Renzi
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Re: Renzi
Secondo Cicchitto, Renzi è riuscito dove hanno fallito Craxi e Berlusconi: eliminare i comunisti. “Renzi per salvare il Pd dallo stallo e il sistema istituzionale da una contestazione radicale è riuscito in quello che non riuscì né alla destra né a Bettino Craxi e neanche a Berlusconi: ha ucciso i comunisti”
da il F.Q.
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Re: Renzi
Il Pd e il governo
Il partito che Renzi non ha
di Ernesto Galli della Loggia
Matteo Renzi è alla ricerca di un partito. Sembra paradossale dirlo per uno che come si sa è il segretario del Pd, ma il fatto è, come è ben noto, che del suo partito egli ha un controllo abbastanza evanescente. Proiettato alla sua testa da un voto alle primarie in cui gli iscritti veri e propri erano certamente una decisa minoranza, e in cui si contavano perfino non pochi che non ne erano neanche elettori, Renzi oggi ne domina con fatica il centro, cioè i gruppi parlamentari; ma ben poco la periferia. Nel primo caso tutto certamente cambierà con le prossime elezioni, quando il segretario procederà alle inevitabili epurazioni da cui si salverà - se si salverà - solo un pugno dei suoi attuali avversari interni. Nelle periferie, invece, la regola perversa delle primarie aperte - che però Renzi non può cancellare essendo finora il suo unico e comunque massimo titolo di legittimazione - rende ogni volta la designazione del candidato sindaco un gioco di bussolotti. Oggi più che mai, dal momento che oggi, nelle periferie, il Partito democratico sta di fatto evaporando. Intendiamoci: gli iscritti, sia pure molto diminuiti rispetto al passato, restano. Un partito però non sono solo gli iscritti: è anche un luogo di elaborazione/ discussione di idee, è uno strumento per organizzare e gestire il conflitto sociale, e quindi uno strumento di selezione di quadri; è infine un canale di comunicazione dal centro verso la periferia e viceversa.
Ma c’è qualche traccia di questo partito, mi domando, nell’attuale realtà del Pd? Non mi sembra proprio. Dalle Alpi alla Sicilia la sua periferia si presenta come un insieme di feudi più o meno grandi in mano a capi locali virtualmente autonomi, di centri di potere di fatto indipendenti, di coalizioni decise ogni volta sul posto. O altrimenti di grandi spazi vuoti. La conseguenza è che sindaci renziani di qualche peso oggi, tranne a Firenze, non ne esistono. Né sembra facile trovarne qualcuno nei prossimi mesi per Roma, Napoli o Milano.
Può mai darsi però il caso di un partito che esiste solo al centro? E che poi, tra l’altro, al centro esiste soltanto nella persona del suo capo? La risposta è nelle cose. Nell’Italia di oggi esiste Renzi ma un Pd renziano, un Pd diciamo così modellato e ispirato dalle idee del presidente del Consiglio, non si vede proprio. Né mi sembra personalmente probabile che una simile creatura veda mai la luce. In un certo senso, infatti, il renzismo si identifica pienamente nella natura antipartitica/apartitica all’insegna della quale è nata la Seconda Repubblica, almeno per questo collocandosi in un’ideale prosecuzione con il berlusconismo. Con un’importante differenza però: che mentre nel Cavaliere quella natura anti e apartitica si rivestiva di toni antisistema e di un’arcaica vocalità antisinistra che erano decisivi nel mantenere in vita per contrapposizione la Sinistra stessa, dandole l’illusione di esistere, con Renzi ciò non avviene.
Con il presidente del Consiglio ogni tono contrappositivo viene meno (è riservato solo alla sua insignificante minoranza interna o alle frange antisistema reputate irrecuperabili, tipo i leghisti definiti «bestie»). I confini e le differenze di contenuto tra tutti i partiti - almeno quelli compresi in un arco che invece che costituzionale ora potremmo chiamare della «ragionevolezza operosa» - risultano virtualmente cancellati. È soprattutto virtualmente cancellata la distinzione fondativa di ogni sistema politico di tipo parlamentare: quella tra Destra e Sinistra, ancora ben viva all’epoca berlusconiana. Non a caso ciò avviene a opera di chi figura come leader della Sinistra. Infatti, se è sempre stata la Sinistra a definire che cosa è di destra e che cosa è di sinistra, non poteva che essere una voce titolata a parlare a nome della Sinistra stessa, ad averne in certo senso la rappresentanza, a dichiarare caduta di fatto la separazione tra i due campi. È in questo modo che la Seconda Repubblica, nata contro la Prima, accusata di essere una Repubblica dei partiti, grazie a Renzi porta a compimento il suo programma di una Repubblica senza partiti.
Esiste un contrasto che mi verrebbe da definire ontologico tra la personalità di Renzi e l’idea di partito, sicché è assai improbabile che possa mai esserci realmente un Partito democratico renziano. Un partito nasce e vive intorno a una scala di valori, a un’idea-messaggio forte, a una visione della storia del Paese entro la quale collocarsi. Implica il lungo periodo; e naturalmente il richiamarsi non al tutto ma a una parte, almeno in un qualche momento del suo discorso. Tutte cose, se non sbaglio, che non sono nel modo d’essere e di pensare e tanto meno nello stile del presidente del Consiglio. Alla personalità aperta, naturalmente ottimistica e superenergetica di Renzi, i tempi lunghi non dicono molto. Egli crede alle sfide che si vincono o si perdono sul tamburo. Al messaggio indirizzato alla sua parte anteporrà sempre l’arringa rivolta al pubblico, all’essere convincente il risultare simpatico. Quanto ai valori, quelli veri, gli sembrano forse cosa troppo importante per mischiarli pubblicamente con la politica: che alla fine, come sospetto, deve apparirgli solo una grande messa in scena.
Renzi non è fatto per la politica di partito. È fatto per governare. Lì il suo temperamento lo ha prepotentemente indirizzato, lì - bisogna augurarsi - egli può dare i risultati migliori. Ma senza un partito alle spalle il suo retroterra è destinato a restare perennemente sguarnito. Presidiato da successi elettorali forse anche importanti, ma di scarsa utilità quando si tratta di pensare le cose da fare, come farle, con chi farle. Destinato ad avere un numero sempre crescente di clienti, di amici, di ammiratori, questo è sicuro, tuttavia egli poggerà sempre su una base in certo senso poco solida. E nella sua azione come nel suo ruolo apparirà sempre, prima o poi, come già appare oggi, qualcosa di insuperabilmente fragile.
21 ottobre 2015 (modifica il 21 ottobre 2015 | 07:51)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/15_ot ... 0e17.shtml
Il partito che Renzi non ha
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Matteo Renzi è alla ricerca di un partito. Sembra paradossale dirlo per uno che come si sa è il segretario del Pd, ma il fatto è, come è ben noto, che del suo partito egli ha un controllo abbastanza evanescente. Proiettato alla sua testa da un voto alle primarie in cui gli iscritti veri e propri erano certamente una decisa minoranza, e in cui si contavano perfino non pochi che non ne erano neanche elettori, Renzi oggi ne domina con fatica il centro, cioè i gruppi parlamentari; ma ben poco la periferia. Nel primo caso tutto certamente cambierà con le prossime elezioni, quando il segretario procederà alle inevitabili epurazioni da cui si salverà - se si salverà - solo un pugno dei suoi attuali avversari interni. Nelle periferie, invece, la regola perversa delle primarie aperte - che però Renzi non può cancellare essendo finora il suo unico e comunque massimo titolo di legittimazione - rende ogni volta la designazione del candidato sindaco un gioco di bussolotti. Oggi più che mai, dal momento che oggi, nelle periferie, il Partito democratico sta di fatto evaporando. Intendiamoci: gli iscritti, sia pure molto diminuiti rispetto al passato, restano. Un partito però non sono solo gli iscritti: è anche un luogo di elaborazione/ discussione di idee, è uno strumento per organizzare e gestire il conflitto sociale, e quindi uno strumento di selezione di quadri; è infine un canale di comunicazione dal centro verso la periferia e viceversa.
Ma c’è qualche traccia di questo partito, mi domando, nell’attuale realtà del Pd? Non mi sembra proprio. Dalle Alpi alla Sicilia la sua periferia si presenta come un insieme di feudi più o meno grandi in mano a capi locali virtualmente autonomi, di centri di potere di fatto indipendenti, di coalizioni decise ogni volta sul posto. O altrimenti di grandi spazi vuoti. La conseguenza è che sindaci renziani di qualche peso oggi, tranne a Firenze, non ne esistono. Né sembra facile trovarne qualcuno nei prossimi mesi per Roma, Napoli o Milano.
Può mai darsi però il caso di un partito che esiste solo al centro? E che poi, tra l’altro, al centro esiste soltanto nella persona del suo capo? La risposta è nelle cose. Nell’Italia di oggi esiste Renzi ma un Pd renziano, un Pd diciamo così modellato e ispirato dalle idee del presidente del Consiglio, non si vede proprio. Né mi sembra personalmente probabile che una simile creatura veda mai la luce. In un certo senso, infatti, il renzismo si identifica pienamente nella natura antipartitica/apartitica all’insegna della quale è nata la Seconda Repubblica, almeno per questo collocandosi in un’ideale prosecuzione con il berlusconismo. Con un’importante differenza però: che mentre nel Cavaliere quella natura anti e apartitica si rivestiva di toni antisistema e di un’arcaica vocalità antisinistra che erano decisivi nel mantenere in vita per contrapposizione la Sinistra stessa, dandole l’illusione di esistere, con Renzi ciò non avviene.
Con il presidente del Consiglio ogni tono contrappositivo viene meno (è riservato solo alla sua insignificante minoranza interna o alle frange antisistema reputate irrecuperabili, tipo i leghisti definiti «bestie»). I confini e le differenze di contenuto tra tutti i partiti - almeno quelli compresi in un arco che invece che costituzionale ora potremmo chiamare della «ragionevolezza operosa» - risultano virtualmente cancellati. È soprattutto virtualmente cancellata la distinzione fondativa di ogni sistema politico di tipo parlamentare: quella tra Destra e Sinistra, ancora ben viva all’epoca berlusconiana. Non a caso ciò avviene a opera di chi figura come leader della Sinistra. Infatti, se è sempre stata la Sinistra a definire che cosa è di destra e che cosa è di sinistra, non poteva che essere una voce titolata a parlare a nome della Sinistra stessa, ad averne in certo senso la rappresentanza, a dichiarare caduta di fatto la separazione tra i due campi. È in questo modo che la Seconda Repubblica, nata contro la Prima, accusata di essere una Repubblica dei partiti, grazie a Renzi porta a compimento il suo programma di una Repubblica senza partiti.
Esiste un contrasto che mi verrebbe da definire ontologico tra la personalità di Renzi e l’idea di partito, sicché è assai improbabile che possa mai esserci realmente un Partito democratico renziano. Un partito nasce e vive intorno a una scala di valori, a un’idea-messaggio forte, a una visione della storia del Paese entro la quale collocarsi. Implica il lungo periodo; e naturalmente il richiamarsi non al tutto ma a una parte, almeno in un qualche momento del suo discorso. Tutte cose, se non sbaglio, che non sono nel modo d’essere e di pensare e tanto meno nello stile del presidente del Consiglio. Alla personalità aperta, naturalmente ottimistica e superenergetica di Renzi, i tempi lunghi non dicono molto. Egli crede alle sfide che si vincono o si perdono sul tamburo. Al messaggio indirizzato alla sua parte anteporrà sempre l’arringa rivolta al pubblico, all’essere convincente il risultare simpatico. Quanto ai valori, quelli veri, gli sembrano forse cosa troppo importante per mischiarli pubblicamente con la politica: che alla fine, come sospetto, deve apparirgli solo una grande messa in scena.
Renzi non è fatto per la politica di partito. È fatto per governare. Lì il suo temperamento lo ha prepotentemente indirizzato, lì - bisogna augurarsi - egli può dare i risultati migliori. Ma senza un partito alle spalle il suo retroterra è destinato a restare perennemente sguarnito. Presidiato da successi elettorali forse anche importanti, ma di scarsa utilità quando si tratta di pensare le cose da fare, come farle, con chi farle. Destinato ad avere un numero sempre crescente di clienti, di amici, di ammiratori, questo è sicuro, tuttavia egli poggerà sempre su una base in certo senso poco solida. E nella sua azione come nel suo ruolo apparirà sempre, prima o poi, come già appare oggi, qualcosa di insuperabilmente fragile.
21 ottobre 2015 (modifica il 21 ottobre 2015 | 07:51)
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Re: Renzi
Il Fatto 22.10.15
Marco Revelli
L’analisi del sociologo: “Il premier è un funambolo che sta sulla fune senza rete”
“Matteo è il distruttore. Corre senza fiato, lascerà solo macerie”
L’emergere di “un populismo di tipo nuovo, virulento e nello stesso tempo istituzionale”.
di Marco Revelli
qui
http://issuu.com/segnalazioni.box/docs/revelli
“Matteo è il distruttore Corre senza fiato, lascerà solo macerie”
(MARCO REVELLI)
22/10/2015 di triskel182
Marco Revelli L’analisi del sociologo: “Il premier è un funambolo che sta sulla fune senza rete”.
L’emergere di “un populismo di tipo nuovo, virulento e nello stesso tempo istituzionale”.
È il tema di “Dentro e contro”, il nuovo libro del sociologo Marco Revelli, in uscita oggi, di cui il Fatto Quotidiano pubblica un estratto.
Dal 25 febbraio 2014 l’Italia danza sull’abisso, nelle mani di un funambolo che cammina sulla fune senza rete.
E tutti lì sotto,con il naso in aria, a gridargli di accelerare. [/color][/size][/b]
È l’immagine che emerge dai tanti messaggi augurali pervenuti a Renzi nella giornata del compimento della sua resistibile ascesa.
Di Eugenio Scalfari. Di Gad Lerner. Di Mario Calabresi. Di Massimo Cacciari. Del Messaggero e del Sole 24 Ore.
Delle Coop e di Confindustria.
Tutti improntati a un’euforia di maniera (bisognava “fare qualcosa”).
Tutti in realtà segnati dalla paura. E dalla vertigine.
La costante accelerazione, dalle primarie di dicembre in poi, l’ha rivelato: nella sua corsa folle alla conquista del Palazzo, Matteo Renzi ha concentrato su di sé tutto – la crisi interna al Pd, la crisi di governabilità del Parlamento, la crisi di iniziativa del governo, lo stato comatoso dell’economia,la crisi di fiducia della società.
Cosicché davvero, se fallisce, cade tutto: finisce il Pd,si scioglie il parlamento,si commissaria il paese, si accelera la dissoluzione sociale.
Motivo per cui, appunto, soprattutto per chi sta nell’establishment o nei suoi dintorni, non resta che sperare.
Sperare a prescindere.
Contro l’evidenza, che avrebbe dovuto dire che uno così non può farcela.
Perché – la cosa si poteva vedere a occhio nudo fin d’allora – il personaggio non ha nè le competenze.
Nè l’autorevolezza.
Nè la forza politica (ha seminato troppi cadaveri nella sua marcia forzata), per fare un miracolo del genere, sollevare tutto insieme – partito, istituzioni, paese – come fossero un unico fardello.
DI CRAXI ha l’arroganza e la presunzione,ma non il profilo da politico di lungo corso (l’uomo che aveva ridato orgoglio a un Psi umiliato dal compromesso storico) e l’aura dell’Internazionale Socialista intorno, oltre che il partito nel pugno.
Di Berlusconi ha lo stile da istrione e la ciarlataneria che piace a molti italiani, ma non il capitale monetario e umano che Mediaset e Publitalia (con qualche compartecipazione quantomeno opaca) assicuravano.
Dei precedenti leader non è neppur degno del confronto.
Aveva, in compenso, fin dall’inizio un’unica risorsa su cui puntare: il mito della velocità.
Mito marinettiano (un po’ frusto per la verità, un secolo più tardi). E un unico profilo da presentare: quello che Walter Benjamin aveva chiamato il carattere del distruttore (quello che conosce “solo una parola d’ordine: creare spazio; una sola attività: far pulizia”; e per il quale si può dire che “l’esistente lui lo manda in rovina non per amore delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso”).
Come nel caso della nuova tecnologia usata in America per produrre idrocarburi frantumando gli strati schistosi,anche Matteo Renzi pratica, programmaticamente, il fracking, generando energia dalla frantumazione di tutto ciò che gli sta sotto, a cominciare dal partito che l’ha portato fin sulla cima della piramide , e dalla macchina dello Stato.
Accelerando non la soluzione, ma la crisi stessa.
Rischiando di lasciare tutti – dopo aver fagocitato tutto -“ nudi alla meta”.
O meglio, nudi di fronte al potere, dopo la distruzione dei diversi corpi intermedi che tradizionalmente avevano fatto da filtro e c o n t r a p p e s o , delle strutture di rappresentanza politica e sociale, delle culture politiche capaci di aggregare individui e frammenti sociali, del suo stesso partito.
In una parola di quella complessità organizzata che da sempre ha garantito un livello, sia pur minimo e insufficiente,di pluralismo e di articolazione in una società complessa, preservandola dal rischio e dalla tentazione dell’uomo solo al comando di fronte a una società di atomi competitivi.
Sarebbe bastato, d’altra parte, considerare il già citato catastrofico esordio al Senato, il giorno stesso della fiducia (il 25 febbraio, esattamente un anno dopo il voto politico che aveva aperto quel vuoto che ora il nuovo premier si apprestava
ad abitare), per comprendere ciò che si andava preparando. E non furono pochi, quella sera, a chiedersi se ciò a cui si era assistito fosse frutto solo di supponenza e inesperienza.
O se non ci fosse dell'altro (...). La domanda (inquietante) rimane: che cosa stava succedendo nel cuore del nostro assetto istituzionale?
Perché il giorno di quell’esordio qualcosa è successo.
Un colpo - un colpetto - non di Stato ma dentro lo Stato.
Come definire, altrimenti, un discorso pronunciato dentro l’aula di Palazzo Madama, ma in realtà rivolto al di fuori di essa, non ai Senatori ma a quella che Renzi - con lessico berlusconiano - considera la gente?
Quello era l’intento (consapevole o meno) del nuovo capo. Il senso della mano
in tasca.
Del parlare a braccio. Persino del basso profilo e della genericità del discorso: bypassare la cerchia dei rappresentanti per rivolgersi alla platea generica che considera il suo popolo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Marco Revelli
L’analisi del sociologo: “Il premier è un funambolo che sta sulla fune senza rete”
“Matteo è il distruttore. Corre senza fiato, lascerà solo macerie”
L’emergere di “un populismo di tipo nuovo, virulento e nello stesso tempo istituzionale”.
di Marco Revelli
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“Matteo è il distruttore Corre senza fiato, lascerà solo macerie”
(MARCO REVELLI)
22/10/2015 di triskel182
Marco Revelli L’analisi del sociologo: “Il premier è un funambolo che sta sulla fune senza rete”.
L’emergere di “un populismo di tipo nuovo, virulento e nello stesso tempo istituzionale”.
È il tema di “Dentro e contro”, il nuovo libro del sociologo Marco Revelli, in uscita oggi, di cui il Fatto Quotidiano pubblica un estratto.
Dal 25 febbraio 2014 l’Italia danza sull’abisso, nelle mani di un funambolo che cammina sulla fune senza rete.
E tutti lì sotto,con il naso in aria, a gridargli di accelerare. [/color][/size][/b]
È l’immagine che emerge dai tanti messaggi augurali pervenuti a Renzi nella giornata del compimento della sua resistibile ascesa.
Di Eugenio Scalfari. Di Gad Lerner. Di Mario Calabresi. Di Massimo Cacciari. Del Messaggero e del Sole 24 Ore.
Delle Coop e di Confindustria.
Tutti improntati a un’euforia di maniera (bisognava “fare qualcosa”).
Tutti in realtà segnati dalla paura. E dalla vertigine.
La costante accelerazione, dalle primarie di dicembre in poi, l’ha rivelato: nella sua corsa folle alla conquista del Palazzo, Matteo Renzi ha concentrato su di sé tutto – la crisi interna al Pd, la crisi di governabilità del Parlamento, la crisi di iniziativa del governo, lo stato comatoso dell’economia,la crisi di fiducia della società.
Cosicché davvero, se fallisce, cade tutto: finisce il Pd,si scioglie il parlamento,si commissaria il paese, si accelera la dissoluzione sociale.
Motivo per cui, appunto, soprattutto per chi sta nell’establishment o nei suoi dintorni, non resta che sperare.
Sperare a prescindere.
Contro l’evidenza, che avrebbe dovuto dire che uno così non può farcela.
Perché – la cosa si poteva vedere a occhio nudo fin d’allora – il personaggio non ha nè le competenze.
Nè l’autorevolezza.
Nè la forza politica (ha seminato troppi cadaveri nella sua marcia forzata), per fare un miracolo del genere, sollevare tutto insieme – partito, istituzioni, paese – come fossero un unico fardello.
DI CRAXI ha l’arroganza e la presunzione,ma non il profilo da politico di lungo corso (l’uomo che aveva ridato orgoglio a un Psi umiliato dal compromesso storico) e l’aura dell’Internazionale Socialista intorno, oltre che il partito nel pugno.
Di Berlusconi ha lo stile da istrione e la ciarlataneria che piace a molti italiani, ma non il capitale monetario e umano che Mediaset e Publitalia (con qualche compartecipazione quantomeno opaca) assicuravano.
Dei precedenti leader non è neppur degno del confronto.
Aveva, in compenso, fin dall’inizio un’unica risorsa su cui puntare: il mito della velocità.
Mito marinettiano (un po’ frusto per la verità, un secolo più tardi). E un unico profilo da presentare: quello che Walter Benjamin aveva chiamato il carattere del distruttore (quello che conosce “solo una parola d’ordine: creare spazio; una sola attività: far pulizia”; e per il quale si può dire che “l’esistente lui lo manda in rovina non per amore delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso”).
Come nel caso della nuova tecnologia usata in America per produrre idrocarburi frantumando gli strati schistosi,anche Matteo Renzi pratica, programmaticamente, il fracking, generando energia dalla frantumazione di tutto ciò che gli sta sotto, a cominciare dal partito che l’ha portato fin sulla cima della piramide , e dalla macchina dello Stato.
Accelerando non la soluzione, ma la crisi stessa.
Rischiando di lasciare tutti – dopo aver fagocitato tutto -“ nudi alla meta”.
O meglio, nudi di fronte al potere, dopo la distruzione dei diversi corpi intermedi che tradizionalmente avevano fatto da filtro e c o n t r a p p e s o , delle strutture di rappresentanza politica e sociale, delle culture politiche capaci di aggregare individui e frammenti sociali, del suo stesso partito.
In una parola di quella complessità organizzata che da sempre ha garantito un livello, sia pur minimo e insufficiente,di pluralismo e di articolazione in una società complessa, preservandola dal rischio e dalla tentazione dell’uomo solo al comando di fronte a una società di atomi competitivi.
Sarebbe bastato, d’altra parte, considerare il già citato catastrofico esordio al Senato, il giorno stesso della fiducia (il 25 febbraio, esattamente un anno dopo il voto politico che aveva aperto quel vuoto che ora il nuovo premier si apprestava
ad abitare), per comprendere ciò che si andava preparando. E non furono pochi, quella sera, a chiedersi se ciò a cui si era assistito fosse frutto solo di supponenza e inesperienza.
O se non ci fosse dell'altro (...). La domanda (inquietante) rimane: che cosa stava succedendo nel cuore del nostro assetto istituzionale?
Perché il giorno di quell’esordio qualcosa è successo.
Un colpo - un colpetto - non di Stato ma dentro lo Stato.
Come definire, altrimenti, un discorso pronunciato dentro l’aula di Palazzo Madama, ma in realtà rivolto al di fuori di essa, non ai Senatori ma a quella che Renzi - con lessico berlusconiano - considera la gente?
Quello era l’intento (consapevole o meno) del nuovo capo. Il senso della mano
in tasca.
Del parlare a braccio. Persino del basso profilo e della genericità del discorso: bypassare la cerchia dei rappresentanti per rivolgersi alla platea generica che considera il suo popolo.
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Re: Renzi
il manifesto 22.10.15
Giochi renziani sulla Capitale
Verso il ritiro delle dimissioni del sindaco. Ignazio Marino sta meditando di portare in Assemblea capitolina la «crisi politica» . Ma il Pd rifiuta di partecipare al voto di verifica. E a Orfini, che tenta di blindare il gruppo consiliare, il premier/segretario assicura la riconferma a commissario dem romano. Senza voto in direzione, solo via mail
di Eleonora Martini
ROMA Al voto di verifica in Aula Giulio Cesare su una eventuale mozione di sfiducia al sindaco di Roma, il Pd proprio non vuole andare. Troppo pericoloso lo scrutinio segreto che potrebbe far saltare i piani renziani, troppo mortificante schierarsi dalla stessa parte di Fratelli d’Italia e del Movimento 5 Stelle, il quale non chiede altro per vedere spianata la strada verso il Campidoglio. Ignazio Marino lo sa, ed è per questo che ha preso tempo fino al primo novembre, come prevede la legge.
E ora è quasi ufficiale, visto che a lasciarlo intendere è stata ieri la fedelissima Alessandra Cattoi, braccio destro di Marino da sempre: «Il sindaco sta riflettendo e farà le opportune verifiche». Anche perché, ha aggiunto l’assessora al Patrimonio, «la questione ora è tutta politica: questo scollamento tra città e sindaco è tutto da dimostrare». E allora la soluzione che si prospetta al Pd è una sola, quella auspicata dal segretario Matteo Renzi e caldeggiata dal presidente Matteo Orfini: le dimissioni in blocco dei diciannove consiglieri dem che, come spiega al manifesto il capogruppo Fabrizio Panecaldo (vedi intervista sotto), nel caso si arrivasse ad una verifica in assemblea, usciranno dall’Aula e non parteciperanno al voto.
E a Orfini, che sta facendo di tutto per blindare il gruppo capitolino attraversato invece da pericolosi mal di pancia, è stata assicurata la proroga dell’incarico a commissario dem della Capitale. Però, confidando nelle prossime elezioni amministrative di primavera anche a Roma che il presidente dem tenterà di non farsi scippare, il premier/segretario ha spiegato che non ci sono i tempi tecnici per una riunione della Direzione nazionale e dunque il voto per la riconferma di Orfini dovrà avvenire in via telematica.
Una soluzione che fa scattare la protesta della minoranza dem: «Inaccettabile — sbotta Nico Stumpo — Con tutto quello che è successo negli ultimi mesi a Roma, ci chiedono un sì o un no con una mail? Crediamo ci sia bisogno di discutere di qualcosa e non solo di votare per via telematica. O meglio, ratificare via mail una decisione già presa… Serve una modalità collegiale nelle scelte». E siccome di commissariamenti ce ne sono anche in altre città d’Italia, Enna, Cosenza o Messina, «tra un po’ — ironizza Stumpo — arriviamo ai decreti regii…».
D’altronde la posta in gioco a Roma è molto alta. «Il Pd anziché dimostrare di operare secondo gli interessi generali e collettivi ha di nuovo anteposto i propri interessi di parte — commenta Pierluigi Sernaglia esponente di Possibile, il movimento di Pippo Civati — Orfini, e Renzi, dovrebbero avere il coraggio di ammettere che su Roma hanno innanzi tutto condizionato pesantemente l’azione dell’amministrazione eletta nel maggio 2013, e nel futuro testeranno nuove forme di collaborazione politica, proprio come accade da tempo in Parlamento come testimoniano i vari Verdini, Cicchitto, Bondi».
«Il Pd ha detto che non c’è più fiducia e per questo si è aperta la crisi che è una crisi politica — aggiunge Alessandra Cattoi — La crisi non riguarda le spese di rappresentanza del sindaco, gli scontrini sono una stupidaggine. Quindi credo servano una verifica ed un confronto».
Parole a cui subito reagisce il più renziano degli assessori, Stefano Esposito che anche ieri ha disertato la riunione di giunta, come le altre dal giorno delle dimissioni di Marino. «La vicenda delle spese di rappresentanza non è la causa in sé della crisi. Ma è solo l’ultimo di una serie di errori commessi, a mio giudizio — ha detto l’assessore ai Trasporti capitolino — più che dal sindaco da chi lo ha consigliato. Ed essendo la Cattoi la sua confidente e consigliera politica una parte rilevante di questa responsabilità ce l’ha lei».
È guerra aperta, dunque, piena campagna elettorale. Ma la data delle elezioni non è ancora certa.
Giochi renziani sulla Capitale
Verso il ritiro delle dimissioni del sindaco. Ignazio Marino sta meditando di portare in Assemblea capitolina la «crisi politica» . Ma il Pd rifiuta di partecipare al voto di verifica. E a Orfini, che tenta di blindare il gruppo consiliare, il premier/segretario assicura la riconferma a commissario dem romano. Senza voto in direzione, solo via mail
di Eleonora Martini
ROMA Al voto di verifica in Aula Giulio Cesare su una eventuale mozione di sfiducia al sindaco di Roma, il Pd proprio non vuole andare. Troppo pericoloso lo scrutinio segreto che potrebbe far saltare i piani renziani, troppo mortificante schierarsi dalla stessa parte di Fratelli d’Italia e del Movimento 5 Stelle, il quale non chiede altro per vedere spianata la strada verso il Campidoglio. Ignazio Marino lo sa, ed è per questo che ha preso tempo fino al primo novembre, come prevede la legge.
E ora è quasi ufficiale, visto che a lasciarlo intendere è stata ieri la fedelissima Alessandra Cattoi, braccio destro di Marino da sempre: «Il sindaco sta riflettendo e farà le opportune verifiche». Anche perché, ha aggiunto l’assessora al Patrimonio, «la questione ora è tutta politica: questo scollamento tra città e sindaco è tutto da dimostrare». E allora la soluzione che si prospetta al Pd è una sola, quella auspicata dal segretario Matteo Renzi e caldeggiata dal presidente Matteo Orfini: le dimissioni in blocco dei diciannove consiglieri dem che, come spiega al manifesto il capogruppo Fabrizio Panecaldo (vedi intervista sotto), nel caso si arrivasse ad una verifica in assemblea, usciranno dall’Aula e non parteciperanno al voto.
E a Orfini, che sta facendo di tutto per blindare il gruppo capitolino attraversato invece da pericolosi mal di pancia, è stata assicurata la proroga dell’incarico a commissario dem della Capitale. Però, confidando nelle prossime elezioni amministrative di primavera anche a Roma che il presidente dem tenterà di non farsi scippare, il premier/segretario ha spiegato che non ci sono i tempi tecnici per una riunione della Direzione nazionale e dunque il voto per la riconferma di Orfini dovrà avvenire in via telematica.
Una soluzione che fa scattare la protesta della minoranza dem: «Inaccettabile — sbotta Nico Stumpo — Con tutto quello che è successo negli ultimi mesi a Roma, ci chiedono un sì o un no con una mail? Crediamo ci sia bisogno di discutere di qualcosa e non solo di votare per via telematica. O meglio, ratificare via mail una decisione già presa… Serve una modalità collegiale nelle scelte». E siccome di commissariamenti ce ne sono anche in altre città d’Italia, Enna, Cosenza o Messina, «tra un po’ — ironizza Stumpo — arriviamo ai decreti regii…».
D’altronde la posta in gioco a Roma è molto alta. «Il Pd anziché dimostrare di operare secondo gli interessi generali e collettivi ha di nuovo anteposto i propri interessi di parte — commenta Pierluigi Sernaglia esponente di Possibile, il movimento di Pippo Civati — Orfini, e Renzi, dovrebbero avere il coraggio di ammettere che su Roma hanno innanzi tutto condizionato pesantemente l’azione dell’amministrazione eletta nel maggio 2013, e nel futuro testeranno nuove forme di collaborazione politica, proprio come accade da tempo in Parlamento come testimoniano i vari Verdini, Cicchitto, Bondi».
«Il Pd ha detto che non c’è più fiducia e per questo si è aperta la crisi che è una crisi politica — aggiunge Alessandra Cattoi — La crisi non riguarda le spese di rappresentanza del sindaco, gli scontrini sono una stupidaggine. Quindi credo servano una verifica ed un confronto».
Parole a cui subito reagisce il più renziano degli assessori, Stefano Esposito che anche ieri ha disertato la riunione di giunta, come le altre dal giorno delle dimissioni di Marino. «La vicenda delle spese di rappresentanza non è la causa in sé della crisi. Ma è solo l’ultimo di una serie di errori commessi, a mio giudizio — ha detto l’assessore ai Trasporti capitolino — più che dal sindaco da chi lo ha consigliato. Ed essendo la Cattoi la sua confidente e consigliera politica una parte rilevante di questa responsabilità ce l’ha lei».
È guerra aperta, dunque, piena campagna elettorale. Ma la data delle elezioni non è ancora certa.
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Re: Renzi
Repubblica 23.10.15
Il Partito della Nazione un percorso accidentato
Il progetto di Renzi non può essere solo una manovra parlamentare in attesa dei voti di Berlusconi
di Stefano Folli
IL dibattito intorno al cosiddetto “partito della nazione” come fase suprema del Pd renziano appassiona pochi. Eppure è uno snodo cruciale per capire cosa potrà accadere nei prossimi due, massimo tre anni. Il partito della nazione, o come vorrà chiamarsi, quale suggello finale del “renzismo” come filosofia e prassi politica. Il progetto era andato un po’ in sonno dopo le elezioni regionali e comunali di primavera, che non furono proprio un trionfo per il premier, ma ha ripreso vigore dopo il “sì” del Senato alla riforma costituzionale, ormai quasi al traguardo. “Meno tasse per tutti”, annuncia il presidente del Consiglio fra il serio e il faceto, riecheggiando un vecchio slogan berlusconiano destinato a suo tempo a restare lettera morta.
Renzi non ha difficoltà a farlo proprio come architrave della politica fiscale, con l’obiettivo di conquistare finalmente quei ceti sociali che hanno sostenuto Berlusconi fino quasi alla fine della sua parabola, ma ancora non si sono decisi a passare il guado, raggiungendo l’accampamento del premier. Questo è in definitiva il partito della nazione nel disegno di Renzi: un contenitore modernizzante — cioè “riformista” — costruito intorno alla figura del leader e capace di raccogliere consenso a 360 gradi; una struttura che si colloca al centro della scena politica, al di là della storica divisione destra-sinistra.
Tutto questo è chiaro già da tempo. Quello che non è altrettanto chiaro è il percorso intrapreso. In primo luogo, i voti. Il gradimento del presidente del Consiglio è piuttosto alto nel Paese, viceversa i sondaggi vedono il Pd intorno alle solite percentuali: fra il 32 e il 35 per cento, più o meno i migliori livelli già toccati in passato dai predecessori di Renzi. Stando a questi numeri non c’è ancora lo sfondamento sul centrodestra, nonostante una congiuntura davvero favorevole per chi governa. In altri termini, non basta abbozzare il contorno del progetto politico, occorre anche colpire l’opinione pubblica con un’idea dell’Italia. E forse è necessario ostentare una classe dirigente affidabile non solo nei dintorni di Palazzo Chigi, ma nelle amministrazioni comunali e nelle regioni. Proprio quello che è mancato la scorsa primavera e che rischia di venir meno anche nei prossimi mesi quando si voterà nelle principali città, a cominciare da Roma.
Del resto, il partito della nazione ha bisogno di un orizzonte largo e di una dimensione morale. Si capisce perché. L’ondata di scandali e di arresti che ha investito il Paese da nord a sud non riguarda Renzi, ma danneggia le sue ambizioni se egli non contrasta il malcostume con iniziative convincenti, senza le quali si lascia campo libero a Grillo e a tutte le pulsioni anti-casta. Non a caso i sondaggi indicano il M5S intorno al 25-26 per cento, una soglia impressionante per un movimento ricco di contraddizioni e povero di proposte. Il presidente del Consiglio è peraltro favorito dall’assenza di una credibile alternativa nel campo della destra moderata.
LE idee liberali di Fitto sono mattoncini per ora insufficienti a costruire una casa. Quanto a Berlusconi, non gli basta certo tentare di ricomporre i rapporti con Angela Merkel e proclamare la fedeltà al Partito Popolare europeo, nell’estremo tentativo di sottrarsi all’abbraccio soffocante di Salvini. Il buco nero nel centrodestra costituisce un prezioso vantaggio per Renzi, ma conquistare quei voti resta un obiettivo lontano.
In ogni caso il partito della nazione non può nascere da una mera manovra parlamentare. L’aggregarsi di un nuovo gruppo centrista, forte dei fuoriusciti di Forza Italia e di segmenti centristi, è utile per non indebolire la maggioranza, specie al Senato. Ma spetta al presidente del Consiglio dare ai nuovi alleati una dignità politica, se lo riterrà opportuno. Il gruppo non potrà essere trattato come una specie di “bad company” pronta a essere sacrificata alla prima occasione. D’altra parte, una eventuale convergenza nel partito del premier crea già oggi polemiche e aspri rifiuti. Il che dimostra come sia lunga la strada di Renzi
Il Partito della Nazione un percorso accidentato
Il progetto di Renzi non può essere solo una manovra parlamentare in attesa dei voti di Berlusconi
di Stefano Folli
IL dibattito intorno al cosiddetto “partito della nazione” come fase suprema del Pd renziano appassiona pochi. Eppure è uno snodo cruciale per capire cosa potrà accadere nei prossimi due, massimo tre anni. Il partito della nazione, o come vorrà chiamarsi, quale suggello finale del “renzismo” come filosofia e prassi politica. Il progetto era andato un po’ in sonno dopo le elezioni regionali e comunali di primavera, che non furono proprio un trionfo per il premier, ma ha ripreso vigore dopo il “sì” del Senato alla riforma costituzionale, ormai quasi al traguardo. “Meno tasse per tutti”, annuncia il presidente del Consiglio fra il serio e il faceto, riecheggiando un vecchio slogan berlusconiano destinato a suo tempo a restare lettera morta.
Renzi non ha difficoltà a farlo proprio come architrave della politica fiscale, con l’obiettivo di conquistare finalmente quei ceti sociali che hanno sostenuto Berlusconi fino quasi alla fine della sua parabola, ma ancora non si sono decisi a passare il guado, raggiungendo l’accampamento del premier. Questo è in definitiva il partito della nazione nel disegno di Renzi: un contenitore modernizzante — cioè “riformista” — costruito intorno alla figura del leader e capace di raccogliere consenso a 360 gradi; una struttura che si colloca al centro della scena politica, al di là della storica divisione destra-sinistra.
Tutto questo è chiaro già da tempo. Quello che non è altrettanto chiaro è il percorso intrapreso. In primo luogo, i voti. Il gradimento del presidente del Consiglio è piuttosto alto nel Paese, viceversa i sondaggi vedono il Pd intorno alle solite percentuali: fra il 32 e il 35 per cento, più o meno i migliori livelli già toccati in passato dai predecessori di Renzi. Stando a questi numeri non c’è ancora lo sfondamento sul centrodestra, nonostante una congiuntura davvero favorevole per chi governa. In altri termini, non basta abbozzare il contorno del progetto politico, occorre anche colpire l’opinione pubblica con un’idea dell’Italia. E forse è necessario ostentare una classe dirigente affidabile non solo nei dintorni di Palazzo Chigi, ma nelle amministrazioni comunali e nelle regioni. Proprio quello che è mancato la scorsa primavera e che rischia di venir meno anche nei prossimi mesi quando si voterà nelle principali città, a cominciare da Roma.
Del resto, il partito della nazione ha bisogno di un orizzonte largo e di una dimensione morale. Si capisce perché. L’ondata di scandali e di arresti che ha investito il Paese da nord a sud non riguarda Renzi, ma danneggia le sue ambizioni se egli non contrasta il malcostume con iniziative convincenti, senza le quali si lascia campo libero a Grillo e a tutte le pulsioni anti-casta. Non a caso i sondaggi indicano il M5S intorno al 25-26 per cento, una soglia impressionante per un movimento ricco di contraddizioni e povero di proposte. Il presidente del Consiglio è peraltro favorito dall’assenza di una credibile alternativa nel campo della destra moderata.
LE idee liberali di Fitto sono mattoncini per ora insufficienti a costruire una casa. Quanto a Berlusconi, non gli basta certo tentare di ricomporre i rapporti con Angela Merkel e proclamare la fedeltà al Partito Popolare europeo, nell’estremo tentativo di sottrarsi all’abbraccio soffocante di Salvini. Il buco nero nel centrodestra costituisce un prezioso vantaggio per Renzi, ma conquistare quei voti resta un obiettivo lontano.
In ogni caso il partito della nazione non può nascere da una mera manovra parlamentare. L’aggregarsi di un nuovo gruppo centrista, forte dei fuoriusciti di Forza Italia e di segmenti centristi, è utile per non indebolire la maggioranza, specie al Senato. Ma spetta al presidente del Consiglio dare ai nuovi alleati una dignità politica, se lo riterrà opportuno. Il gruppo non potrà essere trattato come una specie di “bad company” pronta a essere sacrificata alla prima occasione. D’altra parte, una eventuale convergenza nel partito del premier crea già oggi polemiche e aspri rifiuti. Il che dimostra come sia lunga la strada di Renzi
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Re: Renzi
Politica
Matteo Renzi come Superciuk, un Robin Hood alla rovescia
Fabio Marcelli | 25 ottobre 2015
Dovendo trovare un personaggio dei fumetti cui assimilare Matteo Renzi, non vi sono dubbi che le preferenze cadono su Superciuk, lo spassoso Robin Hood alla rovescia che era uno dei principali antagonisti dell’Alan Ford della nostra adolescenza e aveva deciso di “togliere ai poveri per dare ai ricchi”. Mi rendo conto che l’idea non è originale, ma c’ero arrivato per mio conto quando, facendo una verifica su Google, ho constatato come già vari altri la avessero avuta. Tanto meglio, vox populi…
Matteo Renzi è sicuramente un politico molto abile. E soprattutto ha le idee molto chiare. In ogni circostanza la sua stella polare di riferimento è costituita da quanto affermato o richiesto dalla finanza, dalla Confindustria, e dall’insieme delle cricche che dominano questo ed altri Paesi. Del resto non si può pretendere altro da uno che certo non è un rivoluzionario ma neanche un vero riformatore, a parte qualche fuffa. E quindi teniamoci disoccupazione, iniquità fiscali e di altro tipo, ludopatie e tutto il resto, comprese le devastazioni ambientali e l’inarrestabile consumo di suolo. Conferma evidente di ciò è offerta dalla legge di “stabilità” attualmente alla ribalta (dire “in discussione” sarebbe certamente azzardato, sia per la mancanza di informazioni precise al riguardo sia per il fatto che il governo, per bocca del neonominato presidente della Commissione bilancio Tonini, ha ben chiarito che la legge va approvata così com’è). L’ideologia di riferimento è una sorta di “laissez faire” alla matriciana, dimostrato dalla tolleranza nei confronti dell’evasione fiscale (basti vedere l’elevamento del tetto per le operazioni in contanti), l’imperversare delle cricche di malaffare, la delegittimazione della magistratura giustamente lamentata dall’Associazione nazionale magistrati, la tendenza delle forze dell’ordine, come si è visto purtroppo di recente a Bologna, a Roma e altrove, di reprimere in modo sempre più brutale dissenso e lotta sociale. Incredibilmente il ministro degli interni Alfano chiede ai magistrati di fare autocritica. Sfacciataggine e spudoratezza estreme sono la vera cifra distintiva di questa nuova generazione di politicanti senza vergogna.
Il primo elemento da sottolineare, rispetto alla legge di stabilità, è l’assoluta mancanza di non trasparenza con la quale il governo sta portando avanti le sue scelte. Lacerando il velo, per molti versi pietoso, con il quale Renzi tende a occultare le misure che sta per adottare, emergono tuttavia alcune precise linee di tendenza. La detassazione delle abitazioni, nonostante sia stato forse introdotto qualche correttivo, tutto da verificare, per ville e castelli, favorisce decisamente i ricchi, come già chiarito dalla Cgia di Mestre che sottolinea d’altronde il carattere meramente congiunturale e transitorio dell’eventuale alleggerimento. Il fondo per la salute viene ridotto e sarà del tutto insufficiente a fare fronte alle esigenze effettive, scaricando sulle Regioni responsabilità e oneri di eventuali inasprimenti fiscali che si renderanno necessari. I punti gioco verrebbero ridotti ma resterebbero quindicimila. In compenso il canone RAI sarebbe incluso nella bolletta elettrica.
Su un piano più generale, dietro il falso quanto frenetico movimento cui Renzi si è dedicato finora, non emergono risultati concreti, specie sul piano dell’occupazione. Il che del resto è comprensibile, dato che l’azione di questo governo si iscrive nel quadro di rigidità determinato dalla politica europea che, data la sua insanabile vocazione liberista, non pare destinata ad alcun miglioramento specie nelle situazioni strutturalmente più deboli, quali appunto la nostra.
Superciuk Renzi è impegnato oggi in una forsennata partita delle tre carte o tre tavolette, da un lato con l’Unione europea e dall’altro con l’opinione pubblica italiana. Il suo obiettivo, estremamente di breve respiro ma concreto, è dimostrare all’opinione pubblica, senza far imbestialire troppo la Merkel & C., che riesce ad abbassare tasse ed imposte. Il precedente da imitare è quello dei famosi 80 euro, grazie ai quali Matteo vinse le elezioni europee. Improbabile tuttavia che il giochino riesca ancora.
Per dare un futuro al nostro Paese occorre sconfiggere l’abile Matteo e acquisire una prospettiva che sia effettivamente di lungo periodo e faccia effettivamente i conti con la necessità di risanamento strutturale del Paese: lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, rilancio dell’intervento pubblico, garanzia dei beni comuni e dei diritti sociali, redistribuzione del reddito. Tutto l’opposto di quanto sta facendo Renzi, in nome di una stabilità che tutto è se non tale, se non nel senso della conferma e anzi dell’aggravamento di antichi mali. Ma è per l’appunto di Robin Hood e non di Superciuk che hanno oggi bisogno l’Italia, l’Europa e il mondo, per il cambiamento reale sempre più urgente e necessario.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... a/2148977/
Matteo Renzi come Superciuk, un Robin Hood alla rovescia
Fabio Marcelli | 25 ottobre 2015
Dovendo trovare un personaggio dei fumetti cui assimilare Matteo Renzi, non vi sono dubbi che le preferenze cadono su Superciuk, lo spassoso Robin Hood alla rovescia che era uno dei principali antagonisti dell’Alan Ford della nostra adolescenza e aveva deciso di “togliere ai poveri per dare ai ricchi”. Mi rendo conto che l’idea non è originale, ma c’ero arrivato per mio conto quando, facendo una verifica su Google, ho constatato come già vari altri la avessero avuta. Tanto meglio, vox populi…
Matteo Renzi è sicuramente un politico molto abile. E soprattutto ha le idee molto chiare. In ogni circostanza la sua stella polare di riferimento è costituita da quanto affermato o richiesto dalla finanza, dalla Confindustria, e dall’insieme delle cricche che dominano questo ed altri Paesi. Del resto non si può pretendere altro da uno che certo non è un rivoluzionario ma neanche un vero riformatore, a parte qualche fuffa. E quindi teniamoci disoccupazione, iniquità fiscali e di altro tipo, ludopatie e tutto il resto, comprese le devastazioni ambientali e l’inarrestabile consumo di suolo. Conferma evidente di ciò è offerta dalla legge di “stabilità” attualmente alla ribalta (dire “in discussione” sarebbe certamente azzardato, sia per la mancanza di informazioni precise al riguardo sia per il fatto che il governo, per bocca del neonominato presidente della Commissione bilancio Tonini, ha ben chiarito che la legge va approvata così com’è). L’ideologia di riferimento è una sorta di “laissez faire” alla matriciana, dimostrato dalla tolleranza nei confronti dell’evasione fiscale (basti vedere l’elevamento del tetto per le operazioni in contanti), l’imperversare delle cricche di malaffare, la delegittimazione della magistratura giustamente lamentata dall’Associazione nazionale magistrati, la tendenza delle forze dell’ordine, come si è visto purtroppo di recente a Bologna, a Roma e altrove, di reprimere in modo sempre più brutale dissenso e lotta sociale. Incredibilmente il ministro degli interni Alfano chiede ai magistrati di fare autocritica. Sfacciataggine e spudoratezza estreme sono la vera cifra distintiva di questa nuova generazione di politicanti senza vergogna.
Il primo elemento da sottolineare, rispetto alla legge di stabilità, è l’assoluta mancanza di non trasparenza con la quale il governo sta portando avanti le sue scelte. Lacerando il velo, per molti versi pietoso, con il quale Renzi tende a occultare le misure che sta per adottare, emergono tuttavia alcune precise linee di tendenza. La detassazione delle abitazioni, nonostante sia stato forse introdotto qualche correttivo, tutto da verificare, per ville e castelli, favorisce decisamente i ricchi, come già chiarito dalla Cgia di Mestre che sottolinea d’altronde il carattere meramente congiunturale e transitorio dell’eventuale alleggerimento. Il fondo per la salute viene ridotto e sarà del tutto insufficiente a fare fronte alle esigenze effettive, scaricando sulle Regioni responsabilità e oneri di eventuali inasprimenti fiscali che si renderanno necessari. I punti gioco verrebbero ridotti ma resterebbero quindicimila. In compenso il canone RAI sarebbe incluso nella bolletta elettrica.
Su un piano più generale, dietro il falso quanto frenetico movimento cui Renzi si è dedicato finora, non emergono risultati concreti, specie sul piano dell’occupazione. Il che del resto è comprensibile, dato che l’azione di questo governo si iscrive nel quadro di rigidità determinato dalla politica europea che, data la sua insanabile vocazione liberista, non pare destinata ad alcun miglioramento specie nelle situazioni strutturalmente più deboli, quali appunto la nostra.
Superciuk Renzi è impegnato oggi in una forsennata partita delle tre carte o tre tavolette, da un lato con l’Unione europea e dall’altro con l’opinione pubblica italiana. Il suo obiettivo, estremamente di breve respiro ma concreto, è dimostrare all’opinione pubblica, senza far imbestialire troppo la Merkel & C., che riesce ad abbassare tasse ed imposte. Il precedente da imitare è quello dei famosi 80 euro, grazie ai quali Matteo vinse le elezioni europee. Improbabile tuttavia che il giochino riesca ancora.
Per dare un futuro al nostro Paese occorre sconfiggere l’abile Matteo e acquisire una prospettiva che sia effettivamente di lungo periodo e faccia effettivamente i conti con la necessità di risanamento strutturale del Paese: lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, rilancio dell’intervento pubblico, garanzia dei beni comuni e dei diritti sociali, redistribuzione del reddito. Tutto l’opposto di quanto sta facendo Renzi, in nome di una stabilità che tutto è se non tale, se non nel senso della conferma e anzi dell’aggravamento di antichi mali. Ma è per l’appunto di Robin Hood e non di Superciuk che hanno oggi bisogno l’Italia, l’Europa e il mondo, per il cambiamento reale sempre più urgente e necessario.
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Re: Renzi
Monti dall'Annunziata a 1/2 ora :
"E' una finanziaria che serve a chi governa ma non al Paese"
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Re: Renzi
incorporated-cool-etor
Dominus del potere sub-europeo, Renzi manovra per durare
Scritto il 26/10/15 • LIBRE nella Categoria: idee
Durare nel tempo e imporsi come nuova struttura di potere: questo, per Alfonso Gianni, il senso della manovra varata da Renzi con la legge di stabilità.
Operazione ambiziosa: da un lato l’apertura di una «lunga campagna elettorale, la cui prima tappa è costituita dalle amministrative della prossima primavera in quasi tutte le città più importanti del paese, vere e proprie “midterm elections in salsa italiana”».
Ma, al di là del puro ritorno elettorale, la manovra «vuole consolidare un blocco di potere articolato e allo stesso tempo coeso, di cui il Pd deve essere l’unico rappresentante politico, anzi il dominus».
L’esito delle elezioni 2016 non è scontato, visti i poco soddisfacenti risultati in precedenti elezioni locali, «a dimostrazione che la distruzione dei corpi intermedi, asse strategico dell’azione renziana, che comincia dalla liquidazione del suo stesso partito, ha degli effetti collaterali indesiderati, quali la mancanza di una classe dirigente diffusa e fedele».
Inoltre, a orientare la manovra è il timore dei “censori” di Bruxelles, visto che il governo «ambisce ad essere niente altro che un’articolazione del sistema di potere delle élite economiche e politiche europee».
Da qui, scrive Gianni sul “Manifesto”, la centralità della cosiddetta riforma fiscale, «definita con la consueta modestia una “rivoluzione copernicana”».
I proprietari di 75.000 case di lusso e palazzi ne trarranno ampi benefici, almeno 2.800 euro in media a testa.
«Non importa se a farne le spese sarà la sanità o altri istituti dello stato sociale, un tempo misura della nostra civiltà.
Diceva il grande Petrolini: quando bisogna prendere i soldi li si cavano ai poveri, ne hanno pochi ma sono tanti.
(Analoga definzione l'ha fornita ieri Fabio Mercelli su IFQ, quando ha preso a prestito l'immagine dei fumetti di mezzo secolo fa, Superciuk, l'immagine opposta di Robin Hood.-ndt)
Quindi, se si fa il contrario, ovvero si concedono generosi sgravi fiscali, meglio farlo con i ricchi, perché sono meno e hanno più potere».
Per questo, continua Gianni, «la più grande “riforma fiscale di tutti i tempi”, secondo un’altra sobria definizione del suo autore, va oltre al copia e incolla di quella berlusconiana».
Il vecchio leader di Arcore, almeno, «ci metteva un po’ di populismo e parlava di una seconda fase dedicata all’alleggerimento della pressione fiscale sulle persone fisiche».
Invece, «Renzi prevede che il secondo step deve riguardare le aziende, cioè l’Irap e l’Ires. Il resto viene dopo, se viene. E Squinzi, dopo qualche incomprensione, si riaccende di amore verso il governo».
Il boss di Confindustria sembra confortato anche dai propositi del leader: intervenire d’autorità sullo svuotamento della rappresentanza sindacale e sulla liquidazione del contratto collettivo nazionale, «usando come piede di porco l’innocente salario minimo orario legale, ancora da definire».
E qui, per Alfonso Gianni, «si scende negli inferi del diabolico».
Il taglio dell’Ires? «Verrebbe condizionato al via libera della Ue sulla flessibilità per i costi dell’ondata migratoria.
Ovvero i migranti e i profughi, quelli che sopravvivono alla guerra per terra e per mare in atto contro di loro, verrebbero usati come merce di scambio per ridurre le imposte sul reddito d’impresa.
Ma un occhio di riguardo bisogna pur tenerlo anche per gli evasori fiscali: non pagano le tasse, ma votano come gli altri.
Ecco quindi sbucare l’innalzamento della quota di contante da mille a tremila euro per ogni singolo pagamento, in modo da renderne impossibile la tracciabilità».
Renzi vuole durare, insiste Gianni.
«Per farlo, dopo la distruzione sistematica dei corpi intermedi della società civile, deve dare vita a un nuovo blocco di potere con collanti tenaci».
Le “controriforme” costituzionali, istituzionali ed elettorali in atto potranno essere smantellate, forse, solo a colpi di referendum.
Ma intanto il governo Renzi si fa cinghia di trasmissione del super-potere di Bruxelles, «espresso dagli organi ademocratici della Ue», e in Italia diventa «strumento di disarticolazione di ogni potenziale schieramento sociale antagonista», provando a cooptare «strati e settori sociali utili a puntellare un sistema che non sopporta la dualità sociale attiva, cioè il conflitto».
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Re: Renzi
Scontrini di Renzi, Sel pronta a occupare Palazzo Vecchio
(DAVIDE VECCHI)
29/10/2015 di triskel182
Il vendoliano Grassi insiste: “È una battaglia di legalità, ancora nessuna trasparenza sulle spese dei due sindaci”.
Scontrini fantasma a Palazzo Vecchio. Nonostante l’ex sindaco Matteo Renzi e il suo erede Dario Nardella ripetano da settimane di non aver nulla da nascondere e che le loro spese di rappresentanza sono “le più trasparenti d’Italia”, continuano a non divulgare né ricevute né giustificativi. SUL SITO del capoluogo toscano rimangono i soliti resoconti generici privi di qualsiasi indicazione specifica mentre Francesca Santoro, dirigente dell’ufficio del sindaco che custodisce i segreti del portafoglio dell’ente, nega l’accesso agli atti ai consiglieri che ne hanno chiesto copia.
Così, dopo quattro settimane di attesa, Tommaso Grassi di Sel,si dice“pronto a occupare il consiglio comunale o l’anticamera di Nardella fino a quando non renderanno trasparente nel dettaglio ogni spesa sostenuta a carico dei cittadini:a questo punto è una battaglia di legalità, una questione di principio, considerato quello che è accaduto a Roma”. Il riferimento è ovviamente a Ignazio Marino spinto a presentare le dimissioni dal Partito democratico guidato da Renzi proprio sulle spese di rappresentanza. Segnando così una differenza sostanziale: Marino il 6 ottobre scorso ha pubblicato on line sul sito del Campidoglio anche i più minimi dettagli delle spese sostenute nei primi due anni di mandato. Data, ristorante, importo, commensali e ricevuta allegata con indicato anche cosa hanno mangiato, bevuto a che ora e perché. Insomma: la trasparenza. Quella vera. Questo ha dato modo di poter verificare se quanto dichiarato corrispondeva al vero. Così, ad esempio, la Comunità di Sant’Egidio ha potuto smentire di essere stata ospite del sindaco come invece lui aveva sostenuto.O,altro esempio, si è potuto accertare, intervistando un ristoratore, che aveva l’ex sindaco addebitato al Comune un pasto consumato con la moglie. SULLE SPESE di Marino si è mossa sia la Corte dei Conti sia la Procura di Roma e al momento l’ex chirurgo non risulta indagato. Sulle spese di Renzi, invece, la vicenda è invertita: l’oggi premier non ha reso trasparente neanche un pranzo; Lino – un ristoratore che lui frequentava assiduamente già ai tempi della pres i d e n z a d e l l a P r o v i n c i a (quando in pasti spese 600 mila euro: calcolo della Corte dei Conti) – ha dichiarato al Fatto che mandava le fatture dei pasti direttamente a Palazzo Vecchio. Da qui la magistratura contabile ha aperto un fascicolo,mentre la Procura di Firenze, a quanto è dato sapere, ha ritenuto per il momento di non intervenire. HA TENTATO di muoversi la politica. Dieci giorni fa l’opposizione di Palazzo Vecchio ha chiesto in aula che venisse redatta una relazione sulla trasparenza dell’amministrazione ma la richiesta è stata bocciata dal Pd compatto insieme al capogruppo di Forza Italia che ha poi preso le distanze dal documento.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 29/10/2015.
Anche il Movimento 5 Stelle
ha presentato richiesta di
accesso agli atti e anche a loro
per il momento nulla è stato
mostrato. Grassi è alla sua
quinta richiesta: le prime
quattro gli sono state negate.
Il 10 novembre prossimo scadono
i trenta giorni di termine
che l’amministrazione ha per
rispondergli in maniera definitiva.
Della vicenda se ne sono
occupate pure le Iene ma
anche loro senza risultati.
Ora Grassi torna all’attac -
co: “Telefono e mando email a
Francesca Santoro quasi ogni
giorno senza mai ricevere alcuna
risposta: ricordo che è
un obbligo di legge garantire
ai consiglieri l’accesso agli atti,
quindi se non lo fanno di loro
volontà sarò costretto a usare
ogni strada possibile affinché
ci sia una effettiva trasparenza
a Palazzo Vecchio”.
Il prossimo passo? “Occupare
il Consiglio comunale o l’uf -
ficio del sindaco: il sacco a pelo
è già pronto”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
(DAVIDE VECCHI)
29/10/2015 di triskel182
Il vendoliano Grassi insiste: “È una battaglia di legalità, ancora nessuna trasparenza sulle spese dei due sindaci”.
Scontrini fantasma a Palazzo Vecchio. Nonostante l’ex sindaco Matteo Renzi e il suo erede Dario Nardella ripetano da settimane di non aver nulla da nascondere e che le loro spese di rappresentanza sono “le più trasparenti d’Italia”, continuano a non divulgare né ricevute né giustificativi. SUL SITO del capoluogo toscano rimangono i soliti resoconti generici privi di qualsiasi indicazione specifica mentre Francesca Santoro, dirigente dell’ufficio del sindaco che custodisce i segreti del portafoglio dell’ente, nega l’accesso agli atti ai consiglieri che ne hanno chiesto copia.
Così, dopo quattro settimane di attesa, Tommaso Grassi di Sel,si dice“pronto a occupare il consiglio comunale o l’anticamera di Nardella fino a quando non renderanno trasparente nel dettaglio ogni spesa sostenuta a carico dei cittadini:a questo punto è una battaglia di legalità, una questione di principio, considerato quello che è accaduto a Roma”. Il riferimento è ovviamente a Ignazio Marino spinto a presentare le dimissioni dal Partito democratico guidato da Renzi proprio sulle spese di rappresentanza. Segnando così una differenza sostanziale: Marino il 6 ottobre scorso ha pubblicato on line sul sito del Campidoglio anche i più minimi dettagli delle spese sostenute nei primi due anni di mandato. Data, ristorante, importo, commensali e ricevuta allegata con indicato anche cosa hanno mangiato, bevuto a che ora e perché. Insomma: la trasparenza. Quella vera. Questo ha dato modo di poter verificare se quanto dichiarato corrispondeva al vero. Così, ad esempio, la Comunità di Sant’Egidio ha potuto smentire di essere stata ospite del sindaco come invece lui aveva sostenuto.O,altro esempio, si è potuto accertare, intervistando un ristoratore, che aveva l’ex sindaco addebitato al Comune un pasto consumato con la moglie. SULLE SPESE di Marino si è mossa sia la Corte dei Conti sia la Procura di Roma e al momento l’ex chirurgo non risulta indagato. Sulle spese di Renzi, invece, la vicenda è invertita: l’oggi premier non ha reso trasparente neanche un pranzo; Lino – un ristoratore che lui frequentava assiduamente già ai tempi della pres i d e n z a d e l l a P r o v i n c i a (quando in pasti spese 600 mila euro: calcolo della Corte dei Conti) – ha dichiarato al Fatto che mandava le fatture dei pasti direttamente a Palazzo Vecchio. Da qui la magistratura contabile ha aperto un fascicolo,mentre la Procura di Firenze, a quanto è dato sapere, ha ritenuto per il momento di non intervenire. HA TENTATO di muoversi la politica. Dieci giorni fa l’opposizione di Palazzo Vecchio ha chiesto in aula che venisse redatta una relazione sulla trasparenza dell’amministrazione ma la richiesta è stata bocciata dal Pd compatto insieme al capogruppo di Forza Italia che ha poi preso le distanze dal documento.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 29/10/2015.
Anche il Movimento 5 Stelle
ha presentato richiesta di
accesso agli atti e anche a loro
per il momento nulla è stato
mostrato. Grassi è alla sua
quinta richiesta: le prime
quattro gli sono state negate.
Il 10 novembre prossimo scadono
i trenta giorni di termine
che l’amministrazione ha per
rispondergli in maniera definitiva.
Della vicenda se ne sono
occupate pure le Iene ma
anche loro senza risultati.
Ora Grassi torna all’attac -
co: “Telefono e mando email a
Francesca Santoro quasi ogni
giorno senza mai ricevere alcuna
risposta: ricordo che è
un obbligo di legge garantire
ai consiglieri l’accesso agli atti,
quindi se non lo fanno di loro
volontà sarò costretto a usare
ogni strada possibile affinché
ci sia una effettiva trasparenza
a Palazzo Vecchio”.
Il prossimo passo? “Occupare
il Consiglio comunale o l’uf -
ficio del sindaco: il sacco a pelo
è già pronto”.
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Re: Renzi
la giovane figlia del ministro del lavoro ichino e stata assunta alla Mondadori scandalo ma con il contratto a tutele crescenti la banca non gli fa il mutuo e la ragazzina piange perché non può sposare l amato ragazzo.
spera nel ritorno dell articolo 18
spera nel ritorno dell articolo 18
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