Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzione?
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
LA FOTOGRAFIA
Migrante soccorso da una turista greca dopo 13 ore in mare aperto
Quegli scatti diventati simbolo
http://www.corriere.it/foto-gallery/cro ... 2f52.shtml
Migrante soccorso da una turista greca dopo 13 ore in mare aperto
Quegli scatti diventati simbolo
http://www.corriere.it/foto-gallery/cro ... 2f52.shtml
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
EXODUS EUROPA
MIGRANTI
Islanda, 12.000 cittadini chiedono di poter ospitare rifugiati siriani
L’isola atlantica dovrebbe ricevere una quota di 50 rifugiati ma scatta la petizione al governo. E il premier risponde
di sì: «Dobbiamo solo capire come farlo al meglio» di Maria Strada
http://www.corriere.it/esteri/15_settem ... 3a45.shtml
MIGRANTI
Islanda, 12.000 cittadini chiedono di poter ospitare rifugiati siriani
L’isola atlantica dovrebbe ricevere una quota di 50 rifugiati ma scatta la petizione al governo. E il premier risponde
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http://www.corriere.it/esteri/15_settem ... 3a45.shtml
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
Repubblica 1.9.15
L’arcipelago dei ghetti
Ciascun paese cerca di scaricare l’emergenza migranti sul vicino meridionale
di Lucio Caracciolo
IL 2 MAGGIO 1989 il governo comunista ungherese apriva per primo un varco nella cortina di ferro, dissigillando l’Europa oppressa dalle barriere della guerra fredda.
Sei mesi dopo cadeva il Muro di Berlino. Quest’estate il democraticamente eletto governo ungherese ha alzato una barriera di filo spinato e cemento al confine con la Serbia — più precisamente con la regione della Vojvodina, che i nazionalisti magiari considerano provincia dell’agognata Grande Ungheria —per impedirne il valico da parte dei migranti. Ad annunciare la stagione dei nuovi muri che stanno ridividendo il continente “riunificato” nell’Ottantanove.Movente: la paura dei “nuovi barbari”che minaccerebbero la nostra pace e il nostro benessere.Versione corrente di quei “treni di paura” —esplosioni collettive e ingovernate di terrore — cui lo storico francese Jean Delumeau attribuiva la gran parte dei conflitti scoppiati in Europa fra Trecento e Seicento.
Se non sapremo governare questa nuova onda di paura,l’Europa libera e unita che sognavamo alla fine dello scorso secolo si muterà in un grande ghetto. Peggio, un arcipelago di ghetti: quelli per i privilegiati, ovvero gli “europei di ceppo”che esistono solo nelle teste eccitate dei nuovi/vecchi appassionati di classificazioni razziali; e quelli per i dannati fuggiti dai cento Sud alla fame e/o in guerra, a loro volta ripartiti per categorie sociali e famiglie etniche.
La posta in gioco è il nostro libero destino democratico.Perché la paura di massa è il peggior nemico della libertà. È il sentimento diffuso sul quale da sempre speculano gli intolleranti d’ogni risma e gli aspiranti dittatori.
Sembra che non tutti i responsabili politici europei siano consapevoli dell’altezza di questa sfida. Di sicuro alcuni tra essi, specie sul fronte della destra non solo estrema, fanno del loro meglio per cavalcare o addirittura eccitare questo sentimento, illudendosi di poter controllare l’incendio che essi stessi hanno contribuito ad appiccare. Una cosa è rispondere al bisogno di sicurezza dei cittadini. Tutt’altra è fomentare il senso di insicurezza dipingendo un’apocalissi che non c’è. Così alimentando il fenomeno che si dice di voler scongiurare.
La battaglia per la gestione comune della sfida migratoria è l’ultima frontiera della politica europea. Qui cade o risorge lo spirito d’Europa, nel senso originario del termine. Il bollettino dai fronti di questa guerra non è però confortante.Ciascun paese si muove rigorosamente per suo conto, cercando di scaricare l’emergenza, effettiva o mediatica, sul vicino meridionale. Da Calais al Nordafrica e alle frontiere balcaniche si gioca allo scaricamigrante. Vince chi respinge più migranti verso il territorio del socio comunitario alla sua frontiera meridionale, il quale a sua volta cerca di riallocarne quanti possibile nei (presunti) paesi d’origine. Tutto ciò in spregio delle più elementari norme d’umanità che dovrebbero governare i rapporti tra esseri della medesima specie. Ma a forza di gridare all’invasione finiamo per convincerci che,in fondo, chi bussa alla nostra porta non appartiene alla razza umana. È spazzatura, da tenere lontano dai fortificati cancelli di casa.
In questo clima,a poco serve che il numero due della pallida Commissione europea, l’olandese Frans Timmermans, invochi un unico sistema d’asilo per l’Ue e ricordi che «se unita, una comunità di 500 milioni di persone è in grado di gestire la situazione». Qualche maggiore eco si spera possano avere le parole della cancelliera tedesca, campionessa del rigore fiscale, che di fronte alle stragi nei barconi e nei camion piombati invoca maggiore “flessibilità”. Ma quando il leader della patria della democrazia occidentale, il premier britannico David Cameron, si lascia sfuggire frasi sullo “sciame” migratorio, neanche si trattasse di api, e il suo ministro dell’Interno pretende di chiudere le porte del Regno Unito financo ai cittadini comunitari in cerca di lavoro — provocando la reazione della Confindustria locale che sa quanto quelle braccia e quelle teste servano all’economia nazionale — significa che il livello di guardia è superato.
La questione migratoria continuerà ad occuparci per decenni, forse per secoli, non fosse che per i dislivelli nei tassi di natalità e per il crescente, formidabile divario demografico fra Nord e Sud del mondo. Una tendenza epocale non si gestisce erigendo barriere che hanno il solo effetto di deviare i flussi da un paese all’altro, salvo tornare alla casella di (ri)partenza.
Se consapevoli dell’indivisibilità del problema, noi europei abbiamo i mezzi per affrontare insieme una sfida da cui usciremo in ogni caso cambiati, in peggio o in meglio. Il primo passo è non farsi dirigere dalla paura, recuperare il senso delle proporzioni e delle responsabilità, raffreddare la comunicazione, razionalizzare e coordinare l’approccio delle istituzioni. Se la politica ha ancora un senso, se non vogliamo autodistruggerci in un regime di permanente emergenza, è il momento per l’Europa di battere un colpo.
La Stampa 1.9.15
L’arcipelago dei ghetti
Ciascun paese cerca di scaricare l’emergenza migranti sul vicino meridionale
di Lucio Caracciolo
IL 2 MAGGIO 1989 il governo comunista ungherese apriva per primo un varco nella cortina di ferro, dissigillando l’Europa oppressa dalle barriere della guerra fredda.
Sei mesi dopo cadeva il Muro di Berlino. Quest’estate il democraticamente eletto governo ungherese ha alzato una barriera di filo spinato e cemento al confine con la Serbia — più precisamente con la regione della Vojvodina, che i nazionalisti magiari considerano provincia dell’agognata Grande Ungheria —per impedirne il valico da parte dei migranti. Ad annunciare la stagione dei nuovi muri che stanno ridividendo il continente “riunificato” nell’Ottantanove.Movente: la paura dei “nuovi barbari”che minaccerebbero la nostra pace e il nostro benessere.Versione corrente di quei “treni di paura” —esplosioni collettive e ingovernate di terrore — cui lo storico francese Jean Delumeau attribuiva la gran parte dei conflitti scoppiati in Europa fra Trecento e Seicento.
Se non sapremo governare questa nuova onda di paura,l’Europa libera e unita che sognavamo alla fine dello scorso secolo si muterà in un grande ghetto. Peggio, un arcipelago di ghetti: quelli per i privilegiati, ovvero gli “europei di ceppo”che esistono solo nelle teste eccitate dei nuovi/vecchi appassionati di classificazioni razziali; e quelli per i dannati fuggiti dai cento Sud alla fame e/o in guerra, a loro volta ripartiti per categorie sociali e famiglie etniche.
La posta in gioco è il nostro libero destino democratico.Perché la paura di massa è il peggior nemico della libertà. È il sentimento diffuso sul quale da sempre speculano gli intolleranti d’ogni risma e gli aspiranti dittatori.
Sembra che non tutti i responsabili politici europei siano consapevoli dell’altezza di questa sfida. Di sicuro alcuni tra essi, specie sul fronte della destra non solo estrema, fanno del loro meglio per cavalcare o addirittura eccitare questo sentimento, illudendosi di poter controllare l’incendio che essi stessi hanno contribuito ad appiccare. Una cosa è rispondere al bisogno di sicurezza dei cittadini. Tutt’altra è fomentare il senso di insicurezza dipingendo un’apocalissi che non c’è. Così alimentando il fenomeno che si dice di voler scongiurare.
La battaglia per la gestione comune della sfida migratoria è l’ultima frontiera della politica europea. Qui cade o risorge lo spirito d’Europa, nel senso originario del termine. Il bollettino dai fronti di questa guerra non è però confortante.Ciascun paese si muove rigorosamente per suo conto, cercando di scaricare l’emergenza, effettiva o mediatica, sul vicino meridionale. Da Calais al Nordafrica e alle frontiere balcaniche si gioca allo scaricamigrante. Vince chi respinge più migranti verso il territorio del socio comunitario alla sua frontiera meridionale, il quale a sua volta cerca di riallocarne quanti possibile nei (presunti) paesi d’origine. Tutto ciò in spregio delle più elementari norme d’umanità che dovrebbero governare i rapporti tra esseri della medesima specie. Ma a forza di gridare all’invasione finiamo per convincerci che,in fondo, chi bussa alla nostra porta non appartiene alla razza umana. È spazzatura, da tenere lontano dai fortificati cancelli di casa.
In questo clima,a poco serve che il numero due della pallida Commissione europea, l’olandese Frans Timmermans, invochi un unico sistema d’asilo per l’Ue e ricordi che «se unita, una comunità di 500 milioni di persone è in grado di gestire la situazione». Qualche maggiore eco si spera possano avere le parole della cancelliera tedesca, campionessa del rigore fiscale, che di fronte alle stragi nei barconi e nei camion piombati invoca maggiore “flessibilità”. Ma quando il leader della patria della democrazia occidentale, il premier britannico David Cameron, si lascia sfuggire frasi sullo “sciame” migratorio, neanche si trattasse di api, e il suo ministro dell’Interno pretende di chiudere le porte del Regno Unito financo ai cittadini comunitari in cerca di lavoro — provocando la reazione della Confindustria locale che sa quanto quelle braccia e quelle teste servano all’economia nazionale — significa che il livello di guardia è superato.
La questione migratoria continuerà ad occuparci per decenni, forse per secoli, non fosse che per i dislivelli nei tassi di natalità e per il crescente, formidabile divario demografico fra Nord e Sud del mondo. Una tendenza epocale non si gestisce erigendo barriere che hanno il solo effetto di deviare i flussi da un paese all’altro, salvo tornare alla casella di (ri)partenza.
Se consapevoli dell’indivisibilità del problema, noi europei abbiamo i mezzi per affrontare insieme una sfida da cui usciremo in ogni caso cambiati, in peggio o in meglio. Il primo passo è non farsi dirigere dalla paura, recuperare il senso delle proporzioni e delle responsabilità, raffreddare la comunicazione, razionalizzare e coordinare l’approccio delle istituzioni. Se la politica ha ancora un senso, se non vogliamo autodistruggerci in un regime di permanente emergenza, è il momento per l’Europa di battere un colpo.
La Stampa 1.9.15
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
La Stampa 1.9.15
Code in autostrada, stop ai treni; fra Austria e Ungheria è il caos
Controllati i Tir uno per uno: transiti alle frontiere bloccati
I militari hanno lavorato tutta la giornata di domenica. Il muro è quasi finito. Adesso c’è il filo spinato anche nella parte superiore. Renderà molto più complicato scavalcarlo. L’Ungheria sta per chiudere il confine con la Serbia: 175 chilometri. Erano la porta nord orientale d’Europa. Adesso sono uno spazio militarizzato dove tutto può succedere. «I lavori preliminari sono ultimati», ha dichiarato il portavoce del governo.
Può andarti bene, può andarti male. Puoi essere braccato nei boschi, ammanettato e identificato davanti ai tuoi figli. Puoi arrivare camminando lungo la linee ferroviaria, dal paese di Horgòs a quello di Roske, dove ti aspettano i poliziotti per le procedure di identificazione. Sono 8.792 i migranti intercettati alla frontiera, solo fra venerdì e domenica. L’accoglienza umanitaria è pressoché inesistente. Alla stazione Keleti di Budapest ci sono famiglie che attendono da giorni di poter partire, senza cibo e senza cure. Ma non è per questo che stanno protestando. «Germania! Germania!», urlano. Ci sono stati scontri, con lancio di pietre e lacrimogeni anche nel centro di accoglienza di Kishkunhalas. Tutti chiedono la stessa identica cosa: poter proseguire il viaggio verso Nord. «Angela Merkel ha detto che in Germania sono pronti ad accogliere i rifugiati siriani», gridava un ragazzo partito da Aleppo. «Lasciateci andare!». Dopo due giorni di divieto assoluto, nessuna possibilità di accesso ai treni per la Germania, ieri la polizia ungherese ha ceduto.
Quello che è successo rende l’idea della confusione. Il primo treno per Monaco di Baviera, quello delle 11.10, è stato bloccato per diverse ore alla stazione di Hegyeshalom, la città di frontiera con l’Austria: controlli estenuanti, molti ragazzi siriani costretti a scendere. «Il motivo del blocco è il sovraffollamento dei vagoni», hanno spigato le ferrovie austriache. Ma poi il treno è ripartito con il suo carico di passeggeri, molti dei quali erano profughi.
Il secondo treno per la Germania, però, quello delle 13.10, ieri sera era ancora bloccato alla frontiera. «Vogliamo far scendere 400 migranti, per poi farli proseguire su un treno regionale per Vienna», ha detto Roma Haslinger, il portavoce della polizia austriaca. Qualcuno sì, qualcuno no. Ad ogni frontiera, una nuova emergenza.
Sull’autostrada «M1» Budapest-Vienna si sono formate code di oltre 25 chilometri. I controlli alla dogana sono diventati molto severi. Uno scrupolo giustificato ampiamente dalla tragedia del camion con 71 cadaveri a bordo, abbandonato proprio lungo questo tratto di strada. «Faremo controlli per un periodo indeterminato a tutti i più importanti valichi di confine della regione orientale, facendo attenzione a tutti i veicoli che abbiano possibili nascondigli per i trafficanti», ha dichiarato il ministro dell’Interno austriaco Johanna Mikl-Leitner. I risultati sono stati immediati. «Da quando abbiamo cominciato ad applicare le misure concordate con Germania, Ungheria e Slovacchia - ha spiegato il ministro - siamo stati in grado di tirar fuori dai quei veicoli più di 200 rifugiati e di arrestare 5 trafficanti».
La rotta balcanica resta un’emergenza quotidiana. Risalendo il fiume di uomini, donne e bambini, fino al confine fra Grecia e Macedonia, si scopre questo: solo ieri altri 7 mila passaggi. Dall’inizio del 2015 sono arrivati in Europa 310 mila migranti: 110 mila sono passati dall’Italia, tutti gli altri dalla Grecia. Dalle isole, alla terraferma. E poi a piedi, con ogni mezzo e ad ogni costo, verso Nord.
Code in autostrada, stop ai treni; fra Austria e Ungheria è il caos
Controllati i Tir uno per uno: transiti alle frontiere bloccati
I militari hanno lavorato tutta la giornata di domenica. Il muro è quasi finito. Adesso c’è il filo spinato anche nella parte superiore. Renderà molto più complicato scavalcarlo. L’Ungheria sta per chiudere il confine con la Serbia: 175 chilometri. Erano la porta nord orientale d’Europa. Adesso sono uno spazio militarizzato dove tutto può succedere. «I lavori preliminari sono ultimati», ha dichiarato il portavoce del governo.
Può andarti bene, può andarti male. Puoi essere braccato nei boschi, ammanettato e identificato davanti ai tuoi figli. Puoi arrivare camminando lungo la linee ferroviaria, dal paese di Horgòs a quello di Roske, dove ti aspettano i poliziotti per le procedure di identificazione. Sono 8.792 i migranti intercettati alla frontiera, solo fra venerdì e domenica. L’accoglienza umanitaria è pressoché inesistente. Alla stazione Keleti di Budapest ci sono famiglie che attendono da giorni di poter partire, senza cibo e senza cure. Ma non è per questo che stanno protestando. «Germania! Germania!», urlano. Ci sono stati scontri, con lancio di pietre e lacrimogeni anche nel centro di accoglienza di Kishkunhalas. Tutti chiedono la stessa identica cosa: poter proseguire il viaggio verso Nord. «Angela Merkel ha detto che in Germania sono pronti ad accogliere i rifugiati siriani», gridava un ragazzo partito da Aleppo. «Lasciateci andare!». Dopo due giorni di divieto assoluto, nessuna possibilità di accesso ai treni per la Germania, ieri la polizia ungherese ha ceduto.
Quello che è successo rende l’idea della confusione. Il primo treno per Monaco di Baviera, quello delle 11.10, è stato bloccato per diverse ore alla stazione di Hegyeshalom, la città di frontiera con l’Austria: controlli estenuanti, molti ragazzi siriani costretti a scendere. «Il motivo del blocco è il sovraffollamento dei vagoni», hanno spigato le ferrovie austriache. Ma poi il treno è ripartito con il suo carico di passeggeri, molti dei quali erano profughi.
Il secondo treno per la Germania, però, quello delle 13.10, ieri sera era ancora bloccato alla frontiera. «Vogliamo far scendere 400 migranti, per poi farli proseguire su un treno regionale per Vienna», ha detto Roma Haslinger, il portavoce della polizia austriaca. Qualcuno sì, qualcuno no. Ad ogni frontiera, una nuova emergenza.
Sull’autostrada «M1» Budapest-Vienna si sono formate code di oltre 25 chilometri. I controlli alla dogana sono diventati molto severi. Uno scrupolo giustificato ampiamente dalla tragedia del camion con 71 cadaveri a bordo, abbandonato proprio lungo questo tratto di strada. «Faremo controlli per un periodo indeterminato a tutti i più importanti valichi di confine della regione orientale, facendo attenzione a tutti i veicoli che abbiano possibili nascondigli per i trafficanti», ha dichiarato il ministro dell’Interno austriaco Johanna Mikl-Leitner. I risultati sono stati immediati. «Da quando abbiamo cominciato ad applicare le misure concordate con Germania, Ungheria e Slovacchia - ha spiegato il ministro - siamo stati in grado di tirar fuori dai quei veicoli più di 200 rifugiati e di arrestare 5 trafficanti».
La rotta balcanica resta un’emergenza quotidiana. Risalendo il fiume di uomini, donne e bambini, fino al confine fra Grecia e Macedonia, si scopre questo: solo ieri altri 7 mila passaggi. Dall’inizio del 2015 sono arrivati in Europa 310 mila migranti: 110 mila sono passati dall’Italia, tutti gli altri dalla Grecia. Dalle isole, alla terraferma. E poi a piedi, con ogni mezzo e ad ogni costo, verso Nord.
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
Corriere 1.9.15
L’illuminismo come guida nell’emergenza migranti
di Giuseppe Maria Berruti
Presidente sezione di Cassazione
Caro direttore, la paura del lontano è la ragione per la quale gli uomini si uniscono.Per rassicurarsi con la riconoscibilità del vicino. Ma la rassicurazione può diventare ragione di paura. Quella di perdere ciò che si è conquistato. Per colpa del nuovo arrivato. Che modifica le certezze. La storia si muove anche sull’equilibrio delle paure. E l’Europa è nata dalla paura della guerra tra vicini. Un antidoto verso gli egoismi nazionali, capace di unire le culture e le economie. Ha funzionato per quasi cinquant’anni, perché non era messa alla prova da nuove paure. Oggi la migrazione dei poveri del sud che fuggono dal dolore propone un isolazionismo che non ha futuro. È la forza economica di una Europa fatta di bilanci in parità, lontana dai rischi economici che nascono da ogni progetto di qualche ardimento che, alla fine, viene innalzata ad obiettivo.
La particolarità della posizione della Chiesa cattolica sta nel fatto che non subisce l’angustia nazionale. Il suo terreno è il mondo. L’ Unione Europea è una somma di interessi. Guarda il mondo con il filtro delle visioni nazionali. Non ha approntato un percorso che includa la faticosità della democrazia rappresentativa. E la durezza del meccanismo elettorale che impone di fare i conti con tutte le possibili suggestioni. La rappresentazione politica. I migranti, che pretendono una risposta subito, stanno mettendo alla prova uno schema di civiltà democratica collaudato.
Io credo si debba muovere dalle conquiste giuridiche che l’Unione ha consentito. Più diritti di quanti erano garantiti dagli Stati. L’Europa non ha camminato solo sul terreno della finanza e della economia. Ha consentito straordinari progressi civili, attraverso i Trattati prima, quindi attraverso la giurisprudenza dei piccoli e dei grandi giudici. Il colloquio tra Corte del Lussemburgo, Corte dei diritti dell’uomo e Corti supreme e costituzionali ha terremotato il tessuto civile ottocentesco e primo novecentesco. La struttura costituzionale europea della persona e della impresa è realtà diffusa che accetta il cambiamento. Che orienta i governi verso uno statuto complessivo sempre più comprensivo della necessità di superare le particolarità nazionali. Il principio di libertà viene declinato in tutte le manifestazioni della vita civile.
I diritti nazionali sono di fatto integrati da ragioni e da logiche sovranazionali.
Non si può essere altruisti ed egoisti contemporaneamente. Non si può rimanere legati da un patto sovranazionale capace di superare le angustie dei confini e diretto ad assicurare alla regola giuridica la attitudine a governare le novità, e nello stesso tempo chiudere il confine ai popoli che non hanno conosciuto l’Illuminismo. Questa chiusura ne porterebbe altre, e questa volta dentro l’Europa. Ci impedirebbe di capire che la modernità democratica è un traguardo mobile. Che non si raggiunge. Perché si sposta sempre in avanti, insieme ai bisogni dell’uomo. Ci fermerebbe a quanto conseguito fino ad oggi. Nella illusione di una sicurezza possibile per noi soli.
Occorre ripartire dalla nostra nozione dei diritti. Che nascono bisogni deboli e chiedono alla legge la sua forza. Ripartire dal diritto alla vita, alla eguaglianza, alla dignità ed alla sicurezza della persona. Farne il motore di una grande economia della convivenza che prosciughi l’odio, come ci raccomanda il presidente Mattarella.
Non esiste alternativa tra una accoglienza che assicuri dignità ai migranti, ed il lasciare che le loro barche affondino. Facendo finta di non capire. Abituandoci alla morte dei poveri. E mettendo le nostre paure a difendere diritti che valgono solo per noi.
L’illuminismo come guida nell’emergenza migranti
di Giuseppe Maria Berruti
Presidente sezione di Cassazione
Caro direttore, la paura del lontano è la ragione per la quale gli uomini si uniscono.Per rassicurarsi con la riconoscibilità del vicino. Ma la rassicurazione può diventare ragione di paura. Quella di perdere ciò che si è conquistato. Per colpa del nuovo arrivato. Che modifica le certezze. La storia si muove anche sull’equilibrio delle paure. E l’Europa è nata dalla paura della guerra tra vicini. Un antidoto verso gli egoismi nazionali, capace di unire le culture e le economie. Ha funzionato per quasi cinquant’anni, perché non era messa alla prova da nuove paure. Oggi la migrazione dei poveri del sud che fuggono dal dolore propone un isolazionismo che non ha futuro. È la forza economica di una Europa fatta di bilanci in parità, lontana dai rischi economici che nascono da ogni progetto di qualche ardimento che, alla fine, viene innalzata ad obiettivo.
La particolarità della posizione della Chiesa cattolica sta nel fatto che non subisce l’angustia nazionale. Il suo terreno è il mondo. L’ Unione Europea è una somma di interessi. Guarda il mondo con il filtro delle visioni nazionali. Non ha approntato un percorso che includa la faticosità della democrazia rappresentativa. E la durezza del meccanismo elettorale che impone di fare i conti con tutte le possibili suggestioni. La rappresentazione politica. I migranti, che pretendono una risposta subito, stanno mettendo alla prova uno schema di civiltà democratica collaudato.
Io credo si debba muovere dalle conquiste giuridiche che l’Unione ha consentito. Più diritti di quanti erano garantiti dagli Stati. L’Europa non ha camminato solo sul terreno della finanza e della economia. Ha consentito straordinari progressi civili, attraverso i Trattati prima, quindi attraverso la giurisprudenza dei piccoli e dei grandi giudici. Il colloquio tra Corte del Lussemburgo, Corte dei diritti dell’uomo e Corti supreme e costituzionali ha terremotato il tessuto civile ottocentesco e primo novecentesco. La struttura costituzionale europea della persona e della impresa è realtà diffusa che accetta il cambiamento. Che orienta i governi verso uno statuto complessivo sempre più comprensivo della necessità di superare le particolarità nazionali. Il principio di libertà viene declinato in tutte le manifestazioni della vita civile.
I diritti nazionali sono di fatto integrati da ragioni e da logiche sovranazionali.
Non si può essere altruisti ed egoisti contemporaneamente. Non si può rimanere legati da un patto sovranazionale capace di superare le angustie dei confini e diretto ad assicurare alla regola giuridica la attitudine a governare le novità, e nello stesso tempo chiudere il confine ai popoli che non hanno conosciuto l’Illuminismo. Questa chiusura ne porterebbe altre, e questa volta dentro l’Europa. Ci impedirebbe di capire che la modernità democratica è un traguardo mobile. Che non si raggiunge. Perché si sposta sempre in avanti, insieme ai bisogni dell’uomo. Ci fermerebbe a quanto conseguito fino ad oggi. Nella illusione di una sicurezza possibile per noi soli.
Occorre ripartire dalla nostra nozione dei diritti. Che nascono bisogni deboli e chiedono alla legge la sua forza. Ripartire dal diritto alla vita, alla eguaglianza, alla dignità ed alla sicurezza della persona. Farne il motore di una grande economia della convivenza che prosciughi l’odio, come ci raccomanda il presidente Mattarella.
Non esiste alternativa tra una accoglienza che assicuri dignità ai migranti, ed il lasciare che le loro barche affondino. Facendo finta di non capire. Abituandoci alla morte dei poveri. E mettendo le nostre paure a difendere diritti che valgono solo per noi.
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
Corriere 1.9.15
L’inatteso ritorno dei confini
di Sabino Cassese
Un miliardo e mezzo di persone viaggerà da una nazione all’altra nel 2016, secondo previsioni dell’Associazione delle compagnie di trasporto aereo (sono state più di un miliardo e cento milioni nel 2011), moltissime senza bisogno di visto dei Paesi d’entrata e alcune senza neppure bisogno di un passaporto del proprio Paese. Miliardi di persone godono di maggiore benessere grazie alla liberalizzazione mondiale del commercio (e tra poco anche ai partenariati transatlantico e transpacifico sul commercio e gli investimenti). Segni di difficoltà dell’economia cinese hanno prodotto immediati effetti sulle Borse di quasi tutto il mondo. Ben 232 milioni di persone vivono in Paesi diversi da quello di nascita. Su 500 milioni di abitanti dell’Unione Europea, 33 milioni sono quelli nati fuori dell’Unione. In Italia, gli immigrati sono 5 milioni (8% della popolazione) e contribuiscono — secondo una stima — a formare più dell’8% della ricchezza nazionale. Si poteva sperare che globalizzazione, apertura dei commerci, deterritorializzazione del potere portassero a una obsolescenza delle frontiere. Invece, ieri l’Austria ha rafforzato i controlli di polizia sui confini orientali. Nei giorni scorsi, l’Ungheria ha costruito un muro alla frontiera con la Serbia, seguendo il cattivo esempio della barriera tra Stati Uniti e Messico.
Quel che è peggio, si fanno diventare elastiche le linee di demarcazione nazionali.
Il Regno Unito ha incaricato forze di polizia francesi di presidiare la frontiera, su territorio francese, come il Canada, che, d’accordo con le autorità straniere, svolge pre-ispezioni in porti e aeroporti esteri nei quali si imbarcano passeggeri diretti in Canada. Stati Uniti e Australia sono andati oltre, arretrando (sulla carta) di cento miglia i limiti territoriali per facilitare l’espulsione rapida di immigrati, che vengono trattati, quindi, su suolo americano e australiano, come se fossero presi sulla frontiera, con decisioni non sottoposte a controllo giurisdizionale.
Questa chiusura nelle proprie frontiere pone problemi enormi alla coscienza moderna. Ne voglio indicare solo tre. In primo luogo, la riscoperta delle barriere all’entrata non tiene conto che chi fugge si priva dell’appartenenza a una comunità, e, quindi, anche del «diritto ad avere diritti» che deriva da tale appartenenza. La chiusura delle frontiere lo precipita in un limbo giuridico (oltre a causarne spesso la morte).
La chiusura, in secondo luogo, è disposta da Paesi che hanno fatto propria la tradizione, risalente al 1789, secondo la quale sono garantiti i diritti «dell’uomo e del cittadino» (prima dell’uomo che del cittadino) e sono tenuti a rispettare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948). Dunque, da Paesi che sono obbligati a garantire non solo i diritti dei connazionali, ma anche quelli degli «altri». Da Paesi che si valgono dell’apertura delle fron-tiere quando fa comodo (per esportare merci, investire de-naro, viaggiare), le chiudono quando si sentono minacciati dall’immigrazione di persone.
Infine, questa chiusura nazionalistica ripropone l’interrogativo al quale cercò di dare una risposta nel 1882 il grande storico del cristianesimo Ernest Renan: che cosa è una nazione? Una nazione è tenuta insieme solo da una lingua comune, da tradizioni e costumi condivisi, oppure è fatta da una comunità di ideali più ampi, che si allargano anche a chi non vi è nato? Quella comunità che chiamiamo nazione è tenuta in vita solo da una comunione di interessi o anche da una comunanza di principi (tra cui quello di dare asilo a chi fugge da guerre e persecuzioni nella propria patria)? Nazione comporta appartenenza esclusiva oppure anche partecipazione a una collettività più vasta (come dovrebbero testimoniare le migliaia di organizzazioni internazionali esistenti)?
L’inatteso ritorno dei confini
di Sabino Cassese
Un miliardo e mezzo di persone viaggerà da una nazione all’altra nel 2016, secondo previsioni dell’Associazione delle compagnie di trasporto aereo (sono state più di un miliardo e cento milioni nel 2011), moltissime senza bisogno di visto dei Paesi d’entrata e alcune senza neppure bisogno di un passaporto del proprio Paese. Miliardi di persone godono di maggiore benessere grazie alla liberalizzazione mondiale del commercio (e tra poco anche ai partenariati transatlantico e transpacifico sul commercio e gli investimenti). Segni di difficoltà dell’economia cinese hanno prodotto immediati effetti sulle Borse di quasi tutto il mondo. Ben 232 milioni di persone vivono in Paesi diversi da quello di nascita. Su 500 milioni di abitanti dell’Unione Europea, 33 milioni sono quelli nati fuori dell’Unione. In Italia, gli immigrati sono 5 milioni (8% della popolazione) e contribuiscono — secondo una stima — a formare più dell’8% della ricchezza nazionale. Si poteva sperare che globalizzazione, apertura dei commerci, deterritorializzazione del potere portassero a una obsolescenza delle frontiere. Invece, ieri l’Austria ha rafforzato i controlli di polizia sui confini orientali. Nei giorni scorsi, l’Ungheria ha costruito un muro alla frontiera con la Serbia, seguendo il cattivo esempio della barriera tra Stati Uniti e Messico.
Quel che è peggio, si fanno diventare elastiche le linee di demarcazione nazionali.
Il Regno Unito ha incaricato forze di polizia francesi di presidiare la frontiera, su territorio francese, come il Canada, che, d’accordo con le autorità straniere, svolge pre-ispezioni in porti e aeroporti esteri nei quali si imbarcano passeggeri diretti in Canada. Stati Uniti e Australia sono andati oltre, arretrando (sulla carta) di cento miglia i limiti territoriali per facilitare l’espulsione rapida di immigrati, che vengono trattati, quindi, su suolo americano e australiano, come se fossero presi sulla frontiera, con decisioni non sottoposte a controllo giurisdizionale.
Questa chiusura nelle proprie frontiere pone problemi enormi alla coscienza moderna. Ne voglio indicare solo tre. In primo luogo, la riscoperta delle barriere all’entrata non tiene conto che chi fugge si priva dell’appartenenza a una comunità, e, quindi, anche del «diritto ad avere diritti» che deriva da tale appartenenza. La chiusura delle frontiere lo precipita in un limbo giuridico (oltre a causarne spesso la morte).
La chiusura, in secondo luogo, è disposta da Paesi che hanno fatto propria la tradizione, risalente al 1789, secondo la quale sono garantiti i diritti «dell’uomo e del cittadino» (prima dell’uomo che del cittadino) e sono tenuti a rispettare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948). Dunque, da Paesi che sono obbligati a garantire non solo i diritti dei connazionali, ma anche quelli degli «altri». Da Paesi che si valgono dell’apertura delle fron-tiere quando fa comodo (per esportare merci, investire de-naro, viaggiare), le chiudono quando si sentono minacciati dall’immigrazione di persone.
Infine, questa chiusura nazionalistica ripropone l’interrogativo al quale cercò di dare una risposta nel 1882 il grande storico del cristianesimo Ernest Renan: che cosa è una nazione? Una nazione è tenuta insieme solo da una lingua comune, da tradizioni e costumi condivisi, oppure è fatta da una comunità di ideali più ampi, che si allargano anche a chi non vi è nato? Quella comunità che chiamiamo nazione è tenuta in vita solo da una comunione di interessi o anche da una comunanza di principi (tra cui quello di dare asilo a chi fugge da guerre e persecuzioni nella propria patria)? Nazione comporta appartenenza esclusiva oppure anche partecipazione a una collettività più vasta (come dovrebbero testimoniare le migliaia di organizzazioni internazionali esistenti)?
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
Corriere 1.9.15
«I muri sgretolano i valori europei»
Colloquio con Ian Bremmer: «Il contratto sociale sul quale poggia la Ue sta venendo meno Serve una leadership coerente. Si va verso il decentramento, ma l’Unione non imploderà»
di Maria Serena Natale
Ian Bremmer, nella storia degli Stati nazione l’idea stessa di confine definisce il senso d’identità di un Paese. Averla elaborata e in parte superata, per l’Europa delle frontiere aperte nata dalle ceneri della guerra, è stato un passaggio epocale. Cosa ci dicono i nuovi muri che stanno sorgendo nel vecchio continente?
«Il trionfo di valori condivisi su un passato di violenza è stato il grande successo dell’Europa. Quei valori condivisi, e il contratto sociale che ne è scaturito, ora si stanno sgretolando. Le radici del fenomeno sono la sfiducia nella volontà tedesca di lavorare per il bene comune e l’impotenza dimostrata dalle istituzioni europee di fronte alle crescenti ineguaglianze sociali. La crisi dei migranti ha portato queste dinamiche in superficie e reso ancora più urgente la condivisione degli oneri. Se la Ue non riuscirà a indicare una rotta e ad accreditarsi come fonte di benessere per tutti, i singoli Stati si ripiegheranno sul solo genere di sicurezza che credono di poter gestire — il controllo dei confini».
Non solo una reazione al picco dell’emergenza, ma il segno di una debolezza strutturale del progetto europeo?
«La questione dei confini ha innescato una crisi profonda, che durerà anni. Talvolta le crisi sono necessarie per ricreare consenso e leadership. È la natura umana, compiamo scelte difficili solo quando dobbiamo. Il punto è che intere regioni del Medio Oriente si stanno disintegrando. Governi instabili, economie sotto pressioni insostenibili. La maggior parte dei migranti proviene da Paesi come Siria, Iraq, Libia, Tunisia. Per queste persone il vecchio continente resta un magnete, anche se le società europee non trovano il modo di integrarle. Difficoltà che potranno solo peggiorare, se pensiamo agli alti tassi di disoccupazione e alla minaccia del terrorismo. In questo contesto alcuni Stati, per esempio la Svezia, continuano a dare più di quanto non ricevano, mentre ad altri come Grecia, Italia e Spagna, si chiede troppo. Quel che manca è una leadership collettiva coerente».
Per la Germania aver assunto un ruolo guida sul tema dell’accoglienza e aver rilanciato con Italia e Francia l’urgenza di un ripensamento radicale del sistema d’asilo di Dublino significa aver superato sul solo piano possibile — la gestione di una crisi «umanitaria» — la paura dell’egemonia?
«Pur tardiva, la decisione di Berlino di accogliere le richieste di asilo dei rifugiati siriani è un primo importante passo, che spero diventi un precedente. Non credo che la Germania aspiri all’“egemonia”. È un fardello che le ha già fatto troppo male. E i contribuenti tedeschi sono tutt’altro che disposti a pagare il prezzo della leadership. Tuttavia, considerate le dimensioni della sua economia e la forza del suo governo, la Germania dovrà necessariamente assumere un ruolo guida, anche solo dando l’esempio».
Rischia di diventare un modello anche la linea dura del Regno Unito, che ha trovato nello stato d’emergenza una nuova fonte di legittimazione per le tradizionali resistenze verso un approfondimento dell’integrazione comunitaria e addirittura una giustificazione per rimettere in discussione la libera circolazione. Dalla condivisione degli sforzi si sfila pure il blocco del Centro Est, per ragioni storiche e culturali. È l’inizio di un processo di disgregazione dell’Europa unita?
«L’Europa ha avviato un processo di decentramento. In molti Stati europei la politica va incontro a una frammentazione sempre più accentuata, man mano che le nuove formazioni sfidano i partiti tradizionali al potere. I rappresentanti eletti, anche quelli espressi dall’establishment, dovranno rispondere alla crescente domanda pubblica di un approccio più ostile alla Ue e alle sue istituzioni. Nel complesso però l’economia europea rimarrà stabile, se non in stagnazione. E le sue istituzioni continueranno a funzionare».
Alla lunga le destre sono destinate a capitalizzare gli effetti della delicata fase di spartizione delle quote di migranti e integrazione che si sta aprendo?
«Guadagneranno terreno i partiti estremi, a destra come a sinistra, anche dove non arriveranno a esercitare il potere. Se l’Ukip ha costretto il primo ministro britannico David Cameron ad assorbire più dosi di euroscetticismo e la cancelliera tedesca Angela Merkel deve fare attenzione ad Alternative für Deutschland, allo stesso modo il governo spagnolo dovrà tenere d’occhio i consensi di Podemos e l’estrema sinistra greca badare alla sinistra ancora più estrema. All’orizzonte non vedo nulla che possa allentare la pressione sui grandi partiti».
«I muri sgretolano i valori europei»
Colloquio con Ian Bremmer: «Il contratto sociale sul quale poggia la Ue sta venendo meno Serve una leadership coerente. Si va verso il decentramento, ma l’Unione non imploderà»
di Maria Serena Natale
Ian Bremmer, nella storia degli Stati nazione l’idea stessa di confine definisce il senso d’identità di un Paese. Averla elaborata e in parte superata, per l’Europa delle frontiere aperte nata dalle ceneri della guerra, è stato un passaggio epocale. Cosa ci dicono i nuovi muri che stanno sorgendo nel vecchio continente?
«Il trionfo di valori condivisi su un passato di violenza è stato il grande successo dell’Europa. Quei valori condivisi, e il contratto sociale che ne è scaturito, ora si stanno sgretolando. Le radici del fenomeno sono la sfiducia nella volontà tedesca di lavorare per il bene comune e l’impotenza dimostrata dalle istituzioni europee di fronte alle crescenti ineguaglianze sociali. La crisi dei migranti ha portato queste dinamiche in superficie e reso ancora più urgente la condivisione degli oneri. Se la Ue non riuscirà a indicare una rotta e ad accreditarsi come fonte di benessere per tutti, i singoli Stati si ripiegheranno sul solo genere di sicurezza che credono di poter gestire — il controllo dei confini».
Non solo una reazione al picco dell’emergenza, ma il segno di una debolezza strutturale del progetto europeo?
«La questione dei confini ha innescato una crisi profonda, che durerà anni. Talvolta le crisi sono necessarie per ricreare consenso e leadership. È la natura umana, compiamo scelte difficili solo quando dobbiamo. Il punto è che intere regioni del Medio Oriente si stanno disintegrando. Governi instabili, economie sotto pressioni insostenibili. La maggior parte dei migranti proviene da Paesi come Siria, Iraq, Libia, Tunisia. Per queste persone il vecchio continente resta un magnete, anche se le società europee non trovano il modo di integrarle. Difficoltà che potranno solo peggiorare, se pensiamo agli alti tassi di disoccupazione e alla minaccia del terrorismo. In questo contesto alcuni Stati, per esempio la Svezia, continuano a dare più di quanto non ricevano, mentre ad altri come Grecia, Italia e Spagna, si chiede troppo. Quel che manca è una leadership collettiva coerente».
Per la Germania aver assunto un ruolo guida sul tema dell’accoglienza e aver rilanciato con Italia e Francia l’urgenza di un ripensamento radicale del sistema d’asilo di Dublino significa aver superato sul solo piano possibile — la gestione di una crisi «umanitaria» — la paura dell’egemonia?
«Pur tardiva, la decisione di Berlino di accogliere le richieste di asilo dei rifugiati siriani è un primo importante passo, che spero diventi un precedente. Non credo che la Germania aspiri all’“egemonia”. È un fardello che le ha già fatto troppo male. E i contribuenti tedeschi sono tutt’altro che disposti a pagare il prezzo della leadership. Tuttavia, considerate le dimensioni della sua economia e la forza del suo governo, la Germania dovrà necessariamente assumere un ruolo guida, anche solo dando l’esempio».
Rischia di diventare un modello anche la linea dura del Regno Unito, che ha trovato nello stato d’emergenza una nuova fonte di legittimazione per le tradizionali resistenze verso un approfondimento dell’integrazione comunitaria e addirittura una giustificazione per rimettere in discussione la libera circolazione. Dalla condivisione degli sforzi si sfila pure il blocco del Centro Est, per ragioni storiche e culturali. È l’inizio di un processo di disgregazione dell’Europa unita?
«L’Europa ha avviato un processo di decentramento. In molti Stati europei la politica va incontro a una frammentazione sempre più accentuata, man mano che le nuove formazioni sfidano i partiti tradizionali al potere. I rappresentanti eletti, anche quelli espressi dall’establishment, dovranno rispondere alla crescente domanda pubblica di un approccio più ostile alla Ue e alle sue istituzioni. Nel complesso però l’economia europea rimarrà stabile, se non in stagnazione. E le sue istituzioni continueranno a funzionare».
Alla lunga le destre sono destinate a capitalizzare gli effetti della delicata fase di spartizione delle quote di migranti e integrazione che si sta aprendo?
«Guadagneranno terreno i partiti estremi, a destra come a sinistra, anche dove non arriveranno a esercitare il potere. Se l’Ukip ha costretto il primo ministro britannico David Cameron ad assorbire più dosi di euroscetticismo e la cancelliera tedesca Angela Merkel deve fare attenzione ad Alternative für Deutschland, allo stesso modo il governo spagnolo dovrà tenere d’occhio i consensi di Podemos e l’estrema sinistra greca badare alla sinistra ancora più estrema. All’orizzonte non vedo nulla che possa allentare la pressione sui grandi partiti».
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
SI RICOMINCIA!!!!
Poteva non ripetersi prima o poi??????
Il mezzo d'incisione non é lo stesso, ma il principio sì.
Ottanta anni dopo in quell'area si ricominia.
Possibile che dopo ottant'anni non abbiano trovato un altro mezzo di identificazione?????????
Repubblica Ceca, migranti marchiati sul braccio al confine con l’Austria. “Pratica che rimanda ai campi nazisti”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09 ... a/2002259/
Poteva non ripetersi prima o poi??????
Il mezzo d'incisione non é lo stesso, ma il principio sì.
Ottanta anni dopo in quell'area si ricominia.
Possibile che dopo ottant'anni non abbiano trovato un altro mezzo di identificazione?????????
Repubblica Ceca, migranti marchiati sul braccio al confine con l’Austria. “Pratica che rimanda ai campi nazisti”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09 ... a/2002259/
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
Migranti, verso ripristino dei controlli di frontiera al Brennero: ‘L’ha chiesto Berlino’
Mondo
L'annuncio è arrivato dalla provincia di Bolzano, che va in soccorso della Baviera travolta da un'ondata di arrivi attraverso la rotta balcanica: "Ospiteremo per qualche giorno tra i 300 e i 400 profughi per permetterle di organizzarsi". Intanto la scorsa notte sei Eurostar sono rimasti bloccati nell'Eurotunnel sotto la Manica perché sui binari erano stati visti dei migranti. Centinaia di passeggeri diretti a Parigi o Londra fermi su sei vagoni nel tunnel e nella stazione di Calais
di F. Q. | 2 settembre 2015
Dopo l’apertura ai profughi siriani e la mano tesa all’Italia che “deve essere aiutata” nella gestione dei migranti, ora Angela Merkel torna a chiedere i controlli alle frontiere. Almeno quelle con l’Italia.
La provincia di Bolzano ha fatto sapere infatti che, su richiesta di Berlino, Roma ha dato disponibilità a ripristinare i controlli al confine del Brennero sospendendo temporaneamente gli accordi di Schengen, come avvenuto in occasione del G7 di giugno in Baviera.
Il governo Renzi, sotto accusa per la mancata identificazione e schedatura di migliaia di stranieri arrivati via mare o via terra, ha risposto sì.
Linea ben diversa rispetto a quella tenuta quando è stata la Francia a chiudere unilateralmente i confini a Ventimiglia.
All’epoca il ministro dell’Interno Angelino Alfano, davanti al caos dei migranti sgomberati dagli agenti francesi parlò di “antipasto di quello che succederebbe se si sospendesse Schengen”.
Ora si vedrà quali saranno le conseguenze.
Nel frattempo il ministro dell’Interno Thomas De Maiziere ha rivelato che il governo della Cancelliera sta verificando la possibilità di una modifica della Costituzione tedesca per poter gestire meglio l’emergenza profughi in Germania e velocizzare le procedure.
L’Alto Adige in soccorso della Baviera: “Ospiteremo 300-400 migranti. Spese a carico dello Stato”
– L’Alto Adige ha annunciato che, in parallelo con il riavvio dei controlli al Brennero, darà “aiuto logistico” alla Baviera.
Che “registra un’ondata record di arrivi di profughi nelle ultime ore, principalmente attraverso la rotta dei Balcani, che sta creando una situazione ingestibile“.
-Tra i 300 e i 400 migranti saranno ospitati a Bolzano “per qualche giorno, come misura temporanea per permettere alla Baviera di riorganizzarsi e fronteggiare l’emergenza contingente”, spiega il comunicato del presidente della provincia di Bolzano Arno Kompatscher.
“Saranno reperite alcune palestre, dove gli impianti igienici e le infrastrutture sono già funzionanti, mentre nella gestione e nell’assistenza la Provincia attiverà la Protezione civile e la collaudata collaborazione delle associazioni locali di volontariato.
Le spese per questo intervento umanitario straordinario saranno a carico dello Stato“.
Kompatscher ha poi precisato che “non si tratta di una sospensione degli accordi di Schengen al Brennero, ma esclusivamente di un’intensificazione dei controlli”, rettificando così il comunicato appena diffuso dai suoi uffici.
Treni bloccati nell’Eurotunnel: “Migranti sui binari” – La notizia è arrivata dopo un’altra notte difficile a Calais, la città francese dove circa tremila migranti attendono di poter raggiungere la Gran Bretagna.
Nella notte il traffico ferroviario degli Eurostar che transitano sotto la Manica nell’Eurotunnel tra Parigi e Londra, è stato bloccato per ore a causa della presenza di migranti sui binari e, stando ad alcune segnalazioni, anche sui tetti dei treni.
Fino all’alba centinaia di passeggeri sono rimasti a bordo dei sei convogli fermi all’interno del tunnel nella stazione di Calais, la città francese dove circa tremila migranti attendono di poter raggiungere la Gran Bretagna.
Solo mercoledì mattina i treni che collegano le due capitali sono ripartiti, ma un paio sono stati rimandati nella stazione di partenza.
I primi problemi si sono registrati martedì sera a partire dalle 22.30, hanno riferito le autorità locali. In seguito la corrente sulla linea è stata staccata per evitare incidenti.
“I treni sono in attesa di entrare nel tunnel mentre persone sono sui binari a Calais, le autorità sono intervenute per aiutare” con acqua e generi alimentari, ha scritto il gruppo Eurostar su Twitter.
Nel corso dell’estate a Calais si sono registrati diversi incidenti, con i migranti che in più occasioni hanno cercato di superare le barriere dell’Eurotunnel e assaltato i tir in transito con l’obiettivo di salire a bordo e attraversare la Manica. Alcuni sono rimasti uccisi, travolti dai mezzi pesanti all’interno della galleria.
A Budapest stazione chiusa perché presa d’assalto da migranti - Lo stop dei treni è arrivato nel giorno in cui la stazione di Budapest è stata chiusa perché presa d’assalto da migliaia di immigrati che vogliono andare in Germania e Austria.
Non senza polemiche tra il governo ungherese e quello tedesco, perché l’esecutivo guidato da Viktor Orban attribuisce ad Angela Merkel, che ha sospeso l’applicazione del trattato di Dublino per i profughi siriani, la responsabilità del caos e dei disordini.
Mercoledì il ministro della Difesa ungherese, Csaba Hende, ha dichiarato che se fosse necessario l’esercito potrebbe mandare 3.500 soldati al confine meridionale per aiutare la polizia nel gestire la crisi migratoria.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09 ... o/2001428/
Mondo
L'annuncio è arrivato dalla provincia di Bolzano, che va in soccorso della Baviera travolta da un'ondata di arrivi attraverso la rotta balcanica: "Ospiteremo per qualche giorno tra i 300 e i 400 profughi per permetterle di organizzarsi". Intanto la scorsa notte sei Eurostar sono rimasti bloccati nell'Eurotunnel sotto la Manica perché sui binari erano stati visti dei migranti. Centinaia di passeggeri diretti a Parigi o Londra fermi su sei vagoni nel tunnel e nella stazione di Calais
di F. Q. | 2 settembre 2015
Dopo l’apertura ai profughi siriani e la mano tesa all’Italia che “deve essere aiutata” nella gestione dei migranti, ora Angela Merkel torna a chiedere i controlli alle frontiere. Almeno quelle con l’Italia.
La provincia di Bolzano ha fatto sapere infatti che, su richiesta di Berlino, Roma ha dato disponibilità a ripristinare i controlli al confine del Brennero sospendendo temporaneamente gli accordi di Schengen, come avvenuto in occasione del G7 di giugno in Baviera.
Il governo Renzi, sotto accusa per la mancata identificazione e schedatura di migliaia di stranieri arrivati via mare o via terra, ha risposto sì.
Linea ben diversa rispetto a quella tenuta quando è stata la Francia a chiudere unilateralmente i confini a Ventimiglia.
All’epoca il ministro dell’Interno Angelino Alfano, davanti al caos dei migranti sgomberati dagli agenti francesi parlò di “antipasto di quello che succederebbe se si sospendesse Schengen”.
Ora si vedrà quali saranno le conseguenze.
Nel frattempo il ministro dell’Interno Thomas De Maiziere ha rivelato che il governo della Cancelliera sta verificando la possibilità di una modifica della Costituzione tedesca per poter gestire meglio l’emergenza profughi in Germania e velocizzare le procedure.
L’Alto Adige in soccorso della Baviera: “Ospiteremo 300-400 migranti. Spese a carico dello Stato”
– L’Alto Adige ha annunciato che, in parallelo con il riavvio dei controlli al Brennero, darà “aiuto logistico” alla Baviera.
Che “registra un’ondata record di arrivi di profughi nelle ultime ore, principalmente attraverso la rotta dei Balcani, che sta creando una situazione ingestibile“.
-Tra i 300 e i 400 migranti saranno ospitati a Bolzano “per qualche giorno, come misura temporanea per permettere alla Baviera di riorganizzarsi e fronteggiare l’emergenza contingente”, spiega il comunicato del presidente della provincia di Bolzano Arno Kompatscher.
“Saranno reperite alcune palestre, dove gli impianti igienici e le infrastrutture sono già funzionanti, mentre nella gestione e nell’assistenza la Provincia attiverà la Protezione civile e la collaudata collaborazione delle associazioni locali di volontariato.
Le spese per questo intervento umanitario straordinario saranno a carico dello Stato“.
Kompatscher ha poi precisato che “non si tratta di una sospensione degli accordi di Schengen al Brennero, ma esclusivamente di un’intensificazione dei controlli”, rettificando così il comunicato appena diffuso dai suoi uffici.
Treni bloccati nell’Eurotunnel: “Migranti sui binari” – La notizia è arrivata dopo un’altra notte difficile a Calais, la città francese dove circa tremila migranti attendono di poter raggiungere la Gran Bretagna.
Nella notte il traffico ferroviario degli Eurostar che transitano sotto la Manica nell’Eurotunnel tra Parigi e Londra, è stato bloccato per ore a causa della presenza di migranti sui binari e, stando ad alcune segnalazioni, anche sui tetti dei treni.
Fino all’alba centinaia di passeggeri sono rimasti a bordo dei sei convogli fermi all’interno del tunnel nella stazione di Calais, la città francese dove circa tremila migranti attendono di poter raggiungere la Gran Bretagna.
Solo mercoledì mattina i treni che collegano le due capitali sono ripartiti, ma un paio sono stati rimandati nella stazione di partenza.
I primi problemi si sono registrati martedì sera a partire dalle 22.30, hanno riferito le autorità locali. In seguito la corrente sulla linea è stata staccata per evitare incidenti.
“I treni sono in attesa di entrare nel tunnel mentre persone sono sui binari a Calais, le autorità sono intervenute per aiutare” con acqua e generi alimentari, ha scritto il gruppo Eurostar su Twitter.
Nel corso dell’estate a Calais si sono registrati diversi incidenti, con i migranti che in più occasioni hanno cercato di superare le barriere dell’Eurotunnel e assaltato i tir in transito con l’obiettivo di salire a bordo e attraversare la Manica. Alcuni sono rimasti uccisi, travolti dai mezzi pesanti all’interno della galleria.
A Budapest stazione chiusa perché presa d’assalto da migranti - Lo stop dei treni è arrivato nel giorno in cui la stazione di Budapest è stata chiusa perché presa d’assalto da migliaia di immigrati che vogliono andare in Germania e Austria.
Non senza polemiche tra il governo ungherese e quello tedesco, perché l’esecutivo guidato da Viktor Orban attribuisce ad Angela Merkel, che ha sospeso l’applicazione del trattato di Dublino per i profughi siriani, la responsabilità del caos e dei disordini.
Mercoledì il ministro della Difesa ungherese, Csaba Hende, ha dichiarato che se fosse necessario l’esercito potrebbe mandare 3.500 soldati al confine meridionale per aiutare la polizia nel gestire la crisi migratoria.
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
La vox populi
LOGOS • 2 ore fa
RIVEDUTO E CORRETTO, a beneficio del moderatore di turno.
L'avete voluto, desiderato o anche solo subìto “usi ad obbedir tacendo”, il capitalismo finanziario globalizzato fonte di tutti i mali in questo scorcio di secolo?? Pedalate, ora! io modestamente mi autoescludo perché è una vita che ne temo questa immane sorte.
Vi piace andare al centro commerciale a comprare le banane un euro al kilo e tante altre cosucce (di materiali africani) a basso costo?? Bene: buono shopping a tutti!!! Vi è piaciuto infiammarvi patriotticamente nel veder partire le missioni di guerra chiamate “di pace”(sic!) per civilizzare (ri-sic!) il mondo?? Bene: buon esito a tutti!!!
E non dimenticate che pagate 35 euro al giorno per ogni migrante arrivato per essere ripagato del succitato trattamento riservato a loro per anni da parte dell'Occidente, naturalmente civilizzato. Se qualcuno vorrà accompagnarmi nell'andare in Texas per invitare Bush (padre e figli) a fare una visitina turistica in Medio Oriente, mi faccia un segno.
Per il resto, buona giornata a tutti.
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aloa • 2 ore fa
Ora Merchel mi dovrebbe spiegare perchè non si fida degli Italiani. Punto uno dare ordini e che Renzino scodinzoli e dia retta certamente va bene. Ma poi? Dicialola tutta, perchè non fidarsi di un popolo che non si lamente mai, il massimo della libidine e protestare su un Web. Famoso detto, L'unione fa la forza, funziana per altri, per l'Iitaliano no. Guarda il suo oticello fa la fila. Paga si arrabbia. Ma ! Alla sera qualcuno più furbo di lui trasmette una bella partita in TV che prepara il tifoso alla discussione del giorno dopo, abbiamo vinto, perchè ..ecc. ecc. tutti allenatori di prima cattegoria. Se non esiste lavoro, ci dicono che l'Italia decolla, questa è un'altra storia. Così tanto per capire mi piacerebbe sapere quanto è lunga sta pista. Risultato: Merchel lei ha ragione siamo in popoli di ........... pensi, che se potessi non darei un centisimo al Renzino di turno per comprarmi il giornale. Non vedrei ne giornale, ne centesimo.. W l'Italia.
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LOGOS • 2 ore fa
RIVEDUTO E CORRETTO, a beneficio del moderatore di turno.
L'avete voluto, desiderato o anche solo subìto “usi ad obbedir tacendo”, il capitalismo finanziario globalizzato fonte di tutti i mali in questo scorcio di secolo?? Pedalate, ora! io modestamente mi autoescludo perché è una vita che ne temo questa immane sorte.
Vi piace andare al centro commerciale a comprare le banane un euro al kilo e tante altre cosucce (di materiali africani) a basso costo?? Bene: buono shopping a tutti!!! Vi è piaciuto infiammarvi patriotticamente nel veder partire le missioni di guerra chiamate “di pace”(sic!) per civilizzare (ri-sic!) il mondo?? Bene: buon esito a tutti!!!
E non dimenticate che pagate 35 euro al giorno per ogni migrante arrivato per essere ripagato del succitato trattamento riservato a loro per anni da parte dell'Occidente, naturalmente civilizzato. Se qualcuno vorrà accompagnarmi nell'andare in Texas per invitare Bush (padre e figli) a fare una visitina turistica in Medio Oriente, mi faccia un segno.
Per il resto, buona giornata a tutti.
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aloa • 2 ore fa
Ora Merchel mi dovrebbe spiegare perchè non si fida degli Italiani. Punto uno dare ordini e che Renzino scodinzoli e dia retta certamente va bene. Ma poi? Dicialola tutta, perchè non fidarsi di un popolo che non si lamente mai, il massimo della libidine e protestare su un Web. Famoso detto, L'unione fa la forza, funziana per altri, per l'Iitaliano no. Guarda il suo oticello fa la fila. Paga si arrabbia. Ma ! Alla sera qualcuno più furbo di lui trasmette una bella partita in TV che prepara il tifoso alla discussione del giorno dopo, abbiamo vinto, perchè ..ecc. ecc. tutti allenatori di prima cattegoria. Se non esiste lavoro, ci dicono che l'Italia decolla, questa è un'altra storia. Così tanto per capire mi piacerebbe sapere quanto è lunga sta pista. Risultato: Merchel lei ha ragione siamo in popoli di ........... pensi, che se potessi non darei un centisimo al Renzino di turno per comprarmi il giornale. Non vedrei ne giornale, ne centesimo.. W l'Italia.
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