Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
4. E ORA SOTTO CON LE TV
Pittibimbo è ansioso di mettere le mani sulla tv, visto che tanto il patto del Nazareno non serve più. “Rai, arriva la riforma. Gasparri insulta il premier. Il senatore di Fi: ‘E’ un vero imbecille’. Il padre del capo del governo annuncia una querela” (Repubblica, p. 13). Gasparri aveva scritto su Twitter: “Sei davvero una persona spregevole, torna nella loggia del babbo”.
La Stampa riporta: “Lite a distanza con Gasparri sulla Rai. ‘Matteo è un ditta torello, finirà male’. Il premier: non può essere disciplinata da una legge che porta il suo nome” (p. 4). Messaggero: “Rai, via la Gasparri anche per decreto’. L’annuncio del premier: a marzo la riforma, non vogliamo che i vertici siano nominati da una legge che porta quel nome” (p. 9).
5. ULTIME DA FARSA ITALIA
Il CaiNano studia come tenere a bada il partito: “Non ricandidare i fittiani, Berlusconi ci pensa. Il leader tentato dall’espulsione per i Ricostruttori. E Fitto strizza l’occhio al Carroccio” (Corriere, p. 8). Tiene banco anche il nodo delle alleanze: “Fi e Lega, divorzio alla veneziana. Toti: ‘Salvini è solo un narcisista’. La candidatura di Tosi contro Zaia in Veneto spacca il centrodestra” (Stampa, p. 7).
E nel casino generale, torna in cattedra Sciaboletta Scajola: “Forza Italia non esiste più da tempo. E’ rimasto solo Silvio Berlusconi, un po’ appannato, stanco, ormai avanti con gli anni eppure, nonostante i problemi familiari e giudiziari che sappiamo, i ricattini delle Olgettine e tutto il resto, ancora con una buona dose di autorità carismatica. Ma da solo, senza una rete sul territorio, a quanto può arrivare? Tra il 12 e il 16%. Un po’ poco, direi”. E il Cerchio magico? “Non è immaginabile che la linea politica dei moderati italiani sia dettata da Maria Rosaria Rossi e Deborah Bergamini… o dall’avvocato Niccolò Ghedini, un ottimo penalista, ma che insomma…beh…” (Corriere, p. 8).
6. PAPI SILVIO E LA “ROBA” DI CASA
Affari&Finanza di Repubblica si occupa delle finanze di Arcore: “Fininvest, vendite di fine stagione e adesso la famiglia passa alla cassa. La corsa dei titoli del gruppo sull’onda del patto del Nazareno è finita. Le cessioni non mettono comunque in discussione il controllo degli asset più pregiati ma consentono di rimpinguare i dividendi che alimentano i patrimoni di Silvio Berlusconi e dei suoi figli” (p. 2).
7. TOGHE ROTTE
Incerti se farsi asfaltare subito o rate, i magistrati italiani litigano sullo sciopero. “Responsabilità civile, i magistrati si spaccano e bocciano lo sciopero. Il presidente dell’Anm: rischiavamo di passare per una casta. Richiesta di incontro a Mattarella. La legge vicina al sì finale. Niente più filtro sui ricorsi, e il ‘travisamento del fatto e delle prove’ come colpa grave. Il segretario di Mi: ‘Prima le ferie, adesso questo, domani cosa ci aspetta?” (Repubblica, p. 13).
Pittibimbo è ansioso di mettere le mani sulla tv, visto che tanto il patto del Nazareno non serve più. “Rai, arriva la riforma. Gasparri insulta il premier. Il senatore di Fi: ‘E’ un vero imbecille’. Il padre del capo del governo annuncia una querela” (Repubblica, p. 13). Gasparri aveva scritto su Twitter: “Sei davvero una persona spregevole, torna nella loggia del babbo”.
La Stampa riporta: “Lite a distanza con Gasparri sulla Rai. ‘Matteo è un ditta torello, finirà male’. Il premier: non può essere disciplinata da una legge che porta il suo nome” (p. 4). Messaggero: “Rai, via la Gasparri anche per decreto’. L’annuncio del premier: a marzo la riforma, non vogliamo che i vertici siano nominati da una legge che porta quel nome” (p. 9).
5. ULTIME DA FARSA ITALIA
Il CaiNano studia come tenere a bada il partito: “Non ricandidare i fittiani, Berlusconi ci pensa. Il leader tentato dall’espulsione per i Ricostruttori. E Fitto strizza l’occhio al Carroccio” (Corriere, p. 8). Tiene banco anche il nodo delle alleanze: “Fi e Lega, divorzio alla veneziana. Toti: ‘Salvini è solo un narcisista’. La candidatura di Tosi contro Zaia in Veneto spacca il centrodestra” (Stampa, p. 7).
E nel casino generale, torna in cattedra Sciaboletta Scajola: “Forza Italia non esiste più da tempo. E’ rimasto solo Silvio Berlusconi, un po’ appannato, stanco, ormai avanti con gli anni eppure, nonostante i problemi familiari e giudiziari che sappiamo, i ricattini delle Olgettine e tutto il resto, ancora con una buona dose di autorità carismatica. Ma da solo, senza una rete sul territorio, a quanto può arrivare? Tra il 12 e il 16%. Un po’ poco, direi”. E il Cerchio magico? “Non è immaginabile che la linea politica dei moderati italiani sia dettata da Maria Rosaria Rossi e Deborah Bergamini… o dall’avvocato Niccolò Ghedini, un ottimo penalista, ma che insomma…beh…” (Corriere, p. 8).
6. PAPI SILVIO E LA “ROBA” DI CASA
Affari&Finanza di Repubblica si occupa delle finanze di Arcore: “Fininvest, vendite di fine stagione e adesso la famiglia passa alla cassa. La corsa dei titoli del gruppo sull’onda del patto del Nazareno è finita. Le cessioni non mettono comunque in discussione il controllo degli asset più pregiati ma consentono di rimpinguare i dividendi che alimentano i patrimoni di Silvio Berlusconi e dei suoi figli” (p. 2).
7. TOGHE ROTTE
Incerti se farsi asfaltare subito o rate, i magistrati italiani litigano sullo sciopero. “Responsabilità civile, i magistrati si spaccano e bocciano lo sciopero. Il presidente dell’Anm: rischiavamo di passare per una casta. Richiesta di incontro a Mattarella. La legge vicina al sì finale. Niente più filtro sui ricorsi, e il ‘travisamento del fatto e delle prove’ come colpa grave. Il segretario di Mi: ‘Prima le ferie, adesso questo, domani cosa ci aspetta?” (Repubblica, p. 13).
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Re: Diario della caduta di un regime.
In caso di grane con la giustizia non fatevi mai assistere dall'avvocato delle cause perse , Giulianone Ferrara.
23 FEB 2015 18:07
- VOGLIONO ARRESTARE IL BANANA? GIULIANO FERRARA EVOCA IL GRANDE SPAURACCHIO DI BERLUSCONI: LE MANETTE
- “LA LOGICA DELLO SFASCIO POLITICO-GIUDIZIARIO POTREBBE DA UN MOMENTO ALL’ALTRO CONSEGNARLO ALLA GALERA”
“Ora che è caduto il teorema d’accusa con il processo d’appello sul caso Ruby, sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato, bisognerà pure trovare un modo per far rivivere la campagna giudiziaria cominciata con Tonino Di Pietro all’insegna della frase, rivelata da Borrelli, “io a quello lo sfascio””…
Giuliano Ferrara per “il Foglio”
berlusconi prigione
BERLUSCONI PRIGIONE
Si parla dell’arresto di Berlusconi. Il meccanismo è semplice, infernale. Berlusconi ha un giro di amici (Mora eccetera) e amiche (le ragazze delle feste di Arcore). Il suo trattamento della bisboccia è generoso con tutti, maschietti e femminucce, com’è nello stile dell’uomo e dell’imprenditore e impresario di successo. Berlusconi non è l’unico nella storia a intrattenere le donne come occasione carestosa di divertimento e sfida: nel Don Giovanni di Mozart e Da Ponte l’investimento in “femminile” è dichiarato, spavaldo.
Il magistrato italiano e milanese trasforma la bisboccia in crimine penale, comincia a introdurre il tema della prostituzione anche minorile in inchieste devastanti che si svolgono prima di tutto su giornali e tv, e invadono lo spazio politico di un uomo pubblico che ha una vita privata rutilante, sopra le righe.
Il tutto si accompagna a un’orchestrazione immorale di moralismo accattone, travestito perfino da femminismo, e il senonoraquandismo porta o squaderna in piazza il linciaggio della persona e del suo gruppo e delle ragazze, con palese e continuato effetto di intimidazione.
Ora che è caduto il teorema d’accusa con il processo d’appello sul caso Ruby, sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato, bisognerà pure trovare un modo per far rivivere la campagna giudiziaria cominciata con Tonino Di Pietro all’insegna della frase, rivelata da Francesco Saverio Borrelli, “io a quello lo sfascio”. Eccolo trovato.
Berlusconi aiuta le sue amiche, case, soldi, vacanze: una perquisizione ben fatta, una paparazzata su una spiaggia bianca, dati favolosi su stipendi accreditati mensilmente, vouyeurismi impiccati a case e ville, e la campagna d’opinione assassina riparte, con il corredo inquietante dell’accusa di corruzione in atti giudiziari mediante pagamento dei testi, e con l’ipotesi (da arresto) della reiterazione del reato. I tempi sono importanti. La Cassazione deve pronunciarsi a giorni sull’appello assolutorio.
Berlusconi sta finendo di espiare in modo disciplinato una pena che giudica ingiusta e frutto di accanimento politicizzato, quella per frode fiscale contro la quale ha fatto ricorso alla Corte europea. Non si può mollare l’osso proprio ora. Serve nuova intimidazione con procedure oggettive, ai sensi del codice, e serve assolutamente il “pentimento”, cioè la resa al pm, di qualche teste utile a reimpostare il caso. Ma non basta. Ci sono i tempi della politica, in un paese come l’Italia. Berlusconi ha appena fatto un errore blu.
Aveva contratto un patto riformatore con l’uomo nuovo della politica e delle istituzioni, segretario del Pd e presidente del Consiglio. Ha lasciato che quello scudo contro le avventure si rompesse, addebitandone la responsabilità a Matteo Renzi, che non avrebbe usato un metodo rispettoso per l’elezione del presidente della Repubblica. La conseguenza non è il riformarsi di una leadership di opposizione riconosciuta.
Si perde la visione repubblicana, non si acquista altro che la ulteriore frantumazione di un movimento politico in parte fuori controllo. Dilagano personalismi, cattivi umori, pagliacciate di vario ordine. E ciascuno si fa i fatti suoi, nella migliore tradizione di desolidarizzazione all’italiana, che scatta quando il capo è indebolito dalle sue stesse scelte o dalla situazione in cui lo cacciano eventi indipendenti da lui.
In questo quadro l’ipotesi di un nuovo colpo contro Berlusconi è la coriacea e subdola riproposizione del teorema dell’Arcinemico, del male assoluto, dell’uomo da sfasciare. La giustizia americana non si è ritenuta in grado di processare in modo credibile Dominique Strauss-Kahn, perché la cameriera d’albergo oggetto di una sua provata azione sessuale d’occasione non era giudicata sufficientemente cedibile come teste d’accusa in un caso di stupro.
La giustizia francese, meno garantista, ha incastrato l’ex capo del Fondo Monetario Internazionale in un dibattimento processuale imbarazzante per i dettagli morbosi resi noti sui gusti predatori della sessualità dell’imputato nel corso delle orge trimestrali organizzate per lui dai suoi amici a pagamento.
Ma ora fa marcia indietro e lo proscioglie dall’accusa di racket prostitutorio. Berlusconi non ha da rimproverarsi niente di tutto questo, è un amorino da burlesque e un vecchio e ricco signore che spende come desidera i suoi soldi. Ma la logica dello sfascio politico-giudiziario potrebbe da un momento all’altro, e sarebbe l’ultima vergogna, consegnarlo alla gogna della galera.
23 FEB 2015 18:07
- VOGLIONO ARRESTARE IL BANANA? GIULIANO FERRARA EVOCA IL GRANDE SPAURACCHIO DI BERLUSCONI: LE MANETTE
- “LA LOGICA DELLO SFASCIO POLITICO-GIUDIZIARIO POTREBBE DA UN MOMENTO ALL’ALTRO CONSEGNARLO ALLA GALERA”
“Ora che è caduto il teorema d’accusa con il processo d’appello sul caso Ruby, sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato, bisognerà pure trovare un modo per far rivivere la campagna giudiziaria cominciata con Tonino Di Pietro all’insegna della frase, rivelata da Borrelli, “io a quello lo sfascio””…
Giuliano Ferrara per “il Foglio”
berlusconi prigione
BERLUSCONI PRIGIONE
Si parla dell’arresto di Berlusconi. Il meccanismo è semplice, infernale. Berlusconi ha un giro di amici (Mora eccetera) e amiche (le ragazze delle feste di Arcore). Il suo trattamento della bisboccia è generoso con tutti, maschietti e femminucce, com’è nello stile dell’uomo e dell’imprenditore e impresario di successo. Berlusconi non è l’unico nella storia a intrattenere le donne come occasione carestosa di divertimento e sfida: nel Don Giovanni di Mozart e Da Ponte l’investimento in “femminile” è dichiarato, spavaldo.
Il magistrato italiano e milanese trasforma la bisboccia in crimine penale, comincia a introdurre il tema della prostituzione anche minorile in inchieste devastanti che si svolgono prima di tutto su giornali e tv, e invadono lo spazio politico di un uomo pubblico che ha una vita privata rutilante, sopra le righe.
Il tutto si accompagna a un’orchestrazione immorale di moralismo accattone, travestito perfino da femminismo, e il senonoraquandismo porta o squaderna in piazza il linciaggio della persona e del suo gruppo e delle ragazze, con palese e continuato effetto di intimidazione.
Ora che è caduto il teorema d’accusa con il processo d’appello sul caso Ruby, sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato, bisognerà pure trovare un modo per far rivivere la campagna giudiziaria cominciata con Tonino Di Pietro all’insegna della frase, rivelata da Francesco Saverio Borrelli, “io a quello lo sfascio”. Eccolo trovato.
Berlusconi aiuta le sue amiche, case, soldi, vacanze: una perquisizione ben fatta, una paparazzata su una spiaggia bianca, dati favolosi su stipendi accreditati mensilmente, vouyeurismi impiccati a case e ville, e la campagna d’opinione assassina riparte, con il corredo inquietante dell’accusa di corruzione in atti giudiziari mediante pagamento dei testi, e con l’ipotesi (da arresto) della reiterazione del reato. I tempi sono importanti. La Cassazione deve pronunciarsi a giorni sull’appello assolutorio.
Berlusconi sta finendo di espiare in modo disciplinato una pena che giudica ingiusta e frutto di accanimento politicizzato, quella per frode fiscale contro la quale ha fatto ricorso alla Corte europea. Non si può mollare l’osso proprio ora. Serve nuova intimidazione con procedure oggettive, ai sensi del codice, e serve assolutamente il “pentimento”, cioè la resa al pm, di qualche teste utile a reimpostare il caso. Ma non basta. Ci sono i tempi della politica, in un paese come l’Italia. Berlusconi ha appena fatto un errore blu.
Aveva contratto un patto riformatore con l’uomo nuovo della politica e delle istituzioni, segretario del Pd e presidente del Consiglio. Ha lasciato che quello scudo contro le avventure si rompesse, addebitandone la responsabilità a Matteo Renzi, che non avrebbe usato un metodo rispettoso per l’elezione del presidente della Repubblica. La conseguenza non è il riformarsi di una leadership di opposizione riconosciuta.
Si perde la visione repubblicana, non si acquista altro che la ulteriore frantumazione di un movimento politico in parte fuori controllo. Dilagano personalismi, cattivi umori, pagliacciate di vario ordine. E ciascuno si fa i fatti suoi, nella migliore tradizione di desolidarizzazione all’italiana, che scatta quando il capo è indebolito dalle sue stesse scelte o dalla situazione in cui lo cacciano eventi indipendenti da lui.
In questo quadro l’ipotesi di un nuovo colpo contro Berlusconi è la coriacea e subdola riproposizione del teorema dell’Arcinemico, del male assoluto, dell’uomo da sfasciare. La giustizia americana non si è ritenuta in grado di processare in modo credibile Dominique Strauss-Kahn, perché la cameriera d’albergo oggetto di una sua provata azione sessuale d’occasione non era giudicata sufficientemente cedibile come teste d’accusa in un caso di stupro.
La giustizia francese, meno garantista, ha incastrato l’ex capo del Fondo Monetario Internazionale in un dibattimento processuale imbarazzante per i dettagli morbosi resi noti sui gusti predatori della sessualità dell’imputato nel corso delle orge trimestrali organizzate per lui dai suoi amici a pagamento.
Ma ora fa marcia indietro e lo proscioglie dall’accusa di racket prostitutorio. Berlusconi non ha da rimproverarsi niente di tutto questo, è un amorino da burlesque e un vecchio e ricco signore che spende come desidera i suoi soldi. Ma la logica dello sfascio politico-giudiziario potrebbe da un momento all’altro, e sarebbe l’ultima vergogna, consegnarlo alla gogna della galera.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Uffa!!! Che noia, che barba……..cha barba che noia.
Non è così la politica italiana degli ultimi anni.
LEGA
=====
Caos Lega, Salvini minaccia di espellere Tosi
“Chi è contro Zaia si autoesclude dal partito”
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/02/ ... ga/343070/
I partiti come erano stati concepiti nel primo dopoguerra non esistono più. Già con la vecchia Dc degli anni ’60, i partiti si trasformano in comitati d’affari. La banda Craxi trasforma il Psi nella seconda metà degli anni ’70, anch’esso in un comitato d’affari.
Con la seconda Repubblica esordiscono i partiti personali. Quello che dura più a lungo è FI, grazie soprattutto ai mezzi economici di B, e delle sue televisioni.
Adesso anche FI sta per sparire. Berlusconi ha tentato nell’ultimo anno la carta Renzi, ma gli è andata male.
Adesso la magistratura si sta muovendo nuovamente nei suoi confronti e come sostiene Giulianone Ferrara, potrebbe finire dentro.
Nel partito in disfacimento, cerca di approfittarne Fitto, per via della “giovane” età. Il partito è spaccato tra i fedelissimi del Caimano morente, e chi gli vuole sopravvivere politicamente.
Il Pd dei ricattati, trova l’unità quando viene avanzata l’idea di elezioni anticipate. La poltrona la vogliono conservare tutti. Anche se viene esibito ogni tanto il teatrino della politica:
Jobs act, Damiano (Pd): “Licenziamenti collettivi vera sconfitta, governo ha sentito Confindustria”
Ma non c'è solo questo.
Solo in questo momento il M5S è tranquillo, dopo le cacciate dei boss e la diserzione di un certo peso degli ultimi tempi.
La lotta di potere si fa sentire, non di certo però per risolvere i problemi del Paese.
Non è così la politica italiana degli ultimi anni.
LEGA
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Caos Lega, Salvini minaccia di espellere Tosi
“Chi è contro Zaia si autoesclude dal partito”
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/02/ ... ga/343070/
I partiti come erano stati concepiti nel primo dopoguerra non esistono più. Già con la vecchia Dc degli anni ’60, i partiti si trasformano in comitati d’affari. La banda Craxi trasforma il Psi nella seconda metà degli anni ’70, anch’esso in un comitato d’affari.
Con la seconda Repubblica esordiscono i partiti personali. Quello che dura più a lungo è FI, grazie soprattutto ai mezzi economici di B, e delle sue televisioni.
Adesso anche FI sta per sparire. Berlusconi ha tentato nell’ultimo anno la carta Renzi, ma gli è andata male.
Adesso la magistratura si sta muovendo nuovamente nei suoi confronti e come sostiene Giulianone Ferrara, potrebbe finire dentro.
Nel partito in disfacimento, cerca di approfittarne Fitto, per via della “giovane” età. Il partito è spaccato tra i fedelissimi del Caimano morente, e chi gli vuole sopravvivere politicamente.
Il Pd dei ricattati, trova l’unità quando viene avanzata l’idea di elezioni anticipate. La poltrona la vogliono conservare tutti. Anche se viene esibito ogni tanto il teatrino della politica:
Jobs act, Damiano (Pd): “Licenziamenti collettivi vera sconfitta, governo ha sentito Confindustria”
Ma non c'è solo questo.
Solo in questo momento il M5S è tranquillo, dopo le cacciate dei boss e la diserzione di un certo peso degli ultimi tempi.
La lotta di potere si fa sentire, non di certo però per risolvere i problemi del Paese.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Corriere 2.3.15
Aldo Masullo: ognuno corre per sé e per i suoi
Che vergogna, non è più un partito
Filosofo tra i più autorevoli del Dopoguerra, il professor Masullo si avvia a compiere 92 anni e ha conosciuto da vicino ben altre generazioni di politici di sinistra. Da indipendente ha fatto parte del Senato per tre legislature, quando esisteva il Pci o al massimo i Ds
intervista di Fulvio Bufi
Napoli Se gli si chiede che cosa resta del Pd dopo la lunga e tortuosa marcia di avvicinamento alle primarie in Campania, il professor Aldo Masullo usa una parola sola, molto napoletana: «Scuorno».
Significa vergogna. Un tipo di vergogna forte, fortissima, dove non basta diventare rossi, ma si vorrebbe proprio sparire («Pe lo scuorno ca se pigliaje sotto a ‘nu scuoglio se ‘mpizzaje», recitano i versi della tarantella ‘O guarracino : per lo scuorno andò a infilarsi sotto uno scoglio).
Nel Pd campano però nessuno ha dato segno di voler sparire. Nemmeno chi si è ritirato, come Gennaro Migliore, spinto più che altro dalla certezza di perdere e di giocarsi quindi candidature future.
Filosofo tra i più autorevoli del Dopoguerra, il professor Masullo si avvia a compiere 92 anni e ha conosciuto da vicino ben altre generazioni di politici di sinistra. Da indipendente ha fatto parte del Senato per tre legislature, quando esisteva il Pci o al massimo i Ds.
Oggi come li vede?
«Totalmente privi di pudore».
Non salva nessuno?
«Mi rendo conto che la mia può sembrare una reazione emotiva, e anzi lo ammetto: reagisco emotivamente, è vero. Ma è vero anche che questo non è più un partito».
Eppure è l’unico che si chiama ancora partito.
«Se è per questo non è che il Pd non lo sia più e altri invece sì: in Italia nessuno schieramento politico è più un partito».
Restiamo al Pd: che manca?
«Tutto. Innanzitutto un progetto politico. E poi il dibattito: interno e con gli elettori».
I candidati di elettori ne hanno incontrati durante la campagna elettorale.
«Sì, ma che gli hanno detto? Certo, io non sono stato presente, però i giornali li leggo, le cose le seguo. E non ho sentito una parola sul programma. La differenza tra un progetto politico e uno personale è se si ha o non si ha un programma che voglia tentare di favorire il bene comune».
E Cozzolino e De Luca che progetto avevano?
«Appartengono a quella categoria di politici che corrono per se stessi»..
Hanno ampio seguito.
«E allora diciamo che corrono per se stessi e per i loro uomini».
Così sembra che siano il peggio del peggio.
«Non facciamone una questione personale. Rappresentano quello che è oggi la politica e quello che è oggi il Pd: non esistono gare di idee e di proposte. Esistono lotte tra persone e i rispettivi seguiti».
C’è stata pure la polemica per i presunti aiuti ai due candidati dal centrodestra.
«Sì, ho seguito. Ma non c’è da meravigliarsi molto».
Almeno un poco sì, però.
«Si tratta di un rischio congenito nel meccanismo delle primarie aperte. Se possono votare tutti, significa che possono votare tutti, anche quelli che appartengono a un altro schieramento».
A quelli, però, nessuno dovrebbe chiedere i voti, no?
«Certo. E invece ci vanno. Diciamoci la verità: il voto aperto a tutti dovrebbe evitare che le primarie diventino una guerra tra fazioni interne al partito, come era ai congressi quella dei signori delle tessere. Ma nella realtà è la stessa cosa: le fazioni si allargano, non condividono l’appartenenza a una corrente ma un’idea di potere che bada solo all’interesse personale».
Lei la politica l’ha fatta. Sicuro che quello che vede ora sia proprio una novità rispetto ai suoi tempi?
«Io? Io andavo nelle fabbriche a parlare con gli operai. Nei quartieri, nelle sezioni. Ognuno poteva dire la sua. Poi i dirigenti facevano a modo loro. Però almeno c’era qualcuno che ci provava».
Chiarissimo. Quindi quello che ha visto in queste primarie alla fine non l’ha deluso?
«Deluso? E perché? Per deludermi avrei dovuto prima illudermi. E io ho 92 anni: è da un bel po’ che ho smesso di avere illusioni».
Aldo Masullo: ognuno corre per sé e per i suoi
Che vergogna, non è più un partito
Filosofo tra i più autorevoli del Dopoguerra, il professor Masullo si avvia a compiere 92 anni e ha conosciuto da vicino ben altre generazioni di politici di sinistra. Da indipendente ha fatto parte del Senato per tre legislature, quando esisteva il Pci o al massimo i Ds
intervista di Fulvio Bufi
Napoli Se gli si chiede che cosa resta del Pd dopo la lunga e tortuosa marcia di avvicinamento alle primarie in Campania, il professor Aldo Masullo usa una parola sola, molto napoletana: «Scuorno».
Significa vergogna. Un tipo di vergogna forte, fortissima, dove non basta diventare rossi, ma si vorrebbe proprio sparire («Pe lo scuorno ca se pigliaje sotto a ‘nu scuoglio se ‘mpizzaje», recitano i versi della tarantella ‘O guarracino : per lo scuorno andò a infilarsi sotto uno scoglio).
Nel Pd campano però nessuno ha dato segno di voler sparire. Nemmeno chi si è ritirato, come Gennaro Migliore, spinto più che altro dalla certezza di perdere e di giocarsi quindi candidature future.
Filosofo tra i più autorevoli del Dopoguerra, il professor Masullo si avvia a compiere 92 anni e ha conosciuto da vicino ben altre generazioni di politici di sinistra. Da indipendente ha fatto parte del Senato per tre legislature, quando esisteva il Pci o al massimo i Ds.
Oggi come li vede?
«Totalmente privi di pudore».
Non salva nessuno?
«Mi rendo conto che la mia può sembrare una reazione emotiva, e anzi lo ammetto: reagisco emotivamente, è vero. Ma è vero anche che questo non è più un partito».
Eppure è l’unico che si chiama ancora partito.
«Se è per questo non è che il Pd non lo sia più e altri invece sì: in Italia nessuno schieramento politico è più un partito».
Restiamo al Pd: che manca?
«Tutto. Innanzitutto un progetto politico. E poi il dibattito: interno e con gli elettori».
I candidati di elettori ne hanno incontrati durante la campagna elettorale.
«Sì, ma che gli hanno detto? Certo, io non sono stato presente, però i giornali li leggo, le cose le seguo. E non ho sentito una parola sul programma. La differenza tra un progetto politico e uno personale è se si ha o non si ha un programma che voglia tentare di favorire il bene comune».
E Cozzolino e De Luca che progetto avevano?
«Appartengono a quella categoria di politici che corrono per se stessi»..
Hanno ampio seguito.
«E allora diciamo che corrono per se stessi e per i loro uomini».
Così sembra che siano il peggio del peggio.
«Non facciamone una questione personale. Rappresentano quello che è oggi la politica e quello che è oggi il Pd: non esistono gare di idee e di proposte. Esistono lotte tra persone e i rispettivi seguiti».
C’è stata pure la polemica per i presunti aiuti ai due candidati dal centrodestra.
«Sì, ho seguito. Ma non c’è da meravigliarsi molto».
Almeno un poco sì, però.
«Si tratta di un rischio congenito nel meccanismo delle primarie aperte. Se possono votare tutti, significa che possono votare tutti, anche quelli che appartengono a un altro schieramento».
A quelli, però, nessuno dovrebbe chiedere i voti, no?
«Certo. E invece ci vanno. Diciamoci la verità: il voto aperto a tutti dovrebbe evitare che le primarie diventino una guerra tra fazioni interne al partito, come era ai congressi quella dei signori delle tessere. Ma nella realtà è la stessa cosa: le fazioni si allargano, non condividono l’appartenenza a una corrente ma un’idea di potere che bada solo all’interesse personale».
Lei la politica l’ha fatta. Sicuro che quello che vede ora sia proprio una novità rispetto ai suoi tempi?
«Io? Io andavo nelle fabbriche a parlare con gli operai. Nei quartieri, nelle sezioni. Ognuno poteva dire la sua. Poi i dirigenti facevano a modo loro. Però almeno c’era qualcuno che ci provava».
Chiarissimo. Quindi quello che ha visto in queste primarie alla fine non l’ha deluso?
«Deluso? E perché? Per deludermi avrei dovuto prima illudermi. E io ho 92 anni: è da un bel po’ che ho smesso di avere illusioni».
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Re: Diario della caduta di un regime.
Più di uno scrittore, più di un giornalista, più di un politologo, indicano questa fase storica come l’inizio della Terza Repubblica. E’ una scelta azzardata perché non ci sono gli elementi che possono indicare una svolta netta che possa indicare che si cambia registro. Siamo ancora nella fase finale della Seconda Repubblica che si sta mostrando come una lunga agonia.
E’ possibile azzardare che chi sceglie l’indicazione di essere in presenza di una svolta netta sia un tifoso renziano, che negli effetti speciali dell’illusionista fiorentino vede i segni di una svolta storica del sistema Italia. Una svolta che non esiste, se non nella propaganda mirata della Banda Renzi.
Il nuovo caso relativo a TAV, EXPO, GRANDI OPERE, esploso ieri, ci rammenta che il sistema non muta.
Il PAV (Premier ad Alta Velocità), ha raccontato Urbi et Orbi, che avrebbe risolto i problemi italici in un batter d’occhio.
Questo al solo scopo di incantare i soliti merli tricolori, per vincere le primarie, fottere Letta nipote, e affermarsi alle europee. Una presa del potere in piena regola, che ci rammenta un golpe moderno all’interno di una nazione che si definiva democratica, inserita all’interno di un sistema più grande come la Ue.
Il Paese però ha bisogno di altro per uscire dalla crisi multipla in cui è sprofondato ed anche per non essere schiacciato dall’evoluzione in corso.
Non si può ripartire dal punto di vista economico se non si mette mano alle perdite di sistema. Una di queste riguarda la corruzione. La legge anticorruzione depositata due anni fa dall’attuale presidente del Senato Grasso, ha dormito in Commissione fino ad ieri, per il semplice motivo, che le alleanze multiple per stare in piedi, non consentivano al PAV di prenderle in considerazione, in quanto poteva saltare l’attuale governo.
Ieri è esploso il caso della TAV fiorentina con tanto di annessi e connessi. E tutto questo dopo il Mose e Mafia Capitale. Marco Travaglio oggi la racconta così:
E’ possibile azzardare che chi sceglie l’indicazione di essere in presenza di una svolta netta sia un tifoso renziano, che negli effetti speciali dell’illusionista fiorentino vede i segni di una svolta storica del sistema Italia. Una svolta che non esiste, se non nella propaganda mirata della Banda Renzi.
Il nuovo caso relativo a TAV, EXPO, GRANDI OPERE, esploso ieri, ci rammenta che il sistema non muta.
Il PAV (Premier ad Alta Velocità), ha raccontato Urbi et Orbi, che avrebbe risolto i problemi italici in un batter d’occhio.
Questo al solo scopo di incantare i soliti merli tricolori, per vincere le primarie, fottere Letta nipote, e affermarsi alle europee. Una presa del potere in piena regola, che ci rammenta un golpe moderno all’interno di una nazione che si definiva democratica, inserita all’interno di un sistema più grande come la Ue.
Il Paese però ha bisogno di altro per uscire dalla crisi multipla in cui è sprofondato ed anche per non essere schiacciato dall’evoluzione in corso.
Non si può ripartire dal punto di vista economico se non si mette mano alle perdite di sistema. Una di queste riguarda la corruzione. La legge anticorruzione depositata due anni fa dall’attuale presidente del Senato Grasso, ha dormito in Commissione fino ad ieri, per il semplice motivo, che le alleanze multiple per stare in piedi, non consentivano al PAV di prenderle in considerazione, in quanto poteva saltare l’attuale governo.
Ieri è esploso il caso della TAV fiorentina con tanto di annessi e connessi. E tutto questo dopo il Mose e Mafia Capitale. Marco Travaglio oggi la racconta così:
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Re: Diario della caduta di un regime.
Voce del verbo Incalzare
(Marco Travaglio).
17/03/2015 di triskel182
Finora, a ogni scandalo, abbiamo sempre riconosciuto che Matteo Renzi e il suo governo non c’entravano, perché erano appena arrivati.
Da ieri, con l’arresto di Ercole Incalza, non è più così. Il governo c’entra eccome.
Il premier vede platealmente rottamata la sua presunta rottamazione e deve spiegare molte cose, al Parlamento e all’opinione pubblica.
E il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi (Ncd) se ne deve andare alla svelta. Il fatto che non sia indagato non vuol dire nulla: per molto meno Renzi due anni fa, quando era ancora un aspirante segretario del Pd, chiese la testa di due ministri del governo Letta, Alfano e Cancellieri, che non erano indagati, ma certamente responsabili di condotte ritenute incompatibili con le loro funzioni (sequestro Shalabayeva e teleraccomandazioni alla figlia di Ligresti).
Lupi deve sloggiare o essere sloggiato non tanto per la storia dei presunti favori a suo figlio da parte di un costruttore arrestato, quanto soprattutto per aver confermato un anno fa e lasciato fino alla scadenza del mese scorso al suo posto di capo della struttura tecnica di mission e del ministero delle Infrastrutture Ercole Incalza, vecchia conoscenza di procure e tribunali.
Né Lupi né Renzi possono dire che non sapevano: nel febbraio 2014, appena nacque il governo, e poi ancora a giugno con un editoriale di Marco Lillo (“O Incalza o Cantone”), il Fatto aveva incalzato – è il caso di dirlo – il governo a rimuovere quel soggetto poco raccomandabile per “820 mila ragioni”: tanti erano gli euro sganciati dall’architetto Zampolini (vedi alla voce Cricca) nel 2004 per pagare la casa a suo genero, a due passi da piazza del Popolo, bissando l’operazione Scajola.
Solo che Scajola disse che la casa gliel’avevano comprata a sua insaputa.
Per Incalza invece la lista degli insaputisti va allargata ai sette governi che gli hanno lasciato le mani in pasta.
Ingaggiato da Lunardi (Berlusconi-2), Ercolino Sempreinpiedi fu cacciato da Di Pietro (Prodi-2), poi riesumato da Matteoli (Berlusconi-3) e lasciato lì tanto da Passera (Monti), quanto da Lupi (governi Letta e Renzi).
E siccome un bel giorno andò finalmente in pensione, fu subito riciclato come consulente.
Con l’aggravante che, quando nacque il governo Renzi, Incalza era stato appena indagato (avviso n. 15!) a Firenze per gli appalti truccati del Tav.
Eppure fu subito rinnovato per un altro anno, con un concorso ad hoc. E quando i 5Stelle ne chiesero conto alla Camera, Lupi si presentò a leggere una imbarazzante difesa scritta dal suo avvocato.
Quindi, per favore, questi tartufi che in men che non si dica votano la legge per farla pagare ai giudici mentre da due anni non riescono a votare l’anticorruzione (anzi, riescono a non votarla), ci risparmino almeno lo stupore.
Oltreché ramificato e invincibile – almeno finché nessuno si deciderà a combatterla sul serio – la nostra Tangentopoli è anche ampiamente prevedibile: un piccolo mondo antico dove non c’è ricambio nemmeno fra i faccendieri, infatti s’incontrano sempre i soliti noti, già inquisiti ai tempi di Mani Pulite, poi reinquisiti negli anni 90 e 2000, tutti rimasti ai posti di combattimento. Non nonostante, ma in virtù dei loro trascorsi penali.
Che, nel Paese di Sottosopra, fanno curriculum e sono indice di esperienza e affidabilità. Greganti, Frigerio e Grillo (Luigi) in Expo. Maltauro e Baita nel Mose. E ora Incalza, già balzato alle cronache giudiziarie nel 1996 per gli scandali ferroviari di Necci & Pacini Battaglia.
Se poi qualcuno è proprio troppo vecchio per trafficare col girello e la flebo, o magari è passato a miglior vita, trasmette il background alla prole: nelle carte di Firenze, fra i comprimari non indagati, affiorano i nomi di Pasquale Trane, figlio del socialista pugliese Rocco, e Giovanni Li Calzi, figlio dell’ex assessore comunista milanese Epifanio.
Fra gli indagati invece troneggia Vito Bonsignore, che non è il figlio dell’andreottiano condannato per tentata corruzione a Torino negli anni 90 e di nuovo pizzicato 10 anni fa nelle scalate dei furbetti del quartierino: è sempre lui, solo che ora è uno degli azionisti di maggioranza – come pure Incalza – di Ncd, prezioso alleato di Renzi, acronimo di Nuovo Centro Destra (per distinguerlo dal vecchio), accreditato dai giornaloni come la “nuova destra liberale ed europea”.
E Antonio Bargone non è un parente dell’ex deputato Pci-Pds-Ds, dalemiano di ferro e sottosegretario ai Lavori pubblici di Prodi e D’Alema: è sempre lui, solo che s’è messo in proprio e presiede le autolinee Sat.
Idem per altri coprotagonisti, anch’essi inquisiti, tipo Rocco Girlanda (ex deputato Pdl e sottosegretario di Letta), Stefano Saglia (ex deputato di An e del Pdl), Fedele Sanciu (ex senatore Pdl) e Alfredo Peri del Pd, assessore della giunta regionale dell’Emilia-Romagna guidata da Vasco Errani, poi caduta per la condanna del governatore per falso in atto pubblico.
A prescindere dalle responsabilità penali, che sono personali e saranno vagliate dai giudici, finisce alla sbarra la banda larga dei soliti noti, che da 30 anni “fa il bello e il cattivo tempo” nella grande mangiatoia delle grandi opere: Prima e Seconda Repubblica, governi politici e tecnici, destra e centro e sinistra, rottamati e rottamatori.
L’unico leader che ebbe il coraggio di liberarsi di Incalza, Di Pietro, è anche l’unico espulso dal Parlamento: era incompatibile col sistema.
Per anni ha proposto una legge semplice semplice: fuori dalle pubbliche funzioni i politici e gli amministratori condannati e fuori dalle gare pubbliche gl’imprenditori condannati.
È quello che Renzi chiama “Daspo per i corrotti”, credendo di averlo inventato lui. Ma si guarda bene dal farlo. Ora forse è più chiaro perché.
Da Il Fatto Quotidiano del 17/03/2015.
(Marco Travaglio).
17/03/2015 di triskel182
Finora, a ogni scandalo, abbiamo sempre riconosciuto che Matteo Renzi e il suo governo non c’entravano, perché erano appena arrivati.
Da ieri, con l’arresto di Ercole Incalza, non è più così. Il governo c’entra eccome.
Il premier vede platealmente rottamata la sua presunta rottamazione e deve spiegare molte cose, al Parlamento e all’opinione pubblica.
E il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi (Ncd) se ne deve andare alla svelta. Il fatto che non sia indagato non vuol dire nulla: per molto meno Renzi due anni fa, quando era ancora un aspirante segretario del Pd, chiese la testa di due ministri del governo Letta, Alfano e Cancellieri, che non erano indagati, ma certamente responsabili di condotte ritenute incompatibili con le loro funzioni (sequestro Shalabayeva e teleraccomandazioni alla figlia di Ligresti).
Lupi deve sloggiare o essere sloggiato non tanto per la storia dei presunti favori a suo figlio da parte di un costruttore arrestato, quanto soprattutto per aver confermato un anno fa e lasciato fino alla scadenza del mese scorso al suo posto di capo della struttura tecnica di mission e del ministero delle Infrastrutture Ercole Incalza, vecchia conoscenza di procure e tribunali.
Né Lupi né Renzi possono dire che non sapevano: nel febbraio 2014, appena nacque il governo, e poi ancora a giugno con un editoriale di Marco Lillo (“O Incalza o Cantone”), il Fatto aveva incalzato – è il caso di dirlo – il governo a rimuovere quel soggetto poco raccomandabile per “820 mila ragioni”: tanti erano gli euro sganciati dall’architetto Zampolini (vedi alla voce Cricca) nel 2004 per pagare la casa a suo genero, a due passi da piazza del Popolo, bissando l’operazione Scajola.
Solo che Scajola disse che la casa gliel’avevano comprata a sua insaputa.
Per Incalza invece la lista degli insaputisti va allargata ai sette governi che gli hanno lasciato le mani in pasta.
Ingaggiato da Lunardi (Berlusconi-2), Ercolino Sempreinpiedi fu cacciato da Di Pietro (Prodi-2), poi riesumato da Matteoli (Berlusconi-3) e lasciato lì tanto da Passera (Monti), quanto da Lupi (governi Letta e Renzi).
E siccome un bel giorno andò finalmente in pensione, fu subito riciclato come consulente.
Con l’aggravante che, quando nacque il governo Renzi, Incalza era stato appena indagato (avviso n. 15!) a Firenze per gli appalti truccati del Tav.
Eppure fu subito rinnovato per un altro anno, con un concorso ad hoc. E quando i 5Stelle ne chiesero conto alla Camera, Lupi si presentò a leggere una imbarazzante difesa scritta dal suo avvocato.
Quindi, per favore, questi tartufi che in men che non si dica votano la legge per farla pagare ai giudici mentre da due anni non riescono a votare l’anticorruzione (anzi, riescono a non votarla), ci risparmino almeno lo stupore.
Oltreché ramificato e invincibile – almeno finché nessuno si deciderà a combatterla sul serio – la nostra Tangentopoli è anche ampiamente prevedibile: un piccolo mondo antico dove non c’è ricambio nemmeno fra i faccendieri, infatti s’incontrano sempre i soliti noti, già inquisiti ai tempi di Mani Pulite, poi reinquisiti negli anni 90 e 2000, tutti rimasti ai posti di combattimento. Non nonostante, ma in virtù dei loro trascorsi penali.
Che, nel Paese di Sottosopra, fanno curriculum e sono indice di esperienza e affidabilità. Greganti, Frigerio e Grillo (Luigi) in Expo. Maltauro e Baita nel Mose. E ora Incalza, già balzato alle cronache giudiziarie nel 1996 per gli scandali ferroviari di Necci & Pacini Battaglia.
Se poi qualcuno è proprio troppo vecchio per trafficare col girello e la flebo, o magari è passato a miglior vita, trasmette il background alla prole: nelle carte di Firenze, fra i comprimari non indagati, affiorano i nomi di Pasquale Trane, figlio del socialista pugliese Rocco, e Giovanni Li Calzi, figlio dell’ex assessore comunista milanese Epifanio.
Fra gli indagati invece troneggia Vito Bonsignore, che non è il figlio dell’andreottiano condannato per tentata corruzione a Torino negli anni 90 e di nuovo pizzicato 10 anni fa nelle scalate dei furbetti del quartierino: è sempre lui, solo che ora è uno degli azionisti di maggioranza – come pure Incalza – di Ncd, prezioso alleato di Renzi, acronimo di Nuovo Centro Destra (per distinguerlo dal vecchio), accreditato dai giornaloni come la “nuova destra liberale ed europea”.
E Antonio Bargone non è un parente dell’ex deputato Pci-Pds-Ds, dalemiano di ferro e sottosegretario ai Lavori pubblici di Prodi e D’Alema: è sempre lui, solo che s’è messo in proprio e presiede le autolinee Sat.
Idem per altri coprotagonisti, anch’essi inquisiti, tipo Rocco Girlanda (ex deputato Pdl e sottosegretario di Letta), Stefano Saglia (ex deputato di An e del Pdl), Fedele Sanciu (ex senatore Pdl) e Alfredo Peri del Pd, assessore della giunta regionale dell’Emilia-Romagna guidata da Vasco Errani, poi caduta per la condanna del governatore per falso in atto pubblico.
A prescindere dalle responsabilità penali, che sono personali e saranno vagliate dai giudici, finisce alla sbarra la banda larga dei soliti noti, che da 30 anni “fa il bello e il cattivo tempo” nella grande mangiatoia delle grandi opere: Prima e Seconda Repubblica, governi politici e tecnici, destra e centro e sinistra, rottamati e rottamatori.
L’unico leader che ebbe il coraggio di liberarsi di Incalza, Di Pietro, è anche l’unico espulso dal Parlamento: era incompatibile col sistema.
Per anni ha proposto una legge semplice semplice: fuori dalle pubbliche funzioni i politici e gli amministratori condannati e fuori dalle gare pubbliche gl’imprenditori condannati.
È quello che Renzi chiama “Daspo per i corrotti”, credendo di averlo inventato lui. Ma si guarda bene dal farlo. Ora forse è più chiaro perché.
Da Il Fatto Quotidiano del 17/03/2015.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Sostiene Travaglio:
Lupi deve sloggiare o essere sloggiato non tanto per la storia dei presunti favori a suo figlio da parte di un costruttore arrestato, quanto soprattutto per aver confermato un anno fa e lasciato fino alla scadenza del mese scorso al suo posto di capo della struttura tecnica di mission e del ministero delle Infrastrutture Ercole Incalza, vecchia conoscenza di procure e tribunali.
Il riferimento del direttore di IFQ è questo:
Di Battista denuncia Incalza in Parlamento a luglio 2014.
17/03/2015 di triskel182
Lupi tace sull'intoccabile "Papavero" Incalza
https://www.youtube.com/watch?v=vF55RjhAjgU
Lupi deve sloggiare o essere sloggiato non tanto per la storia dei presunti favori a suo figlio da parte di un costruttore arrestato, quanto soprattutto per aver confermato un anno fa e lasciato fino alla scadenza del mese scorso al suo posto di capo della struttura tecnica di mission e del ministero delle Infrastrutture Ercole Incalza, vecchia conoscenza di procure e tribunali.
Il riferimento del direttore di IFQ è questo:
Di Battista denuncia Incalza in Parlamento a luglio 2014.
17/03/2015 di triskel182
Lupi tace sull'intoccabile "Papavero" Incalza
https://www.youtube.com/watch?v=vF55RjhAjgU
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Re: Diario della caduta di un regime.
Renzi... INCALZAto
mentre il governo... balla coi LUPI
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Re: Diario della caduta di un regime.
Tangenti, Delrio: “Dimissioni di Lupi? Valutazioni in corso. Deciderà lui”
Politica
"Non c'è nessuno obbligo - ha spiegato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel corso della presentazione del suo libro "Cambiando l’Italia" - il ministro non è indagato. Poi c'è la decisione che spetta al sindaco". Galletti, ministro dell'Ambiente: "Non c'è alcun avviso di garanzia, non bisogna strumentalizzare"
di F. Q. | 17 marzo 2015 COMMENTI
“Dobbiamo stare ai fatti. Lupi non è indagato, i fatti non sono tutti a nostra conoscenza. E’ chiaro che ci sono valutazioni politiche che si faranno ma ci vuole un po’ più di contezza delle carte. Poi c’è una decisione che spetta al singolo e credo che sia in corso una valutazione da parte del ministro”. Lo ha detto Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nel corso della presentazione alla Camera del suo libro Cambiando l’Italia., parlando dello scandalo delle tangenti per le Grandi opere che ha portato in carcere Ettore Incalza, storico manager del ministero delle Infrastrutture, e coinvolto il titolare del dicastero, Maurizio Lupi.
“Non c’è nessuno obbligo da parte del ministro – ha spiegato Delrio – ci sono poi le valutazioni politiche che sono oggetto di valutazioni complessive che si stanno facendo in queste ore”. Per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio “ad oggi nessuno di noi può fare valutazioni. Poi c’è la decisione che spetta al singolo, che può fare delle scelte a prescindere. Credo che una valutazione da parte sua sia in corso, dipende da lui e non da me. Da parte nostra c’è un elemento di prudenza perchè stiamo valutando quello che è successo”.
Molto più netta la posizione del ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti: “Non esiste un caso Lupi. Stiamo parlando di un ministro che non ha né un avviso di garanzia, né nulla. Credo che essere colpevolisti va bene, ma non ci può essere un’esasperazione di questo genere perché allora non si tratta più di colpevolismo, ma diventa una strumentalizzazione e strumentalizzare vicende di questo genere soprattutto quando ci sono di mezzo rapporti familiari la trovo una cosa tristissima”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03 ... o/1514471/
Politica
"Non c'è nessuno obbligo - ha spiegato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel corso della presentazione del suo libro "Cambiando l’Italia" - il ministro non è indagato. Poi c'è la decisione che spetta al sindaco". Galletti, ministro dell'Ambiente: "Non c'è alcun avviso di garanzia, non bisogna strumentalizzare"
di F. Q. | 17 marzo 2015 COMMENTI
“Dobbiamo stare ai fatti. Lupi non è indagato, i fatti non sono tutti a nostra conoscenza. E’ chiaro che ci sono valutazioni politiche che si faranno ma ci vuole un po’ più di contezza delle carte. Poi c’è una decisione che spetta al singolo e credo che sia in corso una valutazione da parte del ministro”. Lo ha detto Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nel corso della presentazione alla Camera del suo libro Cambiando l’Italia., parlando dello scandalo delle tangenti per le Grandi opere che ha portato in carcere Ettore Incalza, storico manager del ministero delle Infrastrutture, e coinvolto il titolare del dicastero, Maurizio Lupi.
“Non c’è nessuno obbligo da parte del ministro – ha spiegato Delrio – ci sono poi le valutazioni politiche che sono oggetto di valutazioni complessive che si stanno facendo in queste ore”. Per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio “ad oggi nessuno di noi può fare valutazioni. Poi c’è la decisione che spetta al singolo, che può fare delle scelte a prescindere. Credo che una valutazione da parte sua sia in corso, dipende da lui e non da me. Da parte nostra c’è un elemento di prudenza perchè stiamo valutando quello che è successo”.
Molto più netta la posizione del ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti: “Non esiste un caso Lupi. Stiamo parlando di un ministro che non ha né un avviso di garanzia, né nulla. Credo che essere colpevolisti va bene, ma non ci può essere un’esasperazione di questo genere perché allora non si tratta più di colpevolismo, ma diventa una strumentalizzazione e strumentalizzare vicende di questo genere soprattutto quando ci sono di mezzo rapporti familiari la trovo una cosa tristissima”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03 ... o/1514471/
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Re: Diario della caduta di un regime.
IL CASO
Inchiesta grandi Opere, Matteo Renzi spera che Maurizio Lupi faccia 'il passo indietro'
Solo nell'NCd qualcuno lo difende, da Schifani a Giovanardi. Per il resto, silenzio da Alfano. Mentre il premier spera che il ministro delle Infrastrutture, coinvolto ma non indagato nell'inchiesta 'Sistema', presenti le dimissioni
DI SUSANNA TURCO
17 marzo 2015
Inchiesta grandi Opere, Matteo Renzi spera che Maurizio Lupi faccia 'il passo indietro'
Difenderlo, lo difendono in pochi. E praticamente tutti dell’Ncd: Schifani, Sacconi, Giovanardi. Non una parola dal suo capo partito Angelino Alfano. E ancor meno dal suo capo di governo, Matteo Renzi, che anzi stando alle ultime spera, si aspetta, un passo indietro spontaneo. Maurizio Lupi, ministro alle Infrastrutture, coinvolto ma non indagato nell’inchiesta “Sistema” che ha travolto il vertici del suo ministero a partire dall’ex direttore della struttura tecnica di missione Ercole Incalza, per il momento resiste: a botta calda ha detto “no” alle dimissioni (“e perché dovrei?”), ricalcando quello che è l’iter classico in situazioni come questa.
E’ disponibile, certo, a chiarire in ogni sede la propria estraneità al sistema corruttivo che girava intorno agli appalti sulle Grandi opere, e anzi lo farà in tempi brevissimi: in attesa di una mozione di sfiducia, che già Cinque Stelle e Sel hanno annunciato, la capigruppo del Senato ha già detto sì alla richiesta che svolga un’informativa urgente, formulata dalla Lega e subito appoggiata da Pd e Ncd.
Nelle carte dell'inchiesta sugli appalti anche il titolare delle Infrastrutture, che non è indagato. Secondo l'accusa avrebbe ricevuto doni per sé e per il figlio, incluso un rolex. La replica: "Mai chiesto favori"
Ma non si sa quanto possa e voglia resistere alla pressione, incredibile, che si è avvitata contro di lui. Non c’è infatti solo il fattore giudiziario: su quello si aspettano sviluppi, e comunque allo stato il suo è un profilo alla Scajola, all’a sua insaputa. Quello di un manovrato, piuttosto che di un manovratore: “Sempre tutto Ercolino fa. Tutto tutto tutto! TI posso garantire. Maurizio crede di fare qualcosa. Ma fa quello che gli dice quest’altro”, dice Giovanni Paolo Gaspari, consigliere del ministero, al telefono con Giulio Burchi, già presidente di Italferr spa.
E’ piuttosto il profilo politico, quello più problematico. Il caso Lupi è infatti il primo che si è consumato (anche) sotto il governo Renzi, il primo dal quale il premier non possa dire la propria gestione estranea. Non per caso, adesso anche in casa Pd, c’è chi come Pippo Civati gli ricorda il comportamento che l’ex rottamatore ebbe nel caso Cancellieri, quando chiese a gran voce anche all’allora premier Letta le dimissioni della ministra non per motivi giudiziari (neanche lei era indagata, per le telefonate fatte all’epoca dell’arresto di Giulia Ligresti) ma bensì di “opportunità politica”.
Ercole Incalza, dirigente del ministero delle Infrastrutture per quattordici anni, ha attraversato sette governi finendo spesso nelle maglie delle Procure. Voluto a Roma dall’ex ministro azzurro Pietro Lunardi è una costante di tutti i lavori milionari degli ultimi trent’anni in Italia: dal G8, alla Tav fino alla cricca di Diego Anemone
Ancor più è delicato per Renzi il caso Lupi, perché è scoppiato nel bel mezzo della riforma della giustizia, e proprio quando si sta riformando la disciplina sulla corruzione, danneggiando in qualche modo l’immagine cristallina del giro di vite complessivo voluto dal premier. Il governo è corso mediaticamente subito ai ripari, presentando ieri di gran carriera l’emendamento al falso in bilancio che bloccava il ddl anticorruzione al Senato. Ma sul fronte della credibilità nel riformare la giustizia, della forza d’urto necessaria a farlo, è chiaro che il caso Lupi scopre un fianco al governo. Come dimostra il durissimo attacco di Rodolfo Sabelli, presidente dell’Anm, che oggi a Unomattina ha detto “"i magistrati sono stati virtualmente schiaffeggiati e i corrotti accarezzati", quando invece "uno Stato che funzioni dovrebbe prendere a schiaffi i corrotti e accarezzare chi esercita il controllo di legalità". Altrettanto dura è stata la risposta di Renzi: : “Frase ingiusta e triste, che fa male. Si può contestare un singolo fatto ma dire quelle cose lì, avendo una responsabilità, è triste”, ha detto. Ma i toni del premier a loro volta tradiscono una rabbia, peraltro comprensibile, ma che difficilmente sarà priva di conseguenze.
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
Inchiesta grandi Opere, Matteo Renzi spera che Maurizio Lupi faccia 'il passo indietro'
Solo nell'NCd qualcuno lo difende, da Schifani a Giovanardi. Per il resto, silenzio da Alfano. Mentre il premier spera che il ministro delle Infrastrutture, coinvolto ma non indagato nell'inchiesta 'Sistema', presenti le dimissioni
DI SUSANNA TURCO
17 marzo 2015
Inchiesta grandi Opere, Matteo Renzi spera che Maurizio Lupi faccia 'il passo indietro'
Difenderlo, lo difendono in pochi. E praticamente tutti dell’Ncd: Schifani, Sacconi, Giovanardi. Non una parola dal suo capo partito Angelino Alfano. E ancor meno dal suo capo di governo, Matteo Renzi, che anzi stando alle ultime spera, si aspetta, un passo indietro spontaneo. Maurizio Lupi, ministro alle Infrastrutture, coinvolto ma non indagato nell’inchiesta “Sistema” che ha travolto il vertici del suo ministero a partire dall’ex direttore della struttura tecnica di missione Ercole Incalza, per il momento resiste: a botta calda ha detto “no” alle dimissioni (“e perché dovrei?”), ricalcando quello che è l’iter classico in situazioni come questa.
E’ disponibile, certo, a chiarire in ogni sede la propria estraneità al sistema corruttivo che girava intorno agli appalti sulle Grandi opere, e anzi lo farà in tempi brevissimi: in attesa di una mozione di sfiducia, che già Cinque Stelle e Sel hanno annunciato, la capigruppo del Senato ha già detto sì alla richiesta che svolga un’informativa urgente, formulata dalla Lega e subito appoggiata da Pd e Ncd.
Nelle carte dell'inchiesta sugli appalti anche il titolare delle Infrastrutture, che non è indagato. Secondo l'accusa avrebbe ricevuto doni per sé e per il figlio, incluso un rolex. La replica: "Mai chiesto favori"
Ma non si sa quanto possa e voglia resistere alla pressione, incredibile, che si è avvitata contro di lui. Non c’è infatti solo il fattore giudiziario: su quello si aspettano sviluppi, e comunque allo stato il suo è un profilo alla Scajola, all’a sua insaputa. Quello di un manovrato, piuttosto che di un manovratore: “Sempre tutto Ercolino fa. Tutto tutto tutto! TI posso garantire. Maurizio crede di fare qualcosa. Ma fa quello che gli dice quest’altro”, dice Giovanni Paolo Gaspari, consigliere del ministero, al telefono con Giulio Burchi, già presidente di Italferr spa.
E’ piuttosto il profilo politico, quello più problematico. Il caso Lupi è infatti il primo che si è consumato (anche) sotto il governo Renzi, il primo dal quale il premier non possa dire la propria gestione estranea. Non per caso, adesso anche in casa Pd, c’è chi come Pippo Civati gli ricorda il comportamento che l’ex rottamatore ebbe nel caso Cancellieri, quando chiese a gran voce anche all’allora premier Letta le dimissioni della ministra non per motivi giudiziari (neanche lei era indagata, per le telefonate fatte all’epoca dell’arresto di Giulia Ligresti) ma bensì di “opportunità politica”.
Ercole Incalza, dirigente del ministero delle Infrastrutture per quattordici anni, ha attraversato sette governi finendo spesso nelle maglie delle Procure. Voluto a Roma dall’ex ministro azzurro Pietro Lunardi è una costante di tutti i lavori milionari degli ultimi trent’anni in Italia: dal G8, alla Tav fino alla cricca di Diego Anemone
Ancor più è delicato per Renzi il caso Lupi, perché è scoppiato nel bel mezzo della riforma della giustizia, e proprio quando si sta riformando la disciplina sulla corruzione, danneggiando in qualche modo l’immagine cristallina del giro di vite complessivo voluto dal premier. Il governo è corso mediaticamente subito ai ripari, presentando ieri di gran carriera l’emendamento al falso in bilancio che bloccava il ddl anticorruzione al Senato. Ma sul fronte della credibilità nel riformare la giustizia, della forza d’urto necessaria a farlo, è chiaro che il caso Lupi scopre un fianco al governo. Come dimostra il durissimo attacco di Rodolfo Sabelli, presidente dell’Anm, che oggi a Unomattina ha detto “"i magistrati sono stati virtualmente schiaffeggiati e i corrotti accarezzati", quando invece "uno Stato che funzioni dovrebbe prendere a schiaffi i corrotti e accarezzare chi esercita il controllo di legalità". Altrettanto dura è stata la risposta di Renzi: : “Frase ingiusta e triste, che fa male. Si può contestare un singolo fatto ma dire quelle cose lì, avendo una responsabilità, è triste”, ha detto. Ma i toni del premier a loro volta tradiscono una rabbia, peraltro comprensibile, ma che difficilmente sarà priva di conseguenze.
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