Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Senti chi parla.
L'oracolo, ......il furbastro dell'Ortica (quartiere milanese), dice la sua.
^^^^^^^
Salvini: “Contestazioni? Figli imbecilli di magistrati e avvocati che sono da rieducare”
Video
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/05/ ... ti/373319/
Il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, è tornato sul tema delle contestazioni che lo stanno vedendo protagonista in questa fase della campagna elettorale: “Se volete – ironizza – mettetemi anche un bersaglio sulla schiena, coi punti per chi mi prende con più precisione…”, poi continua, specificando di avere nomi e cognomi di alcuni contestatori: “Evidentemente ci sono degli imbecilli, che ho denunciato, che in alcuni casi sono figli di magistrati (nello specifico mi hanno detto lo sputatore), figli di avvocati, che lanciano pietre e fumogeni“.
Il leader del Carroccio li ha definiti “disadattati”, persone che “vanno rieducate” in quanto non provengono da contesti disagiati “gente che fa casino con un conto in banca che mamma e papà hanno ben ricco” e dovrebbero “essere messi in condizione di non rompere le palle“.
Poi attacca Alfano e il capo della polizia Pansa: “che non è in grado di fare il suo lavoro”
di Alessandro Madron
^^^^^^^
E VOI PENSATE CHE CON QUESTI GENI L'ITALIA POSSA RISOLLEVARSI??????????????
L'oracolo, ......il furbastro dell'Ortica (quartiere milanese), dice la sua.
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Salvini: “Contestazioni? Figli imbecilli di magistrati e avvocati che sono da rieducare”
Video
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/05/ ... ti/373319/
Il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, è tornato sul tema delle contestazioni che lo stanno vedendo protagonista in questa fase della campagna elettorale: “Se volete – ironizza – mettetemi anche un bersaglio sulla schiena, coi punti per chi mi prende con più precisione…”, poi continua, specificando di avere nomi e cognomi di alcuni contestatori: “Evidentemente ci sono degli imbecilli, che ho denunciato, che in alcuni casi sono figli di magistrati (nello specifico mi hanno detto lo sputatore), figli di avvocati, che lanciano pietre e fumogeni“.
Il leader del Carroccio li ha definiti “disadattati”, persone che “vanno rieducate” in quanto non provengono da contesti disagiati “gente che fa casino con un conto in banca che mamma e papà hanno ben ricco” e dovrebbero “essere messi in condizione di non rompere le palle“.
Poi attacca Alfano e il capo della polizia Pansa: “che non è in grado di fare il suo lavoro”
di Alessandro Madron
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E VOI PENSATE CHE CON QUESTI GENI L'ITALIA POSSA RISOLLEVARSI??????????????
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA VOX POPULI
marione • 6 minuti fa
Salvini, te lo dico nella tua lingua madre, pur no essendo un lombardo duro e puro come te:
"MA VA A LAVURA' BARBUN!!!!!!"
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marione • 6 minuti fa
Salvini, te lo dico nella tua lingua madre, pur no essendo un lombardo duro e puro come te:
"MA VA A LAVURA' BARBUN!!!!!!"
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Re: Diario della caduta di un regime.
La legge-truffa per rubare le elezioni e il sì di Mattarella
Scritto il 18/5/15 • LIBRE nella Categoria: idee
Una legge-truffa, costruita per restare al potere e continuare a rubare a mani basse.
E’ la traduzione che Aldo Giannuli fornisce dell’iter sgangherato dell’Italicum voluto da Renzi per cancellare ogni residuo di democrazia rappresentativa con l’alibi (comodo) della governabilità.
«L’Italicum è legge, ed è già iniziato il pressing per farlo digerire agli organi di controllo costituzionale: prima il presidente poi la Corte».
Per il politologo dell’ateneo milanese, «è un pressing di rara disonestà, cui la stampa si sta generosamente prestando».
La Corte Costituzionale aveva bocciato il Porcellum per due ragioni: l’assenza di una soglia minima per ottenere il premio di maggioranza e l’assenza del voto di preferenza.
Sulla questione del voto di preferenza, per la verità, non era stata chiarissima e aveva concesso che le liste bloccate avrebbero potuto essere accettate se fossero state “corte”, in modo che l’elettore potesse sapere chi stava eleggendo.
«Una posizione da contorsionista del diritto, perché il punto non è se l’elettore conosce o no tutti i candidati, ma l’elezione in ordine di presentazione, che limita di fatto la libertà di scelta dell’elettore e mette nelle mani della segreteria di partito la scelta dei parlamentari».
Su questo punto «è stato facile, per il legislatore, aggirare la sentenza della Corte: collegi piccolissimi di sei o sette candidati, capilista bloccati e possibilità di esprimere preferenze per gli altri candidati. Una truffa, ma congegnata con l’apparenza del compromesso accettabile».
Una truffa, insiste Giannuli, perché è evidente che, con quasi 100 collegi, solo il partito vincente, con i suoi 354 seggi, potrà esprimere altri deputati oltre i 100 capilista.
Tutti gli altri partiti, che dovranno dividersi i restanti 276 seggi, eleggeranno solo i capilista: in pochissimi collegi scatterà un secondo eletto.
Risultato: gli eletti con le preferenze non saranno più di 260-265 su 630.
Truffa totale, poi, sulla questione della soglia per il premio di maggioranza, visto che «il senso della sentenza della Corte era quello di rispettare il principio di rappresentatività, impedendo che un partito possa avere un premio addirittura superiore alla sua consistenza, raddoppiando o anche più la sua rappresentanza».
Qui la soglia è solo apparente, il 40% per ottenere il premio al primo turno: ma se non si ha quel 40%, si va al secondo turno fra i primi due partiti.
«E qui, chiunque dei due abbia un voto più dell’altro, si aggiudica lo stesso il premio.
Badate: non è neppure previsto un premio ridotto, ma esattamente lo stesso del primo turno».
Questo rafforza l’obiezione della Corte Costituzionale che bocciò il Porcellum: in base all’Italicum, infatti, è possibilissimo che al ballottaggio vinca il secondo arrivato al primo turno, raccogliendo tutti gli scontenti: un partito forte di appena il 16% potrebbe diventare padrone del Parlamento, col 54% dei seggi.
«Vi sembra che questo sia un sistema che rispetta le regole della rappresentatività?».
Per Giannuli, questo è «il gioco delle tre carte di un ceto politico di disonesti peggiore di qualsiasi tangentista (peraltro, mi pare che le tangenti i signori del Pd non se le fanno neppure mancare).
Diciamo le cose come stanno: questa è una legge fatta per essere sicuri di restare al potere e tornare a rubare».
E Mattarella? Il presidente «avrebbe dovuto far notare che questa legge è “leggermente” incostituzionale», ma soprattutto «il suo dovere sarebbe stato quello di tutelare le minoranze opponendosi ad una legge non consensuale sulle regole del gioco».
Invece «si è precipitato a firmare». Inutile stupirsi: probabilmente «fra le condizioni che Renzi avrà posto a Mattarella per candidarlo al Colle ci sarà stato anche il solenne giuramento di firmare senza storie il Mattarellum».
Secondo Giannuli, l’unico presidente che avrebbe potuto rigettare la legge sarebbe stato un presidente eletto “contro” Renzi, non quello proposto da Renzi, ma questo sarebbe stato possibile solo eleggendo un candidato come Prodi, cosa che «la sinistra Pd non ha neppure provato a fare».
A quel punto «era palese che il presidente sarebbe stato quello scelto da Renzi, con tutto quel che ne consegue».
Il che però non impedisce ora alle opposizioni di richiamare il presidente ai suoi doveri istituzionali: «Anche quando si sa che il presidente lascerà fare, occorre metterlo davanti alle sue responsabilità».
Ma attenzione, il nuovo inquilino del Quirinale non è agli ordini del premier: «Penso che Mattarella sia un congegno ad orologeria contro Renzi: lo pugnalerà appena dovesse iniziare una sua discesa».
Restano due strade, la Corte Costizionale e il referendum.
Entrambe in salita: la Consulta subirà pressioni indicibili («figuriamoci quali ricatti saranno fatti ai tre giudici che dovrebbero essere eletti nei prossimi mesi»), mentre il quesito referendario – per legge – va costruito prevedendo comunque che il paese non resti senza una legge elettorale praticabile.
«Qualunque possa essere la piega che prenderanno le cose – conclude Giannuli – c’è una sola certezza: che il nemico da battere è il Pd».
Scritto il 18/5/15 • LIBRE nella Categoria: idee
Una legge-truffa, costruita per restare al potere e continuare a rubare a mani basse.
E’ la traduzione che Aldo Giannuli fornisce dell’iter sgangherato dell’Italicum voluto da Renzi per cancellare ogni residuo di democrazia rappresentativa con l’alibi (comodo) della governabilità.
«L’Italicum è legge, ed è già iniziato il pressing per farlo digerire agli organi di controllo costituzionale: prima il presidente poi la Corte».
Per il politologo dell’ateneo milanese, «è un pressing di rara disonestà, cui la stampa si sta generosamente prestando».
La Corte Costituzionale aveva bocciato il Porcellum per due ragioni: l’assenza di una soglia minima per ottenere il premio di maggioranza e l’assenza del voto di preferenza.
Sulla questione del voto di preferenza, per la verità, non era stata chiarissima e aveva concesso che le liste bloccate avrebbero potuto essere accettate se fossero state “corte”, in modo che l’elettore potesse sapere chi stava eleggendo.
«Una posizione da contorsionista del diritto, perché il punto non è se l’elettore conosce o no tutti i candidati, ma l’elezione in ordine di presentazione, che limita di fatto la libertà di scelta dell’elettore e mette nelle mani della segreteria di partito la scelta dei parlamentari».
Su questo punto «è stato facile, per il legislatore, aggirare la sentenza della Corte: collegi piccolissimi di sei o sette candidati, capilista bloccati e possibilità di esprimere preferenze per gli altri candidati. Una truffa, ma congegnata con l’apparenza del compromesso accettabile».
Una truffa, insiste Giannuli, perché è evidente che, con quasi 100 collegi, solo il partito vincente, con i suoi 354 seggi, potrà esprimere altri deputati oltre i 100 capilista.
Tutti gli altri partiti, che dovranno dividersi i restanti 276 seggi, eleggeranno solo i capilista: in pochissimi collegi scatterà un secondo eletto.
Risultato: gli eletti con le preferenze non saranno più di 260-265 su 630.
Truffa totale, poi, sulla questione della soglia per il premio di maggioranza, visto che «il senso della sentenza della Corte era quello di rispettare il principio di rappresentatività, impedendo che un partito possa avere un premio addirittura superiore alla sua consistenza, raddoppiando o anche più la sua rappresentanza».
Qui la soglia è solo apparente, il 40% per ottenere il premio al primo turno: ma se non si ha quel 40%, si va al secondo turno fra i primi due partiti.
«E qui, chiunque dei due abbia un voto più dell’altro, si aggiudica lo stesso il premio.
Badate: non è neppure previsto un premio ridotto, ma esattamente lo stesso del primo turno».
Questo rafforza l’obiezione della Corte Costituzionale che bocciò il Porcellum: in base all’Italicum, infatti, è possibilissimo che al ballottaggio vinca il secondo arrivato al primo turno, raccogliendo tutti gli scontenti: un partito forte di appena il 16% potrebbe diventare padrone del Parlamento, col 54% dei seggi.
«Vi sembra che questo sia un sistema che rispetta le regole della rappresentatività?».
Per Giannuli, questo è «il gioco delle tre carte di un ceto politico di disonesti peggiore di qualsiasi tangentista (peraltro, mi pare che le tangenti i signori del Pd non se le fanno neppure mancare).
Diciamo le cose come stanno: questa è una legge fatta per essere sicuri di restare al potere e tornare a rubare».
E Mattarella? Il presidente «avrebbe dovuto far notare che questa legge è “leggermente” incostituzionale», ma soprattutto «il suo dovere sarebbe stato quello di tutelare le minoranze opponendosi ad una legge non consensuale sulle regole del gioco».
Invece «si è precipitato a firmare». Inutile stupirsi: probabilmente «fra le condizioni che Renzi avrà posto a Mattarella per candidarlo al Colle ci sarà stato anche il solenne giuramento di firmare senza storie il Mattarellum».
Secondo Giannuli, l’unico presidente che avrebbe potuto rigettare la legge sarebbe stato un presidente eletto “contro” Renzi, non quello proposto da Renzi, ma questo sarebbe stato possibile solo eleggendo un candidato come Prodi, cosa che «la sinistra Pd non ha neppure provato a fare».
A quel punto «era palese che il presidente sarebbe stato quello scelto da Renzi, con tutto quel che ne consegue».
Il che però non impedisce ora alle opposizioni di richiamare il presidente ai suoi doveri istituzionali: «Anche quando si sa che il presidente lascerà fare, occorre metterlo davanti alle sue responsabilità».
Ma attenzione, il nuovo inquilino del Quirinale non è agli ordini del premier: «Penso che Mattarella sia un congegno ad orologeria contro Renzi: lo pugnalerà appena dovesse iniziare una sua discesa».
Restano due strade, la Corte Costizionale e il referendum.
Entrambe in salita: la Consulta subirà pressioni indicibili («figuriamoci quali ricatti saranno fatti ai tre giudici che dovrebbero essere eletti nei prossimi mesi»), mentre il quesito referendario – per legge – va costruito prevedendo comunque che il paese non resti senza una legge elettorale praticabile.
«Qualunque possa essere la piega che prenderanno le cose – conclude Giannuli – c’è una sola certezza: che il nemico da battere è il Pd».
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Re: Diario della caduta di un regime.
De Luca, Letta: “Se l’avesse candidato Berlusconi, il Pd sarebbe sceso in piazza”
L'ex presidente del Consiglio: "Se anche noi cominciamo ad applicare la doppia morale, penso che nell'arco di poco la gente darà ragione a Grillo". E su Renzi insiste: "Sulla personalizzazione della politica è come il Cavaliere"
di F. Q. | 19 maggio 2015
“Se noi centrosinistra cominciamo ad applicare la doppia morale, penso che nell’arco di poco la gente ci abbandonerà e darà ragione a Grillo.
Se Berlusconi avesse candidato a governatore della Campania una persona nelle condizioni di De Luca, il Pd sarebbe sceso in piazza.
La doppia morale è una cosa che non posso accettare e la denuncio quando accade”.
A dirlo è l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta in un’intervista a Ballarò su Rai3. Letta dice anche: “Saviano segretario del Pd? Non credo sia in pista. Ma sulla Campania ha detto cose che io sottoscrivo dalla prima all’ultima”.
Poi Letta è tornato su un tema già affrontato poco tempo fa: “Renzi come il Cavaliere?
Sulla personalizzazione della politica sicuramente sì.
Un eccesso di personalizzazione penso che sia un male perché fa credere alla gente che basta il volere di una persona perché le cose si risolvano”.
Tuttavia l’ex capo del governo ha precisato che Renzi nel Pd non è un usurpatore: “Assolutamente no, ha vinto elezioni primarie e un congresso quindi è a tutti gli effetti segretario del Pd attraverso un’investitura totale.
Quando fa delle cose sbagliate penso di dover parlare”. Mentre ricorda che lascerà il Parlamento, ma non la politica, Letta precisa di non vedere “assolutamente una deriva antidemocratica.
Se faccio delle critiche o degli apprezzamenti lo faccio perchè penso che sia giusto dire le cose, intervenire, aiutare laddove c’è bisogno, non avendo un particolare interesse in gioco.
Non mi candido a niente, non ho voglia né interesse di mettermi fare polemiche.
Se dico le cose è perché ci credo. Io tradito da Renzi? Io guardo avanti. Penso che sia una vicenda che rischia di diventare stucchevole per gli italiani. Per quanto mi riguarda la pagina è voltata. E’ tutto talmente di fronte agli occhi degli italiani che lascio a loro il giudizio”.
Per l’ex vicesegretario “il Pd oggi è un partito in cambiamento ma è un partito che vince, non si interroga tanto sulle cose che accadono. Il tema di cosa sia il Pd e il centrosinistra moderno andrà sicuramente affrontato meglio dopo le elezioni e io sarò tra quelli che dirà la sua. Partito della Nazione? Non ho ancora capito che cos’è”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05 ... a/1700505/
L'ex presidente del Consiglio: "Se anche noi cominciamo ad applicare la doppia morale, penso che nell'arco di poco la gente darà ragione a Grillo". E su Renzi insiste: "Sulla personalizzazione della politica è come il Cavaliere"
di F. Q. | 19 maggio 2015
“Se noi centrosinistra cominciamo ad applicare la doppia morale, penso che nell’arco di poco la gente ci abbandonerà e darà ragione a Grillo.
Se Berlusconi avesse candidato a governatore della Campania una persona nelle condizioni di De Luca, il Pd sarebbe sceso in piazza.
La doppia morale è una cosa che non posso accettare e la denuncio quando accade”.
A dirlo è l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta in un’intervista a Ballarò su Rai3. Letta dice anche: “Saviano segretario del Pd? Non credo sia in pista. Ma sulla Campania ha detto cose che io sottoscrivo dalla prima all’ultima”.
Poi Letta è tornato su un tema già affrontato poco tempo fa: “Renzi come il Cavaliere?
Sulla personalizzazione della politica sicuramente sì.
Un eccesso di personalizzazione penso che sia un male perché fa credere alla gente che basta il volere di una persona perché le cose si risolvano”.
Tuttavia l’ex capo del governo ha precisato che Renzi nel Pd non è un usurpatore: “Assolutamente no, ha vinto elezioni primarie e un congresso quindi è a tutti gli effetti segretario del Pd attraverso un’investitura totale.
Quando fa delle cose sbagliate penso di dover parlare”. Mentre ricorda che lascerà il Parlamento, ma non la politica, Letta precisa di non vedere “assolutamente una deriva antidemocratica.
Se faccio delle critiche o degli apprezzamenti lo faccio perchè penso che sia giusto dire le cose, intervenire, aiutare laddove c’è bisogno, non avendo un particolare interesse in gioco.
Non mi candido a niente, non ho voglia né interesse di mettermi fare polemiche.
Se dico le cose è perché ci credo. Io tradito da Renzi? Io guardo avanti. Penso che sia una vicenda che rischia di diventare stucchevole per gli italiani. Per quanto mi riguarda la pagina è voltata. E’ tutto talmente di fronte agli occhi degli italiani che lascio a loro il giudizio”.
Per l’ex vicesegretario “il Pd oggi è un partito in cambiamento ma è un partito che vince, non si interroga tanto sulle cose che accadono. Il tema di cosa sia il Pd e il centrosinistra moderno andrà sicuramente affrontato meglio dopo le elezioni e io sarò tra quelli che dirà la sua. Partito della Nazione? Non ho ancora capito che cos’è”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05 ... a/1700505/
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Re: Diario della caduta di un regime.
Tuttavia l’ex capo del governo ha precisato che Renzi nel Pd non è un usurpatore: “Assolutamente no, ha vinto elezioni primarie e un congresso quindi è a tutti gli effetti segretario del Pd attraverso un’investitura totale.
Credo che sbagli perché ha vinto sì le primarie, ma con un programma diverso da quello che sta attuando, dove nulla di preciso era stato detto sulla riforma del lavoro, sulle riforme costituzionali, sulla riforma elettorale.
Credo che sbagli perché ha vinto sì le primarie, ma con un programma diverso da quello che sta attuando, dove nulla di preciso era stato detto sulla riforma del lavoro, sulle riforme costituzionali, sulla riforma elettorale.
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Re: Diario della caduta di un regime.
iospero ha scritto:Tuttavia l’ex capo del governo ha precisato che Renzi nel Pd non è un usurpatore: “Assolutamente no, ha vinto elezioni primarie e un congresso quindi è a tutti gli effetti segretario del Pd attraverso un’investitura totale.
Credo che sbagli perché ha vinto sì le primarie, ma con un programma diverso da quello che sta attuando, dove nulla di preciso era stato detto sulla riforma del lavoro, sulle riforme costituzionali, sulla riforma elettorale.
Letta attacca Renzi ma non vuol far vedere che ha del rancore nei suoi confronti per quanto è successo.
In questo ha bucato.
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Re: Diario della caduta di un regime.
1. FATTI, FATTACCI E MISFATTI DI FILIPPO SENSI, L’ANIMA NERA DEL RENZISMO SENZA LIMITISMO
2. “IL FATTO” SVELA COME IL PORTAVOCE DEL PREMIER CAZZONE MANIPOLA L’INFORMAZIONE
3. TUTTO È COORDINATO: OGNI SERA I RETROSCENISTI DEI GIORNALI RICEVONO UN MESSAGGIO SULLA LINEA DEL GOVERNO CON LA FORMULA “RENZI AI SUOI ”, MENTRE LE AGENZIE DI STAMPA VENGONO ISTRUITE IN UNA CHAT DI WHATSAPP.
Carlo Tecce per Il Fatto quotidiano
Nomfup, notmy fucking problem. Non è un mio fottuto problema, citazione di Malcolm Tucker, l’iroso e geniale protagonista di The Thick of It, una serie tv inglese. Nomfup è Filippo Sensi. Quello che sentite, leggete, vedete di Matteo Renzi – la lavagna per insegnare la “buona scuola”, il motto per giustiziare gli avversari, le stravaganze e le provocazioni – lo decide Sensi. E soprattutto quello che non sentite, non leggete, non vedete. Più che lo stato dell’informazione, a Renzi interessa l’informazione di Stato.
A patto che lo Stato sia Lui. Così ha ingaggiato il tentacolare portavoce, maniere ieratiche col profilo secchione, empatico e vendicativo di professione, importatore maniacale di tattiche anglosassoni, ma un romano col passaporto per entrare nei salotti, l’anfitrione del fiorentino per i rapporti con la Capitale.
Classe1968, Sensi è un ex assistente di Francesco Rutelli sindaco, il giornalista italiano che, dragando gli archivi in rete e acciuffando un video, ha fatto dimettere Liam Fox, un ministro di sua maestà Elisabetta II colpevole di intrattenere relazioni troppo strette con il lobbista Adam Werritty.
Il sodalizio con il fiorentino non c’entra con la sintonia politica, la formazione culturale, la sindrome rottamatrice. Amici mai. Alleati sempre. Renzi ha bisogno di Sensi, un San Pietro, il capo degli apostoli e il boia degli apostati. Perché Nomfup controlla. Tutto.
Come funziona l’impero dei sensi
Il Mediterraneo è un mare di morte. La tomba dei profughi, dei clandestini, degli immigrati. Il metodo Triton di fabbricazione renziana è inefficace, i barconi trasportano vittime. Roma invoca l’Europa. Enrico Letta s’accomoda in cattedra e rimbrotta il fiorentino che l’ha spodestato. Le opposizioni martellano. Palazzo Chigi convoca Ban Ki-moon in Italia. Il 27 di aprile, il presidente Onu visiterà la nave San Giusto che sorveglia le coste al largo di Lampedusa.
È il mondo che non ignora le rimostranze di Roma. È la parata con le mostrine e la ciurma impettita. L’Aeronautica comunica ai giornalisti il programma per la trasferta. Il 25 sera, un sabato, un Maggiore spedisce una lettera: andata e ritorno da Ciampino, scalo a Sigonella, viaggio in elicottero; suggerisce di reperire i telefoni satellitari. Le telecamere dei giornalisti a bordo, spiega con dovizia di particolari il Maggiore, possono riprendere l’incontro fra il premier Renzi e Ban Ki-moon per ottanta minuti, poi ci sarà una conferenza, mezz’ora circa.
Il coreano che risiede al Palazzo di Vetro, lo stesso giorno, rilascia un’intervista a La Stampa. Muove una leggera, quasi impercettibile critica al governo: “Sbagliato colpire i barconi in Libia”. Suona l’allarme per Renzi e Sensi soccorre. Cosa potrebbe accadere se Ban Ki-moon fosse consegnato agli inviati? Quanto si potrebbe macchiare la narrazione (story telling, per usare la lingua di Nomfup) se i cronisti notassero una smorfia di tedio del coreano?
Con la freddezza di Carl von Clausewitz, il generale prussiano che fu raffinato stratega, Sensi ordina al Maggiore di annullare la spedizione. Il militare, desolato, rettifica: cari colleghi, vi rendo il mio congedo; per qualsiasi aggiornamento, il vostro referente è Sensi.
Quei retroscena sotto dittatura Nomfup non dispone di collaboratori, solo di propaggini: l’ex paparazzo Tiberio Barchielli e l’ex poliziotto Filippo Attili. I dipendenti dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi, un gruppo che ha attraversato le stagioni destrorse, sinistrorse e tecniche, patiscono l’ozio, sopravvivono ai margini, mai consultati.
L’ex poliziotto e l’ex paparazzo preparano il video e l’album che i giornali, le agenzie e le televisioni devono ingoiare e gli italiani ammirare, ignari che la fonte di quel servizio è Palazzo Chigi. Il resoconto è propaganda. Ecco Renzi che stringe la mano all’equipaggio, che incalza il comandante: “Che ci mostrate?”. E dietro arranca, piegato dall’energia del fiorentino, un tale Ban Ki-moon.
Ecco Renzi che rilascia un’intervistache nessuno gli ha chiesto perché nessun cronista era presente, che distilla la sua sapienza e la sua intelligenza al duttile Attili. Ecco Renzi che scende la rampa del velivolo con incedere impetuoso, col cielo smerigliato addosso e una suggestiva commistione di colori.
Ecco l’ex ministra Federica Mogherini che imita l’inimitabile Matteo e passa in rassegna il picchetto d’onore dispensando incerti sorrisi. Il lavoro di Sensi è perfetto per l’informazione di Stato. Non una sbavatura, non una notizia. In televisione va in onda il video di Attili (pochi si rifiutano), in agenzia finiscono le immagini di Barchielli, che l’Ansa e LaPresse distribuiscono. È già successo duecento volte, Barchielli è fornitore assiduo.
CENA DI FINANZIAMENTO DEL PD A ROMA FILIPPO SENSI
Nomfup è un vigile attento e severo. Ma per vigilare bene occorre guardare bene. Occhi ovunque, orecchie allerta per non giocare di rimessa. Nel laboratorio di Palazzo Chigi costruiscono e ispirano i retroscena dei giornali, dettano l’agenda. Il lunedì, di solito, fanno trapelare il tema che farà discutere durante la settimana. Che sia l’Enel che scippa la banda larga a Telecom, la riforma Rai, la fiducia sui decreti: questo è il lavoro straordinario. Poi c’è l’impiego ordinario.
FILIPPO SENSI,QUELLO CHE SAPETE DI RENZI LO DECIDE LUI
Ogni sera, a telegiornali quasi esauriti, Nomfup manda un sms ai cronisti che seguono il governo con la formula “Renzi ai suoi”. I più pigri lo copiano e lo incollano nei pezzi. I più scafati tentano di ampliare le frasi, di argomentare meglio, di usare la testa. Appena espugnata Roma, Renzi esecrava le distinzioni: agenzie, quotidiani e televisioni devono dissetarsi a una sorgente comune.
Ma i quotidiani, che vanno in edicola al mattino e ricamano in attesa di una nuova alba, hanno protestato e Nomfup ha ideato un sistema più complesso, però circolare. I giornali ottengono l’esclusiva di “Renzi ai suoi” e svelano il pensiero del fiorentino e del governo, più o meno esatto, più o meno definitivo.
filippo sensi nasconde il tablet dietro la schiena durante l incontro con papa francesco bergoglio
Le agenzie di stampa nazionali, che sono accatastate in una conversazione di WhatsApp (l’applicazione di messaggeria istantanea e gratuita), smussano, correggono, s’adattano all’evoluzione di una giornata. Le televisioni traggono spunti, svolgono un ruolo di cucitura, di megafono.
Capita che un giornale e un’agenzia carpiscano uno spiffero in più. È Sensi che quel giorno ha premiato l’uno per punire l’altro. Il reprobo può subire il silenzio (zero sms) per una settimana se l’ha fatta grossa. Anche le etichette “fonti di governo” e “fonti di Palazzo Chigi” sono di proprietà di Sensi. I ministri non possono interpretare la posizione di Renzi se non è Sensi a fornire le coordinate.
Quando esagerano, Nomfup è spietato. Le emergenze: massoni e pensioni. Il 6 maggio, Palazzo Chigi è un luogo caotico. La Consulta ha inguaiato Renzi con la sentenza che boccia la legge Fornero. Il governo è sprovvisto del denaro per risarcire i pensionati gabbati dal blocco. Enrico Zanetti, il logorroico sottosegretario di Scelta Civica, va a zonzo in televisione a giurare che il governo può non rimborsare i pensionati con l’assegno più alto o addirittura può rimborsare con un obolo (sarà definito “bonus”).
Palazzo Chigi non commenta e non smentisce, osserva l’effetto. Zanetti non fa male, non è un renziano. A metà pomeriggio, l’Ansa interpella un influente consigliere di Renzi e batte il lancio: “Non rimborsare tutti è compatibile con la sentenza della Consulta, fonti governative reagiscono dopo l’uscita di Zanetti e aggiungono che domani in Cdm non sono previsti interventi”.
Sensi è furibondo. Ma non reagisce: attende la reazione dei telegiornali e ancora deve farcire il mitologico sms di “Renzi ai suoi”. Quando capisce che l’Ansa ha contaminato i telegiornali, anche quelli di Viale Mazzini, azzanna i vertici e ridimensiona l’indiscrezione con il riepilogativo serale. Il tempo darà ragione all’autore di quel breve testo, l’imbeccata era lungimirante, ma il tempo deve assecondare le esigenze di Sensi.
I telegiornali orientano la bussola di Palazzo Chigi, Nomfup non è il luddista dei mezzi del Novecento. Twitter è un microcosmo per sperimentare gli spot. In televisione non sono ammessi intoppi. La tv garantisce milioni di telespettatori. È la platea più ampia, la più semplice da adunare. Renzi è andato da Massimo Giletti su Rai1 non per ricevere in regalo la maglietta della Juventus, ma perché un terzo del pubblico di Giletti ha più di 65 anni.
L’Arena è il parco virtuale dei pensionati. E il ragionamento va applicato pure a Porta a Porta, dove il fiorentino è transitato l’indomani. Quando Renzi va all’estero, però, preferisce Sky. Perché il circuito è internazionale e incentiva la visibilità negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Germania. Ma l’attenzione più puntigliosa è per il servizio pubblico, che può amplificare o smorzare quel che di sottecchi esce sui giornali.
24 settembre 2014, Ferruccio de Bortoli firma sul Corriere un editoriale deflagrante:“Il patto del Nazareno finirà per eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica, forse a inizio 2015. Sarebbe opportuno conoscerne tutti i reali contenuti. Liberandolo da vari sospetti (riguarda anche la Rai?) e, non ultimo, dallo stantio odore di massoneria”.
Il Co r r i e re borghese, equilibrista e istituzionale, che trent’anni fa la Loggia segreta P2 ha tramortito, associa il governo ai massoni. Il Nazareno, la sede dem, non emana un effluvio di lavanda, ma “uno stantio odore di massoneria”. Il dubbio innesca articoli, condiziona le scalette tv, scatena i cronisti. A Ballarò su Rai3 preparano la puntata di martedì 30 settembre e non possono sottovalutare il monito siglato De Bortoli.
A un giornalista viene commissionato un servizio per approfondire la sintonia (o riscontrare la distanza) fra il governo e la massoneria. Ballarò iesce a strappare un appuntamento al modenese Antonio Binni, granmaestro della Gran Loggia d’Italia degli antichi liberi muratori accettati. Il rito è scozzese. Il granmaestro mostra al giornalista e agli operatori il tempio di largo Argentina a Roma, indossa guanti di pelle bianca, grembiule ricamato con sfumature d’azzurro, collare dorato con una medaglia con squadra e compasso.
E risponde a una certosina sequenza di domande. Gli inviati di Ballarò registrano almeno due ore di filmato e rientrano in redazione per riversare il materiale. Lunedì 29 ribadiscono al gran maestro Binni che potrà ammirare la propria esibizione su Rai3. E le rassicurazioni si ripetono. Come di consueto, quel pomeriggio Ballarò dirama il menu della puntata. Il faccia a faccia sarà tra il conduttore Massimo Giannini e il ministro Maria Elena Boschi; in studio Giuliano Pisapia, Simona Bonafé e Matteo Salvini.
Il martedì, a poche ore dal via, l’inviato di Ballarò spiega a Binni che, purtroppo,con immenso dispiacere, il colloquio già montato e lustrato non verrà trasmesso per questioni di spazio. È piombato in scaletta un pezzo pregiato. Un’intervista a Renzi. E pazienza se per il governo c’è già la Boschi e il verbo renziano tracima. Che strana coincidenza: fuori il massone, dentro il fiorentino.
Questa imperdibile intervista a Renzi non è nient’altro che una chiacchierata del premier con Paolo Poggi. È la finzione che deve apparire imprevisto. Nomfup l’ha studiata nei dettagli. Cortile di Palazzo Chigi, un commesso spalanca una porticina schermata dal colonnato, sbuca Renzi che accenna a una corsetta verso la telecamera, di lato s’incarna Poggi. Il fiorentino sciorina il copione: “La discussione in direzione è stata bella, ora la riforma del lavoro. Il lavoro non è un diritto, è molto di più: è un dovere”.
Per mesi s’era concionato sui tatticismi di Renzi: che fa, donerà il suo volto all’esordiente Gianninisu Rai3 o omaggerà il concorrente Giovanni Floris espatriato a La7? Avviene che Ballarò ha confezionato un approfondimento sui massoni, che il servizio pubblico ha interpellato un gran maestro per soddisfare il diffidente De Bortoli, milioni di italiani potranno esaminare il patto con Silvio Berlusconi che il Co r riere reputa caliginoso.
Per fortuna, perché civ uole tanta fortuna, Renzi si ricorda di concedere cinque minuti a Poggi e quei cinque minuti condannano all’oblio il parere di Binni, De Bortoli, il Co r r i e re e la curiosità di molti. O forse Sensi, senz’altro fortunato, sapeva del gran maestro. E perché, fra decine di pause, contributi esterni e un dibattito infinito, viene espunto il massone?
O sarà che Nomfup non espone Matteo se non bonifica l’area che lo circonda, se non può agire in ambiente protetto. In cinque minuti, il giornalista non fa un accenno all’odore stantio di massoneria, ma chiede a Renzi se – come gli ave-va confidato – è ancora convinto di voler fare il camionista. Il fiorentino tergiversa.
Ma è sicuro che Nomfup aborre la versione gelataio. Quando Renzi ha offerto coni ai cronisti a Palazzo Chigi per replicare indignato a una copertina dell’Economis t che lo ritraeva distratto mentre l’Europa affonda, la coppia è scoppiata. Anche Nomfup e Matteo litigano. Il precedente più significativo risale al 5 marzo 2014. Il presidente del Consiglio più giovane d’Italia, più imberbe di Benito Mussolini, inaugura il giro per le scuole italiane.
Istituto “Salvatore Raiti”di Siracusa, i bambini lo accolgono con una canzoncina da opera nazionale balilla, i docenti riadattano Clap and jump: “Facciamo un salto. Battiam le mani, ti salutiamo tutti insieme presidente Renzi. Muoviam la testa. Facciamo festa. A braccia aperte ti diciamo benvenuto al Raiti! I bambini, gli insegnanti, i bidelli e poi l’orchestra lasceremo improvvisar così”.
I giornalisti scoprono la stucchevole pantomima. Sensi ha fallito, perché il fiorentino non voleva cronisti intorno, molto pericolosi se non ammaestrati. Dopo l’epi sodio costato una figuraccia, per evitare che possa ripetersi, Renzi interrompe il giro d’Italia. E si smentisce: “Visiterò una scuola a settimana”, aveva promesso ai parlamentari. Non era più utile. Anzi, era una trappola.
Un’immagine vale mille parole
Nomfup ha talento, è un meticoloso organizzatore. Adora pianificare. Il segreto, seppur elementare: nulla al caso. Qualsiasi immagine di Renzi va filtrata dall’inedito poliziotto-cameraman Attili. I cronisti non possono accendere le telecamere se la circostanza non è pubblica, non possono azionare la macchina fotografica. A Bruxelles, al centro della saletta riservata agli italiani, Nomfup ha sostituito il tradizionale tavolo verde con un podio in stile americano.
Sandro Gozi, il sottosegretario con delega all’Unione Europa, è costretto a ricavarsi una seggiola in disparte, a osservare da un angolino. Alle spalle di Renzi, lì dove accorrono giornalisti stranieri, c’è posto solo per Nomfup e per Ilva Sapora, la donna del cerimoniale di Palazzo Chigi che si premura di sistemare le minuzie, l’orlo di una camicia o la piega di un cappotto.
Così Nomfup, spesso, è l’origine delle notizie. Il pretesto: #cosedilavoro, l’hashta g . È Sensi che divulga la Mogherini lacrimante, nominata rappresentante per la politica estera dell’Unione europea. È Sensi che occulta gli spostamenti di Renzi per impedire che le contestazioni siano strutturate in anticipo. È ancora Sensi, a Parma per la campagna elettorale o altrove con la medesima sagacia, che pubblica su Twitter la fotografia di una piazza deserta, di un viale semivuoto per irridere chi protesta.
Come a dire, e Renzi poi lo dice davvero, “non ci spaventiamo per tre fischi, tre uova, tre petardi”. Ogni manifestazione del fiorentino deve alimentare l’epopea dell’uomo forte al comando. Sensi ha insegnato ai praticanti del mestiere il prontuario del comunicatore innovatore e onnisciente.
Ha tenuto lezioni per Maria Elena Boschi e colleghi. Quando la ministra ha telefonato a Lucia Annunziata per sindacare su di un pezzo dell’Huffington e reclamarne la rimozione, Nomfup l’ha redarguita. Poi uno scaltro portavoce ha affiancato la Boschi. Sensi è l’ex vicedirettore di E u ro p a , il quotidianodella Margherita di Rutelli, che ha svuotato la redazione per allestire un ufficio stampa di governo.
Nonostante l’influenza su Renzi, Sensi non ne ha scongiurato la chiusura. Lo spirito di E u ro p a aleggia a palazzo Chigi e nei ministeri. Non sarà entusiasta Stefano Menichini, ex direttore nonché mentore di Sensi. Prevale la ragione non il sentimento o la simpatia dei giornalisti o la stima degli adulatori (sono 73.000 i “seguaci”, followe r di Nomfup) su Twitter.
Sensi ha il compito di risolvere i problemi di Renzi. Il trucco non è cercare le soluzioni migliori, ma ridurre il numero dei problemi. Il resto non conta. Nomfup, not my fucking problem. Non è un mio fottuto problem
2. “IL FATTO” SVELA COME IL PORTAVOCE DEL PREMIER CAZZONE MANIPOLA L’INFORMAZIONE
3. TUTTO È COORDINATO: OGNI SERA I RETROSCENISTI DEI GIORNALI RICEVONO UN MESSAGGIO SULLA LINEA DEL GOVERNO CON LA FORMULA “RENZI AI SUOI ”, MENTRE LE AGENZIE DI STAMPA VENGONO ISTRUITE IN UNA CHAT DI WHATSAPP.
Carlo Tecce per Il Fatto quotidiano
Nomfup, notmy fucking problem. Non è un mio fottuto problema, citazione di Malcolm Tucker, l’iroso e geniale protagonista di The Thick of It, una serie tv inglese. Nomfup è Filippo Sensi. Quello che sentite, leggete, vedete di Matteo Renzi – la lavagna per insegnare la “buona scuola”, il motto per giustiziare gli avversari, le stravaganze e le provocazioni – lo decide Sensi. E soprattutto quello che non sentite, non leggete, non vedete. Più che lo stato dell’informazione, a Renzi interessa l’informazione di Stato.
A patto che lo Stato sia Lui. Così ha ingaggiato il tentacolare portavoce, maniere ieratiche col profilo secchione, empatico e vendicativo di professione, importatore maniacale di tattiche anglosassoni, ma un romano col passaporto per entrare nei salotti, l’anfitrione del fiorentino per i rapporti con la Capitale.
Classe1968, Sensi è un ex assistente di Francesco Rutelli sindaco, il giornalista italiano che, dragando gli archivi in rete e acciuffando un video, ha fatto dimettere Liam Fox, un ministro di sua maestà Elisabetta II colpevole di intrattenere relazioni troppo strette con il lobbista Adam Werritty.
Il sodalizio con il fiorentino non c’entra con la sintonia politica, la formazione culturale, la sindrome rottamatrice. Amici mai. Alleati sempre. Renzi ha bisogno di Sensi, un San Pietro, il capo degli apostoli e il boia degli apostati. Perché Nomfup controlla. Tutto.
Come funziona l’impero dei sensi
Il Mediterraneo è un mare di morte. La tomba dei profughi, dei clandestini, degli immigrati. Il metodo Triton di fabbricazione renziana è inefficace, i barconi trasportano vittime. Roma invoca l’Europa. Enrico Letta s’accomoda in cattedra e rimbrotta il fiorentino che l’ha spodestato. Le opposizioni martellano. Palazzo Chigi convoca Ban Ki-moon in Italia. Il 27 di aprile, il presidente Onu visiterà la nave San Giusto che sorveglia le coste al largo di Lampedusa.
È il mondo che non ignora le rimostranze di Roma. È la parata con le mostrine e la ciurma impettita. L’Aeronautica comunica ai giornalisti il programma per la trasferta. Il 25 sera, un sabato, un Maggiore spedisce una lettera: andata e ritorno da Ciampino, scalo a Sigonella, viaggio in elicottero; suggerisce di reperire i telefoni satellitari. Le telecamere dei giornalisti a bordo, spiega con dovizia di particolari il Maggiore, possono riprendere l’incontro fra il premier Renzi e Ban Ki-moon per ottanta minuti, poi ci sarà una conferenza, mezz’ora circa.
Il coreano che risiede al Palazzo di Vetro, lo stesso giorno, rilascia un’intervista a La Stampa. Muove una leggera, quasi impercettibile critica al governo: “Sbagliato colpire i barconi in Libia”. Suona l’allarme per Renzi e Sensi soccorre. Cosa potrebbe accadere se Ban Ki-moon fosse consegnato agli inviati? Quanto si potrebbe macchiare la narrazione (story telling, per usare la lingua di Nomfup) se i cronisti notassero una smorfia di tedio del coreano?
Con la freddezza di Carl von Clausewitz, il generale prussiano che fu raffinato stratega, Sensi ordina al Maggiore di annullare la spedizione. Il militare, desolato, rettifica: cari colleghi, vi rendo il mio congedo; per qualsiasi aggiornamento, il vostro referente è Sensi.
Quei retroscena sotto dittatura Nomfup non dispone di collaboratori, solo di propaggini: l’ex paparazzo Tiberio Barchielli e l’ex poliziotto Filippo Attili. I dipendenti dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi, un gruppo che ha attraversato le stagioni destrorse, sinistrorse e tecniche, patiscono l’ozio, sopravvivono ai margini, mai consultati.
L’ex poliziotto e l’ex paparazzo preparano il video e l’album che i giornali, le agenzie e le televisioni devono ingoiare e gli italiani ammirare, ignari che la fonte di quel servizio è Palazzo Chigi. Il resoconto è propaganda. Ecco Renzi che stringe la mano all’equipaggio, che incalza il comandante: “Che ci mostrate?”. E dietro arranca, piegato dall’energia del fiorentino, un tale Ban Ki-moon.
Ecco Renzi che rilascia un’intervistache nessuno gli ha chiesto perché nessun cronista era presente, che distilla la sua sapienza e la sua intelligenza al duttile Attili. Ecco Renzi che scende la rampa del velivolo con incedere impetuoso, col cielo smerigliato addosso e una suggestiva commistione di colori.
Ecco l’ex ministra Federica Mogherini che imita l’inimitabile Matteo e passa in rassegna il picchetto d’onore dispensando incerti sorrisi. Il lavoro di Sensi è perfetto per l’informazione di Stato. Non una sbavatura, non una notizia. In televisione va in onda il video di Attili (pochi si rifiutano), in agenzia finiscono le immagini di Barchielli, che l’Ansa e LaPresse distribuiscono. È già successo duecento volte, Barchielli è fornitore assiduo.
CENA DI FINANZIAMENTO DEL PD A ROMA FILIPPO SENSI
Nomfup è un vigile attento e severo. Ma per vigilare bene occorre guardare bene. Occhi ovunque, orecchie allerta per non giocare di rimessa. Nel laboratorio di Palazzo Chigi costruiscono e ispirano i retroscena dei giornali, dettano l’agenda. Il lunedì, di solito, fanno trapelare il tema che farà discutere durante la settimana. Che sia l’Enel che scippa la banda larga a Telecom, la riforma Rai, la fiducia sui decreti: questo è il lavoro straordinario. Poi c’è l’impiego ordinario.
FILIPPO SENSI,QUELLO CHE SAPETE DI RENZI LO DECIDE LUI
Ogni sera, a telegiornali quasi esauriti, Nomfup manda un sms ai cronisti che seguono il governo con la formula “Renzi ai suoi”. I più pigri lo copiano e lo incollano nei pezzi. I più scafati tentano di ampliare le frasi, di argomentare meglio, di usare la testa. Appena espugnata Roma, Renzi esecrava le distinzioni: agenzie, quotidiani e televisioni devono dissetarsi a una sorgente comune.
Ma i quotidiani, che vanno in edicola al mattino e ricamano in attesa di una nuova alba, hanno protestato e Nomfup ha ideato un sistema più complesso, però circolare. I giornali ottengono l’esclusiva di “Renzi ai suoi” e svelano il pensiero del fiorentino e del governo, più o meno esatto, più o meno definitivo.
filippo sensi nasconde il tablet dietro la schiena durante l incontro con papa francesco bergoglio
Le agenzie di stampa nazionali, che sono accatastate in una conversazione di WhatsApp (l’applicazione di messaggeria istantanea e gratuita), smussano, correggono, s’adattano all’evoluzione di una giornata. Le televisioni traggono spunti, svolgono un ruolo di cucitura, di megafono.
Capita che un giornale e un’agenzia carpiscano uno spiffero in più. È Sensi che quel giorno ha premiato l’uno per punire l’altro. Il reprobo può subire il silenzio (zero sms) per una settimana se l’ha fatta grossa. Anche le etichette “fonti di governo” e “fonti di Palazzo Chigi” sono di proprietà di Sensi. I ministri non possono interpretare la posizione di Renzi se non è Sensi a fornire le coordinate.
Quando esagerano, Nomfup è spietato. Le emergenze: massoni e pensioni. Il 6 maggio, Palazzo Chigi è un luogo caotico. La Consulta ha inguaiato Renzi con la sentenza che boccia la legge Fornero. Il governo è sprovvisto del denaro per risarcire i pensionati gabbati dal blocco. Enrico Zanetti, il logorroico sottosegretario di Scelta Civica, va a zonzo in televisione a giurare che il governo può non rimborsare i pensionati con l’assegno più alto o addirittura può rimborsare con un obolo (sarà definito “bonus”).
Palazzo Chigi non commenta e non smentisce, osserva l’effetto. Zanetti non fa male, non è un renziano. A metà pomeriggio, l’Ansa interpella un influente consigliere di Renzi e batte il lancio: “Non rimborsare tutti è compatibile con la sentenza della Consulta, fonti governative reagiscono dopo l’uscita di Zanetti e aggiungono che domani in Cdm non sono previsti interventi”.
Sensi è furibondo. Ma non reagisce: attende la reazione dei telegiornali e ancora deve farcire il mitologico sms di “Renzi ai suoi”. Quando capisce che l’Ansa ha contaminato i telegiornali, anche quelli di Viale Mazzini, azzanna i vertici e ridimensiona l’indiscrezione con il riepilogativo serale. Il tempo darà ragione all’autore di quel breve testo, l’imbeccata era lungimirante, ma il tempo deve assecondare le esigenze di Sensi.
I telegiornali orientano la bussola di Palazzo Chigi, Nomfup non è il luddista dei mezzi del Novecento. Twitter è un microcosmo per sperimentare gli spot. In televisione non sono ammessi intoppi. La tv garantisce milioni di telespettatori. È la platea più ampia, la più semplice da adunare. Renzi è andato da Massimo Giletti su Rai1 non per ricevere in regalo la maglietta della Juventus, ma perché un terzo del pubblico di Giletti ha più di 65 anni.
L’Arena è il parco virtuale dei pensionati. E il ragionamento va applicato pure a Porta a Porta, dove il fiorentino è transitato l’indomani. Quando Renzi va all’estero, però, preferisce Sky. Perché il circuito è internazionale e incentiva la visibilità negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Germania. Ma l’attenzione più puntigliosa è per il servizio pubblico, che può amplificare o smorzare quel che di sottecchi esce sui giornali.
24 settembre 2014, Ferruccio de Bortoli firma sul Corriere un editoriale deflagrante:“Il patto del Nazareno finirà per eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica, forse a inizio 2015. Sarebbe opportuno conoscerne tutti i reali contenuti. Liberandolo da vari sospetti (riguarda anche la Rai?) e, non ultimo, dallo stantio odore di massoneria”.
Il Co r r i e re borghese, equilibrista e istituzionale, che trent’anni fa la Loggia segreta P2 ha tramortito, associa il governo ai massoni. Il Nazareno, la sede dem, non emana un effluvio di lavanda, ma “uno stantio odore di massoneria”. Il dubbio innesca articoli, condiziona le scalette tv, scatena i cronisti. A Ballarò su Rai3 preparano la puntata di martedì 30 settembre e non possono sottovalutare il monito siglato De Bortoli.
A un giornalista viene commissionato un servizio per approfondire la sintonia (o riscontrare la distanza) fra il governo e la massoneria. Ballarò iesce a strappare un appuntamento al modenese Antonio Binni, granmaestro della Gran Loggia d’Italia degli antichi liberi muratori accettati. Il rito è scozzese. Il granmaestro mostra al giornalista e agli operatori il tempio di largo Argentina a Roma, indossa guanti di pelle bianca, grembiule ricamato con sfumature d’azzurro, collare dorato con una medaglia con squadra e compasso.
E risponde a una certosina sequenza di domande. Gli inviati di Ballarò registrano almeno due ore di filmato e rientrano in redazione per riversare il materiale. Lunedì 29 ribadiscono al gran maestro Binni che potrà ammirare la propria esibizione su Rai3. E le rassicurazioni si ripetono. Come di consueto, quel pomeriggio Ballarò dirama il menu della puntata. Il faccia a faccia sarà tra il conduttore Massimo Giannini e il ministro Maria Elena Boschi; in studio Giuliano Pisapia, Simona Bonafé e Matteo Salvini.
Il martedì, a poche ore dal via, l’inviato di Ballarò spiega a Binni che, purtroppo,con immenso dispiacere, il colloquio già montato e lustrato non verrà trasmesso per questioni di spazio. È piombato in scaletta un pezzo pregiato. Un’intervista a Renzi. E pazienza se per il governo c’è già la Boschi e il verbo renziano tracima. Che strana coincidenza: fuori il massone, dentro il fiorentino.
Questa imperdibile intervista a Renzi non è nient’altro che una chiacchierata del premier con Paolo Poggi. È la finzione che deve apparire imprevisto. Nomfup l’ha studiata nei dettagli. Cortile di Palazzo Chigi, un commesso spalanca una porticina schermata dal colonnato, sbuca Renzi che accenna a una corsetta verso la telecamera, di lato s’incarna Poggi. Il fiorentino sciorina il copione: “La discussione in direzione è stata bella, ora la riforma del lavoro. Il lavoro non è un diritto, è molto di più: è un dovere”.
Per mesi s’era concionato sui tatticismi di Renzi: che fa, donerà il suo volto all’esordiente Gianninisu Rai3 o omaggerà il concorrente Giovanni Floris espatriato a La7? Avviene che Ballarò ha confezionato un approfondimento sui massoni, che il servizio pubblico ha interpellato un gran maestro per soddisfare il diffidente De Bortoli, milioni di italiani potranno esaminare il patto con Silvio Berlusconi che il Co r riere reputa caliginoso.
Per fortuna, perché civ uole tanta fortuna, Renzi si ricorda di concedere cinque minuti a Poggi e quei cinque minuti condannano all’oblio il parere di Binni, De Bortoli, il Co r r i e re e la curiosità di molti. O forse Sensi, senz’altro fortunato, sapeva del gran maestro. E perché, fra decine di pause, contributi esterni e un dibattito infinito, viene espunto il massone?
O sarà che Nomfup non espone Matteo se non bonifica l’area che lo circonda, se non può agire in ambiente protetto. In cinque minuti, il giornalista non fa un accenno all’odore stantio di massoneria, ma chiede a Renzi se – come gli ave-va confidato – è ancora convinto di voler fare il camionista. Il fiorentino tergiversa.
Ma è sicuro che Nomfup aborre la versione gelataio. Quando Renzi ha offerto coni ai cronisti a Palazzo Chigi per replicare indignato a una copertina dell’Economis t che lo ritraeva distratto mentre l’Europa affonda, la coppia è scoppiata. Anche Nomfup e Matteo litigano. Il precedente più significativo risale al 5 marzo 2014. Il presidente del Consiglio più giovane d’Italia, più imberbe di Benito Mussolini, inaugura il giro per le scuole italiane.
Istituto “Salvatore Raiti”di Siracusa, i bambini lo accolgono con una canzoncina da opera nazionale balilla, i docenti riadattano Clap and jump: “Facciamo un salto. Battiam le mani, ti salutiamo tutti insieme presidente Renzi. Muoviam la testa. Facciamo festa. A braccia aperte ti diciamo benvenuto al Raiti! I bambini, gli insegnanti, i bidelli e poi l’orchestra lasceremo improvvisar così”.
I giornalisti scoprono la stucchevole pantomima. Sensi ha fallito, perché il fiorentino non voleva cronisti intorno, molto pericolosi se non ammaestrati. Dopo l’epi sodio costato una figuraccia, per evitare che possa ripetersi, Renzi interrompe il giro d’Italia. E si smentisce: “Visiterò una scuola a settimana”, aveva promesso ai parlamentari. Non era più utile. Anzi, era una trappola.
Un’immagine vale mille parole
Nomfup ha talento, è un meticoloso organizzatore. Adora pianificare. Il segreto, seppur elementare: nulla al caso. Qualsiasi immagine di Renzi va filtrata dall’inedito poliziotto-cameraman Attili. I cronisti non possono accendere le telecamere se la circostanza non è pubblica, non possono azionare la macchina fotografica. A Bruxelles, al centro della saletta riservata agli italiani, Nomfup ha sostituito il tradizionale tavolo verde con un podio in stile americano.
Sandro Gozi, il sottosegretario con delega all’Unione Europa, è costretto a ricavarsi una seggiola in disparte, a osservare da un angolino. Alle spalle di Renzi, lì dove accorrono giornalisti stranieri, c’è posto solo per Nomfup e per Ilva Sapora, la donna del cerimoniale di Palazzo Chigi che si premura di sistemare le minuzie, l’orlo di una camicia o la piega di un cappotto.
Così Nomfup, spesso, è l’origine delle notizie. Il pretesto: #cosedilavoro, l’hashta g . È Sensi che divulga la Mogherini lacrimante, nominata rappresentante per la politica estera dell’Unione europea. È Sensi che occulta gli spostamenti di Renzi per impedire che le contestazioni siano strutturate in anticipo. È ancora Sensi, a Parma per la campagna elettorale o altrove con la medesima sagacia, che pubblica su Twitter la fotografia di una piazza deserta, di un viale semivuoto per irridere chi protesta.
Come a dire, e Renzi poi lo dice davvero, “non ci spaventiamo per tre fischi, tre uova, tre petardi”. Ogni manifestazione del fiorentino deve alimentare l’epopea dell’uomo forte al comando. Sensi ha insegnato ai praticanti del mestiere il prontuario del comunicatore innovatore e onnisciente.
Ha tenuto lezioni per Maria Elena Boschi e colleghi. Quando la ministra ha telefonato a Lucia Annunziata per sindacare su di un pezzo dell’Huffington e reclamarne la rimozione, Nomfup l’ha redarguita. Poi uno scaltro portavoce ha affiancato la Boschi. Sensi è l’ex vicedirettore di E u ro p a , il quotidianodella Margherita di Rutelli, che ha svuotato la redazione per allestire un ufficio stampa di governo.
Nonostante l’influenza su Renzi, Sensi non ne ha scongiurato la chiusura. Lo spirito di E u ro p a aleggia a palazzo Chigi e nei ministeri. Non sarà entusiasta Stefano Menichini, ex direttore nonché mentore di Sensi. Prevale la ragione non il sentimento o la simpatia dei giornalisti o la stima degli adulatori (sono 73.000 i “seguaci”, followe r di Nomfup) su Twitter.
Sensi ha il compito di risolvere i problemi di Renzi. Il trucco non è cercare le soluzioni migliori, ma ridurre il numero dei problemi. Il resto non conta. Nomfup, not my fucking problem. Non è un mio fottuto problem
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Re: Diario della caduta di un regime.
ZONAEURO
Grecia, Uk e migranti: decide il direttorio Merkel-Hollande. Renzi, invece, non tocca palla
E mentre in Italia impazza il melodramma su De Luca, gli impresentabili e il premier in tuta mimetica che minimizza e sprona i suoi a battaglie che saranno di certo trionfanti, nella totale assenza e disattenzione di Renzi, sul fronte europeo si moltiplicano le questioni aperte e si accumula lo svantaggio per il Belpaese.
Il redivivo direttorio Merkel-Hollande, anzi, diciamo la coppia Merkel-Hollande nella quale Hollande è un solerte comprimario, sta riacquistando facilmente una centralità che appare come una foglia di fico dell’Europa a trazione sempre più teutonica.
Lo sanno bene i greci, che stanno, nella più totale solitudine, tentando di salvare un po’ del loro programma elettorale anti-austerità dall’inflessibile e generale ottusità “uber alles”.
Contrariamente a quello che potevano ragionevolmente aspettarsi, neppure uno dei Paesi che avrebbero potuto essere dalla loro parte – Francia, Italia, Spagna – alla fine si è scostato di molto dalla linea di Berlino: austerità, qualche concessione, più austerità, ancora qualche concessione, sempre meno pazienza e rispetto e soprattutto nessun ripensamento, dubbio o domanda sul fatto incontrovertibile che le ricette degli ultimi anni semplicemente non hanno funzionato.
L’ossessione per il taglio delle pensioni e le privatizzazioni è sicuramente ideologica.
La volontà di rimettere in riga chi ha pensato di poter fare altro non per non pagare i debiti, ma per poterli pagare in condizioni più realistiche e quindi più sicure, è, invece, molto politica.
Non ci vuole un premio Nobel per capirlo.
E infatti, quando Moscovici e Juncker hanno provato a giocare un ruolo autonomo dall’Eurogruppo sono stati prontamente rimessi in riga.
In questo senso l’assenza di un player di un grande paese che accanto a Juncker possa contenere la panzerdivision del duo Merkel-Schauble (impegnati in una partita “good cop-bad cop”, dove la Merkel è il poliziotto buono) e il loro paggetto Hollande si sente, e molto.
E cosi, ieri, nella più totale mancanza di trasparenza, i nostri eroi si sono incontrati con Draghi, La Garde e Juncker per discutere della crisi e per fare una proposta comune ai greci, che nel frattempo hanno rilanciato e hanno inviato un documento di 46 pagine “serio e realistico”.
Hanno anche parlato di come affrontare la questione Cameron e il suo tentativo, quello sì molto trasparente, di smontare pezzi importanti dell’Ue, dalla libera circolazione o la primazia del diritto comunitario, da offrire sul piatto della sua opinione pubblica e poter dire “ormai la Ue è inglese, possiamo anche starci”.
Merkel e Hollande non sono sicuramente d’accordo e stanno elaborando una strategia comune che sarà frutto non di un largo dibattito pubblico, ma di conversazioni tra pochi intimi.
Mi piacerebbe sapere quale legittimità hanno questi conciliaboli.
E come mai, dopo referendum, furiose polemiche e milioni di voti dati a forze euroscettiche in giro per l’Europa, ancora non si capisce che non è così che si ridarà corpo e anima al moribondo progetto europeo.
Il rischio maggiore di questo metodo del caminetto o, meglio, del direttorio è, infatti quello di contribuire grandemente all’idea peraltro già anche troppo diffusa, che l’Ue non abbia una dimensione sovranazionale di potere autonomo e democratico e che solo gli accordi fra i governi, anzi tra alcuni governi, contino.
Con la Commissione che, a dispetto delle sue prerogative e competenze (proporre le leggi, applicarle e farle applicare) è stata trasformata in una specie di Segretariato di lusso e il Parlamento europeo che, a dispetto dei reali poteri che ha secondo i Trattati, è stato messo da parte da procedure informali che sistematicamente lo escludono o si limitano a coinvolgere ogni tanto il suo vanitossissimo presidente Schulz.
Non è solo per una ragione romantica di fedeltà all’ideale federalista che penso che questa tendenza debba essere contrastata duramente.
Ma perché senza una cornice europea che funzioni, protegga, indirizzi e nella quale possiamo essere protagonisti, noi nel giro di qualche anno saremo semplicemente fuori gioco, come popoli europei e come italiani.
E’ quindi nostro specifico interesse giocare un ruolo più chiaro, determinato ed originale in Europa.
Finora, nonostante le chiacchiere, Renzi non l’ha fatto.
Si è semplicemente assicurato di essere lasciato al riparo da un’eccessiva attenzione europea sulle strategie interne di riduzione del debito. In cambio, non tocca palla.
Penso però che questo atteggiamento sia perdente.
In Europa si conta se ci si sta e magari se si ha un’idea.
E perché comunque l’Italia dovrà decidere rapidamente cosa fare anche su un altro fronte, quello dell’immigrazione e asilo, nel quale parte ancora una volta svantaggiata.
Anche qui, la coppia diseguale Merkel-Hollande si sta muovendo in una direzione diversa da quella auspicata e soprattutto agisce per ostacolare la proposta della Commissione non solo nel merito, ma anche nel metodo: queste sono cose che decidono gli Stati.
Dopo qualche parolina dolce e compassionevole, il messaggio è chiaro.
Va bene un sistema temporaneo di re-localizzazione limitata per gestire gli arrivi.
Ma è chiaro che Dublino non si tocca, che i Paesi dove i migranti arrivano devono, con l’aiuto dei fondi Ue, garantire una gestione adeguata e controllabile dei flussi che dia garanzie agli altri Paesi e dimostrino di sapere buttare rapidamente fuori chi non ha diritto di rimanere.
E comunque poiché ci sono solo 5 paesi che si sobbarcano una situazione già difficile, bisogna prima di tutto che la redistribuzione sia più equa. Per di più, bisogna essere ben sicuri che la “migrazione secondaria”, cioè in pratica coloro che non possono accedere all’asilo, vengano rispediti al mittente rapidamente.
Insomma, il meccanismo pare finalizzato più a rendere efficace la cacciata dei clandestini che ad aiutare chi fugge.
Il fatto di presentare questa proposta congiuntamente, pratica non inabituale nella discussione legislativa a livello Ue, manda però un messaggio negativo.
Se Francia e Germania sono d’accordo, c’è poco da fare, pensano loro.
Naturalmente, non è così.
Ma senza un’adeguata strategia che costruisce alleanze tra governi, ma anche con il Parlamento, la Commissione e l’opinione pubblica in senso lato che costruiscano una storia alternativa, non faremo che continuare l’erosione di ogni azione comune e la messa in atto di soluzioni parziali e umanamente meschine che ci costeranno ancora un pezzetto del nostro già quasi speso capitale di credibilità e autorevolezza internazionale.
Vedremo nelle prossime settimane e mesi se Renzi saprà capire che mettere al laccio la sua minoranza è forse importante.
Ma decidere di giocare un ruolo in Europa, magari su cause giuste come una politica comune di immigrazione, un’uscita dalla austerità e la preservazione del quadro legislativo europeo, può esserlo anche di più.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06 ... a/1742595/
Grecia, Uk e migranti: decide il direttorio Merkel-Hollande. Renzi, invece, non tocca palla
E mentre in Italia impazza il melodramma su De Luca, gli impresentabili e il premier in tuta mimetica che minimizza e sprona i suoi a battaglie che saranno di certo trionfanti, nella totale assenza e disattenzione di Renzi, sul fronte europeo si moltiplicano le questioni aperte e si accumula lo svantaggio per il Belpaese.
Il redivivo direttorio Merkel-Hollande, anzi, diciamo la coppia Merkel-Hollande nella quale Hollande è un solerte comprimario, sta riacquistando facilmente una centralità che appare come una foglia di fico dell’Europa a trazione sempre più teutonica.
Lo sanno bene i greci, che stanno, nella più totale solitudine, tentando di salvare un po’ del loro programma elettorale anti-austerità dall’inflessibile e generale ottusità “uber alles”.
Contrariamente a quello che potevano ragionevolmente aspettarsi, neppure uno dei Paesi che avrebbero potuto essere dalla loro parte – Francia, Italia, Spagna – alla fine si è scostato di molto dalla linea di Berlino: austerità, qualche concessione, più austerità, ancora qualche concessione, sempre meno pazienza e rispetto e soprattutto nessun ripensamento, dubbio o domanda sul fatto incontrovertibile che le ricette degli ultimi anni semplicemente non hanno funzionato.
L’ossessione per il taglio delle pensioni e le privatizzazioni è sicuramente ideologica.
La volontà di rimettere in riga chi ha pensato di poter fare altro non per non pagare i debiti, ma per poterli pagare in condizioni più realistiche e quindi più sicure, è, invece, molto politica.
Non ci vuole un premio Nobel per capirlo.
E infatti, quando Moscovici e Juncker hanno provato a giocare un ruolo autonomo dall’Eurogruppo sono stati prontamente rimessi in riga.
In questo senso l’assenza di un player di un grande paese che accanto a Juncker possa contenere la panzerdivision del duo Merkel-Schauble (impegnati in una partita “good cop-bad cop”, dove la Merkel è il poliziotto buono) e il loro paggetto Hollande si sente, e molto.
E cosi, ieri, nella più totale mancanza di trasparenza, i nostri eroi si sono incontrati con Draghi, La Garde e Juncker per discutere della crisi e per fare una proposta comune ai greci, che nel frattempo hanno rilanciato e hanno inviato un documento di 46 pagine “serio e realistico”.
Hanno anche parlato di come affrontare la questione Cameron e il suo tentativo, quello sì molto trasparente, di smontare pezzi importanti dell’Ue, dalla libera circolazione o la primazia del diritto comunitario, da offrire sul piatto della sua opinione pubblica e poter dire “ormai la Ue è inglese, possiamo anche starci”.
Merkel e Hollande non sono sicuramente d’accordo e stanno elaborando una strategia comune che sarà frutto non di un largo dibattito pubblico, ma di conversazioni tra pochi intimi.
Mi piacerebbe sapere quale legittimità hanno questi conciliaboli.
E come mai, dopo referendum, furiose polemiche e milioni di voti dati a forze euroscettiche in giro per l’Europa, ancora non si capisce che non è così che si ridarà corpo e anima al moribondo progetto europeo.
Il rischio maggiore di questo metodo del caminetto o, meglio, del direttorio è, infatti quello di contribuire grandemente all’idea peraltro già anche troppo diffusa, che l’Ue non abbia una dimensione sovranazionale di potere autonomo e democratico e che solo gli accordi fra i governi, anzi tra alcuni governi, contino.
Con la Commissione che, a dispetto delle sue prerogative e competenze (proporre le leggi, applicarle e farle applicare) è stata trasformata in una specie di Segretariato di lusso e il Parlamento europeo che, a dispetto dei reali poteri che ha secondo i Trattati, è stato messo da parte da procedure informali che sistematicamente lo escludono o si limitano a coinvolgere ogni tanto il suo vanitossissimo presidente Schulz.
Non è solo per una ragione romantica di fedeltà all’ideale federalista che penso che questa tendenza debba essere contrastata duramente.
Ma perché senza una cornice europea che funzioni, protegga, indirizzi e nella quale possiamo essere protagonisti, noi nel giro di qualche anno saremo semplicemente fuori gioco, come popoli europei e come italiani.
E’ quindi nostro specifico interesse giocare un ruolo più chiaro, determinato ed originale in Europa.
Finora, nonostante le chiacchiere, Renzi non l’ha fatto.
Si è semplicemente assicurato di essere lasciato al riparo da un’eccessiva attenzione europea sulle strategie interne di riduzione del debito. In cambio, non tocca palla.
Penso però che questo atteggiamento sia perdente.
In Europa si conta se ci si sta e magari se si ha un’idea.
E perché comunque l’Italia dovrà decidere rapidamente cosa fare anche su un altro fronte, quello dell’immigrazione e asilo, nel quale parte ancora una volta svantaggiata.
Anche qui, la coppia diseguale Merkel-Hollande si sta muovendo in una direzione diversa da quella auspicata e soprattutto agisce per ostacolare la proposta della Commissione non solo nel merito, ma anche nel metodo: queste sono cose che decidono gli Stati.
Dopo qualche parolina dolce e compassionevole, il messaggio è chiaro.
Va bene un sistema temporaneo di re-localizzazione limitata per gestire gli arrivi.
Ma è chiaro che Dublino non si tocca, che i Paesi dove i migranti arrivano devono, con l’aiuto dei fondi Ue, garantire una gestione adeguata e controllabile dei flussi che dia garanzie agli altri Paesi e dimostrino di sapere buttare rapidamente fuori chi non ha diritto di rimanere.
E comunque poiché ci sono solo 5 paesi che si sobbarcano una situazione già difficile, bisogna prima di tutto che la redistribuzione sia più equa. Per di più, bisogna essere ben sicuri che la “migrazione secondaria”, cioè in pratica coloro che non possono accedere all’asilo, vengano rispediti al mittente rapidamente.
Insomma, il meccanismo pare finalizzato più a rendere efficace la cacciata dei clandestini che ad aiutare chi fugge.
Il fatto di presentare questa proposta congiuntamente, pratica non inabituale nella discussione legislativa a livello Ue, manda però un messaggio negativo.
Se Francia e Germania sono d’accordo, c’è poco da fare, pensano loro.
Naturalmente, non è così.
Ma senza un’adeguata strategia che costruisce alleanze tra governi, ma anche con il Parlamento, la Commissione e l’opinione pubblica in senso lato che costruiscano una storia alternativa, non faremo che continuare l’erosione di ogni azione comune e la messa in atto di soluzioni parziali e umanamente meschine che ci costeranno ancora un pezzetto del nostro già quasi speso capitale di credibilità e autorevolezza internazionale.
Vedremo nelle prossime settimane e mesi se Renzi saprà capire che mettere al laccio la sua minoranza è forse importante.
Ma decidere di giocare un ruolo in Europa, magari su cause giuste come una politica comune di immigrazione, un’uscita dalla austerità e la preservazione del quadro legislativo europeo, può esserlo anche di più.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06 ... a/1742595/
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Re: Diario della caduta di un regime.
Cantone nell’intervista odierna a Repubblica.
Cantone, diranno che lei ha una tesi pro Renzi e De Luca?
"So bene che il dramma di questa storia è che una vicenda squisitamente tecnico-giuridica sarà letta con una chiave di politica o di strumentalizzazione. Ma sono letture che non mi toccano. Credo invece che il presidente del Consiglio debba fare appello a tutto il meglio dell'avvocatura dello Stato e dei giuristi italiani. Senza pressioni o timore alcuno, perché la soluzione che si trova oggi farà giurisprudenza".
Proprio perché fa giurisprudenza, oggi Cantone ha fatto un passo falso.
Non spetta a Cantone, numero uno dell’anticorruzione entrare nel merito.
Cantone non può fare finta di ignorare che il problema di fondo è quello del dominio della Camorra sulla vita istituzionale della Campania, e non solo. (Per anni è stata il dominus della criminalità organizzata nelle potente Germania, senza che i teutonici dell’austerità, la mettessero in riga come la banda Baader Meinhof)
Il problema nell’area campana è antico. Ai giorni nostri è stato Francesco Rosi che con grande impegno civile, nel 1963 ha diretto il film cult “LE MANI SULLA CITTA’”
Le mani sulla città
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
http://it.wikipedia.org/wiki/Le_mani_sulla_citt%C3%A0
E’ un problema culturale dell’area dominato dalla Camorra.
Camorra
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
http://it.wikipedia.org/wiki/Camorra
Cantone non se rende conto,o fa finta. In questo modo fa un assist alla Camorra.
Il 24 settembre dello scorso anno, nella Commissione Antimafia viene approvato il Codice etico.
1. Commissione Antimafia approva il nuovo codice etico - La ...
http://www.repubblica.it/.../2014/.../2 ... approva_il_...
o 24 set 2014 - La Commissione Antimafia si era già dotata di un Codice di regolamentazione che, nelle ultime ... Riproduzione riservata 24 settembre 2014.
Il Codice etico doveva applicarlo a Gennaio 2015 il segretario del Pd.
Perché non l’ha applicato? Avrebbe evitato troppi pasticci.
Non poteva? E perché?
Cantone, diranno che lei ha una tesi pro Renzi e De Luca?
"So bene che il dramma di questa storia è che una vicenda squisitamente tecnico-giuridica sarà letta con una chiave di politica o di strumentalizzazione. Ma sono letture che non mi toccano. Credo invece che il presidente del Consiglio debba fare appello a tutto il meglio dell'avvocatura dello Stato e dei giuristi italiani. Senza pressioni o timore alcuno, perché la soluzione che si trova oggi farà giurisprudenza".
Proprio perché fa giurisprudenza, oggi Cantone ha fatto un passo falso.
Non spetta a Cantone, numero uno dell’anticorruzione entrare nel merito.
Cantone non può fare finta di ignorare che il problema di fondo è quello del dominio della Camorra sulla vita istituzionale della Campania, e non solo. (Per anni è stata il dominus della criminalità organizzata nelle potente Germania, senza che i teutonici dell’austerità, la mettessero in riga come la banda Baader Meinhof)
Il problema nell’area campana è antico. Ai giorni nostri è stato Francesco Rosi che con grande impegno civile, nel 1963 ha diretto il film cult “LE MANI SULLA CITTA’”
Le mani sulla città
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
http://it.wikipedia.org/wiki/Le_mani_sulla_citt%C3%A0
E’ un problema culturale dell’area dominato dalla Camorra.
Camorra
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
http://it.wikipedia.org/wiki/Camorra
Cantone non se rende conto,o fa finta. In questo modo fa un assist alla Camorra.
Il 24 settembre dello scorso anno, nella Commissione Antimafia viene approvato il Codice etico.
1. Commissione Antimafia approva il nuovo codice etico - La ...
http://www.repubblica.it/.../2014/.../2 ... approva_il_...
o 24 set 2014 - La Commissione Antimafia si era già dotata di un Codice di regolamentazione che, nelle ultime ... Riproduzione riservata 24 settembre 2014.
Il Codice etico doveva applicarlo a Gennaio 2015 il segretario del Pd.
Perché non l’ha applicato? Avrebbe evitato troppi pasticci.
Non poteva? E perché?
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Re: Diario della caduta di un regime.
Cantone: "Bindi ha sbagliato su De Luca. Il presidente entra in carica, solo dopo sarà sospeso"Cantone: "Bindi ha sbagliato su De Luca. Il presidente entra in carica, solo dopo sarà sospeso"
http://www.repubblica.it/politica/2015/ ... 115914497/
La vox populi
Strana per "La Gazzetta di Palazzo Chigi"
retao
ma questo qui che lo paghiamo a fare? mo' il problema è la bindi non il fatto che la campania è in mano a personaggi votati da camorristi e fiancheggiatori
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16 minuti fa
clamor
ma che noia, sappiamo che il pd è il paladino dei condannati, tessera gente come greganti e pertanto che volete ................ la legge è uguale per tutti i cittadini (escluso pd ) PS ma perchè si riempiono la bocca di legalità, moralità e fanno comitati su comitati che non servono a nulla se non a derubare i cittadini ?
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1 ora fa
Giorgio Gallicchi
da chi è stato a scegliere Cantone come magistrato "anticorruzione"? La verità che questa vicenda ci ha insegnato due grandi verità: alla politica è praticamente vietato di riformarsi dall'interno, facendo quella pulizia che, a parole, tutti le chiedono. Questo è il caso: o la Magistratura o il ludibrio! La seconda verità riguarda la querela di De Luca nei confronti della Bindi. La libertà di stampa in Italia è scesa al 73° posto nella classifica mondiale e la causa maggiore è l'aumento delle querele "temerarie" per intimidire i giornalisti, peggio tanto più alcuni politici, con richiesta miliardarie come una forma di punizione e censura preventiva. La riforma, atto di civiltà + giace in Parlamento.
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1 ora fa
darthvader
Renzi, vuoi recuperare presto i voti perduti? Caccia la Bindi, dimostra nei fatti che chi ti rema contro va espulso. Se comincerai a cedere alle faide interne, sarai, anche tu, una meteora
RispondiCondividi04
2 ore fa
alpaos10
ma cosa c'entra l'antimafia con un ( presunto) reato non di mafia di 17 anni fa e che De Luca stesso non vuole sia prescritto? Mr B ne fatte di tutti i colori pur di essere prescritto.. do you remember? Colpire De Luca per colpire Renzi logico no ? direbbe il Dr Spock
RispondiCondividi22
2 ore fa
madalla
Ma Cantone non ha rettificato? Perchè non pubblicare? E comunque Cantone, fosse ligio ai suoi doveri. dovrebbe dimettersi per aver espresso giudizi che non gli competevano assolutamente.
RispondiCondividi20
2 ore fa
Ezio Bei
Ecco un altro tuttologo a cui concedere la rubrica dal titolo "Chiedilo a Cantone". Mi piacerebbe sapere che ne pensa il presidente anac dello sguazzare nella melma del PD. Infatti, bisognerebbe informare Cantone che De Luca ha vinto grazie ai voti di Campania in rete (lista vicina a Nick ‘o merikano, in galera), quelli di De Mita (ma il rottamatore che dice?) e quelli di Tommaso Barbato, ex braccio destro di Clemente Mastella, determinate per la caduta del governo Prodi, passato alle cronache per lo sputo in aula a Nuccio Cusumano che aveva votato a favore del governo. Oltretutto, da più di un anno, Barbato è indagato per una presunta compRenzini sguazzate nella melma.
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http://www.repubblica.it/politica/2015/ ... 115914497/
La vox populi
Strana per "La Gazzetta di Palazzo Chigi"
retao
ma questo qui che lo paghiamo a fare? mo' il problema è la bindi non il fatto che la campania è in mano a personaggi votati da camorristi e fiancheggiatori
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16 minuti fa
clamor
ma che noia, sappiamo che il pd è il paladino dei condannati, tessera gente come greganti e pertanto che volete ................ la legge è uguale per tutti i cittadini (escluso pd ) PS ma perchè si riempiono la bocca di legalità, moralità e fanno comitati su comitati che non servono a nulla se non a derubare i cittadini ?
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1 ora fa
Giorgio Gallicchi
da chi è stato a scegliere Cantone come magistrato "anticorruzione"? La verità che questa vicenda ci ha insegnato due grandi verità: alla politica è praticamente vietato di riformarsi dall'interno, facendo quella pulizia che, a parole, tutti le chiedono. Questo è il caso: o la Magistratura o il ludibrio! La seconda verità riguarda la querela di De Luca nei confronti della Bindi. La libertà di stampa in Italia è scesa al 73° posto nella classifica mondiale e la causa maggiore è l'aumento delle querele "temerarie" per intimidire i giornalisti, peggio tanto più alcuni politici, con richiesta miliardarie come una forma di punizione e censura preventiva. La riforma, atto di civiltà + giace in Parlamento.
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1 ora fa
darthvader
Renzi, vuoi recuperare presto i voti perduti? Caccia la Bindi, dimostra nei fatti che chi ti rema contro va espulso. Se comincerai a cedere alle faide interne, sarai, anche tu, una meteora
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alpaos10
ma cosa c'entra l'antimafia con un ( presunto) reato non di mafia di 17 anni fa e che De Luca stesso non vuole sia prescritto? Mr B ne fatte di tutti i colori pur di essere prescritto.. do you remember? Colpire De Luca per colpire Renzi logico no ? direbbe il Dr Spock
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2 ore fa
madalla
Ma Cantone non ha rettificato? Perchè non pubblicare? E comunque Cantone, fosse ligio ai suoi doveri. dovrebbe dimettersi per aver espresso giudizi che non gli competevano assolutamente.
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2 ore fa
Ezio Bei
Ecco un altro tuttologo a cui concedere la rubrica dal titolo "Chiedilo a Cantone". Mi piacerebbe sapere che ne pensa il presidente anac dello sguazzare nella melma del PD. Infatti, bisognerebbe informare Cantone che De Luca ha vinto grazie ai voti di Campania in rete (lista vicina a Nick ‘o merikano, in galera), quelli di De Mita (ma il rottamatore che dice?) e quelli di Tommaso Barbato, ex braccio destro di Clemente Mastella, determinate per la caduta del governo Prodi, passato alle cronache per lo sputo in aula a Nuccio Cusumano che aveva votato a favore del governo. Oltretutto, da più di un anno, Barbato è indagato per una presunta compRenzini sguazzate nella melma.
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