G R E C I A
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Re: G R E C I A
di Carlo Clericetti
9SET2015
L'Onu vota: salvare la democrazia dai creditori
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Ci sono Thomas Piketty e Mariana Mazzucato, James Galbraith e Yanis Varoufakis tra i primi firmatari di un appello ai paesi europei perché domani, 10 settembre, all'Assemblea generale dell'Onu votino a favore di una risoluzione che chiede di stabilire un metodo democratico, riconosciuto legalmente a livello internazionale, per la ristrutturazione dei debiti sovrani. Oggi queste procedure non ci sono, e uno Stato che arrivi ad una situazione in cui la ristrutturazione del debito diventa la sola possibilità si trova in balia dei mercati internazionali, che impongono condizioni-capestro che non permettono al debitore di risollevarsi e colpiscono drammaticamente le condizioni di vita dei cittadini.
L'appello è stato pubblicato ieri sul Guardian, il più autorevole quotidiano progressista britannico, ed è ripreso oggi dal Manifesto. Tra i primi firmatari ci sono anche gli italiani Giovanni Dosi, direttore dell'istituto di Economia della Scuola siperiore Sant'Anna di Pisa, e Gennaro Zezza, docente a Cassino e ricercatore presso il Levy Economics Institute negli Stati Uniti.
"La crisi greca ha mostrato che in assenza di un quadro politico internazionale che permetta una gestione ragionevole dei debiti sovrani, e malgrado la loro insostenibilità, uno Stato da solo non può ottenere delle condizioni praticabili per la ristrutturazione del proprio debito. Durante le negoziazioni con la Troika, la Grecia si è imbattuta in un ostinato rifiuto in tema di ristrutturazione, in contrasto con le raccomandazioni stesse del Fmi", scrivono gli economisti. Prima era toccato all'Argentina, che ancora oggi sta lottando contro i "Fondi avvoltoio" che hanno ottenuto da una corte americana il blocco dei beni argentini negli Usa. Un altro caso di vastissima rilevanza (che l'appello non cita per ovvie necessità di sintesi) fu quello della crisi del debito dei paesi dell'America Latina, negli anni '80. Anche in quel caso si dovette arrivare a una ristrutturazione resa possibile solo dall'intervento della politica (il "Piano Brady", dal nome dell'allora segretario al Tesoro Usa).
Insomma, i default sovrani accadono, come accadono nell'economia privata. Per questi ultimi in tutti gli Stati esistono delle leggi che regolano le procedure (in Usa il famoso Chapter 11", utilizzato anche da grandi corporation come Chrysler, General Motors, United Airlines, Delta; in Italia il concordato preventivo introdotto nel 2006). Leggi introdotte perché l'esperienza aveva mostrato che è preferibile questa strada piuttosto che il fallimento, preferibile sia per l'azienda che per i creditori, che riescono ad ottenere di più. Per gli Stati il concetto è analogo: se i creditori pretendono condizioni che non permettono all'economia di risollevarsi finiranno quasi certamente per ottenere meno di quanto sarebbe possibile. Ma il problema vero non è questo: sono le conseguenze drammatiche per i cittadini di quegli Stati.
Il documento ricorda che l'Argentina, che prima della Grecia ha sperimentato la durezza irragionevole dei creditori, "esattamente un anno fa a New York, sostenuta dai 134 Paesi del G77, ha proposto in sede Onu di creare un comitato che stabilisse un quadro legale a livello internazionale per la ristrutturazione dei debiti sovrani. Il comitato, sostenuto da un gruppo di esperti dell’Unctad, vuole adesso sottoporre al voto 9 principi, che dovrebbero prevalere durante le ristrutturazioni dei debiti sovrani: sovranità, buona fede, trasparenza, imparzialità, trattamento equo, immunità sovrana, legittimità, sostenibilità, regole maggioritarie. (...) Questi 9 principi riaffermano la superiorità del potere politico, attraverso la sovranità nazionale, nella scelta delle politiche pubbliche. Essi limitano la spoliticizzazione della struttura finanziaria, la quale ha escluso finora ogni possibile alternativa all’austerity, tenendo in ostaggio gli Stati. L’Onu deve quindi farsi sostenitore di una gestione democratica del debito e della fine del mercato dei debiti".
Finora, dicono i promotori dell'appello, i paesi europei si sono del tutto disinteressati del problema, e la gestione della crisi greca è stata una prova ulteriore del loro atteggiamento negativo. Il voto di domani potrebbe essere un importante segnale che gli europei non hanno completamente dimenticato l'importanza della democrazia. Speriamo che siano ascoltati.
Tag: Appello Onu, Argentina, Chapter 11, concordato preventivo, Fondi avvoltoio, Grecia, James Galbraith, Mazzucato, Piano Brady, Piketty, ristrutturazione debito, Varoufakis
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Come voterà l'Italia ?
9SET2015
L'Onu vota: salvare la democrazia dai creditori
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Ci sono Thomas Piketty e Mariana Mazzucato, James Galbraith e Yanis Varoufakis tra i primi firmatari di un appello ai paesi europei perché domani, 10 settembre, all'Assemblea generale dell'Onu votino a favore di una risoluzione che chiede di stabilire un metodo democratico, riconosciuto legalmente a livello internazionale, per la ristrutturazione dei debiti sovrani. Oggi queste procedure non ci sono, e uno Stato che arrivi ad una situazione in cui la ristrutturazione del debito diventa la sola possibilità si trova in balia dei mercati internazionali, che impongono condizioni-capestro che non permettono al debitore di risollevarsi e colpiscono drammaticamente le condizioni di vita dei cittadini.
L'appello è stato pubblicato ieri sul Guardian, il più autorevole quotidiano progressista britannico, ed è ripreso oggi dal Manifesto. Tra i primi firmatari ci sono anche gli italiani Giovanni Dosi, direttore dell'istituto di Economia della Scuola siperiore Sant'Anna di Pisa, e Gennaro Zezza, docente a Cassino e ricercatore presso il Levy Economics Institute negli Stati Uniti.
"La crisi greca ha mostrato che in assenza di un quadro politico internazionale che permetta una gestione ragionevole dei debiti sovrani, e malgrado la loro insostenibilità, uno Stato da solo non può ottenere delle condizioni praticabili per la ristrutturazione del proprio debito. Durante le negoziazioni con la Troika, la Grecia si è imbattuta in un ostinato rifiuto in tema di ristrutturazione, in contrasto con le raccomandazioni stesse del Fmi", scrivono gli economisti. Prima era toccato all'Argentina, che ancora oggi sta lottando contro i "Fondi avvoltoio" che hanno ottenuto da una corte americana il blocco dei beni argentini negli Usa. Un altro caso di vastissima rilevanza (che l'appello non cita per ovvie necessità di sintesi) fu quello della crisi del debito dei paesi dell'America Latina, negli anni '80. Anche in quel caso si dovette arrivare a una ristrutturazione resa possibile solo dall'intervento della politica (il "Piano Brady", dal nome dell'allora segretario al Tesoro Usa).
Insomma, i default sovrani accadono, come accadono nell'economia privata. Per questi ultimi in tutti gli Stati esistono delle leggi che regolano le procedure (in Usa il famoso Chapter 11", utilizzato anche da grandi corporation come Chrysler, General Motors, United Airlines, Delta; in Italia il concordato preventivo introdotto nel 2006). Leggi introdotte perché l'esperienza aveva mostrato che è preferibile questa strada piuttosto che il fallimento, preferibile sia per l'azienda che per i creditori, che riescono ad ottenere di più. Per gli Stati il concetto è analogo: se i creditori pretendono condizioni che non permettono all'economia di risollevarsi finiranno quasi certamente per ottenere meno di quanto sarebbe possibile. Ma il problema vero non è questo: sono le conseguenze drammatiche per i cittadini di quegli Stati.
Il documento ricorda che l'Argentina, che prima della Grecia ha sperimentato la durezza irragionevole dei creditori, "esattamente un anno fa a New York, sostenuta dai 134 Paesi del G77, ha proposto in sede Onu di creare un comitato che stabilisse un quadro legale a livello internazionale per la ristrutturazione dei debiti sovrani. Il comitato, sostenuto da un gruppo di esperti dell’Unctad, vuole adesso sottoporre al voto 9 principi, che dovrebbero prevalere durante le ristrutturazioni dei debiti sovrani: sovranità, buona fede, trasparenza, imparzialità, trattamento equo, immunità sovrana, legittimità, sostenibilità, regole maggioritarie. (...) Questi 9 principi riaffermano la superiorità del potere politico, attraverso la sovranità nazionale, nella scelta delle politiche pubbliche. Essi limitano la spoliticizzazione della struttura finanziaria, la quale ha escluso finora ogni possibile alternativa all’austerity, tenendo in ostaggio gli Stati. L’Onu deve quindi farsi sostenitore di una gestione democratica del debito e della fine del mercato dei debiti".
Finora, dicono i promotori dell'appello, i paesi europei si sono del tutto disinteressati del problema, e la gestione della crisi greca è stata una prova ulteriore del loro atteggiamento negativo. Il voto di domani potrebbe essere un importante segnale che gli europei non hanno completamente dimenticato l'importanza della democrazia. Speriamo che siano ascoltati.
Tag: Appello Onu, Argentina, Chapter 11, concordato preventivo, Fondi avvoltoio, Grecia, James Galbraith, Mazzucato, Piano Brady, Piketty, ristrutturazione debito, Varoufakis
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Re: G R E C I A
Vale ricordare che il 09-09-2014
Il 9 Settembre e' stata votata all'ONU la bozza di risoluzione che riguarda la ristrutturazione del debito sovrano che, secondo la bozza stessa, “stabilisce la struttura multilaterale per i paesi affinché emergano dai loro impegni finanziari”(qui).
Tradotto in linguaggio comprensibile ai più, ciò significa che finalmente qualcuno ha preso l'iniziativa di mettere delle regole alle arbitrarietà degli avvoltoi che tramite i loro “istituti” di “finanziamento” globale e le loro “agenzie di rating” fanno il bello e il cattivo tempo trascinando nella miseria, l'indigenza e la disperazione interi paesi.
La votazione ha dato i seguenti risultati:
Favorevoli – 124
Contrari – 11
Astenuti – 41
La bozza di risoluzione e' stata presentata dalla Bolivia ma e' chiaro che l'iniziativa fu del presidente argentino Cristina Fernandez dopo il vespaio che ha sollevato la decisione illegale e anticostituzionale a favore degli speculatori della peggior specie presa dal giudice Griesa.
Ed infatti la coraggiosa, dignitosa e patriota Cristina ha esultato su Facebook: “Oggi, veramente, e' un grande giorno per tutti gli Argentini. Dobbiamo essere molto fieri”. (link)
In effetti l'Argentina non si e' degnata neanche di rivolgersi al suddetto giudice ma ha coordinato la sua risposta a livello internazionale come doveva essere. (link)
Qui vediamo il risultato della votazione e possiamo analizzare un po' il comportamento dei rappresentanti, cioè dei governi, dei vari paesi.
Tra i favorevoli troviamo la Cina e il grande nemico della civiltà e della democrazia occidentale, il paese che ha invaso l'Ucraina e che minaccia la pace in Europa: La Federazione Russa.
Tra i contrari notiamo la presenza al gran completo dei fiduciari della civiltà e della democrazia occidentale, cioè, USA, Australia, Canada, Giappone, Germania, Israele, Regno Unito e i lori scagnozzi.
Ci sono però anche quelli che si lavano le mani forse perché sono tanto democratici da tenersi perfettamente equidistanti o forse perché loro non hanno problemi di nessun genere per quel che riguarda il debito sovrano del proprio paese. O forse perché sono degli ipocriti.
Come per esempio la Grecia. Come Cipro. E come l'Italia. Sarà per questo che la notizia ha riempito le prime pagine di giornali e telegiornali in questi nostri orgogliosi paesi.
Georgios
Fonte: http://www.comedonchsciotte.org
10.09.2014
Ciò che è in gioco nel dibattito sulla regolamentazione dei processi di ristrutturazione dei debiti non è solo l’attività dei fondi avvoltoio e il potere dei mercati non regolati, ma anche la supremazia delle istituzioni statunitensi. In un contesto geopolitico diverso un’eventuale Risoluzione dell’Assemblea Generale sui processi di ristrutturazione dei debiti finirebbe come un’altra riga negli annali delle pie illusioni dell’ONU. Tuttavia, poiché dietro questa iniziativa ci sono non soltanto paesi indebitati ma anche la Cina e altri mercati emergenti, può trattarsi di un punto di svolta nel sistema globale.
Il 9 Settembre e' stata votata all'ONU la bozza di risoluzione che riguarda la ristrutturazione del debito sovrano che, secondo la bozza stessa, “stabilisce la struttura multilaterale per i paesi affinché emergano dai loro impegni finanziari”(qui).
Tradotto in linguaggio comprensibile ai più, ciò significa che finalmente qualcuno ha preso l'iniziativa di mettere delle regole alle arbitrarietà degli avvoltoi che tramite i loro “istituti” di “finanziamento” globale e le loro “agenzie di rating” fanno il bello e il cattivo tempo trascinando nella miseria, l'indigenza e la disperazione interi paesi.
La votazione ha dato i seguenti risultati:
Favorevoli – 124
Contrari – 11
Astenuti – 41
La bozza di risoluzione e' stata presentata dalla Bolivia ma e' chiaro che l'iniziativa fu del presidente argentino Cristina Fernandez dopo il vespaio che ha sollevato la decisione illegale e anticostituzionale a favore degli speculatori della peggior specie presa dal giudice Griesa.
Ed infatti la coraggiosa, dignitosa e patriota Cristina ha esultato su Facebook: “Oggi, veramente, e' un grande giorno per tutti gli Argentini. Dobbiamo essere molto fieri”. (link)
In effetti l'Argentina non si e' degnata neanche di rivolgersi al suddetto giudice ma ha coordinato la sua risposta a livello internazionale come doveva essere. (link)
Qui vediamo il risultato della votazione e possiamo analizzare un po' il comportamento dei rappresentanti, cioè dei governi, dei vari paesi.
Tra i favorevoli troviamo la Cina e il grande nemico della civiltà e della democrazia occidentale, il paese che ha invaso l'Ucraina e che minaccia la pace in Europa: La Federazione Russa.
Tra i contrari notiamo la presenza al gran completo dei fiduciari della civiltà e della democrazia occidentale, cioè, USA, Australia, Canada, Giappone, Germania, Israele, Regno Unito e i lori scagnozzi.
Ci sono però anche quelli che si lavano le mani forse perché sono tanto democratici da tenersi perfettamente equidistanti o forse perché loro non hanno problemi di nessun genere per quel che riguarda il debito sovrano del proprio paese. O forse perché sono degli ipocriti.
Come per esempio la Grecia. Come Cipro. E come l'Italia. Sarà per questo che la notizia ha riempito le prime pagine di giornali e telegiornali in questi nostri orgogliosi paesi.
Georgios
Fonte: http://www.comedonchsciotte.org
10.09.2014
Ciò che è in gioco nel dibattito sulla regolamentazione dei processi di ristrutturazione dei debiti non è solo l’attività dei fondi avvoltoio e il potere dei mercati non regolati, ma anche la supremazia delle istituzioni statunitensi. In un contesto geopolitico diverso un’eventuale Risoluzione dell’Assemblea Generale sui processi di ristrutturazione dei debiti finirebbe come un’altra riga negli annali delle pie illusioni dell’ONU. Tuttavia, poiché dietro questa iniziativa ci sono non soltanto paesi indebitati ma anche la Cina e altri mercati emergenti, può trattarsi di un punto di svolta nel sistema globale.
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Re: G R E C I A
il manifesto 18.9.15
Syriza prima, Unione popolare oltre il quorum
di Teodoro Andreadis Synghellakis
Gli ultimi sondaggi, a due giorni dalle elezioni, registrano un vantaggio di Syriza, con un margine piuttosto rassicurante. Ieri pomeriggio è stata resa nota l’indagine demoscopica della società E Voice, secondo la quale Syriza raccoglierebbe il 29% delle intenzioni di voto, mentre il centrodestra di Nuova Democrazia non supererebbe il 25,4%. Alba Dorata viene data al 7,2%, mentre il partito centrista del Fiume è al 5,1%. Seguono i comunisti del Kke e il Pasok al 5%, Unità Popolare di Panajotis Lafazanis al 4,2% e i Greci Indipendenti, che hanno governato insieme a Syriza, al 3,1%. Un altro sondaggio, della società Prorata, stima La Coalizione della Sinistra Radicale ellenica, al 28% e Nuova Democrazia al 24%. Dal momento che molti elettori sono tentati dall’astensionismo, la partita è ancora completamente aperta, ma questi ultimi dati permettono al partito di Alexis Tsipras di affrontare la sfida elettorale con maggior ottimismo ed energia. Nel frattempo, la sinistra anti –euro di Unità Popolare ha concluso la sua campagna elettorale con una manifestazione nella centrale piazza Omonia. Oltre a Lafazanis, hanno preso la parola la presidente uscente del parlamento greco, Zoi Konstantopoulou e il partigiano, simbolo della sinistra ellenica, Manolis Glezos. La partecipazione non è stata eccezionalmente vasta, ma molti osservatori hanno fatto notare la presenza di molti giovani, che hanno seguito con attenzione l’intervento della Konstantopoulou. La ex pasionaria di Syriza, ha voluto alzare i toni, puntando il dito contro le scelte del governo di Alexis Tsipras: «C’è chi ha deciso in modo tardivo di passare il Rubicone, di coalizzarsi con i tiranni del popolo, che hanno tradito sogni e speranze, con coloro che consegnano le prossime generazioni al Minotauro del memorandum di austerità» ha sottolineato.
Il leader della sinistra greca, in una intervista al quotidiano Efimerida ton Syndakton, (Quotidiano dei Redattori), ha risposto che «Syriza è l’unico partito con un programma che garantisce al paese di poter uscire dalla crisi rimanendo in piedi» e ha promesso che alla fine dei quattro anni di legislatura previsti Syriza avrà realizzato il 100% del suo programma presentato lo scorso autunno a Salonicco. Per quanto riguarda, poi, le collaborazioni post elettorali, l’ex ministro e candidato nelle liste del partito di Tsipras, Alekos Flambouraris, ha escluso qualunque ipotesi di alleanza di governo con il centrodestra, lasciando aperto uno spiraglio per una eventuale collaborazione con il Pasok o, eventualmente, con il Fiume: se ne parlerà «solo se il popolo greco dovesse dare una indicazione in questo senso» e nell’eventualità che «questi due partiti decidano di abbandonare le posizioni e le alleanze che sostengono le politiche neoliberiste». Tutto il mondo politico greco, infine, ha condannato con forza le ultime dichiarazioni del capo dei neonazisti di Alba Dorata, Nikos Michaloliakos, che ha dichiarato che il suo partito «assume la responsabilità politica di questo omicidio, ma non penale».
Syriza prima, Unione popolare oltre il quorum
di Teodoro Andreadis Synghellakis
Gli ultimi sondaggi, a due giorni dalle elezioni, registrano un vantaggio di Syriza, con un margine piuttosto rassicurante. Ieri pomeriggio è stata resa nota l’indagine demoscopica della società E Voice, secondo la quale Syriza raccoglierebbe il 29% delle intenzioni di voto, mentre il centrodestra di Nuova Democrazia non supererebbe il 25,4%. Alba Dorata viene data al 7,2%, mentre il partito centrista del Fiume è al 5,1%. Seguono i comunisti del Kke e il Pasok al 5%, Unità Popolare di Panajotis Lafazanis al 4,2% e i Greci Indipendenti, che hanno governato insieme a Syriza, al 3,1%. Un altro sondaggio, della società Prorata, stima La Coalizione della Sinistra Radicale ellenica, al 28% e Nuova Democrazia al 24%. Dal momento che molti elettori sono tentati dall’astensionismo, la partita è ancora completamente aperta, ma questi ultimi dati permettono al partito di Alexis Tsipras di affrontare la sfida elettorale con maggior ottimismo ed energia. Nel frattempo, la sinistra anti –euro di Unità Popolare ha concluso la sua campagna elettorale con una manifestazione nella centrale piazza Omonia. Oltre a Lafazanis, hanno preso la parola la presidente uscente del parlamento greco, Zoi Konstantopoulou e il partigiano, simbolo della sinistra ellenica, Manolis Glezos. La partecipazione non è stata eccezionalmente vasta, ma molti osservatori hanno fatto notare la presenza di molti giovani, che hanno seguito con attenzione l’intervento della Konstantopoulou. La ex pasionaria di Syriza, ha voluto alzare i toni, puntando il dito contro le scelte del governo di Alexis Tsipras: «C’è chi ha deciso in modo tardivo di passare il Rubicone, di coalizzarsi con i tiranni del popolo, che hanno tradito sogni e speranze, con coloro che consegnano le prossime generazioni al Minotauro del memorandum di austerità» ha sottolineato.
Il leader della sinistra greca, in una intervista al quotidiano Efimerida ton Syndakton, (Quotidiano dei Redattori), ha risposto che «Syriza è l’unico partito con un programma che garantisce al paese di poter uscire dalla crisi rimanendo in piedi» e ha promesso che alla fine dei quattro anni di legislatura previsti Syriza avrà realizzato il 100% del suo programma presentato lo scorso autunno a Salonicco. Per quanto riguarda, poi, le collaborazioni post elettorali, l’ex ministro e candidato nelle liste del partito di Tsipras, Alekos Flambouraris, ha escluso qualunque ipotesi di alleanza di governo con il centrodestra, lasciando aperto uno spiraglio per una eventuale collaborazione con il Pasok o, eventualmente, con il Fiume: se ne parlerà «solo se il popolo greco dovesse dare una indicazione in questo senso» e nell’eventualità che «questi due partiti decidano di abbandonare le posizioni e le alleanze che sostengono le politiche neoliberiste». Tutto il mondo politico greco, infine, ha condannato con forza le ultime dichiarazioni del capo dei neonazisti di Alba Dorata, Nikos Michaloliakos, che ha dichiarato che il suo partito «assume la responsabilità politica di questo omicidio, ma non penale».
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Re: G R E C I A
il manifesto 18.9.15
La sfida di Tsipras: costruire una sinistra di governo
L’ex premier dovrà gestire il Memorandum con alleati scomodi come gli oligarchi di To Potami
E nel partito molti pensano che sarebbe meglio tornare all’opposizione
di Dimitri Deliolanes
Dalle urne di domenica non uscirà solo il nuovo governo greco ma molto di più. Il risultato sarà l’ennesima prova di forza tra il popolo greco e le forze neoliberiste che si sono impossessate dell’Unione Europea. La nuova affermazione di Alexis Tsipras — pur ferito e zoppicante per le botte incassate a luglio — non sarà uguale alla grandiosa vittoria del 25 gennaio, ma conterà in Europa. Il messaggio degli elettori verso Bruxelles e Berlino sarà chiaro: avete fatto di tutto per destabilizzare, frantumare e rovesciare questo governo indigesto e fastidioso ma noi non desistiamo e democraticamente, come abbiamo sempre fatto, ve lo sbattiamo di nuovo in faccia: se credete di aver chiuso i conti con i greci, vi sbagliate di grosso.
Certo, ad Atene il clima non ricorda per niente l’entusiamo e la speranza di gennaio. La destra di Nuova Democrazia ha rialzato la testa con un nuovo leader, più presentabile dell’estremista Samaras. Ma inutilmente Vanghelis Meimarakis cerca di presentarsi come un moderato innovatore. Tutti sanno che è espressione di quel sistema politico che ha ridotto il paese in queste condizioni e perfino lui personalmente ha grosse responsabilità, forse anche penali. Appena tre giorni fa la magistratura ha chiesto il rinvio a giudizio di numerosi esponenti delle forze armate accusati di corruzione proprio negli anni in cui Meimarakis era ministro della Difesa.
È difficile che Nuova Democrazia riesca a vincere, come fece nelle elezioni del 2012. A Syriza molti, scherzosamente, sussurrano che questa sarebbe la soluzione migliore, perché permetterebbe alla sinistra all’opposizione di superare tutti i suoi problemi. La verità è che questa eventualità sarebbe invece la tomba di ogni possibilità di cambiamento.
È una questione cruciale, sulla quale Syriza si è spaccata e che deve ora affrontare con grande coraggio e determinazione. La posta in gioco è semplice e complessa allo stesso tempo: creare e consolidare una sinistra di governo, dimostrare che Syriza può affrontare e anche risolvere i problemi creati dalla crisi e dalla disastrosa ricetta della troika. Perchè la verità è che solo la sinistra lo può fare, nessun altro.
Certo, la sconfitta di luglio deve essere una grande lezione per tutti. Bisogna riconoscere che l’avversario è potente non solo economicamente ma anche politicamente, che i rapporti di forza a livello europeo ci sono sfavorevoli e che le battaglie si danno non per mera testimonianza ma per vincerle.
Come succede sempre più spesso in Syriza negli ultimi anni, da quando cioè ha smesso di essere una formazione minoritaria ai margini della vita politica, quello che sembra di aver compreso più di tutti la lezione è lo stesso Tsipras. Se, come io credo, Syriza riuscirà ad affermarsi di nuovo domenica, sarà opera quasi esclusivamente del leader. Il partito continua a marciare con i ritmi del secolo scorso e questo spiega anche il forte impatto che ha avuto al suo interno la scissione con i dissidenti, ora raggruppati in Unità Popolare. Questa formazione, ironia della storia, probabilmente otterrà quel 3–4 per cento che Syriza avava prima della crisi: sono quelli che non hanno mai visto di buon occhio la vocazione maggioritaria del leader.
Tsipras invece parla a quei milioni che hanno creduto in lui a gennaio e che oggi sono delusi, confusi e frastornati. Vuole convincerli che perdere una battaglia non è perdere la guerra e che ci sono ancora tante battaglie da dare ma da posizioni di forza, guidando il governo. Per archiviaree una volta per tutte il vecchio sistema politico.
Non è un argomento che si presti a una campagna elettorale. Ma il premier uscente ha riconosciuto con grande onestà i propri errori e la maggioranza del suo elettorato ha seguito giorno dopo giorno la dura trattativa e sa cos’è successo. Ci saranno certo defezioni, specialmente degli elettori conservatori, e anche molti giovani scoraggiati rinunceranno al voto. Ma bisognava vederlo questo giovane leader, duramente provato nel fisico, ingrassato, con l’herpes, battere una piazza dopo l’altra e dare un’intervista dopo l’altra per affermare la sua verità: che non ha tradito le speranze popolari, che è ancora lui l’unico leader politico in grado di dare una prospettiva credibile al paese.
La sfida per la sinistra di governo sarà ancora più impegnativa nel caso, molto probabile, che Tsipras vinca le elezioni ma sia costretto ad allearsi. Questa volta non saranno solo fedeli compagni dei Greci Indipendenti, ma bisognerà ricorrere anche alle forze minori dello schieramento pro– troika, come To Potami. Il leader di Syriza volte sfruttare gli interstizi del nuovo memorandum per puntare a una più equa distribuzione del peso dell’austerità e avere al suo fianco un partito di ispirazione oligarchica non renderà certo le cose più facili. Ma è proprio su questo terreno che dovrà misurarsi la capacità politica della sinistra di governo.
La sfida di Tsipras: costruire una sinistra di governo
L’ex premier dovrà gestire il Memorandum con alleati scomodi come gli oligarchi di To Potami
E nel partito molti pensano che sarebbe meglio tornare all’opposizione
di Dimitri Deliolanes
Dalle urne di domenica non uscirà solo il nuovo governo greco ma molto di più. Il risultato sarà l’ennesima prova di forza tra il popolo greco e le forze neoliberiste che si sono impossessate dell’Unione Europea. La nuova affermazione di Alexis Tsipras — pur ferito e zoppicante per le botte incassate a luglio — non sarà uguale alla grandiosa vittoria del 25 gennaio, ma conterà in Europa. Il messaggio degli elettori verso Bruxelles e Berlino sarà chiaro: avete fatto di tutto per destabilizzare, frantumare e rovesciare questo governo indigesto e fastidioso ma noi non desistiamo e democraticamente, come abbiamo sempre fatto, ve lo sbattiamo di nuovo in faccia: se credete di aver chiuso i conti con i greci, vi sbagliate di grosso.
Certo, ad Atene il clima non ricorda per niente l’entusiamo e la speranza di gennaio. La destra di Nuova Democrazia ha rialzato la testa con un nuovo leader, più presentabile dell’estremista Samaras. Ma inutilmente Vanghelis Meimarakis cerca di presentarsi come un moderato innovatore. Tutti sanno che è espressione di quel sistema politico che ha ridotto il paese in queste condizioni e perfino lui personalmente ha grosse responsabilità, forse anche penali. Appena tre giorni fa la magistratura ha chiesto il rinvio a giudizio di numerosi esponenti delle forze armate accusati di corruzione proprio negli anni in cui Meimarakis era ministro della Difesa.
È difficile che Nuova Democrazia riesca a vincere, come fece nelle elezioni del 2012. A Syriza molti, scherzosamente, sussurrano che questa sarebbe la soluzione migliore, perché permetterebbe alla sinistra all’opposizione di superare tutti i suoi problemi. La verità è che questa eventualità sarebbe invece la tomba di ogni possibilità di cambiamento.
È una questione cruciale, sulla quale Syriza si è spaccata e che deve ora affrontare con grande coraggio e determinazione. La posta in gioco è semplice e complessa allo stesso tempo: creare e consolidare una sinistra di governo, dimostrare che Syriza può affrontare e anche risolvere i problemi creati dalla crisi e dalla disastrosa ricetta della troika. Perchè la verità è che solo la sinistra lo può fare, nessun altro.
Certo, la sconfitta di luglio deve essere una grande lezione per tutti. Bisogna riconoscere che l’avversario è potente non solo economicamente ma anche politicamente, che i rapporti di forza a livello europeo ci sono sfavorevoli e che le battaglie si danno non per mera testimonianza ma per vincerle.
Come succede sempre più spesso in Syriza negli ultimi anni, da quando cioè ha smesso di essere una formazione minoritaria ai margini della vita politica, quello che sembra di aver compreso più di tutti la lezione è lo stesso Tsipras. Se, come io credo, Syriza riuscirà ad affermarsi di nuovo domenica, sarà opera quasi esclusivamente del leader. Il partito continua a marciare con i ritmi del secolo scorso e questo spiega anche il forte impatto che ha avuto al suo interno la scissione con i dissidenti, ora raggruppati in Unità Popolare. Questa formazione, ironia della storia, probabilmente otterrà quel 3–4 per cento che Syriza avava prima della crisi: sono quelli che non hanno mai visto di buon occhio la vocazione maggioritaria del leader.
Tsipras invece parla a quei milioni che hanno creduto in lui a gennaio e che oggi sono delusi, confusi e frastornati. Vuole convincerli che perdere una battaglia non è perdere la guerra e che ci sono ancora tante battaglie da dare ma da posizioni di forza, guidando il governo. Per archiviaree una volta per tutte il vecchio sistema politico.
Non è un argomento che si presti a una campagna elettorale. Ma il premier uscente ha riconosciuto con grande onestà i propri errori e la maggioranza del suo elettorato ha seguito giorno dopo giorno la dura trattativa e sa cos’è successo. Ci saranno certo defezioni, specialmente degli elettori conservatori, e anche molti giovani scoraggiati rinunceranno al voto. Ma bisognava vederlo questo giovane leader, duramente provato nel fisico, ingrassato, con l’herpes, battere una piazza dopo l’altra e dare un’intervista dopo l’altra per affermare la sua verità: che non ha tradito le speranze popolari, che è ancora lui l’unico leader politico in grado di dare una prospettiva credibile al paese.
La sfida per la sinistra di governo sarà ancora più impegnativa nel caso, molto probabile, che Tsipras vinca le elezioni ma sia costretto ad allearsi. Questa volta non saranno solo fedeli compagni dei Greci Indipendenti, ma bisognerà ricorrere anche alle forze minori dello schieramento pro– troika, come To Potami. Il leader di Syriza volte sfruttare gli interstizi del nuovo memorandum per puntare a una più equa distribuzione del peso dell’austerità e avere al suo fianco un partito di ispirazione oligarchica non renderà certo le cose più facili. Ma è proprio su questo terreno che dovrà misurarsi la capacità politica della sinistra di governo.
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Re: G R E C I A
il manifesto 18.9.15
L’ex ministro degli esteri Kotziàs: «Temiamo l’astensione»
Intervista. L’ex ministro degli Esteri Nikos Kotzias: «Non governeremo con Nea Democratia. Il problema non è conquistare i moderati, ma convincere gli indecisi, soprattutto i giovani delusi»
di Teodoro Andreadis Synghellakis
Chi sta lottando, anche se viene ferito, non smette di lottare», dichiara al manifesto Nikos Kotziàs, ministro degli esteri del governo di Alexis Tsipras. Candidato nella speciale “lista chiusa” proporzionale in cui vengono inseriti i nomi più autorevoli di ogni partito, Kotziàs è ben cosciente che il nemico principale da battere, per Syriza, è l’astensionismo e la tentazione dei giovani che hanno sostenuto il no al referendum di luglio, di non andare, domenica prossima, a votare. «Nei due anni passati, la destra greca ha ignorato la questione dei flussi migratori», sottolinea l’ex responsabile della diplomazia ellenica, il quale ribadisce anche che la Coalizione della sinistra radicale greca non governerà con Nuova Democrazia, e che continuerà, invece, a «sostenere i cittadini in forte difficoltà».
La campagna elettorale termina questa sera. Come l’ha vissuta e che previsione si sente di fare?
A mio parere, in questa tornata elettorale l’elemento più importante non è conquistare gli elettori moderati, come qualcuno dice, intendendo un numero importante di elettori che potrebbe essere indeciso se votare Syriza o Nuova Democrazia. Quello che ci interessa maggiormente è convincere i cittadini che a gennaio hanno votato Syriza, che a luglio hanno votato no al referendum, e che oggi sono indecisi tra votare Syriza o scegliere l’astensione. Una gran parte di queste persone sono giovani che hanno acquisito una forte coscienza politica attraverso il no, che non sempre hanno compreso le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare e ora sono dibattuti tra il sostenerci e il non andare a votare. Negli anni della crisi i giovani non avevano preso parte alle iniziative della società civile con il dinamismo che ci saremmo aspettati. Il referendum, invece, è riuscito a politicizzare una grandissima parte della nuova generazione, cosa che non era mai successa nel corso degli ultimi dieci anni. Purtroppo, non è bastato questo no, espresso dal 61 per cento dei greci, per risolvere tutti i problemi. Credo che anche i giovani, accumulando una serie di esperienze politiche, capiranno che la nostra lotta diventa più complessa, con un orizzonte temporale più lungo, e richiede molta resistenza e grande determinazione.
Lei è un diplomatico esperto ed è stato a capo del ministero degli esteri. Come vede la grande questione dell’immigrazione, su cui l’Europa non trova un accordo e che costituisce anche uno dei principali punti di scontro tra Syriza e Nuova Democrazia?
Già da febbraio avevo posto con forza, nella riunione dei ministri degli esteri dell’Unione, la questione di un nuovo approccio ai flussi migratori, e c’è stato chi ha detto che volevo impedire all’Europa di affrontare i suoi grandi problemi. Ci sono stati anche grandi giornali italiani che hanno scritto, addirittura, che volevamo ricattare l’Europa con i migranti. Oggi l’Ue, che non ci ha dato ascolto, affronta questo enorme problema con un fortissimo ritardo. Purtroppo manca una strategia complessiva, per comprendere dove stiamo andando e come devono essere trattate le grandi questioni geopolitiche. Bisogna ricordare, poi, che l’Onu sosteneva i campi profughi in Libano, in Giordania, e anche al confine tra Siria e Turchia. Ma le Nazioni Unite stanno affrontando una evidente crisi economica, non ricevono più finanziamenti adeguati e hanno ridotto in modo drastico i loro aiuti a profughi e rifugiati. Centinaia di migliaia di persone che si trovavano in questi campi hanno chiesto, quindi, aiuto all’Europa, arrivando nei nostri paesi. La destra greca deve abbassare subito i toni e deve comprendere la dimensione europea e internazionale di questo problema.
Sinora non è successo?
Certo che no. In più Nuova Democrazia, malgrado gli arrivi di migranti e profughi sulle nostre isole siano aumentati sensibilmente già da due anni, a causa della guerra in Siria, quando era al governo non ha preso assolutamente nessuna iniziativa e non ha neanche proceduto a una registrazione delle dimensioni del fenomeno, che avremmo potuto presentare in modo ufficiale. Negli ultimi sei mesi abbiamo dovuto creare il quadro istituzionale richiesto dall’Unione europea per poter avere dei finanziamenti. Vorrei fare, poi, anche una considerazione più generale: ci sono paesi che decidono di scatenare le guerre e popoli di altri paesi che, senza avere nessuna responsabilità, ne pagano le conseguenze. Dobbiamo lavorare per delle soluzioni che tengano conto dei problemi sociali e geopolitici di queste aree, per prevenire nuovi esodi di profughi e migranti in futuro.
Come vede gli equilibri e le alleanze post-elettorali, nel caso in cui Syriza non dovesse riuscire ad assicurarsi la maggioranza assoluta dei seggi?
I signori che accusano Syriza di essere pronta, in realtà, a formare un governo con Nuova Democrazia — è una menzogna, e lo ha detto molto chiaramente Alexis Tsipras e anche io nei miei interventi — sono gli stessi che nel 1989 hanno preparato e imposto la coabitazione al governo di Nuova Democrazia con la sinistra di allora, il Synaspismòs. Bisognerebbe vergognarsi a sostenere simili cose, mi verrebbe da dirgli «Vergogna, o Argivi», come scrivevano anche i nostri antenati. In questo momento, comunque, il problema principale non sono le alleanze post-elettorali, la questione fondamentale è che Syriza deve compiere, in queste ore che ci rimangono fino all’apertura dei seggi, un grande sforzo per far arrivare il suo messaggio a tutti gli elettori, per rendere certa e rafforzare la vittoria, puntando sulle misure che aiuteranno realmente i cittadini greci, e che li convinceranno a sostenerci anche questa volta.
Pensa, quindi, che ci sia realmente lo spazio di manovra per gestire il compromesso con i creditori, senza far ricadere il peso maggiore dei sacrifici sulle classi sociali più deboli?
Sì. Ad esempio, nel corso della durissima trattativa di Bruxelles siamo riusciti a far rimanere sotto il controllo pubblico una parte delle infrastrutture e del personale della società greca di energia elettrica, come anche la gestione della rete. Il nostro ottimismo, quindi, è realistico. Continueremo a sostenere i cittadini in forte difficoltà, con aiuti per poter comprare gli alimenti, per pagare l’affitto, per potersi assicurare il riscaldamento. Per gli agricoltori, poi, Alexis Tsipras ha appena annunciato un programma che partirà quest’anno e si concluderà nel 2020 e che mira ad aiutarli con misure concrete.
Syriza è ancora in grado di rivendicare la sua diversità, quella di una forza di sinistra, in una Europa governata dai socialisti e dai partiti di centrodestra?
Deve assolutamente farlo, e dobbiamo tutti tenere a mente, comprendere profondamente una cosa: chi sta lottando, anche se viene ferito, non smette di lottare.
Cosa dice a chi è indeciso se votare Syriza o Unità Popolare, creata dai suoi ex compagni di partito che hanno deciso di percorrere una strada diversa?
Non credo che, ormai, ci siano molti indecisi in questo senso. Sono appena stato a Sèrres, nella Grecia settentrionale. Anche li, come in tutti gli ultimi giorni, i cittadini con cui ho parlato, e mi hanno detto di essersi convinti a votare Unità Popolare, sono davvero pochi. A chi è tentato di astenersi, dico che il non voto corrisponde a due voti in favore della destra: con l’indebolimento di Syriza, una forza realmente alternativa, ed il sostegno indiretto fornito ai conservatori, a chi non ha fatto nulla per cambiare la Grecia.
L’ex ministro degli esteri Kotziàs: «Temiamo l’astensione»
Intervista. L’ex ministro degli Esteri Nikos Kotzias: «Non governeremo con Nea Democratia. Il problema non è conquistare i moderati, ma convincere gli indecisi, soprattutto i giovani delusi»
di Teodoro Andreadis Synghellakis
Chi sta lottando, anche se viene ferito, non smette di lottare», dichiara al manifesto Nikos Kotziàs, ministro degli esteri del governo di Alexis Tsipras. Candidato nella speciale “lista chiusa” proporzionale in cui vengono inseriti i nomi più autorevoli di ogni partito, Kotziàs è ben cosciente che il nemico principale da battere, per Syriza, è l’astensionismo e la tentazione dei giovani che hanno sostenuto il no al referendum di luglio, di non andare, domenica prossima, a votare. «Nei due anni passati, la destra greca ha ignorato la questione dei flussi migratori», sottolinea l’ex responsabile della diplomazia ellenica, il quale ribadisce anche che la Coalizione della sinistra radicale greca non governerà con Nuova Democrazia, e che continuerà, invece, a «sostenere i cittadini in forte difficoltà».
La campagna elettorale termina questa sera. Come l’ha vissuta e che previsione si sente di fare?
A mio parere, in questa tornata elettorale l’elemento più importante non è conquistare gli elettori moderati, come qualcuno dice, intendendo un numero importante di elettori che potrebbe essere indeciso se votare Syriza o Nuova Democrazia. Quello che ci interessa maggiormente è convincere i cittadini che a gennaio hanno votato Syriza, che a luglio hanno votato no al referendum, e che oggi sono indecisi tra votare Syriza o scegliere l’astensione. Una gran parte di queste persone sono giovani che hanno acquisito una forte coscienza politica attraverso il no, che non sempre hanno compreso le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare e ora sono dibattuti tra il sostenerci e il non andare a votare. Negli anni della crisi i giovani non avevano preso parte alle iniziative della società civile con il dinamismo che ci saremmo aspettati. Il referendum, invece, è riuscito a politicizzare una grandissima parte della nuova generazione, cosa che non era mai successa nel corso degli ultimi dieci anni. Purtroppo, non è bastato questo no, espresso dal 61 per cento dei greci, per risolvere tutti i problemi. Credo che anche i giovani, accumulando una serie di esperienze politiche, capiranno che la nostra lotta diventa più complessa, con un orizzonte temporale più lungo, e richiede molta resistenza e grande determinazione.
Lei è un diplomatico esperto ed è stato a capo del ministero degli esteri. Come vede la grande questione dell’immigrazione, su cui l’Europa non trova un accordo e che costituisce anche uno dei principali punti di scontro tra Syriza e Nuova Democrazia?
Già da febbraio avevo posto con forza, nella riunione dei ministri degli esteri dell’Unione, la questione di un nuovo approccio ai flussi migratori, e c’è stato chi ha detto che volevo impedire all’Europa di affrontare i suoi grandi problemi. Ci sono stati anche grandi giornali italiani che hanno scritto, addirittura, che volevamo ricattare l’Europa con i migranti. Oggi l’Ue, che non ci ha dato ascolto, affronta questo enorme problema con un fortissimo ritardo. Purtroppo manca una strategia complessiva, per comprendere dove stiamo andando e come devono essere trattate le grandi questioni geopolitiche. Bisogna ricordare, poi, che l’Onu sosteneva i campi profughi in Libano, in Giordania, e anche al confine tra Siria e Turchia. Ma le Nazioni Unite stanno affrontando una evidente crisi economica, non ricevono più finanziamenti adeguati e hanno ridotto in modo drastico i loro aiuti a profughi e rifugiati. Centinaia di migliaia di persone che si trovavano in questi campi hanno chiesto, quindi, aiuto all’Europa, arrivando nei nostri paesi. La destra greca deve abbassare subito i toni e deve comprendere la dimensione europea e internazionale di questo problema.
Sinora non è successo?
Certo che no. In più Nuova Democrazia, malgrado gli arrivi di migranti e profughi sulle nostre isole siano aumentati sensibilmente già da due anni, a causa della guerra in Siria, quando era al governo non ha preso assolutamente nessuna iniziativa e non ha neanche proceduto a una registrazione delle dimensioni del fenomeno, che avremmo potuto presentare in modo ufficiale. Negli ultimi sei mesi abbiamo dovuto creare il quadro istituzionale richiesto dall’Unione europea per poter avere dei finanziamenti. Vorrei fare, poi, anche una considerazione più generale: ci sono paesi che decidono di scatenare le guerre e popoli di altri paesi che, senza avere nessuna responsabilità, ne pagano le conseguenze. Dobbiamo lavorare per delle soluzioni che tengano conto dei problemi sociali e geopolitici di queste aree, per prevenire nuovi esodi di profughi e migranti in futuro.
Come vede gli equilibri e le alleanze post-elettorali, nel caso in cui Syriza non dovesse riuscire ad assicurarsi la maggioranza assoluta dei seggi?
I signori che accusano Syriza di essere pronta, in realtà, a formare un governo con Nuova Democrazia — è una menzogna, e lo ha detto molto chiaramente Alexis Tsipras e anche io nei miei interventi — sono gli stessi che nel 1989 hanno preparato e imposto la coabitazione al governo di Nuova Democrazia con la sinistra di allora, il Synaspismòs. Bisognerebbe vergognarsi a sostenere simili cose, mi verrebbe da dirgli «Vergogna, o Argivi», come scrivevano anche i nostri antenati. In questo momento, comunque, il problema principale non sono le alleanze post-elettorali, la questione fondamentale è che Syriza deve compiere, in queste ore che ci rimangono fino all’apertura dei seggi, un grande sforzo per far arrivare il suo messaggio a tutti gli elettori, per rendere certa e rafforzare la vittoria, puntando sulle misure che aiuteranno realmente i cittadini greci, e che li convinceranno a sostenerci anche questa volta.
Pensa, quindi, che ci sia realmente lo spazio di manovra per gestire il compromesso con i creditori, senza far ricadere il peso maggiore dei sacrifici sulle classi sociali più deboli?
Sì. Ad esempio, nel corso della durissima trattativa di Bruxelles siamo riusciti a far rimanere sotto il controllo pubblico una parte delle infrastrutture e del personale della società greca di energia elettrica, come anche la gestione della rete. Il nostro ottimismo, quindi, è realistico. Continueremo a sostenere i cittadini in forte difficoltà, con aiuti per poter comprare gli alimenti, per pagare l’affitto, per potersi assicurare il riscaldamento. Per gli agricoltori, poi, Alexis Tsipras ha appena annunciato un programma che partirà quest’anno e si concluderà nel 2020 e che mira ad aiutarli con misure concrete.
Syriza è ancora in grado di rivendicare la sua diversità, quella di una forza di sinistra, in una Europa governata dai socialisti e dai partiti di centrodestra?
Deve assolutamente farlo, e dobbiamo tutti tenere a mente, comprendere profondamente una cosa: chi sta lottando, anche se viene ferito, non smette di lottare.
Cosa dice a chi è indeciso se votare Syriza o Unità Popolare, creata dai suoi ex compagni di partito che hanno deciso di percorrere una strada diversa?
Non credo che, ormai, ci siano molti indecisi in questo senso. Sono appena stato a Sèrres, nella Grecia settentrionale. Anche li, come in tutti gli ultimi giorni, i cittadini con cui ho parlato, e mi hanno detto di essersi convinti a votare Unità Popolare, sono davvero pochi. A chi è tentato di astenersi, dico che il non voto corrisponde a due voti in favore della destra: con l’indebolimento di Syriza, una forza realmente alternativa, ed il sostegno indiretto fornito ai conservatori, a chi non ha fatto nulla per cambiare la Grecia.
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Re: G R E C I A
Domenica prossima alle urne
Corriere 18.9.15
i paradossi di Syriza ex partito di lotta riformista riluttante
Il bivio di Tsipras
Se perde tornerà a fare opposizione alla troika Se vince andrà al potere con formazioni minori
di Marco Imarisio
La Grecia si sarebbe risparmiata volentieri il quarto voto in tre anni. Dopo i mesi più agitati della storia recente, con l’effimera esaltazione per il referendum, i brutali negoziati a Bruxelles e le notti bianche in Parlamento per approvare il nuovo accordo con l’Europa, nessuno sentiva il bisogno di ulteriori scossoni. Ma non è solo per questo che i gazebo dei partiti nel centro di Atene sono desolatamente vuoti e in giro si vedono pochi cartelloni elettorali.
Quel che doveva essere è stato, lo sanno tutti. Il futuro prossimo di un Paese dove un terzo della popolazione vive sotto la soglia della povertà si è deciso in questa drammatica estate. Con il pericolo dell’uscita dall’euro e di un suo crollo ormai scongiurato, l’emergenza greca è uscita in fretta dalle luci della ribalta mediatica. Il resto erano e sono questioni di politica interna, come queste elezioni, dove il vincitore non avrà molti onori ma piuttosto l’onere di un terzo memorandum e delle conseguenti riforme da far digerire ai suoi compatrioti. La scelta non è tra due alternative di governo, come sempre dovrebbe essere, ma riguarda soltanto la composizione della maggioranza che sarà chiamata a tenere fede agli impegni sottoscritti con l’Unione europea in cambio del nuovo prestito da 86 miliardi.
Anche la sorte di Alexis Tsipras e di quel progetto politico di sinistra al tempo stesso radicale e di governo chiamato Syriza sembra interessare più all’estero che in patria. Le scosse di quel luglio turbolento avevano spaccato il partito e minato la sua maggioranza di governo. Quando alla fine di luglio convocò le elezioni ottenne applausi per la mossa sagace, ispirata da un notevole realismo. La sua popolarità era alle stelle, e per quanto divisa Syriza si trovava 10 punti sopra il più diretto concorrente. Ma in un Paese così provato dalla crisi e dall’ottovolante emotivo al quale è stato sottoposto negli ultimi tempi, il vento gira in fretta. Syriza viene data alla pari o addirittura appena dietro Nea Demokratia, il partito di centrodestra da sempre favorevole all’accordo con Bruxelles e fornitore di voti per l’approvazione dell’ultimo memorandum.
I sondaggi greci hanno lo stesso valore di quelli nostrani, l’affidabilità non è il loro requisito primario. Eppure qualcosa nella percezione della figura di Tsipras è cambiato, almeno a casa sua. La trasformazione da utopico tribuno a pragmatico uomo di governo comporta un prezzo da pagare. L’entusiasmo nei confronti dell’ex golden boy della sinistra europea è ai minimi termini tra i sostenitori della prima ora. Nelle elezioni dello scorso gennaio il suo trionfo doveva molto al voto dei giovani, attirati dal suo radicalismo. Appena nove mesi fa, il Fondo monetario internazionale era una banda di criminali, la Germania doveva rifondere i debiti di guerra, mentre la Grecia mai avrebbe accettato le ingerenze della famigerata troika mandata dai burocrati di Bruxelles a vigilare sul debito pubblico.
Adesso Tsipras è di gran lunga il male minore che si augura l’Europa, non solo per una questione di continuità. In caso di sconfitta Syriza e il suo leader nel giro di poche settimane diventerebbero strenui oppositori del memorandum, tornando a seguire un’indole che certo non è diventata riformista per convinzione ma solo per causa di forza maggiore. La sua vittoria invece avrebbe come indiretta conseguenza la finta opposizione di Nea Demokratia e degli altri partiti favorevoli all’accordo con il fronte del No ridotto ai fuoriusciti di Syriza e ai nazisti di Alba Dorata, previsti al 6 per cento come nello scorso gennaio, e se fosse confermata questa mancata progressione sarebbe una prima buona notizia proveniente dalla Grecia.
Alla fine è probabile che non vinca nessuno. Sondaggi alla mano, la maggioranza di 151 seggi è quasi impossibile per Syriza, come lo fu anche alle ultime elezioni, quando il partito si presentò unito e con in poppa il vento della sua diversità rispetto a un panorama di macerie. Oggi l’elogio estivo di Tsipras e del suo coraggio nell’accettare un compromesso imposto da Bruxelles sembra aver lasciato il passo a un condiviso sentimento di sfiducia, con il classico «sono tutti uguali» a fare da rumore di fondo. In tempi così difficili un governo di unità nazionale tra due partiti che dicono la stessa cosa avrebbe una sua logica e servirebbe almeno a dividere le responsabilità. Ma una alleanza con Nea Demokratia, al governo dal 2004 al 2008, artefice di un boom economico fasullo come una moneta di cioccolato, sarebbe davvero troppo per i militanti di Syriza. La frattura al suo interno diventerebbe insanabile. E infatti Tsipras ha rispedito al mittente le offerte interessate di Vangelis Meimarakis, leader a tempo di Nea Demokratia, un partito che sembrava allo sbando e invece appare risorto proprio grazie alla debolezza altrui.
Tra paradossi nonché corsi e ricorsi storici, domenica sera la Grecia potrebbe ritrovarsi con un governo simile a quello che aveva appena lasciato, Syriza insieme a 2-3 partiti minori. In ogni caso, piccolo cabotaggio su una strada già segnata. I furori e le speranze dello scorso gennaio non abitano più qui. E l’apparente normalità di queste elezioni rappresenta forse il primo segnale di una nuova fase, ma non basta per ridare spinta ed entusiasmo a un Paese sempre più disilluso.
Corriere 18.9.15
i paradossi di Syriza ex partito di lotta riformista riluttante
Il bivio di Tsipras
Se perde tornerà a fare opposizione alla troika Se vince andrà al potere con formazioni minori
di Marco Imarisio
La Grecia si sarebbe risparmiata volentieri il quarto voto in tre anni. Dopo i mesi più agitati della storia recente, con l’effimera esaltazione per il referendum, i brutali negoziati a Bruxelles e le notti bianche in Parlamento per approvare il nuovo accordo con l’Europa, nessuno sentiva il bisogno di ulteriori scossoni. Ma non è solo per questo che i gazebo dei partiti nel centro di Atene sono desolatamente vuoti e in giro si vedono pochi cartelloni elettorali.
Quel che doveva essere è stato, lo sanno tutti. Il futuro prossimo di un Paese dove un terzo della popolazione vive sotto la soglia della povertà si è deciso in questa drammatica estate. Con il pericolo dell’uscita dall’euro e di un suo crollo ormai scongiurato, l’emergenza greca è uscita in fretta dalle luci della ribalta mediatica. Il resto erano e sono questioni di politica interna, come queste elezioni, dove il vincitore non avrà molti onori ma piuttosto l’onere di un terzo memorandum e delle conseguenti riforme da far digerire ai suoi compatrioti. La scelta non è tra due alternative di governo, come sempre dovrebbe essere, ma riguarda soltanto la composizione della maggioranza che sarà chiamata a tenere fede agli impegni sottoscritti con l’Unione europea in cambio del nuovo prestito da 86 miliardi.
Anche la sorte di Alexis Tsipras e di quel progetto politico di sinistra al tempo stesso radicale e di governo chiamato Syriza sembra interessare più all’estero che in patria. Le scosse di quel luglio turbolento avevano spaccato il partito e minato la sua maggioranza di governo. Quando alla fine di luglio convocò le elezioni ottenne applausi per la mossa sagace, ispirata da un notevole realismo. La sua popolarità era alle stelle, e per quanto divisa Syriza si trovava 10 punti sopra il più diretto concorrente. Ma in un Paese così provato dalla crisi e dall’ottovolante emotivo al quale è stato sottoposto negli ultimi tempi, il vento gira in fretta. Syriza viene data alla pari o addirittura appena dietro Nea Demokratia, il partito di centrodestra da sempre favorevole all’accordo con Bruxelles e fornitore di voti per l’approvazione dell’ultimo memorandum.
I sondaggi greci hanno lo stesso valore di quelli nostrani, l’affidabilità non è il loro requisito primario. Eppure qualcosa nella percezione della figura di Tsipras è cambiato, almeno a casa sua. La trasformazione da utopico tribuno a pragmatico uomo di governo comporta un prezzo da pagare. L’entusiasmo nei confronti dell’ex golden boy della sinistra europea è ai minimi termini tra i sostenitori della prima ora. Nelle elezioni dello scorso gennaio il suo trionfo doveva molto al voto dei giovani, attirati dal suo radicalismo. Appena nove mesi fa, il Fondo monetario internazionale era una banda di criminali, la Germania doveva rifondere i debiti di guerra, mentre la Grecia mai avrebbe accettato le ingerenze della famigerata troika mandata dai burocrati di Bruxelles a vigilare sul debito pubblico.
Adesso Tsipras è di gran lunga il male minore che si augura l’Europa, non solo per una questione di continuità. In caso di sconfitta Syriza e il suo leader nel giro di poche settimane diventerebbero strenui oppositori del memorandum, tornando a seguire un’indole che certo non è diventata riformista per convinzione ma solo per causa di forza maggiore. La sua vittoria invece avrebbe come indiretta conseguenza la finta opposizione di Nea Demokratia e degli altri partiti favorevoli all’accordo con il fronte del No ridotto ai fuoriusciti di Syriza e ai nazisti di Alba Dorata, previsti al 6 per cento come nello scorso gennaio, e se fosse confermata questa mancata progressione sarebbe una prima buona notizia proveniente dalla Grecia.
Alla fine è probabile che non vinca nessuno. Sondaggi alla mano, la maggioranza di 151 seggi è quasi impossibile per Syriza, come lo fu anche alle ultime elezioni, quando il partito si presentò unito e con in poppa il vento della sua diversità rispetto a un panorama di macerie. Oggi l’elogio estivo di Tsipras e del suo coraggio nell’accettare un compromesso imposto da Bruxelles sembra aver lasciato il passo a un condiviso sentimento di sfiducia, con il classico «sono tutti uguali» a fare da rumore di fondo. In tempi così difficili un governo di unità nazionale tra due partiti che dicono la stessa cosa avrebbe una sua logica e servirebbe almeno a dividere le responsabilità. Ma una alleanza con Nea Demokratia, al governo dal 2004 al 2008, artefice di un boom economico fasullo come una moneta di cioccolato, sarebbe davvero troppo per i militanti di Syriza. La frattura al suo interno diventerebbe insanabile. E infatti Tsipras ha rispedito al mittente le offerte interessate di Vangelis Meimarakis, leader a tempo di Nea Demokratia, un partito che sembrava allo sbando e invece appare risorto proprio grazie alla debolezza altrui.
Tra paradossi nonché corsi e ricorsi storici, domenica sera la Grecia potrebbe ritrovarsi con un governo simile a quello che aveva appena lasciato, Syriza insieme a 2-3 partiti minori. In ogni caso, piccolo cabotaggio su una strada già segnata. I furori e le speranze dello scorso gennaio non abitano più qui. E l’apparente normalità di queste elezioni rappresenta forse il primo segnale di una nuova fase, ma non basta per ridare spinta ed entusiasmo a un Paese sempre più disilluso.
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Re: G R E C I A
il manifesto 19.9.15
Grecia, restare sul ring per tenere aperta la possibilità dell’alternativa
Tsipras e Iglesias ad Atene nel luglio scorso
di Luciana Castellina
Non sono greca e perciò domenica non voto.Tantomeno sono autorizzata a suggerire ai greci come votare. Ma non me la sento nemmeno di dire che questa mia astensione deriva dal fatto che i loro sono affari che non mi riguardano. Se un anno fa in tanti ci siamo ritrovati a sostenere (o meglio a costruire) una lista che si è chiamata l’«altra Europa con Tsipras» non è stato per via di una stravaganza modaiola, perchè Siryza stava vincendo e noi in Italia no. E’ stato perchè abbiamo capito che la partita che Alexis stava ingaggiando con i mostri dell’euro capitalismo era anche la nostra partita.
Per questo oggi, almeno virtualmente, votiamo anche noi. Come andrà a finire la vicenda greca riguarda tutti gli europei. Perché il governo di Syriza ha aperto, finalmente, un contenzioso di carattere generale su cosa debba e cosa non debba essere l’Unione Europea, una questione che è destinata a segnare il nostro futuro e dunque tutti ci coinvolge.
Fino al luglio scorso su quale fosse la nostra parte politica non ci sono stati dubbi. È facile quando le cose si sviluppano in modo lineare. Purtroppo, però, non accade quasi mai. Non è accaduto neppure in questo caso. Sappiamo tutti di cosa sto parlando: della rottura che si è verificata in Syriza per via di un diverso giudizio su un quesito reso drammatico dalle condizioni feroci in cui è stato posto: accettare, pur considerandolo tremendo, di gestire il memorandum che conteneva il diktat della Troika, sperando di riuscire ad evitare i danni peggiori, e cioè cercando di rendere almeno un po’ più equa la stupida austerità imposta, oppure rifiutare, e scegliere la strada impervia di una isolata uscita dall’Eurozona.
Io sono fra coloro che ritengono la scelta di Tsipras sacrosanta. L’uscita isolata dall’euro avrebbe avuto costi insostenibili per un paese che non è autosufficente in quasi nulla, che sarebbe stato comunque obbligato a ripagare il debito, che si sarebbe trovato nelle condizioni di non riuscire a far fronte alle esigenze più elementari di sopravvivenza.
Francamente il Piano B presentato da Varoufakis e l’opzione sostenuta da chi da Syriza ha pensato di doversene andare non mi convince.
Sono d’accordo con Tsipras non perchè ritengo si debba in ogni circostanza privilegiare lo stare al governo sebbene impotenti anzichè all’opposizione.
Ma perché quello su cui occorre decidere è quale delle due opzioni permette di accumulare più forza per costruire una alternativa reale. Per difficile che sia, nella concreta situazione greca, rinunciare a quel tanto di potere che ha anche un governo stretto dalla Troika lascerebbe il paese alla frustrazione e allo sbando.
Domenica non si vota per scegliere fra Piano A — cercare di gestire al meglio il Memorandum e prendere tempo — e Piano B, andarsene dall’Euro mandando al diavolo Bruxelles. Il conflitto su queste due possibili opzioni ha lacerato Syriza, ha diviso compagni con cui abbiamo lottato e cui ci legano amicizia e anche affetti di lunga data. È un dibattito legittimo, almeno fin quando non assume i toni rituali della peggior tradizione comunista: l’accusa reciproca di tradimento. È un dibattito che non è destinato ad esaurirsi il 20 di settembre.
Sebbene io condivida la scelta di Tsipras e della maggioranza di Syriza ritengo che l’opzione di porre fine alla moneta unica europea sia una discussione degna di attenzione. Se però si tratterà di una scelta condivisa da almeno un certo numero di governi e comunque da un forte schieramento politico sociale europeo; e da un progetto alternativo che non rischi di mandare all’aria, assieme all’Unione Monetaria, anche la speranza di una unione politica.
Di cui abbiamo bisogno se vogliamo ridare alla politica, e dunque a un controllo del mercato da parte dei cittadini, qualche speranza. Perché a livello nazionale non sarà mai più possibile, e a livello globale è illusorio, L’articolazione regionale che si chiama Europa è l’ultima possibilità che abbiamo: perchè si tratta di una dimensione ragionevole e perché questo territorio, nonostante tutti crimini che le sue classi dirigenti hanno perpetrato nei secoli, è anche e direi sopratutto, il continente dove la storia ha prodotto il più alto livello di lotte liberatorie e di conquiste sociali e politiche. Non è poco, e non vorrei mettere a rischio questo patrimonio che rappresenta una base solida da cui ripartire per ritrovarmi una pagliuzza dispersa nel globo. Per questo ritengo che si debba rimanere sul ring, e non andarsene come un pugile frustrato, cacciato dall’arroganza di Scheubele. Io domenica, col cuore, voto per Alexis. E lo voterei anche se fossi convinta che occorre uscire dall’Euro. Perchè ognuna delle due ipotesi ha bisogno che al governo in Grecia non torni la destra. Per lasciar aperta una speranza è necessario salvaguardare il primo governo di sinistra della Grecia, quello di Syriza.
Grecia, restare sul ring per tenere aperta la possibilità dell’alternativa
Tsipras e Iglesias ad Atene nel luglio scorso
di Luciana Castellina
Non sono greca e perciò domenica non voto.Tantomeno sono autorizzata a suggerire ai greci come votare. Ma non me la sento nemmeno di dire che questa mia astensione deriva dal fatto che i loro sono affari che non mi riguardano. Se un anno fa in tanti ci siamo ritrovati a sostenere (o meglio a costruire) una lista che si è chiamata l’«altra Europa con Tsipras» non è stato per via di una stravaganza modaiola, perchè Siryza stava vincendo e noi in Italia no. E’ stato perchè abbiamo capito che la partita che Alexis stava ingaggiando con i mostri dell’euro capitalismo era anche la nostra partita.
Per questo oggi, almeno virtualmente, votiamo anche noi. Come andrà a finire la vicenda greca riguarda tutti gli europei. Perché il governo di Syriza ha aperto, finalmente, un contenzioso di carattere generale su cosa debba e cosa non debba essere l’Unione Europea, una questione che è destinata a segnare il nostro futuro e dunque tutti ci coinvolge.
Fino al luglio scorso su quale fosse la nostra parte politica non ci sono stati dubbi. È facile quando le cose si sviluppano in modo lineare. Purtroppo, però, non accade quasi mai. Non è accaduto neppure in questo caso. Sappiamo tutti di cosa sto parlando: della rottura che si è verificata in Syriza per via di un diverso giudizio su un quesito reso drammatico dalle condizioni feroci in cui è stato posto: accettare, pur considerandolo tremendo, di gestire il memorandum che conteneva il diktat della Troika, sperando di riuscire ad evitare i danni peggiori, e cioè cercando di rendere almeno un po’ più equa la stupida austerità imposta, oppure rifiutare, e scegliere la strada impervia di una isolata uscita dall’Eurozona.
Io sono fra coloro che ritengono la scelta di Tsipras sacrosanta. L’uscita isolata dall’euro avrebbe avuto costi insostenibili per un paese che non è autosufficente in quasi nulla, che sarebbe stato comunque obbligato a ripagare il debito, che si sarebbe trovato nelle condizioni di non riuscire a far fronte alle esigenze più elementari di sopravvivenza.
Francamente il Piano B presentato da Varoufakis e l’opzione sostenuta da chi da Syriza ha pensato di doversene andare non mi convince.
Sono d’accordo con Tsipras non perchè ritengo si debba in ogni circostanza privilegiare lo stare al governo sebbene impotenti anzichè all’opposizione.
Ma perché quello su cui occorre decidere è quale delle due opzioni permette di accumulare più forza per costruire una alternativa reale. Per difficile che sia, nella concreta situazione greca, rinunciare a quel tanto di potere che ha anche un governo stretto dalla Troika lascerebbe il paese alla frustrazione e allo sbando.
Domenica non si vota per scegliere fra Piano A — cercare di gestire al meglio il Memorandum e prendere tempo — e Piano B, andarsene dall’Euro mandando al diavolo Bruxelles. Il conflitto su queste due possibili opzioni ha lacerato Syriza, ha diviso compagni con cui abbiamo lottato e cui ci legano amicizia e anche affetti di lunga data. È un dibattito legittimo, almeno fin quando non assume i toni rituali della peggior tradizione comunista: l’accusa reciproca di tradimento. È un dibattito che non è destinato ad esaurirsi il 20 di settembre.
Sebbene io condivida la scelta di Tsipras e della maggioranza di Syriza ritengo che l’opzione di porre fine alla moneta unica europea sia una discussione degna di attenzione. Se però si tratterà di una scelta condivisa da almeno un certo numero di governi e comunque da un forte schieramento politico sociale europeo; e da un progetto alternativo che non rischi di mandare all’aria, assieme all’Unione Monetaria, anche la speranza di una unione politica.
Di cui abbiamo bisogno se vogliamo ridare alla politica, e dunque a un controllo del mercato da parte dei cittadini, qualche speranza. Perché a livello nazionale non sarà mai più possibile, e a livello globale è illusorio, L’articolazione regionale che si chiama Europa è l’ultima possibilità che abbiamo: perchè si tratta di una dimensione ragionevole e perché questo territorio, nonostante tutti crimini che le sue classi dirigenti hanno perpetrato nei secoli, è anche e direi sopratutto, il continente dove la storia ha prodotto il più alto livello di lotte liberatorie e di conquiste sociali e politiche. Non è poco, e non vorrei mettere a rischio questo patrimonio che rappresenta una base solida da cui ripartire per ritrovarmi una pagliuzza dispersa nel globo. Per questo ritengo che si debba rimanere sul ring, e non andarsene come un pugile frustrato, cacciato dall’arroganza di Scheubele. Io domenica, col cuore, voto per Alexis. E lo voterei anche se fossi convinta che occorre uscire dall’Euro. Perchè ognuna delle due ipotesi ha bisogno che al governo in Grecia non torni la destra. Per lasciar aperta una speranza è necessario salvaguardare il primo governo di sinistra della Grecia, quello di Syriza.
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Re: G R E C I A
DAVIDE E GOLIA 2015,.......UN RACCONTO BIBLICO ROVESCIATO. HA VINTO GOLIA.
Io sono fra coloro che ritengono la scelta di Tsipras sacrosanta. L’uscita isolata dall’euro avrebbe avuto costi insostenibili per un paese che non è autosufficente in quasi nulla, che sarebbe stato comunque obbligato a ripagare il debito, che si sarebbe trovato nelle condizioni di non riuscire a far fronte alle esigenze più elementari di sopravvivenza.
Luciana Castellina
Tecnicamente vero. E' la stessa sorte che toccherebbe anche a noi se decidessimo di uscire dall'euro. E' una scelta che fa un popolo circa il suo destino futuro.
I greci hanno scelto di sopravvivere all'interno di un grande campo di concentramento a cielo aperto, controllato dai kapò della troika.
La Castellina cita gli 86 miliardi ricevuti dalla troika, ma solo 11 sono destinati al governo greco per cercare di risollevarsi.
Il resto è una partita di giro delle banche Ue e non solo per riportare a casa i soldi prestati compresi gli interessi.
Tutti sanno che i greci non verranno mai fuori da questa situazione di strozzinaggio.
Come noi non usciremo più dalla situazione di un enorme debito pubblico
provocato dalle pestilenziali cavallette delle prima e seconda Repubblica.
Io sono fra coloro che ritengono la scelta di Tsipras sacrosanta. L’uscita isolata dall’euro avrebbe avuto costi insostenibili per un paese che non è autosufficente in quasi nulla, che sarebbe stato comunque obbligato a ripagare il debito, che si sarebbe trovato nelle condizioni di non riuscire a far fronte alle esigenze più elementari di sopravvivenza.
Luciana Castellina
Tecnicamente vero. E' la stessa sorte che toccherebbe anche a noi se decidessimo di uscire dall'euro. E' una scelta che fa un popolo circa il suo destino futuro.
I greci hanno scelto di sopravvivere all'interno di un grande campo di concentramento a cielo aperto, controllato dai kapò della troika.
La Castellina cita gli 86 miliardi ricevuti dalla troika, ma solo 11 sono destinati al governo greco per cercare di risollevarsi.
Il resto è una partita di giro delle banche Ue e non solo per riportare a casa i soldi prestati compresi gli interessi.
Tutti sanno che i greci non verranno mai fuori da questa situazione di strozzinaggio.
Come noi non usciremo più dalla situazione di un enorme debito pubblico
provocato dalle pestilenziali cavallette delle prima e seconda Repubblica.
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Re: G R E C I A
Riecco l'esultanza dei frammenti della sinistra di fronte alle vittorie altrui.
Ma di che esulta? Per il fatto che Tsipras ha fatto fuori dal parlamento la sinistra radicale ex Syriza e riforma un governo con la destra nazionalista di Anel?
Effettivamente ha avuto il coraggio di contarsi e di far fuori la minoranza del suo partito.
Cosa che Renzi non ha voluto o potuto fare (a causa della legge elettorale in vigore)
L'unico forse a dirla giusta è Giachetti
Ma di che esulta? Per il fatto che Tsipras ha fatto fuori dal parlamento la sinistra radicale ex Syriza e riforma un governo con la destra nazionalista di Anel?
Effettivamente ha avuto il coraggio di contarsi e di far fuori la minoranza del suo partito.
Cosa che Renzi non ha voluto o potuto fare (a causa della legge elettorale in vigore)
L'unico forse a dirla giusta è Giachetti
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Re: G R E C I A
C'è chi ha sostenuto che Tsipras è un traditore, che ha virato di 180° rispetto alle promesse elettorali delle prime elezioni e chi invece pensa che la sua è stata una prova di saggio realismo politico e che sta cercando di fare al meglio gli interessi del suo paese.
La maggioranza dei greci sembra essere della seconda opinione, anche se c'è un quasi 50% di non votanti che esprimono un evidente malessere. E' un problema tutto loro, sul quale dall'esterno c'è poco da dire.
Quello che però è un irritante imbroglio è la riproposizione della falsa affermazione secondo cui grazie a Tsipras "un'altra Europa" sarebbe possibile.
Dove è finito questo progetto di "altra Europa" se mai c'è stato? Di che parlano Vendola ed altri come lui?
In questo Tsipras è uguale a Renzi ed agli altri governanti europei: faranno pure bene o male gli interessi dei rispettivi paesi, ma sull'Europa, su possibili nuove prospettive, non sanno o non vogliono dire nulla.
La maggioranza dei greci sembra essere della seconda opinione, anche se c'è un quasi 50% di non votanti che esprimono un evidente malessere. E' un problema tutto loro, sul quale dall'esterno c'è poco da dire.
Quello che però è un irritante imbroglio è la riproposizione della falsa affermazione secondo cui grazie a Tsipras "un'altra Europa" sarebbe possibile.
Dove è finito questo progetto di "altra Europa" se mai c'è stato? Di che parlano Vendola ed altri come lui?
In questo Tsipras è uguale a Renzi ed agli altri governanti europei: faranno pure bene o male gli interessi dei rispettivi paesi, ma sull'Europa, su possibili nuove prospettive, non sanno o non vogliono dire nulla.
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