SALUTE
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Re: SALUTE
incompetenti
Scusino ministri e sottosegretari, è un refuso
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"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: SALUTE
A volte mi chiedo se ci sono o ci fanno.Oltre a quello che avete citaso sui disoccupati Tiket ecc...Imu L'aquila i terremotati non devono pagare IMU sulla casa distrutta.
Ciao
Paolo11
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Paolo11
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Re: SALUTE
paolo11 ha scritto:A volte mi chiedo se ci sono o ci fanno.Oltre a quello che avete citaso sui disoccupati Tiket ecc...Imu L'aquila i terremotati non devono pagare IMU sulla casa distrutta.
Ciao
Paolo11
Caro Paolo, ci fanno ... ci fanno!
Ma non lo capisci che B. sta cooptando Montezemolo per continuare l'esperienza di Monti e del suo governo tecnico per fare cose di destra che lui non ha mai potuto fare con il beneplacito di Bersani e del suo sgangherato PD?
Bye
Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
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Re: SALUTE
Meno cibi sani, più antidepressivi
L'indagine sulla salute degli italiani: si rinuncia a frutta e verdura per la crisi, aumentano sovrappeso e cure fai-da-te
MILANO - Si rinuncia a un'alimentazione sana e a fare sport, aumenta l'uso di antidepressivi. È un quadro pesante quello che emerge dal Rapporto Osservasalute 2011, presentato a Roma, al policlinico Agostino Gemelli, e dedicato allo stato di salute e qualità dell'assistenza nelle regioni italiane. Ad essere in pericolo è la nostra salute e la causa principale si chiama crisi economica che porta a dover tagliare voci di bilancio familiare, in primis le "azioni preventive" di base come la buona alimentazione e l'attività fisica. Si rinuncia per esempio a frutta e verdura, che diventano un lusso per pochi: per la prima volta dal 2005 si registra un calo del numero di porzioni consumate al giorno (da 5,7% a 4,8%), dato che era rimasto grosso modo stabile fino al 2008; paradossalmente si mangia più sano nelle mense, che si confermano principali "fornitrici" di verdure, frutta e ortaggi. Alla base c'è meno disponibilità economica: secondo il Rapporto, la quota di famiglie a rischio povertà sale a una su quattro.
SUICIDI - Gli italiani cercano risposte rapide al moltiplicarsi dei disturbi, in aumento anche in funzione del carico psicologico legato all'incertezza: spesso lo fanno a spese proprie, per continuare a svolgere le funzioni quotidiane in famiglia e al lavoro. Risulta così aumentato il consumo di farmaci antidepressivi (cresciuto di oltre quattro volte in dieci anni, da 8,18 dosi giornaliere per mille abitanti nel 2000 a 35,72 nel 2010). Numerosi studi dimostrano che l'impatto sulla salute di una crisi economica è forte: potrebbe portare a un incremento dei suicidi e delle morti correlate all'uso/abuso di alcol e droghe. Per quanto l'Italia si collochi tra i Paesi europei a minore rischio di suicidio e il tasso di mortalità si sia ridotto nel tempo a partire dagli anni '80, rispetto al minimo raggiunto nel 2006 (3.607 casi) nell'ultimo anno preso in considerazione si evidenzia una ripresa del fenomeno (3.799 casi).
TROPPO GRASSI - La salute degli italiani resta tutto sommato buona perché possono vivere "di rendita", merito per esempio dell'ottima dieta mediterranea. Una rendita che però rischia di erodersi rapidamente: gli italiani sono sempre più grassi (nel 2010 il 45,9% degli adulti è in sovrappeso, contro il 45,4% del 2009), vecchi (aumentano le persone dai 75 anni in su, che rappresentano il 10% della popolazione contro il 9,8% della scorsa edizione del Rapporto) e soffrono sempre più di malattie croniche.
TAGLI - Per di più le scelte in ambito di politica sanitaria rischiano di peggiorare le cose. «Le ultime manovre economiche hanno portato al ridimensionamento dei livelli di finanziamento dell'assistenza sanitaria già dal 2012, all'introduzione di ulteriori ticket, a tagli drastici nei trasferimenti alle Regioni e alle municipalità dei fondi su disabilità, infanzia e altri aspetti che vanno a incidere sulla nostra salute» dice Walter Ricciardi, direttore di Osservasalute e dell'Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica di Roma. Peraltro i tagli non riducono l’inappropriatezza di molti interventi sanitari (quindi gli sprechi), né migliorano la qualità delle cure, anzi appesantiscono ancor più le liste di attesa. Nel triennio 2007-2010 l’effetto dei tagli ai servizi e ai farmaci ha portato a una diminuzione del 3,5% della spesa pubblica per i farmaci, determinando però un incremento della spesa privata per i soli farmaci del 10,7%. E nel futuro sarà sempre peggio: è stimato in 17 miliardi di euro nel 2015 il gap cumulato totale tra le risorse necessarie per coprire i bisogni sanitari dei cittadini e i soldi pubblici, che presumibilmente il SSN avrà a disposizione.
SPESA SANITARIA - La spesa sanitaria pubblica in rapporto al PIL, a livello nazionale, prosegue la sua crescita, passando dal 6,07% nel 2002 al 6,87% nel 2008. Si conferma anche la forbice Nord-Sud: la spesa va da un massimo di 10,46% della Campania a un minimo di 5,24% della Lombardia. La spesa italiana per la sanità è inferiore a quella di altri Paesi come Gran Bretagna, Germania e Francia, ma il suo valore è comunque allineato alla media dei Paesi Ocse. Anche nel 2010 il Sistema sanitario nazionale si conferma "in rosso" per 2,325 mld di euro. Dall'indagine arriva però un giudizio positivo in merito al funzionamento degli ospedali. Diminuiscono anche i giorni trascorsi inutilmente in ospedale: la degenza media, sostanzialmente stabile da anni, nel 2009 mostra un lieve decremento rispetto all'anno precedente (da 6,8 a 6,7 giorni). Per quanto riguarda poi la trasparenza delle Aziende ospedaliere sul fronte liste d'attesa, nel 2011 solo il 44% di esse pubblica online i dati. In tal senso regioni più virtuose sono a pari merito Piemonte e Friuli Venezia Giulia.
POPOLAZIONE - Il Rapporto analizza anche l'andamento della popolazione italiana: si riscontra un aumento rispetto al biennio 2008-2009 imputabile sostanzialmente alla componente migratoria. Le regioni che non crescono sono Basilicata (-2,6‰) e Molise (-1,6‰). Il tasso di fecondità totale è passato da 1,42 del 2008 a 1,41 del 2009 e le prime stime sul 2010 sembrano confermare questo trend. Il Rapporto mostra la tendenza incessante all’invecchiamento della popolazione italiana. Nel 2010 la popolazione in età 65-74 anni rappresenta il 10,3% del totale, e quella dai 75 anni in su il 10%. Aumentano gli anziani soli: oltre uno su quattro (28,3% della popolazione con 65 anni e oltre) viveva solo nel 2009 (rispetto al 27,8% del 2008). La Liguria presenta il valore massimo (34,1%), le Marche quello più basso (22,9%). Migliora la speranza di vita: nel 2010 la speranza di vita alla nascita è di 84,4 anni per le donne e 79,2 anni per gli uomini. Nelle Marche gli uomini vivono più a lungo (80,1 anni), mentre per le donne è la provincia autonoma di Bolzano (85,5 anni) quella con la sopravvivenza media maggiore.
SOVRAPPESO - Continua a crescere, anche se di poco, la percentuale di italiani che ha problemi con la bilancia: nel 2010 oltre un terzo della popolazione adulta (35,6%) è in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (10,3%). Nel periodo 2001-2010, è aumentata sia la percentuale di coloro che sono in sovrappeso (33,9% vs 35,6%) sia quella degli obesi (8,5% vs 10,3%). Confermata la differenza Nord-Sud: le regioni meridionali presentano più persone in sovrappeso (Molise 41,8%, Basilicata 41%) e obese (Basilicata 12,7%, Puglia 12,3%) rispetto alle regioni settentrionali (sovrappeso: PA di Trento 30,9% e Lombardia 31,4%; obese: PA di Trento e Liguria 7,8%).
ALCOL E FUMO - Siamo ben lontani dalla vittoria nella lotta all’alcol. La percentuale dei consumatori a rischio è pari al 25% degli uomini e al 7,3% delle donne; tra gli 11-18enni tale percentuale raggiunge, nel 2009, il 17,7% dei maschi e l’11,5% delle femmine. Nonostante le campagne anti-tabagismo e un’aumentata consapevolezza dei rischi, nel nostro Paese fuma ancora una persona su 4, perlopiù giovani di 25-34 anni. Gli uomini smettono più delle donne: nel 2010 fuma il 29,2% uomini, circa 2 punti percentuali in meno rispetto al 2001; invece le donne non smettono di fumare, la percentuale di fumatrici si mantiene invariata (16,9% sia nel 2001 sia nel 2010). Il vizio è diffuso, soprattutto, tra i soggetti di 25-34 anni (uomini 39,7%; donne 24,4%).
MALATTIE DEL CUORE - La mortalità per malattie ischemiche del cuore (in primis infarto e angina pectoris) rappresenta ancora la maggiore causa di morte (circa il 13% della mortalità generale e il 33% del complesso delle malattie del sistema circolatorio). Tali malattie colpiscono quasi il doppio degli uomini rispetto alle donne. Circa il 28% dei decessi nel nostro Paese è dovuto al cancro e, a causa dei processi di invecchiamento della popolazione, un numero crescente di individui ha la probabilità di contrarre la malattia nel corso della vita. Nella fascia 0-64 anni, il tumore del colon-retto (al Centro-Nord) per gli uomini e il tumore della mammella per le donne sono quelli a più elevata incidenza.
Redazione Corriere Salute
23 aprile 2012 | 12:52
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L'indagine sulla salute degli italiani: si rinuncia a frutta e verdura per la crisi, aumentano sovrappeso e cure fai-da-te
MILANO - Si rinuncia a un'alimentazione sana e a fare sport, aumenta l'uso di antidepressivi. È un quadro pesante quello che emerge dal Rapporto Osservasalute 2011, presentato a Roma, al policlinico Agostino Gemelli, e dedicato allo stato di salute e qualità dell'assistenza nelle regioni italiane. Ad essere in pericolo è la nostra salute e la causa principale si chiama crisi economica che porta a dover tagliare voci di bilancio familiare, in primis le "azioni preventive" di base come la buona alimentazione e l'attività fisica. Si rinuncia per esempio a frutta e verdura, che diventano un lusso per pochi: per la prima volta dal 2005 si registra un calo del numero di porzioni consumate al giorno (da 5,7% a 4,8%), dato che era rimasto grosso modo stabile fino al 2008; paradossalmente si mangia più sano nelle mense, che si confermano principali "fornitrici" di verdure, frutta e ortaggi. Alla base c'è meno disponibilità economica: secondo il Rapporto, la quota di famiglie a rischio povertà sale a una su quattro.
SUICIDI - Gli italiani cercano risposte rapide al moltiplicarsi dei disturbi, in aumento anche in funzione del carico psicologico legato all'incertezza: spesso lo fanno a spese proprie, per continuare a svolgere le funzioni quotidiane in famiglia e al lavoro. Risulta così aumentato il consumo di farmaci antidepressivi (cresciuto di oltre quattro volte in dieci anni, da 8,18 dosi giornaliere per mille abitanti nel 2000 a 35,72 nel 2010). Numerosi studi dimostrano che l'impatto sulla salute di una crisi economica è forte: potrebbe portare a un incremento dei suicidi e delle morti correlate all'uso/abuso di alcol e droghe. Per quanto l'Italia si collochi tra i Paesi europei a minore rischio di suicidio e il tasso di mortalità si sia ridotto nel tempo a partire dagli anni '80, rispetto al minimo raggiunto nel 2006 (3.607 casi) nell'ultimo anno preso in considerazione si evidenzia una ripresa del fenomeno (3.799 casi).
TROPPO GRASSI - La salute degli italiani resta tutto sommato buona perché possono vivere "di rendita", merito per esempio dell'ottima dieta mediterranea. Una rendita che però rischia di erodersi rapidamente: gli italiani sono sempre più grassi (nel 2010 il 45,9% degli adulti è in sovrappeso, contro il 45,4% del 2009), vecchi (aumentano le persone dai 75 anni in su, che rappresentano il 10% della popolazione contro il 9,8% della scorsa edizione del Rapporto) e soffrono sempre più di malattie croniche.
TAGLI - Per di più le scelte in ambito di politica sanitaria rischiano di peggiorare le cose. «Le ultime manovre economiche hanno portato al ridimensionamento dei livelli di finanziamento dell'assistenza sanitaria già dal 2012, all'introduzione di ulteriori ticket, a tagli drastici nei trasferimenti alle Regioni e alle municipalità dei fondi su disabilità, infanzia e altri aspetti che vanno a incidere sulla nostra salute» dice Walter Ricciardi, direttore di Osservasalute e dell'Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica di Roma. Peraltro i tagli non riducono l’inappropriatezza di molti interventi sanitari (quindi gli sprechi), né migliorano la qualità delle cure, anzi appesantiscono ancor più le liste di attesa. Nel triennio 2007-2010 l’effetto dei tagli ai servizi e ai farmaci ha portato a una diminuzione del 3,5% della spesa pubblica per i farmaci, determinando però un incremento della spesa privata per i soli farmaci del 10,7%. E nel futuro sarà sempre peggio: è stimato in 17 miliardi di euro nel 2015 il gap cumulato totale tra le risorse necessarie per coprire i bisogni sanitari dei cittadini e i soldi pubblici, che presumibilmente il SSN avrà a disposizione.
SPESA SANITARIA - La spesa sanitaria pubblica in rapporto al PIL, a livello nazionale, prosegue la sua crescita, passando dal 6,07% nel 2002 al 6,87% nel 2008. Si conferma anche la forbice Nord-Sud: la spesa va da un massimo di 10,46% della Campania a un minimo di 5,24% della Lombardia. La spesa italiana per la sanità è inferiore a quella di altri Paesi come Gran Bretagna, Germania e Francia, ma il suo valore è comunque allineato alla media dei Paesi Ocse. Anche nel 2010 il Sistema sanitario nazionale si conferma "in rosso" per 2,325 mld di euro. Dall'indagine arriva però un giudizio positivo in merito al funzionamento degli ospedali. Diminuiscono anche i giorni trascorsi inutilmente in ospedale: la degenza media, sostanzialmente stabile da anni, nel 2009 mostra un lieve decremento rispetto all'anno precedente (da 6,8 a 6,7 giorni). Per quanto riguarda poi la trasparenza delle Aziende ospedaliere sul fronte liste d'attesa, nel 2011 solo il 44% di esse pubblica online i dati. In tal senso regioni più virtuose sono a pari merito Piemonte e Friuli Venezia Giulia.
POPOLAZIONE - Il Rapporto analizza anche l'andamento della popolazione italiana: si riscontra un aumento rispetto al biennio 2008-2009 imputabile sostanzialmente alla componente migratoria. Le regioni che non crescono sono Basilicata (-2,6‰) e Molise (-1,6‰). Il tasso di fecondità totale è passato da 1,42 del 2008 a 1,41 del 2009 e le prime stime sul 2010 sembrano confermare questo trend. Il Rapporto mostra la tendenza incessante all’invecchiamento della popolazione italiana. Nel 2010 la popolazione in età 65-74 anni rappresenta il 10,3% del totale, e quella dai 75 anni in su il 10%. Aumentano gli anziani soli: oltre uno su quattro (28,3% della popolazione con 65 anni e oltre) viveva solo nel 2009 (rispetto al 27,8% del 2008). La Liguria presenta il valore massimo (34,1%), le Marche quello più basso (22,9%). Migliora la speranza di vita: nel 2010 la speranza di vita alla nascita è di 84,4 anni per le donne e 79,2 anni per gli uomini. Nelle Marche gli uomini vivono più a lungo (80,1 anni), mentre per le donne è la provincia autonoma di Bolzano (85,5 anni) quella con la sopravvivenza media maggiore.
SOVRAPPESO - Continua a crescere, anche se di poco, la percentuale di italiani che ha problemi con la bilancia: nel 2010 oltre un terzo della popolazione adulta (35,6%) è in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (10,3%). Nel periodo 2001-2010, è aumentata sia la percentuale di coloro che sono in sovrappeso (33,9% vs 35,6%) sia quella degli obesi (8,5% vs 10,3%). Confermata la differenza Nord-Sud: le regioni meridionali presentano più persone in sovrappeso (Molise 41,8%, Basilicata 41%) e obese (Basilicata 12,7%, Puglia 12,3%) rispetto alle regioni settentrionali (sovrappeso: PA di Trento 30,9% e Lombardia 31,4%; obese: PA di Trento e Liguria 7,8%).
ALCOL E FUMO - Siamo ben lontani dalla vittoria nella lotta all’alcol. La percentuale dei consumatori a rischio è pari al 25% degli uomini e al 7,3% delle donne; tra gli 11-18enni tale percentuale raggiunge, nel 2009, il 17,7% dei maschi e l’11,5% delle femmine. Nonostante le campagne anti-tabagismo e un’aumentata consapevolezza dei rischi, nel nostro Paese fuma ancora una persona su 4, perlopiù giovani di 25-34 anni. Gli uomini smettono più delle donne: nel 2010 fuma il 29,2% uomini, circa 2 punti percentuali in meno rispetto al 2001; invece le donne non smettono di fumare, la percentuale di fumatrici si mantiene invariata (16,9% sia nel 2001 sia nel 2010). Il vizio è diffuso, soprattutto, tra i soggetti di 25-34 anni (uomini 39,7%; donne 24,4%).
MALATTIE DEL CUORE - La mortalità per malattie ischemiche del cuore (in primis infarto e angina pectoris) rappresenta ancora la maggiore causa di morte (circa il 13% della mortalità generale e il 33% del complesso delle malattie del sistema circolatorio). Tali malattie colpiscono quasi il doppio degli uomini rispetto alle donne. Circa il 28% dei decessi nel nostro Paese è dovuto al cancro e, a causa dei processi di invecchiamento della popolazione, un numero crescente di individui ha la probabilità di contrarre la malattia nel corso della vita. Nella fascia 0-64 anni, il tumore del colon-retto (al Centro-Nord) per gli uomini e il tumore della mammella per le donne sono quelli a più elevata incidenza.
Redazione Corriere Salute
23 aprile 2012 | 12:52
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Re: riforma Pensioni Fornero-Si lotta per i diritti cancella
Il governo boccia il fondo per i disabili. E l’assistenza resta sulle spalle delle famiglie
Il sottosegretario alle Politiche Sociali Cecilia Guerra ha dato parere negativo a "dopo di noi", ll'accantonamento di 150 milioni per strutture di accoglienza da utilizzare per i portatori di handicap rimasti senza genitori o senza tutele. Deluse le associazioni che tutelano i diritti degli oltre 4 milioni di persone con disabilità
di Adele Lapertosa | 25 aprile 2012
Che fine farà mio figlio quando io non ci sarò più? Chi lo assisterà? E’ questa una delle domande angoscianti che si pongono tutti i genitori che hanno un figlio disabile, in particolare con disabilità psichiche. La risposta, per ora, non verrà senz’altro dal Governo, che ha bocciato l’istituzione di un fondo ad hoc, da 150 milioni di euro, per i disabili gravi nel momento in cui restano senza familiari che li possano accudire, anche ribattezzato fondo per il ‘dopo di noi’. Nell’ultima audizione della commissione Affari sociali infatti, Cecilia Guerra, sottosegretario alle Politiche sociali, ha dato parere negativo al provvedimento che è all’esame dei deputati dal 2010.
Una decisione che, oltre a suscitare le critiche bipartisan dei membri della commissione, ha lasciato di stucco tutti quei genitori che attendevano una risposta. E non sono pochi. In Italia, secondo i dati del Censis, ci sono 4,1 milioni di persone disabili, pari al 6,7% della popolazione, e 2,6 milioni sono in condizioni particolarmente gravi, di cui oltre 200mila residenti in presidi socio-sanitari. “Le famiglie di questi ragazzi – spiega Pietro Barbieri, presidente della Fish (Federazione italiana superamento handicap – vorrebbero che i figli, una volta che loro non ci sono più, fossero seguiti in strutture di tipo familiare, con 6-8 posti letto, e non in residenze socio assistenziali (rsa) per anziani, dove ci sono molte più persone”. Finora in Italia sono sorte alcune case per il ‘dopo di noi’, ma in numero insufficiente al fabbisogno. I finanziamenti nazionali hanno dato il via “a start up – continua Barbieri – ma se ne sono sviluppate poche, perchè gli enti locali non hanno contribuito. Di fatto, mentre da Roma in su esistono delle reti, dalla capitale in giù c’è praticamente il deserto, o molto poco”. Il problema del dopo di noi riguarderebbe, secondo le stime della Fish, una parte dei 2,6 milioni di disabili gravi, composti per due terzi da anziani e per un terzo da giovani. “La questione coinvolge soprattutto quest’ultimo gruppo – continua Barbieri – pari a circa 860mila persone. Senza contare che, quando i loro genitori invecchiano, spesso diventano disabili anche loro e le difficoltà aumentano”.
Ma il sottosegretario, pur riconoscendo il “grande rilievo” del tema affrontato dal provvedimento, ha dato parere negativo perchè non è “stato seguito il metodo giusto” per risolvere il problema dell’assistenza a queste persone e ha chiesto un ripensamento alla Commissione sull’istituzione del fondo, perché è un tema molto importante “da affrontare però nell’ambito di una politica di programmazione più generale”. Parole ambigue, secondo i deputati, che avrebbero preferito una maggiore chiarezza e che il sottosegretario riconoscesse esplicitamente che non ci sono risorse sufficienti. Da qui l’invito dei democratici all’esecutivo “a ripensare il parere negativo” e a “tornare in commissione con una proposta”.
E mentre Giovanni Pagano, presidente della Fand (Federazione fra le associazioni nazionali dei disabili) si dice “profondamente deluso” e spera ancora che il governo cambi idea, magari grazie all’incontro che hanno chiesto proprio con il sottosegretario Guerra, per Pietro Barbieri ormai “il fondo per il dopo di noi è defunto. Anche perchè dal 2013 non dovrebbero più esserci fondi nazionali per le politiche sociali, in virtù del federalismo fiscale. E quindi o si provvederà con una quota percentuale tramite il federalismo fiscale, o il sostegno alla disabilità potrà contare solo sulla sensibilità dei Comuni”.
Il problema è che servono politiche sociali degne di questo nome, “visto che in questo momento, per via dei tagli decisi dagli ex ministri Tremonti e Sacconi, c’è il 37% delle risorse in meno – aggiunge – Hanno infatti sforbiciato il fondo per le politiche sociali, passato da 929,3 milioni di euro nel 2008 a meno di 220 milioni nel 2011, e non finanziato quello per la non autosufficienza con un taglio netto di 400 milioni. E gli effetti iniziano già a vedersi. Il comune di Torino sta tagliando il 30% dei servizi sociali, così come la Lombardia, mentre in Campania e nelle altre regioni meridionali si rischia di arrivare al 70% di tagli. La sostanza è che dallo Stato non arriva più un euro e la spesa per le politiche sociali che coinvolgono disabili, anziani, minori, rom, ecc ammonta solo allo 0,4% del Pil”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04 ... ti/206635/
Il sottosegretario alle Politiche Sociali Cecilia Guerra ha dato parere negativo a "dopo di noi", ll'accantonamento di 150 milioni per strutture di accoglienza da utilizzare per i portatori di handicap rimasti senza genitori o senza tutele. Deluse le associazioni che tutelano i diritti degli oltre 4 milioni di persone con disabilità
di Adele Lapertosa | 25 aprile 2012
Che fine farà mio figlio quando io non ci sarò più? Chi lo assisterà? E’ questa una delle domande angoscianti che si pongono tutti i genitori che hanno un figlio disabile, in particolare con disabilità psichiche. La risposta, per ora, non verrà senz’altro dal Governo, che ha bocciato l’istituzione di un fondo ad hoc, da 150 milioni di euro, per i disabili gravi nel momento in cui restano senza familiari che li possano accudire, anche ribattezzato fondo per il ‘dopo di noi’. Nell’ultima audizione della commissione Affari sociali infatti, Cecilia Guerra, sottosegretario alle Politiche sociali, ha dato parere negativo al provvedimento che è all’esame dei deputati dal 2010.
Una decisione che, oltre a suscitare le critiche bipartisan dei membri della commissione, ha lasciato di stucco tutti quei genitori che attendevano una risposta. E non sono pochi. In Italia, secondo i dati del Censis, ci sono 4,1 milioni di persone disabili, pari al 6,7% della popolazione, e 2,6 milioni sono in condizioni particolarmente gravi, di cui oltre 200mila residenti in presidi socio-sanitari. “Le famiglie di questi ragazzi – spiega Pietro Barbieri, presidente della Fish (Federazione italiana superamento handicap – vorrebbero che i figli, una volta che loro non ci sono più, fossero seguiti in strutture di tipo familiare, con 6-8 posti letto, e non in residenze socio assistenziali (rsa) per anziani, dove ci sono molte più persone”. Finora in Italia sono sorte alcune case per il ‘dopo di noi’, ma in numero insufficiente al fabbisogno. I finanziamenti nazionali hanno dato il via “a start up – continua Barbieri – ma se ne sono sviluppate poche, perchè gli enti locali non hanno contribuito. Di fatto, mentre da Roma in su esistono delle reti, dalla capitale in giù c’è praticamente il deserto, o molto poco”. Il problema del dopo di noi riguarderebbe, secondo le stime della Fish, una parte dei 2,6 milioni di disabili gravi, composti per due terzi da anziani e per un terzo da giovani. “La questione coinvolge soprattutto quest’ultimo gruppo – continua Barbieri – pari a circa 860mila persone. Senza contare che, quando i loro genitori invecchiano, spesso diventano disabili anche loro e le difficoltà aumentano”.
Ma il sottosegretario, pur riconoscendo il “grande rilievo” del tema affrontato dal provvedimento, ha dato parere negativo perchè non è “stato seguito il metodo giusto” per risolvere il problema dell’assistenza a queste persone e ha chiesto un ripensamento alla Commissione sull’istituzione del fondo, perché è un tema molto importante “da affrontare però nell’ambito di una politica di programmazione più generale”. Parole ambigue, secondo i deputati, che avrebbero preferito una maggiore chiarezza e che il sottosegretario riconoscesse esplicitamente che non ci sono risorse sufficienti. Da qui l’invito dei democratici all’esecutivo “a ripensare il parere negativo” e a “tornare in commissione con una proposta”.
E mentre Giovanni Pagano, presidente della Fand (Federazione fra le associazioni nazionali dei disabili) si dice “profondamente deluso” e spera ancora che il governo cambi idea, magari grazie all’incontro che hanno chiesto proprio con il sottosegretario Guerra, per Pietro Barbieri ormai “il fondo per il dopo di noi è defunto. Anche perchè dal 2013 non dovrebbero più esserci fondi nazionali per le politiche sociali, in virtù del federalismo fiscale. E quindi o si provvederà con una quota percentuale tramite il federalismo fiscale, o il sostegno alla disabilità potrà contare solo sulla sensibilità dei Comuni”.
Il problema è che servono politiche sociali degne di questo nome, “visto che in questo momento, per via dei tagli decisi dagli ex ministri Tremonti e Sacconi, c’è il 37% delle risorse in meno – aggiunge – Hanno infatti sforbiciato il fondo per le politiche sociali, passato da 929,3 milioni di euro nel 2008 a meno di 220 milioni nel 2011, e non finanziato quello per la non autosufficienza con un taglio netto di 400 milioni. E gli effetti iniziano già a vedersi. Il comune di Torino sta tagliando il 30% dei servizi sociali, così come la Lombardia, mentre in Campania e nelle altre regioni meridionali si rischia di arrivare al 70% di tagli. La sostanza è che dallo Stato non arriva più un euro e la spesa per le politiche sociali che coinvolgono disabili, anziani, minori, rom, ecc ammonta solo allo 0,4% del Pil”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04 ... ti/206635/
Re: SALUTE
Buongiorno regione di stamattina.
A Roma, tempi di attesa per un ecodoppler cardiaco: 350 giorni! (Chi prenota oggi, lo fa in aprile 2013)
Praticamente la sanità pubblica non c'è più!
Che aspettiamo a liquidare le regioni, le prime responsabili di una tale vergogna?
A Roma, tempi di attesa per un ecodoppler cardiaco: 350 giorni! (Chi prenota oggi, lo fa in aprile 2013)
Praticamente la sanità pubblica non c'è più!
Che aspettiamo a liquidare le regioni, le prime responsabili di una tale vergogna?
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Re: SALUTE
L’Aspartame fa bene o no? Report rompe il muro del silenzio dei media
di: Gianni Rossi
aprile - 29 - 2012
Da 40 anni, questa piccola molecola di sintesi, che ha le stesse proprietà dello zucchero naturale, ma 200 volte più potente a parità di dosi e dal costo infinitamente più basso, la fa da padrona nell’alimentazione di miliardi di persone, ignari degli eventuali rischi che alla lunga potrebbe provocare
Come addolcire la vita, gli alimenti, le bevande, i medicinali, senza paura di ingrassare o farsi del male? La risposta è ovvia: c’è l’Aspartame!Da 40 anni, questa piccola molecola di sintesi, che ha le stesse proprietà dello zucchero naturale, ma 200 volte più potente a parità di dosi e dal costo infinitamente più basso, la fa da padrona nell’alimentazione di miliardi di persone, ignari degli eventuali rischi che alla lunga potrebbe provocare (stando a numerose ricerche scientifiche, sempre contestate dai produttori dell’edulcorante), ma psicologicamente soddisfatti per le propagandate proprietà dietetiche e salutiste. Secondo studi recenti sarebbero 6.000 i prodotti di varia natura che utilizzano l’Aspartame (E 951), oltre a 500 farmaci, e si calcola siano circa 200 milioni le persone nel mondo che ne fanno un consumo regolare.
Da 7 anni a questa parte, però, alcuni studi scientifici, condotti con rigore in Italia e, da ultimo, anche in Danimarca, stanno mettendo a dura prova le granitiche certezze degli enti di controllo sanitario e alimentare di tutto il mondo. Soprattutto, dall’anno scorso la comunità scientifica, le associazioni consumeristiche, gli enti di controllo sanitario hanno iniziato a fare le loro “controanalisi”. Eppure, tranne qualche rara eccezione, il mondo dei media si è ben guardato di parlarne, di mettere in guardia l’opinione pubblica su questo dibattito e sulle sue ricadute per la salute dei consumatori (anche perché il giro di affari annuo è di parecchi miliardi di dollari!). Eccezion fatta per la stampa francese (Le Monde e Libération ne hanno parlato esaurientemente nel Gennaio del 2011) e per i siti alternativi o, in Italia, per un breve articolo su “Il Giornale on line” del 16 Gennaio 2011 e per un blog su “La Stampa on line” del 25 Gennaio 2011. Ora ci prova a rompere questo muro del silenzio “Report” di Milena Gabanelli su Raitre.
Si potrebbe dire anche “un silenzio d’oro”, perché i “Big Spender” di inserzioni pubblicitarie sui giornali e le televisione di tutto il mondo sono proprio quelle società di prodotti alimentari, cibi, bevande, merendine, gomme americane, caramelle e farmaci, che usano l’aspartame, giocando sull’effetto subliminale della salubrità, del dietologico, del salutismo e quant’altro, a discapito del bistrattato zucchero, ormai relegato a micidiale fattore di chissà quanti malanni. Basti pensare all’ultima “esilarante” ricerca pubblicata dall’autorevole rivista americana Nature, realizzata da una equipe della University of California, secondo la quale il dolcificante naturale, usato da sempre dall’essere umano (estratto dalle canne o dalle barbabietole) renderebbe “dipendenti, come il tabacco e l’alcol e per questo motivo la sua vendita dovrebbe essere regolata per legge” (da “La Repubblica” dell’11 Febbraio 2012). Tanto da fa far proporre a questi “salutisti esperti” americani di tassare tutti i cibi e bevande contenti lo zucchero: “vietandone la vendita vicino alle scuole e ponendo dei limiti di età alla possibilità di acquistarli. Il consumo eccessivo di zucchero, spiegano i ricercatori, sta alimentando la pandemia di obesità in tutto il mondo e il suo consumo, triplicato negli ultimi cinquant’anni, favorisce la comparsa di patologie, come diabete, malattie cardiovascolari e tumori, responsabili di 35 milioni di morti all’anno nel mondo”.
Siamo davvero arrivati “all’inganno mediatico”, per fortuna durato pochi giorni, ma che ha trovato larga eco sui TG di prima sera, mentre sulle ultime ricerche documentate che mettono in dubbio le proprietà salutari dell’Aspartame silenzio assoluto. Lo zucchero, insomma, sarebbe una droga, mentre l’aspartame una mano santa per l’umanità!
L’Aspartame è stato brevettato e distribuito da una società di proprietà della Monsanto, la multinazionale americana che detiene anche una sorta di monopolio delle coltivazioni OGM nel mondo.
Per conoscerne la storia della scoperta di questa molecola, della sua omologazione da parte della FDA degli Stati Uniti e delle dispute scientifiche, basta andare a consultare Wikipedia: una lettura esauriente ed oggettiva. E comunque, attorno alla registrazione della molecola sintetica più ricca del mondo, ruotano personaggi politici e lobbisti del più bieco conservatorismo americano, a cominciare da quel Donald Rumsfeld, amministratore delegato della G.D.Searle&Company, ma anche stretto collaboratore dei presidenti repubblicani, Gerald Ford, Ronald Reagan e George W. Bush, per il quale ha anche ricoperto la carica di Segretario alla Difesa: prima amico e fornitore di armi chimiche a Saddam Hussein in guerra con l’Iran, e poi alfiere delle guerre totali contro “il terrorismo mondiale” di Osama Bin Laden e dell’Iraq. Va, inoltre, ricordato che nel 1981 fu proprio il presidente Reagan ad incaricare alla guida dell’FDA Arthur Hull Hayes, su proposta di Rumsfeld. Hayes, che autorizzò l’uso dell’Aspartame, in seguito si dimise, accusato di corruzione e andò a lavorare all’ufficio pubbliche relazioni proprio della G.D.Searle&Company, detentrice del brevetto sull’Aspartame.
Ora, però, questo edulcorante è tornato agli onori della cronaca scientifica.
Due ricerche rilanciano, infatti, la questione dei rischi connessi alla sua assunzione. La prima, danese, pubblicata alla fine del 2010 sull’American Journal of Clinical Nutrition e condotta dal ricercatore Thorhallur Halldorsson, mette in correlazione il consumo di aspartame con il rischio di parti prematuri per le donne incinte (ne sono state esaminate 59.334), calcolato pari al 27% quando si assuma una bevanda gassata al giorno contenente edulcoranti chimici, come aspartame e acesulfame-K, a volte usati insieme. Il secondo studio, condotto su centinaia di ratti e topi dal ricercatore italiano Morando Soffritti dell’Istituto Ramazzini di Bologna, e pubblicato sull’American Journal of Industrial Medicine, mette in correlazione il consumo di aspartame con l’aumento di tumori al fegato e polmonari, in particolare sugli animali di sesso maschile.
Il Ramazzini aveva già nel 2005 e 2007 pubblicato altre ricerche in merito, ma sempre rigettate dall’EFSA, l’Autorità per i controlli sanitari e alimentari dell’Unione Europea.
Questa volta, però, l’Europa non è stata sorda e cieca agli allarmi lanciati dalla comunità scientifica e così, pressata anche dai parlamentari europei (soprattutto dal gruppo dell’ALDE, i liberal-democratici), l’EFSA ha deciso nel maggio dell’anno scorso di accogliere le due ricerche e di pronunciarsi in merito entro il 30 Settembre 2012. Non soddisfatte di questo lasso di tempo e del silenzio che attornia la vicenda, le due europarlamentari dell’ALDE che più si sono battute per far luce sui benefici o i danni arrecati da un uso elevato di Aspartame, la francese Corinne Lepage e la bulgara Antonya Parvanova, hanno ribadito la loro richiesta affinchè: “sia organizzata un’informazione alla pubblica opinione sulle certezze e i dubbi in materia di impatto sulla salute sia per le donne incinta sia per coloro che hanno una sensibilizzazione ai rischi sospetti nei feti. E, comunque, siamo insoddisfatte per la disinvoltura con la quale l’EFSA e la Commissione hanno trottato questo problema; da recenti scambi di lettere tra l’EFSA e alcune ONG, inoltre, sembrerebbe emergere che l’Autorità non ha mai avuto il tempo di esaminare gli studi fin qui condotti per fornirne una valutazione, non solo ma che si sarebbero persi addirittura i documenti”.
Nel dubbio, intanto, c’è chi ha deciso di “tagliare la testa al toro”, come fa sapere l’associazione americana Food Democracy (il movimento dei consumatori che sta facendo pressione sui grandi produttori e distributori di alimentari, strenuo oppositore della Monsanto): in Sudafrica la grande catena di supermercati Woolworths è stato il primo rivenditore nel 2008 ad aver seguito la volontà dei consumatori e ad aver eliminato l’aspartame dagli alimenti di propria produzione.
E non è stato l’unico dolcificante a essere rimosso dai cibi targati Woolworths: è toccato anche alla saccarina al ciclamato e, quindi, anche al glutammato, usato soprattutto nei preparati per il brodo.
http://www.paneacqua.info/2012/04/l%E2% ... dei-media/
di: Gianni Rossi
aprile - 29 - 2012
Da 40 anni, questa piccola molecola di sintesi, che ha le stesse proprietà dello zucchero naturale, ma 200 volte più potente a parità di dosi e dal costo infinitamente più basso, la fa da padrona nell’alimentazione di miliardi di persone, ignari degli eventuali rischi che alla lunga potrebbe provocare
Come addolcire la vita, gli alimenti, le bevande, i medicinali, senza paura di ingrassare o farsi del male? La risposta è ovvia: c’è l’Aspartame!Da 40 anni, questa piccola molecola di sintesi, che ha le stesse proprietà dello zucchero naturale, ma 200 volte più potente a parità di dosi e dal costo infinitamente più basso, la fa da padrona nell’alimentazione di miliardi di persone, ignari degli eventuali rischi che alla lunga potrebbe provocare (stando a numerose ricerche scientifiche, sempre contestate dai produttori dell’edulcorante), ma psicologicamente soddisfatti per le propagandate proprietà dietetiche e salutiste. Secondo studi recenti sarebbero 6.000 i prodotti di varia natura che utilizzano l’Aspartame (E 951), oltre a 500 farmaci, e si calcola siano circa 200 milioni le persone nel mondo che ne fanno un consumo regolare.
Da 7 anni a questa parte, però, alcuni studi scientifici, condotti con rigore in Italia e, da ultimo, anche in Danimarca, stanno mettendo a dura prova le granitiche certezze degli enti di controllo sanitario e alimentare di tutto il mondo. Soprattutto, dall’anno scorso la comunità scientifica, le associazioni consumeristiche, gli enti di controllo sanitario hanno iniziato a fare le loro “controanalisi”. Eppure, tranne qualche rara eccezione, il mondo dei media si è ben guardato di parlarne, di mettere in guardia l’opinione pubblica su questo dibattito e sulle sue ricadute per la salute dei consumatori (anche perché il giro di affari annuo è di parecchi miliardi di dollari!). Eccezion fatta per la stampa francese (Le Monde e Libération ne hanno parlato esaurientemente nel Gennaio del 2011) e per i siti alternativi o, in Italia, per un breve articolo su “Il Giornale on line” del 16 Gennaio 2011 e per un blog su “La Stampa on line” del 25 Gennaio 2011. Ora ci prova a rompere questo muro del silenzio “Report” di Milena Gabanelli su Raitre.
Si potrebbe dire anche “un silenzio d’oro”, perché i “Big Spender” di inserzioni pubblicitarie sui giornali e le televisione di tutto il mondo sono proprio quelle società di prodotti alimentari, cibi, bevande, merendine, gomme americane, caramelle e farmaci, che usano l’aspartame, giocando sull’effetto subliminale della salubrità, del dietologico, del salutismo e quant’altro, a discapito del bistrattato zucchero, ormai relegato a micidiale fattore di chissà quanti malanni. Basti pensare all’ultima “esilarante” ricerca pubblicata dall’autorevole rivista americana Nature, realizzata da una equipe della University of California, secondo la quale il dolcificante naturale, usato da sempre dall’essere umano (estratto dalle canne o dalle barbabietole) renderebbe “dipendenti, come il tabacco e l’alcol e per questo motivo la sua vendita dovrebbe essere regolata per legge” (da “La Repubblica” dell’11 Febbraio 2012). Tanto da fa far proporre a questi “salutisti esperti” americani di tassare tutti i cibi e bevande contenti lo zucchero: “vietandone la vendita vicino alle scuole e ponendo dei limiti di età alla possibilità di acquistarli. Il consumo eccessivo di zucchero, spiegano i ricercatori, sta alimentando la pandemia di obesità in tutto il mondo e il suo consumo, triplicato negli ultimi cinquant’anni, favorisce la comparsa di patologie, come diabete, malattie cardiovascolari e tumori, responsabili di 35 milioni di morti all’anno nel mondo”.
Siamo davvero arrivati “all’inganno mediatico”, per fortuna durato pochi giorni, ma che ha trovato larga eco sui TG di prima sera, mentre sulle ultime ricerche documentate che mettono in dubbio le proprietà salutari dell’Aspartame silenzio assoluto. Lo zucchero, insomma, sarebbe una droga, mentre l’aspartame una mano santa per l’umanità!
L’Aspartame è stato brevettato e distribuito da una società di proprietà della Monsanto, la multinazionale americana che detiene anche una sorta di monopolio delle coltivazioni OGM nel mondo.
Per conoscerne la storia della scoperta di questa molecola, della sua omologazione da parte della FDA degli Stati Uniti e delle dispute scientifiche, basta andare a consultare Wikipedia: una lettura esauriente ed oggettiva. E comunque, attorno alla registrazione della molecola sintetica più ricca del mondo, ruotano personaggi politici e lobbisti del più bieco conservatorismo americano, a cominciare da quel Donald Rumsfeld, amministratore delegato della G.D.Searle&Company, ma anche stretto collaboratore dei presidenti repubblicani, Gerald Ford, Ronald Reagan e George W. Bush, per il quale ha anche ricoperto la carica di Segretario alla Difesa: prima amico e fornitore di armi chimiche a Saddam Hussein in guerra con l’Iran, e poi alfiere delle guerre totali contro “il terrorismo mondiale” di Osama Bin Laden e dell’Iraq. Va, inoltre, ricordato che nel 1981 fu proprio il presidente Reagan ad incaricare alla guida dell’FDA Arthur Hull Hayes, su proposta di Rumsfeld. Hayes, che autorizzò l’uso dell’Aspartame, in seguito si dimise, accusato di corruzione e andò a lavorare all’ufficio pubbliche relazioni proprio della G.D.Searle&Company, detentrice del brevetto sull’Aspartame.
Ora, però, questo edulcorante è tornato agli onori della cronaca scientifica.
Due ricerche rilanciano, infatti, la questione dei rischi connessi alla sua assunzione. La prima, danese, pubblicata alla fine del 2010 sull’American Journal of Clinical Nutrition e condotta dal ricercatore Thorhallur Halldorsson, mette in correlazione il consumo di aspartame con il rischio di parti prematuri per le donne incinte (ne sono state esaminate 59.334), calcolato pari al 27% quando si assuma una bevanda gassata al giorno contenente edulcoranti chimici, come aspartame e acesulfame-K, a volte usati insieme. Il secondo studio, condotto su centinaia di ratti e topi dal ricercatore italiano Morando Soffritti dell’Istituto Ramazzini di Bologna, e pubblicato sull’American Journal of Industrial Medicine, mette in correlazione il consumo di aspartame con l’aumento di tumori al fegato e polmonari, in particolare sugli animali di sesso maschile.
Il Ramazzini aveva già nel 2005 e 2007 pubblicato altre ricerche in merito, ma sempre rigettate dall’EFSA, l’Autorità per i controlli sanitari e alimentari dell’Unione Europea.
Questa volta, però, l’Europa non è stata sorda e cieca agli allarmi lanciati dalla comunità scientifica e così, pressata anche dai parlamentari europei (soprattutto dal gruppo dell’ALDE, i liberal-democratici), l’EFSA ha deciso nel maggio dell’anno scorso di accogliere le due ricerche e di pronunciarsi in merito entro il 30 Settembre 2012. Non soddisfatte di questo lasso di tempo e del silenzio che attornia la vicenda, le due europarlamentari dell’ALDE che più si sono battute per far luce sui benefici o i danni arrecati da un uso elevato di Aspartame, la francese Corinne Lepage e la bulgara Antonya Parvanova, hanno ribadito la loro richiesta affinchè: “sia organizzata un’informazione alla pubblica opinione sulle certezze e i dubbi in materia di impatto sulla salute sia per le donne incinta sia per coloro che hanno una sensibilizzazione ai rischi sospetti nei feti. E, comunque, siamo insoddisfatte per la disinvoltura con la quale l’EFSA e la Commissione hanno trottato questo problema; da recenti scambi di lettere tra l’EFSA e alcune ONG, inoltre, sembrerebbe emergere che l’Autorità non ha mai avuto il tempo di esaminare gli studi fin qui condotti per fornirne una valutazione, non solo ma che si sarebbero persi addirittura i documenti”.
Nel dubbio, intanto, c’è chi ha deciso di “tagliare la testa al toro”, come fa sapere l’associazione americana Food Democracy (il movimento dei consumatori che sta facendo pressione sui grandi produttori e distributori di alimentari, strenuo oppositore della Monsanto): in Sudafrica la grande catena di supermercati Woolworths è stato il primo rivenditore nel 2008 ad aver seguito la volontà dei consumatori e ad aver eliminato l’aspartame dagli alimenti di propria produzione.
E non è stato l’unico dolcificante a essere rimosso dai cibi targati Woolworths: è toccato anche alla saccarina al ciclamato e, quindi, anche al glutammato, usato soprattutto nei preparati per il brodo.
http://www.paneacqua.info/2012/04/l%E2% ... dei-media/
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
ecco una proposta
l'espresso
Trapianti, così buttiamo i soldidi Ignazio MarinoNonostante l'Italia sia tra i primi Paesi in Europa nella donazione di organi, quasi un terzo dei centri dedicati dovrebbe chiudere perché non è in grado di esegure il numero minimo di operazioni. In questo modo non solo si mettono a rischio i pazienti ma si continua a sprecare il denaro dei cittadini(07 maggio 2012)
Nonostante l'Italia sia tra i primi Paesi in Europa nella donazione di organi, quasi un terzo dei centri dedicati dovrebbe chiudere perché non è in grado di esegure il numero minimo di operazioni. In questo modo non solo si mettono a rischio i pazienti ma si continua a sprecare il denaro dei cittadini(07 maggio 2012)L'Italia è tra i primi Paesi in Europa nelle donazioni di organi. Evviva. Peccato che le donazioni siano stagnanti dal 2006, con variazioni minime come dimostra l'aumento di soli diciotto donatori nell'ultimo anno. Certo anche una sola donazione in più è una buona notizia perché, come è scritto nel Talmud, "chiunque salvi una vita salva il mondo intero". Questo vale per i chirurghi dei trapianti ma soprattutto per tutti i malati che grazie a un nuovo organo ricominciano a vivere, eppure, a guardare il sistema nel suo complesso c'è poco da stare allegri.
La legge sulla donazione degli organi del 1999 si basava sul principio del silenzio-assenso ed è rimasta in buona parte inapplicata. La norma prevedeva, infatti, che in assenza di una esplicita opposizione alla donazione, si potesse procedere al prelievo degli organi informando i familiari della persona deceduta, ma sollevandoli da questa difficile decisione. Come mai tale automatismo, che avrebbe probabilmente permesso di accrescere in maniera esponenziale le donazioni, non è mai diventato realtà? E come mai le donazioni di rene da vivente non sono mai decollate, nonostante gli ottimi risultati clinici di questo trapianto e la positiva esperienza maturata da altri Paesi?
Sono i misteri di un'Italia recalcitrante ai cambiamenti e troppo poco omogenea nella sanità come nella cultura della donazione. Molti passi avanti sono stati fatti, ma le disparità territoriali restano macroscopiche: si passa dalla Toscana, prima in Italia e seconda al mondo dopo la Spagna per numero di donazioni, con 46 donatori per milione di abitanti, per cadere ai miseri 11 di Umbria e Campania.
I trapianti sono un settore strategico della sanità e per questo si dovrebbero sostenere le donazioni nelle zone più deboli trasferendo competenze e know how dalle regioni migliori. Ci sono situazioni estreme, come quella del Policlinico Umberto I di Roma dove nel 2011 sono stati individuati circa un terzo dei donatori di tutto il Lazio, a fronte di una struttura fatiscente e condizioni di lavoro massacranti. Un risultato positivo, reso possibile solo grazie all'impegno degli operatori sanitari che, in alcune circostanze, sono anche stati addirittura aggrediti dai parenti costretti a bivaccare per giorni nei viali dell'ospedale senza alcun comfort, in attesa di notizie. Questo per quanto riguarda il versante donazioni.
Se si osserva, però, l'altra sponda del fiume, quella dei centri trapianto, le acque appaiono comunque torbide. Nel 2011 i trapianti in tutt'Italia sono stati poco meno di 3 mila, a fronte di circa 9 mila pazienti in attesa, ma analizzando i dati del Centro nazionale trapianti (Cnt), ci si accorge come su 1.539 trapianti di rene circa 800 sono stati eseguiti al Nord, 400 al Centro e solo 280 nelle regioni meridionali. Per quanto riguarda il fegato poi dei circa mille trapianti eseguiti, metà si sono concentrati al Nord, 350 al Centro e 150 nel Sud. Queste discrepanze sono dovute al minor numero di centri al Sud ma anche ai pochi trapianti che vi si eseguono e ciò evidenzia un problema molto grave per quanto riguarda l'equità in un sistema sanitario pubblico che si dice universale. Significa che un ammalato di cirrosi epatica piemontese ha ottime probabilità di curarsi e continuare a vivere, mentre se abita in Calabria o in Puglia è meglio che pensi a traslocare.
Ignazio Marino Veniamo al secondo punto dolente: come è possibile che siano considerati con gli stessi criteri, in quanto a risorse pubbliche investite, personale medico impiegato e dotazioni tecnologiche, il centro di Torino che nel 2011 ha eseguito 137 trapianti di fegato e quello di Genova con i suoi 11? Le linee guida approvate dalla Conferenza Stato-Regioni nel 2002 parlano chiaro: "Per assicurare la qualità dei programmi clinici, gli standard minimi di attività annuale sono individuati rispettivamente in 30 trapianti di rene da cadavere, 25 trapianti di fegato, 25 trapianti di cuore".
I controlli spettano alle regioni che, nel caso in cui un centro non raggiunga il numero minimo e il livello medio di sopravvivenza dei pazienti, revocano l'autorizzazione ai trapianti. In teoria. Nella realtà, invece, su 43 strutture per il trapianto di rene ben 16 non hanno superato la soglia dei 30 trapianti annui. Nel caso del cuore solo tre centri su 16 hanno superato il numero minimo, mentre per il fegato, su 22 centri otto non hanno raggiunto il traguardo dei 25 interventi l'anno. trapianti | sanità © RIPRODUZIONE RISERVATA
Trapianti, così buttiamo i soldidi Ignazio MarinoNonostante l'Italia sia tra i primi Paesi in Europa nella donazione di organi, quasi un terzo dei centri dedicati dovrebbe chiudere perché non è in grado di esegure il numero minimo di operazioni. In questo modo non solo si mettono a rischio i pazienti ma si continua a sprecare il denaro dei cittadini(07 maggio 2012)
Nonostante l'Italia sia tra i primi Paesi in Europa nella donazione di organi, quasi un terzo dei centri dedicati dovrebbe chiudere perché non è in grado di esegure il numero minimo di operazioni. In questo modo non solo si mettono a rischio i pazienti ma si continua a sprecare il denaro dei cittadini(07 maggio 2012)L'Italia è tra i primi Paesi in Europa nelle donazioni di organi. Evviva. Peccato che le donazioni siano stagnanti dal 2006, con variazioni minime come dimostra l'aumento di soli diciotto donatori nell'ultimo anno. Certo anche una sola donazione in più è una buona notizia perché, come è scritto nel Talmud, "chiunque salvi una vita salva il mondo intero". Questo vale per i chirurghi dei trapianti ma soprattutto per tutti i malati che grazie a un nuovo organo ricominciano a vivere, eppure, a guardare il sistema nel suo complesso c'è poco da stare allegri.
La legge sulla donazione degli organi del 1999 si basava sul principio del silenzio-assenso ed è rimasta in buona parte inapplicata. La norma prevedeva, infatti, che in assenza di una esplicita opposizione alla donazione, si potesse procedere al prelievo degli organi informando i familiari della persona deceduta, ma sollevandoli da questa difficile decisione. Come mai tale automatismo, che avrebbe probabilmente permesso di accrescere in maniera esponenziale le donazioni, non è mai diventato realtà? E come mai le donazioni di rene da vivente non sono mai decollate, nonostante gli ottimi risultati clinici di questo trapianto e la positiva esperienza maturata da altri Paesi?
Sono i misteri di un'Italia recalcitrante ai cambiamenti e troppo poco omogenea nella sanità come nella cultura della donazione. Molti passi avanti sono stati fatti, ma le disparità territoriali restano macroscopiche: si passa dalla Toscana, prima in Italia e seconda al mondo dopo la Spagna per numero di donazioni, con 46 donatori per milione di abitanti, per cadere ai miseri 11 di Umbria e Campania.
I trapianti sono un settore strategico della sanità e per questo si dovrebbero sostenere le donazioni nelle zone più deboli trasferendo competenze e know how dalle regioni migliori. Ci sono situazioni estreme, come quella del Policlinico Umberto I di Roma dove nel 2011 sono stati individuati circa un terzo dei donatori di tutto il Lazio, a fronte di una struttura fatiscente e condizioni di lavoro massacranti. Un risultato positivo, reso possibile solo grazie all'impegno degli operatori sanitari che, in alcune circostanze, sono anche stati addirittura aggrediti dai parenti costretti a bivaccare per giorni nei viali dell'ospedale senza alcun comfort, in attesa di notizie. Questo per quanto riguarda il versante donazioni.
Se si osserva, però, l'altra sponda del fiume, quella dei centri trapianto, le acque appaiono comunque torbide. Nel 2011 i trapianti in tutt'Italia sono stati poco meno di 3 mila, a fronte di circa 9 mila pazienti in attesa, ma analizzando i dati del Centro nazionale trapianti (Cnt), ci si accorge come su 1.539 trapianti di rene circa 800 sono stati eseguiti al Nord, 400 al Centro e solo 280 nelle regioni meridionali. Per quanto riguarda il fegato poi dei circa mille trapianti eseguiti, metà si sono concentrati al Nord, 350 al Centro e 150 nel Sud. Queste discrepanze sono dovute al minor numero di centri al Sud ma anche ai pochi trapianti che vi si eseguono e ciò evidenzia un problema molto grave per quanto riguarda l'equità in un sistema sanitario pubblico che si dice universale. Significa che un ammalato di cirrosi epatica piemontese ha ottime probabilità di curarsi e continuare a vivere, mentre se abita in Calabria o in Puglia è meglio che pensi a traslocare.
Ignazio Marino Veniamo al secondo punto dolente: come è possibile che siano considerati con gli stessi criteri, in quanto a risorse pubbliche investite, personale medico impiegato e dotazioni tecnologiche, il centro di Torino che nel 2011 ha eseguito 137 trapianti di fegato e quello di Genova con i suoi 11? Le linee guida approvate dalla Conferenza Stato-Regioni nel 2002 parlano chiaro: "Per assicurare la qualità dei programmi clinici, gli standard minimi di attività annuale sono individuati rispettivamente in 30 trapianti di rene da cadavere, 25 trapianti di fegato, 25 trapianti di cuore".
I controlli spettano alle regioni che, nel caso in cui un centro non raggiunga il numero minimo e il livello medio di sopravvivenza dei pazienti, revocano l'autorizzazione ai trapianti. In teoria. Nella realtà, invece, su 43 strutture per il trapianto di rene ben 16 non hanno superato la soglia dei 30 trapianti annui. Nel caso del cuore solo tre centri su 16 hanno superato il numero minimo, mentre per il fegato, su 22 centri otto non hanno raggiunto il traguardo dei 25 interventi l'anno. trapianti | sanità © RIPRODUZIONE RISERVATA
Re: SALUTE
Addio ticket, via alla franchigia
tutti pagheranno in base al reddito
Il progetto del ministro della Salute rivoluzionerà il meccanismo con cui gli italiani pagano per la sanità. Verrà data a tutti una smart card che rivela quanto si è pagato fino a quel momento. Il ministro della Salute: ciascuno verserebbe di tasca propria fino a un certo livello, poi si carica sullo Stato
di ROBERTO PETRINI
IL SISTEMA di compartecipazione o "copayment", in vigore da più di trent'anni (fu introdotto con la Finanziaria del 1982), potrebbe andare in pensione: scompariranno i ticket che oggi paghiamo su farmaci, visite specialistiche, analisi strumentali e di laboratorio, ricoveri al Pronto soccorso. Il tutto attualmente per un costo per i cittadini di circa quattro miliardi all'anno che potrebbe salire a sei quando, nel 2014, entreranno in vigore le norme delle manovre estive dello scorso anno che prevedono un rincaro dei ticket per quasi due miliardi.
Scomparsi i ticket come si pagherà? Ciascuno di noi avrà una franchigia, calcolata in percentuale del reddito, fino al concorrere della quale dovrà pagare interamente ogni prestazione sanitaria, farmaco, analisi o intervento chirurgico. Ad esempio, un pensionato con 10 mila euro di reddito lordo, avrà una franchigia pari al 3 per mille dunque 30 euro: questa cifra sarà il costo massimo che dovrà sborsare per accedere a qualsiasi prestazione sanitaria, pochi medicinali o un maxi intervento chirurgico.
Oltre questo plafond, sarà tutto gratuito. Naturalmente chi ha un reddito lordo di 100 mila euro, come un professionista, avrà una franchigia più alta, circa di 300 euro: ciò significa che fino al raggiungimento di questa cifra, ad esempio, acquistando farmaci e sottoponendosi ad una visita specialistica, dovrà pagare tutto di tasca sua. Sopra i 300 anche per lui sarà tutto gratis.
La franchigia varrà per l'arco degli ultimi dodici mesi: in questo periodo si esaurirà il ciclo di raggiungimento del plafond a pagamento e dell'accesso gratuito a tutte le prestazioni. Dopo i dodici mesi si ricomincerà a pagare fino al proprio personale plafond e, una volta superato il livello, si accederà gratuitamente.
Chi terrà questa contabilità? Una tessera sanitaria intelligente, dotata di chip come un bancomat, che sostituirà di qui ad un anno le attuali tessere. Naturalmente parlare di contabilità ha un senso solo quando sono in ballo piccole prestazioni e pochi farmaci, quando c'è di mezzo un intervento chirurgico quello che conta è che si pagherà fino al raggiungimento del proprio plafond e il resto sarà a carico del Servizio sanitario.
Chi sarà soggetto al sistema della franchigia? Praticamente tutti: scompariranno le esenzioni in base al reddito (ora 36 mila euro circa), l'età (bambini fino a sei anni e anziani oltre i 65), cronici e invalidi. Tutti avranno una franchigia in base al reddito familiare complessivo. Con due varianti: il reddito sarà valutato non solo in base all'Irpef, ma in base all'Isee (che tiene conto della consistenza patrimoniale) e moderato da una sorta di "quoziente familiare" che terrà conto del numero dei figli.
Il piano dovrà comunque passare al vaglio delle Regioni in vista del tavolo sul Patto per la salute. Per ora le reazioni sono negative: "Ipotesi da scartare, colpirebbe tutti indistintamente, sarebbe la riedizione della tassa sulla salute degli Anni Novanta", ha dichiarato Luca Coletto, coordinatore degli assessori regionali alla Sanità. Il ministero della Salute assicura comunque che gli incassi del nuovo sistema a franchigia saranno pari a quelli con i vecchi ticket.
(12 maggio 2012) © RIPRODUZIONE RISERVATA
ma quale reddito ? quello reale o quello fasullo ?
tutti pagheranno in base al reddito
Il progetto del ministro della Salute rivoluzionerà il meccanismo con cui gli italiani pagano per la sanità. Verrà data a tutti una smart card che rivela quanto si è pagato fino a quel momento. Il ministro della Salute: ciascuno verserebbe di tasca propria fino a un certo livello, poi si carica sullo Stato
di ROBERTO PETRINI
IL SISTEMA di compartecipazione o "copayment", in vigore da più di trent'anni (fu introdotto con la Finanziaria del 1982), potrebbe andare in pensione: scompariranno i ticket che oggi paghiamo su farmaci, visite specialistiche, analisi strumentali e di laboratorio, ricoveri al Pronto soccorso. Il tutto attualmente per un costo per i cittadini di circa quattro miliardi all'anno che potrebbe salire a sei quando, nel 2014, entreranno in vigore le norme delle manovre estive dello scorso anno che prevedono un rincaro dei ticket per quasi due miliardi.
Scomparsi i ticket come si pagherà? Ciascuno di noi avrà una franchigia, calcolata in percentuale del reddito, fino al concorrere della quale dovrà pagare interamente ogni prestazione sanitaria, farmaco, analisi o intervento chirurgico. Ad esempio, un pensionato con 10 mila euro di reddito lordo, avrà una franchigia pari al 3 per mille dunque 30 euro: questa cifra sarà il costo massimo che dovrà sborsare per accedere a qualsiasi prestazione sanitaria, pochi medicinali o un maxi intervento chirurgico.
Oltre questo plafond, sarà tutto gratuito. Naturalmente chi ha un reddito lordo di 100 mila euro, come un professionista, avrà una franchigia più alta, circa di 300 euro: ciò significa che fino al raggiungimento di questa cifra, ad esempio, acquistando farmaci e sottoponendosi ad una visita specialistica, dovrà pagare tutto di tasca sua. Sopra i 300 anche per lui sarà tutto gratis.
La franchigia varrà per l'arco degli ultimi dodici mesi: in questo periodo si esaurirà il ciclo di raggiungimento del plafond a pagamento e dell'accesso gratuito a tutte le prestazioni. Dopo i dodici mesi si ricomincerà a pagare fino al proprio personale plafond e, una volta superato il livello, si accederà gratuitamente.
Chi terrà questa contabilità? Una tessera sanitaria intelligente, dotata di chip come un bancomat, che sostituirà di qui ad un anno le attuali tessere. Naturalmente parlare di contabilità ha un senso solo quando sono in ballo piccole prestazioni e pochi farmaci, quando c'è di mezzo un intervento chirurgico quello che conta è che si pagherà fino al raggiungimento del proprio plafond e il resto sarà a carico del Servizio sanitario.
Chi sarà soggetto al sistema della franchigia? Praticamente tutti: scompariranno le esenzioni in base al reddito (ora 36 mila euro circa), l'età (bambini fino a sei anni e anziani oltre i 65), cronici e invalidi. Tutti avranno una franchigia in base al reddito familiare complessivo. Con due varianti: il reddito sarà valutato non solo in base all'Irpef, ma in base all'Isee (che tiene conto della consistenza patrimoniale) e moderato da una sorta di "quoziente familiare" che terrà conto del numero dei figli.
Il piano dovrà comunque passare al vaglio delle Regioni in vista del tavolo sul Patto per la salute. Per ora le reazioni sono negative: "Ipotesi da scartare, colpirebbe tutti indistintamente, sarebbe la riedizione della tassa sulla salute degli Anni Novanta", ha dichiarato Luca Coletto, coordinatore degli assessori regionali alla Sanità. Il ministero della Salute assicura comunque che gli incassi del nuovo sistema a franchigia saranno pari a quelli con i vecchi ticket.
(12 maggio 2012) © RIPRODUZIONE RISERVATA
ma quale reddito ? quello reale o quello fasullo ?
Re: SALUTE
Se non è terzo mondo questo...
San Camillo, incubo senza fine
A tre mesi dallo scandalo delle persone curate per terra, ilfattoquotidiano.it è tornato nel pronto soccorso dell’ospedale San Camillo di Roma. In mezzo alla sporcizia e i pazienti attendono ammassati sulle barelle. I medici in agitazione: “Avevamo chiesto 18 posti letto, la Polverini non ne ha dato neanche uno”
di Silvia D’Onghia
19 maggio 2012
Guarda il video:
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/05/ ... ne/197743/
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