IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
il manifesto 14.10.15
Zagrebelsky: riformatori questi? No, esecutori di progetti altrui
L'ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky
di A. Fab.
Avevamo chiesto al professor Gustavo Zagrebelsky di sottoscrivere l’articolo che abbiamo pubblicato ieri con le firme di sei tra i più autorevoli costituzionalisti italiani, e che ripubblichiamo oggi qui accanto. Zagrebelsky ha preferito non firmare, ma ha aggiunto delle motivazioni che riteniamo valga la pena far conoscere – con il suo consenso — ai nostri lettori. «Dopo averci pensato, ho deciso di non firmare, non perché non sia d’accordo sugli argomenti, proposti all’attenzione dei responsabili della riforma. La ragione — sostiene l’ex presidente della Corte costituzionale - è un’altra: la totale irrilevanza dell’invito alla riflessione presso chi si appella semplicemente all’argomento della forza. Una delle espressioni più ricorrenti, in questo tempo di autoritarismo non solo strisciante ma addirittura conclamato come virtù, è «abbiamo i voti», «abbiamo i numeri». Una concezione della democrazia da scuola elementare! Dunque, che cosa serve discutere? Un bel nulla. Oltretutto, ho l’impressione che i nostri riformatori, tronfi dei loro numeri raccogliticci in un consesso che ha raggiunto il grado più basso di credibilità, non agiscano in libertà, ma come esecutori di progetti che li sovrastano, di cui hanno accettato di farsi passivi e arroganti esecutori in nome di interessi o poco chiari, o indicibili ch’essi riassumono nel ridicolo nome di «governabilità»: parola di cui non conoscono nemmeno il significato. Non dissento nel merito, ma sono certo della totale inefficacia dell’invito al confronto. Mi astengo, dunque, dal firmare — conclude Zagrebelsky -, i tempi dell’impegno verranno quando saranno chiamati i cittadini a esprimersi, saranno duri e imminenti. Allora sarà un’altra storia».
Zagrebelsky: riformatori questi? No, esecutori di progetti altrui
L'ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky
di A. Fab.
Avevamo chiesto al professor Gustavo Zagrebelsky di sottoscrivere l’articolo che abbiamo pubblicato ieri con le firme di sei tra i più autorevoli costituzionalisti italiani, e che ripubblichiamo oggi qui accanto. Zagrebelsky ha preferito non firmare, ma ha aggiunto delle motivazioni che riteniamo valga la pena far conoscere – con il suo consenso — ai nostri lettori. «Dopo averci pensato, ho deciso di non firmare, non perché non sia d’accordo sugli argomenti, proposti all’attenzione dei responsabili della riforma. La ragione — sostiene l’ex presidente della Corte costituzionale - è un’altra: la totale irrilevanza dell’invito alla riflessione presso chi si appella semplicemente all’argomento della forza. Una delle espressioni più ricorrenti, in questo tempo di autoritarismo non solo strisciante ma addirittura conclamato come virtù, è «abbiamo i voti», «abbiamo i numeri». Una concezione della democrazia da scuola elementare! Dunque, che cosa serve discutere? Un bel nulla. Oltretutto, ho l’impressione che i nostri riformatori, tronfi dei loro numeri raccogliticci in un consesso che ha raggiunto il grado più basso di credibilità, non agiscano in libertà, ma come esecutori di progetti che li sovrastano, di cui hanno accettato di farsi passivi e arroganti esecutori in nome di interessi o poco chiari, o indicibili ch’essi riassumono nel ridicolo nome di «governabilità»: parola di cui non conoscono nemmeno il significato. Non dissento nel merito, ma sono certo della totale inefficacia dell’invito al confronto. Mi astengo, dunque, dal firmare — conclude Zagrebelsky -, i tempi dell’impegno verranno quando saranno chiamati i cittadini a esprimersi, saranno duri e imminenti. Allora sarà un’altra storia».
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Perchè è una bufala la scusa che eliminando il Senato si accorciano i tempi di lettura delle leggi.
La dimostrazione l'hanno data ieri approvando in 24 ore la legge sul finanziamento ai partiti.
Quando interessa alla Casta le leggi le approvano in un battibaleno. Negli altri casi tirano a campare.
Muori se un giornalista glielo faccia presente nei talk.
La dimostrazione l'hanno data ieri approvando in 24 ore la legge sul finanziamento ai partiti.
Quando interessa alla Casta le leggi le approvano in un battibaleno. Negli altri casi tirano a campare.
Muori se un giornalista glielo faccia presente nei talk.
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
lucfig ha scritto:Su questo dobbiamo lottare adesso.
La riforma non deve passare, perché in questo modo dimostreremo che le riforme vengono fatte insieme ai cittadini e non da soli.
Quindi da adesso dobbiamo pensare, convincere che deve passare il NO, senza se e senza ma.
Sarà una battaglia durissima perché i dati del sondaggio sull'Espresso dicono che il 66% è favorevole.
Ma va fatta lo stesso per non far passare il disegno (intelligente) di Licio Gelli.
Il sondaggio
Riforma del Senato, cosa non piace agli italiani
Secondo i rilevamenti Demopolis, il 66 per cento è favorevole al superamento del bicameralismo perfetto. Tuttavia, la stragrande maggioranza ha delle riserve sulla scelta di portare a Palazzo Madama 74 consiglieri regionali. E molti ammettono di non aver compreso totalmente i cambiamenti in atto
15 ottobre 2015
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
La Stampa 17.10.15
Compromesso sul nuovo Senato
A gennaio il voto alla Camera, nell’autunno 2016 referendum
Il Pd voleva accelerare, lite e poi intesa con le opposizioni
di Carlo Bertini
Ci son voluti due round sul ring della capigruppo di Montecitorio per sfornare il compromesso, ma alla fine c’è una data entro cui la riforma costituzionale sarà votata dalla Camera, anzi due: il 4 dicembre finiranno i voti in aula sugli emendamenti (che avranno inizio il 20 novembre) e poi l’11 gennaio il voto finale.
Ciò significa che dopo gli altri due passaggi definitivi a Palazzo Madama e a Montecitorio, (che se tutto va bene si concluderanno a metà aprile), il referendum con cui i cittadini potranno dire sì o no all’abolizione del Senato si terrà nell’autunno 2016: senza quindi poter essere accorpato con l’Election Day delle comunali di maggio.
Obiettivo questo che ormai pare accantonato, perché i tecnici del governo hanno valutato che sarebbe assai arduo riuscire a rispettare la tempistica prevista dalla legge sulle consultazioni popolari. Ma la voglia del Pd di anticipare a novembre il voto alla Camera per accelerare ha fatto nascere il sospetto nelle opposizioni: in ogni caso la Boschi ha indicato l’autunno come sbocco più probabile per il referendum.
Scenari e congresso Pd
Ora che la riforma clou della legislatura va in discesa verso l’approdo, in Transatlantico già si tracciano scenari futuri, assai prematuri, perfino oltre la consultazione popolare sulla riforma del Senato dell’autunno 2016: nei timori dei peones del Pd il referendum potrebbe essere usato come trampolino di lancio di una lunga campagna elettorale per andare alle politiche nel giugno 2017.
Magari anticipando pure le primarie nazionali per il congresso del partito - previsto in autunno - alla primavera 2017.
Suggestioni che aleggiano nel Pd malgrado il premier continui a ripetere che la legislatura proseguirà fino al 2018: ma che non sono fuori dell’orizzonte dei quadri alti e intermedi. «Sì, ne ho sentito parlare, ma vedremo», ammette in un Transatlantico deserto il segretario regionale del Pd siciliano, Fausto Raciti. Renzi però fissa ben altro orizzonte: «l’Italia è arrivata all’ultimo miglio di questa fase di transizione delle riforme e ora inizia il bello, pensare all’Italia dei prossimi 20 anni».
La corrida a Montecitorio
In ogni caso, a parte le tribolazioni del Pd e quelle di Ncd, lo scenario più realistico e immediato prevede per la riforma costituzionale un’altra corrida a Montecitorio con le opposizioni, analoga a quella vissuta dal Senato. E c’è voluta una mediazione della Boldrini per convincere tutti i contendenti a convergere su una data certa per il varo.
La paura dei vertici Pd era la Lega e un’altra valanga di emendamenti, ma il Carroccio si è impegnato, così come Forza Italia e Sel, a chiudere l’11 gennaio. Dunque tranne che con i 5Stelle - «dispiace che si tirino sempre fuori», dice la Boschi, «il loro obiettivo è rinviare sine die» - con gli altri si è raggiunto un accordo sul metodo: che al Pd va bene perché alla Camera il regolamento non consente né “canguri” per saltare emendamenti, né “tagliole” varie, quindi bisognerà vedersela con i grillini: che però al Senato non hanno inondato l’aula di richieste di modifica.
E quanto all’obbligo di tenere il referendum in autunno e non insieme alle comunali, nel Pd si valutano i pro e i contro: pur ammettendo che l’Election Day fa risparmiare e porta sempre più gente a votare, costituire i comitati per il sì al referendum contro quelli del no promossi da Sel, con cui in molti Comuni si andrà a braccetto, potrebbe creare non pochi problemi nei territori.
Compromesso sul nuovo Senato
A gennaio il voto alla Camera, nell’autunno 2016 referendum
Il Pd voleva accelerare, lite e poi intesa con le opposizioni
di Carlo Bertini
Ci son voluti due round sul ring della capigruppo di Montecitorio per sfornare il compromesso, ma alla fine c’è una data entro cui la riforma costituzionale sarà votata dalla Camera, anzi due: il 4 dicembre finiranno i voti in aula sugli emendamenti (che avranno inizio il 20 novembre) e poi l’11 gennaio il voto finale.
Ciò significa che dopo gli altri due passaggi definitivi a Palazzo Madama e a Montecitorio, (che se tutto va bene si concluderanno a metà aprile), il referendum con cui i cittadini potranno dire sì o no all’abolizione del Senato si terrà nell’autunno 2016: senza quindi poter essere accorpato con l’Election Day delle comunali di maggio.
Obiettivo questo che ormai pare accantonato, perché i tecnici del governo hanno valutato che sarebbe assai arduo riuscire a rispettare la tempistica prevista dalla legge sulle consultazioni popolari. Ma la voglia del Pd di anticipare a novembre il voto alla Camera per accelerare ha fatto nascere il sospetto nelle opposizioni: in ogni caso la Boschi ha indicato l’autunno come sbocco più probabile per il referendum.
Scenari e congresso Pd
Ora che la riforma clou della legislatura va in discesa verso l’approdo, in Transatlantico già si tracciano scenari futuri, assai prematuri, perfino oltre la consultazione popolare sulla riforma del Senato dell’autunno 2016: nei timori dei peones del Pd il referendum potrebbe essere usato come trampolino di lancio di una lunga campagna elettorale per andare alle politiche nel giugno 2017.
Magari anticipando pure le primarie nazionali per il congresso del partito - previsto in autunno - alla primavera 2017.
Suggestioni che aleggiano nel Pd malgrado il premier continui a ripetere che la legislatura proseguirà fino al 2018: ma che non sono fuori dell’orizzonte dei quadri alti e intermedi. «Sì, ne ho sentito parlare, ma vedremo», ammette in un Transatlantico deserto il segretario regionale del Pd siciliano, Fausto Raciti. Renzi però fissa ben altro orizzonte: «l’Italia è arrivata all’ultimo miglio di questa fase di transizione delle riforme e ora inizia il bello, pensare all’Italia dei prossimi 20 anni».
La corrida a Montecitorio
In ogni caso, a parte le tribolazioni del Pd e quelle di Ncd, lo scenario più realistico e immediato prevede per la riforma costituzionale un’altra corrida a Montecitorio con le opposizioni, analoga a quella vissuta dal Senato. E c’è voluta una mediazione della Boldrini per convincere tutti i contendenti a convergere su una data certa per il varo.
La paura dei vertici Pd era la Lega e un’altra valanga di emendamenti, ma il Carroccio si è impegnato, così come Forza Italia e Sel, a chiudere l’11 gennaio. Dunque tranne che con i 5Stelle - «dispiace che si tirino sempre fuori», dice la Boschi, «il loro obiettivo è rinviare sine die» - con gli altri si è raggiunto un accordo sul metodo: che al Pd va bene perché alla Camera il regolamento non consente né “canguri” per saltare emendamenti, né “tagliole” varie, quindi bisognerà vedersela con i grillini: che però al Senato non hanno inondato l’aula di richieste di modifica.
E quanto all’obbligo di tenere il referendum in autunno e non insieme alle comunali, nel Pd si valutano i pro e i contro: pur ammettendo che l’Election Day fa risparmiare e porta sempre più gente a votare, costituire i comitati per il sì al referendum contro quelli del no promossi da Sel, con cui in molti Comuni si andrà a braccetto, potrebbe creare non pochi problemi nei territori.
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
camillobenso, tu scrivi : sondaggio sull'Espresso dicono che il 66% è favorevole.
non riesco a trovarlo.
non riesco a trovarlo.
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
iospero ha scritto:camillobenso, tu scrivi : sondaggio sull'Espresso dicono che il 66% è favorevole.
non riesco a trovarlo.
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Secondo i rilevamenti Demopolis, il 66 per cento è favorevole al superamento del bicameralismo perfetto. Tuttavia, la stragrande maggioranza ha delle riserve sulla scelta di portare a Palazzo Madama 74 consiglieri regionali. E molti ammettono di non aver compreso totalmente i cambiamenti in attocamillobenso ha scritto:iospero ha scritto:camillobenso, tu scrivi : sondaggio sull'Espresso dicono che il 66% è favorevole.
non riesco a trovarlo.
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
E' ben diverso, infatti credo che la maggior parte sia favorevole al superamento del bicameralismo perfetto, ma non a questa riforma costituzionale che come uno specchio per le allodole fa ben altri cambiamenti
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Sui sondaggi io ho qualche dubbio ... poi se aggiungiamo che c'è una grande ignoranza sui temi coperta da slogan fasulli, allora basta fare un buona campagna che riusciamo a smascherare il mal fatto.
A questo punto Renzi è finito.
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Dobbiamo dar atto che la maggioranza della popolazione in questi anni si e' disinnamorata della politica e quindi i sondaggi portano con se anche questo problema. Chi fra costoro interpellati sanno veramente cosa e' questo bicameralismo perfetto?iospero ha scritto:Secondo i rilevamenti Demopolis, il 66 per cento è favorevole al superamento del bicameralismo perfetto. Tuttavia, la stragrande maggioranza ha delle riserve sulla scelta di portare a Palazzo Madama 74 consiglieri regionali. E molti ammettono di non aver compreso totalmente i cambiamenti in attocamillobenso ha scritto:http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLOiospero ha scritto:camillobenso, tu scrivi : sondaggio sull'Espresso dicono che il 66% è favorevole.
non riesco a trovarlo.
E' ben diverso, infatti credo che la maggior parte sia favorevole al superamento del bicameralismo perfetto, ma non a questa riforma costituzionale che come uno specchio per le allodole fa ben altri cambiamenti
La politica non deve seguire i sondaggi ma deve fare il contrario. Avere una sua idea politica e poi esporla altrimenti saremo sempre costretti a seguire l'opinione pubblica che in molti casi non e' per niente politicizzata . In questo modo si va direttamente verso una repubblica delle banane.
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Inserisco qui quanto richiesto da pancho nel 3D RENZI
Non lo trovo. Inserisci il link, Zione
un salutone
Politica
Politica: unire le forze progressiste, salvare la Costituzione e battere Renzi
di Sergio Caserta | 31 dicembre 2015
Commenti (68)
C’è un imperativo categorico politico e morale, dopo l’approvazione del jobs act e delle controriforme renziane: sconfiggere il Partito Democratico, mandarlo all’opposizione ovunque sia possibile. Questo partito è oggi la quintessenza di quanto di peggio abbia prodotto il liberismo in economia e la degenerazione del sistema partitico in Italia. Viviamo una crisi senza precedenti, una crisi economica strutturale e di lunga durata che ha impoverito milioni di persone che non hanno lavoro, che non possono raggiungere la pensione e che oggi vedono anche compromessi i propri risparmi a causa dei fallimenti delle banche. Non c’è da illudersi purtroppo siamo solo all’inizio del fenomeno.
Dal 2008 il combinato disposto di globalizzazione economica e crisi della finanza mondiale, hanno prodotto un grande sconquasso. Le economie dei paesi occidentali hanno subito la concorrenza dei nuovi grandi produttori emergenti: Cina, India, Brasile ecc. ecc. Il crollo delle economie ha prodotto l’instabilità dei titoli del debito pubblico dei paesi più indebitati come l’Italia. L’ombrello di difesa della Bce ha garantito finora la tenuta finanziaria contenendo i tassi ma non la ripresa, che è possibile solo con una profonda ristrutturazione delle economie in tempi lunghi. La risposta che viene data alla crisi, non è la lotta all’evasione fiscale, la tassazione delle rendite e dei grandi patrimoni, è invece il taglio indiscriminato del costo del lavoro, delle pensioni, della sanità e del welfare.
Ecco che in Italia dopo il governo “tecnico” di Monti e dopo la parentesi di Letta, è arrivato Renzi che ai tagli ha aggiunto la distruzione del diritto del lavoro e della Costituzione, così come voluto dalle grandi holding finanziarie internazionali, JP Morgan in testa. Per questo gli è stato consentito, con il supporto della destra e dei poteri forti, di subentrare alla guida del maggior partito e poi del Paese. Attraverso un autentico golpe al traballante gruppo dirigente democratico, troppo debole per realizzare un programma così spregiudicato e antisociale. E’ incomprensibile agli occhi di una persona normale come sia possibile che il Partito Democratico abbia voltato in modo così spudorato le spalle alla nostra Costituzione, che ha garantito per sessant’anni la tenuta democratica di un paese condizionato da mafie e massonerie.
L’equilibrio dei poteri dello stato, l’indipendenza della magistratura, la distinzione tra esecutivo e parlamento, il sistema proporzionale pur con tutti i difetti, hanno garantito la vita democratica, pur se attraversata da tensioni e pericoli di ogni genere. Pensiamo a cosa è stata la commissione d’inchiesta sulla P2 guidata da Tina Anselmi, la capacità di sventare un grande complotto contro la democrazia, pensiamo come la magistratura nonostante i tentativi di limitarne l’azione sia riuscita a scoperchiare Tangentopoli e a mandare a casa un’intera classe dirigente.
Cosa accadrà con la nuova legge elettorale che fissa un abnorme premio di maggioranza, consentendo al partito maggiore di fatto di nominare 2/3 del Parlamento in cui il vincitore avrà praticamente una maggioranza schiacciante sotto il suo completo controllo, conquistata col ballottaggio pur rappresentando meno di un terzo degli elettori: la dittatura di una minoranza resa artatamente maggioranza. Con quali criteri si decideranno i giudici costituzionali, quelli della magistratura contabile, le cariche di vigilanza? Ci avviamo verso un regime monocratico illiberale, alla fine della repubblica parlamentare. Tutto questo mentre il mondo del lavoro è zittito, dopo l’abolizione della protezione fondamentale dello statuto dei lavoratori e in particolare dell’articolo 18. I padroni hanno già alzato la voce, si potrà licenziare anche senza giusta causa, sborsando nella peggiore delle ipotesi qualche centesimo di mancia, ma il potere deterrente, è ancor più forte e rende il lavoratore sottomettibile a qualunque sopruso. Ecco l’idea di giustizia sociale che alberga nel governo a guida Pd!
Non è un caso che siano stati attaccati i due istituti principali del nostro ordinamento democratico, la Costituzione e lo statuto dei lavoratori, essi rappresentano l’essenza stessa della concezione progressiva della Repubblica democratica e antifascista, di cui s’intende eliminare il segno. Per queste ragioni non ha alcun senso chi dice che elezioni amministrative, quindi il voto dei comuni, è diverso e si devono valutare solo gli aspetti locali. E’ una menzogna perché tutti sanno benissimo che il potere di Renzi si regge soprattutto attraverso la rete degli amministratori locali che sono l’ossatura del suo partito e che non a caso sono coloro che hanno chinato il capo davanti alle inaccettabili decisioni del governo, a cominciare dall’attuale sindaco di Bologna Merola, diventato renziano, come tanti altri, al primo stormir di fronde.
Oggi l’imperativo categorico è dare una risposta chiara e netta al tentativo di eliminare ogni forma di opposizione, unire la battaglia per nuove amministrazioni comunali che difendano l’autonomia degli enti locali dai tagli e dalla centralizzazione contemporaneamente alla difesa della nostra Costituzione vilipesa, quindi un pieno impegno per la campagna referendaria per cancellare l’odioso Italicum. Tutte le forze progressiste e costituzionaliste, indipendentemente dalla loro precedente collocazione politica, devono unirsi, in questa battaglia di civiltà per salvare il nostro sistema democratico da una svolta autoritaria.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... i/2342056/
Non lo trovo. Inserisci il link, Zione
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Politica
Politica: unire le forze progressiste, salvare la Costituzione e battere Renzi
di Sergio Caserta | 31 dicembre 2015
Commenti (68)
C’è un imperativo categorico politico e morale, dopo l’approvazione del jobs act e delle controriforme renziane: sconfiggere il Partito Democratico, mandarlo all’opposizione ovunque sia possibile. Questo partito è oggi la quintessenza di quanto di peggio abbia prodotto il liberismo in economia e la degenerazione del sistema partitico in Italia. Viviamo una crisi senza precedenti, una crisi economica strutturale e di lunga durata che ha impoverito milioni di persone che non hanno lavoro, che non possono raggiungere la pensione e che oggi vedono anche compromessi i propri risparmi a causa dei fallimenti delle banche. Non c’è da illudersi purtroppo siamo solo all’inizio del fenomeno.
Dal 2008 il combinato disposto di globalizzazione economica e crisi della finanza mondiale, hanno prodotto un grande sconquasso. Le economie dei paesi occidentali hanno subito la concorrenza dei nuovi grandi produttori emergenti: Cina, India, Brasile ecc. ecc. Il crollo delle economie ha prodotto l’instabilità dei titoli del debito pubblico dei paesi più indebitati come l’Italia. L’ombrello di difesa della Bce ha garantito finora la tenuta finanziaria contenendo i tassi ma non la ripresa, che è possibile solo con una profonda ristrutturazione delle economie in tempi lunghi. La risposta che viene data alla crisi, non è la lotta all’evasione fiscale, la tassazione delle rendite e dei grandi patrimoni, è invece il taglio indiscriminato del costo del lavoro, delle pensioni, della sanità e del welfare.
Ecco che in Italia dopo il governo “tecnico” di Monti e dopo la parentesi di Letta, è arrivato Renzi che ai tagli ha aggiunto la distruzione del diritto del lavoro e della Costituzione, così come voluto dalle grandi holding finanziarie internazionali, JP Morgan in testa. Per questo gli è stato consentito, con il supporto della destra e dei poteri forti, di subentrare alla guida del maggior partito e poi del Paese. Attraverso un autentico golpe al traballante gruppo dirigente democratico, troppo debole per realizzare un programma così spregiudicato e antisociale. E’ incomprensibile agli occhi di una persona normale come sia possibile che il Partito Democratico abbia voltato in modo così spudorato le spalle alla nostra Costituzione, che ha garantito per sessant’anni la tenuta democratica di un paese condizionato da mafie e massonerie.
L’equilibrio dei poteri dello stato, l’indipendenza della magistratura, la distinzione tra esecutivo e parlamento, il sistema proporzionale pur con tutti i difetti, hanno garantito la vita democratica, pur se attraversata da tensioni e pericoli di ogni genere. Pensiamo a cosa è stata la commissione d’inchiesta sulla P2 guidata da Tina Anselmi, la capacità di sventare un grande complotto contro la democrazia, pensiamo come la magistratura nonostante i tentativi di limitarne l’azione sia riuscita a scoperchiare Tangentopoli e a mandare a casa un’intera classe dirigente.
Cosa accadrà con la nuova legge elettorale che fissa un abnorme premio di maggioranza, consentendo al partito maggiore di fatto di nominare 2/3 del Parlamento in cui il vincitore avrà praticamente una maggioranza schiacciante sotto il suo completo controllo, conquistata col ballottaggio pur rappresentando meno di un terzo degli elettori: la dittatura di una minoranza resa artatamente maggioranza. Con quali criteri si decideranno i giudici costituzionali, quelli della magistratura contabile, le cariche di vigilanza? Ci avviamo verso un regime monocratico illiberale, alla fine della repubblica parlamentare. Tutto questo mentre il mondo del lavoro è zittito, dopo l’abolizione della protezione fondamentale dello statuto dei lavoratori e in particolare dell’articolo 18. I padroni hanno già alzato la voce, si potrà licenziare anche senza giusta causa, sborsando nella peggiore delle ipotesi qualche centesimo di mancia, ma il potere deterrente, è ancor più forte e rende il lavoratore sottomettibile a qualunque sopruso. Ecco l’idea di giustizia sociale che alberga nel governo a guida Pd!
Non è un caso che siano stati attaccati i due istituti principali del nostro ordinamento democratico, la Costituzione e lo statuto dei lavoratori, essi rappresentano l’essenza stessa della concezione progressiva della Repubblica democratica e antifascista, di cui s’intende eliminare il segno. Per queste ragioni non ha alcun senso chi dice che elezioni amministrative, quindi il voto dei comuni, è diverso e si devono valutare solo gli aspetti locali. E’ una menzogna perché tutti sanno benissimo che il potere di Renzi si regge soprattutto attraverso la rete degli amministratori locali che sono l’ossatura del suo partito e che non a caso sono coloro che hanno chinato il capo davanti alle inaccettabili decisioni del governo, a cominciare dall’attuale sindaco di Bologna Merola, diventato renziano, come tanti altri, al primo stormir di fronde.
Oggi l’imperativo categorico è dare una risposta chiara e netta al tentativo di eliminare ogni forma di opposizione, unire la battaglia per nuove amministrazioni comunali che difendano l’autonomia degli enti locali dai tagli e dalla centralizzazione contemporaneamente alla difesa della nostra Costituzione vilipesa, quindi un pieno impegno per la campagna referendaria per cancellare l’odioso Italicum. Tutte le forze progressiste e costituzionaliste, indipendentemente dalla loro precedente collocazione politica, devono unirsi, in questa battaglia di civiltà per salvare il nostro sistema democratico da una svolta autoritaria.
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