La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
GUERRA 1
La chiarificazione per cui siamo tornati sotto il fascismo, l’ha fornita ieri sera Paolo Pagliaro nel suo tradizionale Punto su Otto e mezzo.
http://www.la7.it/otto-e-mezzo/video/in ... 015-164393
“Siamo in guerra da un anno”
Vero. Qualcuno non confonda il fascismo archeologico con quello attuale.
In comune hanno solo la modalità della comunicazione.
In questo caso evitano di fornire le notizie che tolgono consenso.
GUERRA 2
Il generale Arpino, a Otto e mezzo, mi ha chiarito un dubbio che quei confusionari specializzati di politici della Casta e giornalisti Quaquaraquà al seguito, specializzati nella disinformazione e nell’orientamento dellì’informazione pro domo sua, mi avevano creato circa la prossima approvazione in Libia di un prossimo governo unico.
Lavoro effettuato sotto l’egida del rappresentante Onu Bernardino Leon.
L’accordo che si cerca di far passare nei due governi attuali, di Tobruk e di Tripoli, viene portato avanti dalla forze moderate.
La forze combattenti e le tribù in lotta manco ci pensano.
Invece il trombon system tricolore ha fatto credere che si è vicini ad un accordo tra tutte la parti in causa.
Campa cavallo!!!!!!!!!!!!
La chiarificazione per cui siamo tornati sotto il fascismo, l’ha fornita ieri sera Paolo Pagliaro nel suo tradizionale Punto su Otto e mezzo.
http://www.la7.it/otto-e-mezzo/video/in ... 015-164393
“Siamo in guerra da un anno”
Vero. Qualcuno non confonda il fascismo archeologico con quello attuale.
In comune hanno solo la modalità della comunicazione.
In questo caso evitano di fornire le notizie che tolgono consenso.
GUERRA 2
Il generale Arpino, a Otto e mezzo, mi ha chiarito un dubbio che quei confusionari specializzati di politici della Casta e giornalisti Quaquaraquà al seguito, specializzati nella disinformazione e nell’orientamento dellì’informazione pro domo sua, mi avevano creato circa la prossima approvazione in Libia di un prossimo governo unico.
Lavoro effettuato sotto l’egida del rappresentante Onu Bernardino Leon.
L’accordo che si cerca di far passare nei due governi attuali, di Tobruk e di Tripoli, viene portato avanti dalla forze moderate.
La forze combattenti e le tribù in lotta manco ci pensano.
Invece il trombon system tricolore ha fatto credere che si è vicini ad un accordo tra tutte la parti in causa.
Campa cavallo!!!!!!!!!!!!
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Noi tra Libia e Siria
Per Renzi in politica estera
verità senza eufemismi
Il dovere della verità sull’Isis
Il premier deve spiegare agli italiani il ruolo dell’Italia nella crisi internazionale
di Angelo Panebianco
Se qualcuno vorrà scommettere sulla capacità di Matteo Renzi di continuare a sconfiggere i suoi nemici, vincere le prossime elezioni e governare a lungo, dovrà essere consapevole del fatto che si tratterà di una scommessa al buio. A occhio, le probabilità sono fifty fifty , cinquanta per cento a favore di Renzi e cinquanta contro. A suo favore giocano diversi fattori. Innanzitutto, la sua personalità: il suo fortissimo istinto per il potere unito a una non comune disponibilità al rischio. Nell’avventura di Renzi sembra trovare molte conferme il detto secondo cui la fortuna arride agli audaci. In secondo luogo, il fatto che, per un concorso di circostanze, egli non sia sostenuto solo da coloro che lo apprezzano. Gode anche dell’appoggio di molti a cui non piace ma che pensano di lui ciò che Winston Churchill pensava della democrazia: la peggiore soluzione escluse tutte le altre. Poi c’è il fatto che, come ormai è accertato, Renzi riuscirà a portare a casa la riforma costituzionale. Liquidare il bicameralismo simmetrico non è fare una «riformetta»: significa cambiare la «costituzione materiale» del Paese, ristrutturare le regole del gioco. Anche se non è garantito, colui che riesce a farlo, di solito, si trova in vantaggio nella competizione politica successiva. Da ultimo, c’è la ripresa economica in atto. Se la tendenza si confermerà Renzi se ne prenderà tutto il merito. Ciò gli darà un fortissimo vantaggio rispetto agli avversari. Fin qui le probabilità a suo favore. Le probabilità contro dipendono dal fatto che la politica nostrana non è un compartimento stagno, isolabile dal resto del mondo. Sono le conseguenze dell’irruzione del mondo esterno nelle nostre vicende interne che possono, politicamente parlando, tagliare le gambe a Renzi. In parte a causa della visione del mondo che impregna segmenti rilevanti della coalizione sociopolitica che sostiene il suo governo e, in parte, forse, anche a causa dell’incapacità di Renzi di emanciparsi del tutto dal suo passato «scoutistico» (e lapiriano). In tempi di grandi emergenze occorrono leader capaci di dire la verità all’opinione pubblica e di trascinarsela dietro. È precisamente per questo - non certo per la battuta sopra citata sulla democrazia - che Churchill è passato alla storia come uno dei grandi statisti del XX secolo. Il modo in cui Renzi ha deciso di trattare le questioni siriana e libica non convince. Da un lato, abbiamo scelto di non contribuire con azioni di fuoco ai bombardamenti della coalizione anti Stato Islamico (lo faremo, e stiamo decidendo come e quando, solo in Iraq). Non partecipando a tali azioni di fuoco della coalizione in Siria ne restiamo membri di serie B. Corriamo rischi (i nostri aerei svolgono attività di intelligence) ma non partecipiamo a pieno titolo, col diritto di dire la nostra, all’attività decisionale della coalizione. Dall’altro lato, ci siamo dichiarati disponibili a guidare una rischiosissima missione militare (eufemisticamente descritta come peace enforcing) contro i gruppi armati che alimentano il caos libico. Come mai? Eppure è chiaro che le due cose sono interdipendenti, è chiaro che se non si riesce a indebolire lo Stato Islamico non sarà neppure possibile pacificare la Libia. E, inoltre, come mai, rinunciando a bombardare lo Stato Islamico, rinunciamo anche alla forza negoziale che quella partecipazione ci conferirebbe, per esempio, ai tavoli ove si decide come fronteggiare il flusso di profughi in fuga dalla Siria? La risposta è semplice. Partecipare ai bombardamenti contro lo Stato Islamico significa partecipare a una guerra che non può essere camuffata da altro. Guidare la missione in Libia significa ugualmente partecipare a una guerra ma con la possibilità - almeno nella prima fase - di camuffarla da peace enforcing. È per questo che si insiste tanto su argomenti che dovrebbero essere resi irrilevanti dallo stato di necessità in cui ci troviamo: come l’argomento secondo cui l’articolo 11 della Costituzione ci autorizzerebbe ad agire in Libia (sotto l’egida delle Nazioni Unite) ma non in Siria. Per inciso, i costituenti vollero l’articolo 11 per bollare le guerre di aggressione condotte dal fascismo. Non potevano immaginare quali manipolazioni ideologiche ne sarebbero seguite. Naturalmente, quando si scoprirà che la suddetta guerra, camuffata da peace enforcing, come tutte le guerre, lascerà sul terreno sia combattenti che vittime civili, la finzione non potrà più reggere e il governo dovrà fronteggiare la mobilitazione «pacifista» contro l’intervento in Libia. Tipici pasticci in cui va a infilarsi un’Italia pubblica che ha ribattezzato «operatori di pace» i propri soldati e che di eufemismi sembra anche disposta a morire. Niente di quanto accade nel grande incendio mediorientale, dal crollo di interi Stati all’impennata del flusso dei profughi verso l’Europa, fino alla destabilizzazione in atto della Turchia, sembra in grado di scuotere questa Italia facendole comprendere che il mondo sicuro e pacifico in cui vivevamo fino a poco tempo fa è finito. Una incapacità che, a quanto pare, condividiamo con i tedeschi. Chi crede che le ripetute minacce del Califfo contro Roma o che le immagini di San Pietro su cui sventolano le bandiere dello Stato Islamico, siano scherzi, boutade, non ha capito nulla. Spetterebbe a Renzi spiegare all’opinione pubblica come stiano davvero le cose. Il fatto che uno di solito così loquace non abbia trovato ancora le parole giuste per spiegare la verità agli italiani, non è di buon auspicio. Per noi, prima di tutto. Ma anche per la sua futura carriera politica. 13 ottobre 2015 (modifica il 13 ottobre 2015 | 07:30) © RIPRODUZIONE RISERVATA] Se qualcuno vorrà scommettere sulla capacità di Matteo Renzi di continuare a sconfiggere i suoi nemici, vincere le prossime elezioni e governare a lungo, dovrà essere consapevole del fatto che si tratterà di una scommessa al buio. A occhio, le probabilità sono fifty fifty , cinquanta per cento a favore di Renzi e cinquanta contro.
A suo favore giocano diversi fattori. Innanzitutto, la sua personalità: il suo fortissimo istinto per il potere unito a una non comune disponibilità al rischio. Nell’avventura di Renzi sembra trovare molte conferme il detto secondo cui la fortuna arride agli audaci. In secondo luogo, il fatto che, per un concorso di circostanze, egli non sia sostenuto solo da coloro che lo apprezzano. Gode anche dell’appoggio di molti a cui non piace ma che pensano di lui ciò che Winston Churchill pensava della democrazia: la peggiore soluzione escluse tutte le altre.
Poi c’è il fatto che, come ormai è accertato, Renzi riuscirà a portare a casa la riforma costituzionale. Liquidare il bicameralismo simmetrico non è fare una «riformetta»: significa cambiare la «costituzione materiale» del Paese, ristrutturare le regole del gioco. Anche se non è garantito, colui che riesce a farlo, di solito, si trova in vantaggio nella competizione politica successiva. Da ultimo, c’è la ripresa economica in atto. Se la tendenza si confermerà Renzi se ne prenderà tutto il merito.
Ciò gli darà un fortissimo vantaggio rispetto agli avversari. Fin qui le probabilità a suo favore. Le probabilità contro dipendono dal fatto che la politica nostrana non è un compartimento stagno, isolabile dal resto del mondo. Sono le conseguenze dell’irruzione del mondo esterno nelle nostre vicende interne che possono, politicamente parlando, tagliare le gambe a Renzi. In parte a causa della visione del mondo che impregna segmenti rilevanti della coalizione sociopolitica che sostiene il suo governo e, in parte, forse, anche a causa dell’incapacità di Renzi di emanciparsi del tutto dal suo passato «scoutistico» (e lapiriano).
In tempi di grandi emergenze occorrono leader capaci di dire la verità all’opinione pubblica e di trascinarsela dietro. È precisamente per questo - non certo per la battuta sopra citata sulla democrazia - che Churchill è passato alla storia come uno dei grandi statisti del XX secolo.
Il modo in cui Renzi ha deciso di trattare le questioni siriana e libica non convince. Da un lato, abbiamo scelto di non contribuire con azioni di fuoco ai bombardamenti della coalizione anti Stato Islamico (lo faremo, e stiamo decidendo come e quando, solo in Iraq). Non partecipando a tali azioni di fuoco della coalizione in Siria ne restiamo membri di serie B. Corriamo rischi (i nostri aerei svolgono attività di intelligence) ma non partecipiamo a pieno titolo, col diritto di dire la nostra, all’attività decisionale della coalizione. Dall’altro lato, ci siamo dichiarati disponibili a guidare una rischiosissima missione militare (eufemisticamente descritta come peace enforcing) contro i gruppi armati che alimentano il caos libico. Come mai? Eppure è chiaro che le due cose sono interdipendenti, è chiaro che se non si riesce a indebolire lo Stato Islamico non sarà neppure possibile pacificare la Libia. E, inoltre, come mai, rinunciando a bombardare lo Stato Islamico, rinunciamo anche alla forza negoziale che quella partecipazione ci conferirebbe, per esempio, ai tavoli ove si decide come fronteggiare il flusso di profughi in fuga dalla Siria?
La risposta è semplice. Partecipare ai bombardamenti contro lo Stato Islamico significa partecipare a una guerra che non può essere camuffata da altro. Guidare la missione in Libia significa ugualmente partecipare a una guerra ma con la possibilità - almeno nella prima fase - di camuffarla da peace enforcing. È per questo che si insiste tanto su argomenti che dovrebbero essere resi irrilevanti dallo stato di necessità in cui ci troviamo: come l’argomento secondo cui l’articolo 11 della Costituzione ci autorizzerebbe ad agire in Libia (sotto l’egida delle Nazioni Unite) ma non in Siria. Per inciso, i costituenti vollero l’articolo 11 per bollare le guerre di aggressione condotte dal fascismo. Non potevano immaginare quali manipolazioni ideologiche ne sarebbero seguite.
Naturalmente, quando si scoprirà che la suddetta guerra, camuffata da peace enforcing, come tutte le guerre, lascerà sul terreno sia combattenti che vittime civili, la finzione non potrà più reggere e il governo dovrà fronteggiare la mobilitazione «pacifista» contro l’intervento in Libia. Tipici pasticci in cui va a infilarsi un’Italia pubblica che ha ribattezzato «operatori di pace» i propri soldati e che di eufemismi sembra anche disposta a morire. Niente di quanto accade nel grande incendio mediorientale, dal crollo di interi Stati all’impennata del flusso dei profughi verso l’Europa, fino alla destabilizzazione in atto della Turchia, sembra in grado di scuotere questa Italia facendole comprendere che il mondo sicuro e pacifico in cui vivevamo fino a poco tempo fa è finito. Una incapacità che, a quanto pare, condividiamo con i tedeschi.
Chi crede che le ripetute minacce del Califfo contro Roma o che le immagini di San Pietro su cui sventolano le bandiere dello Stato Islamico, siano scherzi, boutade, non ha capito nulla. Spetterebbe a Renzi spiegare all’opinione pubblica come stiano davvero le cose. Il fatto che uno di solito così loquace non abbia trovato ancora le parole giuste per spiegare la verità agli italiani, non è di buon auspicio. Per noi, prima di tutto. Ma anche per la sua futura carriera politica.
13 ottobre 2015 (modifica il 13 ottobre 2015 | 07:30)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/15_ot ... 71aa.shtml
Per Renzi in politica estera
verità senza eufemismi
Il dovere della verità sull’Isis
Il premier deve spiegare agli italiani il ruolo dell’Italia nella crisi internazionale
di Angelo Panebianco
Se qualcuno vorrà scommettere sulla capacità di Matteo Renzi di continuare a sconfiggere i suoi nemici, vincere le prossime elezioni e governare a lungo, dovrà essere consapevole del fatto che si tratterà di una scommessa al buio. A occhio, le probabilità sono fifty fifty , cinquanta per cento a favore di Renzi e cinquanta contro. A suo favore giocano diversi fattori. Innanzitutto, la sua personalità: il suo fortissimo istinto per il potere unito a una non comune disponibilità al rischio. Nell’avventura di Renzi sembra trovare molte conferme il detto secondo cui la fortuna arride agli audaci. In secondo luogo, il fatto che, per un concorso di circostanze, egli non sia sostenuto solo da coloro che lo apprezzano. Gode anche dell’appoggio di molti a cui non piace ma che pensano di lui ciò che Winston Churchill pensava della democrazia: la peggiore soluzione escluse tutte le altre. Poi c’è il fatto che, come ormai è accertato, Renzi riuscirà a portare a casa la riforma costituzionale. Liquidare il bicameralismo simmetrico non è fare una «riformetta»: significa cambiare la «costituzione materiale» del Paese, ristrutturare le regole del gioco. Anche se non è garantito, colui che riesce a farlo, di solito, si trova in vantaggio nella competizione politica successiva. Da ultimo, c’è la ripresa economica in atto. Se la tendenza si confermerà Renzi se ne prenderà tutto il merito. Ciò gli darà un fortissimo vantaggio rispetto agli avversari. Fin qui le probabilità a suo favore. Le probabilità contro dipendono dal fatto che la politica nostrana non è un compartimento stagno, isolabile dal resto del mondo. Sono le conseguenze dell’irruzione del mondo esterno nelle nostre vicende interne che possono, politicamente parlando, tagliare le gambe a Renzi. In parte a causa della visione del mondo che impregna segmenti rilevanti della coalizione sociopolitica che sostiene il suo governo e, in parte, forse, anche a causa dell’incapacità di Renzi di emanciparsi del tutto dal suo passato «scoutistico» (e lapiriano). In tempi di grandi emergenze occorrono leader capaci di dire la verità all’opinione pubblica e di trascinarsela dietro. È precisamente per questo - non certo per la battuta sopra citata sulla democrazia - che Churchill è passato alla storia come uno dei grandi statisti del XX secolo. Il modo in cui Renzi ha deciso di trattare le questioni siriana e libica non convince. Da un lato, abbiamo scelto di non contribuire con azioni di fuoco ai bombardamenti della coalizione anti Stato Islamico (lo faremo, e stiamo decidendo come e quando, solo in Iraq). Non partecipando a tali azioni di fuoco della coalizione in Siria ne restiamo membri di serie B. Corriamo rischi (i nostri aerei svolgono attività di intelligence) ma non partecipiamo a pieno titolo, col diritto di dire la nostra, all’attività decisionale della coalizione. Dall’altro lato, ci siamo dichiarati disponibili a guidare una rischiosissima missione militare (eufemisticamente descritta come peace enforcing) contro i gruppi armati che alimentano il caos libico. Come mai? Eppure è chiaro che le due cose sono interdipendenti, è chiaro che se non si riesce a indebolire lo Stato Islamico non sarà neppure possibile pacificare la Libia. E, inoltre, come mai, rinunciando a bombardare lo Stato Islamico, rinunciamo anche alla forza negoziale che quella partecipazione ci conferirebbe, per esempio, ai tavoli ove si decide come fronteggiare il flusso di profughi in fuga dalla Siria? La risposta è semplice. Partecipare ai bombardamenti contro lo Stato Islamico significa partecipare a una guerra che non può essere camuffata da altro. Guidare la missione in Libia significa ugualmente partecipare a una guerra ma con la possibilità - almeno nella prima fase - di camuffarla da peace enforcing. È per questo che si insiste tanto su argomenti che dovrebbero essere resi irrilevanti dallo stato di necessità in cui ci troviamo: come l’argomento secondo cui l’articolo 11 della Costituzione ci autorizzerebbe ad agire in Libia (sotto l’egida delle Nazioni Unite) ma non in Siria. Per inciso, i costituenti vollero l’articolo 11 per bollare le guerre di aggressione condotte dal fascismo. Non potevano immaginare quali manipolazioni ideologiche ne sarebbero seguite. Naturalmente, quando si scoprirà che la suddetta guerra, camuffata da peace enforcing, come tutte le guerre, lascerà sul terreno sia combattenti che vittime civili, la finzione non potrà più reggere e il governo dovrà fronteggiare la mobilitazione «pacifista» contro l’intervento in Libia. Tipici pasticci in cui va a infilarsi un’Italia pubblica che ha ribattezzato «operatori di pace» i propri soldati e che di eufemismi sembra anche disposta a morire. Niente di quanto accade nel grande incendio mediorientale, dal crollo di interi Stati all’impennata del flusso dei profughi verso l’Europa, fino alla destabilizzazione in atto della Turchia, sembra in grado di scuotere questa Italia facendole comprendere che il mondo sicuro e pacifico in cui vivevamo fino a poco tempo fa è finito. Una incapacità che, a quanto pare, condividiamo con i tedeschi. Chi crede che le ripetute minacce del Califfo contro Roma o che le immagini di San Pietro su cui sventolano le bandiere dello Stato Islamico, siano scherzi, boutade, non ha capito nulla. Spetterebbe a Renzi spiegare all’opinione pubblica come stiano davvero le cose. Il fatto che uno di solito così loquace non abbia trovato ancora le parole giuste per spiegare la verità agli italiani, non è di buon auspicio. Per noi, prima di tutto. Ma anche per la sua futura carriera politica. 13 ottobre 2015 (modifica il 13 ottobre 2015 | 07:30) © RIPRODUZIONE RISERVATA] Se qualcuno vorrà scommettere sulla capacità di Matteo Renzi di continuare a sconfiggere i suoi nemici, vincere le prossime elezioni e governare a lungo, dovrà essere consapevole del fatto che si tratterà di una scommessa al buio. A occhio, le probabilità sono fifty fifty , cinquanta per cento a favore di Renzi e cinquanta contro.
A suo favore giocano diversi fattori. Innanzitutto, la sua personalità: il suo fortissimo istinto per il potere unito a una non comune disponibilità al rischio. Nell’avventura di Renzi sembra trovare molte conferme il detto secondo cui la fortuna arride agli audaci. In secondo luogo, il fatto che, per un concorso di circostanze, egli non sia sostenuto solo da coloro che lo apprezzano. Gode anche dell’appoggio di molti a cui non piace ma che pensano di lui ciò che Winston Churchill pensava della democrazia: la peggiore soluzione escluse tutte le altre.
Poi c’è il fatto che, come ormai è accertato, Renzi riuscirà a portare a casa la riforma costituzionale. Liquidare il bicameralismo simmetrico non è fare una «riformetta»: significa cambiare la «costituzione materiale» del Paese, ristrutturare le regole del gioco. Anche se non è garantito, colui che riesce a farlo, di solito, si trova in vantaggio nella competizione politica successiva. Da ultimo, c’è la ripresa economica in atto. Se la tendenza si confermerà Renzi se ne prenderà tutto il merito.
Ciò gli darà un fortissimo vantaggio rispetto agli avversari. Fin qui le probabilità a suo favore. Le probabilità contro dipendono dal fatto che la politica nostrana non è un compartimento stagno, isolabile dal resto del mondo. Sono le conseguenze dell’irruzione del mondo esterno nelle nostre vicende interne che possono, politicamente parlando, tagliare le gambe a Renzi. In parte a causa della visione del mondo che impregna segmenti rilevanti della coalizione sociopolitica che sostiene il suo governo e, in parte, forse, anche a causa dell’incapacità di Renzi di emanciparsi del tutto dal suo passato «scoutistico» (e lapiriano).
In tempi di grandi emergenze occorrono leader capaci di dire la verità all’opinione pubblica e di trascinarsela dietro. È precisamente per questo - non certo per la battuta sopra citata sulla democrazia - che Churchill è passato alla storia come uno dei grandi statisti del XX secolo.
Il modo in cui Renzi ha deciso di trattare le questioni siriana e libica non convince. Da un lato, abbiamo scelto di non contribuire con azioni di fuoco ai bombardamenti della coalizione anti Stato Islamico (lo faremo, e stiamo decidendo come e quando, solo in Iraq). Non partecipando a tali azioni di fuoco della coalizione in Siria ne restiamo membri di serie B. Corriamo rischi (i nostri aerei svolgono attività di intelligence) ma non partecipiamo a pieno titolo, col diritto di dire la nostra, all’attività decisionale della coalizione. Dall’altro lato, ci siamo dichiarati disponibili a guidare una rischiosissima missione militare (eufemisticamente descritta come peace enforcing) contro i gruppi armati che alimentano il caos libico. Come mai? Eppure è chiaro che le due cose sono interdipendenti, è chiaro che se non si riesce a indebolire lo Stato Islamico non sarà neppure possibile pacificare la Libia. E, inoltre, come mai, rinunciando a bombardare lo Stato Islamico, rinunciamo anche alla forza negoziale che quella partecipazione ci conferirebbe, per esempio, ai tavoli ove si decide come fronteggiare il flusso di profughi in fuga dalla Siria?
La risposta è semplice. Partecipare ai bombardamenti contro lo Stato Islamico significa partecipare a una guerra che non può essere camuffata da altro. Guidare la missione in Libia significa ugualmente partecipare a una guerra ma con la possibilità - almeno nella prima fase - di camuffarla da peace enforcing. È per questo che si insiste tanto su argomenti che dovrebbero essere resi irrilevanti dallo stato di necessità in cui ci troviamo: come l’argomento secondo cui l’articolo 11 della Costituzione ci autorizzerebbe ad agire in Libia (sotto l’egida delle Nazioni Unite) ma non in Siria. Per inciso, i costituenti vollero l’articolo 11 per bollare le guerre di aggressione condotte dal fascismo. Non potevano immaginare quali manipolazioni ideologiche ne sarebbero seguite.
Naturalmente, quando si scoprirà che la suddetta guerra, camuffata da peace enforcing, come tutte le guerre, lascerà sul terreno sia combattenti che vittime civili, la finzione non potrà più reggere e il governo dovrà fronteggiare la mobilitazione «pacifista» contro l’intervento in Libia. Tipici pasticci in cui va a infilarsi un’Italia pubblica che ha ribattezzato «operatori di pace» i propri soldati e che di eufemismi sembra anche disposta a morire. Niente di quanto accade nel grande incendio mediorientale, dal crollo di interi Stati all’impennata del flusso dei profughi verso l’Europa, fino alla destabilizzazione in atto della Turchia, sembra in grado di scuotere questa Italia facendole comprendere che il mondo sicuro e pacifico in cui vivevamo fino a poco tempo fa è finito. Una incapacità che, a quanto pare, condividiamo con i tedeschi.
Chi crede che le ripetute minacce del Califfo contro Roma o che le immagini di San Pietro su cui sventolano le bandiere dello Stato Islamico, siano scherzi, boutade, non ha capito nulla. Spetterebbe a Renzi spiegare all’opinione pubblica come stiano davvero le cose. Il fatto che uno di solito così loquace non abbia trovato ancora le parole giuste per spiegare la verità agli italiani, non è di buon auspicio. Per noi, prima di tutto. Ma anche per la sua futura carriera politica.
13 ottobre 2015 (modifica il 13 ottobre 2015 | 07:30)
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http://www.corriere.it/editoriali/15_ot ... 71aa.shtml
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Offensiva siriana a Homs per riprendere la città, tensione fra Turchia e USA per il supporto yankee ai Curdi, portaerei russa e cinese in viaggio verso il Medio Oriente: speriamo che non ci sia qualche "incidente"...
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Purtroppo il casus belli potrebbe far perdere la testa a qlc.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Quando si arriva ai punti descritti nell'articolo riportato da LIBRE oggi, redatto da un acuto osservatore come Federico Rampini, le soluzioni sono due:
1) Applichi una strategia economica per incrementare i posti di lavoro, oppure,
2) Fai quello che si é sempre fatto nell'ultimo secolo. Ti fai una bella guerra mondiale ed elimini un pò di persone. Quando si ricomincia il mercato del lavoro sarà scarso di mano d'opera manuale ed intellettuale.
E si ricomincia da capo. Come avvenuto nel 1945.
E tutti vissero felici e contenti. O almeno così sembra perchè constato, tutti i santi giorni, che gli umani non si rendono conto che su questo pianeta la vita è una sola.
Tutti si comportano come se avessere la tessera in tasca per ritornaci più volte.
Che gli italici, e non solo, siano tutti buddisti?????
Credono nella reicarnazione a breve?????
Oppure sono tutti islamici. Nel senso che per quanto successo anche ieri dopo la televendita del figlio di Vanna Marchi, penso che gli italiani si posizionano molto volentieri come gli islamici in preghiera nelle moschee.
Cercando anche di fare due più due, tornano i conti di chi sostiene, come anche i servizi segreti militari austriaci, che l'invasione dall'Africa, sia opera degli ammericà.
Non dell'amministrazione Usa, si badi bene, ma da parte quelle lobby piene di soldi che amano come Adolf condizionare il destino del mondo.
Qualche minuto fa, mi è stato confermato, da un fonte diversa dalla prima, avvenuta tre mesi fà, da parte di chi segue il programma FOCUS.
In una puntata hanno candidamente messo in onda un servizio in cui una organizzazione segreta, avrebbe l'intenzione di ridurre la popolazione del pianeta da oltre 7 miliardi di unità a 500 MILIONI(ERRORin precedenza avevo scritto 500mila- mene scuso).
Ovvio che se le intenzioni sono queste una bella guerra ci stà a pennello.
Ho ricercato in rete quella puntata già allora ma non sono stato in grado di trovarla.
Può darsi che io sia particolarmente imbranato e non ci sia riuscito. Ma mi interessava visionarala, anche perché le fonti non sono tali da essere messe in dubbio, e non erano sotto l'effetto del "Barbera", di quel bon, come dicono dalle parti di pancho e paolino.
^^^^^^
Senza lavoro un americano su tre, 100 milioni di persone
Scritto il 16/10/15 • LIBRE nella Categoria: segnalazioni
Un americano su tre è senza lavoro: oltre 102 milioni di persone, su una popolazione che nel 2015 ammonta a circa 320 milioni di individui. A lanciare l’allarme è un analista come Michael Snyder, mai tenero con l’establishment: «ll governo federale utilizza molto attentamente numeri manipolati per coprire la depressione economica schiacciante che sta interessando questa nazione». A settembre, Washington ha annunciato 142.000 nuovi posti di lavoro. «Se questo fosse effettivamente vero, sarebbe a malapena sufficiente per tenere il passo con la crescita della popolazione. Purtroppo, la verità è che i numeri reali sono in realtà molto peggiori». I numeri “non aggiustati”, afferma Snyder, mostrano che l’economia americana, in realtà, ha perso 248.000 posti di lavoro nel solo mese di settembre, e che lo stesso governo ha conteggiato più di un milione di americani nella categoria “Non nella forza lavoro”. Eccola, l’illusione ottica: «Secondo l’amministrazione Obama, attualmente ci sono 7,9 milioni di americani che sono “ufficialmente disoccupati” e altri 94,7 milioni americani in età lavorativa che sono fuori dalla forza lavoro. Questo ci dà un totale di 102,6 milioni di americani in età lavorativa che non hanno un lavoro in questo momento».
Non è un problema da poco, se si condidera anche il ruolo geopolitico degli Usa e gli infiniti focolai di tensione aperti in tutto il mondo, dalla Siria all’Ucraina e all’Afghanistan, anche per creare diversivi mediatici alla crisi e prepararsi a fronteggiare Usa, disoccupatiinnanzitutto la temutissima espansione cinese. Il lavoro negli Usa scarseggia, comunque. E la mancanza di impiego sta diventando una pericolosa piaga sociale. «Colpa dell’avidità di un capitalismo che negli scorsi decenni ha delocalizzato le industrie, raccontando agli americani che avrebbero potuto vivere tranquillamente di servizi e informatica», accusa l’economista Paul Craig Roberts, già braccio destro di Ronald Reagan. Americani senza lavoro? La cosa non era sfuggita a un attento osservatore come Federico Rampini, che un paio d’anni fa, su “Repubblica”, parlava del “lato oscuro” dell’occupazione negli Usa, una situazione in cui Il crescono gli “inattivi” e il sommerso. «Vista dall’Europa, la situazione negli Stati Uniti è quasi idilliaca», scriveva Rampini, «con un’economia che cresce del 2,5% su base annua e il mercato del lavoro che genera in media oltre 200.000 posti al mese da tre anni». Ma i numeri ingannano: se è esigua la massa dei disoccupati, è un vero e proprio oceano la folla dei non-occupati.
«Il tasso di attività e il tasso di disoccupazione misurano entità molto diverse», ricorda Rampini. «Se un cittadino che ha perso il lavoro da molto tempo, rinuncia a cercarne uno nuovo, a un certo punto scompare dalle statistiche dei disoccupati». E’ così che gli “scoraggiati” scompaiono dal tasso di disoccupazione. In più, con l’invecchiamento della popolazione stanno arrivando alla soglia della pensione i più anziani dei “baby-boomer”, appartenenti alla generazione più popolosa. «Dunque stanno uscendo dalla forza lavoro attiva schiere crescenti di americani, e questo induce un calo del tasso di attività». Un’altra spiegazione, aggiunge Rampini, è l’allargamento dell’economia sommersa: il lavoro “nero”, sempre esistito anche in America, è dilagato con la crisi. «Questo spiegherebbe anche la tenuta dei consumi, superiore a quanto sarebbe compatibile con l’attuale Rampinilivello di disoccupazione». Tuttavia, il dato del tasso di attività «resta preoccupante perché misura la parte di popolazione che deve “mantenere gli altri”, quella su cui pesa fra l’altro l’onere di finanziamento del welfare, della sanità e delle pensioni».
In due anni, la situazione si è aggravata, nonostante il trionfalismo del governo Obama. «Questa non è una ripresa economica, è una depressione economica di una grandezza quasi incredibile», scrive Snyder, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «Se misurassimo la disoccupazione nel modo in cui abbiamo facevamo decenni fa, saremmo davanti ad uno scenario simile alla Grande Depressione degli anni Trenta del secolo scorso». Invece, continua Snyder, «abbiamo lasciato che il governo federale ci somministrasse questo completamente fraudolento “5,1%” di tasso di disoccupazione, e la maggior parte di noi crede alla panzane dei media, i quali sostengono che “tutto va bene”». In realtà, «il tasso di partecipazione alla forza lavoro è il più basso dal 1977», e quello degli uomini «è al livello più basso mai registrato». Spiegazione: «L’unico modo con cui il governo federale è riuscito a truccare i dati è stato quello di far finta che centinaia di migliaia di americani, disoccupati ormai da molti anni, lascino “spontaneamente” il mercato del lavoro». Il peggioramento, graduale e inesorabile, è cominciato nel 2000 ed è diventato catastrofico negli anni della presidenza Obama: prima dell’ultima recessione, il 63% degli americani aveva un lavoro.
«In realtà, stiamo assistendo ai più grandi licenziamenti di massa fin dal 2009», scrive Snyder. Il recente report sul lavoro è stato descritto come “brutto”, anche se di certo non è stato un fulmine a ciel sereno: licenziamenti nei settori dell’energia, Big Tech, vendita al dettaglio. Il terzo trimestre si chiude con un aumento dei licenziamenti, oltre 200.000. «Da inizio anno siamo a quasi mezzo milione di annunci di taglio di posti di lavoro (493.431 per la precisione), in crescita del 36% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno». Alcune delle aziende che hanno recentemente annunciato licenziamenti includono Wal-Mart, RadioShack, Delta, Sprint, ConAgra, Caterpillar, Bank of America. E poi Halliburton, Qualcomm, Microsoft, Hewlett-Packard. Il lavoro si sta rapidamente estinguendo. In più, «in questo momento, ci sono più di 100 milioni di americani che ottengono una sorta di assistenza da parte del governo federale ogni mese», aggiunge Snyder. «La dipendenza dal governo è a un livello che non abbiamo mai visto prima nella storia degli Stati Uniti, e sta per andare molto peggio». Così, se il governo non potrà più farsi carico di tutte quelle persone, «avremo un problema sociale enorme sulle nostre spalle». E gli americani che stanno scivolando fuori dalla classe media crescono ogni giorno: «Quando lo Stato assistenziale inizierà a tremare, il caos che ne seguirà sarà di gran lunga peggiore di quanto la gente avrebbe il coraggio di immaginare».
http://www.libreidee.org/2015/10/senza- ... i-persone/
1) Applichi una strategia economica per incrementare i posti di lavoro, oppure,
2) Fai quello che si é sempre fatto nell'ultimo secolo. Ti fai una bella guerra mondiale ed elimini un pò di persone. Quando si ricomincia il mercato del lavoro sarà scarso di mano d'opera manuale ed intellettuale.
E si ricomincia da capo. Come avvenuto nel 1945.
E tutti vissero felici e contenti. O almeno così sembra perchè constato, tutti i santi giorni, che gli umani non si rendono conto che su questo pianeta la vita è una sola.
Tutti si comportano come se avessere la tessera in tasca per ritornaci più volte.
Che gli italici, e non solo, siano tutti buddisti?????
Credono nella reicarnazione a breve?????
Oppure sono tutti islamici. Nel senso che per quanto successo anche ieri dopo la televendita del figlio di Vanna Marchi, penso che gli italiani si posizionano molto volentieri come gli islamici in preghiera nelle moschee.
Cercando anche di fare due più due, tornano i conti di chi sostiene, come anche i servizi segreti militari austriaci, che l'invasione dall'Africa, sia opera degli ammericà.
Non dell'amministrazione Usa, si badi bene, ma da parte quelle lobby piene di soldi che amano come Adolf condizionare il destino del mondo.
Qualche minuto fa, mi è stato confermato, da un fonte diversa dalla prima, avvenuta tre mesi fà, da parte di chi segue il programma FOCUS.
In una puntata hanno candidamente messo in onda un servizio in cui una organizzazione segreta, avrebbe l'intenzione di ridurre la popolazione del pianeta da oltre 7 miliardi di unità a 500 MILIONI(ERRORin precedenza avevo scritto 500mila- mene scuso).
Ovvio che se le intenzioni sono queste una bella guerra ci stà a pennello.
Ho ricercato in rete quella puntata già allora ma non sono stato in grado di trovarla.
Può darsi che io sia particolarmente imbranato e non ci sia riuscito. Ma mi interessava visionarala, anche perché le fonti non sono tali da essere messe in dubbio, e non erano sotto l'effetto del "Barbera", di quel bon, come dicono dalle parti di pancho e paolino.
^^^^^^
Senza lavoro un americano su tre, 100 milioni di persone
Scritto il 16/10/15 • LIBRE nella Categoria: segnalazioni
Un americano su tre è senza lavoro: oltre 102 milioni di persone, su una popolazione che nel 2015 ammonta a circa 320 milioni di individui. A lanciare l’allarme è un analista come Michael Snyder, mai tenero con l’establishment: «ll governo federale utilizza molto attentamente numeri manipolati per coprire la depressione economica schiacciante che sta interessando questa nazione». A settembre, Washington ha annunciato 142.000 nuovi posti di lavoro. «Se questo fosse effettivamente vero, sarebbe a malapena sufficiente per tenere il passo con la crescita della popolazione. Purtroppo, la verità è che i numeri reali sono in realtà molto peggiori». I numeri “non aggiustati”, afferma Snyder, mostrano che l’economia americana, in realtà, ha perso 248.000 posti di lavoro nel solo mese di settembre, e che lo stesso governo ha conteggiato più di un milione di americani nella categoria “Non nella forza lavoro”. Eccola, l’illusione ottica: «Secondo l’amministrazione Obama, attualmente ci sono 7,9 milioni di americani che sono “ufficialmente disoccupati” e altri 94,7 milioni americani in età lavorativa che sono fuori dalla forza lavoro. Questo ci dà un totale di 102,6 milioni di americani in età lavorativa che non hanno un lavoro in questo momento».
Non è un problema da poco, se si condidera anche il ruolo geopolitico degli Usa e gli infiniti focolai di tensione aperti in tutto il mondo, dalla Siria all’Ucraina e all’Afghanistan, anche per creare diversivi mediatici alla crisi e prepararsi a fronteggiare Usa, disoccupatiinnanzitutto la temutissima espansione cinese. Il lavoro negli Usa scarseggia, comunque. E la mancanza di impiego sta diventando una pericolosa piaga sociale. «Colpa dell’avidità di un capitalismo che negli scorsi decenni ha delocalizzato le industrie, raccontando agli americani che avrebbero potuto vivere tranquillamente di servizi e informatica», accusa l’economista Paul Craig Roberts, già braccio destro di Ronald Reagan. Americani senza lavoro? La cosa non era sfuggita a un attento osservatore come Federico Rampini, che un paio d’anni fa, su “Repubblica”, parlava del “lato oscuro” dell’occupazione negli Usa, una situazione in cui Il crescono gli “inattivi” e il sommerso. «Vista dall’Europa, la situazione negli Stati Uniti è quasi idilliaca», scriveva Rampini, «con un’economia che cresce del 2,5% su base annua e il mercato del lavoro che genera in media oltre 200.000 posti al mese da tre anni». Ma i numeri ingannano: se è esigua la massa dei disoccupati, è un vero e proprio oceano la folla dei non-occupati.
«Il tasso di attività e il tasso di disoccupazione misurano entità molto diverse», ricorda Rampini. «Se un cittadino che ha perso il lavoro da molto tempo, rinuncia a cercarne uno nuovo, a un certo punto scompare dalle statistiche dei disoccupati». E’ così che gli “scoraggiati” scompaiono dal tasso di disoccupazione. In più, con l’invecchiamento della popolazione stanno arrivando alla soglia della pensione i più anziani dei “baby-boomer”, appartenenti alla generazione più popolosa. «Dunque stanno uscendo dalla forza lavoro attiva schiere crescenti di americani, e questo induce un calo del tasso di attività». Un’altra spiegazione, aggiunge Rampini, è l’allargamento dell’economia sommersa: il lavoro “nero”, sempre esistito anche in America, è dilagato con la crisi. «Questo spiegherebbe anche la tenuta dei consumi, superiore a quanto sarebbe compatibile con l’attuale Rampinilivello di disoccupazione». Tuttavia, il dato del tasso di attività «resta preoccupante perché misura la parte di popolazione che deve “mantenere gli altri”, quella su cui pesa fra l’altro l’onere di finanziamento del welfare, della sanità e delle pensioni».
In due anni, la situazione si è aggravata, nonostante il trionfalismo del governo Obama. «Questa non è una ripresa economica, è una depressione economica di una grandezza quasi incredibile», scrive Snyder, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «Se misurassimo la disoccupazione nel modo in cui abbiamo facevamo decenni fa, saremmo davanti ad uno scenario simile alla Grande Depressione degli anni Trenta del secolo scorso». Invece, continua Snyder, «abbiamo lasciato che il governo federale ci somministrasse questo completamente fraudolento “5,1%” di tasso di disoccupazione, e la maggior parte di noi crede alla panzane dei media, i quali sostengono che “tutto va bene”». In realtà, «il tasso di partecipazione alla forza lavoro è il più basso dal 1977», e quello degli uomini «è al livello più basso mai registrato». Spiegazione: «L’unico modo con cui il governo federale è riuscito a truccare i dati è stato quello di far finta che centinaia di migliaia di americani, disoccupati ormai da molti anni, lascino “spontaneamente” il mercato del lavoro». Il peggioramento, graduale e inesorabile, è cominciato nel 2000 ed è diventato catastrofico negli anni della presidenza Obama: prima dell’ultima recessione, il 63% degli americani aveva un lavoro.
«In realtà, stiamo assistendo ai più grandi licenziamenti di massa fin dal 2009», scrive Snyder. Il recente report sul lavoro è stato descritto come “brutto”, anche se di certo non è stato un fulmine a ciel sereno: licenziamenti nei settori dell’energia, Big Tech, vendita al dettaglio. Il terzo trimestre si chiude con un aumento dei licenziamenti, oltre 200.000. «Da inizio anno siamo a quasi mezzo milione di annunci di taglio di posti di lavoro (493.431 per la precisione), in crescita del 36% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno». Alcune delle aziende che hanno recentemente annunciato licenziamenti includono Wal-Mart, RadioShack, Delta, Sprint, ConAgra, Caterpillar, Bank of America. E poi Halliburton, Qualcomm, Microsoft, Hewlett-Packard. Il lavoro si sta rapidamente estinguendo. In più, «in questo momento, ci sono più di 100 milioni di americani che ottengono una sorta di assistenza da parte del governo federale ogni mese», aggiunge Snyder. «La dipendenza dal governo è a un livello che non abbiamo mai visto prima nella storia degli Stati Uniti, e sta per andare molto peggio». Così, se il governo non potrà più farsi carico di tutte quelle persone, «avremo un problema sociale enorme sulle nostre spalle». E gli americani che stanno scivolando fuori dalla classe media crescono ogni giorno: «Quando lo Stato assistenziale inizierà a tremare, il caos che ne seguirà sarà di gran lunga peggiore di quanto la gente avrebbe il coraggio di immaginare».
http://www.libreidee.org/2015/10/senza- ... i-persone/
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA PARTITA A SCACCHI DI VLADIMIR
17 ott 2015 17:00
1.L’OCCIDENTE LAICO E DEMOCRATICO HA UN NUOVO LEADER: SI CHIAMA VLADIMIR PUTIN. MENTRE BARACK OBAMA E L’EUROPA DELLA MERKEL CINCISCHIANO DA MESI, LO ZAR DI TUTTE LE RUSSIE ORDINA AI SUOI GENERALI: “PORTATEMI AL BAGHDADI VIVO O MORTO”
2. L’AGENZIA DI STAMPA IRANIANA TANSIM SCRIVE CHE IL CAPO DEL CREMLINO VUOLE CHE IL CALIFFO DELL’ISIS SIA GIUSTIZIATO E CHE IL SUO CADAVERE SIA ESPOSTO IN PUBBLICO. “E NEL CASO NON FOSSE POSSIBILE PRENDERLO VIVO, CHE LA SUA SALMA SIA PORTATA A MOSCA”
3. PUTIN NON STA FERMO UN ATTIMO. VUOLE GUIDARE LA GUERRA CONTRO L’ISIS E STA TRATTANDO ALLEANZE CON ARABIA SAUDITA, EMIRATI, EGITTO, GIORDANIA E ISRAELE
4. PRONTO L’ATTACCO ANCHE A RAQQA, LA ROCCAFORTE DEL CALIFFO. IL MESSAGGIO AGLI USA È SEMPLICE: “CI ARRIVIAMO DA DUE DIRETTRICI DIVERSE, O LA PRENDIAMO DA SOLI?”
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 110838.htm
17 ott 2015 17:00
1.L’OCCIDENTE LAICO E DEMOCRATICO HA UN NUOVO LEADER: SI CHIAMA VLADIMIR PUTIN. MENTRE BARACK OBAMA E L’EUROPA DELLA MERKEL CINCISCHIANO DA MESI, LO ZAR DI TUTTE LE RUSSIE ORDINA AI SUOI GENERALI: “PORTATEMI AL BAGHDADI VIVO O MORTO”
2. L’AGENZIA DI STAMPA IRANIANA TANSIM SCRIVE CHE IL CAPO DEL CREMLINO VUOLE CHE IL CALIFFO DELL’ISIS SIA GIUSTIZIATO E CHE IL SUO CADAVERE SIA ESPOSTO IN PUBBLICO. “E NEL CASO NON FOSSE POSSIBILE PRENDERLO VIVO, CHE LA SUA SALMA SIA PORTATA A MOSCA”
3. PUTIN NON STA FERMO UN ATTIMO. VUOLE GUIDARE LA GUERRA CONTRO L’ISIS E STA TRATTANDO ALLEANZE CON ARABIA SAUDITA, EMIRATI, EGITTO, GIORDANIA E ISRAELE
4. PRONTO L’ATTACCO ANCHE A RAQQA, LA ROCCAFORTE DEL CALIFFO. IL MESSAGGIO AGLI USA È SEMPLICE: “CI ARRIVIAMO DA DUE DIRETTRICI DIVERSE, O LA PRENDIAMO DA SOLI?”
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 110838.htm
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Re: La Terza Guerra Mondiale
CHI TROPPO E CHI NIENTE
C'é chi se ne preoccupa troppo e chi niente.
Il governo NIENTE
Noi nel mirino dei tagliagole
Il governo pensi al terrorismo
Se bombarderà l'Isis, l'Italia dovrà fronteggiare conseguenze nel breve, nel medio e nel lungo periodo
di Alessandro Orsini
8 ore fa
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 84235.html
C'é chi se ne preoccupa troppo e chi niente.
Il governo NIENTE
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di Alessandro Orsini
8 ore fa
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 84235.html
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Putin ieri ha ammonito gli USA e la NATO sul fatto che continuando così non pensino di poter aggirare ed eliminare la forza del deterrente nucleare.
In pratica li ha avvisati che non esiste la possibilità di lanciare un "pre empitve strike" capace di distruggere l'arsenale nucleare nemico e quindi vincere una guerra termonucleare globale come invece al pentagono pensano ancora di poter fare.
L'orologio dell'Apocalisse è sempre più vicino alle ore 24:00, è giunta l'ora di fermare una volta per tutte la follia Yankee...
In pratica li ha avvisati che non esiste la possibilità di lanciare un "pre empitve strike" capace di distruggere l'arsenale nucleare nemico e quindi vincere una guerra termonucleare globale come invece al pentagono pensano ancora di poter fare.
L'orologio dell'Apocalisse è sempre più vicino alle ore 24:00, è giunta l'ora di fermare una volta per tutte la follia Yankee...
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Siria, la Russia oscura i radar Nato: Pentagono nel panico
Scritto il 24/10/15 • LIBRE nella Categoria: segnalazioni
L’intervento militare russo in Siria si è trasformato in una manifestazione di potenza che ribalta l’equilibrio strategico mondiale: l’esercito di Mosca ha “accecato” completamente gli Usa e la Nato, impedendo loro di osservare quello che sta accadendo sul terreno. Solo i russi e i siriani hanno la capacità di valutare la situazione sul campo, avverte Thierry Meyssan. Mosca e Damasco intendono sfruttare al massimo il loro vantaggio e quindi mantengono la segretezza delle loro operazioni. Sarebbero già stati uccisi almeno 5.000 jihadisti, fra cui molti capi di Ahrar al-Sham, di Al-Qaeda e dell’Isis, mentre almeno 10.000 mercenari sono fuggiti verso la Turchia, l’Iraq e la Giordania. L’esercito siriano e le milizie libanesi di Hezbollah hanno riconquistato il terreno senza attendere gli annunciati rinforzi iraniani. Il Pentagono è frastornato, «diviso tra coloro che cercano di minimizzare i fatti e di trovare una falla nel sistema russo e quelli che, al contrario, ritengono che gli Stati Uniti abbiano perso la loro superiorità in materia di guerra convenzionale e che avranno bisogno di molti anni per recuperarla».
Ancora dieci giorni fa, scrive Meyssan su “Rete Voltaire”, l’ex segretario alla difesa Robert Gates e l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Condoleezza Rice parlavano dell’esercito russo come di una forza di «seconda classe». Com’è possibile Unità russe sbarcate in Siriache la Russia sia riuscita a produrre armi ad altissima tecnologia senza che il Pentagono valutasse l’entità del fenomeno? «A Washington lo sconcerto è talmente grande che la Casa Bianca ha appena annullato la visita ufficiale del primo ministro Dmitry Medvedev e di una delegazione dello stato maggiore russo», aggiunge Meyssan. «La decisione è stata presa dopo un’analoga visita in Turchia di una delegazione militare russa». Di fatto, ci si rende conto che «è inutile discutere delle operazioni in Siria perché il Pentagono non sa più cosa stia accadendo». Furibondi, i “falchi liberali” e i neocon «pretendono un aumento del bilancio militare», e intanto hanno ottenuto da Obama «lo stop al ritiro delle truppe dall’Afghanistan».
La situazione si sta letteralmente ribaltando, continua l’analista: «La Russia non sta facendo altro che salvare il popolo siriano e propone agli altri Stati di collaborare con lei, mentre gli Stati Uniti quando detenevano il primato militare imponevano il proprio sistema economico e distruggevano molti Stati». È indubitabile che le incerte dichiarazioni di Washington durante lo schieramento russo, prima dell’offensiva, «non dovevano essere interpretate come un lento adattamento politico della retorica ufficiale», ma per ciò che effettivamente esprimevano: «Il Pentagono non conosceva il territorio. Era diventato sordo e cieco». Dopo l’incidente occorso a un’unità navale americana, la Uss Donald Cook, finita in panne nel Mar Nero il 12 aprile 2014 dopo esser stata sorvolata da un caccia Sukhoi Su-24 dotato di attrezzature per la Il cacciatorpediniere Uss Donald Cookguerra elettronica, è emerso che «l’aviazione russa ha un’arma che le permette di oscurare tutti i radar, i circuiti di controllo, i sistemi di trasmissione informazioni».
Già all’inizio del suo schieramento militare, Mosca ha installato a nord di Latakia un centro di disturbo (radar jamming) molto potente: «Improvvisamente si è riverificato l’incidente della Donald Cook, ma questa volta in un raggio di 300 km, comprendente la base Nato di Incirlik in Turchia. E ancora continua». Poiché l’evento si è verificato durante una tempesta di sabbia d’intensità storica, spiega Meyssan, inizialmente il Pentagono ha pensato che i suoi dispositivi di rilevamento fossero fuori uso, prima di accorgersi che erano stati tutti oscurati. Oggi, continua l’analista, la moderna guerra convenzionale si basa su tecnologia “C4i”, ovvero “command”, “control”, “communications”, “computer” e “intelligence”. «I satelliti, gli aerei e i droni, le navi e i sommergibili, i carri armati e ora anche i combattenti sono collegati tra loro da comunicazioni permanenti che consentono agli stati maggiori di guidare le battaglie. È tutto questo insieme, il sistema nervoso della Nato, che è stato ora oscurato in Siria e in una parte della Turchia».
Secondo l’esperto rumeno Valentin Vasilescu, Mosca avrebbe installato diversi Krasukha-4, dispositivi a banda larga mobile che disturbano i radar, e dotato aerei, elicotteri e navi di un sistema di oscuramento radar e sonar. «Sembra che la Russia si sia impegnata a non disturbare le comunicazioni di Israele – riserva di caccia americana – per cui le è vietato impiegare il suo sistema di disturbo nel sud della Siria». Intanto, «gli aerei russi sono stati ben lieti di violare un sacco di volte lo spazio aereo turco», proprio per «verificare l’efficacia del disturbo elettronico nella zona interessata», oltre che per sorvegliare «le installazioni messe a disposizione dei jihadisti in Turchia». Infine, la Russia ha usato diverse nuove armi, come i 26 missili da crociera lanciati dalla flotta del Mar Caspio. Si tratta di missili “Kaliber”, equivalenti ai “Tomahawk”, ma costruiti Missili Kaliber lanciati dal Mar Caspiocon tecnologia “stealth” e quindi invisibili ai radar. Hanno colpito e distrutto 11 obiettivi a 1500 chilometri di distanza, abbattendosi «nella zona non offuscata, così che la Nato potesse apprezzare la performance».
Questi missili, aggiunge Meyssan, hanno sorvolato l’Iran e l’Iraq a una quota variabile da 50 a 100 metri in base al territorio, passando a quattro chilometri da un drone statunitense. E non se ne è perso neanche uno, a differenza di quelli americani, i cui errori sono compresi tra il 5 e il 10%. «Tra l’altro, questi lanci mostrano l’inutilità delle spese faraoniche dello “scudo antimissile” costruito dal Pentagono attorno alla Russia, ancorché ufficialmente diretto contro missili iraniani». Sapendo che questi missili possono essere lanciati da sommergibili situati ovunque negli oceani e che possono trasportare testate nucleari, «i russi hanno recuperato il loro ritardo in materia di razzi vettori». In definitiva, «la Federazione russa sarebbe distrutta dagli Stati Uniti – e viceversa − in un confronto nucleare, ma vincerebbe in caso di guerra convenzionale». E questa è la sconcertante novità che emerge dall’impegno militare di Putin in Siria. «La campagna di bombardamenti dovrebbe terminare entro il Natale ortodosso, che si celebra il 7 gennaio. La questione che si porrà allora sarà di sapere se la Russia è o non è autorizzata a completare il suo lavoro braccando i jihadisti che si rifugiano in Turchia, Iraq e Giordania». La Siria allora sarebbe salva, anche se «i Fratelli Musulmani non mancherebbero di cercare una vendetta e gli Stati Uniti di utilizzarli nuovamente contro altri bersagli».
Scritto il 24/10/15 • LIBRE nella Categoria: segnalazioni
L’intervento militare russo in Siria si è trasformato in una manifestazione di potenza che ribalta l’equilibrio strategico mondiale: l’esercito di Mosca ha “accecato” completamente gli Usa e la Nato, impedendo loro di osservare quello che sta accadendo sul terreno. Solo i russi e i siriani hanno la capacità di valutare la situazione sul campo, avverte Thierry Meyssan. Mosca e Damasco intendono sfruttare al massimo il loro vantaggio e quindi mantengono la segretezza delle loro operazioni. Sarebbero già stati uccisi almeno 5.000 jihadisti, fra cui molti capi di Ahrar al-Sham, di Al-Qaeda e dell’Isis, mentre almeno 10.000 mercenari sono fuggiti verso la Turchia, l’Iraq e la Giordania. L’esercito siriano e le milizie libanesi di Hezbollah hanno riconquistato il terreno senza attendere gli annunciati rinforzi iraniani. Il Pentagono è frastornato, «diviso tra coloro che cercano di minimizzare i fatti e di trovare una falla nel sistema russo e quelli che, al contrario, ritengono che gli Stati Uniti abbiano perso la loro superiorità in materia di guerra convenzionale e che avranno bisogno di molti anni per recuperarla».
Ancora dieci giorni fa, scrive Meyssan su “Rete Voltaire”, l’ex segretario alla difesa Robert Gates e l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Condoleezza Rice parlavano dell’esercito russo come di una forza di «seconda classe». Com’è possibile Unità russe sbarcate in Siriache la Russia sia riuscita a produrre armi ad altissima tecnologia senza che il Pentagono valutasse l’entità del fenomeno? «A Washington lo sconcerto è talmente grande che la Casa Bianca ha appena annullato la visita ufficiale del primo ministro Dmitry Medvedev e di una delegazione dello stato maggiore russo», aggiunge Meyssan. «La decisione è stata presa dopo un’analoga visita in Turchia di una delegazione militare russa». Di fatto, ci si rende conto che «è inutile discutere delle operazioni in Siria perché il Pentagono non sa più cosa stia accadendo». Furibondi, i “falchi liberali” e i neocon «pretendono un aumento del bilancio militare», e intanto hanno ottenuto da Obama «lo stop al ritiro delle truppe dall’Afghanistan».
La situazione si sta letteralmente ribaltando, continua l’analista: «La Russia non sta facendo altro che salvare il popolo siriano e propone agli altri Stati di collaborare con lei, mentre gli Stati Uniti quando detenevano il primato militare imponevano il proprio sistema economico e distruggevano molti Stati». È indubitabile che le incerte dichiarazioni di Washington durante lo schieramento russo, prima dell’offensiva, «non dovevano essere interpretate come un lento adattamento politico della retorica ufficiale», ma per ciò che effettivamente esprimevano: «Il Pentagono non conosceva il territorio. Era diventato sordo e cieco». Dopo l’incidente occorso a un’unità navale americana, la Uss Donald Cook, finita in panne nel Mar Nero il 12 aprile 2014 dopo esser stata sorvolata da un caccia Sukhoi Su-24 dotato di attrezzature per la Il cacciatorpediniere Uss Donald Cookguerra elettronica, è emerso che «l’aviazione russa ha un’arma che le permette di oscurare tutti i radar, i circuiti di controllo, i sistemi di trasmissione informazioni».
Già all’inizio del suo schieramento militare, Mosca ha installato a nord di Latakia un centro di disturbo (radar jamming) molto potente: «Improvvisamente si è riverificato l’incidente della Donald Cook, ma questa volta in un raggio di 300 km, comprendente la base Nato di Incirlik in Turchia. E ancora continua». Poiché l’evento si è verificato durante una tempesta di sabbia d’intensità storica, spiega Meyssan, inizialmente il Pentagono ha pensato che i suoi dispositivi di rilevamento fossero fuori uso, prima di accorgersi che erano stati tutti oscurati. Oggi, continua l’analista, la moderna guerra convenzionale si basa su tecnologia “C4i”, ovvero “command”, “control”, “communications”, “computer” e “intelligence”. «I satelliti, gli aerei e i droni, le navi e i sommergibili, i carri armati e ora anche i combattenti sono collegati tra loro da comunicazioni permanenti che consentono agli stati maggiori di guidare le battaglie. È tutto questo insieme, il sistema nervoso della Nato, che è stato ora oscurato in Siria e in una parte della Turchia».
Secondo l’esperto rumeno Valentin Vasilescu, Mosca avrebbe installato diversi Krasukha-4, dispositivi a banda larga mobile che disturbano i radar, e dotato aerei, elicotteri e navi di un sistema di oscuramento radar e sonar. «Sembra che la Russia si sia impegnata a non disturbare le comunicazioni di Israele – riserva di caccia americana – per cui le è vietato impiegare il suo sistema di disturbo nel sud della Siria». Intanto, «gli aerei russi sono stati ben lieti di violare un sacco di volte lo spazio aereo turco», proprio per «verificare l’efficacia del disturbo elettronico nella zona interessata», oltre che per sorvegliare «le installazioni messe a disposizione dei jihadisti in Turchia». Infine, la Russia ha usato diverse nuove armi, come i 26 missili da crociera lanciati dalla flotta del Mar Caspio. Si tratta di missili “Kaliber”, equivalenti ai “Tomahawk”, ma costruiti Missili Kaliber lanciati dal Mar Caspiocon tecnologia “stealth” e quindi invisibili ai radar. Hanno colpito e distrutto 11 obiettivi a 1500 chilometri di distanza, abbattendosi «nella zona non offuscata, così che la Nato potesse apprezzare la performance».
Questi missili, aggiunge Meyssan, hanno sorvolato l’Iran e l’Iraq a una quota variabile da 50 a 100 metri in base al territorio, passando a quattro chilometri da un drone statunitense. E non se ne è perso neanche uno, a differenza di quelli americani, i cui errori sono compresi tra il 5 e il 10%. «Tra l’altro, questi lanci mostrano l’inutilità delle spese faraoniche dello “scudo antimissile” costruito dal Pentagono attorno alla Russia, ancorché ufficialmente diretto contro missili iraniani». Sapendo che questi missili possono essere lanciati da sommergibili situati ovunque negli oceani e che possono trasportare testate nucleari, «i russi hanno recuperato il loro ritardo in materia di razzi vettori». In definitiva, «la Federazione russa sarebbe distrutta dagli Stati Uniti – e viceversa − in un confronto nucleare, ma vincerebbe in caso di guerra convenzionale». E questa è la sconcertante novità che emerge dall’impegno militare di Putin in Siria. «La campagna di bombardamenti dovrebbe terminare entro il Natale ortodosso, che si celebra il 7 gennaio. La questione che si porrà allora sarà di sapere se la Russia è o non è autorizzata a completare il suo lavoro braccando i jihadisti che si rifugiano in Turchia, Iraq e Giordania». La Siria allora sarebbe salva, anche se «i Fratelli Musulmani non mancherebbero di cercare una vendetta e gli Stati Uniti di utilizzarli nuovamente contro altri bersagli».
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Usa-Russia, guerra sotto i mari: a rischio i cavi delle comunicazioni
Scatta l'allarme del Pentagono: "È in corso un’operazione per interrompere le comunicazioni tagliando le dorsali tlc"
Sergio Rame - Lun, 26/10/2015 - 08:21
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/usa ... 86874.html
^^^^^
NESSUNO CI HA MAI SPIEGATO COSA SUCCEDE CON LE TELECOMUNICAZIONI NELLO SPAZIO NEL CASO DI GUERRA.
CONTINUEREMO CON IL FORUM ADDRESTANDO PICCIONI VIAGGIATORI, PENSANDO CHE LA FAME NON LI ABBATTA PER SOPRAVVIVERE????????
Scatta l'allarme del Pentagono: "È in corso un’operazione per interrompere le comunicazioni tagliando le dorsali tlc"
Sergio Rame - Lun, 26/10/2015 - 08:21
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/usa ... 86874.html
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