Siria oggi ne sappiamo piu di ieri.
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Siria oggi ne sappiamo piu di ieri.
Siria, Occidente rifiutò proposta di Mosca per l’uscita di scena di Assad.
Mosca aveva proposto una soluzione di pace in Siria che prevedeva l’uscita di scena del presidente Bashar Assad, ma le potenze occidentali la ignorarono. A raccontarlo è stato l’ex presidente finlandese e premio Nobel per la Pace, Martti Ahtissari. «E’ stata un opportunità perduta nel 2012», ha detto in un’intervista al Guardian. Allora, si era nel febbraio 2012, il politico finlandese sondò i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu su una possibile soluzione per la guerra civile in Siria, su incarico di altri premi Nobel. L’ambasciatore russo presso l’Onu Vitaly Churkin gli disse che erano necessarie tre cose: non dare armi all’opposizione, avviare un dialogo fra Assad e l’opposizione, trovare un modo elegante perché Assad si facesse da parte. Ahtissari non ha dubbi sul contenuto della proposta, che fu confermata in un secondo incontro. E aggiunge che, essendo Churkin appena tornato da Mosca, era sicuramente sostenuto dal Cremlino. Il finlandese trasmise il messaggio ai rappresentanti di Usa, Francia e Gran Bretagna. Ma, ricostruisce, «non accadde nulla perché penso fossero convinti, come molti altri, che Assad sarebbe stato rovesciato in poche settimane». Churkin non ha voluto commentare quelle che ha definito «conversazioni private» con Athissari. Fonti diplomatiche occidentali mettono intanto in dubbio la disponibilità di Mosca ad abbandonare l’alleato Assad. Sir John Jenkins, all’epoca direttore del dipartimento Medio Oriente del Foreign Office britannico, sottolinea che la Russia si è finora sempre opposta alle dimissioni di Assad ed esprime il dubbio che Churkin parlasse a nome di Mosca. Nel frattempo Vladimir Putin difende la sua strategia di sostegno al regime di Bashar al Assad, replicando alle accuse degli Stati Uniti di un dispiegamento di uomini e mezzi nel nord della Siria, in particolare nella roccaforte di Latakia. «Noi appoggiamo il governo siriano nella sua lotta contro l’aggressione terroristica - ha detto il presidente russo, parlando a Dushanbe, in occasione di una riunione dell’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva, che comprende, oltre alla Russia, cinque ex repubbliche sovietiche - Noi gli abbiamo proposto e continueremo a offrirgli un aiuto militare tecnico». «La priorità, oggi - ha continuato Putin - è la necessaria unione delle forze contro il terrorismo. Senza di questa è impossibile risolvere altri problemi urgenti, come quello dei migranti». L’argomentazione alla base della strategia di Mosca è che, «se la Russia non sostenesse la Siria - ha sottolineato ancora - la situazione in questo Paese sarebbe peggiore che in Libia ed i flussi di rifugiati sarebbero ancora più importanti. I jihadisti secondo Putin «stanno controllando vasti territori in Iraq e Siria. I terroristi hanno dichiarato le loro aspirazioni su La Mecca, Medina e Gerusalemme». La notizia della presenza di soldati russi sul terreno in Siria è «una bugia» diffusa «dai Paesi occidentali, dagli Stati Uniti». È quanto afferma l’ambasciatore siriano a Mosca, Riad Haddad, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Itar Tass. Tuttavia l’intelligence americana ha pubblicato le immagini satellitari della base militare russa in Siria. La società americana Stratfor, specializzata nell’attività di intelligence ha pubblicato alcuni immagini che, come sostengono gli autori, dimostrino che i russi stiano costruendo una base militare nell’aeroporto siriano di Latakia. Queste immagini sono stati acquisiti dalla Stratfor il 4 settembre. Nelle immagini si vede come la pista viene allargata per poter ricevere cargo militari pesanti e come vengono costruite due piste aggiuntive per gli elicotteri. Inoltre si può vedere una stazione per il controllo del traffico aereo e alcuni costruzioni che possono essere unità abitative temporanee, come sostiene il rapporto Stratfor. Anche la rivista Foreign Policy ha pubblicato immagini che confermano questa presenza.
© Fornito da Corriere della Sera
Ciao
Paolo11
Mosca aveva proposto una soluzione di pace in Siria che prevedeva l’uscita di scena del presidente Bashar Assad, ma le potenze occidentali la ignorarono. A raccontarlo è stato l’ex presidente finlandese e premio Nobel per la Pace, Martti Ahtissari. «E’ stata un opportunità perduta nel 2012», ha detto in un’intervista al Guardian. Allora, si era nel febbraio 2012, il politico finlandese sondò i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu su una possibile soluzione per la guerra civile in Siria, su incarico di altri premi Nobel. L’ambasciatore russo presso l’Onu Vitaly Churkin gli disse che erano necessarie tre cose: non dare armi all’opposizione, avviare un dialogo fra Assad e l’opposizione, trovare un modo elegante perché Assad si facesse da parte. Ahtissari non ha dubbi sul contenuto della proposta, che fu confermata in un secondo incontro. E aggiunge che, essendo Churkin appena tornato da Mosca, era sicuramente sostenuto dal Cremlino. Il finlandese trasmise il messaggio ai rappresentanti di Usa, Francia e Gran Bretagna. Ma, ricostruisce, «non accadde nulla perché penso fossero convinti, come molti altri, che Assad sarebbe stato rovesciato in poche settimane». Churkin non ha voluto commentare quelle che ha definito «conversazioni private» con Athissari. Fonti diplomatiche occidentali mettono intanto in dubbio la disponibilità di Mosca ad abbandonare l’alleato Assad. Sir John Jenkins, all’epoca direttore del dipartimento Medio Oriente del Foreign Office britannico, sottolinea che la Russia si è finora sempre opposta alle dimissioni di Assad ed esprime il dubbio che Churkin parlasse a nome di Mosca. Nel frattempo Vladimir Putin difende la sua strategia di sostegno al regime di Bashar al Assad, replicando alle accuse degli Stati Uniti di un dispiegamento di uomini e mezzi nel nord della Siria, in particolare nella roccaforte di Latakia. «Noi appoggiamo il governo siriano nella sua lotta contro l’aggressione terroristica - ha detto il presidente russo, parlando a Dushanbe, in occasione di una riunione dell’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva, che comprende, oltre alla Russia, cinque ex repubbliche sovietiche - Noi gli abbiamo proposto e continueremo a offrirgli un aiuto militare tecnico». «La priorità, oggi - ha continuato Putin - è la necessaria unione delle forze contro il terrorismo. Senza di questa è impossibile risolvere altri problemi urgenti, come quello dei migranti». L’argomentazione alla base della strategia di Mosca è che, «se la Russia non sostenesse la Siria - ha sottolineato ancora - la situazione in questo Paese sarebbe peggiore che in Libia ed i flussi di rifugiati sarebbero ancora più importanti. I jihadisti secondo Putin «stanno controllando vasti territori in Iraq e Siria. I terroristi hanno dichiarato le loro aspirazioni su La Mecca, Medina e Gerusalemme». La notizia della presenza di soldati russi sul terreno in Siria è «una bugia» diffusa «dai Paesi occidentali, dagli Stati Uniti». È quanto afferma l’ambasciatore siriano a Mosca, Riad Haddad, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Itar Tass. Tuttavia l’intelligence americana ha pubblicato le immagini satellitari della base militare russa in Siria. La società americana Stratfor, specializzata nell’attività di intelligence ha pubblicato alcuni immagini che, come sostengono gli autori, dimostrino che i russi stiano costruendo una base militare nell’aeroporto siriano di Latakia. Queste immagini sono stati acquisiti dalla Stratfor il 4 settembre. Nelle immagini si vede come la pista viene allargata per poter ricevere cargo militari pesanti e come vengono costruite due piste aggiuntive per gli elicotteri. Inoltre si può vedere una stazione per il controllo del traffico aereo e alcuni costruzioni che possono essere unità abitative temporanee, come sostiene il rapporto Stratfor. Anche la rivista Foreign Policy ha pubblicato immagini che confermano questa presenza.
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Paolo11
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Re: Siria oggi ne sappiamo piu di ieri.
La strategia russa è lineare e risponde alla logica di difendere le proprie posizioni. Certamente con il supporto russo la Siria è diventata un boccone troppo grosso anche per l'ISIS e gli occidentali ora non potranno più far finta di niente e lasciare il Califfo spadroneggiare nella zona e far vedere all'opinione pubblica che solo "Santa Madre Russia" difende il cristianesimo contro le orde musulmane.
Come in Ucraina dove oltre alla Crimea e alla Novorossija probabilmente i nazi-ucraini (che ormai litigano e si sparano fra di loro) perderanno anche il resto del Donbass, la strategia USA fa acqua da tutte le parti. possibile che in tutto il Pentagono non ci sia uno stratega capace di vedere un po' più in là del suo naso?
Gli analisti yankee sembrano un giocatore dilettante di scacchi che analizza al massimo 3/4 mosse contro un grande maestro che ne analizza 20 !!!
Vediamo ora che succede, le possibili scelte per gli USA sono tutte più o meno negative e anche i possibili attriti con Gerusalemme dopo l'accordo con Teheran potrebbero pesare non poco sulla bilancia.
Come in Ucraina dove oltre alla Crimea e alla Novorossija probabilmente i nazi-ucraini (che ormai litigano e si sparano fra di loro) perderanno anche il resto del Donbass, la strategia USA fa acqua da tutte le parti. possibile che in tutto il Pentagono non ci sia uno stratega capace di vedere un po' più in là del suo naso?
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Re: Siria oggi ne sappiamo piu di ieri.
E' notizia di oggi che CentCom il QG USA abbia "taroccato" i report militari sul Medio Oriente a uso e consumo della elite politica Yankee, quindi si certifica che le cose con l'ISIS stanno molto peggio di quanto vogliano far credere.
Se una parte del mondo arabo e una parte dell'Occidente non la finirà di finanziare il Califfo si marcerà a passo veloce verso una possibile guerra di vaste dimensioni e forse è proprio questo l'obiettivo finale cercato da chi governa veramente il pianeta...
PS anche la Cina continua a costruire basi nei suoi mari del Sud...
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Re: Siria oggi ne sappiamo piu di ieri.
Corriere 17.9.15
Il grande gioco di Putin Perché è in Siria
Lo Zar si è mosso dopo gli allarmi degli 007: 1500 russi nello Stato Islamico Ora vuole evitare ad Assad la sorte di Gheddafi. E offrire una sponda a Obama
di Paolo Valentino
DAL NOSTRO INVIATO MOSCA Il tono delle informative è improvvisamente cambiato due mesi fa. I rapporti inviati al Cremlino dagli uomini del Gru (l’intelligence militare russa) stazionati in Siria, «si sono fatti via via più allarmati». L’avanzata dell’Isis è apparsa sempre meno contenibile dall’esercito di Assad, ormai ridotto al controllo di poco più di un quarto del territorio siriano. Le diserzioni tra i soldati di fede sunnita verso il califfato si sono intensificate. E soprattutto il rischio dello spill-over , la tracimazione del terrorismo islamico prima nelle regioni di confine e poi nel cuore della Federazione è apparso agli agenti di Mosca non più solo un’ipotesi remota. «Non è più un mistero che al momento nelle file dell’Isis combattano tra 800 e 1500 cittadini russi», mi dice una fonte governativa.
Bisogna avere ben presente questo elemento dell’equazione, per cercare di capire genesi e obiettivi dell’ultima mossa dello Zar, il build-up militare ordinato da Vladimir Putin a sostegno dell’antico alleato alawita, ormai vacillante.
«Noi appoggiamo il governo di Damasco nel contrastare l’aggressione terrorista dello Stato islamico. Forniamo e continueremo a fornire tutta l’assistenza tecnica militare necessaria. E sollecitiamo altri Paesi a unirsi a noi al più presto», ha detto Putin martedì, durante il vertice del Csto, l’organizzazione di sicurezza collettiva guidata dalla Russia, che raggruppa le Repubbliche dell’Asia centrale ex sovietica.
In verità l’azione del Cremlino è più articolata del semplice sostegno al regime, il che motiva l’allarme generato nelle capitali occidentali e in particolare a Washington. Non solo la fornitura ai regolari siriani di sistemi d’arma avanzati, come i carri T-90 o i missili terra-aria Pantsir-S1, assistiti da alcune centinaia tra tecnici, consiglieri e soldati delle unità speciali. Ma anche un significativo rafforzamento della presenza navale russa sulla costa, a partire dalla storica base di Tartus. E non ultimo, novità assoluta, una serie di lavori preparatori a Latakia, in apparenza mirati a farne una futura base operativa per caccia ed elicotteri.
Gli analisti concordano che un intervento diretto russo non è in questa fase nell’agenda di Putin. «Mosca non è pronta a entrare nei combattimenti, anche se il rischio c’è e la situazione è così instabile che un episodio, come la morte violenta di consiglieri russi per mano dei terroristi, potrebbe fare da miccia», dice Fyodor Lukyanov, presidente del Council on Foreign and Defense Policy. Per Sergei Markov, esperto di politica estera legato al partito di Putin, «l’intervento diretto in Siria è improbabile. La maggioranza dei russi non lo vuole e poi aumenterebbe la pressione sul Cremlino a fare altrettanto in Donbass».
In realtà, puntellando Assad con aiuti militari, perfetta giustificazione per poter stanziare in Siria anche truppe speciali a protezione dell’arsenale, lo Zar centra allo stesso tempo l’obiettivo di ampliare e tenere aperte le sue opzioni: «In questo modo può aggiustare i termini e le modalità della sua presenza, in base all’evolvere della situazione, tenendo tutti sulla corda», spiega Olga Oliker, del Centro per la Russia e l’Eurasia della Rand Corporation.
Ma il punto vero, secondo Lukyanov, è un altro: «Putin non crede che la Siria come l’abbiamo conosciuta possa più essere salvata. La partizione è già un fatto. Così vuole assicurarsi un ruolo anche per il futuro, difendendo la maggior parte di territorio possibile per conto del suo alleato di sempre. Non permetterà che Assad cada, anche perché uscito lui di scena, della Siria non resterebbe nulla, solo caos violento. E non credo che neppure l’Occidente abbia interesse a un esito del genere».
Per una volta, smentendo la fama di giocatore d’azzardo, Vladimir Putin sembra quindi aver calcolato freddamente pro e contro della sua mossa. Ha giocato d’anticipo, mentre Francia e Stati Uniti stanno ancora valutando l’opzione militare, segnalando con chiarezza che è deciso a impedire in Siria uno scenario libico. Ma ha anche svelato un’ambizione più vasta, sia pure frutto di uno stato di necessità: «Putin vuole ampliare il contesto diplomatico e forzare Washington a un dialogo che vada oltre l’orizzonte ormai asfittico degli accordi di Minsk e dell’Ucraina, dove il conflitto è congelato. E magari puntare a un grande baratto», spiega Dmitrij Trenin, direttore del Carnegie Moscow Center, secondo il quale i russi stanno facendo di tutto perché a fine mese, durante l’Assemblea generale dell’Onu, i passi di Putin e di Obama si incrocino, se non per un incontro formale, almeno per un scambio di vedute.
Che la scommessa dello Zar riesca, è tutto da vedere. Ma è certo che, a differenza dell’Ucraina, nella partita siriana e nella lotta allo Stato islamico sunnita, Putin non è isolato e la sua non è una mossa avventuristica. Il pericolo di nuovi successi del califfato riguarda tutta la comunità internazionale. Lo scenario di una Siria del tutto liquefatta, con il corollario di nuove ondate di profughi, terrorizza i governi occidentali. Mentre l’accordo nucleare con l’Iran prelude all’aperto riconoscimento del ruolo decisivo di Teheran nella lotta contro lo Stato Islamico.
Il grande gioco di Putin Perché è in Siria
Lo Zar si è mosso dopo gli allarmi degli 007: 1500 russi nello Stato Islamico Ora vuole evitare ad Assad la sorte di Gheddafi. E offrire una sponda a Obama
di Paolo Valentino
DAL NOSTRO INVIATO MOSCA Il tono delle informative è improvvisamente cambiato due mesi fa. I rapporti inviati al Cremlino dagli uomini del Gru (l’intelligence militare russa) stazionati in Siria, «si sono fatti via via più allarmati». L’avanzata dell’Isis è apparsa sempre meno contenibile dall’esercito di Assad, ormai ridotto al controllo di poco più di un quarto del territorio siriano. Le diserzioni tra i soldati di fede sunnita verso il califfato si sono intensificate. E soprattutto il rischio dello spill-over , la tracimazione del terrorismo islamico prima nelle regioni di confine e poi nel cuore della Federazione è apparso agli agenti di Mosca non più solo un’ipotesi remota. «Non è più un mistero che al momento nelle file dell’Isis combattano tra 800 e 1500 cittadini russi», mi dice una fonte governativa.
Bisogna avere ben presente questo elemento dell’equazione, per cercare di capire genesi e obiettivi dell’ultima mossa dello Zar, il build-up militare ordinato da Vladimir Putin a sostegno dell’antico alleato alawita, ormai vacillante.
«Noi appoggiamo il governo di Damasco nel contrastare l’aggressione terrorista dello Stato islamico. Forniamo e continueremo a fornire tutta l’assistenza tecnica militare necessaria. E sollecitiamo altri Paesi a unirsi a noi al più presto», ha detto Putin martedì, durante il vertice del Csto, l’organizzazione di sicurezza collettiva guidata dalla Russia, che raggruppa le Repubbliche dell’Asia centrale ex sovietica.
In verità l’azione del Cremlino è più articolata del semplice sostegno al regime, il che motiva l’allarme generato nelle capitali occidentali e in particolare a Washington. Non solo la fornitura ai regolari siriani di sistemi d’arma avanzati, come i carri T-90 o i missili terra-aria Pantsir-S1, assistiti da alcune centinaia tra tecnici, consiglieri e soldati delle unità speciali. Ma anche un significativo rafforzamento della presenza navale russa sulla costa, a partire dalla storica base di Tartus. E non ultimo, novità assoluta, una serie di lavori preparatori a Latakia, in apparenza mirati a farne una futura base operativa per caccia ed elicotteri.
Gli analisti concordano che un intervento diretto russo non è in questa fase nell’agenda di Putin. «Mosca non è pronta a entrare nei combattimenti, anche se il rischio c’è e la situazione è così instabile che un episodio, come la morte violenta di consiglieri russi per mano dei terroristi, potrebbe fare da miccia», dice Fyodor Lukyanov, presidente del Council on Foreign and Defense Policy. Per Sergei Markov, esperto di politica estera legato al partito di Putin, «l’intervento diretto in Siria è improbabile. La maggioranza dei russi non lo vuole e poi aumenterebbe la pressione sul Cremlino a fare altrettanto in Donbass».
In realtà, puntellando Assad con aiuti militari, perfetta giustificazione per poter stanziare in Siria anche truppe speciali a protezione dell’arsenale, lo Zar centra allo stesso tempo l’obiettivo di ampliare e tenere aperte le sue opzioni: «In questo modo può aggiustare i termini e le modalità della sua presenza, in base all’evolvere della situazione, tenendo tutti sulla corda», spiega Olga Oliker, del Centro per la Russia e l’Eurasia della Rand Corporation.
Ma il punto vero, secondo Lukyanov, è un altro: «Putin non crede che la Siria come l’abbiamo conosciuta possa più essere salvata. La partizione è già un fatto. Così vuole assicurarsi un ruolo anche per il futuro, difendendo la maggior parte di territorio possibile per conto del suo alleato di sempre. Non permetterà che Assad cada, anche perché uscito lui di scena, della Siria non resterebbe nulla, solo caos violento. E non credo che neppure l’Occidente abbia interesse a un esito del genere».
Per una volta, smentendo la fama di giocatore d’azzardo, Vladimir Putin sembra quindi aver calcolato freddamente pro e contro della sua mossa. Ha giocato d’anticipo, mentre Francia e Stati Uniti stanno ancora valutando l’opzione militare, segnalando con chiarezza che è deciso a impedire in Siria uno scenario libico. Ma ha anche svelato un’ambizione più vasta, sia pure frutto di uno stato di necessità: «Putin vuole ampliare il contesto diplomatico e forzare Washington a un dialogo che vada oltre l’orizzonte ormai asfittico degli accordi di Minsk e dell’Ucraina, dove il conflitto è congelato. E magari puntare a un grande baratto», spiega Dmitrij Trenin, direttore del Carnegie Moscow Center, secondo il quale i russi stanno facendo di tutto perché a fine mese, durante l’Assemblea generale dell’Onu, i passi di Putin e di Obama si incrocino, se non per un incontro formale, almeno per un scambio di vedute.
Che la scommessa dello Zar riesca, è tutto da vedere. Ma è certo che, a differenza dell’Ucraina, nella partita siriana e nella lotta allo Stato islamico sunnita, Putin non è isolato e la sua non è una mossa avventuristica. Il pericolo di nuovi successi del califfato riguarda tutta la comunità internazionale. Lo scenario di una Siria del tutto liquefatta, con il corollario di nuove ondate di profughi, terrorizza i governi occidentali. Mentre l’accordo nucleare con l’Iran prelude all’aperto riconoscimento del ruolo decisivo di Teheran nella lotta contro lo Stato Islamico.
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Re: Siria oggi ne sappiamo piu di ieri.
Repubblica 18.9.15
Il dilemma Assad nelle strategie di America ed Europa per fermare la guerra
E tra gli attori si affermano la Russia e l’Iran appena sdoganato
Siria, gli Usa pronti a discutere con Mosca. Ecco alleati e nemici nella partita contro l’Is
di Paolo Garimberti
Quello che nel più classico dei linguaggi diplomatici viene chiamato il “quadrante mediorientale” è stato per lungo tempo piuttosto ordinato sul piano della geopolitica.
Anche se non su quello della sicurezza e della stabilità militare.
Le tessere del mosaico sono rimaste per decenni al loro posto, cementate dalle certezze della guerra fredda.
Si sapeva chi stava con chi, chi dava aiuti finanziari e militari a chi, chi spiava chi (e per conto di chi).
Tanto è vero che quando, nell’ottobre del 1973, la guerra dello Yom Kippur (scatenata nel giorno più solenne del calendario ebraico dall’egiziano Sadat e dal siriano Hafez al-Assad, padre di Bashar) stava diventando minacciosa per la sicurezza e la stabilità economica dell’Occidente, Henry Kissinger, allora segretario di Stato, volò a Mosca dal suo “amico” Leonid Breznev e la guerra finì: bastarono un roco “ ostorozhny ” (state attenti!) di Breznev a siriani ed egiziani e un gutturale “ warning ” di Kissinger agli israeliani.
La guerra fredda è stata scongelata, anche se qualcuno parla precipitosamente di un suo ritorno, e le tessere del puzzle sono saltate in aria.
Ricomporle è difficile, se non impossibile.
Tante sono le variabili dopo l’11 settembre e dopo che è saltato il tappo di Saddam Hussein in Iraq.
Giusto per citarne due, una politica e l’altra militare, il ritorno della Russia di Putin come pretendente playmaker nel “quadrante” e la nascita del cosiddetto Stato islamico, o Is.
Ma si potrebbe aggiungere il ruolo ambiguo dell’Arabia Saudita o il ritorno sulla scena diplomatica dell’Iran dopo l’accordo sul nucleare.
E continuare elencando.
IL PIVOT ASSAD - Tutto ruota attorno alla figura (sinistra) di Bashar al-Assad, il dittatore siriano che da quattro anni sopravvive a una guerra civile e alla sfida dell’Is.
Ridotto in pillole il dilemma è: sbarazzarsi di Assad e trattare con un governo di transizione, magari unendo gli sforzi militari per sconfiggere nel frattempo l’Is?
O usare Assad come strumento per combattere l’Is, includerlo nel negoziato nel tentativo di creare un’unità nazionale e poi rimuoverlo?
La risposta è diventata più complicata di quanto già lo fosse in sé da quando a confondere ancora di più le già confuse (e divise) menti americane ed europee è intervenuto il Cremlino.
LA VARIABILE PUTIN - La Russia non ha ancora ammesso di aver inviato carri armati e truppe in Siria o di stare costruendo una nuova base aerea a Latakia, la fortezza del regime di Assad.
Ma il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha riconosciuto che forniture militari sono state inviate in Siria insieme con “tecnici specializzati”.
Qualcuno si è ricordato degli “omini verdi” in Ucraina, le truppe russe senza insegne che erano state inviate a combattere sotto copertura a fianco dei separatisti ucraini. Putin è intervenuto con il suo classico stile da giocatore di poker.
In una conferenza a Dushanbe, capitale del Tadgikistan, ha detto che “se la Russia non avesse aiutato la Siria la situazione nel Paese sarebbe diventata peggio che in Libia” e il flusso di rifugiati sarebbe stato ancora più drammatico. Incoraggiato dal suo padrino geopolitico, Bashar al-Assad è uscito allo scoperto con una dichiarazione a uno dei media di Stato russi (guarda caso).
In un appello ai ribelli ha detto in sostanza: unitevi a me e combattiamo insieme l’Is, invece di combatterci tra noi, perché soltanto dopo che gli estremisti islamici saranno stati sconfitti potrà esserci una soluzione politica alla guerra che ha devastato il nostro Paese.
I TORMENTI DI OBAMA - L’America è piuttosto confusa, come gli accade ormai un po’ troppo spesso sulla scena internazionale per colpa anche della disastrosa eredità lasciata da Bush figlio (l’Europa ancora peggio, confusa e divisa, con Cameron e Hollande che gonfiano i muscoli mentre sarebbe il caso di aguzzare i cervelli e trovare un filone di comune politica estera).
Obama non sa se fidarsi della sirena Putin, che gli sussurra di unire gli sforzi per combattere l’Is in Siria, mettendo da parte per il momento il “problema Assad”.
Il segretario di Stato John Kerry ha detto che il suo omologo russo Lavrov gli ha proposto un incontro di alti livelli militari per esaminare insieme la situazione siriana.
Casa Bianca e Pentagono ci stanno pensando («Siamo pronti a discussioni tecniche e tattiche con Mosca sulla lotta all’Is», ha sottolineato ieri il portavoce della presidenza).
In teoria l’interesse comune di America e Russia è di distruggere il mostro del sedicente Stato islamico.
E il negoziato sul nucleare iraniano ha dimostrato che Washington e Mosca possono lavorare insieme se l’obiettivo è condiviso, nonostante il gelo provocato dall’Ucraina.
Urge un incontro al vertice, franco e sincero.
L’imminente Assemblea generale dell’Onu offre lo spunto diplomatico e la location politicamente corretta.
LE ANGOSCE DI ISRAELE - L’espansionismo militare russo in Siria ha avuto l’effetto della carta vetrata sui nervi degli israeliani. I portavoce di Benjamin Netanyahu hanno fatto sapere che il primo ministro ha programmato di recarsi a Mosca per parlarne direttamente a Putin.
E’ soprattutto l’allargamento della base di Latakia a inquietare Israele: potrebbe diventare un hub per attacchi aerei in tutta la regione creando una minaccia supplementare per la sicurezza israeliana. Ma c’è altro.
Le forniture militari russe per la Siria di Assad potrebbero finire ad altri destinatari nemici giurati di Israele, a cominciare dagli Hezbollah in Libano.
Di sicuro Israele non sarebbe tanto felice di un’azione congiunta russo-americana per la Siria: un altro macigno sulle già pessime relazioni tra Obama e Netanyahu.
LE INCOGNITE REGIONALI - Ci sono altri attori che possono influenzare l’esito della guerra siriana e della lotta contro l’Is.
Il primo è certamente l’Iran, che ha un peso politico, una qualità di “intelligence” e capacità militari per avere un ruolo molto pesante.
La determinazione con la quale Obama, la stessa Europa (una volta tanto intonata attorno alla figura dell’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini) hanno perseguito l’accordo sul nucleare, lo spirito di cooperazione mostrato finalmente dalla Russia sono frutto della stessa convinzione: se l’Iran rientra in gioco ha la capacità di spostare il peso della bilancia nel quadrante mediorientale.
Un’incognita è l’ambiguità dell’Arabia Saudita, sempre più inaffidabile per il suo storico alleato americano.
Thomas Friedman, il più rispettato (e temuto, anche da Obama) columnist americano di politica internazionale ha scritto, con una netta scelta di campo in favore dell’accordo con Teheran: “Il vero pericolo non è l’Iran, ma sono i sauditi.
Che hanno spazzato via il pluralismo dell’Islam, i sufi, i sunniti moderati, gli sciiti per imporre il salafismo wahabita, puritano, anti-moderno, anti-femminile, anti- occidentale, anti-pluralista”.
Una visione molto pericolosamente vicina a quella dei macellai dell’Is. E, per continuare senza peraltro esaurirle, nella lista delle incognita va messa anche la Turchia, una volta pilastro della Nato nella regione e oggi banderuola che si muove secondo i disegni (spesso oscuri) di
SENZA FINE - Difficile immaginare come si possa ricomporre decentemente il puzzle.
Il vecchio, saggio e cinico Henry Kissinger forse suggerirebbe di allearsi con Putin per combattere e contenere l’Is, usando Assad come pivot, appunto.
Salvo poi toglierlo di squadra (Putin gli darebbe di certo una buonuscita) una volta negoziato un accordo con tutte le parti e un meccanismo di “peacekeeping” efficiente.
Ma dalla guerra dello Yom Kippur sono passati molti, troppi anni: le ricette di Kissinger potrebbero essere scadute.
E la guerra in Siria potrebbe durare ancora a lungo. O addirittura non finire mai.
Come quella in Iraq.
Il dilemma Assad nelle strategie di America ed Europa per fermare la guerra
E tra gli attori si affermano la Russia e l’Iran appena sdoganato
Siria, gli Usa pronti a discutere con Mosca. Ecco alleati e nemici nella partita contro l’Is
di Paolo Garimberti
Quello che nel più classico dei linguaggi diplomatici viene chiamato il “quadrante mediorientale” è stato per lungo tempo piuttosto ordinato sul piano della geopolitica.
Anche se non su quello della sicurezza e della stabilità militare.
Le tessere del mosaico sono rimaste per decenni al loro posto, cementate dalle certezze della guerra fredda.
Si sapeva chi stava con chi, chi dava aiuti finanziari e militari a chi, chi spiava chi (e per conto di chi).
Tanto è vero che quando, nell’ottobre del 1973, la guerra dello Yom Kippur (scatenata nel giorno più solenne del calendario ebraico dall’egiziano Sadat e dal siriano Hafez al-Assad, padre di Bashar) stava diventando minacciosa per la sicurezza e la stabilità economica dell’Occidente, Henry Kissinger, allora segretario di Stato, volò a Mosca dal suo “amico” Leonid Breznev e la guerra finì: bastarono un roco “ ostorozhny ” (state attenti!) di Breznev a siriani ed egiziani e un gutturale “ warning ” di Kissinger agli israeliani.
La guerra fredda è stata scongelata, anche se qualcuno parla precipitosamente di un suo ritorno, e le tessere del puzzle sono saltate in aria.
Ricomporle è difficile, se non impossibile.
Tante sono le variabili dopo l’11 settembre e dopo che è saltato il tappo di Saddam Hussein in Iraq.
Giusto per citarne due, una politica e l’altra militare, il ritorno della Russia di Putin come pretendente playmaker nel “quadrante” e la nascita del cosiddetto Stato islamico, o Is.
Ma si potrebbe aggiungere il ruolo ambiguo dell’Arabia Saudita o il ritorno sulla scena diplomatica dell’Iran dopo l’accordo sul nucleare.
E continuare elencando.
IL PIVOT ASSAD - Tutto ruota attorno alla figura (sinistra) di Bashar al-Assad, il dittatore siriano che da quattro anni sopravvive a una guerra civile e alla sfida dell’Is.
Ridotto in pillole il dilemma è: sbarazzarsi di Assad e trattare con un governo di transizione, magari unendo gli sforzi militari per sconfiggere nel frattempo l’Is?
O usare Assad come strumento per combattere l’Is, includerlo nel negoziato nel tentativo di creare un’unità nazionale e poi rimuoverlo?
La risposta è diventata più complicata di quanto già lo fosse in sé da quando a confondere ancora di più le già confuse (e divise) menti americane ed europee è intervenuto il Cremlino.
LA VARIABILE PUTIN - La Russia non ha ancora ammesso di aver inviato carri armati e truppe in Siria o di stare costruendo una nuova base aerea a Latakia, la fortezza del regime di Assad.
Ma il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha riconosciuto che forniture militari sono state inviate in Siria insieme con “tecnici specializzati”.
Qualcuno si è ricordato degli “omini verdi” in Ucraina, le truppe russe senza insegne che erano state inviate a combattere sotto copertura a fianco dei separatisti ucraini. Putin è intervenuto con il suo classico stile da giocatore di poker.
In una conferenza a Dushanbe, capitale del Tadgikistan, ha detto che “se la Russia non avesse aiutato la Siria la situazione nel Paese sarebbe diventata peggio che in Libia” e il flusso di rifugiati sarebbe stato ancora più drammatico. Incoraggiato dal suo padrino geopolitico, Bashar al-Assad è uscito allo scoperto con una dichiarazione a uno dei media di Stato russi (guarda caso).
In un appello ai ribelli ha detto in sostanza: unitevi a me e combattiamo insieme l’Is, invece di combatterci tra noi, perché soltanto dopo che gli estremisti islamici saranno stati sconfitti potrà esserci una soluzione politica alla guerra che ha devastato il nostro Paese.
I TORMENTI DI OBAMA - L’America è piuttosto confusa, come gli accade ormai un po’ troppo spesso sulla scena internazionale per colpa anche della disastrosa eredità lasciata da Bush figlio (l’Europa ancora peggio, confusa e divisa, con Cameron e Hollande che gonfiano i muscoli mentre sarebbe il caso di aguzzare i cervelli e trovare un filone di comune politica estera).
Obama non sa se fidarsi della sirena Putin, che gli sussurra di unire gli sforzi per combattere l’Is in Siria, mettendo da parte per il momento il “problema Assad”.
Il segretario di Stato John Kerry ha detto che il suo omologo russo Lavrov gli ha proposto un incontro di alti livelli militari per esaminare insieme la situazione siriana.
Casa Bianca e Pentagono ci stanno pensando («Siamo pronti a discussioni tecniche e tattiche con Mosca sulla lotta all’Is», ha sottolineato ieri il portavoce della presidenza).
In teoria l’interesse comune di America e Russia è di distruggere il mostro del sedicente Stato islamico.
E il negoziato sul nucleare iraniano ha dimostrato che Washington e Mosca possono lavorare insieme se l’obiettivo è condiviso, nonostante il gelo provocato dall’Ucraina.
Urge un incontro al vertice, franco e sincero.
L’imminente Assemblea generale dell’Onu offre lo spunto diplomatico e la location politicamente corretta.
LE ANGOSCE DI ISRAELE - L’espansionismo militare russo in Siria ha avuto l’effetto della carta vetrata sui nervi degli israeliani. I portavoce di Benjamin Netanyahu hanno fatto sapere che il primo ministro ha programmato di recarsi a Mosca per parlarne direttamente a Putin.
E’ soprattutto l’allargamento della base di Latakia a inquietare Israele: potrebbe diventare un hub per attacchi aerei in tutta la regione creando una minaccia supplementare per la sicurezza israeliana. Ma c’è altro.
Le forniture militari russe per la Siria di Assad potrebbero finire ad altri destinatari nemici giurati di Israele, a cominciare dagli Hezbollah in Libano.
Di sicuro Israele non sarebbe tanto felice di un’azione congiunta russo-americana per la Siria: un altro macigno sulle già pessime relazioni tra Obama e Netanyahu.
LE INCOGNITE REGIONALI - Ci sono altri attori che possono influenzare l’esito della guerra siriana e della lotta contro l’Is.
Il primo è certamente l’Iran, che ha un peso politico, una qualità di “intelligence” e capacità militari per avere un ruolo molto pesante.
La determinazione con la quale Obama, la stessa Europa (una volta tanto intonata attorno alla figura dell’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini) hanno perseguito l’accordo sul nucleare, lo spirito di cooperazione mostrato finalmente dalla Russia sono frutto della stessa convinzione: se l’Iran rientra in gioco ha la capacità di spostare il peso della bilancia nel quadrante mediorientale.
Un’incognita è l’ambiguità dell’Arabia Saudita, sempre più inaffidabile per il suo storico alleato americano.
Thomas Friedman, il più rispettato (e temuto, anche da Obama) columnist americano di politica internazionale ha scritto, con una netta scelta di campo in favore dell’accordo con Teheran: “Il vero pericolo non è l’Iran, ma sono i sauditi.
Che hanno spazzato via il pluralismo dell’Islam, i sufi, i sunniti moderati, gli sciiti per imporre il salafismo wahabita, puritano, anti-moderno, anti-femminile, anti- occidentale, anti-pluralista”.
Una visione molto pericolosamente vicina a quella dei macellai dell’Is. E, per continuare senza peraltro esaurirle, nella lista delle incognita va messa anche la Turchia, una volta pilastro della Nato nella regione e oggi banderuola che si muove secondo i disegni (spesso oscuri) di
SENZA FINE - Difficile immaginare come si possa ricomporre decentemente il puzzle.
Il vecchio, saggio e cinico Henry Kissinger forse suggerirebbe di allearsi con Putin per combattere e contenere l’Is, usando Assad come pivot, appunto.
Salvo poi toglierlo di squadra (Putin gli darebbe di certo una buonuscita) una volta negoziato un accordo con tutte le parti e un meccanismo di “peacekeeping” efficiente.
Ma dalla guerra dello Yom Kippur sono passati molti, troppi anni: le ricette di Kissinger potrebbero essere scadute.
E la guerra in Siria potrebbe durare ancora a lungo. O addirittura non finire mai.
Come quella in Iraq.
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