SSSSSSSSINDACATO
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Re: SSSSSSSSINDACATO
IL FASCISMO DEL TERZO MILLENNIO
Colosseo, colpa del ministero: non aveva pagato i lavoratori
(TOMMASO RODANO)
20/09/2015 di triskel182
Sbloccati i fondi per saldare gli straordinari 2014/2015
Dopo gli attacchi, il dicastero delle Finanze liquida il dovuto. Gaffe del sottosegretario Barracciu che su Twitter accusa i lavoratori di “reato in senso lato”.
Attacco continuo Dopo l’assedio politico e la stretta sugli scioperi ci si ricorda del motivo della protesta: sbloccati i fondi per i salari.
Andrà a finire che l’assemblea dei “sindacalisti contro l’Italia” – copyright del presidente del Consiglio – sarà davvero servita a qualcosa. Proprio nel giorno della chiusura per tre ore del Colosseo, che tanto scandalo ha suscitato tra politici e osservatori nostrani, sono state magicamente liberate le risorse che servono a pagare gli straordinari dei lavoratori in agitazione.
L’annuncio l’ha dato Claudio Meloni,coordinatore Cgil presso il ministero dei Beni culturali: “Venerdì, in singolare coincidenza con l’assemblea sindacale in alcuni siti, è arrivato lo sblocco dei fondi per pagare i salari accessori di tutti lavoratori del Mibact per il 2014 e per il 2015”.
Un intervento, se confermato,che andrà a sanare una situazione che si trascinava da 11 mesi e che non riguarda solo i lavoratori dei siti archeologici rimasti chiusi ieri a Roma (oltre al Colosseo, Fori Traienei, Terme di Diocleziano, Terme di Caracalla, Tomba di Cecilia Metella, scavi di Ostia antica), ma gli impiegati delle Soprintendenze dei Beni culturali in tutto il Paese.
GIÀ, PERCHÉ QUELLO che nessuno pare essersi chiesto, nel giorno del grande scandalo del Colosseo chiuso, sono le ragioni di chi ha convocato l’assemblea sindacale. Il “salario accessorio”, sistematicamente dimenticato nelle buste paga dei lavoratori del Mibact a partire da ottobre 2014, comprende una serie di voci che corrispondono ad altrettante prestazioni lavorative: turnazioni animeridiane, pomeridiane, notturne; festivi e superfestivi; aperture straordinarie (come quella del primo maggio); indennità pro capite per i progetti di produttività ed efficienza (ovvero l’ampliamento degli orari giornalieri per far fronte alla carenza di personale). Sui giornali, per semplificare, sono definiti “straordinari”. Si tratta di una parte consistente dello stipendio mensile dei lavoratori dei Beni culturali. “Io sono impiegato di seconda area, livello F3 – spiega Domenico Blasi dell’Usb – ho una retribuzione mediamente piuttosto alta rispetto a tanti colleghi. Nella mia busta paga a fine mese ci sono 1.340 euro. Mi pare evidente che la nostra preoccupazione non è difendere privilegi assurdi, non siamo ricchi. Chiediamo che ci venga pagato il lavoro che abbiamo fatto. All’appello mancano centinaia dieuroognimese,daunanno.A volte un terzo dello stipendio”. IN QUESTI MESI – dopo l’accordo tra sindacati e Mibact di fine 2015–i fondi destinati al salario accessorio sono stati trattenuti dal ministero delle Finanze. “Le ragioni del blocco–aggiunge Salvatore Chiaramonte della Cgil– non ce le hanno mai spiegate”. Il problema era ben noto ai Beni culturali e al ministro Franceschini. Come era nota pure la data dell’assemblea di protesta , comunicata il 12 settembre, con una settimana d’anticipo. Lo stesso Franceschini – si apprende dalla Stampa – aveva avuto un colloquio con il presidente della Repubblica giovedì, il giorno prima dei “disagi”, nel quale avrebbe anticipato a Sergio Mattarella la preoccupazione per i fatti del Colosseo.Fatto sta che la reazione del governo è stata prontissima. Prima le dichiarazioni (“la misura è colma” di Franceschini, “cultura ostaggio dei sindacalisti” di Renzi) e poi il decreto portatoinconsigliodeiministri in quattro e quattro otto, accolto dalla stampa tra squilli di trombe. Ora i servizi museali sono equiparati a quelli pubblici essenziali: i lavoratori del Colosseo – per capirci – saranno sottoposti alla stessa disciplina di infermieri e pompieri, con una stretta sul diritto di sciopero. IERI, POI, IL TESORO ha aperto i cordoni e ha sbloccato i fondi con cui dovrebbero essere saldati i conti con i lavoratori (“entro un paio di mesi”, secondo la Cgil).
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 20/09/2015.
Colosseo, colpa del ministero: non aveva pagato i lavoratori
(TOMMASO RODANO)
20/09/2015 di triskel182
Sbloccati i fondi per saldare gli straordinari 2014/2015
Dopo gli attacchi, il dicastero delle Finanze liquida il dovuto. Gaffe del sottosegretario Barracciu che su Twitter accusa i lavoratori di “reato in senso lato”.
Attacco continuo Dopo l’assedio politico e la stretta sugli scioperi ci si ricorda del motivo della protesta: sbloccati i fondi per i salari.
Andrà a finire che l’assemblea dei “sindacalisti contro l’Italia” – copyright del presidente del Consiglio – sarà davvero servita a qualcosa. Proprio nel giorno della chiusura per tre ore del Colosseo, che tanto scandalo ha suscitato tra politici e osservatori nostrani, sono state magicamente liberate le risorse che servono a pagare gli straordinari dei lavoratori in agitazione.
L’annuncio l’ha dato Claudio Meloni,coordinatore Cgil presso il ministero dei Beni culturali: “Venerdì, in singolare coincidenza con l’assemblea sindacale in alcuni siti, è arrivato lo sblocco dei fondi per pagare i salari accessori di tutti lavoratori del Mibact per il 2014 e per il 2015”.
Un intervento, se confermato,che andrà a sanare una situazione che si trascinava da 11 mesi e che non riguarda solo i lavoratori dei siti archeologici rimasti chiusi ieri a Roma (oltre al Colosseo, Fori Traienei, Terme di Diocleziano, Terme di Caracalla, Tomba di Cecilia Metella, scavi di Ostia antica), ma gli impiegati delle Soprintendenze dei Beni culturali in tutto il Paese.
GIÀ, PERCHÉ QUELLO che nessuno pare essersi chiesto, nel giorno del grande scandalo del Colosseo chiuso, sono le ragioni di chi ha convocato l’assemblea sindacale. Il “salario accessorio”, sistematicamente dimenticato nelle buste paga dei lavoratori del Mibact a partire da ottobre 2014, comprende una serie di voci che corrispondono ad altrettante prestazioni lavorative: turnazioni animeridiane, pomeridiane, notturne; festivi e superfestivi; aperture straordinarie (come quella del primo maggio); indennità pro capite per i progetti di produttività ed efficienza (ovvero l’ampliamento degli orari giornalieri per far fronte alla carenza di personale). Sui giornali, per semplificare, sono definiti “straordinari”. Si tratta di una parte consistente dello stipendio mensile dei lavoratori dei Beni culturali. “Io sono impiegato di seconda area, livello F3 – spiega Domenico Blasi dell’Usb – ho una retribuzione mediamente piuttosto alta rispetto a tanti colleghi. Nella mia busta paga a fine mese ci sono 1.340 euro. Mi pare evidente che la nostra preoccupazione non è difendere privilegi assurdi, non siamo ricchi. Chiediamo che ci venga pagato il lavoro che abbiamo fatto. All’appello mancano centinaia dieuroognimese,daunanno.A volte un terzo dello stipendio”. IN QUESTI MESI – dopo l’accordo tra sindacati e Mibact di fine 2015–i fondi destinati al salario accessorio sono stati trattenuti dal ministero delle Finanze. “Le ragioni del blocco–aggiunge Salvatore Chiaramonte della Cgil– non ce le hanno mai spiegate”. Il problema era ben noto ai Beni culturali e al ministro Franceschini. Come era nota pure la data dell’assemblea di protesta , comunicata il 12 settembre, con una settimana d’anticipo. Lo stesso Franceschini – si apprende dalla Stampa – aveva avuto un colloquio con il presidente della Repubblica giovedì, il giorno prima dei “disagi”, nel quale avrebbe anticipato a Sergio Mattarella la preoccupazione per i fatti del Colosseo.Fatto sta che la reazione del governo è stata prontissima. Prima le dichiarazioni (“la misura è colma” di Franceschini, “cultura ostaggio dei sindacalisti” di Renzi) e poi il decreto portatoinconsigliodeiministri in quattro e quattro otto, accolto dalla stampa tra squilli di trombe. Ora i servizi museali sono equiparati a quelli pubblici essenziali: i lavoratori del Colosseo – per capirci – saranno sottoposti alla stessa disciplina di infermieri e pompieri, con una stretta sul diritto di sciopero. IERI, POI, IL TESORO ha aperto i cordoni e ha sbloccato i fondi con cui dovrebbero essere saldati i conti con i lavoratori (“entro un paio di mesi”, secondo la Cgil).
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 20/09/2015.
Ultima modifica di camillobenso il 21/09/2015, 5:35, modificato 1 volta in totale.
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Re: SSSSSSSSINDACATO
IL FASCISMO DEL TERZO MILLENNIO
Colosseo: quando Renzi chiuse Ponte Vecchio ai turisti per il galà dei ferraristi
Pubblicato su 20 settembre 2015 da infosannio Lascia un commento
firenze(di Thomas Mackinson – http://www.ilfattoquotidiano.it) – Per i lavoratori sottopagati non si può, è una vergogna agli occhi del mondo. Per gli amici con la Ferrari sì. La vicenda del Colosseo chiuso per tre ore finisce con un decreto del premier Matteo Renzi che precetta i dipendenti dei musei equiparando i beni culturali ai servizi essenziali. Mai più scene come quelle di Roma e Pompei. Bene. Se solo questa scelta non poggiasse sulla mistificazione delle assemblee selvagge che erano invece regolarmente autorizzate. E se il premier che bolla come “nemico pubblico” chi prende mille euro al mese per aver chiuso per tre ore l’anfiteatro romano non fosse lo stesso Matteo Renzi che due anni fa, da sindaco, sbarrò per tre ore la strada ai turisti per consentire ai collezionisti di auto di lusso e all’amico Luca Cordero di Montezemolo una cena privata su luogo pubblico. E che luogo: Ponte Vecchio, il simbolo stesso della città del Giglio, uno dei ponti più famosi al mondo.
Era il 30 giugno del 2013, un sabato pomeriggio. Senza preavviso e fino a sera turisti e residenti trovarono l’accesso al Ponte sbarrato da fioriere e personale privato, gentile ma irremovibile nell’impedire l’accesso a chiunque non fosse nella lista degli invitati, tutti tesserati Club Ferrari. Sfilata di invitati elegantissimi, per loro anche un’orchestrina a metà ponte con vista mozzafiato sull’Arno. Sgomento invece tra i fiorentini, inferociti per la mancanza di preavviso e di segnaletica. Alcuni furono costretti a fare un lungo giro per tornare a casa dall’altra parte d’Arno, magari con le borse della spesa. Gli orafi, poi, andarono su tutte le furie.
Seguì un fiume di polemiche. Renzi fu accusato di una conduzione discutibile della cosa pubblica. Riletto oggi, quell’episodio sfata alcuni luoghi comuni sul premier: non è vero che il giovane leader della sinistra italiana ignori del tutto relazioni industriali e sindacali. E che sia del tutto allergico agli arcaici schemi della lotta di classe che invece reinterpreta, a modo suo.
Va detto che la vicenda sarebbe morta lì. Se Renzi stesso non avesse risposto alle polemiche sull’operazione con toppe peggiori del buco. La prima fu di paventare mirabili ritorni economici dall’operazione di marketing istituzionale. Dal Ponte sull’Arno affittato a ore, disse allora, sarebbero piovute 120mila euro per le casse del Comune. Nessun regalo, dunque. A seguito delle interrogazioni delle opposizioni si scoprì poi che le uniche entrate che risultavano ufficialmente dall’evento erano 13.000 euro per il restauro di un’opera d’arte e circa 17.000 per l’occupazione di suolo pubblico di cui solo 2.489 euro per l’occupazione di Ponte Vecchio. Un vero affare.
Il sindaco-segretario, in visibile difficoltà, provò anche a difendere la svendita del cuore della sua città tirando in ballo i cittadini più indifesi. Nella sua newsletter telematica scriveva: “E abbiamo fatto una scommessa di comunicazione sulla città. En passant, abbiamo anche recuperato circa 120 mila euro, l’equivalente del taglio che abbiamo ricevuto sul capitolo delle vacanze per i bambini disabili. Io credo che chiudere tre ore Ponte Vecchio per questi motivi sia doveroso per un sindaco. Lo rifarei, nonostante le polemiche. Voi che ne pensate?”. Qualcuno la mandò giù: “Se è a fin di bene…”.
Finché emerse che nei trasferimenti al Comune non c’era stato alcun taglio per quella voce. A seguito di specifiche interrogazioni toccò a un imbarazzatissimo vicesindaco, Stefania Saccardi ammettere che no, quel capitolo di spesa non era stato ridotto e che Renzi con quelle parole aveva solo voluto dare “l’idea del valore sociale del canone” che sarebbe stato pattuito (il condizionale era a quel punto d’obbligo) con la Ferrari.
Ma torniamo all’oggi. Roma, il Colosseo, il decreto che ferma la barbarie dei lavoratori in assemblea che prendono in ostaggio la città. I custodi dell’anfiteatro romano sono stati accusati di aver dato corso a un’assemblea “selvaggia”. Ma la mistificazione è durata poco perché i documenti ufficiali hanno confermato invece che era stata regolarmente autorizzata e comunicata a chi di dovere una settimana prima che si svolgesse. Nessuna serrata a sorpresa, dunque.
E a Firenze, di quanto fu il preavviso? Un accesso agli atti dei consiglieri d’opposizione permise di accertare che l’atto di concessione dell’occupazione del suolo pubblico per l’area di Ponte Vecchio da parte della Direzione Sviluppo Economico era datato il primo luglio, ovvero il giorno dopo la cena su Ponte Vecchio. Difficile, in effetti, negare un permesso per qualcosa che è già avvenuto. Più facile negarlo per cose che non sono avvenute mai.
Colosseo: quando Renzi chiuse Ponte Vecchio ai turisti per il galà dei ferraristi
Pubblicato su 20 settembre 2015 da infosannio Lascia un commento
firenze(di Thomas Mackinson – http://www.ilfattoquotidiano.it) – Per i lavoratori sottopagati non si può, è una vergogna agli occhi del mondo. Per gli amici con la Ferrari sì. La vicenda del Colosseo chiuso per tre ore finisce con un decreto del premier Matteo Renzi che precetta i dipendenti dei musei equiparando i beni culturali ai servizi essenziali. Mai più scene come quelle di Roma e Pompei. Bene. Se solo questa scelta non poggiasse sulla mistificazione delle assemblee selvagge che erano invece regolarmente autorizzate. E se il premier che bolla come “nemico pubblico” chi prende mille euro al mese per aver chiuso per tre ore l’anfiteatro romano non fosse lo stesso Matteo Renzi che due anni fa, da sindaco, sbarrò per tre ore la strada ai turisti per consentire ai collezionisti di auto di lusso e all’amico Luca Cordero di Montezemolo una cena privata su luogo pubblico. E che luogo: Ponte Vecchio, il simbolo stesso della città del Giglio, uno dei ponti più famosi al mondo.
Era il 30 giugno del 2013, un sabato pomeriggio. Senza preavviso e fino a sera turisti e residenti trovarono l’accesso al Ponte sbarrato da fioriere e personale privato, gentile ma irremovibile nell’impedire l’accesso a chiunque non fosse nella lista degli invitati, tutti tesserati Club Ferrari. Sfilata di invitati elegantissimi, per loro anche un’orchestrina a metà ponte con vista mozzafiato sull’Arno. Sgomento invece tra i fiorentini, inferociti per la mancanza di preavviso e di segnaletica. Alcuni furono costretti a fare un lungo giro per tornare a casa dall’altra parte d’Arno, magari con le borse della spesa. Gli orafi, poi, andarono su tutte le furie.
Seguì un fiume di polemiche. Renzi fu accusato di una conduzione discutibile della cosa pubblica. Riletto oggi, quell’episodio sfata alcuni luoghi comuni sul premier: non è vero che il giovane leader della sinistra italiana ignori del tutto relazioni industriali e sindacali. E che sia del tutto allergico agli arcaici schemi della lotta di classe che invece reinterpreta, a modo suo.
Va detto che la vicenda sarebbe morta lì. Se Renzi stesso non avesse risposto alle polemiche sull’operazione con toppe peggiori del buco. La prima fu di paventare mirabili ritorni economici dall’operazione di marketing istituzionale. Dal Ponte sull’Arno affittato a ore, disse allora, sarebbero piovute 120mila euro per le casse del Comune. Nessun regalo, dunque. A seguito delle interrogazioni delle opposizioni si scoprì poi che le uniche entrate che risultavano ufficialmente dall’evento erano 13.000 euro per il restauro di un’opera d’arte e circa 17.000 per l’occupazione di suolo pubblico di cui solo 2.489 euro per l’occupazione di Ponte Vecchio. Un vero affare.
Il sindaco-segretario, in visibile difficoltà, provò anche a difendere la svendita del cuore della sua città tirando in ballo i cittadini più indifesi. Nella sua newsletter telematica scriveva: “E abbiamo fatto una scommessa di comunicazione sulla città. En passant, abbiamo anche recuperato circa 120 mila euro, l’equivalente del taglio che abbiamo ricevuto sul capitolo delle vacanze per i bambini disabili. Io credo che chiudere tre ore Ponte Vecchio per questi motivi sia doveroso per un sindaco. Lo rifarei, nonostante le polemiche. Voi che ne pensate?”. Qualcuno la mandò giù: “Se è a fin di bene…”.
Finché emerse che nei trasferimenti al Comune non c’era stato alcun taglio per quella voce. A seguito di specifiche interrogazioni toccò a un imbarazzatissimo vicesindaco, Stefania Saccardi ammettere che no, quel capitolo di spesa non era stato ridotto e che Renzi con quelle parole aveva solo voluto dare “l’idea del valore sociale del canone” che sarebbe stato pattuito (il condizionale era a quel punto d’obbligo) con la Ferrari.
Ma torniamo all’oggi. Roma, il Colosseo, il decreto che ferma la barbarie dei lavoratori in assemblea che prendono in ostaggio la città. I custodi dell’anfiteatro romano sono stati accusati di aver dato corso a un’assemblea “selvaggia”. Ma la mistificazione è durata poco perché i documenti ufficiali hanno confermato invece che era stata regolarmente autorizzata e comunicata a chi di dovere una settimana prima che si svolgesse. Nessuna serrata a sorpresa, dunque.
E a Firenze, di quanto fu il preavviso? Un accesso agli atti dei consiglieri d’opposizione permise di accertare che l’atto di concessione dell’occupazione del suolo pubblico per l’area di Ponte Vecchio da parte della Direzione Sviluppo Economico era datato il primo luglio, ovvero il giorno dopo la cena su Ponte Vecchio. Difficile, in effetti, negare un permesso per qualcosa che è già avvenuto. Più facile negarlo per cose che non sono avvenute mai.
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Re: SSSSSSSSINDACATO
Quando una società si decompone come ai livelli italiani attuali(vedi oggi l'ultima:
Funzionari pubblici, Guardia di Finanza: “In sei mesi bruciati tre miliardi tra sprechi, ruberie e corruzione”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09 ... e/2053097/), non esistono isole felici.
Perché lascio la Cgil
Pubblicato: 15/09/2015 17:43 CEST Aggiornato: 15/09/2015 17:43 CEST
La ragioni per le quali ho restituito dopo 44 anni la tessera della Cgil sono semplici e brutali. Oramai mi sento totalmente estraneo a ciò che realmente è questa organizzazione e non sono in grado minimamente di fare sì che essa cambi.
La mia è quindi la presa d'atto di una sconfitta personale: ci ho provato per tanto tempo e credo con rigore e coerenza personale, non ci sono riuscito. Anzi la Cgil è sempre più distante da come avrei voluto che fosse. Non parlo tanto dei proclami e delle dichiarazioni ufficiali, ma della pratica reale, della vita quotidiana che per ogni organizzazione, in particolare per un sindacato, è l'essenza. Non è questo il sindacato che vorrei e di cui credo ci sia bisogno, e soprattutto non vedo in esso la volontà di diventarlo.
Naturalmente mi si può giustamente rispondere: chi ti credi di essere? Certo la mia è la storia di un militante come ce ne sono stati tanti, che ha speso tanto nell'organizzazione ma che non può pretendere di essere al centro del mondo. Giusto, tuttavia credo che la mia fuoriuscita possa almeno essere registrata come un pezzetto della più vasta e diffusa crisi sindacale di cui tanto si parla, e che come tale possa essere collocata e spiegata.
Nei primissimi anni 70 del secolo scorso a Bologna come lavoratore studente ho preso con orgoglio la mia prima tessera Cgil. Poi sono stato chiamato a Brescia per cominciare a lavorare a tempo pieno nella Fiom. Nella quale sono rimasto fino al 2012. Ho visto cambiare il mondo, ma se tornassi indietro con la consapevolezza di oggi rifarei tutte le scelte di fondo. Scherzando penso che io ed il mondo siamo pari, io non sono riuscito a cambiarlo come volevo, ma pure lui non ce l'ha fatta con me.
Quando ho cominciato a fare il "sindacalista" a tempo pieno questa parola suscitava rispetto. Io la maneggiavo con un po' di timore. Il sindacalista era una persona giusta e disinteressata che raddrizzava i torti, era il difensore del popolo. Oggi se dici che sei un sindacalista ti vedi una strana espressione intorno, molto simile a quella che viene rivolta ai politici di professione. Sindacalista eh? Allora sai farti gli affari tuoi...
Questo discredito del sindacato è sicuramente alimentato da una disegno del potere economico e delle sue propaggini politiche ed intellettuali. Ma è anche frutto della burocratizzazione e istituzionalizzazione delle grandi organizzazioni sindacali. Paradossalmente oggi è proprio il sindacalismo moderato della concertazione, che ho contrastato per quanto ho potuto, ad essere messo sotto accusa. Negli anni 80 e 90 è stata la mutazione genetica del sindacato più forte d'Europa, la sua scelta di accettare tutti i vincoli e le compatibilità del mercato e del profitto, che ha permesso al potere economico di riorganizzarsi e riprendere a comandare. In cambio le grandi organizzazioni sindacali hanno chiesto compensazioni per se stesse.
Questo è stato il grande scambio politico che ha accompagnato trent'anni di politiche liberiste contro il lavoro. I grandi sindacati accettavano la riduzione dei diritti e del salario dei propri rappresentati e in cambio venivano riconosciuti ed istituzionalizzati. Partecipavano ai fondi pensione, a quelli sanitari, agli enti bilaterali, firmavano contratti che costruivano relazioni burocratiche con le imprese, stavano ai tavoli dei governi che tagliavano lo stato sociale, insomma crescevano mentre I lavoratori tornavano indietro su tutto.
Quando il mondo del lavoro è precipitato nella precarietà e nella disoccupazione, quando si è indebolito a sufficienza, il potere economico reso più famelico dalla crisi, ha deciso che poteva fare a meno dello scambio della concertazione. Ha dato il via Marchionne e tutti gli altri lo hanno seguito. Quelle concessioni sul ruolo e sul potere della burocrazia, che le stesse imprese ed il potere politico elargivano volentieri in cambio della "responsabilità" sindacale, son state messe sotto accusa. Coloro che più si sono avvantaggiati dei "privilegi" sindacali ora sono i primi a lanciare lo scandalo su di essi. I vecchi compagni da cui ho imparato l'abc del sindacalista mi dicevano: se al padrone dai una mano poi si prende il braccio e tutto il resto.
Ma nel mondo moderno certe massime sono considerate anticaglie, e quindi i gruppi dirigenti dei grandi sindacati son rimasti sconvolti e travolti dalla irriconoscenza di un potere a cui avevano fatto così ampie concessioni. Hanno così finito per fare propria la più grande delle falsificazioni sul loro operare. I sindacati hanno difeso troppo gli occupati e abbandonato i giovani ed i precari, questo è passato nei mass media. Mentre al contrario non si sono trasmessi diritti alle nuove generazioni proprio perché si è rinunciato a difendere coloro che quei diritti tutelavano ancora. I grandi sindacati han subito la catastrofe del precariato non perché troppo rigidi, ma perché troppo subalterni e disponibili verso le controparti. Questa è la realtà rovesciata rispetto all'immagine politica ufficiale, realtà che qualsiasi lavoratrice o lavoratore conosce perfettamente sulla base della proprie amare esperienze.
La condizione del lavoro in Italia oggi è intollerabile e dev'essere vissuta come un atto di accusa da ogni sindacalista che creda ancora nella propria funzione. Non è solo lo perdita di salari e diritti, il peggioramento delle condizioni di lavoro, lo sfruttamento brutale che riemerge dal passato di decenni. Sono la paura e la rassegnazione diffuse, il rancore, la rottura di solidarietà elementari, che mettono sotto accusa tutto l'operato sindacale di questi anni. Di Vittorio rivendicò alla Cgil il merito di aver insegnato al bracciante che non ci si toglie il cappello quando passa il padrone. Di chi è la colpa se ora chi lavora deve piegarsi e sottomettersi come e peggio che nell'800? È chiaro che la colpa è del potere economico e di quello politico ad esso corrivo, oggi ben rappresentato da quella figura trasformista e reazionaria che è Matteo Renzi. È chiaro che c'è tutto un sistema culturale e mediatico che educa il lavoro alla rassegnazione e alla subordinazione all'impresa. Ma poi ci son le responsabilità da questo lato del campo, quelle di chi non organizza la contestazione e la resistenza.
Lascio la Cgil perché non vedo nei gruppi dirigenti alcuna volontà di cogliere il disastro in cui è precipitato il mondo del lavoro e le responsabilità sindacali in esso. Vedo una polemica di facciata contro le politiche di austerità e del grande padronato, a cui corrispondono la speranza e l'offerta del ritorno alla vecchia concertazione. E se le dichiarazioni ufficiali, come sempre accade, fanno fuoco e fiamme sui mass media, la pratica reale è di aggiustamento e piccolo cabotaggio, nell'infinita ricerca del minor danno.
Il corpo burocratico della Cgil è più rassegnato dei lavoratori posti di fronte ai ricatti del mercato e delle imprese, come può comunicare coraggio se non ne possiede? Certo ci sono tante compagne e compagni che non si arrendono , che fanno il loro dovere, che rischiano, ma la struttura portante dell'organizzazione va da un'altra parte, è dominata dalla paura di perdere il residuo ruolo istituzionale e quando ci sono occasioni di rovesciare i giochi, volge lo sguardo da un'altra parte. Quando la FIOM nel 2011 si è opposta a Marchionne, quando Monti ha portato la pensione alla soglia dei 70 anni, quando si è tardivamente ripristinato lo sciopero generale contro il governo, in tutti quei momenti si è vista una forza disposta a non arrendersi. Quei momenti non sono lontani, eppure sembrano distare già decenni perché subito dopo di essi i gruppi dirigenti son tornati al tran tran quotidiano. E temo che lo stesso accada ora nel mondo della scuola ove un grande movimento di lotta non sta ricevendo un adeguato sostegno a continuare.
Non si può ripartire se l'obiettivo è sempre solo quello di trovare un accordo che permetta all'organizzazione di sopravvivere. Così alla fine si firma sempre lo stesso accordo in condizioni sempre peggiori. In fondo è una resa continua. Il 10 gennaio 2014 CGiL CISL UIL hanno firmato con la Confindustria un'intesa che scambia il riconoscimento del sindacato con la rinuncia alla lotta quotidiana nei luoghi di lavoro. Una volta che la maggioranza dei sindacati firma un contratto la minoranza deve obbedire e non può neppure scioperare. Se non accetti questa regola non puoi presentarti alle elezioni dei delegati. Se negli anni 50 del secolo scorso la Cgil, in minoranza nelle grandi fabbriche, avesse accettato un sistema simile non avremmo avuto l'autunno caldo e lo Statuto dei Lavoratori. Che non a caso oggi il governo cancella sicuro che le grida sindacali non siano vera opposizione.
Il movimento operaio nella sua storia ha incontrato spesso dure sconfitte, ma le ha superate solo quando le ha riconosciute come tali e quando ha cambiato la linea politica, la pratica e, a volte, i gruppi dirigenti. Invece nulla oggi viene davvero rimesso in discussione.
La Cgil ha sempre avuto una dialettica interna. Tra linee politiche, tra esperienze, tra luoghi di lavoro, territori e centro, tra categorie e confederazione. Dagli anni 90 il confronto tra maggioranza e minoranze si è intrecciato con quello tra la FIOM e la confederazione. In questi confronti e conflitti si aprivano spazi di esperienze ed iniziative controcorrente.
Oggi tutto questo non c'è più. Una normalizzazione profonda percorre tutta l'organizzazione e l'ultimo congresso le ha conferito sanzione formale. Non facciamoci ingannare dalle polemiche televisive e dalle imboscate di qualche voto segreto. Fanno parte di scontri di potere tra cordate di gruppi dirigenti, mentre tutte le decisioni più importanti son state assunte all'unanimità, salvo il voto contrario della piccola minoranza di cui ho fatto parte e di cui non si è mai tenuto alcun conto. Una piccola minoranza che al congresso ha raggiunto successi insperati là dove c'erano le persone in carne ed ossa, ma che nulla ha potuto contro i tanti risultati bulgari per partecipazione e consenso verso i vertici, costruiti a tavolino. Con l'ultimo congresso la struttura dirigente della Cgil ha deciso di ingannare se stessa. La partecipazione bassissima degli iscritti è stata innalzata artificialmente per mascherare una buona salute che non c'è. Ed il resto è venuto di conseguenza. A differenza che nel passato non ci son più problemi nella vita interna della Cgil, tutto è pacificato a parte i puri conflitti di potere. Ma forse anche per questo la Cgil non ha mai contato così poco nella vita sociale e politica del paese.
A questo punto non bastano rinnovamenti di facciata, sono necessarie rotture di fondo con la storia e la pratica degli ultimi trenta anni.
Bisogna rompere con un sistema Europa che è infame con i migranti mentre si genuflette di fronte all'euro. I diritti del lavoro sono incompatibili con una moneta unica i cui vincoli,come ha ricordato il ministro delle finanze tedesco, sono tutt'uno con le politiche di austerità.
Bisogna rompere con il PD ed il suo sistema di potere se non se ne vuol venire assorbiti e travolti.
Bisogna rompere con le relazioni subalterne con le imprese e ripartire dalla condizione concreta dei lavoratori .
Questo rotture non sono facili, ma sono indispensabili per ripartire e sono impossibili nella Cgil di oggi.
Certo fuori dalla Cgil non c'è una alternativa di massa pronta. Ci sono lotte, movimenti, sindacati conflittuali generosi e onesti, ma spesso distanti se non in contrasto tra loro. Ma questa situazione frantumata per me non giustifica il permanere in un'organizzazione che sento indisponibile anche solo a ragionare su queste rotture.
So bene che la svolta positiva per il mondo del lavoro ci sarà quando tutte le organizzazioni sindacali, anche le più moderate, saranno percorse da un vento nuovo. Ho vissuto da giovane quei momenti. Ma ho anche imparato che nell'Italia di oggi questo cambiamento sarà possibile solo se promosso da una spinta organizzata esterna a CGIL CISL UIL. A costruirla voglio dedicare il mio impegno.
Per questo lascio la Cgil da militante del movimento operaio così come ci sono entrato. Saluto con grande affetto le compagne e compagni di tante lotte che non condividono questo mio giudizio finale. Siccome li conosco e stimo, so che ci ritroveremo in tanti percorsi comuni. Saluto anche tutte e tutti gli altri compagni, perché ho fatto mio l'insegnamento di Engels di avere avversari, ma mai nemici personali.
Grazie soprattutto a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori che hanno insegnato a me, intellettuale piccolo borghese come si diceva una volta, cosa sono le durezze e le grandezze della classe operaia. Spero di poter apprendere ancora.
http://www.huffingtonpost.it/giorgio-cr ... 40358.html
Funzionari pubblici, Guardia di Finanza: “In sei mesi bruciati tre miliardi tra sprechi, ruberie e corruzione”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09 ... e/2053097/), non esistono isole felici.
Perché lascio la Cgil
Pubblicato: 15/09/2015 17:43 CEST Aggiornato: 15/09/2015 17:43 CEST
La ragioni per le quali ho restituito dopo 44 anni la tessera della Cgil sono semplici e brutali. Oramai mi sento totalmente estraneo a ciò che realmente è questa organizzazione e non sono in grado minimamente di fare sì che essa cambi.
La mia è quindi la presa d'atto di una sconfitta personale: ci ho provato per tanto tempo e credo con rigore e coerenza personale, non ci sono riuscito. Anzi la Cgil è sempre più distante da come avrei voluto che fosse. Non parlo tanto dei proclami e delle dichiarazioni ufficiali, ma della pratica reale, della vita quotidiana che per ogni organizzazione, in particolare per un sindacato, è l'essenza. Non è questo il sindacato che vorrei e di cui credo ci sia bisogno, e soprattutto non vedo in esso la volontà di diventarlo.
Naturalmente mi si può giustamente rispondere: chi ti credi di essere? Certo la mia è la storia di un militante come ce ne sono stati tanti, che ha speso tanto nell'organizzazione ma che non può pretendere di essere al centro del mondo. Giusto, tuttavia credo che la mia fuoriuscita possa almeno essere registrata come un pezzetto della più vasta e diffusa crisi sindacale di cui tanto si parla, e che come tale possa essere collocata e spiegata.
Nei primissimi anni 70 del secolo scorso a Bologna come lavoratore studente ho preso con orgoglio la mia prima tessera Cgil. Poi sono stato chiamato a Brescia per cominciare a lavorare a tempo pieno nella Fiom. Nella quale sono rimasto fino al 2012. Ho visto cambiare il mondo, ma se tornassi indietro con la consapevolezza di oggi rifarei tutte le scelte di fondo. Scherzando penso che io ed il mondo siamo pari, io non sono riuscito a cambiarlo come volevo, ma pure lui non ce l'ha fatta con me.
Quando ho cominciato a fare il "sindacalista" a tempo pieno questa parola suscitava rispetto. Io la maneggiavo con un po' di timore. Il sindacalista era una persona giusta e disinteressata che raddrizzava i torti, era il difensore del popolo. Oggi se dici che sei un sindacalista ti vedi una strana espressione intorno, molto simile a quella che viene rivolta ai politici di professione. Sindacalista eh? Allora sai farti gli affari tuoi...
Questo discredito del sindacato è sicuramente alimentato da una disegno del potere economico e delle sue propaggini politiche ed intellettuali. Ma è anche frutto della burocratizzazione e istituzionalizzazione delle grandi organizzazioni sindacali. Paradossalmente oggi è proprio il sindacalismo moderato della concertazione, che ho contrastato per quanto ho potuto, ad essere messo sotto accusa. Negli anni 80 e 90 è stata la mutazione genetica del sindacato più forte d'Europa, la sua scelta di accettare tutti i vincoli e le compatibilità del mercato e del profitto, che ha permesso al potere economico di riorganizzarsi e riprendere a comandare. In cambio le grandi organizzazioni sindacali hanno chiesto compensazioni per se stesse.
Questo è stato il grande scambio politico che ha accompagnato trent'anni di politiche liberiste contro il lavoro. I grandi sindacati accettavano la riduzione dei diritti e del salario dei propri rappresentati e in cambio venivano riconosciuti ed istituzionalizzati. Partecipavano ai fondi pensione, a quelli sanitari, agli enti bilaterali, firmavano contratti che costruivano relazioni burocratiche con le imprese, stavano ai tavoli dei governi che tagliavano lo stato sociale, insomma crescevano mentre I lavoratori tornavano indietro su tutto.
Quando il mondo del lavoro è precipitato nella precarietà e nella disoccupazione, quando si è indebolito a sufficienza, il potere economico reso più famelico dalla crisi, ha deciso che poteva fare a meno dello scambio della concertazione. Ha dato il via Marchionne e tutti gli altri lo hanno seguito. Quelle concessioni sul ruolo e sul potere della burocrazia, che le stesse imprese ed il potere politico elargivano volentieri in cambio della "responsabilità" sindacale, son state messe sotto accusa. Coloro che più si sono avvantaggiati dei "privilegi" sindacali ora sono i primi a lanciare lo scandalo su di essi. I vecchi compagni da cui ho imparato l'abc del sindacalista mi dicevano: se al padrone dai una mano poi si prende il braccio e tutto il resto.
Ma nel mondo moderno certe massime sono considerate anticaglie, e quindi i gruppi dirigenti dei grandi sindacati son rimasti sconvolti e travolti dalla irriconoscenza di un potere a cui avevano fatto così ampie concessioni. Hanno così finito per fare propria la più grande delle falsificazioni sul loro operare. I sindacati hanno difeso troppo gli occupati e abbandonato i giovani ed i precari, questo è passato nei mass media. Mentre al contrario non si sono trasmessi diritti alle nuove generazioni proprio perché si è rinunciato a difendere coloro che quei diritti tutelavano ancora. I grandi sindacati han subito la catastrofe del precariato non perché troppo rigidi, ma perché troppo subalterni e disponibili verso le controparti. Questa è la realtà rovesciata rispetto all'immagine politica ufficiale, realtà che qualsiasi lavoratrice o lavoratore conosce perfettamente sulla base della proprie amare esperienze.
La condizione del lavoro in Italia oggi è intollerabile e dev'essere vissuta come un atto di accusa da ogni sindacalista che creda ancora nella propria funzione. Non è solo lo perdita di salari e diritti, il peggioramento delle condizioni di lavoro, lo sfruttamento brutale che riemerge dal passato di decenni. Sono la paura e la rassegnazione diffuse, il rancore, la rottura di solidarietà elementari, che mettono sotto accusa tutto l'operato sindacale di questi anni. Di Vittorio rivendicò alla Cgil il merito di aver insegnato al bracciante che non ci si toglie il cappello quando passa il padrone. Di chi è la colpa se ora chi lavora deve piegarsi e sottomettersi come e peggio che nell'800? È chiaro che la colpa è del potere economico e di quello politico ad esso corrivo, oggi ben rappresentato da quella figura trasformista e reazionaria che è Matteo Renzi. È chiaro che c'è tutto un sistema culturale e mediatico che educa il lavoro alla rassegnazione e alla subordinazione all'impresa. Ma poi ci son le responsabilità da questo lato del campo, quelle di chi non organizza la contestazione e la resistenza.
Lascio la Cgil perché non vedo nei gruppi dirigenti alcuna volontà di cogliere il disastro in cui è precipitato il mondo del lavoro e le responsabilità sindacali in esso. Vedo una polemica di facciata contro le politiche di austerità e del grande padronato, a cui corrispondono la speranza e l'offerta del ritorno alla vecchia concertazione. E se le dichiarazioni ufficiali, come sempre accade, fanno fuoco e fiamme sui mass media, la pratica reale è di aggiustamento e piccolo cabotaggio, nell'infinita ricerca del minor danno.
Il corpo burocratico della Cgil è più rassegnato dei lavoratori posti di fronte ai ricatti del mercato e delle imprese, come può comunicare coraggio se non ne possiede? Certo ci sono tante compagne e compagni che non si arrendono , che fanno il loro dovere, che rischiano, ma la struttura portante dell'organizzazione va da un'altra parte, è dominata dalla paura di perdere il residuo ruolo istituzionale e quando ci sono occasioni di rovesciare i giochi, volge lo sguardo da un'altra parte. Quando la FIOM nel 2011 si è opposta a Marchionne, quando Monti ha portato la pensione alla soglia dei 70 anni, quando si è tardivamente ripristinato lo sciopero generale contro il governo, in tutti quei momenti si è vista una forza disposta a non arrendersi. Quei momenti non sono lontani, eppure sembrano distare già decenni perché subito dopo di essi i gruppi dirigenti son tornati al tran tran quotidiano. E temo che lo stesso accada ora nel mondo della scuola ove un grande movimento di lotta non sta ricevendo un adeguato sostegno a continuare.
Non si può ripartire se l'obiettivo è sempre solo quello di trovare un accordo che permetta all'organizzazione di sopravvivere. Così alla fine si firma sempre lo stesso accordo in condizioni sempre peggiori. In fondo è una resa continua. Il 10 gennaio 2014 CGiL CISL UIL hanno firmato con la Confindustria un'intesa che scambia il riconoscimento del sindacato con la rinuncia alla lotta quotidiana nei luoghi di lavoro. Una volta che la maggioranza dei sindacati firma un contratto la minoranza deve obbedire e non può neppure scioperare. Se non accetti questa regola non puoi presentarti alle elezioni dei delegati. Se negli anni 50 del secolo scorso la Cgil, in minoranza nelle grandi fabbriche, avesse accettato un sistema simile non avremmo avuto l'autunno caldo e lo Statuto dei Lavoratori. Che non a caso oggi il governo cancella sicuro che le grida sindacali non siano vera opposizione.
Il movimento operaio nella sua storia ha incontrato spesso dure sconfitte, ma le ha superate solo quando le ha riconosciute come tali e quando ha cambiato la linea politica, la pratica e, a volte, i gruppi dirigenti. Invece nulla oggi viene davvero rimesso in discussione.
La Cgil ha sempre avuto una dialettica interna. Tra linee politiche, tra esperienze, tra luoghi di lavoro, territori e centro, tra categorie e confederazione. Dagli anni 90 il confronto tra maggioranza e minoranze si è intrecciato con quello tra la FIOM e la confederazione. In questi confronti e conflitti si aprivano spazi di esperienze ed iniziative controcorrente.
Oggi tutto questo non c'è più. Una normalizzazione profonda percorre tutta l'organizzazione e l'ultimo congresso le ha conferito sanzione formale. Non facciamoci ingannare dalle polemiche televisive e dalle imboscate di qualche voto segreto. Fanno parte di scontri di potere tra cordate di gruppi dirigenti, mentre tutte le decisioni più importanti son state assunte all'unanimità, salvo il voto contrario della piccola minoranza di cui ho fatto parte e di cui non si è mai tenuto alcun conto. Una piccola minoranza che al congresso ha raggiunto successi insperati là dove c'erano le persone in carne ed ossa, ma che nulla ha potuto contro i tanti risultati bulgari per partecipazione e consenso verso i vertici, costruiti a tavolino. Con l'ultimo congresso la struttura dirigente della Cgil ha deciso di ingannare se stessa. La partecipazione bassissima degli iscritti è stata innalzata artificialmente per mascherare una buona salute che non c'è. Ed il resto è venuto di conseguenza. A differenza che nel passato non ci son più problemi nella vita interna della Cgil, tutto è pacificato a parte i puri conflitti di potere. Ma forse anche per questo la Cgil non ha mai contato così poco nella vita sociale e politica del paese.
A questo punto non bastano rinnovamenti di facciata, sono necessarie rotture di fondo con la storia e la pratica degli ultimi trenta anni.
Bisogna rompere con un sistema Europa che è infame con i migranti mentre si genuflette di fronte all'euro. I diritti del lavoro sono incompatibili con una moneta unica i cui vincoli,come ha ricordato il ministro delle finanze tedesco, sono tutt'uno con le politiche di austerità.
Bisogna rompere con il PD ed il suo sistema di potere se non se ne vuol venire assorbiti e travolti.
Bisogna rompere con le relazioni subalterne con le imprese e ripartire dalla condizione concreta dei lavoratori .
Questo rotture non sono facili, ma sono indispensabili per ripartire e sono impossibili nella Cgil di oggi.
Certo fuori dalla Cgil non c'è una alternativa di massa pronta. Ci sono lotte, movimenti, sindacati conflittuali generosi e onesti, ma spesso distanti se non in contrasto tra loro. Ma questa situazione frantumata per me non giustifica il permanere in un'organizzazione che sento indisponibile anche solo a ragionare su queste rotture.
So bene che la svolta positiva per il mondo del lavoro ci sarà quando tutte le organizzazioni sindacali, anche le più moderate, saranno percorse da un vento nuovo. Ho vissuto da giovane quei momenti. Ma ho anche imparato che nell'Italia di oggi questo cambiamento sarà possibile solo se promosso da una spinta organizzata esterna a CGIL CISL UIL. A costruirla voglio dedicare il mio impegno.
Per questo lascio la Cgil da militante del movimento operaio così come ci sono entrato. Saluto con grande affetto le compagne e compagni di tante lotte che non condividono questo mio giudizio finale. Siccome li conosco e stimo, so che ci ritroveremo in tanti percorsi comuni. Saluto anche tutte e tutti gli altri compagni, perché ho fatto mio l'insegnamento di Engels di avere avversari, ma mai nemici personali.
Grazie soprattutto a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori che hanno insegnato a me, intellettuale piccolo borghese come si diceva una volta, cosa sono le durezze e le grandezze della classe operaia. Spero di poter apprendere ancora.
http://www.huffingtonpost.it/giorgio-cr ... 40358.html
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Re: SSSSSSSSINDACATO
Perché lascio la Cgil http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 512#p41512
Pubblicato: 15/09/2015 17:43 CEST Aggiornato: 15/09/2015 17:43 CEST
Dal post sopra leggo una pietosa lettera la quale mi e' difficile trarre conclusioni contrarie poiche questo problema son anni che corrode pian paino anche la mia dura cuoia.
Quello che mi trattiene, poiche condivido in tutto e per tutto quanto scritto, e' la mia ottusita nel credere che il tutto possa cambiare e cosa succederebbe se il sindacato dovesse implodere.
Ora tutti stanno lavorando affinché tutto questo possa accadere(e qui mi riferisco sial alla stessa CGIL e che altri sindacati passando per confindustria e finendo col PD) ma io a costoro non voglio dar alcuna soddisfazione. Purtroppo bisognerebbe capire casomai chiedendo pure al mago Otelma, se sia più ragionevole disfarsi di tutto questo marasma che ha intaccato pure i sindacati e ripartire di nuovo e continuare nella speranza(oramai lontana) che tutto questo possa cambiare?
Per il momento non so decidere poiche affonderei la stessa FIOM e landini ma credo che dovro trane al più presto anch'io queste conclusione se nel frattempo qualcosa di nuovo non si affaccia all'orizzonte sia politico che sindacale.
Ora che prospettive abbiamo davanti con questi sindacati al soldo dei loro politici? UILe CISL sappiamo dove vanno a parare e ora purtroppo sappiamo pure che la stessa GCIL spesso prende ordini dal PD. Non resterebbe che Landini, finora, ma per quanto ancora visto che con l'aiuto della confindustria tentano ogni giorno di metterlo ai ferri corti?
Se la situazione all'interno dovesse deteriorarsi e mettere Landini in disparte, auspicherei lo stesso segretario della Fiom a valutare attentamente se aspettare il suo Cassio o prevenirlo mettendosi in politica.
un salutone
Pubblicato: 15/09/2015 17:43 CEST Aggiornato: 15/09/2015 17:43 CEST
Dal post sopra leggo una pietosa lettera la quale mi e' difficile trarre conclusioni contrarie poiche questo problema son anni che corrode pian paino anche la mia dura cuoia.
Quello che mi trattiene, poiche condivido in tutto e per tutto quanto scritto, e' la mia ottusita nel credere che il tutto possa cambiare e cosa succederebbe se il sindacato dovesse implodere.
Ora tutti stanno lavorando affinché tutto questo possa accadere(e qui mi riferisco sial alla stessa CGIL e che altri sindacati passando per confindustria e finendo col PD) ma io a costoro non voglio dar alcuna soddisfazione. Purtroppo bisognerebbe capire casomai chiedendo pure al mago Otelma, se sia più ragionevole disfarsi di tutto questo marasma che ha intaccato pure i sindacati e ripartire di nuovo e continuare nella speranza(oramai lontana) che tutto questo possa cambiare?
Per il momento non so decidere poiche affonderei la stessa FIOM e landini ma credo che dovro trane al più presto anch'io queste conclusione se nel frattempo qualcosa di nuovo non si affaccia all'orizzonte sia politico che sindacale.
Ora che prospettive abbiamo davanti con questi sindacati al soldo dei loro politici? UILe CISL sappiamo dove vanno a parare e ora purtroppo sappiamo pure che la stessa GCIL spesso prende ordini dal PD. Non resterebbe che Landini, finora, ma per quanto ancora visto che con l'aiuto della confindustria tentano ogni giorno di metterlo ai ferri corti?
Se la situazione all'interno dovesse deteriorarsi e mettere Landini in disparte, auspicherei lo stesso segretario della Fiom a valutare attentamente se aspettare il suo Cassio o prevenirlo mettendosi in politica.
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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- Iscritto il: 21/02/2012, 19:25
Re: SSSSSSSSINDACATO
Cremaschi: Perché lascio la Cgil
di Giorgio Cremaschi
Lo riinserisco facendo notare che la lettera veniva da Cremaschi.
http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... o-la-cgil/
di Giorgio Cremaschi
Lo riinserisco facendo notare che la lettera veniva da Cremaschi.
http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... o-la-cgil/
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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