare la precedenza alla politica rispetto alla finanza ci si arrende di fronte ai ragionieri della Germania.
In questo contesto il ruolo della Francia e dell'Italia potrebbe essere decisivo, attualmente
Tsipras cerca l'appoggio di Hollande non vedendo in Renzi una sponda affidabile.
Infatti Renzi, in questa situazione del tutto favorevole ( euro competitivo, petrolio basso, la politica di Draghi, la caduta del segreto bancario in Svizzera, Lussemb, Vaticano, M.Carlo) si accontenta di una crescita del PIL 0,6-1%, mentre ben altro ci servirebbe per recuperare.
Per fortuna Tsipras si prepara un piano B, nel qual caso la vedo brutta per l'Europa,
e giustamente una deputata renziana del PD questa mattina a Omnibus diceva di essere più preoccupata per la situazione della Grecia che della sinistra del PD, forse sarebbe stato meglio precisare di essere preoccupati per l'Europa.
Ci vorrebbe un colpetto a Renzi sulle riforme per ridimensionarlo , cosa farebbe se domani
fosse in minoranza ?
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Re: G R E C I A
da L'Altra Europa
LE SFIDE (VINTE) DA SYRIZA: FRA MUTUALISMO, RESISTENZA E CONFLITTO
di Giulio Di Donato – 8 Marzo 2015 -
Volgere lo sguardo alle innumerevoli forme di mutualismo sociale realizzate in Grecia da Syriza ci riporta indietro di un secolo, alla fine dell’Ottocento, quando il nascente movimento operaio inventa le società di mutuo soccorso, le leghe di resistenza, le cooperative.
D’altronde, se si è stati ricacciati indietro nel tempo, si dovrà pur ricominciare daccapo. E questo Syriza lo capisce benissimo.
Se la dimensione politica e istituzionale è tenuta sotto sequestro, ed è oramai un terreno scivoloso e di sabbie mobili, c’è da riferirsi alla dimensione sociale come terreno privilegiato d’azione e di intervento. Per restituire alla politica la dignità di strumento utile ad incidere in positivo sulle condizioni materiali di esistenza delle persone, in grado di intrecciarsi nuovamente con i momenti di vita e di sofferenza delle persone.
Syriza ha ben chiaro il contesto in cui va ad operare: quello di una democrazia “sospesa” e in ostaggio. Uno scenario comune tanto alla Grecia quanto all’Italia.
Tutti gli strumenti di cui si era dotato il movimento operaio durante il “secolo breve” per governare e orientare i processi economici, dagli anni ’70 ad oggi sono stati a poco a poco spuntati. Prima la globalizzazione neoliberista, poi il cosiddetto pilota automatico messo in moto dalla tecnocrazia europea hanno svuotato le istituzioni democratiche di poteri e funzioni e immobilizzato la politica in un recinto. Oggi le decisioni economiche si impongono come qualcosa di oggettivo e naturale, di spettanza ad autorità indipendenti per quanto riguarda la politica monetaria, a parametri capziosi per quanto riguarda il bilancio pubblico, alle “virtù” autoregolatorie per i mercati e la finanza, e alla deregulation per i movimenti di capitali e gli scambi di merci e servizi, sulla base di un’unica agenda possibile, alla quale attenersi rigorosamente, ben pochi essendo i margini di manovra ammessi al suo interno.
Se queste sono le condizioni, Syriza non compie l’errore di considerare il momento elettorale e il terreno istituzionale come l’alfa e l’omega del proprio agire politico, ma fa sua una nuova e vincente strategia politica. Riuscendo in un modello che dal sociale, a partire dai bisogni reali delle persone, sale alla politica e non viceversa. Intraprendendo negli anni uno sforzo generoso di radicamento e insediamento sociale, in basso, nei territori, in rapporto con i bisogni delle persone, così intercettando quei pezzi di società in sofferenza prima che finissero preda dell’estrema destra di Alba Dorata. Il successo di Tsipras premia dunque una pratica sociale che si è reinventata su un poderoso movimento di lotta contro le politiche di austerità, e che ha saputo radicarsi nelle esperienze più dolorose e sofferenti del popolo greco attraverso una straordinaria rete di resistenza e di mutuo soccorso. Proprio come fece il movimento operaio alla fine dell’800.
Mutualismo, resistenza, conflitto sono state le parole d’ordine, alle quali si è accompagnata una critica radicale alle politiche di austerità del governo greco e della Troika europea.
Il rischio, diversamente, era quello di restare stretti dentro la tenaglia che soffoca la sinistra nostrana nel suo complesso. Per cui chi sta nelle istituzioni, in questo contesto di democrazia rappresentativa mutilata e inerte, con un centrosinistra tuttora interno al quadro delle compatibilità date, finisce quasi per consumarsi in un’inevitabile impotenza, con tutti i rischi di una deriva burocratica e autoreferenziale. Chi ne sta fuori, salva se stesso e la propria carica antagonista, ma non riesce a trovare un perno che sia leva di trasformazioni significative.
Syriza si afferma perché riesce a riconnettere dimensione politica e dimensione sociale, coltivando quella dialettica positiva fra “lotte nelle piazze” e “lotte nelle istituzioni” per cui si utilizzano e si combinano entrambe nel modo più utile ed efficace possibile allo scopo di modificare i rapporti di forza e di trasformare lo “stato di cose presente”. Gli attivisti della nuova sinistra ellenica vincono perché hanno dimostrato come migliorare le condizioni di vita dei greci prima di aver vinto le elezioni, quando ancora in parlamento contavano poco e niente.
Oggi la Grecia di Tsipras può riuscire nell’impresa di restituire senso alla democrazia. Dopo decenni di marginalità della politica e della sinistra si apre la possibilità di un ritorno attivo dei cittadini sul terreno delle scelte economiche: luogo divenuto inaccessibile alla sovranità popolare visto che mai come oggi le decisioni fondamentali che riguardano l’economia o non arrivano agli organi rappresentativi o se arrivano vi arrivano prese in altra sede, in una sede in cui la stragrande maggioranza dei cittadini non ha alcuna voce in capitolo.
Insomma, la nuova sinistra ellenica è ripartita con successo dalle origini, dalle prime esperienze di organizzazione del movimento operaio. Ora è al governo ed è la prima forza politica greca, e fa sua la sfida di restituire senso alla democrazia, alla politica, alla sinistra.
È dalla Grecia, già culla della civiltà, che oggi sembra emergere una nuova speranza per l’Europa: i primi bagliori di una riscossa dei popoli contro la gabbia dell’austerity e del neoliberismo.
Il resto dell’articolo si trova pubblicato nel nuovo numero di Alternative per socialismo.
LE SFIDE (VINTE) DA SYRIZA: FRA MUTUALISMO, RESISTENZA E CONFLITTO
di Giulio Di Donato – 8 Marzo 2015 -
Volgere lo sguardo alle innumerevoli forme di mutualismo sociale realizzate in Grecia da Syriza ci riporta indietro di un secolo, alla fine dell’Ottocento, quando il nascente movimento operaio inventa le società di mutuo soccorso, le leghe di resistenza, le cooperative.
D’altronde, se si è stati ricacciati indietro nel tempo, si dovrà pur ricominciare daccapo. E questo Syriza lo capisce benissimo.
Se la dimensione politica e istituzionale è tenuta sotto sequestro, ed è oramai un terreno scivoloso e di sabbie mobili, c’è da riferirsi alla dimensione sociale come terreno privilegiato d’azione e di intervento. Per restituire alla politica la dignità di strumento utile ad incidere in positivo sulle condizioni materiali di esistenza delle persone, in grado di intrecciarsi nuovamente con i momenti di vita e di sofferenza delle persone.
Syriza ha ben chiaro il contesto in cui va ad operare: quello di una democrazia “sospesa” e in ostaggio. Uno scenario comune tanto alla Grecia quanto all’Italia.
Tutti gli strumenti di cui si era dotato il movimento operaio durante il “secolo breve” per governare e orientare i processi economici, dagli anni ’70 ad oggi sono stati a poco a poco spuntati. Prima la globalizzazione neoliberista, poi il cosiddetto pilota automatico messo in moto dalla tecnocrazia europea hanno svuotato le istituzioni democratiche di poteri e funzioni e immobilizzato la politica in un recinto. Oggi le decisioni economiche si impongono come qualcosa di oggettivo e naturale, di spettanza ad autorità indipendenti per quanto riguarda la politica monetaria, a parametri capziosi per quanto riguarda il bilancio pubblico, alle “virtù” autoregolatorie per i mercati e la finanza, e alla deregulation per i movimenti di capitali e gli scambi di merci e servizi, sulla base di un’unica agenda possibile, alla quale attenersi rigorosamente, ben pochi essendo i margini di manovra ammessi al suo interno.
Se queste sono le condizioni, Syriza non compie l’errore di considerare il momento elettorale e il terreno istituzionale come l’alfa e l’omega del proprio agire politico, ma fa sua una nuova e vincente strategia politica. Riuscendo in un modello che dal sociale, a partire dai bisogni reali delle persone, sale alla politica e non viceversa. Intraprendendo negli anni uno sforzo generoso di radicamento e insediamento sociale, in basso, nei territori, in rapporto con i bisogni delle persone, così intercettando quei pezzi di società in sofferenza prima che finissero preda dell’estrema destra di Alba Dorata. Il successo di Tsipras premia dunque una pratica sociale che si è reinventata su un poderoso movimento di lotta contro le politiche di austerità, e che ha saputo radicarsi nelle esperienze più dolorose e sofferenti del popolo greco attraverso una straordinaria rete di resistenza e di mutuo soccorso. Proprio come fece il movimento operaio alla fine dell’800.
Mutualismo, resistenza, conflitto sono state le parole d’ordine, alle quali si è accompagnata una critica radicale alle politiche di austerità del governo greco e della Troika europea.
Il rischio, diversamente, era quello di restare stretti dentro la tenaglia che soffoca la sinistra nostrana nel suo complesso. Per cui chi sta nelle istituzioni, in questo contesto di democrazia rappresentativa mutilata e inerte, con un centrosinistra tuttora interno al quadro delle compatibilità date, finisce quasi per consumarsi in un’inevitabile impotenza, con tutti i rischi di una deriva burocratica e autoreferenziale. Chi ne sta fuori, salva se stesso e la propria carica antagonista, ma non riesce a trovare un perno che sia leva di trasformazioni significative.
Syriza si afferma perché riesce a riconnettere dimensione politica e dimensione sociale, coltivando quella dialettica positiva fra “lotte nelle piazze” e “lotte nelle istituzioni” per cui si utilizzano e si combinano entrambe nel modo più utile ed efficace possibile allo scopo di modificare i rapporti di forza e di trasformare lo “stato di cose presente”. Gli attivisti della nuova sinistra ellenica vincono perché hanno dimostrato come migliorare le condizioni di vita dei greci prima di aver vinto le elezioni, quando ancora in parlamento contavano poco e niente.
Oggi la Grecia di Tsipras può riuscire nell’impresa di restituire senso alla democrazia. Dopo decenni di marginalità della politica e della sinistra si apre la possibilità di un ritorno attivo dei cittadini sul terreno delle scelte economiche: luogo divenuto inaccessibile alla sovranità popolare visto che mai come oggi le decisioni fondamentali che riguardano l’economia o non arrivano agli organi rappresentativi o se arrivano vi arrivano prese in altra sede, in una sede in cui la stragrande maggioranza dei cittadini non ha alcuna voce in capitolo.
Insomma, la nuova sinistra ellenica è ripartita con successo dalle origini, dalle prime esperienze di organizzazione del movimento operaio. Ora è al governo ed è la prima forza politica greca, e fa sua la sfida di restituire senso alla democrazia, alla politica, alla sinistra.
È dalla Grecia, già culla della civiltà, che oggi sembra emergere una nuova speranza per l’Europa: i primi bagliori di una riscossa dei popoli contro la gabbia dell’austerity e del neoliberismo.
Il resto dell’articolo si trova pubblicato nel nuovo numero di Alternative per socialismo.
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Re: G R E C I A
Questo, iospero, è il punto di vista di LIBRE associazione di idee. Se anche non lo si vuole condivedere, offre però spunti di riflessione. Basta pensare cosa hanno scritto in materia, Gustavo Zagrebelky e Nadia Urbinati (articoli presenti sul forum).
E Draghi getta la maschera: è il capo dei barbari europei
Scritto il 09/3/15 • nella Categoria: idee
Qualche giorno fa, riflettendo sul caso greco, abbiamo constatato come oggettivamente alcuni figuri abbiano già di fatto abolito la democrazia in alcune nazioni d’Europa. Draghi, Schaeuble e Merkel, per esempio, sul punto sono molto chiari e diretti: «I cittadini non possono cambiare attraverso il voto l’indirizzo politico dei rispettivi governi». Anziché inviare i carri armati a reprimere nel sangue eventuali proteste, Mario Draghi può semplicemente schiavizzare un paese intero minacciando di interrompere la liquidità che tiene in piedi le barcollanti finanze elleniche. Le forme divergono, ma la sostanza non cambia: in Grecia si è instaurata una evidente dittatura. Nessuno può quindi più fare finta di non sapere che un manipolo di oligarchi, capitanati dal “venerabile maestro” Mario Draghi, promuove e realizza nel vecchio continente un golpe strisciante e continuo. Ora, la situazione di fatto appena dipinta si presta ad una lettura bivalente: da un lato la consapevolezza di essere governati da nuovi fuhrer che non possono fermati attraverso libere elezioni incute timore; dall’altro il consolidarsi di un simile equilibrio pone gli odierni torturatori in una posizione scomoda e in prospettiva decisamente pericolosa.
Una cosa è raggirare la pubblica opinione carpendone la fiducia cavalcando l’inganno dello spread e dei sacrifici indispensabili; un’altra è voler sovvertire il risultato delle urne con la forza bruta. Ecco, come dimostra la storia, gli uomini Mario Draghiaffetti da un delirio di onnipotenza che hanno battuto temerariamente la seconda strada sono quasi sempre finiti molto male. L’avere costretto alcuni contro-iniziati a mostrare al mondo il loro vero volto rappresenta perciò il più grande ed insperato successo che potessimo in questa fase sperare di ottenere. Adesso inizia una partita mortale. La posta in gioco non riguarda più il prevalere di una impostazione neoliberista a discapito delle teorie keynesiane, da consumarsi sempre e comunque all’interno di una cornice fondamentalmente ispirata al rispetto dei pilastri che contraddistinguono una democrazia liberale e uno Stato di diritto. La posta in gioco riguarda adesso la salvaguardia delle nostre libertà politiche, sociali, economiche e civili, messe apertamente in discussione da una masnada di barbari antidemocratici.
In estrema sintesi vi sto dicendo che, al di là del merito della trattativa tra Tsipras e la Troika, ora ribattezzata “Istituzioni”, teatrino divenuto oramai stucchevole e irritante, un altro fatto politico importantissimo si è consumato: il velo di Maya che permetteva al “venerabile” Draghi di colpire nell’ombra è finalmente caduto. Da ora in avanti navigheranno tutti in mare aperto e senza salvagente. Arrivati a questo punto è giusto chiedersi: a noi, sinceri democratici e progressisti, cosa conviene? Che Draghi si ammorbidisca, continuando a rispettare le forme per violentare all’infinito la sostanza; o, al contrario, è preferibile sperare in un ulteriore irrigidimento di stampo liberticida messo in bella mostra da parte del nostro nervosetto banchiere centrale? Io vi dico che è molto meglio sperare nella seconda ipotesi. Per farmi capire meglio ricorrerò ad un paragone di tipo Magaldi e Toscanostorico che vale solo a titolo esemplificativo. Mentre la sicumera e l’arroganza condannarono Hitler ad una fine terribile e vergognosa, la prudenza e la temperanza permisero al dittatore spagnolo Francisco Franco di morire nel suo letto.
A chi è andata peggio? Ai tedeschi, che all’indomani di una sanguinosissima guerra mondiale poterono ripartire su basi diversi e migliori, oppure agli spagnoli, i quali dovettero vivere sotto il regime di uno spregevole individuo fino al 1975? Ecco, per noi oggi si profila lo stesso bivio. Se i nazisti tecnocratici al comando dovessero spingere sull’acceleratore ubriacati da una provvidenziale sindrome di imbattibilità ci farebbero un grosso favore. In caso contrario, nel caso in cui cioè i padroni recuperassero un rispetto solo epidermico per i riti della democrazia, l’Europa andrebbe invece probabilmente incontro ad una lenta ed inesorabile agonia che potrebbe in astratto durare decenni. Non disperiamoci quindi nel notare come gli orchi riescano ad affondare il coltello nella carne viva delle vittime. Trasformeremo l’odio provocato da alcune crudeli condotte in balsamo di liberazione e di futura implacabile giustizia.
E Draghi getta la maschera: è il capo dei barbari europei
Scritto il 09/3/15 • nella Categoria: idee
Qualche giorno fa, riflettendo sul caso greco, abbiamo constatato come oggettivamente alcuni figuri abbiano già di fatto abolito la democrazia in alcune nazioni d’Europa. Draghi, Schaeuble e Merkel, per esempio, sul punto sono molto chiari e diretti: «I cittadini non possono cambiare attraverso il voto l’indirizzo politico dei rispettivi governi». Anziché inviare i carri armati a reprimere nel sangue eventuali proteste, Mario Draghi può semplicemente schiavizzare un paese intero minacciando di interrompere la liquidità che tiene in piedi le barcollanti finanze elleniche. Le forme divergono, ma la sostanza non cambia: in Grecia si è instaurata una evidente dittatura. Nessuno può quindi più fare finta di non sapere che un manipolo di oligarchi, capitanati dal “venerabile maestro” Mario Draghi, promuove e realizza nel vecchio continente un golpe strisciante e continuo. Ora, la situazione di fatto appena dipinta si presta ad una lettura bivalente: da un lato la consapevolezza di essere governati da nuovi fuhrer che non possono fermati attraverso libere elezioni incute timore; dall’altro il consolidarsi di un simile equilibrio pone gli odierni torturatori in una posizione scomoda e in prospettiva decisamente pericolosa.
Una cosa è raggirare la pubblica opinione carpendone la fiducia cavalcando l’inganno dello spread e dei sacrifici indispensabili; un’altra è voler sovvertire il risultato delle urne con la forza bruta. Ecco, come dimostra la storia, gli uomini Mario Draghiaffetti da un delirio di onnipotenza che hanno battuto temerariamente la seconda strada sono quasi sempre finiti molto male. L’avere costretto alcuni contro-iniziati a mostrare al mondo il loro vero volto rappresenta perciò il più grande ed insperato successo che potessimo in questa fase sperare di ottenere. Adesso inizia una partita mortale. La posta in gioco non riguarda più il prevalere di una impostazione neoliberista a discapito delle teorie keynesiane, da consumarsi sempre e comunque all’interno di una cornice fondamentalmente ispirata al rispetto dei pilastri che contraddistinguono una democrazia liberale e uno Stato di diritto. La posta in gioco riguarda adesso la salvaguardia delle nostre libertà politiche, sociali, economiche e civili, messe apertamente in discussione da una masnada di barbari antidemocratici.
In estrema sintesi vi sto dicendo che, al di là del merito della trattativa tra Tsipras e la Troika, ora ribattezzata “Istituzioni”, teatrino divenuto oramai stucchevole e irritante, un altro fatto politico importantissimo si è consumato: il velo di Maya che permetteva al “venerabile” Draghi di colpire nell’ombra è finalmente caduto. Da ora in avanti navigheranno tutti in mare aperto e senza salvagente. Arrivati a questo punto è giusto chiedersi: a noi, sinceri democratici e progressisti, cosa conviene? Che Draghi si ammorbidisca, continuando a rispettare le forme per violentare all’infinito la sostanza; o, al contrario, è preferibile sperare in un ulteriore irrigidimento di stampo liberticida messo in bella mostra da parte del nostro nervosetto banchiere centrale? Io vi dico che è molto meglio sperare nella seconda ipotesi. Per farmi capire meglio ricorrerò ad un paragone di tipo Magaldi e Toscanostorico che vale solo a titolo esemplificativo. Mentre la sicumera e l’arroganza condannarono Hitler ad una fine terribile e vergognosa, la prudenza e la temperanza permisero al dittatore spagnolo Francisco Franco di morire nel suo letto.
A chi è andata peggio? Ai tedeschi, che all’indomani di una sanguinosissima guerra mondiale poterono ripartire su basi diversi e migliori, oppure agli spagnoli, i quali dovettero vivere sotto il regime di uno spregevole individuo fino al 1975? Ecco, per noi oggi si profila lo stesso bivio. Se i nazisti tecnocratici al comando dovessero spingere sull’acceleratore ubriacati da una provvidenziale sindrome di imbattibilità ci farebbero un grosso favore. In caso contrario, nel caso in cui cioè i padroni recuperassero un rispetto solo epidermico per i riti della democrazia, l’Europa andrebbe invece probabilmente incontro ad una lenta ed inesorabile agonia che potrebbe in astratto durare decenni. Non disperiamoci quindi nel notare come gli orchi riescano ad affondare il coltello nella carne viva delle vittime. Trasformeremo l’odio provocato da alcune crudeli condotte in balsamo di liberazione e di futura implacabile giustizia.
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