quo vadis PD ????
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Re: quo vadis PD ????
A proposito della legge elettorale
L'unico modo per evitare che il Parlamento venga eletto sulla base di una legge incostituzionale è, oltre che fare bene la legge, consentire alla Corte di pronunciarsi , come avviene in Francia, prima anziché dopo”. dice un esponente della minoranza Dem
dice il presidente Criscuolo “La consulenza preventiva può essere una formula non opportuna".
Questa è la situazione, ormai vedo che anche la logica non esiste più.
Allora si faccia la legge come vogliono e subito , prima che venga applicata, si faccia un referendum abrogativo e se lo perdono ...A CAASAA !!!
Però non si può continuare con i referendum e le leggi di iniziativa popolare alle condizioni attuali in cui la maggioranza dei cittadini non crede più alla politica e quindi se ne stanno a casa.
L'unico modo per evitare che il Parlamento venga eletto sulla base di una legge incostituzionale è, oltre che fare bene la legge, consentire alla Corte di pronunciarsi , come avviene in Francia, prima anziché dopo”. dice un esponente della minoranza Dem
dice il presidente Criscuolo “La consulenza preventiva può essere una formula non opportuna".
Questa è la situazione, ormai vedo che anche la logica non esiste più.
Allora si faccia la legge come vogliono e subito , prima che venga applicata, si faccia un referendum abrogativo e se lo perdono ...A CAASAA !!!
Però non si può continuare con i referendum e le leggi di iniziativa popolare alle condizioni attuali in cui la maggioranza dei cittadini non crede più alla politica e quindi se ne stanno a casa.
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Re: quo vadis PD ????
Pd Roma, Barca a Orfini: "Partito pericoloso-clientelare"
Matteo Orfini
"Un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso" che "lavora per gli eletti" anziché per i cittadini e "senza alcuna capacità di raggruppare e rappresentare la società del proprio quartiere". Si legge nella 'relazione intermedia' di mappatura dei circoli romani, affidata a Fabrizio Barca da Matteo Orfini in seguito al Commissariamento del partito della Capitale, esce la relazione intermedia che mostra, seppur parzialmente, il panorama incontrato fino ad oggi dal team di #mappailPd.
La relazione intermedia di MappailPd è consultabile anche online. "Si vanno delineando, a un estremo, i tratti di un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso: dove non c'è trasparenza e neppure attività - si legge nella relazione - che "lavora per gli eletti" anziché per i cittadini e dove traspaiono deformazioni clientelari e una presenza massiccia di "carne da cannone da tesseramento". Ma "bisogna essere attenti a distinguerlo dal partito che subisce inane lo scontro correntizio, le scorribande dei capibastone, e che svolge un'attività territoriale, ma senza alcuna capacità di raggruppare e rappresentare la società del proprio quartiere".
"Certo, si trovano, all'altro estremo, i segni di un partito davvero buono, che esprime progettualità, capacità di raggruppamento e rappresentanza, che ha percezione della propria responsabilità territoriale, sa agire con e sulle istituzioni, è aperto e interessante per le realtà associative del territorio e sa essere esso stesso associazione - inventando forme originali di intervento -, informando cittadini, iscritti e simpatizzanti - si legge ancora nella relazione di Fabrizio Barca sul Pd di Roma - Al contempo bisogna essere attenti a distinguerlo dal partito che lavora sodo e ha quegli obiettivi, ma a cui manca il metodo moderno per farcela, una tipologia difficile da valutare e che, per il peso delle correnti e di una logica generale di assoggettamento del partito agli eletti, ad alcuni potrebbe addirittura apparire come un 'partito cattivo'. E poi emerge una sorta di partito dormiente, dove si intravedono le potenzialità e le risorse per ben lavorare, e dove il peso di eletti e correnti è sfumato, ma che si è chiuso nell'autorefenzialità di una comunità a sé stante, poco aperta all'innovazione organizzativa, al ricambio, al resto del territorio". "Ma quanto 'partito buono' e 'partito cattivo' abbiamo sinora scoperto? È una domanda a cui non è possibile rispondere fino a che non avremo intervistato l'ultimo circolo e riletto l'insieme dei risultati", si chiarisce.
DA repubblica
Matteo Orfini
"Un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso" che "lavora per gli eletti" anziché per i cittadini e "senza alcuna capacità di raggruppare e rappresentare la società del proprio quartiere". Si legge nella 'relazione intermedia' di mappatura dei circoli romani, affidata a Fabrizio Barca da Matteo Orfini in seguito al Commissariamento del partito della Capitale, esce la relazione intermedia che mostra, seppur parzialmente, il panorama incontrato fino ad oggi dal team di #mappailPd.
La relazione intermedia di MappailPd è consultabile anche online. "Si vanno delineando, a un estremo, i tratti di un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso: dove non c'è trasparenza e neppure attività - si legge nella relazione - che "lavora per gli eletti" anziché per i cittadini e dove traspaiono deformazioni clientelari e una presenza massiccia di "carne da cannone da tesseramento". Ma "bisogna essere attenti a distinguerlo dal partito che subisce inane lo scontro correntizio, le scorribande dei capibastone, e che svolge un'attività territoriale, ma senza alcuna capacità di raggruppare e rappresentare la società del proprio quartiere".
"Certo, si trovano, all'altro estremo, i segni di un partito davvero buono, che esprime progettualità, capacità di raggruppamento e rappresentanza, che ha percezione della propria responsabilità territoriale, sa agire con e sulle istituzioni, è aperto e interessante per le realtà associative del territorio e sa essere esso stesso associazione - inventando forme originali di intervento -, informando cittadini, iscritti e simpatizzanti - si legge ancora nella relazione di Fabrizio Barca sul Pd di Roma - Al contempo bisogna essere attenti a distinguerlo dal partito che lavora sodo e ha quegli obiettivi, ma a cui manca il metodo moderno per farcela, una tipologia difficile da valutare e che, per il peso delle correnti e di una logica generale di assoggettamento del partito agli eletti, ad alcuni potrebbe addirittura apparire come un 'partito cattivo'. E poi emerge una sorta di partito dormiente, dove si intravedono le potenzialità e le risorse per ben lavorare, e dove il peso di eletti e correnti è sfumato, ma che si è chiuso nell'autorefenzialità di una comunità a sé stante, poco aperta all'innovazione organizzativa, al ricambio, al resto del territorio". "Ma quanto 'partito buono' e 'partito cattivo' abbiamo sinora scoperto? È una domanda a cui non è possibile rispondere fino a che non avremo intervistato l'ultimo circolo e riletto l'insieme dei risultati", si chiarisce.
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Re: quo vadis PD ????
VOCI DALL'ALDILA'
Cuperlo: «Senza sinistra non c'è più il Pd»
http://video.corriere.it/cuperlo-senza- ... 1e3618cfb1
Cuperlo: «Senza sinistra non c'è più il Pd»
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Re: quo vadis PD ????
DA REPUBBLICA
Convention minoranza Pd, D'Alema attacca Renzi: "Partito gestito con arroganza"
Alla riunione dell'opposizione interna, l'ex premier usa parole dure: "Macchina di potere che attira trasformisti". Poi la proposta: "Associazione per la rinascita della sinistra". Orfini replica: "Toni degni di una rissa da bar, offesa nostra comunità". Speranza: "No scissioni ma contributo costruttivo". Presente il renziano Carbone
ROMA - La sferzata arriva con Massimo D'Alema che al premier-segretario del Pd non risparmia critiche pesanti. Un'accusa su tutte: Matteo Renzi - dice senza in realtà nominarlo - gestisce il partito con arroganza. Soltanto qualche attimo prima era stato il capogruppo dem alla Camera, Roberto Speranza, a gettare acqua sul fuoco che alimenta costantemente lo scontro interno al Nazareno e a escludere fuoriuscite in seno al partito: "Chi pensa a scissioni o cose del genere - aveva spiegato - sbaglia, non è nel nostro vocabolario. Ma è giusto che ci sia un confronto. Da qui arriva un contributo costruttivo per rendere più forte il Pd". Si è svolta oggi all'Acquario di Roma l'iniziativa organizzata dalla sinistra Pd: una convention alla quale sono presenti, fra gli altri, Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Stefano Fassina, Pippo Civati, il renziano Ernesto Carbone e anche esponenti di Sel. E proprio sulla presenza di Carbone, Speranza dichiara: "Fa parte della segreteria nazionale ed è giusto che sia qui ad ascoltare un punto di vista diverso di un pezzo del Pd".
Da Torino, invece, è Matteo Orfini, presidente del Pd, a dire (prima dell'intervento di D'Alema): "Auguro buon lavoro a chi oggi è riunito all'Acquario romano, dove sono raccolte le minoranze del Pd. Però chiedo loro una riflessione: molti di loro mi hanno insegnato che quando un congresso è finito si lavora per l'unità del partito, non per quella della minoranza. Me lo ha insegnato soprattutto Bersani (qui video) che ha praticato questo insegnamento quando era segretario. Io non l'ho dimenticato, spero che non lo faccia neppure lui".
Le parole più dure nei confronti della dirigenza Pd - e dunque del segretario-premier - arrivano dunque a metà giornata da D'Alema che, in un discorso interrotto più volte dagli applausi, dice: il Pd è "un partito a forte componente personale e anche con un certo carico di arroganza. Occorre una riflessione su che cosa sta diventando il Pd. Non è un grande partito se stiamo al numero degli iscritti. I Ds ne avevano 600mila, c'è stata una riduzione della partecipazione politica che non solo non è contrastata ma è perseguita". E' diventato - prosegue - "la più grande macchina redistributrice del potere, che ne fa la più grande forza di attrazione del trasformismo italiano. Il saldo tra quelli che se ne vanno, che sono tantissimi, e quelli che vengono, è un saldo che difficilmente può essere considerato, sia quantitativamente che qualitativamente, positivo".
Quanto al ruolo - e soprattutto al peso - della minoranza interna rispetto alla dirigenza, D'Alema articola così la sua riflessione: "Questa parte del Pd può avere un peso solo se raggiunge un certo grado di unità nell'azione, altrimenti non avrà alcun peso. Io non sono partecipe di nessuno dei raggruppamenti in cui si suddividono le minoranze del Pd e non approvo che sia più di una. Diciamo che faccio parte della sinistra extraparlamentare - ha ironizzato -, però voglio dare due consigli: il primo, che non è un appello retorico, è che questa parte del Pd può avere un peso solo se raggiunge un certo grado di unità nell'azione, altrimenti non avrà alcun peso". E a tal fine "ci si diano strumenti in cui ci si riunisce, si cerca un punto di mediazione e si decide la posizione su cui convergere". Consiglio che ha riscosso l'applauso della platea. "Il secondo consiglio - è andato avanti - è che una componente minoritaria in un partito a forte componente personale e anche di arroganza, può avere peso solo se si muove con coerenza, definendo i punti invalicabili con assoluta intransigenza".
Un passaggio riguarda anche la partita del Colle: "Non credo - sottolinea - che il segretario del Pd abbia unito il partito sull'elezione del presidente della Repubblica sulla base di un afflato unitario e di un appello. Ha scelto un'altra strada quando ha capito che su quella strada avrebbe perso. Credo che non intenda altra strada che questa. Non si annunciano ultimatum, si danno dei colpi quando necessario"
Poi la proposta: "Condivido - continua l'ex premier - l'opinione di chi dice che dobbiamo dare battaglia in questo partito. Se vogliamo dare battaglia in questo partito, la battaglia si fa da dentro e da fuori. Renzi lo ha capito benissimo. Il sistema delle Leopolde si va diffondendo in ogni parte del Paese", quindi "dobbiamo creare una grande associazione per il rinnovamento e la rinascita della sinistra che non sia e non voglia essere un nuovo partito ma si proponga di offrire uno spazio di partecipazione e riflessione ai cittadini, membri del Pd o no, che sono una ricchezza che questo Paese non può disperdere".
A stretto giro, è di nuovo Orfini a intervenire. Stavolta lo fa su Twitter e, senza citare alcuno, storce chiaramente il naso dinanzi alle dichiarazioni appena rese da D'Alema definendole "toni degni di una rissa da bar".
Di tutt'altro avviso si mostra Bersani che commenta: "D'Alema ha detto una cosa sacrosanta: c'è tanta gente nel Pd in sofferenza e a disagio. Bisogna trovare il sistema, anche dal punto di vista organizzativo, per dialogare con questi mondi". Poi la risposta a una domanda mirata: "Non credo D'Alema strizzi l'occhio a Maurizio Landini".
Convention minoranza Pd, D'Alema attacca Renzi: "Partito gestito con arroganza"
Alla riunione dell'opposizione interna, l'ex premier usa parole dure: "Macchina di potere che attira trasformisti". Poi la proposta: "Associazione per la rinascita della sinistra". Orfini replica: "Toni degni di una rissa da bar, offesa nostra comunità". Speranza: "No scissioni ma contributo costruttivo". Presente il renziano Carbone
ROMA - La sferzata arriva con Massimo D'Alema che al premier-segretario del Pd non risparmia critiche pesanti. Un'accusa su tutte: Matteo Renzi - dice senza in realtà nominarlo - gestisce il partito con arroganza. Soltanto qualche attimo prima era stato il capogruppo dem alla Camera, Roberto Speranza, a gettare acqua sul fuoco che alimenta costantemente lo scontro interno al Nazareno e a escludere fuoriuscite in seno al partito: "Chi pensa a scissioni o cose del genere - aveva spiegato - sbaglia, non è nel nostro vocabolario. Ma è giusto che ci sia un confronto. Da qui arriva un contributo costruttivo per rendere più forte il Pd". Si è svolta oggi all'Acquario di Roma l'iniziativa organizzata dalla sinistra Pd: una convention alla quale sono presenti, fra gli altri, Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Stefano Fassina, Pippo Civati, il renziano Ernesto Carbone e anche esponenti di Sel. E proprio sulla presenza di Carbone, Speranza dichiara: "Fa parte della segreteria nazionale ed è giusto che sia qui ad ascoltare un punto di vista diverso di un pezzo del Pd".
Da Torino, invece, è Matteo Orfini, presidente del Pd, a dire (prima dell'intervento di D'Alema): "Auguro buon lavoro a chi oggi è riunito all'Acquario romano, dove sono raccolte le minoranze del Pd. Però chiedo loro una riflessione: molti di loro mi hanno insegnato che quando un congresso è finito si lavora per l'unità del partito, non per quella della minoranza. Me lo ha insegnato soprattutto Bersani (qui video) che ha praticato questo insegnamento quando era segretario. Io non l'ho dimenticato, spero che non lo faccia neppure lui".
Le parole più dure nei confronti della dirigenza Pd - e dunque del segretario-premier - arrivano dunque a metà giornata da D'Alema che, in un discorso interrotto più volte dagli applausi, dice: il Pd è "un partito a forte componente personale e anche con un certo carico di arroganza. Occorre una riflessione su che cosa sta diventando il Pd. Non è un grande partito se stiamo al numero degli iscritti. I Ds ne avevano 600mila, c'è stata una riduzione della partecipazione politica che non solo non è contrastata ma è perseguita". E' diventato - prosegue - "la più grande macchina redistributrice del potere, che ne fa la più grande forza di attrazione del trasformismo italiano. Il saldo tra quelli che se ne vanno, che sono tantissimi, e quelli che vengono, è un saldo che difficilmente può essere considerato, sia quantitativamente che qualitativamente, positivo".
Quanto al ruolo - e soprattutto al peso - della minoranza interna rispetto alla dirigenza, D'Alema articola così la sua riflessione: "Questa parte del Pd può avere un peso solo se raggiunge un certo grado di unità nell'azione, altrimenti non avrà alcun peso. Io non sono partecipe di nessuno dei raggruppamenti in cui si suddividono le minoranze del Pd e non approvo che sia più di una. Diciamo che faccio parte della sinistra extraparlamentare - ha ironizzato -, però voglio dare due consigli: il primo, che non è un appello retorico, è che questa parte del Pd può avere un peso solo se raggiunge un certo grado di unità nell'azione, altrimenti non avrà alcun peso". E a tal fine "ci si diano strumenti in cui ci si riunisce, si cerca un punto di mediazione e si decide la posizione su cui convergere". Consiglio che ha riscosso l'applauso della platea. "Il secondo consiglio - è andato avanti - è che una componente minoritaria in un partito a forte componente personale e anche di arroganza, può avere peso solo se si muove con coerenza, definendo i punti invalicabili con assoluta intransigenza".
Un passaggio riguarda anche la partita del Colle: "Non credo - sottolinea - che il segretario del Pd abbia unito il partito sull'elezione del presidente della Repubblica sulla base di un afflato unitario e di un appello. Ha scelto un'altra strada quando ha capito che su quella strada avrebbe perso. Credo che non intenda altra strada che questa. Non si annunciano ultimatum, si danno dei colpi quando necessario"
Poi la proposta: "Condivido - continua l'ex premier - l'opinione di chi dice che dobbiamo dare battaglia in questo partito. Se vogliamo dare battaglia in questo partito, la battaglia si fa da dentro e da fuori. Renzi lo ha capito benissimo. Il sistema delle Leopolde si va diffondendo in ogni parte del Paese", quindi "dobbiamo creare una grande associazione per il rinnovamento e la rinascita della sinistra che non sia e non voglia essere un nuovo partito ma si proponga di offrire uno spazio di partecipazione e riflessione ai cittadini, membri del Pd o no, che sono una ricchezza che questo Paese non può disperdere".
A stretto giro, è di nuovo Orfini a intervenire. Stavolta lo fa su Twitter e, senza citare alcuno, storce chiaramente il naso dinanzi alle dichiarazioni appena rese da D'Alema definendole "toni degni di una rissa da bar".
Di tutt'altro avviso si mostra Bersani che commenta: "D'Alema ha detto una cosa sacrosanta: c'è tanta gente nel Pd in sofferenza e a disagio. Bisogna trovare il sistema, anche dal punto di vista organizzativo, per dialogare con questi mondi". Poi la risposta a una domanda mirata: "Non credo D'Alema strizzi l'occhio a Maurizio Landini".
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Re: quo vadis PD ????
iospero ha scritto:Pd Roma, Barca a Orfini: "Partito pericoloso-clientelare"
Matteo Orfini
"Un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso" che "lavora per gli eletti" anziché per i cittadini e "senza alcuna capacità di raggruppare e rappresentare la società del proprio quartiere". Si legge nella 'relazione intermedia' di mappatura dei circoli romani, affidata a Fabrizio Barca da Matteo Orfini in seguito al Commissariamento del partito della Capitale, esce la relazione intermedia che mostra, seppur parzialmente, il panorama incontrato fino ad oggi dal team di #mappailPd.
La relazione intermedia di MappailPd è consultabile anche online. "Si vanno delineando, a un estremo, i tratti di un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso: dove non c'è trasparenza e neppure attività - si legge nella relazione - che "lavora per gli eletti" anziché per i cittadini e dove traspaiono deformazioni clientelari e una presenza massiccia di "carne da cannone da tesseramento". Ma "bisogna essere attenti a distinguerlo dal partito che subisce inane lo scontro correntizio, le scorribande dei capibastone, e che svolge un'attività territoriale, ma senza alcuna capacità di raggruppare e rappresentare la società del proprio quartiere".
"Certo, si trovano, all'altro estremo, i segni di un partito davvero buono, che esprime progettualità, capacità di raggruppamento e rappresentanza, che ha percezione della propria responsabilità territoriale, sa agire con e sulle istituzioni, è aperto e interessante per le realtà associative del territorio e sa essere esso stesso associazione - inventando forme originali di intervento -, informando cittadini, iscritti e simpatizzanti - si legge ancora nella relazione di Fabrizio Barca sul Pd di Roma - Al contempo bisogna essere attenti a distinguerlo dal partito che lavora sodo e ha quegli obiettivi, ma a cui manca il metodo moderno per farcela, una tipologia difficile da valutare e che, per il peso delle correnti e di una logica generale di assoggettamento del partito agli eletti, ad alcuni potrebbe addirittura apparire come un 'partito cattivo'. E poi emerge una sorta di partito dormiente, dove si intravedono le potenzialità e le risorse per ben lavorare, e dove il peso di eletti e correnti è sfumato, ma che si è chiuso nell'autorefenzialità di una comunità a sé stante, poco aperta all'innovazione organizzativa, al ricambio, al resto del territorio". "Ma quanto 'partito buono' e 'partito cattivo' abbiamo sinora scoperto? È una domanda a cui non è possibile rispondere fino a che non avremo intervistato l'ultimo circolo e riletto l'insieme dei risultati", si chiarisce.
DA repubblica
POLITICA
Fabrizio Barca, la verità sul Pd pericoloso
Politica
di Antonio Padellaro | 20 marzo 2015 COMMENTI
“Provace a venì qui che poi vedemo”.
Oppure: “Ho da fare fino a primavera”.
Sono alcune risposte dei capibastone del Pd romano a Fabrizio Barca, incaricato dal commissario Matteo Orfini di redigere il rapporto che definisce il sistema di potere dei Dem capitolini ‘non solo cattivo, ma pericoloso e dannoso’.
Non era mai accaduto che un esponente di partito denunciasse con tanto coraggio il marcio esistente nel suo stesso partito, soprattutto quando si parla di una sinistra che ha sempre fatto pesare la sua molto presunta ‘superiorità morale’.
Tipico di Barca. Lo ricordo qualche anno fa, a L’Aquila, in una caldissima giornata estiva, rispondere per ore in piazza del Duomo alle proteste dei tanti cittadini esasperati dall’abbandono post-terremoto.
Il sole picchiava, ma l’allora ministro della Coesione territoriale di Monti restò fino alla fine perché, ci fece capire, non c’è fatica che tenga quando si rappresenta lo Stato.
Chissà quante altre eccellenze avrebbero mollato tutto alla prima gocciolina di sudore.
Non ebbi più occasione di sentirlo fino al febbraio 2014, quando di lui si parlava come possibile ministro di Renzi.
Poi la telefonata con il finto Vendola alla La Zanzara, dove Barca definiva ciò che si muoveva attorno al Matteo nascente “avventurismo senza idee”, bruciò la poltrona che neppure voleva.
In politica, si sa, la verità ha un prezzo salatissimo. Ecco di che pasta è fatto Barca. Ecco perché il Pd ‘pericoloso e dannoso’ può fare a meno di lui.
Da ‘Stoccata e Fuga’, il Fatto Quotidiano, 20 marzo 2015
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Re: quo vadis PD ????
A Venezia vince Casson,
in Liguria
La confessione di don Farinella: "Porto la croce della sinistra con Pagano occasione storica"
Il parroco di San Torpete e la ricerca del candidato alternativo al Pd : "Un prete non dovrebbe mischiarsi alla politica ma il mio è un lavoro di supplenza" in chiesa comunisti, ambientalisti e cattolici cercano l'accordo sull'ex sindaco di Spezia
di WANDA VALLI
Ammette, don Paolo Farinella, dentro la sua chiesa "San Torpete", di fronte ai tanti che si sono ritrovati, per capire se è Giorgio Pagano, ex sindaco della Spezia, la giusta candidatura alternativa a quella di Raffaella Paita. Ammette, don Paolo, che non avrebbe dovuto essere lui, un prete, un uomo della Chiesa, a darsi da fare. Ma era già successo con don Gallo _ ("e io l'ho affiancato, sottolinea don Farinella )_ con la scelta di Marco Doria, e adesso ci risiamo. Non è un po' strano? Lui ammette ancora. Con enfasi. Dice: "E' segno di degrado sociale, non dovrebbero esserci preti in vicende del genere, io sto svolgendo un lavoro di supplenza". Eh sì, perché racconta più tardi ai molti che riempiono la chiesa, liberi pensatori, come sottolineano, esponenti del mondo ambientalista, della sinistra targata Pdci, della "Rete" fondata da Leoluca Orlando, nessuno "nella città medaglia d'oro della resistenza, poi protagonista del 30 giugno del '60", nessuno aveva trovato un'alternativa a chi "come la signora Paita si allea con la destra berlusconista d'ispirazione", mentre qualcun altro, la Lega di Salvini "stringe patti con i fascisti ". Ecco perché don Paolo Farinella si è messo in moto. E anche, spiega, per non perdere quella che definisce un'occasione storica, vale a dire cambiare rotta, invertire la politica della Regione a partire dall'ambiente, dal dissesto idrogeologico "che è stato alimentato, non combattuto", con le alluvioni che hanno visto "sparire per nove giorni Raffaella Paita, che pure era assessore alla Protezione civile". Ha ascoltato molta gente in due mesi, don Paolo, ha trovato disponibilità in Giorgio Pagano, ex Pci. Pds, Ds mai Pd, sindaco per dieci anni di una città, La Spezia che grazie a lui è cambiata radicalmente. Uno che finito quell'impegno, è ancora don Paolo a farlo notare, "forse caso unico ha rifiutato poltrone, ha scelto di occuparsi di cooperazione internazionale, soprattutto in Palestina". Sarà l'uomo giusto? A San Torpete si condensano desideri e modi di pensare la politica diversi: dal cattolicesimo impegnato (Angelo
IL DON Cifatte) all'ambientalismo, alla sinistra di chi come Sandro Viglino, ginecologo, un tempo responsabile sanità del Pci, poi lontano da quel mondo.
Giorgio Pagano "sarà un grande direttore d'orchestra, quindi si assumerà la responsabilità di scegliere uomini e donne del listino e della lista. E se è un leader non avrà paura di sceglierli bravi, anzi i migliori". Il messaggioappello di don Paolo si condensa in due punti: "Primo, il mio compito, scuotere il silenzio rassegnato intorno alla candidatura di Paita, finisce qui, non il mio impegno come cittadino. Secondo: noi siamo una coalizione sociale e popolare. perché non andiamo avanti da soli, e perché il nostro è il tentativo di un gruppo di persone senza potere che si rivolgono a altri come loro".
Giorgio Pagano ascolta attento, seduto al tavolo sistemato di fronte all'altare a fianco di don Paolo e Angelo Cifatte. Tocca a lui ripresentarsi. Lui che, quando era sindaco alla Spezia, aveva assessori che si chiamavano Luigi Merlo, ora presidente dell'Autorità portuale e Andrea Orlando, ministro della Giustizia, mentre una giovane Lella Paita, era diventata il suo capo di gabinetto. Pagano spiega che è stato davvero un inaspettata richiesta, quella di don Farinella, "mi ha messo in crisi, avevo scelto di stare in politica dal basso, occupandomi di Palestina, di cooperazione, cultura. Ho pensato a lungo e adesso sono qui, a dirvi: se riusciremo a mettere insieme un programma concreto, basato su ambiente, lavoro, con il reddito minimo garantito, potremo farcela". La questione morale, di una Regione dove le "spese pazze" sono ancora in primo piano, è un'altra ragione. E per vincere sarebbe bene trovare collaborazione
anche da parte della sinistra che, a sua volta, sta cercando nuove soluzioni. Anche per Giorgio Pagano le condizioni sono due: raccogliere un nucleo di forze vive e poi sapere che lui è pronto anche a farsi da parte, se si dovesse trovare un altro candidato. Ma San Torpete, don Paolo, "L'altra Liguria", gli ambientalisti, i liberi pensatori, non sono dell'idea. La sfida è difficile, il capitano è quello giusto.
in Liguria
La confessione di don Farinella: "Porto la croce della sinistra con Pagano occasione storica"
Il parroco di San Torpete e la ricerca del candidato alternativo al Pd : "Un prete non dovrebbe mischiarsi alla politica ma il mio è un lavoro di supplenza" in chiesa comunisti, ambientalisti e cattolici cercano l'accordo sull'ex sindaco di Spezia
di WANDA VALLI
Ammette, don Paolo Farinella, dentro la sua chiesa "San Torpete", di fronte ai tanti che si sono ritrovati, per capire se è Giorgio Pagano, ex sindaco della Spezia, la giusta candidatura alternativa a quella di Raffaella Paita. Ammette, don Paolo, che non avrebbe dovuto essere lui, un prete, un uomo della Chiesa, a darsi da fare. Ma era già successo con don Gallo _ ("e io l'ho affiancato, sottolinea don Farinella )_ con la scelta di Marco Doria, e adesso ci risiamo. Non è un po' strano? Lui ammette ancora. Con enfasi. Dice: "E' segno di degrado sociale, non dovrebbero esserci preti in vicende del genere, io sto svolgendo un lavoro di supplenza". Eh sì, perché racconta più tardi ai molti che riempiono la chiesa, liberi pensatori, come sottolineano, esponenti del mondo ambientalista, della sinistra targata Pdci, della "Rete" fondata da Leoluca Orlando, nessuno "nella città medaglia d'oro della resistenza, poi protagonista del 30 giugno del '60", nessuno aveva trovato un'alternativa a chi "come la signora Paita si allea con la destra berlusconista d'ispirazione", mentre qualcun altro, la Lega di Salvini "stringe patti con i fascisti ". Ecco perché don Paolo Farinella si è messo in moto. E anche, spiega, per non perdere quella che definisce un'occasione storica, vale a dire cambiare rotta, invertire la politica della Regione a partire dall'ambiente, dal dissesto idrogeologico "che è stato alimentato, non combattuto", con le alluvioni che hanno visto "sparire per nove giorni Raffaella Paita, che pure era assessore alla Protezione civile". Ha ascoltato molta gente in due mesi, don Paolo, ha trovato disponibilità in Giorgio Pagano, ex Pci. Pds, Ds mai Pd, sindaco per dieci anni di una città, La Spezia che grazie a lui è cambiata radicalmente. Uno che finito quell'impegno, è ancora don Paolo a farlo notare, "forse caso unico ha rifiutato poltrone, ha scelto di occuparsi di cooperazione internazionale, soprattutto in Palestina". Sarà l'uomo giusto? A San Torpete si condensano desideri e modi di pensare la politica diversi: dal cattolicesimo impegnato (Angelo
IL DON Cifatte) all'ambientalismo, alla sinistra di chi come Sandro Viglino, ginecologo, un tempo responsabile sanità del Pci, poi lontano da quel mondo.
Giorgio Pagano "sarà un grande direttore d'orchestra, quindi si assumerà la responsabilità di scegliere uomini e donne del listino e della lista. E se è un leader non avrà paura di sceglierli bravi, anzi i migliori". Il messaggioappello di don Paolo si condensa in due punti: "Primo, il mio compito, scuotere il silenzio rassegnato intorno alla candidatura di Paita, finisce qui, non il mio impegno come cittadino. Secondo: noi siamo una coalizione sociale e popolare. perché non andiamo avanti da soli, e perché il nostro è il tentativo di un gruppo di persone senza potere che si rivolgono a altri come loro".
Giorgio Pagano ascolta attento, seduto al tavolo sistemato di fronte all'altare a fianco di don Paolo e Angelo Cifatte. Tocca a lui ripresentarsi. Lui che, quando era sindaco alla Spezia, aveva assessori che si chiamavano Luigi Merlo, ora presidente dell'Autorità portuale e Andrea Orlando, ministro della Giustizia, mentre una giovane Lella Paita, era diventata il suo capo di gabinetto. Pagano spiega che è stato davvero un inaspettata richiesta, quella di don Farinella, "mi ha messo in crisi, avevo scelto di stare in politica dal basso, occupandomi di Palestina, di cooperazione, cultura. Ho pensato a lungo e adesso sono qui, a dirvi: se riusciremo a mettere insieme un programma concreto, basato su ambiente, lavoro, con il reddito minimo garantito, potremo farcela". La questione morale, di una Regione dove le "spese pazze" sono ancora in primo piano, è un'altra ragione. E per vincere sarebbe bene trovare collaborazione
anche da parte della sinistra che, a sua volta, sta cercando nuove soluzioni. Anche per Giorgio Pagano le condizioni sono due: raccogliere un nucleo di forze vive e poi sapere che lui è pronto anche a farsi da parte, se si dovesse trovare un altro candidato. Ma San Torpete, don Paolo, "L'altra Liguria", gli ambientalisti, i liberi pensatori, non sono dell'idea. La sfida è difficile, il capitano è quello giusto.
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Re: quo vadis PD ????
da ciwati
D’Alema, la pistola di Cechov e il lavoro che dobbiamo fare (che non è una corrente di partito)
Mi scrive Paolo Cosseddu, a proposito di alcune cose sentite oggi all'assemblea A sinistra del Pd.
“Questo partito – questo Renzi lo ha capito benissimo – è un partito nel quale si vince giocando dall’interno e dall’esterno. Una buona parte delle forze che sostengono la leadership di Renzi non è formata da iscritti al Partito Democratico. E lui ha trovato il modo di organizzare queste forze esterne: il sistema delle Leopolde si va diffondendo in ogni parte del Paese. Io penso che noi dobbiamo trovare un modo creativo di organizzare – non di fare gli iscritti alle correnti del Pd: per piacere, no – ma di creare una grande associazione per il rinnovamento e la rinascita della sinistra, che non sia e che non voglia essere un nuovo partito politico, ma che si proponga di offrire uno spazio di partecipazione e di riflessione a tantissimi cittadini, membri del Pd o non membri del Pd, che costituiscono una ricchezza che questo Paese non può disperdere”: così D’Alema oggi, all’assemblea A sinistra del Pd, e chi l’avrebbe mai detto che a un certo punto Massimo D’Alema avrebbe capito, anzi, avrebbe auspicato la Leopolda, lo schema che gli sta dietro?
Chi l’avrebbe detto che avrei sentito dire da Massimo D’Alema le stesse, identiche cose che mi sono ritrovato a ripetere per mesi e mesi, nel mio giro di quasi tutte le regioni italiane per la presentazione dell’Associazione Possibile che lanciammo l’anno scorso a Livorno? E chi – infine – avrebbe mai detto che questo discorso, questo schema di lavoro che ci era già tanto chiaro quando nel 2010 mi ritrovai tra gli organizzatori della prima Leopolda, solo cinque anni dopo sarebbe diventato così poco comprensibile per quella parte di sinistra e di centrosinistra che per le profondissime divergenze che si sono ulteriormente chiarite nel tempo, quel progetto lo ha abbandonato?
Per me era chiarissimo, nell’ottobre del 2010, che quando Sergio Staino salì sul palco a fare l’intervento forse più significativo di quella prima edizione, quello più simbolico, non lo faceva in quanto invitato a una convention di partito, perché persino l’inventore di Bobo e del racconto satirico che ha accompagnato tutta l’evoluzione della sinistra italiana sapeva perfettamente che non era quello il punto, il punto era riconoscere il progetto culturale che c’era dietro a ciò che stavamo facendo, riconoscere ciò che rappresentava e sentirsene parte malgrado una provenienza politica ed anagrafica molto differente.
Staino capiva esattamente a cosa serviva la Leopolda, e negli anni successivi lo capirono altrettanto bene (cambiandola in profondità) Baricco con le sue navi da bruciare, Farinetti, e tanti altri fino al finanziere Serra: tutta gente a cui del Pd in quanto Pd non importava e non importa nulla – e così al loro anfitrione, che non a caso ha sempre parlato del Pd di cui oggi ironicamente è segretario come di un mezzo e non un fine – gli importava invece e pure molto il modello di Paese che quel luogo stava delineando, un anno dopo l’altro. Tanto da mettere al servizio di quel progetto loro stessi, la loro capacità di rappresentare persone, di raccogliere idee e risorse. Non si trattava di costruire una corrente o una minoranza, ma di dare forza a un’idea più complessiva e più grande di governo del paese, ed è ancora questo il compito che ci dovremmo dare avendo vissuto come un tradimento l’evoluzione (per tacere del suo rapido invecchiamento) di quello originario.
Ed è incredibile che malgrado il tempo che è passato e le dimostrazioni empiriche ormai clamorose se ne debba ancora discutere, che non se ne capisca il senso, che questi anni non abbiano portato questa consapevolezza. Pensare che l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi sia come la fine della storia di Fukuyama, che si debba accettare questa realtà come immanente e ci si debba accontentare solo di lavorare sugli spazi residuali, sulle ridotte (sulle correnti), è un errore incomprensibile e fallito già in premessa, perché rinuncia a quella missione pensata del 2010, il cui scopo era ed è corretto: riunire una forza che vada ben aldilà di queste anguste e misere gabbie. Una forza che, se riunita, è come la pistola di Cechov: una volta che compare in scena, qualcuno poi la usa, Pd o non Pd.
segue intervento di Civati oggi a Bologna
D’Alema, la pistola di Cechov e il lavoro che dobbiamo fare (che non è una corrente di partito)
Mi scrive Paolo Cosseddu, a proposito di alcune cose sentite oggi all'assemblea A sinistra del Pd.
“Questo partito – questo Renzi lo ha capito benissimo – è un partito nel quale si vince giocando dall’interno e dall’esterno. Una buona parte delle forze che sostengono la leadership di Renzi non è formata da iscritti al Partito Democratico. E lui ha trovato il modo di organizzare queste forze esterne: il sistema delle Leopolde si va diffondendo in ogni parte del Paese. Io penso che noi dobbiamo trovare un modo creativo di organizzare – non di fare gli iscritti alle correnti del Pd: per piacere, no – ma di creare una grande associazione per il rinnovamento e la rinascita della sinistra, che non sia e che non voglia essere un nuovo partito politico, ma che si proponga di offrire uno spazio di partecipazione e di riflessione a tantissimi cittadini, membri del Pd o non membri del Pd, che costituiscono una ricchezza che questo Paese non può disperdere”: così D’Alema oggi, all’assemblea A sinistra del Pd, e chi l’avrebbe mai detto che a un certo punto Massimo D’Alema avrebbe capito, anzi, avrebbe auspicato la Leopolda, lo schema che gli sta dietro?
Chi l’avrebbe detto che avrei sentito dire da Massimo D’Alema le stesse, identiche cose che mi sono ritrovato a ripetere per mesi e mesi, nel mio giro di quasi tutte le regioni italiane per la presentazione dell’Associazione Possibile che lanciammo l’anno scorso a Livorno? E chi – infine – avrebbe mai detto che questo discorso, questo schema di lavoro che ci era già tanto chiaro quando nel 2010 mi ritrovai tra gli organizzatori della prima Leopolda, solo cinque anni dopo sarebbe diventato così poco comprensibile per quella parte di sinistra e di centrosinistra che per le profondissime divergenze che si sono ulteriormente chiarite nel tempo, quel progetto lo ha abbandonato?
Per me era chiarissimo, nell’ottobre del 2010, che quando Sergio Staino salì sul palco a fare l’intervento forse più significativo di quella prima edizione, quello più simbolico, non lo faceva in quanto invitato a una convention di partito, perché persino l’inventore di Bobo e del racconto satirico che ha accompagnato tutta l’evoluzione della sinistra italiana sapeva perfettamente che non era quello il punto, il punto era riconoscere il progetto culturale che c’era dietro a ciò che stavamo facendo, riconoscere ciò che rappresentava e sentirsene parte malgrado una provenienza politica ed anagrafica molto differente.
Staino capiva esattamente a cosa serviva la Leopolda, e negli anni successivi lo capirono altrettanto bene (cambiandola in profondità) Baricco con le sue navi da bruciare, Farinetti, e tanti altri fino al finanziere Serra: tutta gente a cui del Pd in quanto Pd non importava e non importa nulla – e così al loro anfitrione, che non a caso ha sempre parlato del Pd di cui oggi ironicamente è segretario come di un mezzo e non un fine – gli importava invece e pure molto il modello di Paese che quel luogo stava delineando, un anno dopo l’altro. Tanto da mettere al servizio di quel progetto loro stessi, la loro capacità di rappresentare persone, di raccogliere idee e risorse. Non si trattava di costruire una corrente o una minoranza, ma di dare forza a un’idea più complessiva e più grande di governo del paese, ed è ancora questo il compito che ci dovremmo dare avendo vissuto come un tradimento l’evoluzione (per tacere del suo rapido invecchiamento) di quello originario.
Ed è incredibile che malgrado il tempo che è passato e le dimostrazioni empiriche ormai clamorose se ne debba ancora discutere, che non se ne capisca il senso, che questi anni non abbiano portato questa consapevolezza. Pensare che l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi sia come la fine della storia di Fukuyama, che si debba accettare questa realtà come immanente e ci si debba accontentare solo di lavorare sugli spazi residuali, sulle ridotte (sulle correnti), è un errore incomprensibile e fallito già in premessa, perché rinuncia a quella missione pensata del 2010, il cui scopo era ed è corretto: riunire una forza che vada ben aldilà di queste anguste e misere gabbie. Una forza che, se riunita, è come la pistola di Cechov: una volta che compare in scena, qualcuno poi la usa, Pd o non Pd.
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Re: quo vadis PD ????
iospero ha scritto:da ciwati
D’Alema, la pistola di Cechov e il lavoro che dobbiamo fare (che non è una corrente di partito)
Mi scrive Paolo Cosseddu, a proposito di alcune cose sentite oggi all'assemblea A sinistra del Pd.
“Questo partito – questo Renzi lo ha capito benissimo – è un partito nel quale si vince giocando dall’interno e dall’esterno. Una buona parte delle forze che sostengono la leadership di Renzi non è formata da iscritti al Partito Democratico. E lui ha trovato il modo di organizzare queste forze esterne: il sistema delle Leopolde si va diffondendo in ogni parte del Paese. Io penso che noi dobbiamo trovare un modo creativo di organizzare – non di fare gli iscritti alle correnti del Pd: per piacere, no – ma di creare una grande associazione per il rinnovamento e la rinascita della sinistra, che non sia e che non voglia essere un nuovo partito politico, ma che si proponga di offrire uno spazio di partecipazione e di riflessione a tantissimi cittadini, membri del Pd o non membri del Pd, che costituiscono una ricchezza che questo Paese non può disperdere”: così D’Alema oggi, all’assemblea A sinistra del Pd, e chi l’avrebbe mai detto che a un certo punto Massimo D’Alema avrebbe capito, anzi, avrebbe auspicato la Leopolda, lo schema che gli sta dietro?
Chi l’avrebbe detto che avrei sentito dire da Massimo D’Alema le stesse, identiche cose che mi sono ritrovato a ripetere per mesi e mesi, nel mio giro di quasi tutte le regioni italiane per la presentazione dell’Associazione Possibile che lanciammo l’anno scorso a Livorno? E chi – infine – avrebbe mai detto che questo discorso, questo schema di lavoro che ci era già tanto chiaro quando nel 2010 mi ritrovai tra gli organizzatori della prima Leopolda, solo cinque anni dopo sarebbe diventato così poco comprensibile per quella parte di sinistra e di centrosinistra che per le profondissime divergenze che si sono ulteriormente chiarite nel tempo, quel progetto lo ha abbandonato?
Per me era chiarissimo, nell’ottobre del 2010, che quando Sergio Staino salì sul palco a fare l’intervento forse più significativo di quella prima edizione, quello più simbolico, non lo faceva in quanto invitato a una convention di partito, perché persino l’inventore di Bobo e del racconto satirico che ha accompagnato tutta l’evoluzione della sinistra italiana sapeva perfettamente che non era quello il punto, il punto era riconoscere il progetto culturale che c’era dietro a ciò che stavamo facendo, riconoscere ciò che rappresentava e sentirsene parte malgrado una provenienza politica ed anagrafica molto differente.
Staino capiva esattamente a cosa serviva la Leopolda, e negli anni successivi lo capirono altrettanto bene (cambiandola in profondità) Baricco con le sue navi da bruciare, Farinetti, e tanti altri fino al finanziere Serra: tutta gente a cui del Pd in quanto Pd non importava e non importa nulla – e così al loro anfitrione, che non a caso ha sempre parlato del Pd di cui oggi ironicamente è segretario come di un mezzo e non un fine – gli importava invece e pure molto il modello di Paese che quel luogo stava delineando, un anno dopo l’altro. Tanto da mettere al servizio di quel progetto loro stessi, la loro capacità di rappresentare persone, di raccogliere idee e risorse. Non si trattava di costruire una corrente o una minoranza, ma di dare forza a un’idea più complessiva e più grande di governo del paese, ed è ancora questo il compito che ci dovremmo dare avendo vissuto come un tradimento l’evoluzione (per tacere del suo rapido invecchiamento) di quello originario.
Ed è incredibile che malgrado il tempo che è passato e le dimostrazioni empiriche ormai clamorose se ne debba ancora discutere, che non se ne capisca il senso, che questi anni non abbiano portato questa consapevolezza. Pensare che l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi sia come la fine della storia di Fukuyama, che si debba accettare questa realtà come immanente e ci si debba accontentare solo di lavorare sugli spazi residuali, sulle ridotte (sulle correnti), è un errore incomprensibile e fallito già in premessa, perché rinuncia a quella missione pensata del 2010, il cui scopo era ed è corretto: riunire una forza che vada ben aldilà di queste anguste e misere gabbie. Una forza che, se riunita, è come la pistola di Cechov: una volta che compare in scena, qualcuno poi la usa, Pd o non Pd.
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CATEGORIA FURBISSIMI
Una carenza del forum, in questa fase, è quella di non poter usufruire del pensiero di Stefano Rodotà, classe 1933, a proposito dell’intervento odierno del conte Max.
In senso assoluto, il discorso di D’Alema potrebbe anche filare. Ma……………….
Se invece di essere stato rottamato dal PAV, ora er sor conte, abitasse al Quirinale, o avesse avuto un incarico di prestigio come sufficientemente richiesto, oggi, 21 marzo 2015, , avrebbe fatto lo stesso discorso di guerra verso Renzi, oppure, come atto di ringraziamento ne avrebbe fatto un altro???
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Re: quo vadis PD ????
D’Alema: “Il Pd è carico di arroganza”. Guerini: “Renzi ha stravinto, accettatelo”
Politica
Pomeriggio di forti turbolenze in casa democratica. Le parole pronunciate dall'ex premier al forum "A sinistra del Pd" scatenano il tutti contro tutti. Ma l'ex premier ne ha per tutti: "Non si annunciano ultimatum, si danno dei colpi quando necessario", è la stilettata inflitta alla minoranza. "La sinistra ha ceduto quando erii al potere", contrattacca Cuperlo. Orfini: "Toni degni di una rissa da bar"
Articolo + video
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03 ... i/1526195/
Politica
Pomeriggio di forti turbolenze in casa democratica. Le parole pronunciate dall'ex premier al forum "A sinistra del Pd" scatenano il tutti contro tutti. Ma l'ex premier ne ha per tutti: "Non si annunciano ultimatum, si danno dei colpi quando necessario", è la stilettata inflitta alla minoranza. "La sinistra ha ceduto quando erii al potere", contrattacca Cuperlo. Orfini: "Toni degni di una rissa da bar"
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Re: quo vadis PD ????
D’Alema contro Renzi: “Pd gestito con arroganza. Minoranza? Ora di colpire”
Video
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/03/ ... re/352253/
Un colpo al cerchio e uno alla botte.
Massimo D’Alema al convegno sulla sinistra nel Pd a Roma attacca Matteo Renzi e la sua gestione leaderistica e arrogante del partito.
“Gli iscritti diminuiscono, si diventa centro d’attrazione per il trasformismo italiano”, dice l’ex lider maximo.
Ma D’Alema redarguisce anche la minoranza dem.
“Non servono ultimatum, ma colpi che lascino il segno”, è la sua frecciatina.
Mentre Pierluigi Bersani difende la ditta: “Perché l’elezione di Mattarella a nuovo Capo dello Stato non è stato un colpo assestato dalla minoranza? Sull’Italicum abbiamo la stessa posizione di sempre, io credo ci saranno cambiamenti “, afferma.
E da Torino, risponde anche il presidente del Pd Matteo Orfini, che taccia le dichiarazioni romane dei colleghi di partito come “rissa da bar“.
Ma torniamo a Roma. Perché Massimo D’Alema ha ancora cartucce: “Serve una rinascita della sinistra, non attraverso un partito o delle correnti, ma con un’associazione degli iscritti dem, le forze che sostengono Renzi sono fuori dal Pd, non sono gli iscritti, abbiamo un partito senza un popolo e un popolo senza partito”
di Irene Buscemi
Video
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/03/ ... re/352253/
Un colpo al cerchio e uno alla botte.
Massimo D’Alema al convegno sulla sinistra nel Pd a Roma attacca Matteo Renzi e la sua gestione leaderistica e arrogante del partito.
“Gli iscritti diminuiscono, si diventa centro d’attrazione per il trasformismo italiano”, dice l’ex lider maximo.
Ma D’Alema redarguisce anche la minoranza dem.
“Non servono ultimatum, ma colpi che lascino il segno”, è la sua frecciatina.
Mentre Pierluigi Bersani difende la ditta: “Perché l’elezione di Mattarella a nuovo Capo dello Stato non è stato un colpo assestato dalla minoranza? Sull’Italicum abbiamo la stessa posizione di sempre, io credo ci saranno cambiamenti “, afferma.
E da Torino, risponde anche il presidente del Pd Matteo Orfini, che taccia le dichiarazioni romane dei colleghi di partito come “rissa da bar“.
Ma torniamo a Roma. Perché Massimo D’Alema ha ancora cartucce: “Serve una rinascita della sinistra, non attraverso un partito o delle correnti, ma con un’associazione degli iscritti dem, le forze che sostengono Renzi sono fuori dal Pd, non sono gli iscritti, abbiamo un partito senza un popolo e un popolo senza partito”
di Irene Buscemi
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