Renzi

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camillobenso
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il manifesto 24.9.15
Tonino Aceti: «Renzi taglia le prestazioni sanitarie per finanziare l’abbattimento delle tasse»
Intervista al portavoce del Tribunale per i diritti del malato:
«Con il decreto sull'appropriatezza prescrittiva il governo intende reperire le risorse per il piano sulle tasse annunciato dal Presidente del Consiglio e scarica i costi sulle spalle dei cittadini e del Welfare»
«Questo decreto è inadeguato rispetto all’evoluzione della medicina contemporanea»

di Roberto Ciccarelli

ROMA Tonino Aceti, portavoce del tribunale per i diritti del malato-CittadinanzaAttiva, contesta l’esistenza di un’emergenza creata dall’eccesso di prestazioni sanitarie che costerebbe allo Stato 13 miliardi di euro all’anno. In base a questa cifra, il governo Renzi ha deciso di tagliare 208 prescrizioni considerate «esami inutili». «Parto da un dato incontestabile perché istituzionale – afferma Aceti — Nel 2014 per l’Istat il 9,5% della popolazione ha rinunciato a una prestazione sanitaria di cui aveva bisogno a causa delle lunghe liste di attesa, dell’inefficienza organizzativa e del costo dei ticket. Non è un fatto di poco conto: il dato è aumentato in un anno dello 0,5%. Nel 2013 riguardava il 9% dei cittadini. Questo allarme lanciato dalla ministra della Sanità Lorenzin per noi è esattamente l’opposto: in Italia esiste una difficoltà ad accedere alle prestazioni, non un loro eccesso».
Tonino Aceti, portavoce del Tribunale per i diritti del malato-CittadinanzaAttiva
Tonino Aceti, portavoce del Tribunale per i diritti del malato-CittadinanzaAttiva
Se è così perché il governo ha lanciato l’allarme?
Per fare cassa e finanziare l’abbattimento delle tasse annunciate dal presidente del Consiglio Renzi. Il decreto sull’appropriatezza è necessario per reperire le risorse, scaricando i costi sulle spalle dei cittadini e del Welfare. Le cose vanno chiamate con il loro nome: con la scusa di questo decreto si sta attuando una revisione dei livelli essenziali di assistenza e del paniere delle prestazioni del Sistema Sanitario nazionale.
Non crede che sia necessario migliorare l’appropriatezza delle prescrizioni?
Ma non si può aggredire questo problema con un decreto. Il miglioramento va promosso dal Sistema sanitario nazionale attraverso un piano strategico che preveda la formazione del personale, l’informazione indipendente dei professionisti, i protocolli diagnostici terapeutici assistenziali. Quello che è certo è che non si taglia l’assistenza come fa questo decreto. In un momento in cui aumenta la difficoltà di accesso alla sanità, i redditi sono sotto stress per la crisi, sarebbe necessario un sostegno al Welfare. Tra tagli alla sanità e decreti come questo invece si diminuiscono le tutele dei cittadini e dei pazienti.
Quali potrebbero essere le conseguenze del decreto?
Aprire un’autostrada ai privato e alle assicurazioni sulle salute. Con 208 prescrizioni vietate potrebbe essere lo stesso medico a consigliare al paziente di rivolgersi a loro. Il problema è che con i redditi che diminuiscono, e con la povertà che aumenta, aumenteranno anche le persone che scelgono di non curarsi perché non hanno i soldi per farlo.
Qual è il criterio usato nella scelta delle prestazioni da tagliare?
Questa operazione è scollata dalla realtà e inadeguata rispetto alle evoluzioni della medicina. Oggi si va sempre di più verso la medicina di genere e personalizzata. Non si capisce perché, in questo caso, il governo abbia scelto di standardizzare le prestazioni. Ogni cittadino è diverso e ha bisogno di prestazioni personalizzate. Questa decisione trasformerà i medici in burocrati amministrativi che dovranno eseguire le prestazioni nel rispetto di una tabella ministeriale. Se non lo farà, il medico è passibile di una sanzione. Dal punto di vista dell’etica professionale questo è gravissimo.
Come cambierà il rapporto tra il cittadino e il medico?
Si potrebbe innescare un più alto livello di conflittualità come già accade per l’accesso a alcuni farmaci gratuiti. Il medico si trova costretto, in alcune situazioni, a rifiutare la prescrizione. Il cittadino non accetta le sue motivazioni, si sente truffato e deluso dal Sistema sanitario Nazionale che gli ciò che gli serve e lo obbliga ad andare dal privato. Non si può escludere che la stessa cosa possa accadere con le prescrizioni e che il cittadino agisca contro il medico.
In tribunale?
Non lo escludo. Ci si potrebbe rivolgere al giudice per capire se il cittadino ha il diritto a una prestazione garantita dall’ordinamento costituzionale. Questa conflittualità potrebbe coinvolgere anche i direttori generali delle strutture sanitarie, anche loro colpiti dalle misure previste dal decreto.
I sindacati dei medici hanno annunciato l’intenzione di fare uno sciopero. Voi cosa farete?
Se il tema della mobilitazione sarà sul decreto e sui tagli alla sanità sosterremo la mobilitazione e ci attiveremo.
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il manifesto 24.9.15
Sempre più italiani poveri vengono curati dai volontari della salute
Mentre il governo minaccia di tagliare l'erogazione di alcune prestazioni sanitarie, solo i medici volontari delle associazioni intercettano i pazienti che non possono permettersi di pagare le cure
"Ormai è evidente, l'Italia sta progressivamente smantellando il sistema sanitario nazionale", spiega un dottore di Medici Volontari Italiani

di Luca Fazio

MILANO Ci sono le statistiche sulla nuova povertà con le sue malattie, poi ci sono le persone. La realtà. Chiamiamolo Giovanni. Giovanni ha una dermatite atopica su tutto il corpo, ha cinquant’ anni, ha appena perso il lavoro. Non ha i soldi per curarsi, semplicemente perché le cure per le malattie della pelle sono già tutte a pagamento (tranne una, la psoriasi) e senza nemmeno bisogno dei nuovi tagli annunciati dal ministro Beatrice Lorenzin. “Non riesce a pagarsi le pomate, lo sto curando con dei bagni di amido, costa poco e la madre gli presta la vasca”, dice il dottor Sergio Santini dell’associazione Medici Volontari Italiani di Milano. Tanto per capire di cosa stiamo parlando quando si dice che milioni di italiani non hanno accesso alle cure e che l’Italia si sta apprestando a smantellare il sistema sanitario nazionale.
L’associazione ha un ambulatorio in viale Padova 104, una unità mobile che si piazza davanti alla Stazione Centrale o dietro al Duomo e un container di fronte alla onlus Pane Quotidiano di viale Toscana, dove ogni giorno duemila persone vanno a rimediare un panino per tirare avanti. Nel 2014 ha visitato 2.803 persone, tra cui 367 italiani. “Dal 2012 l’aumento degli italiani è stato piuttosto rapido, per contro la crisi ha spinto gli stranieri a trasferirsi altrove per cercare lavoro — spiega Sergio Santini — ormai è evidente che sono le associazioni di volontariato a prendersi cura degli italiani poveri”. Le povertà sono variamente assortite, “molti malati psichiatrici provenienti dal sud Italia, persone con patologie da freddo, con traumi minori o artrosi”. Il dato sull’utenza straniera preponderante però non deve trarre in inganno: molti stranieri vivono a Milano da decenni, invecchiano, difficile non considerarli italiani. “I medici lo sanno a cosa stiamo andando incontro — dice Sergio Santini — la sanità pubblica in Italia ha come obiettivo un taglio sulla salute da 10 miliardi di euro, non lo dichiarano apertamente ma Italia e Spagna devono progressivamente smantellare il sistema sanitario nazionale”.
Anche Emergency, dal 2006, offre gratuitamente prestazioni mediche in Italia. I presidi fissi sono diversi, quasi tutti al sud: Palermo, Marghera, Polistena, Reggio Calabria, Castelvolturno, Napoli e Bologna. In questi anni l’associazione ha erogato 200 mila prestazioni (circa 300 al giorno). Dallo scorso agosto funziona anche una unità mobile a Milano. Gli italiani sono circa il 6% del totale. “Negli ultimi anni sono aumentati — spiega Andrea Bellardinelli, coordinatore del Programma Italia — intercettiamo molte persone senza fissa dimora, sono i più vulnerabili, non hanno nemmeno la tessera sanitaria. Poi arrivano centinaia di telefonate di italiani che non ce la fanno a pagare il ticket, questo è un problema enorme che allontana i malati dalle cure. Molti decidono di curare solo i figli. Noi ovviamente non possiamo aiutarli, ma in questi casi è molto utile fare informazione per coprire le zone grigie del sistema sanitario nazionale”. Un ginepraio che spinge molti a rinunciare alle cure (ticket costosi, liste di attesa, esenzioni per i farmaci e in più le Regioni che recepiscono la materia sanitaria in maniera discrezionale). “E’ in atto la disgregazione del welfare in nome del mercato — dice Bellardinelli — la logica aziendale e la corruzione stanno sgretolando il sistema sanitario. Dobbiamo riportare al centro la persona e i suoi bisogni, una popolazione sana fa bene a tutti, la buona salute non è un costo è una risorsa”.
Restando a Milano, il capoluogo della regione che vanta uno dei sistemi sanitari più efficienti, fanno impressione i numeri delle prestazioni fornite dall’Opera San Francesco, “un colosso” della carità fondato nel 1959 dai frati cappuccini. Sono quasi quadruplicate: nel 1996 erano 10.957, sono state 40.188 nel 2014 (167 al giorno). Totale: più di 560 mila visite mediche. La voce che meglio racconta l’impoverimento della popolazione si riferisce alle cure odontoiatriche: le prestazioni dentistiche fornite dall’Osf da 1.703 sono diventate 5.573 all’anno. E dire che tra le prestazioni “inutili” a rischio erogazione comunicate dal governo ce ne sono 30 che riguardano proprio i denti degli italiani.
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il manifesto 24.9.15
Si ammali chi può
E ora sciopero generale della sanità
Mobilitazione generale. Con questo decreto sulla "appropriatezza prescrittiva" si passa dalla centralità del malato a quella dei vincoli amministrativi

di Ivan Cavicchi

Il decreto messo a punto dal ministero della salute è uno schiaffo in piena faccia alla professione medica. E’ la riduzione della clinica a una sorta di medicina di Stato quindi di medicina amministrata. E’ paradossalmente la negazione di una medicina davvero adeguata verso la complessità espressa dal malato. E’ la fine di qualsiasi retorica su umanizzazione e personalizzazione delle cure.
Con questo decreto sulla “appropriatezza prescrittiva” si passa dalla centralità del malato, dalla alleanza terapeutica, dal valore della persona, alla centralità dei vincoli amministrativi ai quali tutti gli atti medici dovranno conformarsi pena la possibilità (fino ad ora solo dichiarata) di penalizzare i malati e i medici con sanzioni pecuniarie. Così i medici diventano dei dispenser burocraticamente eteroguidati, una sorta di distributori di benzina, che prescrivono non più in scienza e coscienza ma secondo protocolli standardizzati. Così la clinica diventa l’esercizio di atti diagnostici e terapeutici standard, i malati perdono la loro individualità diventando astrazioni statistiche. Come si è arrivati a tutto questo?
Con il decreto lo Stato intende recuperare almeno 10/13 mld dalla spesa sanitaria corrente sperando di azzerare quel fenomeno definito “medicina difensiva” per il l quale almeno l’80 % dei medici (indagini fatte dalla categoria) adotta comportamenti opportunisti per prevenire rischi di contenziosi legali: prescrivono analisi, farmaci e ricoveri anche quando non servono.
Che i medici abbiano la coda di paglia lo si capisce dalle loro dichiarazioni: da una parte stigmatizzano il decreto ma dall’altra si dichiarano disponibili a “trattare” correggendo singoli punti, soprattutto preoccupati di evitare le sanzioni economiche anziché scendere in piazza per respingere questo inusitato attacco alla loro credibilità, al loro ruolo e alla loro autonomia.
Il decreto è il più formidabile atto di delegittimazione della professione medica e in particolare dei medici di medicina generale, che dalle indagini della Fnomceo, risultano coloro che più degli altri adottano comportamenti opportunisti, ma anche quelli che sul piano politico sindacale in questi anni si sono opposti più degli altri a qualsiasi ripensamento del loro status.
Questi medici preziosi e insostituibili ma anche nel loro complesso terribilmente corporativi (a un tempo con le libertà dei liberi professionisti e con le garanzie dei pubblici dipendenti), con il decreto sulle prestazioni inappropriate rischiano di diventare degli ossimori cioè dei liberi professionisti senza autonomia, quindi dei dipendenti di fatto ma che operano nei loro studi personali.
Nello stesso tempo è evidente che i camici bianchi rischiano di essere maciullati dal mai risolto problema del contenzioso legale e della responsabilità professionale. Sorprende a questo proposito che l’Istituto superiore di sanità abbia dato il via libera ad un provvedimento tanto discutibile quanto rischioso anche rispetto ai suoi profili di scientificità. Questa strana e inaspettata disponibilità da una parte spiega la divaricazione che c’è tra la medicina accademica e la medicina in trincea, cioè tra scienza e realtà, ma dall’altra spiega la compiacenza di un organismo scientifico nei confronti del ministero, che per gran parte è stato lottizzato con logiche tutt’altro che scientifiche e che oggi di fatto copre le scelte del ministero ma non i diritti dei malati e meno che mai un’idea umanizzata di medicina.
E il malato? E’ l’innocente che paga i vizi e gli errori degli altri. Egli deve avere la fortuna di rientrare dentro le regole di Stato ma se per ragioni genetiche personali situazionali o contingenti non vi rientra (il che è più comune di quello che si creda) egli o non riceve le cure appropriate o per avere cure appropriate deve pagare anche se la ragione per cui paga altro non è che il suo diritto.
Voglio ricordare a proposito di costi privati imposti ai malati, che nelle regioni, in particolare in Toscana, sono in atto strategie per spingere i cittadini, soprattutto per le prestazioni specialistiche, verso il privato. La Toscana si è accordata con il privato per far costare le prestazioni specialistiche meno del costo del ticket proprio per incentivare i malati a lasciare il pubblico.
Tornando al decreto sulle prestazioni inappropriate, la possibilità per il malato di rientrare nella regola prescrittiva dipende in genere dal grado di singolarità della sua malattia. Siccome l’appropriatezza prescrittiva del ministero non è in funzione del malato ma del risparmio, è facile prevedere che moltissimi malati saranno ingiustamente penalizzati, cioè la medicina di Stato per essere appropriata con la spesa sarà clinicamente inappropriata con il malato.
Mi chiedo cosa altro deve essere fatto contro i malati e le professioni, contro l’art 32 della Costituzione, per convincerci a dare corso ad uno sciopero generale del settore. Ormai la sanità pubblica è bombardata da tempo da una serie di atti controriformatori: contro il lavoro, con riordini regionali che distruggono ogni territorialità, con liste di attesa abnormi, servizi messi in ginocchio da anni di blocco del turn over, con regioni manifestamente immorali e incapaci di governare e con in più continui tagli lineari ai fabbisogni della nostra popolazione.
Naturale sarebbe dare seguito a uno sciopero generale della sanità per bloccare la controriforma e per ripensare il nostro sistema pubblico che ha bisogno di funzionare meglio, costare di meno e continuare a essere solidale e universale.
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Corriere 24.9.15
Il neurologo deluso «Così viene umiliata la nostra professione
»
intervista di M. D. B.

ROMA «Mi sento offesa, profondamente offesa anche se non direttamente coinvolta. A lei piacerebbe se qualcuno le dettasse quello che deve scrivere in un articolo anziché contare sulla sua professionalità?», domanda Caterina Ermio, membro dell’associazione italiana donne medico di cui è presidente dallo scorso anno, con propositi di rilancio.
Offesa perché?
«Colpiscono solo i medici e non toccano tutto ciò che di sbagliato gira attorno alla sanità. Mi riferisco ad esempio ai soldi sprecati per pagare consulenti, funzionari e impiegati inutili. Lo sa attraverso quante persone devo passare se in assessorato ho bisogno di parlare col responsabile di un servizio? Almeno sette. Un carrozzone. Andate a risolvere queste situazioni. E invece fanno il pelo e contropelo a noi, più facilmente attaccabili. Ci contano i ricoveri».
Lei è neurologa presso il presidio sanitario di Lamezia Terme. Non le passano sotto mano prescrizioni improprie?
«Sì, capita. La tendenza all’eccesso c’è, non si può negare. Per un mal di testa i pazienti arrivano da me, dunque dallo specialista, già in possesso di una Tac con liquido di contrasto o una risonanza magnetica prescritta dal medico di famiglia senza gradualità. Magari basterebbe un elettroencefalogramma, esame proporzionato e meno costoso».
E allora perché prendersela col decreto taglia prestazioni?
«Noi avvertiamo la pressione dei pazienti e il rischio di essere denunciati, non voglio certo negarlo. Molto spesso i cittadini vanno dal medico di base chiedendogli un determinato esame. Magari lo hanno letto da qualche parte su internet. Facciamo l’esempio della tosse. Per comprenderne la causa basta una lastra, e se viene indicata la Tac siamo di fronte a un eccesso. Sarebbe come medicare una slogatura ingessando l’arto...».
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Re: Renzi

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Il Tesoro sceglie il silenzio sui debiti di papà Renzi
Anche Sviluppo economico e Poste si sfilano: "Non siamo competenti". Sulla vicenda si pronuncerà a breve il gip di Genova. Ma, visto il silenzio romano, resta sempre il sospetto di un conflitto di interessi
Gian Maria De Francesco - Ven, 25/09/2015 - 20:56


Gentilezza, formalismo e poi un bel «non rientra nelle prerogative del ministero». Sia il Tesoro che lo Sviluppo economico escludono un diretto coinvolgimento nel fallimento della Chil srl che un tempo faceva capo a Tiziano Renzi, papà del presidente del Consiglio.

Eppure il Fondo centrale di garanzia, che formalmente dipende dal dicastero di via Veneto (anche se a tenere i cordoni della borsa è via XX Settembre), ha rimborsato per 236mila euro Fidi Toscana, la finanziaria della Regione, che a sua volta aveva restituito, in quanto garante, la parte rimanente del prestito (263mila euro) erogato a Chil dalla Bcc di Pontassieve.

Non si tratta di uno scarico di responsabilità, assolutamente. Per sapere se si cercherà di recuperare quei 263mila euro che appartengono a tutti i cittadini italiani bisogna rivolgersi altrove perché il Fondo centrale di garanzia è gestito da Banca del Mezzogiorno-Mcc, l'istituto del gruppo Poste Italiane che si occupa di finanziamenti a medio e lungo termine. Ma nell'azienda di Piazza San Silvestro (controllata al 100% dal Tesoro) tutte le energie sono concentrate sulla prossima quotazione in Borsa e risalire a quella pratica in poco tempo non è semplice. Sull'integrità di Poste ci si può scommettere. Anche se porsi una domanda è lecito: conviene a una spa al 100% del ministero dell'Economia mettersi, sia pure indirettamente, contro il suo primo azionista, cioè il premier?

La risposta l'ha data, a suo modo, la Procura di Genova aprendo l'indagine sul fallimento di Chil srl, ceduta da Tiziano Renzi all'imprenditore genovese Gian Franco Massone già gravata di quel mutuo concesso dalla Bcc di Pontassieve e garantito dalla Fidi Toscana. La risposta l'ha data il governatore toscano Enrico Rossi revocando quell'agevolazione, concessa sotto forma di garanzia, dietro le insistenze del capogruppo di Fdi Giovanni Donzelli. La Regione si insinuerà allo stato passivo della società genovese chiedendo 34.951 euro, ovvero la parte mancante rispetto al rimborso ministeriale più una sanzione.

Quella garanzia era stata concessa nel 2009 perché si trattava di un'azienda toscana guidata da imprenditrici (la madre e una sorella di Renzi ne avevano il 100%, ndr ). Di qui la copertura estesa fino all'80% del mutuo rispetto al 60% generalmente concesso. Eppure sul contratto di finanziamento della Bcc di Pontassieve compare la firma di Tiziano Renzi come responsabile e non quella della consorte. Finanziamento peraltro concesso dal dirigente Marco Lotti, padre di Luca, braccio destro di Matteo Renzi. La cessione di Chil a Massone non fu peraltro comunicata alla Regione Toscana che avrebbe dovuto annullare la garanzia. La lettera di notifica fu ritrovata solo nel 2013 quando il fallimento era già avvenuto.

La Procura di Genova aveva iscritto nel registro degli indagati per bancarotta anche Tiziano Renzi poiché prima della cessione di Chil avvenne una scissione di ramo d'azienda con la cessione per poco più di 3mila euro a Laura Bovoli, madre di Renzi, della parte più redditizia dell'azienda che si occupava e si occupa di marketing, distribuzione editoriale e promozioni varie. Eventi 6,srl, questo il nuovo nome della good company , nel 2011 fatturò ben 4 milioni di euro. Quello della Procura di Genova era un atto dovuto, considerato che le precedenti attività di Gian Franco Massone non avevano avuto miglior esito di quello di Chil. Il gip di Genova a breve dovrebbe pronunciarsi. Ma sulla vicenda, visto il silenzio romano, resta sempre il sospetto di un conflitto di interessi.


http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 75313.html
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Re: Renzi

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"Lo Stato ci deve 90 miliardi"

Il presidente Confapi: "Renzi non è credibile, pensa alla grande industria e se ne frega dei piccoli"

Fabrizio Boschi - Sab, 26/09/2015 - 18:04


Milano A marzo 2014, fresco fresco di Palazzo Chigi, appena dopo aver ripulito la lama con cui accoltellò (politicamente) Letta alla schiena, Renzi promise di pagare tutti i debiti della Pubblica amministrazione entro settembre.

Per San Matteo.


«Altrimenti - annunciò da Vespa - andrò a piedi da Firenze al Monte Senario». I debiti stanno ancora là e Renzi al posto del pellegrinaggio ha preferito farsi l'aereo presidenziale nuovo. Maurizio Casasco, presidente Confapi (86.176 aziende e 817.508 lavoratori) non è arrabbiato, è furioso.

Presidente, è deluso per il mancato pellegrinaggio?

«Macché pellegrinaggio. Il problema è serio. Ci sono imprenditori che si ammazzano per disonore, per un debito con la Pa o con le banche di appena 10mila euro. Ho visto aziende di cento anni fallire per colpa di banche che non fanno più credito a imprenditori onesti che hanno sempre pagato le tasse. Perché se uno non paga, lo Stato mette l'ipoteca al capannone e l'industria è morta. È una violenza morale, etica, intellettuale e sociale, incredibile».

Che cosa serve?


«Rispetto. Vogliamo dare attenzione a questa gente che mette a rischio i propri beni familiari perché la Pa non paga? Renzi disse che in tre mesi avrebbe fatto tre riforme: la Pa, il Senato e la giustizia. Altrimenti si sarebbe dimesso. Da cento, i giorni sono diventati mille. Il sito del Mef che ha promesso di aggiornare ogni mese è fermo al 20 luglio. Un ritardo al quadrato. È un problema di credibilità. Per forza poi la metà degli elettori non va a votare...».

A quanto è arrivato il debito?


«Nessuno lo sa. Forse una novantina di miliardi. Ma aumenta sempre. Si figuri che il governo non è riuscito nemmeno ad onorare la somma stanziata di 44,6 miliardi: ne ha pagati solo 38,6».

E Renzi che dice?


«E chi ci ha mai parlato? Ho inviato il nostro Manifesto per la svolta a tutti: mi hanno risposto Martin Schultz, Jean-Claude Juncker, Jyrki Katainen, Donald Tusk, Antonio Tajani e Olli Rehn. Renzi non si è degnato. Ha fatto più Landini che lui».

Nemmeno il ministro Madia?


«Madia? E chi è? Mai vista né conosciuta».

Ha provato con Twitter?


«Proverò. Renzi non ha capito che le persone non si tengono buone con 80 euro e con il marketing , non ci serve che tagli cinque auto blu. Ci serve un governo che sia attento alla piccola e media industria privata».

Però in giro ci va tanto no?

«Sì, parla con Marchionne, ha rapporti con banche, assicurazioni e grandi industrie ma della piccola industria privata se ne frega dimenticando che il lavoro lo diamo noi non lui».

E voi che fate?


«Confapi farà azione legale per i non pagamenti. Se Renzi vuol fare il Principe Giovanni noi faremo Robin Hood. Un presidente non eletto va anche bene purché faccia le cose sennò ce ne vuole uno eletto da noi. Renzi non capisce che le nostre aziende falliscono per i crediti maturati nei confronti dello Stato. Manca la compensazione del debito con il credito. Se lo Stato non paga non succede niente, se l'industria non paga gli mettono le ganasce. E questo si chiama vergogna. Così ammazzano l'industria manifatturiera seconda in Europa».

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 75775.html
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Re: Renzi

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. Il problema che desideriamo affrontare è relativo al metodo usato dal capo del governo nella convinzione che la Rai debba servire il potere o almeno non disturbarlo. Non c'è nulla di più normale e di più fastidioso.

In senso assoluto Littorio Feltri ha ragione, ma non in senso relativo.

Non ricordo che quando governava Sirvio, che ha messo in atto gli editti bulgari e non solo, si sia mai espresso manifestando in senso di fastidio.

Questo ALLA FINE, non é un Paese civile, ma solo un GRANDE ASILO MARIUCCIA.




Qualcuno salvi il soldato Giannini dal generale Renzi
Il conduttore e il premier non si somigliano e non si pigliano per quanto entrambi professino generiche idee di sinistra. Non c'è nulla di più normale e di più fastidioso

Vittorio Feltri - Dom, 27/09/2015 - 17:10


Le polemiche saranno il sale della politica, ma quando è la politica a promuoverle contro i giornalisti si sente il cattivo odore della censura.

I signori del Palazzo non tacciono mai abbastanza.

La notizia non ha suscitato scalpore forse perché gli addetti all'informazione ormai sono abituati alle ingerenze dei responsabili della cosa pubblica e hanno imparato a metabolizzarle senza scomporsi.

Veniamo al dunque. Matteo Renzi ricorrendo allo stilema ironico ha rimproverato a Massimo Giannini, conduttore di Ballarò dopo la lunga stagione di Floris (passato a La7 di Cairo) la scarsa capacità di avere ascolti degni del suo predecessore. E questo è l'ultimo atto di un bisticcio che dura da tempo tra il premier e l'ex vicedirettore della Repubblica.

I due non si somigliano e non si pigliano per quanto entrambi professino generiche idee di sinistra. I motivi degli attriti sono irrilevanti e non meritano di essere riassunti. Trattasi di questioncelle, le solite che animano i rapporti meno amichevoli fra i mondi contigui della politica e del giornalismo. Il problema che desideriamo affrontare è relativo al metodo usato dal capo del governo nella convinzione che la Rai debba servire il potere o almeno non disturbarlo. Non c'è nulla di più normale e di più fastidioso.

Infatti Renzi, come tutti coloro che hanno occupato il seggiolone più alto dell'esecutivo, dice di battersi affinché la televisione pubblica sia libera, non vincolata a gruppi di pressione e in grado di esprimersi senza condizionamenti di alcun tipo. Ottima intenzione che, però, non si traduce nella pratica. Finché un programma è rispettoso dell'autorità, pronto a genuflettersi a chi comanda, tutto fila liscio; non appena manifesta inclinazioni alla critica, si salvi chi può. Il conduttore deve aspettarsi sgambetti e ritorsioni. Non risulta che Renzi abbia avviato procedure sotterranee allo scopo di silurare Giannini il reprobo, eppure nell'ambiente pettegolo della tv circolano già voci poco rassicuranti sul conto del collega: per questa edizione di Ballarò non sono previsti cambiamenti; per la prossima, la presenza dell'attuale guida della trasmissione non è garantita, anzi...

La vittima designata non è nostro parente e non lo difendiamo nemmeno per dovere d'ufficio. Semplicemente segnaliamo l'ennesima contraddizione.

Da una parte si auspica che i giornalisti dimostrino di avere la schiena diritta e non cedano alla tentazione della piaggeria; dall'altra, allorché uno di essi cerchi di concretizzare l'auspicio, viene indotto a pentirsi di avere esercitato appieno l'autonomia concessagli soltanto sulla carta. Identico costume vige nei quotidiani e nei settimanali: i pennini, dai migliori ai peggiori, reclamano indipendenza e si dichiarano privi di collare e di guinzaglio. In effetti essi non hanno bisogno né dell'uno né dell'altro perché sono i primi ad agire in modo da soddisfare il padrone, evitando così grane. È un comportamento molto umano e pertanto assai diffuso.

Non c'è da scandalizzarsi, c'è solo da prenderne atto e smettere di vantare una verginità che nella nostra categoria è rara, forse inesistente. Conviene essere sinceri e dire la verità: in tv e nei giornali godiamo della massima libertà di attaccare l'asino dove vuole l'editore. E se anche l'editore non ci fosse, menerebbe il torrone soltanto il direttore: saremmo liberi di attaccare il ciuccio dove lui ordina di attaccarlo.

Non è bello. Non rispecchia le illusioni della maggioranza dei cittadini. Ma non si è mai visto un esercito che non ubbidisca al generale. Benché faccia schifo, la gerarchia è indispensabile.
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Re: Renzi

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Scanzi vs D’Angelis (L’Unità): “Se Renzi in tv manda Madia e Picierno, uno vota un cercopiteco albino”

27/09/2015 di triskel182


https://triskel182.files.wordpress.com/ ... canzi1.jpg
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Vivace disputa verbale tra il giornalista de Il Fatto Quotidiano, Andrea Scanzi, e il direttore de L’Unità, Erasmo D’Angelis, entrambi ospiti di Otto e mezzo (La7) assieme alla giornalista Barbara Palombelli. Oggetto della discussione è l’aspra critica rivolta da Matteo Renzi ai talk show televisivi. Scanzi commenta: “Sul Fatto ho scritto che siamo passati dall’editto di Sofia all’etwitto di Rambo. Se a Renzi non piacciono i talk show, non li guardi. Giochi alla playstation con Orfini, giochi a ramino con il direttore D’Angelis o guardi la Fiorentina in tv. Quando il potere si vuole sostituire al giornalismo, è sempre pericoloso.E’ qualcosa che abbiamo già vissuto, ma quelle stesse persone che avevano consumato le scarpe facendo i girotondi contro la legge Bavaglio di Berlusconi adesso improvvisamente sono mansuete“. D’Angelis difende le parole del premier e ribatte: “Quale Paese vogliamo raccontare? Questi talk show raccontano la politica del divanetto di Montecitorio e la gente effettivamente si stufa.

Quest’estate, ad esempio, ci sono state migliaia di feste dell’Unità, un fenomeno di massa forse unico al mondo. E invece hanno raccontato per mesi di Verdini che si è iscritto in un circolo del Pd. Sel è entrato nel Pd e non ha fatto notizia”. Poi puntualizza: “Scanzi è un bravissimo professionista e lo leggo volentieri, perché scrive bene e gli faccio tanti complimenti. Ma potrebbe portare in scena una performance straordinaria del film “Good Bye, Lenin!”“. Il direttore de L’Unità indugia nella descrizione della trama del film tedesco di Becker, ma Scanzi osserva: “Consiglio al direttore D’Angelis di aggiornare un po’ le sue metafore, perché è la stessa cosa che ha scritto qualche settimana fa su Marco Travaglio“. La firma de Il Fatto sottolinea il gran numero di cerimonieri del premier nell’informazione nostrana e stigmatizza l’uso degli ascolti televisivi come discrimine unico per criticare i talk show di approfondimento: “Se dovessimo ragionare solo per quantità di telespettatori o di lettori, allora dovremmo dire che Fabio Volo è più importante di Beppe Fenoglio o che Don Matteo dovrebbe fare il premier o che Alessia Marcuzzi dovrebbe fare il ministro delle Riforme. Io potrei essere anche d’accordo, perché comunque meglio di Renzi sarebbe anche Terence Hill“. D’Angelis sottolinea che nessuno celebra Renzi, perché è il premier a dettare l’agenda dei media, magari anche con un tweet. Scanzi replica che il nervosismo recente di Renzi è addebitabile al crollo di popolarità, come attestano i recenti sondaggi di Pagnoncelli. E aggiunge: “E’ anche importante la qualità delle persone che vanno nei talk show. Se volessi votare Renzi e se per disgrazia vedessi in tv una Picierno o una Madia, dopo voterei chiunque, anche un cercopiteco albino, tranne loro due“. Il direttore de L’Unità difende con convinzione l’operato del governo Renzi e Scanzi osserva: “Se noi del Fatto siamo vittime del film “Good Bye, Lenin!”, tu forse sei dentro “Il favoloso mondo di Amélie”, solo che al posto di Amélie c’è Renzi. Capisco che tu sia entusiasta di Renzi, visto che ti pagano per questo”.

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Re: Renzi

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il manifesto 27.9.15
Sedotti dall’arroganza di Renzi
Le ultime villanie del premier dicono qualcosa di nuovo su noi tutti: che ci stiamo assuefacendo a una volgarità e una violenza che dovrebbero destare allarme e forse scandalizzare

di Alberto Burgio

Ne ha dette, ne dice giornalmente tante e tali che non ci si dovrebbe più far caso. Ma una delle ultime esternazioni del presidente del Consiglio urta i nervi in modo particolare, sì che si stenta a dimenticarsene. «I sindacati debbono capire che la musica è cambiata», ha sentenziato con rara eleganza a margine dello «scandalo» dell’assemblea dei custodi del Colosseo. Non sembra che la dichiarazione abbia suscitato reazioni, e questo è di per sé molto significativo. Eppure essa appare per diverse ragioni sintomatica, oltre che irricevibile.
In effetti la rozzezza dell’attacco non è una novità. Come non lo è il fatto che il governo opti decisamente per la parte datoriale, degradando i lavoratori a fannulloni e i sindacati a gravame parassitario che si provvederà finalmente a ridimensionare. È una cifra di questo governo un thatcherismo plebeo che liscia il pelo agli umori più retrivi di cui trabocca la società scomposta dalla crisi. Sempre daccapo il «capo del governo» si ripropone come vendicatore delle buone ragioni, che guarda caso non sono mai quelle di chi lavora. E si rivolge, complice la grancassa mediatica, a una platea indistinta al cui cospetto agitare ogni volta il nuovo capro espiatorio.
Sin qui nulla di nuovo dunque. Nuova è invece, in parte, l’ennesima caduta espressiva. Un lessico che si fa sempre più greve, prossimo allo squadrismo verbale di un novello Farinacci. Così ci si esprime, forse, al Bar Sport quando si è alzato troppo il gomito. Se si guida il governo di una democrazia costituzionale non ci si dovrebbe lasciare andare al manganello.
«La musica è cambiata», «tiro dritto» e «me ne frego». Senza dimenticare i beneamati «gufi». Quest’uomo fu qualche mese fa liquidato come un cafoncello dal direttore del più paludato quotidiano italiano. Quest’ultimo dovette poi prontamente sloggiare dal suo ufficio, a dimostrazione che il personaggio non è uno sprovveduto. Sin qui gli scontri decisivi li ha vinti, e non sarebbe superfluo capire sino in fondo perché. Ma la cafoneria resta tutta. E si accompagna alla scelta consapevole di selezionare un uditorio di facinorosi, di frustrati, di smaniosi di vincere con qualsiasi mezzo — magari vendendosi e svendendosi nelle aule parlamentari.
Secondo un’idea della società che celebra gli spiriti animali e ripudia i vincoli arcaici della giustizia, dell’equità, della solidarietà.
Di fatto il tono si fa sempre più arrogante, autoritario, ducesco. Gli altri debbono, lui decide. Ne sa qualcosa il presidente del Senato, trattato in questi giorni come quantità trascurabile. E qualcosa dovrebbe saperne anche il presidente della Repubblica, che evidentemente ha altro a cui pensare, visto che non ha fatto una piega — un silenzio fragoroso — quando Renzi ha minacciato di chiudere il Senato e trasformarne la sede in un museo — per fortuna non più in «un bivacco di manipoli». E forse proprio qui sta il punto, ciò che non permette di liberarsi di questo fastidioso rumore di fondo.
Questa ennesima villania non aggiunge granché a quanto sapevamo già dell’inquilino di palazzo Chigi, del suo profilo, del suo, diciamo, stile. Dice invece qualcosa di nuovo e d’importante su noi tutti, che ci stiamo assuefacendo, che ci disinteressiamo, che registriamo e accettiamo come normale amministrazione una volgarità e una violenza che dovrebbero destare allarme e forse scandalizzare. Tanto più che non si tratta, almeno formalmente, del capo di una destra nerboruta.
Nessuno ha protestato, nessuno ha reagito: men che meno, ovviamente, gli esponenti della «sinistra interna» del Pd, in teoria attenti alla qualità della nostra democrazia e alle ragioni e alla dignità del mondo del lavoro. Queste parole sono scivolate come acqua sul marmo, segno che le si è assunte come del tutto normali, cose giuste dette al momento giusto. In effetti da un certo punto di vista indubbiamente lo sono. Quest’ultima aggressione si armonizza appieno con la «musica» che questo governo suona da quando si è insediato. Ma la forma è sostanza, soprattutto in politica. E il sovrappiù di aggressività e di volgarità che la contraddistingue stupisce non sia stato nemmeno rilevato.
Evidentemente ci va bene essere governati da uno che — al netto delle sue scelte, sempre a favore di chi ha e può più degli altri — non sa aprir bocca senza minacciare insultare sfottere ridicolizzare. Ci va bene la tracotanza, ci piace la supponenza, ci seduce l’arroganza. Apprezziamo la violenza che scambiamo per forza e per autorevolezza. Dovremmo rifletterci un po’ su. Dovremmo fare più attenzione alle parole dette e ascoltate, avere maggiore rispetto per noi stessi. E chiederci finalmente che cosa siamo diventati e rischiamo di diventare seguitando di questo passo.
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Re: Renzi

Messaggio da camillobenso »

Sviste, favori e coperture: ecco la rete bucata che ha graziato i Renzi

Chi ha protetto la famiglia: dall'amico generale Adinolfi che guidava la Finanza con Matteo sindaco, al pm che voleva archiviare l'indagine sul padre

Gian Maria De Francesco - Dom, 27/09/2015 - 19:46


Roma Di riffa o di raffa, ai Renzi fila tutto liscio. Il giovane premier, quando ancora era presidente della Provincia e poi sindaco di Firenze, era finito nel mirino di un dipendente comunale.

Niente di penalmente rilevante, solo tanta familiarità. Però Adinolfi, che era a capo delle Fiamme gialle in Toscana, secondo quel tignoso dipendente potrebbe essere la causa dell'insabbiamento delle sue denunce. Tanto da presentarne una nuova, sulla base della quale la procura di Firenze ha aperto un fascicolo contro ignoti e indaga per capire se qualcuno ha «protetto» Renzi dalle magagne giudiziarie, invece di contribuire alla funzione di controllo.

Solo un caso, ma non l'unico per la famiglia. Anche la vicenda Chil Post per babbo Tiziano sembrava essersi messa di traverso. All'inizio era andato tutto bene. Il mutuo da 700mila euro concesso con una garanzia regionale dell'80% grazie alla mamma del premier, messa lì come amministratrice (come dichiarato dal babbo davanti al pm) per sfruttare l'opportunità offerta dalla Regione alle imprese in rosa, mentre la Chil post la gestiva solo lui. Tanto che subito dopo torna sulla tolda di comando proprio Tiziano. La cessione di ramo d'azienda per un tozzo di pane alla Eventi6, azienda di famiglia pure questa, che svuota la Chil, regalata «in amicizia» a Massone, che la porta al fallimento.

Ma qui sembravano cominciare i problemi. Prima l'iscrizione nel registro degli indagati per bancarotta fraudolenta, poi la storia del mutuo dai contorni opachi. Sul primo punto, c'erano le annotazioni della Gdf a indicare come «anomala» quella compravendita, e i due pm genovesi sembravano concordare. A marzo scorso, il colpo di scena: i magistrati credono a Tiziano, ne chiedono addirittura l'archiviazione (anche se il gip l'ha rigettata e a breve dovrà pronunciarsi). Nicola Piacente, uno dei due pm titolari dell'inchiesta, da novembre sarà capo della procura di Como. Quanto alle Fiamme gialle, quei documenti sono rimasti a prendere polvere nel faldone in procura, senza mai sbarcare negli uffici del Mef, che se ne sarebbero potuti interessare.

Via XX Settembre è, infatti, l'azionista unico di Poste Italiane cui fa capo Banca del Mezzogiorno-Mcc che gestisce il Fondo centrale di garanzia del ministero dello Sviluppo, l'organo che ha rimborsato la Regione Toscana con 236mila euro, dopo che quest'ultima aveva garantito, tramite Fidi Toscana, l'80% del mutuo acceso da Chil Post con la Bcc di Pontassieve. E, invece, nessun ministero né il Fondo di garanzia né Banca del Mezzogiorno-Mcc si sono insinuati al passivo di Chil Post per cercare di recuperare, almeno parzialmente, i soldi della collettività. Un intero sistema di controllo si perde per strada.

Anche la Regione Toscana, in fondo, stava per far passare tutto quanto in cavalleria. Solo le insistenti denunce del capogruppo di Fdi in consiglio, Giovanni Donzelli, hanno sortito l'effetto di mettere il governatore Enrico Rossi dinanzi alle proprie responsabilità e di «obbligarlo» a insinuarsi al passivo di Chil Post per recuperare i 35mila euro di quota capitale e sanzioni non riavute indietro dal ministero. A Firenze, evidentemente, la solerzia non è di casa. Il passaggio di quote da mamma Renzi al papà dopo la concessione di una garanzia regionale dell'80% anziché del 60%? «Il regolamento lo consente», s'è difeso il governatore nell'intervista al Corriere . La revoca dell'aiuto concesso? «Di fronte ai probabili attacchi politici non si poteva far finta di nulla», ha aggiunto Rossi spiegando che, se fosse stato per lui, tutto sarebbe potuto passare tranquillamente sotto silenzio. Insomma, chiamarsi Renzi nell'Italia di oggi ha un peso molto rilevante che rende qualche cittadino più uguale degli altri.

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 76009.html
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