Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzione?
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
Il Tg3 delle 19,00 apre come di consueto negli ultimi 20 gg, con il problema dei migranti.
L'incontro Ue di ieri é fallito.
Sono cominciati decine di arresti in Ungheria.
L'incontro Ue di ieri é fallito.
Sono cominciati decine di arresti in Ungheria.
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
In Serbia le donne con i loro bambini gridano "Vogliamo vivere"
Con siamo come gli antenati di 9mila anni fa. E neppure come i tedeschi dediti al nazismo dopato del secolo scorso.
Abbiamo sviluppato la scienza del diritto.
Ma ce ne siamo scordati.
Il diritto di tutti è quello di vivere, al di là del colore della pelle e della fede religiosa.
Con siamo come gli antenati di 9mila anni fa. E neppure come i tedeschi dediti al nazismo dopato del secolo scorso.
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Ma ce ne siamo scordati.
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
L'Austria chiude le frontiere
Vienna ripristina i controlli. Merkel accusa Italia e Grecia: "Subito gli hotspot". Consiglio Ue il 22 settembre
Luca Romano - Mar, 15/09/2015 - 19:35
In Europa è ancora caos per l'immigrazione e il flusso di migranti. Ormai ai confini di ogni Stato membro la tensione è palpabile.
Oggi è stato il turno dell'Ungheria che ha iniziato ad arrestare chiunque non fosse legalmente nel Paese al confine con la Serbia. Dal canto suo il governo serbo si è detto pronto a schierare l'esercito per evitare che la massa di profughi torni sul proprio territorio.
Infine in serata l'Austria ha deciso di ripristinare i controlli sulle frontiere con Ungheria, Italia, Slovenia e Slovacchia e ha informato con una lettera la Commissione Ue del provvedimento. Per Bruxelles "a prima vista sembra essere una situazione che rientra nelle regole" Schengen.
Una mossa già adottata oggi dalla Germania. "Abbiamo introdotto i controlli per poter registrare meglio i profughi e per garantire la sicurezza", ha spiegato Angela Merkel in conferenza stampa con il cancelliere austriaco Werner Faymann, "Non era più possibile registrarli. Poi la Cancelliera si rivolge a Italia e Grecia: "È urgente che facciano subito gli hotspot", insiste, "Diversamente non può esserci la distribuzione equa dei migranti". E se la Germania in un primo tempo ha aperto all'accoglienza è stato perché "era una situazione di emergenza" e si doveva decidere. "Non potevamo aspettare", ha ribadito la Merkel, "Se adesso dobbiamo iniziare anche a scusarci del fatto che, in situazioni di emergenza, mostriamo un volto amichevole, allora questo non è il mio Paese".
Per risolvere la questione il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk ha annunciato che potrebbe esserci presto un vertice straordinario, indetto su richiesta di alcuni leader europei durante le consultazioni. La data scelta è quella del 22 settembre. Ieri si era già tenunto un incontro del consiglio Affari Interni, ma non era stata trovata l'unanimità sui provvedimenti da prendere tra cui la ricollocazione dei profughi con un sistema di quote e una "multa" per chi si rifiuta di partecipare.
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/anc ... 71331.html
Vienna ripristina i controlli. Merkel accusa Italia e Grecia: "Subito gli hotspot". Consiglio Ue il 22 settembre
Luca Romano - Mar, 15/09/2015 - 19:35
In Europa è ancora caos per l'immigrazione e il flusso di migranti. Ormai ai confini di ogni Stato membro la tensione è palpabile.
Oggi è stato il turno dell'Ungheria che ha iniziato ad arrestare chiunque non fosse legalmente nel Paese al confine con la Serbia. Dal canto suo il governo serbo si è detto pronto a schierare l'esercito per evitare che la massa di profughi torni sul proprio territorio.
Infine in serata l'Austria ha deciso di ripristinare i controlli sulle frontiere con Ungheria, Italia, Slovenia e Slovacchia e ha informato con una lettera la Commissione Ue del provvedimento. Per Bruxelles "a prima vista sembra essere una situazione che rientra nelle regole" Schengen.
Una mossa già adottata oggi dalla Germania. "Abbiamo introdotto i controlli per poter registrare meglio i profughi e per garantire la sicurezza", ha spiegato Angela Merkel in conferenza stampa con il cancelliere austriaco Werner Faymann, "Non era più possibile registrarli. Poi la Cancelliera si rivolge a Italia e Grecia: "È urgente che facciano subito gli hotspot", insiste, "Diversamente non può esserci la distribuzione equa dei migranti". E se la Germania in un primo tempo ha aperto all'accoglienza è stato perché "era una situazione di emergenza" e si doveva decidere. "Non potevamo aspettare", ha ribadito la Merkel, "Se adesso dobbiamo iniziare anche a scusarci del fatto che, in situazioni di emergenza, mostriamo un volto amichevole, allora questo non è il mio Paese".
Per risolvere la questione il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk ha annunciato che potrebbe esserci presto un vertice straordinario, indetto su richiesta di alcuni leader europei durante le consultazioni. La data scelta è quella del 22 settembre. Ieri si era già tenunto un incontro del consiglio Affari Interni, ma non era stata trovata l'unanimità sui provvedimenti da prendere tra cui la ricollocazione dei profughi con un sistema di quote e una "multa" per chi si rifiuta di partecipare.
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/anc ... 71331.html
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
Repubblica 15.9.15
La seduzione del caos globale
Dalle teorie matematiche alla geopolitica: l’analisi del disordine nel saggio di Federico Rampini
di Federico Rampini
Vista dagli Stati Uniti l’Italia fa notizia quando vi approdano ondate di disperati, costretti ad attraversare il Mediterraneo. La Germania è un colosso economico dai piedi d’argilla, non riesce a dare all’Europa un progetto nuovo, forte e convincente. Un altro paese era il simbolo del miglior modello europeo: il politologo americano Francis Fukuyama ha coniato l’espressione “diventare Danimarca”, per illustrare la transizione a una liberaldemocrazia esemplare; ebbene, anche la Danimarca non è più sicura di voler essere Danimarca, a giudicare dall’ascesa di partiti xenofobi, dal diffondersi
di nuove paure in un paradiso scandinavo che si sente sotto assedio. La Nato si riarma per far fronte a Putin, ma le opinioni pubbliche europee distolgono gli sguardi dal rullare dei tamburi di guerra. Gli europei hanno altro a cui pensare: i figli senza lavoro o sottopagati; i tagli alle pensioni; i servizi pubblici in declino. Non sta molto meglio la mia America. Per essere la nazione più dinamica sotto molti aspetti — economia, demografia, energia, scienza, tecnologia — soffre di un’insicurezza sorprendente: dopo sei anni di crescita dell’occupazione, una maggioranza di americani continua pensare che “il paese è sulla strada sbagliata”. Anche qui molti giovani, pur avendo sbocchi professionali migliori che in Europa, non possono aspirare al tenore di vita dei propri genitori. La prossima rivoluzione tecnologica — il balzo in avanti nella robotica e nell’intelligenza artificiale — minaccia di rendere inutili o subalterne molte professioni intellettuali. La più grave crisi economica dopo la Depressione degli anni Trenta lascia delle ferite aperte. Questa crisi è stata “sprecata”, non ha portato a cambiamenti risolutivi; si parla apertamente di una stagnazione secolare. Pesa anche la perdita di una missione. L’America, anche quella parte che rimane convinta della propria “eccezionalità”, non crede più che sia possibile una Pax Americana nel mondo. Siamo le prime generazioni testimoni di un evento inaudito, la chiusura di una fase storica durata mezzo millennio, quel dominio dell’uomo bianco sul pianeta che si aprì con l’epoca delle grandi scoperte, a cui seguirono le conquiste coloniali. Il pendolo della storia torna inesorabilmente dove lo avevamo lasciato cinque secoli fa, almeno dal punto di vista delle gerarchie e dei rapporti di forze: quando era Cindia il baricentro del mondo, l’area più ricca e avanzata, oltre che la più popolosa. Ma il pendolo è lento. Siamo nella transizione, in uno di quei periodi instabili e pericolosi: dove l’ordine antico sta franando, di un ordine nuovo non c’è neppure una traccia. Il declino relativo dell’America, non è compensato dal sorgere di un avvenire radioso sotto altri egemoni. Chi di noi brama di vivere sotto una Pax Cinese o Russa? Modelli alternativi non ce n’è in circolazione; prevalgono coalizioni occasionali fra risentimenti anti-occidentali. Cinesi o russi, arabi o africani, possono elencare facilmente i lunghi torti storici che hanno subito dall’Occidente. Non hanno elaborato la visione di un altro mondo da costruire.
L’Età del Caos esplora le linee di frattura che attraversano il mondo in cui viviamo, ne traccia le frontiere più aggiornate, le forze che lo stanno plasmando. Dalla geopolitica all’economia, dall’ambiente alla crisi delle democrazie, dalla rivoluzione tecnologica al futuro di Cina e India. Conoscere il Caos, è la condizione essenziale per padroneggiarlo... o almeno galleggiare, sopravvivere, adattarsi?
C’è una seduzione del Caos. La sua attrazione fatale, malefica e demoniaca, l’avvertiamo in un sottile slittamento del linguaggio. Prendete la parola virus.
Virale è diventato un segno di successo. Se un video su YouTube attira un pubblico immenso definiamo virale la sua diffusione. Se una start-up lancia una app per cellulari che conquista gli utenti, tipo Uber o Instagram o Whatsapp, è promossa a fenomeno virale. C’è chi estende il vocabolario medico-biologico alla geopolitica e alla religione. L’avanzata dello Stato Islamico per la sua rapidità viene descritta come un “contagio”. Autorevoli esperti fanno parallelismi con le epidemie. Ancora i virus.
Il Caos come principio dinamico. Da una parte ci sono delle classi dirigenti, l’establishment, i governanti, la cui formazione è radicata nel passato, incapaci di capire il futuro. Questi tendono a pensare in modo “lineare”; come se fosse possibile ripristinare qualche tipo di status quo, di stabilità. Dall’altra parte ci sono le nuove élite, i veri protagonisti del futuro: guerriglieri o imprenditori delle start-up, vedono nell’instabilità la nuova norma, pensano al Caos come a un’opportunità. La “distruzione creatrice” della Silicon Valley californiana è alimentata da tattiche di guerriglia: gli innovatori sono minuscoli, quando partono all’assalto dei poteri costituiti. In quel mondo dell’imprenditorialità più dinamica, a San Francisco, il vocabolo in voga è “disruptive”. Per essere un protagonista devi essere dirompente, devastante, distruttivo.
Il Caos può diventare per noi un’opportunità? Che cosa possiamo imparare dalla mappatura del Disordine dominante? Crisi e opportunità sono una parola sola, in mandarino. Il filosofo greco Socrate, nel ritratto che ci tramanda Aristofane con la commedia
Le Nuvole , considerava il Caos come una divinità.
Più vicina a noi, è la matematica post-newtoniana ad avere fatto della Teoria del Caos uno dei suoi sviluppi più importanti. La direzione imboccata dagli scienziati è assai diversa dall’accezione negativa e catastrofista del disordine, dell’anarchia e dell’assenza di regole “lineari”. Chiedo aiuto al matematico Leonard Smith, docente alla London School of Economics. «Uno dei miti del caos che va denunciato — dice — è che esso renda inutile il tentativo di fare previsioni. Il caos riflette dei fenomeni nella matematica e nelle scienze: dei sistemi dove delle piccole differenze nel modo in cui sono le cose oggi, possono avere conseguenze enormi su come le cose saranno in futuro». Lo studio del caos si è allargato all’astronomia, alla meteorologia, alla biologia, e ovviamente all’economia. La differenza rispetto alla matematica e alla fisica di Newton? «In base alle leggi di Newton, il futuro del sistema solare è completamente determinato dal suo stato attuale... Un mondo è deterministico se la sua situazione attuale definisce compiutamente ciò che sarà il suo futuro».
Non c’è da stupirsi, se i più giovani, i più trasgressivi, i più creativi tra di noi sentono nel Caos una promessa di illimitate possibilità. Un mondo non-determinato, un mondo dove minuscoli cambiamenti oggi possono produrre grandi conseguenze domani: perché mai dovremmo vederne solo il negativo?
IL LIBRO L’età del caos di Federico Rampini (Mondadori pagg. 330, euro 18,50) L’autore sarà a Pordenone il 19 settembre alle 19,30
La seduzione del caos globale
Dalle teorie matematiche alla geopolitica: l’analisi del disordine nel saggio di Federico Rampini
di Federico Rampini
Vista dagli Stati Uniti l’Italia fa notizia quando vi approdano ondate di disperati, costretti ad attraversare il Mediterraneo. La Germania è un colosso economico dai piedi d’argilla, non riesce a dare all’Europa un progetto nuovo, forte e convincente. Un altro paese era il simbolo del miglior modello europeo: il politologo americano Francis Fukuyama ha coniato l’espressione “diventare Danimarca”, per illustrare la transizione a una liberaldemocrazia esemplare; ebbene, anche la Danimarca non è più sicura di voler essere Danimarca, a giudicare dall’ascesa di partiti xenofobi, dal diffondersi
di nuove paure in un paradiso scandinavo che si sente sotto assedio. La Nato si riarma per far fronte a Putin, ma le opinioni pubbliche europee distolgono gli sguardi dal rullare dei tamburi di guerra. Gli europei hanno altro a cui pensare: i figli senza lavoro o sottopagati; i tagli alle pensioni; i servizi pubblici in declino. Non sta molto meglio la mia America. Per essere la nazione più dinamica sotto molti aspetti — economia, demografia, energia, scienza, tecnologia — soffre di un’insicurezza sorprendente: dopo sei anni di crescita dell’occupazione, una maggioranza di americani continua pensare che “il paese è sulla strada sbagliata”. Anche qui molti giovani, pur avendo sbocchi professionali migliori che in Europa, non possono aspirare al tenore di vita dei propri genitori. La prossima rivoluzione tecnologica — il balzo in avanti nella robotica e nell’intelligenza artificiale — minaccia di rendere inutili o subalterne molte professioni intellettuali. La più grave crisi economica dopo la Depressione degli anni Trenta lascia delle ferite aperte. Questa crisi è stata “sprecata”, non ha portato a cambiamenti risolutivi; si parla apertamente di una stagnazione secolare. Pesa anche la perdita di una missione. L’America, anche quella parte che rimane convinta della propria “eccezionalità”, non crede più che sia possibile una Pax Americana nel mondo. Siamo le prime generazioni testimoni di un evento inaudito, la chiusura di una fase storica durata mezzo millennio, quel dominio dell’uomo bianco sul pianeta che si aprì con l’epoca delle grandi scoperte, a cui seguirono le conquiste coloniali. Il pendolo della storia torna inesorabilmente dove lo avevamo lasciato cinque secoli fa, almeno dal punto di vista delle gerarchie e dei rapporti di forze: quando era Cindia il baricentro del mondo, l’area più ricca e avanzata, oltre che la più popolosa. Ma il pendolo è lento. Siamo nella transizione, in uno di quei periodi instabili e pericolosi: dove l’ordine antico sta franando, di un ordine nuovo non c’è neppure una traccia. Il declino relativo dell’America, non è compensato dal sorgere di un avvenire radioso sotto altri egemoni. Chi di noi brama di vivere sotto una Pax Cinese o Russa? Modelli alternativi non ce n’è in circolazione; prevalgono coalizioni occasionali fra risentimenti anti-occidentali. Cinesi o russi, arabi o africani, possono elencare facilmente i lunghi torti storici che hanno subito dall’Occidente. Non hanno elaborato la visione di un altro mondo da costruire.
L’Età del Caos esplora le linee di frattura che attraversano il mondo in cui viviamo, ne traccia le frontiere più aggiornate, le forze che lo stanno plasmando. Dalla geopolitica all’economia, dall’ambiente alla crisi delle democrazie, dalla rivoluzione tecnologica al futuro di Cina e India. Conoscere il Caos, è la condizione essenziale per padroneggiarlo... o almeno galleggiare, sopravvivere, adattarsi?
C’è una seduzione del Caos. La sua attrazione fatale, malefica e demoniaca, l’avvertiamo in un sottile slittamento del linguaggio. Prendete la parola virus.
Virale è diventato un segno di successo. Se un video su YouTube attira un pubblico immenso definiamo virale la sua diffusione. Se una start-up lancia una app per cellulari che conquista gli utenti, tipo Uber o Instagram o Whatsapp, è promossa a fenomeno virale. C’è chi estende il vocabolario medico-biologico alla geopolitica e alla religione. L’avanzata dello Stato Islamico per la sua rapidità viene descritta come un “contagio”. Autorevoli esperti fanno parallelismi con le epidemie. Ancora i virus.
Il Caos come principio dinamico. Da una parte ci sono delle classi dirigenti, l’establishment, i governanti, la cui formazione è radicata nel passato, incapaci di capire il futuro. Questi tendono a pensare in modo “lineare”; come se fosse possibile ripristinare qualche tipo di status quo, di stabilità. Dall’altra parte ci sono le nuove élite, i veri protagonisti del futuro: guerriglieri o imprenditori delle start-up, vedono nell’instabilità la nuova norma, pensano al Caos come a un’opportunità. La “distruzione creatrice” della Silicon Valley californiana è alimentata da tattiche di guerriglia: gli innovatori sono minuscoli, quando partono all’assalto dei poteri costituiti. In quel mondo dell’imprenditorialità più dinamica, a San Francisco, il vocabolo in voga è “disruptive”. Per essere un protagonista devi essere dirompente, devastante, distruttivo.
Il Caos può diventare per noi un’opportunità? Che cosa possiamo imparare dalla mappatura del Disordine dominante? Crisi e opportunità sono una parola sola, in mandarino. Il filosofo greco Socrate, nel ritratto che ci tramanda Aristofane con la commedia
Le Nuvole , considerava il Caos come una divinità.
Più vicina a noi, è la matematica post-newtoniana ad avere fatto della Teoria del Caos uno dei suoi sviluppi più importanti. La direzione imboccata dagli scienziati è assai diversa dall’accezione negativa e catastrofista del disordine, dell’anarchia e dell’assenza di regole “lineari”. Chiedo aiuto al matematico Leonard Smith, docente alla London School of Economics. «Uno dei miti del caos che va denunciato — dice — è che esso renda inutile il tentativo di fare previsioni. Il caos riflette dei fenomeni nella matematica e nelle scienze: dei sistemi dove delle piccole differenze nel modo in cui sono le cose oggi, possono avere conseguenze enormi su come le cose saranno in futuro». Lo studio del caos si è allargato all’astronomia, alla meteorologia, alla biologia, e ovviamente all’economia. La differenza rispetto alla matematica e alla fisica di Newton? «In base alle leggi di Newton, il futuro del sistema solare è completamente determinato dal suo stato attuale... Un mondo è deterministico se la sua situazione attuale definisce compiutamente ciò che sarà il suo futuro».
Non c’è da stupirsi, se i più giovani, i più trasgressivi, i più creativi tra di noi sentono nel Caos una promessa di illimitate possibilità. Un mondo non-determinato, un mondo dove minuscoli cambiamenti oggi possono produrre grandi conseguenze domani: perché mai dovremmo vederne solo il negativo?
IL LIBRO L’età del caos di Federico Rampini (Mondadori pagg. 330, euro 18,50) L’autore sarà a Pordenone il 19 settembre alle 19,30
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
UOMINI CONTRO
Molto probabilmente la mattina del 24 agosto u.s., rispondendo alle domande della conduttrice, il Prof. Amadori, ad Omnibus, non aveva contezza di quanto stava per succedere sulla rotta balcanica tracciata dai siriani in fuga dalla guerra.
Si era quindi esposto sostenendo che a suo avviso in capo a 3 anni, anno più anno meno, in Europa avrebbe preso forma una rivoluzione a causa degli evidenti scompensi provocati da questo "EXODUS" eccezionale.
Se avesse aspettato qualche giorno si sarebbe reso conto che quella rivoluzione era già cominciata.
L'Europa come l'avevamo sognata noi sulla scorta delle volontà di Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ursula Hirschmann, con il cosiddetto "Manifesto di Ventotene, e la successiva volontà di Alcide De Gasperi, Robert Schuman e Konrad Adenauer, di far cessare le guerre nel Continente che imperversavano da tremila anni senza soluzione di continuità, inzuppando oltremodo la terra sottostante con il sangue dei suoi figli,....NON C'E' PIU'.
E' riitornata l'europa di sempre,... degli egoismi nazionali, in cui si é cessato con grande evidenza di usare il cervello per ragionare e ripiegare rapidamente con il suo sostituto. Il lato B.
Un modo di fare che ci ha riservato nel passato soltanto una vita grama.
Non credo di fare a tempo di vedere che gli europei, tutti quanti, si rendano conto dell'unicità di questa nostra vita sul Pianeta Terra, che io rinomenerei in modo più appropriato Pianeta Marte, perchè più consono al dio della guerra, e la smettano di farsi la guerra in tutte le sue forme, e cerchino una buona volta di vivere decentemente, anche senza sfiorare il modello "PARADISO TERRESTRE".
^^^^^^^^
Almeno 300 feriti
Ungheria, scontri al muro di confine
Polizia usa gas e cannoni ad acqua
Ma Orban apre alle quote migranti
Continuano i respingimenti: chiusa la frontiera coi serbi per trenta giorni. La Croazia:
«Li faremo passare». Ban Ki-Moon: «Scioccato dal trattamento riservati ai rifugiati»
di Redazione Online
Video + Foto + Articolo
http://www.corriere.it/esteri/15_settem ... 401d.shtml
Molto probabilmente la mattina del 24 agosto u.s., rispondendo alle domande della conduttrice, il Prof. Amadori, ad Omnibus, non aveva contezza di quanto stava per succedere sulla rotta balcanica tracciata dai siriani in fuga dalla guerra.
Si era quindi esposto sostenendo che a suo avviso in capo a 3 anni, anno più anno meno, in Europa avrebbe preso forma una rivoluzione a causa degli evidenti scompensi provocati da questo "EXODUS" eccezionale.
Se avesse aspettato qualche giorno si sarebbe reso conto che quella rivoluzione era già cominciata.
L'Europa come l'avevamo sognata noi sulla scorta delle volontà di Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ursula Hirschmann, con il cosiddetto "Manifesto di Ventotene, e la successiva volontà di Alcide De Gasperi, Robert Schuman e Konrad Adenauer, di far cessare le guerre nel Continente che imperversavano da tremila anni senza soluzione di continuità, inzuppando oltremodo la terra sottostante con il sangue dei suoi figli,....NON C'E' PIU'.
E' riitornata l'europa di sempre,... degli egoismi nazionali, in cui si é cessato con grande evidenza di usare il cervello per ragionare e ripiegare rapidamente con il suo sostituto. Il lato B.
Un modo di fare che ci ha riservato nel passato soltanto una vita grama.
Non credo di fare a tempo di vedere che gli europei, tutti quanti, si rendano conto dell'unicità di questa nostra vita sul Pianeta Terra, che io rinomenerei in modo più appropriato Pianeta Marte, perchè più consono al dio della guerra, e la smettano di farsi la guerra in tutte le sue forme, e cerchino una buona volta di vivere decentemente, anche senza sfiorare il modello "PARADISO TERRESTRE".
^^^^^^^^
Almeno 300 feriti
Ungheria, scontri al muro di confine
Polizia usa gas e cannoni ad acqua
Ma Orban apre alle quote migranti
Continuano i respingimenti: chiusa la frontiera coi serbi per trenta giorni. La Croazia:
«Li faremo passare». Ban Ki-Moon: «Scioccato dal trattamento riservati ai rifugiati»
di Redazione Online
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
il manifesto 16.9.15
Il corridoio della solidarietà
Il flusso di profughi non si fermerà di fronte all’Europa trasformata in fortezza con le armi e con l’ipocrita distinzione tra profughi (da accogliere) e migranti (da respingere)
di Guido Viale
Lo sgambetto con cui la cronista ungherese Petra Laszlo ha buttato a terra un profugo siriano che portava il proprio figlio in salvo da una guerra mai dichiarata è un’immagine plastica del cinismo e della crudeltà che domina le politiche dell’Unione Europea e traduce a livello individuale la brutalità con cui i suoi governanti hanno cercato di interrompere la corsa del governo Tsipras per portare in salvo il popolo greco da un disastro di cui non porta alcuna responsabilità. Un accostamento non casuale: l’Unione Europea non sarà mai in grado di accogliere milioni di profughi fino a che negherà diritti e imporrà solo doveri ai popoli dei suoi stati periferici. Quel padre poi si è rialzato e ha continuato la sua corsa, mentre non sappiamo ancora se Tsipras riuscirà a fare altrettanto.
In entrambi i casi, accanto a cinismo e crudeltà, balza evidente l’impotenza dell’Europa, che non ha soluzioni di lungo termine per sottrarre la Grecia e gli altri paesi troppo indebitati al disastro finanziario, ma anche sociale e ambientale, a cui li condannano le sue politiche; ma non ha nemmeno idea di come affrontare lo «tsunami» di profughi che la sta investendo e che rischia di portarla alla dissoluzione. Con le sue promesse Angela Merkel ha cercato di restituire dignità all’immagine della Germania, permettendo così a migliaia di cittadini di dar prova di una solidarietà straordinaria.
Ma ha sottovalutato sia le dimensioni effettive dei flussi che avrebbero investito il paese, sia le resistenze degli altri partner europei: la decisione sulle «quote» di profughi è stata rimandata sine die; le frontiere interne tornano a chiudersi in barba a Schengen, scaricando tutto il peso su Italia e Grecia, che dovrebbero invece farsi carico fin da subito delle richieste di asilo e dei respingimenti. E mentre il governo ungherese imperversa impunito con le barriere di filo spinato e arrestando centinaia di profughi che cercano solo di attraversare il paese, l’Unione approva la «guerra agli scafisti», che è una guerra vera.
Una guerra fatta per respingere profughi e migranti nel deserto che hanno dovuto attraversare, dove sono stati rapinati e violati, e da cui cercheranno comunque di tornare a imbarcarsi per altre vie.
A questa bancarotta delle politiche europee – niente aveva finora diviso così profondamente gli Stati membri e anche il nesso tra «crisi dei profughi» e rating dei debiti sovrani non è sfuggito all’occhio vigile dell’alta finanza — occorre saper contrapporre un’alternativa praticabile. Quei profughi, aumenteranno comunque, perché guerre, dittature, miseria e ferocia che sono andati crescendo ai confini diretti e indiretti dell’Unione dureranno per anni, e si aggraveranno ogni volta che si cercherà di venirne a capo con altre guerre. Ma se la Germania ha forza e mezzi per sostenerne l’urto e ricavarne dei benefici di lungo termine, gli altri paesi dell’Unione no. Manca, per gli Stati più fragili, una politica europea di accoglienza, che vuol dire dare casa lavoro, formazione, reddito per milioni di profughi destinati a restare sul suolo europeo per anni, perché l’Unione, con le politiche di austerità da cui non deflette, non è più in grado di offrire quelle stesse cose a decine di milioni di suoi cittadini che ne sono stati privati dalla crisi, o ne sono privi da ancor prima. E certo non può dare ai nuovi arrivati ciò che non vuol dare a chi ne è privo da tempo.
Ma accogliere è indispensabile: quel flusso di profughi non si fermerà per quanti sforzi si facciano per trasformare l’Europa in fortezza: sia con le armi che con l’ipocrita distinzione tra profughi (da accogliere) e migranti (da respingere). Preliminare a ogni politica di accoglienza è l’istituzione di corridoi umanitari che evitino ai profughi di rischiare al vita e di consegnare agli scafisti di mare e di terra migliaia e migliaia di euro ciascuno. E’ ciò di cui non si vuole mai parlare. Ma accogliere significa poi inserire i nuovi arrivati nella società, e farli accettare a una comunità riducendo al massimo quel senso di un’intrusione che tante forze politiche alimentano per ricavarne un dividendo elettorale. Non è un’operazione solo economica, anche se trovar casa e lavoro ha dei costi molto alti, i cui ritorni, come sanno gli industriali tedeschi, sono rilevanti, arrivano solo nel tempo. Chi lo può fare? Non certo il «mercato», cioè il sistema produttivo così com’è oggi, specialmente al di fuori della Germania. Ma nemmeno gli apparati statali, perché è un’operazione delicata che ha bisogno, anche, di «calore umano»: un bene che la burocrazia non può elargire se non per caso.
Affrontare in modo burocratico questo compito è il modo migliore per far crescere la conflittualità sociale. Meno che mai lo si può lasciare, come si fa in Italia, alla spontaneità di un «privato», sociale e non, reclutato a casaccio, in modo clientelare o mafioso, da prefetture o amministrazioni comunali, che ha devastato immagine e reputazione del terzo settore. L’accoglienza, in questa accezione, è la missione specifica e insostituibile dell’economia sociale e solidale. Nessun’altra componente della società europea è in grado di abbinare, sulla base di esperienze consolidate, inserimento lavorativo e inserimento sociale con progetti mirati. Per questo occorre che insieme, e non in ordine sparso, le reti dell’economia sociale e solidale (SSE) dei paesi dell’Unione si candidino al ruolo di soggetto promotore e attuatore di quel programma pluriennale di accoglienza che è indispensabile per affrontare un compito di questa portata. Il 28 gennaio 2016, su iniziativa del gruppo parlamentare GUE/Ngl e di molte reti dei paesi dell’Unione, si terrà un Forum europeo dell’economia sociale e solidale (una riunione preparatoria si è già tenute il 3 settembre).
Sarà un’occasione, preparandola per tempo, per lanciare questa candidatura, che dovrà sostanziarsi fin da ora in progetti specifici, nazionali, territoriali e settoriali. Ma per farlo occorrono alcune condizioni preliminari:
1. Bisogna, soprattutto in Italia — ma la dimensione europea può aiutarci — ricostruire un’immagine decente del terzo settore, che oggi è in gran parte macchiata dalle vicende di Buzzi, Cara Mineo e Co. Le componenti sane del terzo settore devono denunciare senza remore gli episodi di malaffare, ma anche di clientelismo, di cui sono a conoscenza; a partire dai propri, che non mancano — quasi — mai. Essenziale è garantire un regime di trasparenza totale su tutte le attività.
2. Occorre mettere a punto in tempi rapidi i principi generali e gli strumenti attuativi di un piano europeo di accoglienza e inserimento sociale e lavorativo dei nuovi arrivi con standard condivisi da tutti i paesi.
3. Occorre individuare i settori in cui dovrà operare questo piano che, per le sue finalità di integrazione sociale, dovrà riguardare in egual misura profughi, migranti e cittadini europei senza lavoro, senza casa o senza reddito.
4. Quei settori sono quelli portanti delle conversione ecologica che la COP 21 di Parigi dovrebbe mettere all’ordine del giorno a fine anno: energie rinnovabili ed efficienza energetica; agricoltura ecologica, soprattutto nelle terre oggetto di abbandono o degrado; salvaguardia degli assetti idrogeologici; recupero e ristrutturazione di edifici dismessi o non a norma (a partire da quelli in cui potranno essere ospitati migranti e senzatetto); gestione e recupero di scarti e rifiuti; servizi alla persona. 4. Il piano dovrà essere accompagnato da una stima generale dei costi.
Che non sono solo quelli degli investimenti produttivi per «mettere al lavoro» milioni di persone, ma anche quelli relativi a tutti gli altri aspetti del loro inserimento. L’economia sociale e solidale non deve più essere un modo, come spesso accade, soprattutto in Italia, per risparmiare sui costi del lavoro. Deve mirare, al contrario, ad incorporarere molti altri oneri di carattere sociale.
Ovviamente non ci si può aspettare che l’Unione o qualche suo Stato membro risponda positivamente a questa proposta domani; ma è importante che essa venga sottoposta a un pubblico confronto perché è l’unica in grado di affrontare in modo adeguato i problemi posti dai nuovi flussi di profughi. E l’«opinione pubblica» oggi è in gran parte con noi.
Il corridoio della solidarietà
Il flusso di profughi non si fermerà di fronte all’Europa trasformata in fortezza con le armi e con l’ipocrita distinzione tra profughi (da accogliere) e migranti (da respingere)
di Guido Viale
Lo sgambetto con cui la cronista ungherese Petra Laszlo ha buttato a terra un profugo siriano che portava il proprio figlio in salvo da una guerra mai dichiarata è un’immagine plastica del cinismo e della crudeltà che domina le politiche dell’Unione Europea e traduce a livello individuale la brutalità con cui i suoi governanti hanno cercato di interrompere la corsa del governo Tsipras per portare in salvo il popolo greco da un disastro di cui non porta alcuna responsabilità. Un accostamento non casuale: l’Unione Europea non sarà mai in grado di accogliere milioni di profughi fino a che negherà diritti e imporrà solo doveri ai popoli dei suoi stati periferici. Quel padre poi si è rialzato e ha continuato la sua corsa, mentre non sappiamo ancora se Tsipras riuscirà a fare altrettanto.
In entrambi i casi, accanto a cinismo e crudeltà, balza evidente l’impotenza dell’Europa, che non ha soluzioni di lungo termine per sottrarre la Grecia e gli altri paesi troppo indebitati al disastro finanziario, ma anche sociale e ambientale, a cui li condannano le sue politiche; ma non ha nemmeno idea di come affrontare lo «tsunami» di profughi che la sta investendo e che rischia di portarla alla dissoluzione. Con le sue promesse Angela Merkel ha cercato di restituire dignità all’immagine della Germania, permettendo così a migliaia di cittadini di dar prova di una solidarietà straordinaria.
Ma ha sottovalutato sia le dimensioni effettive dei flussi che avrebbero investito il paese, sia le resistenze degli altri partner europei: la decisione sulle «quote» di profughi è stata rimandata sine die; le frontiere interne tornano a chiudersi in barba a Schengen, scaricando tutto il peso su Italia e Grecia, che dovrebbero invece farsi carico fin da subito delle richieste di asilo e dei respingimenti. E mentre il governo ungherese imperversa impunito con le barriere di filo spinato e arrestando centinaia di profughi che cercano solo di attraversare il paese, l’Unione approva la «guerra agli scafisti», che è una guerra vera.
Una guerra fatta per respingere profughi e migranti nel deserto che hanno dovuto attraversare, dove sono stati rapinati e violati, e da cui cercheranno comunque di tornare a imbarcarsi per altre vie.
A questa bancarotta delle politiche europee – niente aveva finora diviso così profondamente gli Stati membri e anche il nesso tra «crisi dei profughi» e rating dei debiti sovrani non è sfuggito all’occhio vigile dell’alta finanza — occorre saper contrapporre un’alternativa praticabile. Quei profughi, aumenteranno comunque, perché guerre, dittature, miseria e ferocia che sono andati crescendo ai confini diretti e indiretti dell’Unione dureranno per anni, e si aggraveranno ogni volta che si cercherà di venirne a capo con altre guerre. Ma se la Germania ha forza e mezzi per sostenerne l’urto e ricavarne dei benefici di lungo termine, gli altri paesi dell’Unione no. Manca, per gli Stati più fragili, una politica europea di accoglienza, che vuol dire dare casa lavoro, formazione, reddito per milioni di profughi destinati a restare sul suolo europeo per anni, perché l’Unione, con le politiche di austerità da cui non deflette, non è più in grado di offrire quelle stesse cose a decine di milioni di suoi cittadini che ne sono stati privati dalla crisi, o ne sono privi da ancor prima. E certo non può dare ai nuovi arrivati ciò che non vuol dare a chi ne è privo da tempo.
Ma accogliere è indispensabile: quel flusso di profughi non si fermerà per quanti sforzi si facciano per trasformare l’Europa in fortezza: sia con le armi che con l’ipocrita distinzione tra profughi (da accogliere) e migranti (da respingere). Preliminare a ogni politica di accoglienza è l’istituzione di corridoi umanitari che evitino ai profughi di rischiare al vita e di consegnare agli scafisti di mare e di terra migliaia e migliaia di euro ciascuno. E’ ciò di cui non si vuole mai parlare. Ma accogliere significa poi inserire i nuovi arrivati nella società, e farli accettare a una comunità riducendo al massimo quel senso di un’intrusione che tante forze politiche alimentano per ricavarne un dividendo elettorale. Non è un’operazione solo economica, anche se trovar casa e lavoro ha dei costi molto alti, i cui ritorni, come sanno gli industriali tedeschi, sono rilevanti, arrivano solo nel tempo. Chi lo può fare? Non certo il «mercato», cioè il sistema produttivo così com’è oggi, specialmente al di fuori della Germania. Ma nemmeno gli apparati statali, perché è un’operazione delicata che ha bisogno, anche, di «calore umano»: un bene che la burocrazia non può elargire se non per caso.
Affrontare in modo burocratico questo compito è il modo migliore per far crescere la conflittualità sociale. Meno che mai lo si può lasciare, come si fa in Italia, alla spontaneità di un «privato», sociale e non, reclutato a casaccio, in modo clientelare o mafioso, da prefetture o amministrazioni comunali, che ha devastato immagine e reputazione del terzo settore. L’accoglienza, in questa accezione, è la missione specifica e insostituibile dell’economia sociale e solidale. Nessun’altra componente della società europea è in grado di abbinare, sulla base di esperienze consolidate, inserimento lavorativo e inserimento sociale con progetti mirati. Per questo occorre che insieme, e non in ordine sparso, le reti dell’economia sociale e solidale (SSE) dei paesi dell’Unione si candidino al ruolo di soggetto promotore e attuatore di quel programma pluriennale di accoglienza che è indispensabile per affrontare un compito di questa portata. Il 28 gennaio 2016, su iniziativa del gruppo parlamentare GUE/Ngl e di molte reti dei paesi dell’Unione, si terrà un Forum europeo dell’economia sociale e solidale (una riunione preparatoria si è già tenute il 3 settembre).
Sarà un’occasione, preparandola per tempo, per lanciare questa candidatura, che dovrà sostanziarsi fin da ora in progetti specifici, nazionali, territoriali e settoriali. Ma per farlo occorrono alcune condizioni preliminari:
1. Bisogna, soprattutto in Italia — ma la dimensione europea può aiutarci — ricostruire un’immagine decente del terzo settore, che oggi è in gran parte macchiata dalle vicende di Buzzi, Cara Mineo e Co. Le componenti sane del terzo settore devono denunciare senza remore gli episodi di malaffare, ma anche di clientelismo, di cui sono a conoscenza; a partire dai propri, che non mancano — quasi — mai. Essenziale è garantire un regime di trasparenza totale su tutte le attività.
2. Occorre mettere a punto in tempi rapidi i principi generali e gli strumenti attuativi di un piano europeo di accoglienza e inserimento sociale e lavorativo dei nuovi arrivi con standard condivisi da tutti i paesi.
3. Occorre individuare i settori in cui dovrà operare questo piano che, per le sue finalità di integrazione sociale, dovrà riguardare in egual misura profughi, migranti e cittadini europei senza lavoro, senza casa o senza reddito.
4. Quei settori sono quelli portanti delle conversione ecologica che la COP 21 di Parigi dovrebbe mettere all’ordine del giorno a fine anno: energie rinnovabili ed efficienza energetica; agricoltura ecologica, soprattutto nelle terre oggetto di abbandono o degrado; salvaguardia degli assetti idrogeologici; recupero e ristrutturazione di edifici dismessi o non a norma (a partire da quelli in cui potranno essere ospitati migranti e senzatetto); gestione e recupero di scarti e rifiuti; servizi alla persona. 4. Il piano dovrà essere accompagnato da una stima generale dei costi.
Che non sono solo quelli degli investimenti produttivi per «mettere al lavoro» milioni di persone, ma anche quelli relativi a tutti gli altri aspetti del loro inserimento. L’economia sociale e solidale non deve più essere un modo, come spesso accade, soprattutto in Italia, per risparmiare sui costi del lavoro. Deve mirare, al contrario, ad incorporarere molti altri oneri di carattere sociale.
Ovviamente non ci si può aspettare che l’Unione o qualche suo Stato membro risponda positivamente a questa proposta domani; ma è importante che essa venga sottoposta a un pubblico confronto perché è l’unica in grado di affrontare in modo adeguato i problemi posti dai nuovi flussi di profughi. E l’«opinione pubblica» oggi è in gran parte con noi.
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
Repubblica 16.9.15
Gli infetti
Nel giro di un’estate gli europei hanno assestato alla loro presunta casa comune una sequenza di colpi micidiali
di Lucio Caracciolo
Nel giro di un’estate gli europei hanno assestato alla loro presunta casa comune una sequenza di colpi micidiali.
PRIMA con la crisi greca, quando ci siamo divisi lungo la faglia Nord-Sud, ovvero “formiche” contro “cicale”, spingendoci a evocare per la prima volta l’espulsione di un inquilino per morosità.
Poi, medicata ma non curata tanta ferita, ecco lo tsunami dei migranti.
Stavolta la partizione distingue, zigzagando, l’Est dall’Ovest, ossia alcuni paesi in paranoia xenofoba da altri che cercano di non farsene contagiare, aggrappandosi ai valori fondativi della moderna civiltà europea.
I muri portanti dell’architettura comunitaria si stanno sbriciolando.
Al loro posto proliferano arcigni tramezzi o loro surrogati in lamiera e filo spinato.
A disegnare sinistre enclave protette, che si vorrebbero impenetrabili ai migranti d’ogni sorta, profughi inclusi. Neanche fossero portatori d’infezione culturale.
Forse però gli infetti siamo noi.
Come possiamo considerarci associati in una comunità di destino con un paese come l’Ungheria, che nel 1956, invasa dai carri sovietici, suscitò in Europa occidentale (Italia compresa) una gara di solidarietà con i suoi profughi, e che oggi si trincera dietro un muro, dichiara criminali coloro che vorrebbero passarlo e mobilita polizia ed esercito contro chi s’azzarda a bucarlo?
Quando nel 2000 i “liberali” austriaci di Jorg Haider furono ammessi al governo dell’Austria, gli altri quattordici Stati membri (l’Ungheria e gli altri ex satelliti di Mosca erano ancora in lista d’attesa) imposero blande sanzioni politiche a Vienna.
Oggi a Budapest domina, legittimato dal voto popolare, un carismatico leader xenofobo, Viktor Orbán, appetto del quale Haider si staglia campione di tolleranza. Per Orbán i migranti sono animali pericolosi e per tali vanno trattati.
Esasperati, i tedeschi minacciano di colpire l’Ungheria e gli altri paesi che equiparano i migranti ai criminali con sanzioni economiche, tagliando i fondi strutturali loro dedicati.
È notevole che, nel penoso annaspare della Commissione e nella decadenza della Francia, Berlino si muova per conto del resto d’Europa, avendo constatato che persino i vertici intergovernativi non servono più a nulla, se non a riconoscersi diversi.
Certo non è con le multe, per quanto onerose, che si può spaventare chi si considera in lotta per la sopravvivenza contro un’invasione nemica.
L’unica coerente misura sarebbe di separarci con un taglio netto da chi viola apertamente e ripetutamente le regole di base della convivenza umana, prima che lettera e spirito dei trattati europei.
Se questa è la sua Europa, se la tenga.
Sulla questione migratoria sta riaffiorando un antico spartiacque geoculturale che la retorica europeista voleva sepolto.
Al Centro-Est del continente, tra Balcani e Baltico, persiste una radicata concezione etnica dello Stato: l’Ungheria è degli ungheresi (naturalmente anche di quelli in provvisoria diaspora, specie fra Slovacchia, Serbia e Ucraina), la Slovacchia degli slovacchi, la Romania dei romeni (inclusi quelli di Moldavia) eccetera.
All’Ovest resiste a stento l’idea di cittadinanza, che fonda la nazione su valori e regole condivise al di là del sangue.
Modello inaugurato dalla Francia rivoluzionaria, che oggi trova nella Germania multietnica l’esempio migliore.
Geograficamente siamo tutti europei.
Culturalmente e politicamente apparteniamo a continenti diversi.
Ancora per poco, forse.
Da questo sabba xenofobo potremmo essere travolti anche noi euroccidentali, italiani non esclusi.
Il mito della comunità monoetnica, votata a proteggersi dalle impure razze che bussano alle porte, ha rivelato nella storia la sua potenza di fascinazione.
Partita nel 1957 come Europa occidentale, avanguardia veterocontinentale dello schieramento atlantico, questa Unione Europea può scadere nel suo perfetto opposto: un caotico subbuglio di nazionalismi etnici.
Arcipelago di reciproci apartheid.
Ciascuno arroccato dietro le sue fortificazioni.
Con le eurocrazie elitiste a salmodiare nei palazzi blu di Bruxelles e Strasburgo, mimando riti cui esse stesse hanno rinunciato a credere.
Nelle emergenze storiche le democrazie europee hanno saputo talvolta ispirarsi a leader decisi a difenderle.
Vorremmo sbagliarci, ma oggi non ne vediamo traccia.
Gli infetti
Nel giro di un’estate gli europei hanno assestato alla loro presunta casa comune una sequenza di colpi micidiali
di Lucio Caracciolo
Nel giro di un’estate gli europei hanno assestato alla loro presunta casa comune una sequenza di colpi micidiali.
PRIMA con la crisi greca, quando ci siamo divisi lungo la faglia Nord-Sud, ovvero “formiche” contro “cicale”, spingendoci a evocare per la prima volta l’espulsione di un inquilino per morosità.
Poi, medicata ma non curata tanta ferita, ecco lo tsunami dei migranti.
Stavolta la partizione distingue, zigzagando, l’Est dall’Ovest, ossia alcuni paesi in paranoia xenofoba da altri che cercano di non farsene contagiare, aggrappandosi ai valori fondativi della moderna civiltà europea.
I muri portanti dell’architettura comunitaria si stanno sbriciolando.
Al loro posto proliferano arcigni tramezzi o loro surrogati in lamiera e filo spinato.
A disegnare sinistre enclave protette, che si vorrebbero impenetrabili ai migranti d’ogni sorta, profughi inclusi. Neanche fossero portatori d’infezione culturale.
Forse però gli infetti siamo noi.
Come possiamo considerarci associati in una comunità di destino con un paese come l’Ungheria, che nel 1956, invasa dai carri sovietici, suscitò in Europa occidentale (Italia compresa) una gara di solidarietà con i suoi profughi, e che oggi si trincera dietro un muro, dichiara criminali coloro che vorrebbero passarlo e mobilita polizia ed esercito contro chi s’azzarda a bucarlo?
Quando nel 2000 i “liberali” austriaci di Jorg Haider furono ammessi al governo dell’Austria, gli altri quattordici Stati membri (l’Ungheria e gli altri ex satelliti di Mosca erano ancora in lista d’attesa) imposero blande sanzioni politiche a Vienna.
Oggi a Budapest domina, legittimato dal voto popolare, un carismatico leader xenofobo, Viktor Orbán, appetto del quale Haider si staglia campione di tolleranza. Per Orbán i migranti sono animali pericolosi e per tali vanno trattati.
Esasperati, i tedeschi minacciano di colpire l’Ungheria e gli altri paesi che equiparano i migranti ai criminali con sanzioni economiche, tagliando i fondi strutturali loro dedicati.
È notevole che, nel penoso annaspare della Commissione e nella decadenza della Francia, Berlino si muova per conto del resto d’Europa, avendo constatato che persino i vertici intergovernativi non servono più a nulla, se non a riconoscersi diversi.
Certo non è con le multe, per quanto onerose, che si può spaventare chi si considera in lotta per la sopravvivenza contro un’invasione nemica.
L’unica coerente misura sarebbe di separarci con un taglio netto da chi viola apertamente e ripetutamente le regole di base della convivenza umana, prima che lettera e spirito dei trattati europei.
Se questa è la sua Europa, se la tenga.
Sulla questione migratoria sta riaffiorando un antico spartiacque geoculturale che la retorica europeista voleva sepolto.
Al Centro-Est del continente, tra Balcani e Baltico, persiste una radicata concezione etnica dello Stato: l’Ungheria è degli ungheresi (naturalmente anche di quelli in provvisoria diaspora, specie fra Slovacchia, Serbia e Ucraina), la Slovacchia degli slovacchi, la Romania dei romeni (inclusi quelli di Moldavia) eccetera.
All’Ovest resiste a stento l’idea di cittadinanza, che fonda la nazione su valori e regole condivise al di là del sangue.
Modello inaugurato dalla Francia rivoluzionaria, che oggi trova nella Germania multietnica l’esempio migliore.
Geograficamente siamo tutti europei.
Culturalmente e politicamente apparteniamo a continenti diversi.
Ancora per poco, forse.
Da questo sabba xenofobo potremmo essere travolti anche noi euroccidentali, italiani non esclusi.
Il mito della comunità monoetnica, votata a proteggersi dalle impure razze che bussano alle porte, ha rivelato nella storia la sua potenza di fascinazione.
Partita nel 1957 come Europa occidentale, avanguardia veterocontinentale dello schieramento atlantico, questa Unione Europea può scadere nel suo perfetto opposto: un caotico subbuglio di nazionalismi etnici.
Arcipelago di reciproci apartheid.
Ciascuno arroccato dietro le sue fortificazioni.
Con le eurocrazie elitiste a salmodiare nei palazzi blu di Bruxelles e Strasburgo, mimando riti cui esse stesse hanno rinunciato a credere.
Nelle emergenze storiche le democrazie europee hanno saputo talvolta ispirarsi a leader decisi a difenderle.
Vorremmo sbagliarci, ma oggi non ne vediamo traccia.
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
I PROBLEMI NON RISOLTI DI SANT'ANGELA DEI MIRACOLI
Paura alla stazione di Rotterdam: arrestato sospetto terrorista
Un uomo si barrica nella toilette facendo scattare l'allarme. Il blitz delle teste di cuoio, poi l'arresto. Torna la paura su linea Amsterdam-Parigi dopo l'attentato del 21 agosto
Sergio Rame - Ven, 18/09/2015 - 10:54
Torna l'allarme terrorismo nel cuore dell'Europa. Nella stazione di Rotterdam è stato evacuato un treno ad alta velocità Amsterdam-Parigi.
Un uomo, salito all’ultimo momento sul Thalys, si è barricato bagno facendo così scattare l’allarme. E, dopo l'intervento di un negoziatore dei reparti speciali, è stato arrestato. La mente degli olandesi corre all'attentato terrorista fallito sul treno, sempre lungo la linea Amsterdam-Parigi, dello scorso 21 agosto, quando un giovane marocchino di 25 anni, armato di Kalashnikov e altre armi venne immobilizzato da alcuni passeggeri, tra cui alcuni marines, prima che potesse aprire il fuoco.
L'allarme è scattato quando un testimone ha visto il sospetto salire sul treno imbracciando una bomba. Immediatamente si è diffuso il panico in stazione. Il treno è stato così bloccato e tutti i passeggeri messi al sicuro. Solo allora sono intervenute le teste di cuoio per arrestare il sospetto. L'ipotesi principale è che si possa trattare di terrorismo, ma il portavoce della polizia locale ha detto che "potrebbe essere qualcuno senza biglietto o un soggetto in stato confusionale".
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/rot ... 72482.html
Paura alla stazione di Rotterdam: arrestato sospetto terrorista
Un uomo si barrica nella toilette facendo scattare l'allarme. Il blitz delle teste di cuoio, poi l'arresto. Torna la paura su linea Amsterdam-Parigi dopo l'attentato del 21 agosto
Sergio Rame - Ven, 18/09/2015 - 10:54
Torna l'allarme terrorismo nel cuore dell'Europa. Nella stazione di Rotterdam è stato evacuato un treno ad alta velocità Amsterdam-Parigi.
Un uomo, salito all’ultimo momento sul Thalys, si è barricato bagno facendo così scattare l’allarme. E, dopo l'intervento di un negoziatore dei reparti speciali, è stato arrestato. La mente degli olandesi corre all'attentato terrorista fallito sul treno, sempre lungo la linea Amsterdam-Parigi, dello scorso 21 agosto, quando un giovane marocchino di 25 anni, armato di Kalashnikov e altre armi venne immobilizzato da alcuni passeggeri, tra cui alcuni marines, prima che potesse aprire il fuoco.
L'allarme è scattato quando un testimone ha visto il sospetto salire sul treno imbracciando una bomba. Immediatamente si è diffuso il panico in stazione. Il treno è stato così bloccato e tutti i passeggeri messi al sicuro. Solo allora sono intervenute le teste di cuoio per arrestare il sospetto. L'ipotesi principale è che si possa trattare di terrorismo, ma il portavoce della polizia locale ha detto che "potrebbe essere qualcuno senza biglietto o un soggetto in stato confusionale".
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/rot ... 72482.html
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
I PROBLEMI NON RISOLTI DI SANT'ANGELA DEI MIRACOLI
Berlino, la polizia ha ucciso un terrorista islamico: “Stava accoltellando un agente”
Mondo
L'uomo, un quarantunenne di origine irachena era stato condannato nel 2008 a otto anni di carcere per aver preso parte alla pianificazione di un attentato (poi sventato) ai danni dell'allora presidente iracheno Allawi
di F. Q. | 17 settembre 2015
La polizia tedesca ha ucciso un terrorista islamico a Berlino. Si tratta di un uomo di 41 anni, Rafik Y., di origine irachena, che ha assalito una poliziotta con un coltello. Come riporta la stampa tedesca, il Procuratore capo Dirk Feuerberg ha confermato in una conferenza stampa che: “l’uomo ucciso dalla polizia è un cittadino iracheno che nel 2008 è stato condannato a otto anni di carcere in quanto membro di un’organizzazione terroristica”. Avrebbe partecipato nel 2004 alla pianificazione di un attentato, che fu sventato, contro l’allora presidente dell’Iraq Iyad Allawi durante una visita in Germania. L’uomo stava scontando la parte conclusiva della pena e, dopo la scarcerazione (2013), veniva controllato con un braccialetto elettronico che aveva rimosso stamattina prima di compiere il suo gesto.
Poco prima delle 10, il centralino della polizia di Berlino è stato tempestato di chiamate da parte di cittadini allarmati che riferivano di un “pazzo armato di coltello” che si aggirava per la strada. Quando la prima auto delle forze dell’ordine è arrivata sul posto l’uomo si è avventato sulla poliziotta, ferendola. Il collega – fresco di addestramento – ha estratto l’arma di ordinanza e ha sparato alcuni colpi verso Rafik Y.
L’agente è stata trasportata d’urgenza all’ospedale militare, dove è stata operata ed ora è fuori pericolo. Anche l’assalitore è stato soccorso, ma è morto durante il trasporto verso l’ospedale.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09 ... o/2044745/
Berlino, la polizia ha ucciso un terrorista islamico: “Stava accoltellando un agente”
Mondo
L'uomo, un quarantunenne di origine irachena era stato condannato nel 2008 a otto anni di carcere per aver preso parte alla pianificazione di un attentato (poi sventato) ai danni dell'allora presidente iracheno Allawi
di F. Q. | 17 settembre 2015
La polizia tedesca ha ucciso un terrorista islamico a Berlino. Si tratta di un uomo di 41 anni, Rafik Y., di origine irachena, che ha assalito una poliziotta con un coltello. Come riporta la stampa tedesca, il Procuratore capo Dirk Feuerberg ha confermato in una conferenza stampa che: “l’uomo ucciso dalla polizia è un cittadino iracheno che nel 2008 è stato condannato a otto anni di carcere in quanto membro di un’organizzazione terroristica”. Avrebbe partecipato nel 2004 alla pianificazione di un attentato, che fu sventato, contro l’allora presidente dell’Iraq Iyad Allawi durante una visita in Germania. L’uomo stava scontando la parte conclusiva della pena e, dopo la scarcerazione (2013), veniva controllato con un braccialetto elettronico che aveva rimosso stamattina prima di compiere il suo gesto.
Poco prima delle 10, il centralino della polizia di Berlino è stato tempestato di chiamate da parte di cittadini allarmati che riferivano di un “pazzo armato di coltello” che si aggirava per la strada. Quando la prima auto delle forze dell’ordine è arrivata sul posto l’uomo si è avventato sulla poliziotta, ferendola. Il collega – fresco di addestramento – ha estratto l’arma di ordinanza e ha sparato alcuni colpi verso Rafik Y.
L’agente è stata trasportata d’urgenza all’ospedale militare, dove è stata operata ed ora è fuori pericolo. Anche l’assalitore è stato soccorso, ma è morto durante il trasporto verso l’ospedale.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09 ... o/2044745/
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Re: Immigrazione-La piaga del nuovo millennio.Quale soluzion
LA TERZA GUERRA MONDIALE AI PROFUGHI
(Furio Colombo)
20/09/2015 di triskel182
Ecco, dopo molti summit e molte discussioni,è stato deciso che il nemico sono coloro che fuggono in cerca di salvezza, commettendo l’errore di portare in salvo anche donne e bambini.
Sono il nemico da umiliare, aggredire, recintare, respingere,prendere a calci, privare di cibo, di acqua e di sonno, vietando, multando, imprigionando qualunque tentativo di accoglienza.
Non sappiamo in quale maledetta gara di repulsione dello straniero sia nato il grido “prima gli ungheresi”, “prima gli italiani”, “prima gli slovacchi” (che per sicurezza scrivono i numeri sui polsi dei rifugiati, compresi i piccoli) .
CHE ORRENDO mondo è quello in cui un altro, per principio,viene prima di te, anche se tu e il tuo bambino state morendo?
È risorto il culto del sacro e inviolabile confine della patria, e delle eroiche storie della Prima guerra mondiale,dove si moriva a decine di migliaia dopo mesi di fango per “mantenere le posizioni”.
Eppure c’era, una volta, il “Manifesto di Ventotene” che nel mezzo dell’ultimo spaventoso massacro, la Seconda guerra mondiale, ha invocato una patria delle patrie, detta Europa, con l’unico scopo di dare con certezza diritti umani e civili a tutti, e dove viene prima il diritto.
C’era un piccolo partito, i Radicali, che trent’anni fa ossessionava tutti con la questione della fame nel mondo (ottenendo un po’ di comprensione e molta presa in giro) e adesso (adesso che sono saltati i ponti) c’è chi ha il coraggio di fingere di non sapere e grida, bugiardo: “Non qui, non qui, bisogna aiutarli casa loro”.
Per capire che siamo in guerra (l’annuncio è stato dato da Petra Lazlo, dai suoi liberi e impuniti calci per far cadere a terra i bambini in fuga) dobbiamo sapere che nel Paese Ungheria (Unione Europea) uno straniero acciuffato mentre compie il misfatto (di essere straniero) è condannato a cinque anni di carcere,come una spia o un attentatore.
I muri di filo spinato alti quattro metri sorgono dovunque, Stato dopo Stato, in piena Europa dopo Spinelli, Rossi, Colorni, e senza alcun dissenso europeo, con l’eccezione di un unico leader, Angela Merkel, che sa di sé, sa del suo popolo e della sua storia e di quando non era Europa, e ha il coraggio di governare.
TUTTI GLI ALTRI condividono: la causa di tutto sono i migranti, colpevoli di essere irriducibili nel loro desiderio di scampare alla morte, di salvare i bambini, e di essere troppi.
E se la causa di tutto sono i migranti, bisogna colpire i migranti.
Alcuni leader sono chiari,violenti, fascisti, come prima di Ventotene, come Orbán, Salvini, gli slovacchi dei numeri sulle braccia degli intrusi,i francesi di Calais e di Ventimiglia ,i gendarmi di Cameron.
Altri sono più ipocriti (gli italiani nel governo italiano e gli italiani nel governo europeo) e si lasciano sfuggire a mezza bocca che “nel Mediterraneo, non temete, ci sarà una fase due”, che vuol dire finalmente sparare.
Intanto abbiamo l’offesa ai più elementari sentimenti umani con la legge regionale Maroni.
Vuol dire che in Lombardia saranno puniti gli albergatori che accolgono chi non è di pura razza italiana, un reato aggravato dalla solidarietà se lo fanno gratuitamente.
È come una legge che obblighi ad esporre al diluvio e ai torrenti straripati le vittime di un nubifragio.
Mentre Maroni era impegnato a fare entrare nella storia di questa guerra la Lombardia, si è fatto avanti Squinzi, presidente degli imprenditori italiani (quelli che restano, dopo il non notato trasferimento all’estero della Fiat e di tutto il suo indotto).
Alludendo a possibili nuovi posti di lavoro, dell eventuale "ripresa", ha detto "prima gli italiani" , facendo arretrare di decenni la civiltà di un Paese.
e fingendo di non sapere che questo slogan (per giunta rubato a Salvini e Giorgia Meloni) avrebbe condannato a morte o impedito di nascere di nascere in America a 25 milioni di americani di origine italiana.
Forse questo illuminato uomo di Confindustria che non si é accordo della fuga della Fiat, ma sobbalza se nella fabbrica vuota entra un profugo, dovrebbe scrivere numeri indelebili sul polso dei lavoratori italiani che hanno diritto di prelazione, in modo che nessun straniero possa fare il furbo ed entrare in fabbrica al posto di uno di loro.
I lavoratori stranieri, infatti, sono nototiamente un rischio perché con il loro lavoro poterbbero contribuire le pensioni dei vecchi italiani.
E magari vorrebbero l'Europa di Ventotene al posto di quella di Petra Lazlo.
(Furio Colombo)
20/09/2015 di triskel182
Ecco, dopo molti summit e molte discussioni,è stato deciso che il nemico sono coloro che fuggono in cerca di salvezza, commettendo l’errore di portare in salvo anche donne e bambini.
Sono il nemico da umiliare, aggredire, recintare, respingere,prendere a calci, privare di cibo, di acqua e di sonno, vietando, multando, imprigionando qualunque tentativo di accoglienza.
Non sappiamo in quale maledetta gara di repulsione dello straniero sia nato il grido “prima gli ungheresi”, “prima gli italiani”, “prima gli slovacchi” (che per sicurezza scrivono i numeri sui polsi dei rifugiati, compresi i piccoli) .
CHE ORRENDO mondo è quello in cui un altro, per principio,viene prima di te, anche se tu e il tuo bambino state morendo?
È risorto il culto del sacro e inviolabile confine della patria, e delle eroiche storie della Prima guerra mondiale,dove si moriva a decine di migliaia dopo mesi di fango per “mantenere le posizioni”.
Eppure c’era, una volta, il “Manifesto di Ventotene” che nel mezzo dell’ultimo spaventoso massacro, la Seconda guerra mondiale, ha invocato una patria delle patrie, detta Europa, con l’unico scopo di dare con certezza diritti umani e civili a tutti, e dove viene prima il diritto.
C’era un piccolo partito, i Radicali, che trent’anni fa ossessionava tutti con la questione della fame nel mondo (ottenendo un po’ di comprensione e molta presa in giro) e adesso (adesso che sono saltati i ponti) c’è chi ha il coraggio di fingere di non sapere e grida, bugiardo: “Non qui, non qui, bisogna aiutarli casa loro”.
Per capire che siamo in guerra (l’annuncio è stato dato da Petra Lazlo, dai suoi liberi e impuniti calci per far cadere a terra i bambini in fuga) dobbiamo sapere che nel Paese Ungheria (Unione Europea) uno straniero acciuffato mentre compie il misfatto (di essere straniero) è condannato a cinque anni di carcere,come una spia o un attentatore.
I muri di filo spinato alti quattro metri sorgono dovunque, Stato dopo Stato, in piena Europa dopo Spinelli, Rossi, Colorni, e senza alcun dissenso europeo, con l’eccezione di un unico leader, Angela Merkel, che sa di sé, sa del suo popolo e della sua storia e di quando non era Europa, e ha il coraggio di governare.
TUTTI GLI ALTRI condividono: la causa di tutto sono i migranti, colpevoli di essere irriducibili nel loro desiderio di scampare alla morte, di salvare i bambini, e di essere troppi.
E se la causa di tutto sono i migranti, bisogna colpire i migranti.
Alcuni leader sono chiari,violenti, fascisti, come prima di Ventotene, come Orbán, Salvini, gli slovacchi dei numeri sulle braccia degli intrusi,i francesi di Calais e di Ventimiglia ,i gendarmi di Cameron.
Altri sono più ipocriti (gli italiani nel governo italiano e gli italiani nel governo europeo) e si lasciano sfuggire a mezza bocca che “nel Mediterraneo, non temete, ci sarà una fase due”, che vuol dire finalmente sparare.
Intanto abbiamo l’offesa ai più elementari sentimenti umani con la legge regionale Maroni.
Vuol dire che in Lombardia saranno puniti gli albergatori che accolgono chi non è di pura razza italiana, un reato aggravato dalla solidarietà se lo fanno gratuitamente.
È come una legge che obblighi ad esporre al diluvio e ai torrenti straripati le vittime di un nubifragio.
Mentre Maroni era impegnato a fare entrare nella storia di questa guerra la Lombardia, si è fatto avanti Squinzi, presidente degli imprenditori italiani (quelli che restano, dopo il non notato trasferimento all’estero della Fiat e di tutto il suo indotto).
Alludendo a possibili nuovi posti di lavoro, dell eventuale "ripresa", ha detto "prima gli italiani" , facendo arretrare di decenni la civiltà di un Paese.
e fingendo di non sapere che questo slogan (per giunta rubato a Salvini e Giorgia Meloni) avrebbe condannato a morte o impedito di nascere di nascere in America a 25 milioni di americani di origine italiana.
Forse questo illuminato uomo di Confindustria che non si é accordo della fuga della Fiat, ma sobbalza se nella fabbrica vuota entra un profugo, dovrebbe scrivere numeri indelebili sul polso dei lavoratori italiani che hanno diritto di prelazione, in modo che nessun straniero possa fare il furbo ed entrare in fabbrica al posto di uno di loro.
I lavoratori stranieri, infatti, sono nototiamente un rischio perché con il loro lavoro poterbbero contribuire le pensioni dei vecchi italiani.
E magari vorrebbero l'Europa di Ventotene al posto di quella di Petra Lazlo.
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