quo vadis PD ????
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Re: quo vadis PD ????
Senza intelligenza politica: perché non capiscono che oggi già non contano nulla e domani, a riforma approvata, conteranno ancora meno.
Maurizio Viroli
Ci vuole pochissima intelligenza politica a capire cosa sta succedendo. Che si stanno suicidando politicamente, che verranno messi a tacere man mano che il tempo passa e Renzi acquista potere.
La sinistra entra in agonia quando muore Enrico Berlinguer. Un’agonia durata 31 anni. E per il futuro non si vede niente. Nessuna prospettiva.
Maurizio Viroli
Ci vuole pochissima intelligenza politica a capire cosa sta succedendo. Che si stanno suicidando politicamente, che verranno messi a tacere man mano che il tempo passa e Renzi acquista potere.
La sinistra entra in agonia quando muore Enrico Berlinguer. Un’agonia durata 31 anni. E per il futuro non si vede niente. Nessuna prospettiva.
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Re: quo vadis PD ????
“Domani, mi dici sempre che vivrai domani, Postumo. Ma dimmi, questo domani, quando arriva? Dov’è questo domani? È lontano? Dove si trova?”
Marziale, Epigrammi
il Fatto 11.3.15
Gli oppositori di domani dicono ancora “Sì”
I democratici promettono grande battaglia, ma dalla prossima volta
I forzisti vorrebbero votare le loro “riforme”, ma poi non lo fanno
di Fabrizio d’Esposito
“Domani, mi dici sempre che vivrai domani, Postumo. Ma dimmi, questo domani, quando arriva? Dov’è questo domani? È lontano? Dove si trova? ”
Marziale, Epigrammi
Il mio no è più forte del tuo no. Il mio sì non è uguale al tuo sì. Il solito marziano di Ennio Flaiano atterrato ieri a Montecitorio avrebbe riso a crepapelle della folle farsa consumata sulla legge più alta e nobile della nostra Repubblica, la Costituzione.
Cinquanta sfumature di sì e di no, tra Pd e Forza Italia. Su un divanetto, nella galleria dei fumatori, il centrista casiniano Ferdinando Adornato se la ride come il marziano di Flaiano: “Ormai siamo al dissenso futuro anteriore”. È come nell’epigramma di Marziale dedicato a Postumo: “Mi dici sempre che vivrai domani, Postumo”.
IL PRIMO POSTUMO bersaniano che si alza in piedi è Alfredo D’Attorre, che per l’occasione ha sistemato il ciuffo della sua chioma gramsciana. Il Postumo bersaniano è di un’assertività gelida, non ammette repliche, al punto che in dodici righe di resoconto parlamentare la parola responsabilità compare venti volte, un record: “Voglio anch’io illustrare le ragioni per le quali oggi esprimerò un voto favorevole che è legato alla responsabilità che avverto di non interrompere il processo riformatore.
Se questa posizione sarà riconfermata nelle prossime settimane, a partire dal passaggio della legge elettorale qui alla Camera, io non mi sentirò di assicurare più il mio sostegno e la mia condivisione a questo percorso di riforma”.
Una volta era: non si interrompe un’emozione. Adesso è: non si interrompe un processo riformatore.
Ecco. Ecco allora il punto dove l’asino precipita, non casca, e il comune mortale, non solo il marziano, impazzisce.
D’Attorre, antirenziano forgiato con l’acciaio sovietico, annuncia che voterà contro, ma solo la prossima volta. Non ora, non qui.
La stessa cosa Rosy Bindi, che bersaniana non è, è Rosy Bindi e basta, e fa anche lei la parte della Postuma, prima dell’intervento di D’Attorre: “Io oggi dimostrerò con il mio voto favorevole che non intendo fermare il processo riformatore ma, se il governo resterà fedele alle parole del presidente del Consiglio e non verrà modificata la legge elettorale né verranno apportati miglioramenti a questo testo, nelle votazioni successive io non voterò a favore”.
Le comiche della sinistra dem sono più o meno tutte di questo tenore e sono sublimate nella parte finale di un documento di 24 deputati: “Nel caso in cui il governo rifiutasse di riaprire il confronto sulle ipotesi di miglioramento avanzate da più parti su riforme e Italicum, ciascuno si assumerà le proprie responsabilità.
Da parte nostra ci riserviamo fin d’ora la nostra autonomia di giudizio e di azione”.
È una storia che parte dalla scorsa estate, quando le riforme sono approdate al Senato.
Già allora gli scaltrissimi bersaniani andavano rassicurando cronisti e colleghi: “State tranquilli, adesso la prima lettura passa ma la nostra battaglia è sull’Italicum”.
E così di volta in volta. “L’Italicum passa? Nessun problema, vedrete quelle che combineremo sulle riforme alla Camera”.
DINANZI A QUESTA farsa, Pippo Civati (che non ha partecipato al voto insieme a Boccia, Fassina) non ce l’ha fatta più e sul suo blog ha ratificato filosoficamente:
“La cosiddetta minoranza non fa altro che alzare palloni alla maggioranza e al premier che li schiaccia (i palloni e non solo). La battaglia da affrontare è sempre la prossima: così è stato sul Jobs Act, così nei vari passaggi delle riforme. Così sarà sull’Italicum, ma poi magari si vota a favore anche su quello”.
Civati svela anche il bluff di minacciare la “prossima volta”: questa riforma, allo stato, non è più modificabile. Quindi, di che cosa stiamo parlando?
Sostituite il sì alle riforme con il no e avrete le stesse scene, solo un po’ più movimentate, nel campo berlusconiano.
I verdiniani di Denis Verdini, lo sherpa forzista del patto del Nazareno, avevano promesso l’Apocalisse.
Invece l’ex Cavaliere ha convinto “Denis”, durante una telefonata, con la mozione degli affetti e i nazareni verdiniani hanno votato no partorendo però un documento con 17 firme contro Berlusconi e anche Brunetta, il capogruppo.
A quel punto i ribelli di Raffaele Fitto hanno sentito il bisogno impellente di differenziare il loro no da quello dei verdiniani.
Ecco Daniele Capezzone: “Il no di tanti di noi non nasce oggi, non nasce nelle ultime ore”.
Ed ecco uno strepitoso Maurizio Bianconi, che è ingiusto ridurre a semplice fittiano: “Il no del gruppo non è il mio no ed è un no, quello del gruppo, che sarà forse transitorio e strumentale”.
Per la cronaca, a beneficio di marziani e comuni mortali.
Nel Pd nessuno ha votato contro.
In Forza Italia, un solo sì, quello di Gianfranco Rotondi. E questo è tutto.
Marziale, Epigrammi
il Fatto 11.3.15
Gli oppositori di domani dicono ancora “Sì”
I democratici promettono grande battaglia, ma dalla prossima volta
I forzisti vorrebbero votare le loro “riforme”, ma poi non lo fanno
di Fabrizio d’Esposito
“Domani, mi dici sempre che vivrai domani, Postumo. Ma dimmi, questo domani, quando arriva? Dov’è questo domani? È lontano? Dove si trova? ”
Marziale, Epigrammi
Il mio no è più forte del tuo no. Il mio sì non è uguale al tuo sì. Il solito marziano di Ennio Flaiano atterrato ieri a Montecitorio avrebbe riso a crepapelle della folle farsa consumata sulla legge più alta e nobile della nostra Repubblica, la Costituzione.
Cinquanta sfumature di sì e di no, tra Pd e Forza Italia. Su un divanetto, nella galleria dei fumatori, il centrista casiniano Ferdinando Adornato se la ride come il marziano di Flaiano: “Ormai siamo al dissenso futuro anteriore”. È come nell’epigramma di Marziale dedicato a Postumo: “Mi dici sempre che vivrai domani, Postumo”.
IL PRIMO POSTUMO bersaniano che si alza in piedi è Alfredo D’Attorre, che per l’occasione ha sistemato il ciuffo della sua chioma gramsciana. Il Postumo bersaniano è di un’assertività gelida, non ammette repliche, al punto che in dodici righe di resoconto parlamentare la parola responsabilità compare venti volte, un record: “Voglio anch’io illustrare le ragioni per le quali oggi esprimerò un voto favorevole che è legato alla responsabilità che avverto di non interrompere il processo riformatore.
Se questa posizione sarà riconfermata nelle prossime settimane, a partire dal passaggio della legge elettorale qui alla Camera, io non mi sentirò di assicurare più il mio sostegno e la mia condivisione a questo percorso di riforma”.
Una volta era: non si interrompe un’emozione. Adesso è: non si interrompe un processo riformatore.
Ecco. Ecco allora il punto dove l’asino precipita, non casca, e il comune mortale, non solo il marziano, impazzisce.
D’Attorre, antirenziano forgiato con l’acciaio sovietico, annuncia che voterà contro, ma solo la prossima volta. Non ora, non qui.
La stessa cosa Rosy Bindi, che bersaniana non è, è Rosy Bindi e basta, e fa anche lei la parte della Postuma, prima dell’intervento di D’Attorre: “Io oggi dimostrerò con il mio voto favorevole che non intendo fermare il processo riformatore ma, se il governo resterà fedele alle parole del presidente del Consiglio e non verrà modificata la legge elettorale né verranno apportati miglioramenti a questo testo, nelle votazioni successive io non voterò a favore”.
Le comiche della sinistra dem sono più o meno tutte di questo tenore e sono sublimate nella parte finale di un documento di 24 deputati: “Nel caso in cui il governo rifiutasse di riaprire il confronto sulle ipotesi di miglioramento avanzate da più parti su riforme e Italicum, ciascuno si assumerà le proprie responsabilità.
Da parte nostra ci riserviamo fin d’ora la nostra autonomia di giudizio e di azione”.
È una storia che parte dalla scorsa estate, quando le riforme sono approdate al Senato.
Già allora gli scaltrissimi bersaniani andavano rassicurando cronisti e colleghi: “State tranquilli, adesso la prima lettura passa ma la nostra battaglia è sull’Italicum”.
E così di volta in volta. “L’Italicum passa? Nessun problema, vedrete quelle che combineremo sulle riforme alla Camera”.
DINANZI A QUESTA farsa, Pippo Civati (che non ha partecipato al voto insieme a Boccia, Fassina) non ce l’ha fatta più e sul suo blog ha ratificato filosoficamente:
“La cosiddetta minoranza non fa altro che alzare palloni alla maggioranza e al premier che li schiaccia (i palloni e non solo). La battaglia da affrontare è sempre la prossima: così è stato sul Jobs Act, così nei vari passaggi delle riforme. Così sarà sull’Italicum, ma poi magari si vota a favore anche su quello”.
Civati svela anche il bluff di minacciare la “prossima volta”: questa riforma, allo stato, non è più modificabile. Quindi, di che cosa stiamo parlando?
Sostituite il sì alle riforme con il no e avrete le stesse scene, solo un po’ più movimentate, nel campo berlusconiano.
I verdiniani di Denis Verdini, lo sherpa forzista del patto del Nazareno, avevano promesso l’Apocalisse.
Invece l’ex Cavaliere ha convinto “Denis”, durante una telefonata, con la mozione degli affetti e i nazareni verdiniani hanno votato no partorendo però un documento con 17 firme contro Berlusconi e anche Brunetta, il capogruppo.
A quel punto i ribelli di Raffaele Fitto hanno sentito il bisogno impellente di differenziare il loro no da quello dei verdiniani.
Ecco Daniele Capezzone: “Il no di tanti di noi non nasce oggi, non nasce nelle ultime ore”.
Ed ecco uno strepitoso Maurizio Bianconi, che è ingiusto ridurre a semplice fittiano: “Il no del gruppo non è il mio no ed è un no, quello del gruppo, che sarà forse transitorio e strumentale”.
Per la cronaca, a beneficio di marziani e comuni mortali.
Nel Pd nessuno ha votato contro.
In Forza Italia, un solo sì, quello di Gianfranco Rotondi. E questo è tutto.
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Re: quo vadis PD ????
Si propone pure per essere eletto "governatore della Regione".iafran ha scritto:Per Emiliano politico le prove non saranno mai abbastanza per giudicare l'ex cavaliere per quello che ha pensato, fatto e strafatto ... anche per mettere il bavaglio alla Magistratura.
Sarà votato da chi avrà forte interesse personale, di sicuro dai moderni "vassalli" ed dai nuovi "valvassori", che vorranno sedere alla sua tavola.
I "cittadini liberi" non andranno certamente a votare un loro vessatore: se vessazioni dovranno subire che almeno siano fatte senza il loro consenso.
Questa mi sembra che sia la sola differenza con il feudalesimo classico. Ma, con un Senato di nominati diretti e con una Camera di altri futuri vassalli, il feudalesimo sarà, fra non molto, ripristinato in Italia ... in modo legale.
Non poteva mantenersi "la politica dei due forni" quando i maggiorenti della sinistra sono convenuti e convengono a riconoscere solennemente "la caduta delle ideologie", abbracciando la filosofia pratica, seducente ed unitaria del "diamoci da fare, arraffiamo più che possiamo" e di "sfruttare l'onda o il momento".
Le elezioni (anche con pochi votanti) rimangono, allora, l'unica forma democratica per figurare nelle democrazie occidentali ... tutto il resto è lasciato alla libera volontà dei gestori del potere.
Lo ha capito l'ex cavaliere, il boy scout fiorentino, l'onorevole svizzero-abruzzese, l'ex sindaco di Bari, i tanti delle realtà periferiche che si danno alla politica in FI.2, in NCD, nel PD ... lo hanno capito anche quelli del M5S, che lo hanno denunciato apertamente.
Io spero, comunque, nell'Altra Europa, sostenuta da un'Altra Italia.
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Re: quo vadis PD ????
Ha scritto su IFQ Maurizio Viroli, due giorni fa su IFQ, sulla sinistra cimiteriale dem:
Senza intelligenza politica: perché non capiscono che oggi già non contano nulla e domani, a riforma approvata, conteranno ancora meno.
Una valutazione che condivido perché è palese da più di un anno. Da quando Pittibimbo ha smesso di giocare con i Lego a Firenze ed è stato catapultato sulla scena politica degli adulti.
Cosa comporta per l’intera sinistra italiana se la sinistra cimiteriale dem venisse colta da un improvviso sussulto di orgoglio e si staccasse dal ducetto rignanese??? Ammesso che quanto scrive Giovanna Casadio sua vera?
Repubblica 12.3.15
Scontro nel Pd, torna lo spettro scissione
Cuperlo: “Sulle riforme unità a rischio, Renzi rifletta”. Bersani: “Battaglia di poltrone? La mia può darla a Verdini” Ma la Boschi chiude: “Con le loro proposte indietro di 20 anni”. Minoranza spaccata, in bilico la convention
di Giovanna Casadio
ROMA «Dopo un po’ la corda si spezza... ». La sinistra dem è vicina al punto di non ritorno.
In dissenso su tutto - sulle riforme istituzionali di Renzi, sulle sue politiche per il lavoro, sulla gestione del partito - agita lo spettro della scissione.
La minaccia Gianni Cuperlo, mentre finora solo Pippo Civati aveva ammesso di essere tentato di mollare il Pd, e in Liguria i civatiani già alle regionali correranno da soli con Sel.
Ma dopo la chiusura sull’Italicum di Renzi, sordo all’aut aut di Bersani, è Cuperlo ieri ad avvertire: «Se dalle riforme dovesse uscire un modello di democrazia che confligge con le convinzioni della sinistra, a rischio è l’unità e la tenuta del Pd, spero che Renzi rifletta su questo». E insiste: «Ci pensi il presidente del Consiglio, prima che sia troppo tardi...».
Però solo Civati è disposto a dargli ragione. Bersani non ci sta. Scuote la testa l’ex segretario in Transatlantico a Montecitorio quando i cronisti gli chiedono se nel futuro della minoranza dem c’è la scissione: «Il Pd è casa mia, è casa nostra, no a scissioni però è vero che c’è un enorme disagio. Spetta a Renzi, che è il segretario, tenere conto della sensibilità di tutti».
Tanto forte è il disagio da diventare irritazione, soprattutto davanti alla rappresentazione degli anti renziani legati alle poltrone.
Allora Bersani contrattacca: «La mia poltrona Renzi può darla a Verdini, mi ha ferito leggere alcuni commentatori per i quali questa nostra posizione sulle riforme sarebbe legata alle poltrone».
Il PdR - il Pd di Renzi - è in fibrillazione.
E il premier non sembra volere ricucire, né arretrare. Reagisce alla minaccia di scissione e si sfoga: «Posizioni pretestuose».
E la ministra Maria Elena Boschi liquida le richieste della sinistra dem: «Con le proposte di modifica della legge elettorale avanzate dalla minoranza del Pd faremmo un salto indietro di 20 anni.
Ora mi aspetto lealtà. Comunque non decidiamo io e Renzi se cambia, ma gli organismi del partito».
Nessuna apertura quindi, bensì la convinzione che i numeri in Parlamento per mandare avanti le riforme il governo li ha. «Forza Italia potrebbe di nuovo cambiare idea e tornare a votare le riforme», è la previsione della ministra.
Del resto il fronte degli anti renziani è spaccato.
La convention del 21 marzo a Roma che dovrebbe riunire le diverse correnti della minoranza dem - da “Area riformista” di Roberto Speranza a Rosy Bindi, a Cuperlo e Civati - potrebbe saltare.
Forse sarà rinviata. Scettici sulla partecipazione sono Civati e Cuperlo. E anche un “dialogante” come Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera, che ha trattato sul Jobs Act, riflette: «Non so se ci sono le condizioni ora per la riunione di tutte le minoranze... Non si può parlare così di scissione, io dico sì ai provvedimenti di volta in volta senza ultimatum».
Sabato Damiano, Bersani, Speranza, Martina, Stumpo saranno a Bologna all’assemblea di “Area riformista” per lanciare proposte politiche a cominciare dal reddito di cittadinanza e dal rilancio del Mezzogiorno. «Per quanto mi riguarda - osserva Speranza - la parola scissione non fa parte del vocabolario del Pd».
Gli fa eco Dario Ginefra: «Non c’è alcuna scissione all’orizzonte».
La «fuga in avanti» di Cuperlo solleva polemiche e accentua le divisioni.
Massimo D’Alema evita il dibattito sulla scissione («Non so, mi occupo del merito delle questioni»), però boccia senza appello le riforme istituzionali:
«Sono preoccupato per il futuro della democrazia, sono fatte male e per correggere i capilista bloccati nella legge elettorale basterebbero tre righe.
Meglio il Mattarellum, che fu una grande riforma». La prova del nove del referendum poi, sulla riforma costituzionale la giudica una «non soluzione, ma una finzione».
Boschi replica: «Mi dispiace che proprio D’Alema non rispetti la Costituzione visto che il referendum confermativo è previsto dall’articolo 138».
Senza intelligenza politica: perché non capiscono che oggi già non contano nulla e domani, a riforma approvata, conteranno ancora meno.
Una valutazione che condivido perché è palese da più di un anno. Da quando Pittibimbo ha smesso di giocare con i Lego a Firenze ed è stato catapultato sulla scena politica degli adulti.
Cosa comporta per l’intera sinistra italiana se la sinistra cimiteriale dem venisse colta da un improvviso sussulto di orgoglio e si staccasse dal ducetto rignanese??? Ammesso che quanto scrive Giovanna Casadio sua vera?
Repubblica 12.3.15
Scontro nel Pd, torna lo spettro scissione
Cuperlo: “Sulle riforme unità a rischio, Renzi rifletta”. Bersani: “Battaglia di poltrone? La mia può darla a Verdini” Ma la Boschi chiude: “Con le loro proposte indietro di 20 anni”. Minoranza spaccata, in bilico la convention
di Giovanna Casadio
ROMA «Dopo un po’ la corda si spezza... ». La sinistra dem è vicina al punto di non ritorno.
In dissenso su tutto - sulle riforme istituzionali di Renzi, sulle sue politiche per il lavoro, sulla gestione del partito - agita lo spettro della scissione.
La minaccia Gianni Cuperlo, mentre finora solo Pippo Civati aveva ammesso di essere tentato di mollare il Pd, e in Liguria i civatiani già alle regionali correranno da soli con Sel.
Ma dopo la chiusura sull’Italicum di Renzi, sordo all’aut aut di Bersani, è Cuperlo ieri ad avvertire: «Se dalle riforme dovesse uscire un modello di democrazia che confligge con le convinzioni della sinistra, a rischio è l’unità e la tenuta del Pd, spero che Renzi rifletta su questo». E insiste: «Ci pensi il presidente del Consiglio, prima che sia troppo tardi...».
Però solo Civati è disposto a dargli ragione. Bersani non ci sta. Scuote la testa l’ex segretario in Transatlantico a Montecitorio quando i cronisti gli chiedono se nel futuro della minoranza dem c’è la scissione: «Il Pd è casa mia, è casa nostra, no a scissioni però è vero che c’è un enorme disagio. Spetta a Renzi, che è il segretario, tenere conto della sensibilità di tutti».
Tanto forte è il disagio da diventare irritazione, soprattutto davanti alla rappresentazione degli anti renziani legati alle poltrone.
Allora Bersani contrattacca: «La mia poltrona Renzi può darla a Verdini, mi ha ferito leggere alcuni commentatori per i quali questa nostra posizione sulle riforme sarebbe legata alle poltrone».
Il PdR - il Pd di Renzi - è in fibrillazione.
E il premier non sembra volere ricucire, né arretrare. Reagisce alla minaccia di scissione e si sfoga: «Posizioni pretestuose».
E la ministra Maria Elena Boschi liquida le richieste della sinistra dem: «Con le proposte di modifica della legge elettorale avanzate dalla minoranza del Pd faremmo un salto indietro di 20 anni.
Ora mi aspetto lealtà. Comunque non decidiamo io e Renzi se cambia, ma gli organismi del partito».
Nessuna apertura quindi, bensì la convinzione che i numeri in Parlamento per mandare avanti le riforme il governo li ha. «Forza Italia potrebbe di nuovo cambiare idea e tornare a votare le riforme», è la previsione della ministra.
Del resto il fronte degli anti renziani è spaccato.
La convention del 21 marzo a Roma che dovrebbe riunire le diverse correnti della minoranza dem - da “Area riformista” di Roberto Speranza a Rosy Bindi, a Cuperlo e Civati - potrebbe saltare.
Forse sarà rinviata. Scettici sulla partecipazione sono Civati e Cuperlo. E anche un “dialogante” come Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera, che ha trattato sul Jobs Act, riflette: «Non so se ci sono le condizioni ora per la riunione di tutte le minoranze... Non si può parlare così di scissione, io dico sì ai provvedimenti di volta in volta senza ultimatum».
Sabato Damiano, Bersani, Speranza, Martina, Stumpo saranno a Bologna all’assemblea di “Area riformista” per lanciare proposte politiche a cominciare dal reddito di cittadinanza e dal rilancio del Mezzogiorno. «Per quanto mi riguarda - osserva Speranza - la parola scissione non fa parte del vocabolario del Pd».
Gli fa eco Dario Ginefra: «Non c’è alcuna scissione all’orizzonte».
La «fuga in avanti» di Cuperlo solleva polemiche e accentua le divisioni.
Massimo D’Alema evita il dibattito sulla scissione («Non so, mi occupo del merito delle questioni»), però boccia senza appello le riforme istituzionali:
«Sono preoccupato per il futuro della democrazia, sono fatte male e per correggere i capilista bloccati nella legge elettorale basterebbero tre righe.
Meglio il Mattarellum, che fu una grande riforma». La prova del nove del referendum poi, sulla riforma costituzionale la giudica una «non soluzione, ma una finzione».
Boschi replica: «Mi dispiace che proprio D’Alema non rispetti la Costituzione visto che il referendum confermativo è previsto dall’articolo 138».
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Re: quo vadis PD ????
La Marcia su Roma degli anni 2000 si fa così. Solo alcuni costituzionalisti si sono accorti del danno prodotto, ma per l'italietta va bene così.
Repubblica 12.3.15
I rischi del nuovo Senato
di Alessandro Pace
CON il voto favorevole della Camera dei deputati sugli articoli relativi alla composizione e alla modalità di elezione del Senato contenuti nel disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi (di seguito d.d.l.), il destino della seconda camera sembrerebbe bell’e segnato. La Camera, su quei due punti, non si è infatti discostata da quanto approvato dal Senato in prima lettura. E quindi il Senato, a questo punto, potrebbe nuovamente modificare solo gli articoli nei quali la Camera si era, a sua volta, discostata dal Senato. Le leggi di revisione costituzionale sono infatti adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni, sull’identico testo, a distanza non minore di tre mesi.
Pertanto, a meno che il d.d.l. Renzi-Boschi non incontri imprevisti ostacoli politici, come ebbe inopinatamente ad incontrarli nel 2013 il d.d.l. Letta, l’unica via praticabile per ridare legittimità al Senato è quella, futura, di sottoporre alla Corte costituzionale la decisione circa la legittimità costituzionale dell’articolo 57 della (eventuale) legge costituzionale Renzi-Boschi, in considerazione del grave vizio di costituzionalità di escludere i cittadini dall’elezione dei senatori, nonostante «il voto (…) costituisc(a) il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare», come ha sottolineato la Corte costituzionale nella sentenza n. 1/2014 sul Porcellum. Un principio desumibile dall’articolo 1 della nostra Costituzione, che pacificamente costituisce uno dei “principi costituzionali supremi” che nemmeno una legge di revisione può modificare.
Per cui, quando un giudice, a riforma costituzionale avvenuta, si trovasse a dover applicare una legge approvata anche dal Senato, potrebbe sollevare dinanzi alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità di tale legge perché votata, oltre che dalla Camera, da un Senato eletto da soggetti (i consiglieri regionali e provinciali) che, secondo la Costituzione, non avrebbero il potere di farlo.
Infatti, mentre è discutibile l’attribuzione al Presidente della Repubblica della nomina per soli sette anni di cinque senatori che abbiano «illustrato la Patria per altissimi meriti» (i senatori “del” Presidente?), l’elezione dei restanti 95 senatori è ancor più discutibile: 1) perché la funzione di revisione costituzionale e la funzione legislativa verrebbero esercitate da soggetti non eletti dal popolo e quindi non responsabili nei confronti del popolo; 2) perché è scandaloso il poco tempo dedicato alle funzioni senatoriali da parte di soggetti che dovrebbero svolgere anche le funzioni di consigliere o sindaco; 3) perché è stato inopportuno “promuovere” i consigli regionali e provinciali a collegi elettorali dopo gli scandali che anche di recente hanno caratterizzato i consigli regionali.
È quindi difficile comprendere la ratio di questa scelta, a meno di non pensar male, e di ritenere che, anche sotto questo profilo, Renzi, in quanto segretario del Pd, abbia voluto riservarsi un potere d’influenza sulle segreterie locali e sulle candidature, che egli non avrebbe avuto qualora fossero stati i cittadini ad eleggere i senatori.
Ed è difficile comprenderne la ratio , anche perché l’esperienza sia tedesca che francese, talvolta richiamata a sproposito, non può essere portata ad esempio. Non l’esperienza tedesca del Bundesrat per la semplice ragione che, come già da me ricordato su queste pagine il 18 novembre, gli ordinamenti federali succedutisi dal 1871 in poi — con la parentesi del nazismo — non hanno mai cancellato le preesistenti identità storico-istituzionali come invece fece il Regno d’Italia con l’unificazione amministrativa del 1865. I Länder non sono quindi i Grandi elettori eletti dai cittadini tedeschi a tal fine, ma sono componenti del Bundesrat e, in quanto tali, sono titolari di diritti “propri” esercitati dai rispettivi governi che hanno a disposizione da un minimo di 3 ad un massimo di 6 voti per ogni deliberazione.
Né può richiamarsi l’esperienza dell’elezione “indiretta” del Senato francese, per tre diverse ragioni. In primo luogo, perché l’elezione del Senato italiano non sarebbe “indiretta” da parte del popolo, perché i Consigli regionali continuerebbero ad essere eletti per svolgere le normali competenze legislative e di controllo loro spettanti, e non allo specifico scopo di eleggere i senatori, come se fossero dei Grandi elettori. La seconda ragione è che, mentre l’art. 2 della Costituzione francese statuisce che il suffragio elettorale può essere anche “indiretto”, ciò non è previsto dalla nostra Costituzione.
Infine, mentre le elezioni senatoriali francesi sono “vere” elezioni che coinvolgono circa 150.000 Grandi elettori nella persona di deputati, consiglieri regionali, consiglieri generali e delegati dei consiglieri municipali, in Italia i consiglieri regionali e provinciali — che, lo ribadisco, non sarebbero Grandi elettori — sarebbero poco più di mille in 21 sezioni elettorali di poche decine di persone: sarebbero designazioni tra colleghi, non elezioni serie.
Repubblica 12.3.15
I rischi del nuovo Senato
di Alessandro Pace
CON il voto favorevole della Camera dei deputati sugli articoli relativi alla composizione e alla modalità di elezione del Senato contenuti nel disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi (di seguito d.d.l.), il destino della seconda camera sembrerebbe bell’e segnato. La Camera, su quei due punti, non si è infatti discostata da quanto approvato dal Senato in prima lettura. E quindi il Senato, a questo punto, potrebbe nuovamente modificare solo gli articoli nei quali la Camera si era, a sua volta, discostata dal Senato. Le leggi di revisione costituzionale sono infatti adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni, sull’identico testo, a distanza non minore di tre mesi.
Pertanto, a meno che il d.d.l. Renzi-Boschi non incontri imprevisti ostacoli politici, come ebbe inopinatamente ad incontrarli nel 2013 il d.d.l. Letta, l’unica via praticabile per ridare legittimità al Senato è quella, futura, di sottoporre alla Corte costituzionale la decisione circa la legittimità costituzionale dell’articolo 57 della (eventuale) legge costituzionale Renzi-Boschi, in considerazione del grave vizio di costituzionalità di escludere i cittadini dall’elezione dei senatori, nonostante «il voto (…) costituisc(a) il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare», come ha sottolineato la Corte costituzionale nella sentenza n. 1/2014 sul Porcellum. Un principio desumibile dall’articolo 1 della nostra Costituzione, che pacificamente costituisce uno dei “principi costituzionali supremi” che nemmeno una legge di revisione può modificare.
Per cui, quando un giudice, a riforma costituzionale avvenuta, si trovasse a dover applicare una legge approvata anche dal Senato, potrebbe sollevare dinanzi alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità di tale legge perché votata, oltre che dalla Camera, da un Senato eletto da soggetti (i consiglieri regionali e provinciali) che, secondo la Costituzione, non avrebbero il potere di farlo.
Infatti, mentre è discutibile l’attribuzione al Presidente della Repubblica della nomina per soli sette anni di cinque senatori che abbiano «illustrato la Patria per altissimi meriti» (i senatori “del” Presidente?), l’elezione dei restanti 95 senatori è ancor più discutibile: 1) perché la funzione di revisione costituzionale e la funzione legislativa verrebbero esercitate da soggetti non eletti dal popolo e quindi non responsabili nei confronti del popolo; 2) perché è scandaloso il poco tempo dedicato alle funzioni senatoriali da parte di soggetti che dovrebbero svolgere anche le funzioni di consigliere o sindaco; 3) perché è stato inopportuno “promuovere” i consigli regionali e provinciali a collegi elettorali dopo gli scandali che anche di recente hanno caratterizzato i consigli regionali.
È quindi difficile comprendere la ratio di questa scelta, a meno di non pensar male, e di ritenere che, anche sotto questo profilo, Renzi, in quanto segretario del Pd, abbia voluto riservarsi un potere d’influenza sulle segreterie locali e sulle candidature, che egli non avrebbe avuto qualora fossero stati i cittadini ad eleggere i senatori.
Ed è difficile comprenderne la ratio , anche perché l’esperienza sia tedesca che francese, talvolta richiamata a sproposito, non può essere portata ad esempio. Non l’esperienza tedesca del Bundesrat per la semplice ragione che, come già da me ricordato su queste pagine il 18 novembre, gli ordinamenti federali succedutisi dal 1871 in poi — con la parentesi del nazismo — non hanno mai cancellato le preesistenti identità storico-istituzionali come invece fece il Regno d’Italia con l’unificazione amministrativa del 1865. I Länder non sono quindi i Grandi elettori eletti dai cittadini tedeschi a tal fine, ma sono componenti del Bundesrat e, in quanto tali, sono titolari di diritti “propri” esercitati dai rispettivi governi che hanno a disposizione da un minimo di 3 ad un massimo di 6 voti per ogni deliberazione.
Né può richiamarsi l’esperienza dell’elezione “indiretta” del Senato francese, per tre diverse ragioni. In primo luogo, perché l’elezione del Senato italiano non sarebbe “indiretta” da parte del popolo, perché i Consigli regionali continuerebbero ad essere eletti per svolgere le normali competenze legislative e di controllo loro spettanti, e non allo specifico scopo di eleggere i senatori, come se fossero dei Grandi elettori. La seconda ragione è che, mentre l’art. 2 della Costituzione francese statuisce che il suffragio elettorale può essere anche “indiretto”, ciò non è previsto dalla nostra Costituzione.
Infine, mentre le elezioni senatoriali francesi sono “vere” elezioni che coinvolgono circa 150.000 Grandi elettori nella persona di deputati, consiglieri regionali, consiglieri generali e delegati dei consiglieri municipali, in Italia i consiglieri regionali e provinciali — che, lo ribadisco, non sarebbero Grandi elettori — sarebbero poco più di mille in 21 sezioni elettorali di poche decine di persone: sarebbero designazioni tra colleghi, non elezioni serie.
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Re: quo vadis PD ????
il Fatto 12.3.15
Benvenuti tra noi
Ainis e Onida, buongiorno corazzieri
E ALLA FINE scoprirono che le riforme renzianissime non sono perfette. Anzi, che sono piene di ombre. Dopo tante settimane di torpore, Valerio Onida e Michele Ainis vergano parole che sono moniti. Ha iniziato Onida sul Corriere della Sera di martedì scorso, con un articolo contro l’Italicum: “Una legge elettorale che non rispetta la reale maggioranza” per dirla come il titolo. “Dietro le scelte sulla legge – scrive il presidente emerito della Consulta – si rivela la tesi già vittoriosamente contrastata nel referendum del 2006, secondo cui agli elettori deve rimettersi solo la scelta dell’unico leader, capo dell’esecutivo, di cui la maggioranza parlamentare è una sorta di appendice”. E poi: “L’altro assioma è che il sistema politico dovrebbe articolarsi solo in due partiti. Ma il bipartitismo è il risultato della storia, non di ingegneria elettorale”. Ieri invece, sempre sul Corsera, Ainis seminava riserve sulla riforma costituzionale appena approvata alla Camera. “Semplifica fin troppo la vita del governo, l’unico pugile che resta davvero in piedi sul ring delle istituzioni. Perché insieme al Parlamento barcolla il capo dello Stato: con un esecutivo stabile perderà il ruolo di commissario della crisi di governo nonché - di fatto - il potere di decidere l’interruzione anticipata della legislatura”. Però.
Benvenuti tra noi
Ainis e Onida, buongiorno corazzieri
E ALLA FINE scoprirono che le riforme renzianissime non sono perfette. Anzi, che sono piene di ombre. Dopo tante settimane di torpore, Valerio Onida e Michele Ainis vergano parole che sono moniti. Ha iniziato Onida sul Corriere della Sera di martedì scorso, con un articolo contro l’Italicum: “Una legge elettorale che non rispetta la reale maggioranza” per dirla come il titolo. “Dietro le scelte sulla legge – scrive il presidente emerito della Consulta – si rivela la tesi già vittoriosamente contrastata nel referendum del 2006, secondo cui agli elettori deve rimettersi solo la scelta dell’unico leader, capo dell’esecutivo, di cui la maggioranza parlamentare è una sorta di appendice”. E poi: “L’altro assioma è che il sistema politico dovrebbe articolarsi solo in due partiti. Ma il bipartitismo è il risultato della storia, non di ingegneria elettorale”. Ieri invece, sempre sul Corsera, Ainis seminava riserve sulla riforma costituzionale appena approvata alla Camera. “Semplifica fin troppo la vita del governo, l’unico pugile che resta davvero in piedi sul ring delle istituzioni. Perché insieme al Parlamento barcolla il capo dello Stato: con un esecutivo stabile perderà il ruolo di commissario della crisi di governo nonché - di fatto - il potere di decidere l’interruzione anticipata della legislatura”. Però.
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Re: quo vadis PD ????
il Fatto 12.3.15
L’appello
“Costituzione violata a Camere abusive”
di E. Liu.
Nessuna intenzione di mollare la presa. Visto e considerato soprattutto quello che accade in Parlamento con le riforme. L’avvocato Bozzi non è un avvocato qualsiasi. Oltre ai quarant’anni di professione nel curriculum è anche colui che ha “rottamato il Porcellum”, cioè ha portato con un esposto la Corte a dichiararlo incostituzionale. Oggi, dopo quella che sembrava una impresa, torna a prendere carta e penna e, insieme a una serie di colleghi e persone della società civile che si definiscono elettori, scrive al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il tema, nonostante la lettera sia uno spunto di riflessione e non preveda risposte dal presidente, è sempre quello della distorsione del principio di rappresentanza parlamentare. Gli argomenti affrontati sono molti. Il primo riguarda la decisione della Corte che ha sì, “reso possibile la prosecuzione della legislatura, ma non ha in alcun modo stabilito che restasse immutata la composizione delle due Camere”.
NELLA SOSTANZA viene ribadito come la Corte costituzionale sulla rappresentanza non si sia espressa sulla convalida degli eletti e come di fatto i due presidenti, Laura Boldrini e Pietro Grasso, non abbiano mai risposto. Anzi, anche nella sostituzione dei parlamentari decaduti per essere stati successivamente eletti al Parlamento europeo, sia stato preso lo stesso elenco del ministero dell’Interno “compilato nel 2013 sulla base di tre norme dichiarate incostituzionali l’anno successivo”.
I firmatari, nell’elencare i problemi, non si soffermano solo sulla composizione del Parlamento. “Il problema è che si va estendendo la convinzione che si stia formando, o che si sia già formata, una sorta di consuetudine costituzionale secondo cui l'illegittimità di una legge elettorale non potrebbe avere effetti se non nella successiva consultazione elettorale”. In parole molto semplici se anche in futuro una legge elettorale venisse dichiarata incostituzionale l’effetto sarebbe a partire solo dalla successiva consultazione. “Questo potrebbe portare a legiferare senza alcuna preoccupazione di costituzionalità perché ogni vizio non produrrebbe effetti”.
ALTRO TEMA è quello delle riforme del governo in carica. “Sono state concepite – usando un linguaggio di carattere mercantile – come un solo pacchetto. Pacchetto nel quale sono state introdotte questioni di grande rilievo politico, democratico e istituzionale, come la riforma del Senato. Ma se la votazione in un solo blocco, il referendum confermativo non consentirebbe ai cittadini di approvare alcune riforme e respingerne altre. In tali condizioni non è tollerabile che il Parlamento, eletto con una legge dichiarata incostituzionale, ponga mano a 42 articoli della Costituzione”.
e. liu.
L’appello
“Costituzione violata a Camere abusive”
di E. Liu.
Nessuna intenzione di mollare la presa. Visto e considerato soprattutto quello che accade in Parlamento con le riforme. L’avvocato Bozzi non è un avvocato qualsiasi. Oltre ai quarant’anni di professione nel curriculum è anche colui che ha “rottamato il Porcellum”, cioè ha portato con un esposto la Corte a dichiararlo incostituzionale. Oggi, dopo quella che sembrava una impresa, torna a prendere carta e penna e, insieme a una serie di colleghi e persone della società civile che si definiscono elettori, scrive al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il tema, nonostante la lettera sia uno spunto di riflessione e non preveda risposte dal presidente, è sempre quello della distorsione del principio di rappresentanza parlamentare. Gli argomenti affrontati sono molti. Il primo riguarda la decisione della Corte che ha sì, “reso possibile la prosecuzione della legislatura, ma non ha in alcun modo stabilito che restasse immutata la composizione delle due Camere”.
NELLA SOSTANZA viene ribadito come la Corte costituzionale sulla rappresentanza non si sia espressa sulla convalida degli eletti e come di fatto i due presidenti, Laura Boldrini e Pietro Grasso, non abbiano mai risposto. Anzi, anche nella sostituzione dei parlamentari decaduti per essere stati successivamente eletti al Parlamento europeo, sia stato preso lo stesso elenco del ministero dell’Interno “compilato nel 2013 sulla base di tre norme dichiarate incostituzionali l’anno successivo”.
I firmatari, nell’elencare i problemi, non si soffermano solo sulla composizione del Parlamento. “Il problema è che si va estendendo la convinzione che si stia formando, o che si sia già formata, una sorta di consuetudine costituzionale secondo cui l'illegittimità di una legge elettorale non potrebbe avere effetti se non nella successiva consultazione elettorale”. In parole molto semplici se anche in futuro una legge elettorale venisse dichiarata incostituzionale l’effetto sarebbe a partire solo dalla successiva consultazione. “Questo potrebbe portare a legiferare senza alcuna preoccupazione di costituzionalità perché ogni vizio non produrrebbe effetti”.
ALTRO TEMA è quello delle riforme del governo in carica. “Sono state concepite – usando un linguaggio di carattere mercantile – come un solo pacchetto. Pacchetto nel quale sono state introdotte questioni di grande rilievo politico, democratico e istituzionale, come la riforma del Senato. Ma se la votazione in un solo blocco, il referendum confermativo non consentirebbe ai cittadini di approvare alcune riforme e respingerne altre. In tali condizioni non è tollerabile che il Parlamento, eletto con una legge dichiarata incostituzionale, ponga mano a 42 articoli della Costituzione”.
e. liu.
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Re: quo vadis PD ????
È possibile che i cittadini debbano difendersi proprio dai loro rappresentanti, da coloro che dovrebbero garantire la legalità, la giustizia, che si sarebbero proposti per le loro doti morali?camillobenso ha scritto:Nessuna intenzione di mollare la presa. Visto e considerato soprattutto quello che accade in Parlamento con le riforme. L’avvocato Bozzi ... è anche colui che ha “rottamato il Porcellum”, cioè ha portato con un esposto la Corte a dichiararlo incostituzionale. Oggi ... insieme a una serie di colleghi e persone della società civile ... scrive al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il tema ... è sempre quello della distorsione del principio di rappresentanza parlamentare. (...)
In tali condizioni non è tollerabile che il Parlamento, eletto con una legge dichiarata incostituzionale, ponga mano a 42 articoli della Costituzione”.
Quale etica li guiderebbe?
Cosa andiamo ad eleggerli a fare?
Che ben vengano, allora, le iniziative di persone che non demordono se queste portano allo scoperto l'incapacità dei nostri "politici" o le loro azioni truffaldine.
Mi chiedo, però, cosa succederebbe se queste persone (della cosiddetta società civile) demordessero o, ancora peggio, venissero additate dai nostri "governanti-indefessi-a-stravolgere-la-Costituzione" come "professoroni o gufi" nemici del popolo?
Questi "nuovi signori" ricorrerebbero ai fuochi purificatori per liberarsi delle "streghe" che si oppongono ai loro progetti? (Per continuare l'allusione al nuovo feudalesimo del mio post precedente)
Penso che non siamo mai usciti dalla padella berlusconiana ma che essa contenga anche le braci ...
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Re: quo vadis PD ????
Ma sì, Iafran, i cittadini devono sempre e comunque "difendersi", se con questo termine intendiamo che devono saper valutare, scegliere, controllare, giudicare e alzare la voce quando serve, senza farsi intimidire dalle chiacchiere.iafran ha scritto: È possibile che i cittadini debbano difendersi proprio dai loro rappresentanti, da coloro che dovrebbero garantire la legalità, la giustizia, che si sarebbero proposti per le loro doti morali?
...
Questi "nuovi signori" ricorrerebbero ai fuochi purificatori per liberarsi delle "streghe" che si oppongono ai loro progetti? (Per continuare l'allusione al nuovo feudalesimo del mio post precedente)
La politica è lotta e battaglia, sia pure (idealmente) incruenta, non è quel minuetto ipocrita che viene raccontato da certi "riformisti" alla nutella, che favoleggiano di "paesi normali" e pensano di risolvere ogni discorso sulla democrazia richiamndosi ad altrettanti favolistici "paesi anglosassoni" - peggio ancora quando evocano la democrazia ateniese, che era in realtà durissima.
Ma non possiamo dimenticare che, comunque la giriamo, direttamnte o indirettamnte, per azioni o per omissioni, la classe politica rispecchia la società cosiddetta civile.
La debolezza e perfino la nefandezza di questa (ex)sinistra intitolata PD è il risultao di una "base" che è stata ed è, sì, in buona fede e virtuosa nella sua massa per così dire "storica", ma troppo vaga, troppo fideistica, che non ha saputo capire e prendere atto del degrado che si stava a mano a mano manifestando, e del bambino che si stava gettando via insieme alla (confusa) acqua sporca del vetero-comunismo, e si è fatta rincoglionire dalle fanfaluche sul maggioritario, sul bipolarismo, sui "sindaci d'Italia, sulle primarie, sulla governance, sul decisionismo, sulla semplificazione, ossia da tutto lo sciocchezzaio sul quale di volta in volta ha storto il naso, intelligentemente, ma che ha poi prima tollerato e poi assorbito in nome dell'unità e per l'eterno timore delle stramaledette "spaccature".
Accolgo, personalmente, con piacere e apprezzamento intellettuale il tuo accenno al medioevo: una chiave interpretativa interessante.
Alla fine degli anni '80, Giorgio Ruffolo scrisse su Micromega un articolo/saggio dedicato alla "opportunità di un impero mondiale".
In quel momento Ruffolo era ministro dell'Ambiente, cioè titolare di un ministero di creazione recente, che si trovava nella condizione di elaborare una visione politica di un tema (quello ambientale) che fino a quel momento era vissuto prevalentemente nei circuiti tecnico-scientifici o dei movimenti ecologisti.
La sua visione neo-carolingia, allargata a un ambito globale, risentiva molto della coscienza ambientalista che Ruffolo si trovava ad affrontare, ma era inevitabile che finisse per implicare una dimensione politica totale, per chi, come lui, stava prendendo atto che l'mbientalismo non poteva essere un fenomeno settoriale e che invece coinvolgeva l'intera gamma delle competenze legislative, e aveva una giurisdizione trans-nazionale.
Questo articolo mi rimase nella memoria, quando qualche anno più tardi mi sono trovato di fronte alla fenomenolgia dei vari G8, G12, G20, raccontati come il consesso dei Grandi della Terra, della quale decidevano il futuro in materia ambientale, ma anche economica e politica.
Gli stessi anni nei quali emergeva - diciamo pure che assumeva l'aspetto della revanche - quel tipo di individualismo che aveva come apice il concetto di leader, contrapposto a quello di comunità, sulla quale si poneva come figura "regnante".
Tutto questo mi fece pensare - come scrissi in diverse sedi, negli anni '90 - a un nuovo medioevo, e non si trattava solo di un fatto di terminlogia e di iconografia, ma di un effettivo ritorno a rapporti basati sulla sudditanza e sull'accettazione inconfutata del personaggio carismatico che non ha solo autorità morale, ma un reale potere sulla massa e sul destino dei popoli.
Un medievalismo, questo, che si accompagnava alla concetrazione del "sapere", stavolta nei circoli della scienza e della tecnologia, che diventavano così il corrispettivo degli antichi stregoni e alchimisti, e della funzione conservativa affidata in modo privilegiato al circuito chiuso dei monasteri.
Il fenomeno del quale tu parli si presenta, così, come la fase, per il momento, terminale di questo nuovo medioevo: anche le argomentazioni (e gli slogan) che sostengono la deriva autoritaria e "feudale" odierna sono assimilabili a quelli elaborati dagli ideologi che supportavano i Re Taumaturghi, che venivano illustrati come interpreti della Grazia e destinatari di una insostituibile funzione di guida e di rappresentanza.
Eravamo giovani, eravamo arroganti, eravamo ridicoli, eravamo eccessivi, eravamo avventati. Eravamo bandiere rosse. E avevamo ragione.
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Re: quo vadis PD ????
La sola differenza fra i feudatari storici ed i moderni "capibastone" è affidata alla metodologia usata per raggiungere il potere: non più giostre, tornei e guerre ma l'esito di una consultazione elettorale (più o meno libera) per avere una parvenza di legalità.Rom ha scritto:Tutto questo mi fece pensare - come scrissi in diverse sedi, negli anni '90 - a un nuovo medioevo, e non si trattava solo di un fatto di terminologia e di iconografia, ma di un effettivo ritorno a rapporti basati sulla sudditanza e sull'accettazione inconfutata del personaggio carismatico che non ha solo autorità morale, ma un reale potere sulla massa e sul destino dei popoli.
Un medievalismo, questo, che si accompagnava alla concentrazione del "sapere", stavolta nei circoli della scienza e della tecnologia, che diventavano così il corrispettivo degli antichi stregoni e alchimisti, e della funzione conservativa affidata in modo privilegiato al circuito chiuso dei monasteri.
Il fenomeno del quale tu parli si presenta, così, come la fase, per il momento, terminale di questo nuovo medioevo: anche le argomentazioni (e gli slogan) che sostengono la deriva autoritaria e "feudale" odierna sono assimilabili a quelli elaborati dagli ideologi che supportavano i Re Taumaturghi, che venivano illustrati come interpreti della Grazia e destinatari di una insostituibile funzione di guida e di rappresentanza.
E per assicurarsi la vittoria, pur nel rispetto dei valori democratici, si opera per demotivare i cittadini giustamente critici ("Che schifo, sono tutti gli stessi! Che andassero loro a votare!" ... e via discorrendo) ed indurli a disertare le urne (magari fissando "l'election day" nel ponte del 31 maggio/2 giugno, in previsione della prima gita al mare).
Una volta eletti (per l'affluenza e l'incidenza dei loro sostenitori, entusiasti del nuovo corso) ... non hanno più niente da chiedere: i cittadini possono dormire su sette cuscini perché non verranno più disturbati per altre elezioni.
Con un Senato di nominati da loro stessi e con la nuova legge elettorale, "i lor signori" si autoproclameranno "classe governante vita natural durante" con i loro "vassalli" ad occupare tutti i campi, ad incominciare da quelli più in vista (governativo e parlamentare) per garantirsi tutti gli altri immediatamente collegati (giudiziario, bancario, imprenditoriale, commerciale), badando ad estendere la loro influenza su quello sanitario, previdenziale, assistenziale, assicurativo, militare (terra, mare, cielo), ambientale, storico-artistico-archeologico, e su tutti gli altri che concerneranno la vita della comunità (sportivo, fiscale, agrario, boschivo, zootecnico, idrico, fognario, NU, scolastico, universitario, scientifico, turistico, religioso, cinematografico, televisivo, giornalistico) e quella del singolo cittadino (dal portare le statue del santo al posto nelle processioni religiose, al meteorologico ... finanche al parapsicologico, astrologico, magico ... infantile, giovanile, senile, funebre ... etc).
Con questa classe "vampira" ci vogliamo meravigliare che il nostro debito pubblico (2166 mld) sia quasi vicino al massimo storico?
Non lo si raggiungerà facilmente, perché ci sarà una nuova manovra correttiva e poi un'altra ed un'altra ancora ... i sudditi stanno lì per sovvenzionare ogni spesa e per ripianare ogni ammanco!
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