FASCISMO
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Re: FASCISMO
In:
https://www.change.org/p/ai-deputati-ar ... l-italicum
di:
http://www.libertaegiustizia.it/
è in corso una petizione per fermare l'Italicum.
Secondo me non basta. Ci vuole una mobilitazione più grande.
Comunque ho firmato.
^^^^^^^^^^
Si vede che questi sono tempi straordinari. Il mondo si è rovesciato.
Dopo Brunetta, questa mattina mi sono trovato in sintonia con Cirino Pomicino.
Cose 'e pazz.
Se qualcuno me l'avvesse predetto 40 anni fa, gli avrei risposto che era un cretino.
Eppure stamani è accaduto.
Cirino ha invitato, qualora l'Italicum passasse, di indire subito un referendum abrogativo.
Nel TG7 delle 20,00, anche Toninelli del M5S, ha dichiarato che indiranno un referendum abrogativo.
https://www.change.org/p/ai-deputati-ar ... l-italicum
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http://www.libertaegiustizia.it/
è in corso una petizione per fermare l'Italicum.
Secondo me non basta. Ci vuole una mobilitazione più grande.
Comunque ho firmato.
^^^^^^^^^^
Si vede che questi sono tempi straordinari. Il mondo si è rovesciato.
Dopo Brunetta, questa mattina mi sono trovato in sintonia con Cirino Pomicino.
Cose 'e pazz.
Se qualcuno me l'avvesse predetto 40 anni fa, gli avrei risposto che era un cretino.
Eppure stamani è accaduto.
Cirino ha invitato, qualora l'Italicum passasse, di indire subito un referendum abrogativo.
Nel TG7 delle 20,00, anche Toninelli del M5S, ha dichiarato che indiranno un referendum abrogativo.
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Re: FASCISMO
29 APR 2015 11:29
1. BUTTAFUOCO PRENDE IL BAZOOKA: “NON SI ERANO MAI VISTI TANTI TALK SCHIERATI IN DIFESA DEL GOVERNO, TANTI GIORNALISTI PRONTI AD AGGREDIRE CHI NON SI PIEGHI AI DIKTAT RENZIANI, TANTE COPERTINE DI RIVISTE IMPORTANTI FARE DELLE MARCHETTE SFACCIATE AL POTERE’’
2. “SE AI TEMPI DI BERLUSCONI C'È STATO L'EDITTO BULGARO, OGGI È PEGGIO. IL PRIMO CERCAVA DEI TROMBETTIERI, QUESTO INVECE DEI MAZZIERI, CHE DISTRIBUISCONO LE CARTE DEL GIOCO”
3. “UNO COME BEPPE SEVERGNINI, SUL CORRIERE, SI ESPRIME SU RENZI NÉ PIÙ E NÉ MENO DI COME FEDE FACEVA CON BERLUSCONI, MA NESSUNO OSA DERIDERLO. PER FARE UN OMAGGIO A RENZI UNO COME GIANNI RIOTTA HA USATO UN TWEET IN CUI CELEBRAVA IL COMPLEANNO DI TUTT'E DUE NELLO STESSO GIORNO, COME UN GRANDE ONORE. È DAVVERO IMBARAZZANTE”
Anna Maria Greco – per Il Giornale
«Matteo Renzi ha fatto dei giornalisti il suo braccio armato. Sono più importanti dei politici, bravi soprattutto nel manganellare i suoi nemici. Se ai tempi di Berlusconi c'è stato l'editto bulgaro, oggi è peggio.
Il primo cercava dei ?trombettieri?, questo invece dei ?mazzieri?, che distribuiscono le carte del gioco politico». Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore (il suo ultimo libro è Il feroce saracino ), fa un quadro «imbarazzante» del cerchio di professionisti che su giornali, tv, riviste e social network vede «asservito» al potere del premier.
Il giornalismo italiano è così irretito da Renzi da aver perso ogni coraggio e ogni senso critico?
«In troppi non vedono l'ora di assecondare la sua sete di potere, fanno a gara. Così, il premier e il suo Giglio Magico, dalla Boschi a Lotti, non rispondono mai a domande libere, cercano solo trasmissioni e testate in cui gli intervistatori non li metteranno mai in difficoltà su questioni scomode. Ed evitano tutte le altre».
È un'accusa grave per l'intera categoria, su quali fatti si basa?
«Sono fatti sotto gli occhi di tutti e sto lavorando per metterli in fila. Non si erano mai visti tanti talk show schierati in difesa del governo, tanti giornalisti pronti ad aggredire chiunque non si pieghi ai diktat renziani, tante copertine di riviste importanti fare delle marchette sfacciate al potere. È un fatto inaudito, mi fa vergognare.
Ricordate che è successo dopo il coraggioso editoriale di Ferruccio de Bortoli che evocava l'odore stantio di massoneria che accompagnava con il Patto del Nazareno tutta la stagione renziana? E ora, per il suo successore alla direzione del CorSera circolano solo nomi imbarazzanti, esclusivamente del giro del premier. Vogliamo parlare della censura a Gigi Marzullo quando ospita nella sua trasmissione Luigi Bisignani? Mi risulta che anche Nicola Porro abbia avuto difficoltà per questo, nel suo programma. Perfino nei social vedo la povera Chiara Geloni, portavoce di Pierluigi Bersani, continuamente aggredita da un drappello di giornalisti che difendono Renzi».
Sono tutti appiattiti nel sostenere il governo, per convinzione o per interesse?
« Non si erano mai visti tanti giornalisti cominciare la giornata a Palazzo Chigi, per pianificare il lavoro, vedere chi bastonare e come. Ora si apre una stagione con due importanti appuntamenti: oltre al nuovo direttore del CorSera ci sono le nomine in Rai. Vedrete che combinerà Renzi. Altro che Struttura Delta di cui si parlava ai tempi di Berlusconi, adesso vanno tutti in automatico».
Facci qualche altro esempio che sostenga la tua tesi.
«Eccolo. Sono ospite ogni mattina della trasmissione di Minoli Mix24. La sua specialità è fare domande, domande vere. E sapete? Nessuno del Giglio Magico renziano accetta di farsi intervistare. D'altronde, anche prima di diventare premier Renzi era noto per chiedere di essere solo lui a parlare nelle trasmissioni e per avere la pretesa di scegliersi gli intervistatori».
Facevi un confronto con la stagione di Berlusconi. Si dice che lui era un grande comunicatore e che Renzi in questo sia il suo pupillo.
«Ma in realtà il Cavaliere aveva un rapporto sgangherato con la comunicazione. C'erano giornalisti fan come Emilio Fede, però relegati in un circuito pittoresco, presi in giro da tutti. Il gioco, allora, era chiaro. Però, ai tempi dell'editto bulgaro Il Foglio fece un editoriale durissimo contro di Berlusconi. Ferrara a quei tempi girava con la scorta, per il clima che si era creato. Al potere c'era un contrappeso. Io stesso ho scritto dei pezzi violentissimi contro il berlusconismo su Il Foglio, ma non ho avuto mai censure. Renzi, invece, usa personaggi di autorevoli testate per farsi osannare».
Chi, per esempio?
«Uno come Beppe Severgnini si esprime su Renzi né più e né meno di come Fede faceva con Berlusconi, ma nessuno osa deriderlo, anche per l'autorevolezza della testata, Il CorSera , dove scrive. Per fare un omaggio a Renzi uno come Gianni Riotta ha usato un tweet in cui celebrava il compleanno di tutt'e due nello stesso giorno, come un grande onore. È davvero imbarazzante. Per questo oggi scrivo su Il Fatto, baldanzosamente antirenziano e totalmente libero».
Sul «Giornale» le critiche a Renzi non mancano. Non vale?
«Certo, ma è schierato. Qui parliamo di giornali e giornalisti che all'opinione pubblica appaiono fuori dai partiti e non lo sono. Quanto al Giornale, mi risulta che Alfano da tempo abbia chiesto la testa del direttore Sallusti. Non c'è riuscito, ma in questo contesto altrove il gioco potrebbe funzionare».
In che senso?
«Se l'Alfano di turno chiedesse all'Elkann di turno o al patto di sindacato di far fuori qualcuno che dà fastidio, in questo clima glielo toglierebbero subito dalle scatole».
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Re: FASCISMO
IL BESTIARIO
Pansa: Appello a Mattarella, non firmi l'Italicum e fermi Renzi
Pansa secondo BennyGiampaolo Pansa nella vignetta firmata da Benny
04 Maggio 2015
Nel vedere la lunga diretta televisiva sull’apertura dell’Expo 2015, e seguendo la guerriglia degli antagonisti che violentavano Milano, mi sono fatto una domanda. Come mai nella capitale lombarda non c’era anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella? Accanto al premier Renzi si vedevano fior di autorità. A cominciare da Giorgio Napolitano che, pur non essendo più un giovanotto, si era sobbarcato una fatica non da poco, insieme alla moglie. L’unico big a mancare era proprio il capo dello Stato. Ho chiesto a qualche amico che sa molto dell’ambiente politico romano perché Mattarella fosse assente, in un’occasione così importante, seguita dai media di mezzo mondo. Non era stato invitato? Il protocollo non contemplava la presenza del primo fra gli italiani? Per quale altro motivo il buon Sergio risultava a Roma?
Nessuno ha saputo spiegarmelo. Allora il Bestiario si è fatto una seconda domanda. È possibile che tra il presidente del Consiglio e il capo dello Stato sia sceso un po’ di gelo a proposito dell’ultima impresa renzista? Si tratta del varo, non ancora avvenuto, dell’Italicum, la legge elettorale capestro che sta in cima ai desideri di un premier voglioso di diventare il padrone politico dell’Italia. Il Bestiario è una rubrica un tantino mattoide, ma non al punto di immaginare un retroscena da thriller come questo. Per restare con i piedi per terra, l’unico fatto incontestabile è che Mattarella e Renzi non potrebbero essere tipi umani più diversi. Il capo dello Stato è un politico di lungo corso, cresciuto nella sinistra democristiana, quella di De Mita. Per anni ha dimostrato di essere un signore pacato, tenace, senza ansie da potere e meno che mai incline a sbandamenti faziosi. Tanti anni fa, un altro dicì mi aveva detto: «Nel lavoro di partito, Sergio è tenacissimo e insistente, come la goccia che cade».
L’essere anziani, insieme a tanti fastidi, presenta un vantaggio. È di aver incontrato leader politici che non avevano ancora esaurito il percorso previsto. A me capitò di intervistare a lungo Mattarella all’inizio del 1989, quando aveva 48 anni e un volto assai più giovane sotto i capelli già bianchi. Nel governo De Mita ricopriva l’incarico di ministro per i Rapporti con il Parlamento. E la prima domanda che gli rivolsi fu se l’immagine della goccia che cade, e poi ricade, e poi cade di nuovo senza smettere mai, si attagliasse al suo modo di muoversi all’interno della Casta dei partiti. Mattarella mi scrutò con severità dolce, un tratto tra il paziente e il dolente che oggi molti italiani conoscono. Anche grazie al ritratto che un grande comico, Maurizio Crozza, fa di lui nel «Paese delle meraviglie» su La7. Mattarella non mi rispose subito, stava riflettendo sul modo giusto per replicarmi.
Poi sorrise e mi spiegò: «Non so dirle se sono davvero così. Però Aldo Moro aveva già spiegato l’importanza dei piccoli passi. Lui elogiava il lavoro che sembra fatto di niente. Non dico che i piccoli passi, quelli che si vedono poco, siano i più importanti. Ma di certo lo sono quanto i grandi movimenti che suscitano clamore». Quindi azzardò una profezia: «In pochissimi anni, i partiti italiani diventeranno dei corpi sempre più separati dalla società. E sempre meno qualificati. Nella periferia della Democrazia cristiana sta già accadendo. Il virus è molto esteso. E rischia di intaccare in modo irreparabile i piani alti del mio partito». Poi aggiunse: «Del resto, in tutto l’Occidente è in corso un processo che spinge i veri centri di decisione a trasferirsi fuori dalla politica. Esiste davvero il pericolo che i partiti diventino una sovrastruttura che galleggia su altri centri di potere, né palesi né responsabili. La politica, invece, deve essere un punto alto di mediazione nell’interesse generale. Se la politica non è in grado di fare questo, le istituzioni muoiono. E prevale chi ha più forza economica o più forza di pressione, che è poi la stessa cosa».
Sottolineo ancora la data di queste parole profetiche: fine gennaio 1989, ventisei anni fa. Quando le rileggo, provo un senso di vertigine. La Goccia che cade aveva previsto l’irrompere sulla scena di un leader alieno, pronto a considerare i partiti e i sindacati un arredo inutile della vita pubblica: Renzi, per l’appunto. Un diverso pronto a rottamarli, immagine spietata e allora sconosciuta. E qui ci troviamo alle prese con un enigma. Perché mai il Fiorentino ha scelto di mandare al Quirinale un personaggio tanto diverso da lui? E con una mossa autoritaria che lo ha portato a rompere il Patto del Nazareno stretto con un Berlusconi in agonia?
A somiglianza della domanda sul perché il capo dello Stato non fosse presente alla nascita dell’Expo, anche in questo caso non trovo una risposta. Non mi resta che constatare il baratro di alterità che esiste fra Renzi e Mattarella. Il premier è uno spaccone che si ritiene il salvatore dell’Italia. Ama gli slogan mirabolanti: «Oggi comincia il domani dell’Italia» ha gridato dalla tribuna dell’Expo. Insulta di continuo chi non la pensa come lui. Dopo i gufi e i rosiconi, si è inventato i professionisti del «non ce la facciamo».
Renzi sta incassando l’inchino di chi corre sempre in soccorso del vincitore. Cancella le competenze per raccattare plotoni di incompetenti senza esperienza, ma super fedeli. Svela l’orgasmo di sentirsi un uomo solo al comando. Ritiene gli oppositori dei poveri sfigati, e non pochi di questi gli cedono il passo senza muovere un dito o si trasferiscono nel suo campo, felici di servirlo. E di averne in cambio la garanzia di restare incollati ai loro seggi a Montecitorio. Prima o poi fonderà il maledetto Partito Renzista o della Nazione. Un accampamento di seguaci pronti a recitare la vuota giaculatoria di San Matteo: «Cambiare verso». Adesso il Grande Illusionista si trova di fronte alla battaglia campale del suo giovane regime: l’Italicum, la nuova legge elettorale che annullerà le opposizioni e segnerà l’inizio di un potere a suo uso e consumo. Le prime vittime, dopo il repulisti immotivato nelle grandi aziende pubbliche, saranno i media. A cominciare dalla Rai, destinata a diventare un feudo renziano che ci farà rimpiangere persino la vecchia lottizzazione tra i partiti.
Renzi è convinto di portare alla vittoria la sua guerra lampo per l’Italicum. Ed è facile prevedere che nessuno lo fermerà. Forse si ritiene più forte di Adolf Hitler che con la Blitz Krieg si illudeva di arrivare in poche settimane a Mosca. Mangiandosi l’impero sovietico e fucilando un signore baffuto che si chiamava Stalin. Temo invece che Matteo il Conquistatore non troverà ostacoli. La sinistra è a pezzi, la destra è in agonia e ha un solo bomber, il Salvini leghista. Restano in campo appena i Cinquestelle, ma nessuno può sapere se Beppe Grillo avrà la forza di resistere all’ondata renzista. C’è un solo potere in grado di fermare Renzi e bloccare la ghigliottina dell’Italicum. È il presidente della Repubblica. Che cosa pensa della nuova legge elettorale il saggio Mattarella? Non lo sappiamo. Ma sta a lui decidere se la democrazia italiana potrà sopravvivere.
Per questo motivo, il Bestiario gli rivolge un appello: non firmi l’Italicum, signor Presidente. E si rammenti della goccia che cade, l’elogio più grande che possiamo dedicarle. Soprattutto in questa stagione oscura che ricorda il «Macbeth» di Shakespeare, con le streghe che urlano: «Bello è il brutto, e brutto è il bello. Voliamo nella nebbia e nell’aria sozza».
di Giampaolo Pansa
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Re: FASCISMO
Italicum, la legge elettorale è legge: 334 sì, 61 no. Opposizioni fuori dall’Aula. Renzi esulta: “Impegno mantenuto”
La minoranza del Partito democratico contraria. Bersani: "Dissenso abbastanza ampio". M5s: "Mattarella non firmi" Brunetta: "Legge infame". Giorgetti (Lega): "Renzi canta Bella ciao sulle note di Giovinezza". Fratoianni (Sel): "Riforma pessima"
di F. Q. | 4 maggio 2015
ARTICOLO + FILMATI
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05 ... qus_thread
La minoranza del Partito democratico contraria. Bersani: "Dissenso abbastanza ampio". M5s: "Mattarella non firmi" Brunetta: "Legge infame". Giorgetti (Lega): "Renzi canta Bella ciao sulle note di Giovinezza". Fratoianni (Sel): "Riforma pessima"
di F. Q. | 4 maggio 2015
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Re: FASCISMO
Mail inviata al Fatto Quotidiano
A: petergomez@ilfattoquotidiano.com<petergomez@ilfattoquotidiano.com>;
Egregio Direttore,
la legge Acerbo II é passata e noi stiamo qui a guardare???
A. Hopkins
A: petergomez@ilfattoquotidiano.com<petergomez@ilfattoquotidiano.com>;
Egregio Direttore,
la legge Acerbo II é passata e noi stiamo qui a guardare???
A. Hopkins
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Re: FASCISMO
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Mattarella ha firmato l’Italicum
Mattarella ha firmato l’Italicum
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Re: FASCISMO
Un ricordo della figura di Alberto Cavallari
LA SUA PIACENZA LO RICORDA A CINQUE ANNI DALLA SCOMPARSA. AVEVA MOLTI DIFETTACCI MA NESSUN DIFETTINO E IL TALENTO DELLO SCRITTORE VERO
Cavallari, quando il giornalismo è coraggio
Dall’ intervista con Paolo VI alla direzione del «Corriere», ritratto di un italiano atipico
Alberto Cavallari (1927-1998), direttore del «Corriere della Sera» dal 1981 al 1984, sarà ricordato domani a Piacenza a cinque anni dalla scomparsa. Alle 16.30, nell’ auditorium della Fondazione Piacenza-Vigevano, parleranno di lui Giancarlo Mazzocchi, presidente della Fondazione, lo scrittore Claudio Magris, il cardinale Achille Silvestrini, il direttore del «Corriere della Sera», Ferruccio de Bortoli e Roberto Martinelli, che era vicedirettore durante la gestione Cavallari. Ogni scrittore - diceva Montale, riferendosi alla sua poesia «La Casa dei doganieri» - ha la propria «cavalleria rusticana», ossia una pagina classica da repertorio, che è quasi obbligatorio citare ogni volta. Nel caso di Alberto Cavallari - grande giornalista, ma anche, più di quanto credesse egli stesso e gli importasse, forte scrittore - questa sigla, almeno per me, è una pagina del suo Vaticano che cambia (1965), lungo colloquio con Paolo VI, la prima vera e completa intervista ad un Papa della storia. Cavallari ritrae, in una fulminea istantanea, il Papa che, durante la conversazione, posa le mani, che prima teneva in grembo, sul tavolo, e le guarda, per un attimo, sorpreso, quasi sgomento della loro fragilità. In quella pagina c’ è il giornalista che sta scrivendo una pietra miliare nella storia del suo mestiere, c’ è lo scrittore, il cui artiglio coglie in un dettaglio minimo il dramma e la verità di un uomo, il quale si sente impari a reggere quel peso del mondo che è suo compito portare eppure se lo prende, sebbene sbigottito, sulle spalle. Chi scrive quella pagina è un uomo vero, che conosce e sa esprimere l’ ansia di vivere e il coraggio di guardarla in faccia e ricacciarla nel fondo del cuore. Alberto conosceva la malinconia e l’ umor nero che tirano giù e aveva quell’ indomita, fraterna vitalità che ha dato forza e sostegno a tanti di noi, aiutandoci, come un soldato di Kipling, a passare a guado qualche fiume difficile della vita. Cavallari appartiene alla più alta e bella, ancorché travagliata, storia del giornalismo italiano ed europeo ed è - come ha scritto, tra gli altri, un comparatista quale Stefano Tani - un vero scrittore, col quale è necessario fare i conti. Una personalità poliedrica, che univa il fiuto da segugio del cronista, pronto a frugare la realtà e a scovare la notizia, alla finezza dell’ intellettuale capace d’ inserire l’ effimero particolare, rigorosamente accertato, nell’ orizzonte di ampie prospettive. Come ha detto in una memorabile rievocazione Bernardo Valli, Cavallari sapeva che ogni notizia ne nasconde un’ altra ed è di questa che il giornalista va a caccia, scettico sulla possibilità di trovarla, ma con una passione mai svigorita da tale scetticismo. Fondamentali, per la formazione umana, professionale e intellettuale di Cavallari, sono stati gli anni parigini e la frequentazione della cultura francese dei moralisti classici, del senso dello Stato e del grande giornalismo autenticamente liberale. Questo gli ha permesso di scrivere sanguigne cronache vagabonde e grandi inchieste politico-culturali sull’ Europa (1963), i famosi servizi sulla rivoluzione ungherese del ’ 56 e i viaggi nel cuore di cambiamenti epocali del mondo, quali i libri della Cina (1974, 1975) o sulla Russia dopo Kruscev (1964) che - come gli articoli sull’ Ungheria - gli procurarono contumelie da parte comunista. Ha scritto opere di storia e teoria della comunicazione - disciplina che ha insegnato a Manchester, Düsseldorf, all’ Università di Parigi II e infine a Pavia - come La fabbrica del presente (1990), analisi delle contraddizioni della modernità e della libertà di stampa, necessaria e insieme impossibile. Il suo estro imprevedibile l’ ha indotto a tradurre e a introdurre magistralmente il Robinson Crusoe (1993) e a scrivere quel gioiello narrativo che è La fuga di Tolstoj (1986), perfetta fusione epica di réportage e creazione. Un libro bellissimo è Vicino & lontano (1981), nato dalla sua attività di corrispondente a Parigi; una raccolta d’ infallibili incursioni sul mondo e sulla vita, su grandi eventi e grandi questioni etiche come su stravaganti e spassosi dettagli quotidiani. Il meglio di sé Alberto lo dava non negli articoli di puro commento politico, ma quando il suo occhio rapace piombava come un falco sulla realtà. C’ è un libro che non ha scritto e che Biagio Marin - ringraziandolo, quando eravamo andati a trovarlo a Grado, per quanto aveva fatto per l’ Italia con la sua direzione del Corriere - gli aveva ingiunto di scrivere: il libro sul tremendo, grottesco e sanguinoso triennio (1981-84) di quella sua direzione del Corriere allora in gran tempesta, al centro dei più torbidi giochi di potere, in pericolo di perdere la propria indipendenza e in difficoltà materiale a sopravvivere. In quel periodo poteva accadere ed è accaduto di tutto; ricordo la telefonata in cui Cavallari mi comunicò la notizia, appena appresa, del ritrovamento del cadavere di Calvi presso il Tamigi. Con dirittura inflessibile, Alberto ha salvato, materialmente e moralmente, il Corriere, conducendo in porto, come un capitano di Conrad, la nave pericolante del giornale, nell’ idea e nella speranza di un’ Italia migliore. Quel triennio è storia, storia gloriosa del Corriere. Cavallari ne fu ripagato male dal celebre processo intentatogli dal partito socialista d’ allora a una certa emarginazione. Ebbe il - comprensibile - torto e la debolezza di soffrirne eccessivamente e invano gli dicevamo che doveva essere solo fiero e dunque di buon animo, perché non chi subisce, ma chi fa un torto deve sentirsi a disagio. «Come mai si meraviglia? - gli disse Marin, che lo stimava tanto - non si ricorda quello che dice nostro cugino Platone?.
Magris Claudio
Pagina 29
(4 maggio 2003) - Corriere della Sera
http://archiviostorico.corriere.it/2003 ... 4106.shtml
LA SUA PIACENZA LO RICORDA A CINQUE ANNI DALLA SCOMPARSA. AVEVA MOLTI DIFETTACCI MA NESSUN DIFETTINO E IL TALENTO DELLO SCRITTORE VERO
Cavallari, quando il giornalismo è coraggio
Dall’ intervista con Paolo VI alla direzione del «Corriere», ritratto di un italiano atipico
Alberto Cavallari (1927-1998), direttore del «Corriere della Sera» dal 1981 al 1984, sarà ricordato domani a Piacenza a cinque anni dalla scomparsa. Alle 16.30, nell’ auditorium della Fondazione Piacenza-Vigevano, parleranno di lui Giancarlo Mazzocchi, presidente della Fondazione, lo scrittore Claudio Magris, il cardinale Achille Silvestrini, il direttore del «Corriere della Sera», Ferruccio de Bortoli e Roberto Martinelli, che era vicedirettore durante la gestione Cavallari. Ogni scrittore - diceva Montale, riferendosi alla sua poesia «La Casa dei doganieri» - ha la propria «cavalleria rusticana», ossia una pagina classica da repertorio, che è quasi obbligatorio citare ogni volta. Nel caso di Alberto Cavallari - grande giornalista, ma anche, più di quanto credesse egli stesso e gli importasse, forte scrittore - questa sigla, almeno per me, è una pagina del suo Vaticano che cambia (1965), lungo colloquio con Paolo VI, la prima vera e completa intervista ad un Papa della storia. Cavallari ritrae, in una fulminea istantanea, il Papa che, durante la conversazione, posa le mani, che prima teneva in grembo, sul tavolo, e le guarda, per un attimo, sorpreso, quasi sgomento della loro fragilità. In quella pagina c’ è il giornalista che sta scrivendo una pietra miliare nella storia del suo mestiere, c’ è lo scrittore, il cui artiglio coglie in un dettaglio minimo il dramma e la verità di un uomo, il quale si sente impari a reggere quel peso del mondo che è suo compito portare eppure se lo prende, sebbene sbigottito, sulle spalle. Chi scrive quella pagina è un uomo vero, che conosce e sa esprimere l’ ansia di vivere e il coraggio di guardarla in faccia e ricacciarla nel fondo del cuore. Alberto conosceva la malinconia e l’ umor nero che tirano giù e aveva quell’ indomita, fraterna vitalità che ha dato forza e sostegno a tanti di noi, aiutandoci, come un soldato di Kipling, a passare a guado qualche fiume difficile della vita. Cavallari appartiene alla più alta e bella, ancorché travagliata, storia del giornalismo italiano ed europeo ed è - come ha scritto, tra gli altri, un comparatista quale Stefano Tani - un vero scrittore, col quale è necessario fare i conti. Una personalità poliedrica, che univa il fiuto da segugio del cronista, pronto a frugare la realtà e a scovare la notizia, alla finezza dell’ intellettuale capace d’ inserire l’ effimero particolare, rigorosamente accertato, nell’ orizzonte di ampie prospettive. Come ha detto in una memorabile rievocazione Bernardo Valli, Cavallari sapeva che ogni notizia ne nasconde un’ altra ed è di questa che il giornalista va a caccia, scettico sulla possibilità di trovarla, ma con una passione mai svigorita da tale scetticismo. Fondamentali, per la formazione umana, professionale e intellettuale di Cavallari, sono stati gli anni parigini e la frequentazione della cultura francese dei moralisti classici, del senso dello Stato e del grande giornalismo autenticamente liberale. Questo gli ha permesso di scrivere sanguigne cronache vagabonde e grandi inchieste politico-culturali sull’ Europa (1963), i famosi servizi sulla rivoluzione ungherese del ’ 56 e i viaggi nel cuore di cambiamenti epocali del mondo, quali i libri della Cina (1974, 1975) o sulla Russia dopo Kruscev (1964) che - come gli articoli sull’ Ungheria - gli procurarono contumelie da parte comunista. Ha scritto opere di storia e teoria della comunicazione - disciplina che ha insegnato a Manchester, Düsseldorf, all’ Università di Parigi II e infine a Pavia - come La fabbrica del presente (1990), analisi delle contraddizioni della modernità e della libertà di stampa, necessaria e insieme impossibile. Il suo estro imprevedibile l’ ha indotto a tradurre e a introdurre magistralmente il Robinson Crusoe (1993) e a scrivere quel gioiello narrativo che è La fuga di Tolstoj (1986), perfetta fusione epica di réportage e creazione. Un libro bellissimo è Vicino & lontano (1981), nato dalla sua attività di corrispondente a Parigi; una raccolta d’ infallibili incursioni sul mondo e sulla vita, su grandi eventi e grandi questioni etiche come su stravaganti e spassosi dettagli quotidiani. Il meglio di sé Alberto lo dava non negli articoli di puro commento politico, ma quando il suo occhio rapace piombava come un falco sulla realtà. C’ è un libro che non ha scritto e che Biagio Marin - ringraziandolo, quando eravamo andati a trovarlo a Grado, per quanto aveva fatto per l’ Italia con la sua direzione del Corriere - gli aveva ingiunto di scrivere: il libro sul tremendo, grottesco e sanguinoso triennio (1981-84) di quella sua direzione del Corriere allora in gran tempesta, al centro dei più torbidi giochi di potere, in pericolo di perdere la propria indipendenza e in difficoltà materiale a sopravvivere. In quel periodo poteva accadere ed è accaduto di tutto; ricordo la telefonata in cui Cavallari mi comunicò la notizia, appena appresa, del ritrovamento del cadavere di Calvi presso il Tamigi. Con dirittura inflessibile, Alberto ha salvato, materialmente e moralmente, il Corriere, conducendo in porto, come un capitano di Conrad, la nave pericolante del giornale, nell’ idea e nella speranza di un’ Italia migliore. Quel triennio è storia, storia gloriosa del Corriere. Cavallari ne fu ripagato male dal celebre processo intentatogli dal partito socialista d’ allora a una certa emarginazione. Ebbe il - comprensibile - torto e la debolezza di soffrirne eccessivamente e invano gli dicevamo che doveva essere solo fiero e dunque di buon animo, perché non chi subisce, ma chi fa un torto deve sentirsi a disagio. «Come mai si meraviglia? - gli disse Marin, che lo stimava tanto - non si ricorda quello che dice nostro cugino Platone?.
Magris Claudio
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(4 maggio 2003) - Corriere della Sera
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Re: FASCISMO
Dalla biografia di Cavallari su Wikipedia:
............; direttore del Corriere della Sera (1981-1984) nel periodo in cui la testata fu coinvolta nelle inchieste sulla loggia massonica P2[1], e viene da molti considerato, per la sua azione in difesa della giustizia, "colui che ripulì il Corriere dalla P2"[2]; opinionista per La Repubblica dal 1984 sino alla morte, avvenuta nel 1998 ............
Alberto Cavallari dovette combattere non poco contro la P2.
............; direttore del Corriere della Sera (1981-1984) nel periodo in cui la testata fu coinvolta nelle inchieste sulla loggia massonica P2[1], e viene da molti considerato, per la sua azione in difesa della giustizia, "colui che ripulì il Corriere dalla P2"[2]; opinionista per La Repubblica dal 1984 sino alla morte, avvenuta nel 1998 ............
Alberto Cavallari dovette combattere non poco contro la P2.
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Re: FASCISMO
A futura memoria
6PHNN5S7P26MM
Ferruccio De Bortoli a diMartedì su Renzi e la politica italiana
2° Parte
http://www.la7.it/dimartedi/video/ferru ... 015-154002
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