Come se ne viene fuori ?

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erding
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da erding »

Il tempo dei podestà

La rottamazione degli elettori.
La gestione dei fondi del Giubileo per allestire il
nuovo blocco sociale verso le prossime elezioni


Norma Rangeri

Edizione del
31.10.2015

Pubblicato
30.10.2015, 23:56


La gior­nata dei lun­ghi col­telli è finita nel modo in cui era pre­ve­di­bile che finisse: rot­ta­mando il
sin­daco — ormai ex — Marino. Ma al tempo stesso a Roma è stata rot­ta­mata la demo­cra­zia
per­ché un’ombra scura, pesante è calata ieri sulla capi­tale. Con un atto poli­tico grave, e per­fino
grot­te­sco, è stata col­pita e affon­data l’amministrazione della città che ora sarà gover­nata da
una squa­dra di com­mis­sari: del Giu­bi­leo, del Comune, del Pd. Qual­cuno già li chiama i nuovi pode­stà.
Con il primo pode­stà d’Italia che abita a palazzo Chigi.

Pos­siamo espri­mere i giu­dizi poli­tici che vogliamo — in parte nega­tivi come abbiamo scritto ieri
— su Marino, ma il modo scelto per man­darlo a casa rivela l’escalation diri­gi­stica e cen­tra­li­stica
che sta col­pendo il paese fin dalle sue fon­da­menta costituzionali.

Come dician­nove pic­coli indiani, i con­si­glieri del Pd romano, a colpi di firme con notaio al seguito
(che pena) e con l’aiutino di Alfio Mar­chini e di altri con­si­glieri rac­cat­tati alla spic­cio­lata evi­tando
gli impre­sen­ta­bili di Ale­manno (che disa­stro poli­tico), hanno sciolto il con­si­glio comu­nale.
Così un par­tito che a Roma conta qual­che migliaio di iscritti ha man­dato a casa un sin­daco eletto
da più di sei­cen­to­mila cit­ta­dini. E senza nep­pure l’ombra di una discus­sione pub­blica nell’aula
solenne del Campidoglio.

È un ine­dito nella nostra pur mal­con­cia repub­blica: non solo un esem­pio per­fetto di azze­ra­mento della demo­cra­zia
per via buro­cra­tica, ma di schi­zo­fre­nia poli­tica con un par­tito che fa fuori il suo can­di­dato per una sto­ria di scon­trini
(sui quali farà chia­rezza l’indagine della magi­stra­tura). Altro che ripor­tare la crisi romana den­tro l’aula Giu­lio Cesare.

Le firme dal notaio chiu­dono l’esperienza della sin­da­ca­tura di Igna­zio Marino come era per­sino dif­fi­cile imma­gi­nare,
e aprono la fase della grande abbuf­fata giu­bi­lare sotto il con­trollo del capo del governo, per inter­po­sto com­mis­sa­rio.
Natu­ral­mente con la super­vi­sione dello stato Vati­cano. Non a caso, oltre all’avviso di garan­zia della pro­cura romana,
la gior­nata ha rega­lato al sin­daco il ben­ser­vito del capo dei vescovi. Il car­di­nale Bagna­sco ci informa di essere molto
pre­oc­cu­pato per le sorti della capi­tale, dice che «Roma ha biso­gno di un’amministrazione, della guida che merita
spe­cial­mente in vista del Giu­bi­leo»: Bagna­sco può stare tran­quillo, il governo del com­mis­sa­rio sarà di suo gra­di­mento,
lo stato ita­liano farà un ottimo lavoro al ser­vi­zio e all’ombra del cupo­lone, nes­sun «diritto inci­vile» tur­berà la
pro­ces­sione giubilare.

Siamo certi che Renzi sarà sod­di­sfatto per l’esito della vicenda visto che può mano­vrare le bri­glie come più gli
con­viene con l’aiuto dei poteri che lo sosten­gono. Come segre­ta­rio del Pd puri­fica il par­tito fino a togliere di mezzo
i sin­daci che non gli sono mai pia­ciuti o che non gli piac­ciono più. Come pre­si­dente del con­si­glio li sosti­tui­sce
con nuovi dream-team pre­fet­tizi da gestire con il mini­stero degli interni. I par­la­men­tari dis­si­denti li ha già epu­rati
(è arri­vato a sosti­tuirne dieci tutti in una volta da una com­mis­sione par­la­men­tare), ora con le pros­sime ele­zioni
ammi­ni­stra­tive tocca ai primi cit­ta­dini. Dopo aver rico­struito un blocco sociale con i soldi del Giu­bi­leo per tirare
a lucido la città, sarà uno scherzo chia­mare al Cam­pi­do­glio un can­di­dato che nem­meno avrà biso­gno del
mar­chio ammac­cato del Pd.

Ma è pro­prio nel suo par­tito che la vicenda romana rischia di tra­sfor­marsi in un boo­me­rang, per­ché essere
riu­sciti a azze­rare Marino met­tendo da parte i suoi prin­cipi (si chiama pur sem­pre par­tito demo­cra­tico),
come il rispetto delle ele­men­tari regole per l’appunto demo­cra­ti­che, è una vit­to­ria di oggi che può con­tri­buire
domani ad affos­sare la sua sto­ria, la sua pur sbia­dita identità.

Di fronte a quanto sta avve­nendo, stu­pi­sce, con qual­che ecce­zione che con­ferma la regola, il silenzio/assenso
della cosid­detta mino­ranza del Pd. Forse per­ché il virus dell’autodistruzione del par­tito l’ha con­ta­giata.
O forse per­ché spera di poter trarre qual­che minimo van­tag­gio futuro. Come se Renzi e mino­ranza non si
ren­des­sero conto dell’emorragia di con­sensi che ha già col­pito il Pd (come è acca­duto nelle ultime ele­zioni regio­nali).
Per tutto que­sto la pros­sima cam­pa­gna elet­to­rale a Roma carica di respon­sa­bi­lità chi pensa di costruire un fronte
demo­cra­tico e di sini­stra largo e con­vin­cente per quei romani che non vogliono rinun­ciare all’esercizio del voto.

http://ilmanifesto.info/il-tempo-dei-podesta

È sempre questione di coerenza e di coraggio
... se solo Marino facesse ...il Sansone fino in fondo!

Si adoperi, se può e come può, a portare alla luce quei dossier secretati
camillobenso
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Il tempo dei podestà

La rottamazione degli elettori.
La gestione dei fondi del Giubileo per allestire il
nuovo blocco sociale verso le prossime elezioni




Qualcuno già li chiama i nuovi podestà. Con il primo podestà d’Italia che abita a palazzo Chigi.
Norma Rangeri





Quello di definirli “i nuovi Podestà” è una esplicitazione più che azzeccata che meriterebbe maggiore attenzione da parte dell’Italia antifascista.

Perché il disegno gelliano portato avanti da La Qualunque mira proprio a questo.

Mettere gli italioti davanti al fatto compiuto agendo per piccoli passi in modo che i tricolori si adattino alla trasformazione senza gridare al Golpe.

Oltre a Norma Rangeri, anche altri giornalisti hanno avuto il coraggio di denunciare in Tv il servizietto che sta propinando La Qualunque con tanta cautela, perché se il tutto avvenisse di colpo i tricolori potrebbero anche allarmarsi.

La Qualunque non impiega più politici nelle sostituzioni, ma uomini delle istituzioni che alla fine rispondono a lui e solo a lui.

Alla fine, se il giochino non verrà interrotto allontanandolo dal potere, avrà azzerato la politica perché sarà completamente inutile andare a votare. Il Duce penserà lui a tutto.

L’Italicum era stato impostato con questo fine ed il nuovo Senato pure.

Il calcolo era stato fatto sulle passate elezione europee. Dove il Pd spurghi aveva raggiunto il 41 % e con l’Italicum il premio di maggioranza è stato fissato alla lista che supera il 40%.

Questo perché La Qualunque ai tempi pensava di superare senza fatica la decrescita che aveva portato il PD spurghi al 38 %.

Con il Senato ai suoi ordini, perché il PD risultava maggioranza nelle Regioni, pensava di aver risolto l’inganno, perché secondo lui, gli italioti sono tutti fessi, tranne la Banda La Qualunque.
camillobenso
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NAVIGAZIONE A VISTA - ROTTA DI COLLISIONE


Il vecchio architetto ultraottantenne se ne sta seduto tranquillamente fuori dal bar godendosi il sole di questa prima giornata di novembre aspettando la figlia.

E’un giorno di novembre decisamente inusuale. Sembra un giorno dell’inizio dell’autunno romano.

Negli ultimi vent’anni da quando ci siamo conosciuti al bar della Wilma, siamo sempre stati su barricate opposte. All’epoca tifava per Berlusconi. Poi per Renzi. Pur avendo precisato che da studente e nei primi anni post laurea optava per la sinistra.

Adesso, dopo i due ultimi anni di La Qualunque, ci troviamo dalla stessa parte. E’ diventato aspramente critico con Renzi. Molto di più del sottoscritto.

Ma capita a tutti coloro che si sentono traditi.

Ci vuole molta pazienza. E’ successo molte altre volte negli ultimi 50 anni. Prima i democristiani ortodossi che non avevano capito le profezie di Aldo Moro.

Poi i succhialisti di Becchino Craxi, lo storico affossatore del memorabile Partito Socialista Italiano.

Quando si ricomincia da capo, i berlusconiani. Adesso i renziani.

Quello che ho capito nel mezzo secolo trascorso è che è inutile confrontarsi con certi soggetti tricolori che s’innamorano di certe posizioni.

Bisogna armarsi di santa pazienza ed aspettare che i cicli si completino.

Questo è avvenuto regolarmente con i democristiani incalliti, poi con i craxiani della Milano da bere, con i berlusconiani tifosi accecati da mister “Ghe pensi mi”, ora è il turno dei renziani di La Qualunque.

Inutile insistere con lo zoccolo duro che si rifiuta di guardare la realtà. Deve trascorrere il tempo perché possano capire. Devono accadere fatti perché capiscano cosa sta accadendo. Devono toccare con mano, proprio come San Tommaso.

Il vecchio architetto è uno di questi. Non so cosa lo abbia attratto in La Qualunque.

Adesso gli è tornata la vista. Meglio così. Meglio tardi che mai.

Ma malgrado fossimo su sponde opposte non ho mai rinunciato a conoscere il suo parere.

L’ho fatto anche stamani.

Gli ho chiesto come vede gli avvenimenti di questi giorni. Mi ha risposto subito in modo tranciante: “Non me ne frega più niente”.

Anche se capisco il suo stato d’animo, vista l’età, ho insistito.

Ma lui era determinato: “Ieri sul Corriere un articolo descriveva che questo Paese é marcio!!!”

Difficile non concordare. Troppi dati indicano che questa è la realtà.

Solo la scorsa settimana un articolo de IFQ, titolava: ”L’Italia ha l’élite più criminale dell’Occidente”.

I fatti di cronaca, soprattutto quella giudiziaria, degli ultimi dieci giorni ci riportano indietro all’inizio degli anni ’90, quando la Prima Repubblica stava per crollare sotto l’intransigenza e la pressione del pool di Mani Pulite.

Con la sola differenza che allora, fuori dai soci del Pentapartito, vigeva la speranza che qualcosa potesse cambiare.

Ventitre anni dopo la speranza per il futuro non c’è più. L’hanno uccisa i politici-piazzisti della Seconda Repubblica sostenuti dagli accoliti della religione “della Poltrona”.

I quarantenni, oltre a non avere nessuna preparazione politica, non offrono nessuna garanzia per il futuro.

Venerdì scorso i militanti di Sel hanno appeso all’interno del Comune di Roma fogli con la scritta:

Oggi muore la democrazia”

VIDEO
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/10/ ... ia/433159/


In effetti è già morta da qualche anno, ma come sempre nel Bel Paese si tira a campare facendo finta di niente.


Aldilà di ogni singolo giudizio sull’operato di Marino politico e primo cittadino di Roma per due anni, da venerdì scorso, il percorso della storia italiana è svoltato.


Un dato oggettivo e significativo è la chiusura del sondaggio del Corriere della Sera, iniziato venerdì dopo l’accertamento che il Consiglio Comunale di Roma lo ha defenestrato per interessi superiori.

Su un campione di 3377 partecipanti, alla domanda :”

“Marino decade da sindaco di Roma e attacca Renzi: “Accoltellato da un partito che non è più democratico”. Ha ragione?”

Hanno risposto SI’ il 61 %

Mentre hanno risposto NO il 39 %.


Rimarco che si tratta di un sondaggio del Corriere della Sera e non de Il Fatto Quotidiano, tradizionale avversario del premier cazzaro, così lo chiama sempre Dagospia. Anche ieri.

CONTINUA
Ultima modifica di camillobenso il 02/11/2015, 3:51, modificato 2 volte in totale.
camillobenso
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NAVIGAZIONE A VISTA - ROTTA DI COLLISIONE



Come era prevedibile tra i gufi antirenziani, subito dopo la certezza che il sindaco Sottomarino fosse fuori dai giochi, il governo ha annunciato la disponibilità di 500 milioni di euro per il Giubileo.

A pensar male si fa peccato, ma quasi sempre si indovina ...” è un vecchio celebre aforisma di Giulio Andreotti, che in questo caso calza a pennello.

Manca un mese all’inizio del Giubileo. Perché fare le cose sempre all’ultimo momento???

Il turbo governo dell’efficientista La Qualunque non poteva erogarli mesi fa e fare le cose con più calma ed efficienza??????

Evidentemente NOooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!!

Perché quei soldi sarebbero passati sotto la supervisione di quel rompiscatole del sindaco Sottomarino. Di conseguenza la spartizione della torta tra i soliti noti non si sarebbe verificata.

BISOGNAVA CACCIARLO A TUTTI I COSTI QUESTO PRESUNTUOSO GENOVESE PIOMBATO NELLA PIAZZA AFFARI DELLA CAPITALE, ICONA DELL’ONESTA’ A TUTTI I COSTI.

Adesso che è fuori dalle scatole si ritorna alla normalità.

“Un boccone a me, un boccone a te, un boccone al cane……. Un boccone a me, un boccone a te, un boccone al cane……. Un boccone a me, un boccone a te, un boccone al cane…….”

Due giorni fa il cattolico Travaglio accusava il vicariato di essersi messo gli occhiali scuri e i tamponi nelle orecchie, per quanto accadeva nella mensa per ricchi, della capitale.

Anche per loro “l’infame” Sottomarino, se ne doveva annà????????
Ultima modifica di camillobenso il 02/11/2015, 3:56, modificato 2 volte in totale.
iospero
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Crisi, la ricetta di Jeremy Corbyn: solo un ruolo attivo dello Stato può salvare la Ue

Per il nuovo leader del Labour Party britannico rivendicare il ruolo redistributivo del fisco o chiedere un "quantitative easing per la gente" non è un'idea superata. La filosofia di fondo è che per uscire dalla crisi serve un progetto collettivo basato sul ruolo cruciale di investimenti pubblici ad alta intensità di lavoro
di Laura Pennacchi | 1 novembre 2015


A un esame non impressionistico la visione di politica economica che si può estrarre dalle posizioni fin qui esplicitate dal nuovo leader del Labour Party britannico, Jeremy Corbyn, è tutt’altro che naïve e passatista. Tale è, invece, la convinzione di coloro che considerano la annunciata determinazione ad aumentare le tasse ai ricchi come una riedizione del tradizionale tax and spent laburista, l’ipotesi di recedere dalle privatizzazioni promosse da Margaret Thatcher come un ritorno al principio delle nazionalizzazioni caro all’old Labour, la proposta di “People’s QE” equivalente a sposare la tesi del debito facile. In realtà, aspetti importanti, che sfuggono a letture (interessatamente) superficiali, danno all’insieme delle proposte del nuovo leader del Labour il tono, piuttosto che di una rivisitazione del passato, dell’accoglimento di una sfida per il presente e per il futuro.

Questo è quello che emerge se, a otto anni dall’inizio nel 2007/2008 della “crisi senza fine”, il confronto si fa – come si deve – con ciò che offrono le scelte politiche dominanti in Europa, (con la sola eccezione della Grecia di Alexis Tsipras). Non si può certo dire, infatti, che le politiche di austerità deflattiva abbiano avuto successo, ma nemmeno che si siano rivelate sufficienti a rilanciare la crescita e l’occupazione le misure monetarie “non convenzionali” (pur essenziali a salvare il mondo dal collasso) o le azioni governative – tra cui quelle intraprese dal governo Renzi in Italia – volte a sfruttare risicati margini di “flessibilità” non per mettere in campo autentiche capacità ideative e progettuali dell’operatore pubblico, ma per sancirne l’“arretramento” e la deresponsabilizzazione enfatizzando il ricorso a bonus, voucher, trasferimenti monetari (quali sono anche i benefici fiscali), preferibilmente dati per via di riduzione delle tasse (vedi Tasi-Imu), per di più finanziata in deficit (il che lede il principio fondamentale della Golden Rule per cui in deficit è giusto finanziare solo gli investimenti produttivi).

C’è una palese inadeguatezza delle ricette oggi in voga, spesso adottate anche nel campo del centrosinistra e del socialismo europeo, a conseguire significativi risultati in termini di a) ripartenza degli investimenti, variabile decisiva, b) trasformazione del modello di sviluppo prevalente in Europa (export led, sovrafinanziarizzato, iperconsumistico, svalutante il lavoro), c) generazione di occupazione. La discriminante con cui, dunque, valutare le visioni di politica economica in campo – e pertanto anche quella di Corbyn – è duplice: 1) se si assumono o meno obiettivi radicali di rilancio di una crescita innovativa e di correlata generazione di occupazione, 2) con quali strumenti si ritiene possibile realizzare programmi ambiziosi in materia.

Qui c’è un’idea da sottolineare, sottostante alle singole proposte di Corbyn: che ci voglia, cioè, un grande progetto collettivo basato sul ruolo cruciale di investimenti pubblici ad alta intensità di lavoro, di cui solo uno Stato “strategico” può essere ideatore, promotore, organizzatore, uno Stato il quale, oltre che indirettamente – mediante incentivi, disincentivi e regolazione –, interviene direttamente, cioè guidando e indirizzando intenzionalmente e esplicitamente con strumenti appositi e con il concorso di molti soggetti della società civile.

Dunque, la rottura da operare non è soltanto con l’anti-statism del neoliberismo, ma anche con la più o meno larvata ostilità verso l’intervento pubblico coltivata pure tra varie forze di centrosinistra, ancora succubi di un anacronistico tardo-blairismo. Eppure, nell’avvicendarsi di tutti i grandi cicli tecnologici e nella spinta verso le innovazioni fondamentali l’intervento dello Stato si è rivelato e si rivela decisivo, non solo “facilitatore” e alimentatore di condizioni permissive, ma creatore diretto, motore e traino dello sviluppo. Proprio l’estensione del cambiamento tecnologico e l’emergenza di nuovi settori mostrano che lo Stato non interviene solo per contrastare i market failure o per farsi carico della generazione di esternalità, ma rispondendo a motivazioni e obiettivi strategici. Infatti, l’operatore pubblico è l’unico in grado di porsi la domanda: “che tipo di economia vogliamo?”. A partire dal porsi tale domanda lo Stato è in grado di catalizzare una miriade di attività e di mobilitare congiuntamente più settori e più attori (tra cui tanti privati), generando il “coinvestimento” necessario.

L’emergenza di simili complessi di attività si deve a un intervento pubblico che non si limita a neutralizzare le market failures, ma che inventa, idea, crea lungo tutta la catena dell’innovazione. Tutto questo non ha niente a che fare con il vecchio statalismo e tutto questo sottostà, nella visione di Corbyn, sia all’ipotesi di modellare un Quantitative Easing finalizzato agli investimenti e al benessere dei cittadini (oltre che alla ricostituzione dei profitti delle banche), sia alla suggestione di ripensare privatizzazioni che hanno rivelato molte pecche, sia alla considerazione delle tasse come contributo al bene comune e non come furto e esproprio.
da Il Fatto Quotidiano
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Attualmente mi sembra il personaggio che potrebbe CONTRIBUIRE a dare una svolta all'Europa
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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NAVIGAZIONE A VISTA - ROTTA DI COLLISIONE





Conoscendo la fortissima avversione del Duce per la pubblicità negativa, tanto che se ne sono accorti in molti tra i gufi antirenziani, al punto di sfidarlo apertamente nei contenitori Tv non controllati dal MIN CUL POP, dichiarando apertamente che La Qualunque ci mette la faccia solo su cose ed avvenimenti che hanno un ritorno pubblicitario positivo, mentre si tiene lontano come se avesse la lebbra, da ogni ritorno pubblicitario negativo, come fanno gli infanti dell’Asilo Mariuccia, gli dev’essere pesata moltissimo l’accusa esplicita “dei 26 sicari e del mandante unico”.

Mai nessuno aveva osato tanto. Neppure il suo più acerrimo nemico interno ai dem, Riccardo Cuor di Coniglio Bersani.

Infatti, dopo un lungo silenzio ufficiale, mentre tramava dietro le spalle usando la maschera di Orfini, il Duce ha ritenuto di uscire allo scoperto sul caso Marino solo quando l’accusa del sindaco der campidojo ha accennato alle pugnalate dei nuovi Caio Bruto ma soprattutto all’accusa diretta del mandante.

E allora il Duce si è fatto sentire negando tutto.

Poteva fare diversamente????

Poi con la nomina di Tronca, ha decretato che il caso Sottomarino è concluso e che si gira pagina.

Il MIN CUL POP, lo ha seguito nei suoi desiderata, raccontando al gregge, che tutto è finito e che si sta pensando alle nuove elezioni di maggio.

E’ così????????????????????

Manco per niente.

Le idi di ottobre hanno lasciato il segno.

Lo notiamo negli scritti dei gufi avversari del MIN CUL POP, che non si sono arresi.


Marco Revelli sul Manifesto:

il manifesto 1.11.15
Modello Expo, il salto di qualità del renzismo
Mostro Marino. Dopo Prodi e Letta, il premier miete un'altra vittima senza apparire. Per «il nuovo Pd» rovesciare governi fuori dalle aule e senza dibattito pubblico è ormai una prassi. Un partito post-democratico

di Marco Revelli

Venerdì, a Roma, il progetto renziano di manomissione della nostra democrazia ha compiuto un nuovo salto di qualità.

O, forse meglio, ha rivelato – nell’ordalia rappresentata sul grande palcoscenico di Roma capitale – la propria natura compiutamente post-democratica e anzi tout court anti-democratica.

Di Ignazio Marino sindaco si può pensare tutto il male possibile: molte sue politiche sono state discutibili e anti-sociali (in primis la questione della casa), alcuni suoi comportamenti incomprensibili, la sua ingenuità (o superficialità) imperdonabile, la sua inadeguatezza evidente.

E l’accettazione nella sua squadra di uno come Stefano Esposito insopportabile.



Ma la ferocia con cui il Pd, su mandato del suo Capo, ha posto fine alla legislatura in Campidoglio supera e offusca tutti gli altri aspetti.

Sostituendo all’Aula il Notaio. Al dibattito pubblico la manovra di corridoio e il reclutamento subdolo dei sicari (arte in cui Matteo Renzi eccelle, avendola già sperimentata prima con Romano Prodi e poi con Enrico Letta).

E colpendo così non tanto, e comunque non solo, «quel» Sindaco (che pure a molti voleri del Pd era stato fin troppo fedele), ma il principio cardine della Democrazia in quanto tale.

O di quel poco che ne resta, e che richiederebbe comunque che la nascita e la caduta degli esecutivi – nazionali e locali – avvenisse nell’ambito degli istituti rappresentativi costituzionalmente stabiliti in cui si esercita la sovranità popolare.

Con un voto palese, di cui ognuno si assume in modo trasparente e motivato, la responsabilità.

Così non è stato.

In sistematica e ostentata continuità con la pratica seguita dal governo Renzi in questi mesi di legislazione coatta (a colpi di fiducia e di manipolazione delle Commissioni) e con la sua riforma costituzionale di stampo burocratico-populistico, la sede della Rappresentanza è stata marginalizzata e umiliata.

Svuotata di ruolo e poteri.

Sostituita dalla retta che dal vertice dell’Esecutivo — fatto coincidere con la leadership del partito a vocazione totalizzante e a consistenza dissolvente – precipita, senza intoppi, fino ai piani bassi della cucina quotidiana, delegata alle burocrazie guardiane, reclutate al di fuori di ogni validazione elettorale, in base a criteri di fedeltà (o, forse meglio, di asservimento).

Nella stagione impegnativa — per compiti da svolgere e affari da sfruttare – del Giubileo la Capitale sarà amministrata e «governata» da un dream team (o nightmare team?) non di rappresentanti del popolo ma di fiduciari del Capo, chiamati con logica emergenziale a «gestire l’impresa» in nome non tanto del bene pubblico ma dell’efficienza.


Della composizione del team già se ne parla: oltre all’inossidabile Sabella, il prefetto renziano Francesco Paolo Tronca, fresco della Milano di Expo e Marco Rettighieri, ex supermanager di Italferr, uomo Tav, quello che ha sostituito come direttore generale costruzioni dell’Expo Angelo Paris dopo il suo arresto per corruzione e turbativa d’asta…


Un bel pezzo della «Milano da mangiare» – del «paradigma Expo» – trapiantata a Roma, a far da matrice del nuovo corso della Capitale, ma anche — s’intende – del Paese.


Ed è questo il secondo anello della cerchiatura della botte renziana.

O, se si preferisce, il passaggio con cui si chiude il cerchio del mutamento di paradigma della politica italiana: questo utilizzo del «modello Expo», costruito come esempio «di successo», generato e poi certificato dal mercato, e (per questo) proposto/imposto come forma vincente di governance da imitare e generalizzare.

L’operazione era stata favorita, non so quanto consapevolmente, dall’infelice esternazione di Raffaele Cantone, in cui si contrapponeva Milano come «capitale morale» a una Roma «senza anticorpi»: infelice perché sembra fortemente «irrituale», per usare un eufemismo, e comunque molto inopportuno, che colui che dovrebbe sorvegliare e garantire il rispetto della legalità prima, durante e dopo un’opera ad alto rischio come l’Expo, beatifichi la città che l’ha organizzato e ospitato e, reciprocamente, che ne venga beatificato, proprio alla vigilia di un periodo in cui la magistratura dovrebbe essere lasciata assolutamente libera di procedere a tutte le proprie verifiche e in cui l’Agenzia che egli dirige dovrebbe operare come mai da tertium super partes (che succederà, per esempio, se le inchieste in corso su corruzione, peculato, truffa, ecc. dovessero concludersi con verdetti di colpevolezza: la dovremmo chiamare «Mafia Capitale Morale»?).

Ma tant’è: il cliché coniato da Cantone è entrato alla velocità della luce a far parte del dispositivo narrativo renziano sulle meraviglie del rinascimento italiano.

E su come questo possa tanto più agevolmente e soprattutto velocemente dispiegarsi quanto più si eliminano gli ostacoli della vecchia, accidiosa e fastidiosa democrazia rappresentativa (quella, appunto, che produce i Marino), e si adottano, in alternativa, le linee degli executive di turno, magari arruolando in squadra le stesse «autorità indipendenti» che dovrebbero esercitare i controlli.

Personalmente mi ha turbato la quasi contemporanea dichiarazione di Cantone sulla propria intenzione di abbandonare l’Associazione nazionale magistrati, rea di aver mosso (caute) critiche al governo… E anche questo è uno scatto – se volete piccolo, ma inquietante – nella chiusura della gabbia che ci sta stringendo.
camillobenso
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Politica
Roma: don Vito e i 26 piccoli indiani

di Antonio Padellaro | 31 ottobre 2015
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“Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare”, dice don Vito Corleone nella celeberrima scena del Padrino, ed è lecito chiedersi qual è l’offerta che i diciannove consiglieri piddini non potevano rifiutare per dimettersi in massa, far decadere il Consiglio comunale e procedere così all’affondamento del sindaco di Roma Ignazio Marino. Attenzione, lungi da noi pensare che l’integerrimo Matteo Orfini potesse far trovare nel letto di qualche eventuale dissenziente una testa di cavallo mozzata. Anche perché (sia detto senza offesa) non è che il commissario romano del Pd somigli così tanto a Marlon Brando. Resta però il dubbio che certe atmosfere di Mafia Capitale siano filtrate attraverso le finestre sbarrate del Nazareno. Almeno a leggere le cronache che parlano di una trattativa lunga e affannosa, risolta con promesse di ricandidature alle prossime elezioni e altro ancora. Qualcuno, ma guarda tu, si sarebbe fatto prendere da “dubbi, sensi di colpa e di incoerenza” (Corriere della Sera), con casi di coscienza gravi assai (“Io insieme a quel fascista non posso firmare…). E sì, magari intonavano pure “Bella ciao

Il fatto è che i “fascisti” arruolati per le autodimissioni, di incoerenza non possono essere accusati visto che Marino lo volevano cacciare da subito, così come tutti i gruppi dell’opposizione. Comunque, i diciannove Pd, alla fine, le dimissioni le hanno sottoscritte (nell’attesa ansiosa che Alfio Marchini confermasse le sue) e visto che non c’era Spezzapollici nei paraggi, mentre Carminati e Buzzi risultano ancora dietro le sbarre, resta l’interrogativo su quale diavolo di motivo abbia spinto un manipolo di consiglieri comunali sani di mente a tagliarsi i cosiddetti, rinunciando a un posto di lavoro fisso per altri tre anni e ai relativi emolumenti. Il bene di Roma? Qui a Roma? In Campidoglio? Via, non scherziamo.
Purtroppo l’eterno e farsesco Bagaglino della politica romana, accompagnato dalle stravaganti furbate di un sindaco improbabile, rischia di oscurare il dramma di una democrazia rappresentativa presa a calci dal leader maximo di partito e di governo, e dai suoi accoliti. E non ci vengano a raccontare che Matteo Renzi si è voluto tenere fuori da questa storia perché se i veleni e i pugnali sono stati preparati dai signorsì Orfini, Causi, Esposito, le impronte digitali portano tutte a Palazzo Chigi. Una strage insensata di legalità che, prima di tutto, ha buttato nel cesso il voto popolare delle primarie Pd e dell’elezione diretta da parte di 650mila romani. Il candidato vincente si è mostrato un incapace? Bisognava pensarci prima perché con questo sistema chissà quanti sindaci e governatori dovrebbero andare a casa. Vogliamo parlare del silenzio tombale a cui è stato ridotto un consiglio comunale sprangato e imbavagliato perché nessuno conoscesse le vere ragioni della crisi (ed è inutile che Marino parli ora di “casa della democrazia” visto che da settimane l’aula Giulio Cesare poteva benissimo convocarla lui)? E come mai l’ex chirurgo osannato dalla Orfineide dopo il coinvolgimento Pd nell’inchiesta di Mafia Capitale, è stato brutalmente scaricato al primo stormir di scontrini. Non faceva più comodo? O forse certi potentati capitolini (dalle discariche ai trasporti) mal sopportavano una giunta con un assessore alla Legalità, il magistrato Sabella, a cui si devono le parole più tragicamente sincere: “Sistemare la macchina romana è più difficile che catturare Bagarella e Brusca”? Infine, quest’atto di violenza politica che sono le dimissioni strappate, come si usava un tempo nelle repubbliche popolari dell’est. Dopodiché del Pd restano le macerie. Bel colpo. Per molto meno si è proceduto per attentato a organo politico e costituzionale, articolo 289 del Codice penale.
Il Fatto Quotidiano, 31 ottobre 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... i/2176105/
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Media & Regime
Rainews24: ‘A noi!’ L’Italia tutta esulti per le notizie di Rai Luce
di Nanni Delbecchi | 1 novembre 2015
Commenti (74)



C’erano una volta i Fascisti su Marte di Corrado Guzzanti, tuttora cliccabili su Youtube. Altri tempi, quando la satira rivaleggiava ad armi pari con l’attualità. Ora l’informazione tende a fare tutto da sola, specie quella del servizio pubblico, dal campo di battaglia siamo passati al Campo dall’Orto; i Tg Rai devono conquistare l’Italia, mica Marte, come l’Istituto Luce di mussoliniana memoria.
Su Youtube basta digitare “Rai Luce” per vedere le clip del canale di Claudio Colafrancesco. Piccoli spot fulminei, briciole di PowerPoint, trucioli di slide sulle note dalla Canzone della Vittoria e simili marcette. Matteo Renzi in palestra fa mostra delle sue doti di atleta, Stanlio e Ollio si sganasciano alla notizia che Monica Maggioni presiede Viale Mazzini. L’ultima clip, “Cresce la fiducia degli italiani”, presenta il premier in versione bimbominkia che abbraccia i suoi piccoli fan e si fa dare il cinque in qualche istituto elementare (lo si riconosce perché è l’unico a non indossare il grembiulino). “A noi!”, esclama la slide successiva, anni Trenta originale, dove Mussolini in uniforme tiene in braccio un piccolo balilla. Esagerazioni? Fino a un certo punto.

Chi avesse dei dubbi si sintonizzi sul vero cuore pulsante dell’informazione pubblica, Rai News24. Scoprirà un giardino incantato che si presenta come una finestra aperta sul mondo in tempo reale, ma dove come in un mantra girano sempre i soliti due tre annunci strategici. Le notizie separate dai fatti. Nel giro di un’ora si vede Mattarella ripetere all’infinito che “L’Italia non è incurabile”, l’Istat che “La disoccupazione è scesa ai minimi”, chiunque passi dallo studio che l’Expo si è conclusa nel trionfo generale. Seguono le immagini delle fontane danzanti dell’Albero della Vita, capaci di spezzare le reni a quelle del Bellagio di Las Vegas. A noi!
Il Fatto Quotidiano, 1 novembre 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11 ... e/2178583/
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Politica
Ignazio Marino: il caso Roma solleva un serio problema di democrazia
di Gianluca Ferrara | 31 ottobre 2015


Non entro nel merito dell’operato da sindaco di Ignazio Marino. Non vivo a Roma e quindi non sono in grado di valutare il suo lavoro. Questo lo possono fare le romane e i romani e a sentirli sembra che la capitale sia in una condizione equivalente a come la lasciarono i lanzichenecchi nel maggio del 1527. Una città saccheggiata e di questo forse un po’ tutti si dovrebbero assumere una quota di responsabilità a partire dal primo cittadino. Ma la mia riflessione è altra, temo che questo episodio palesi come la democrazia nel nostro Paese sia solo formale e non sostanziale.
L’assunto su cui vorrei soffermare l’attenzione è che un presidente del Consiglio non eletto nemmeno come deputato, ma imposto da Giorgio Napolitano, costringe alle dimissioni un sindaco voluto dal popolo. Questa è la democrazia? Ho citato Napolitano e se si parla di mancanza di democrazia in Italia, Re Giorgio ha infinite responsabilità. Oramai è noto che il vecchio manovratore, su impulso proveniente da Berlino, già mesi prima tramava per far dimettere Berlusconi. Celermente nel novembre del 2011 nominò Monti prima senatore a vita e pochi giorni dopo gli diede l’incarico da presidente del Consiglio.

Napolitano prima di abdicare, unico caso nella storia della Repubblica, si fece rieleggere presidente della Repubblica da un Parlamento che era stato votato con una legge elettorale incostituzionale. Una Costituzione che con la vigente riforma indica un passaggio che è segno dei nostri tempi: dagli studi di Calamandrei si è passati ai cinguettii da 140 caratteri della Boschi.
E’ democratico un Paese che a palazzo Chigi ospita il terzo presidente del Consiglio consecutivo non eletto dal popolo? Oggi ci troviamo, volendo considerare i ruoli stabiliti dalle urne, nella paradossale situazione in cui il sindaco di Firenze Matteo Renzi, costringe a far dimettere il sindaco di Roma Ignazio Marino.
Il presidente Renzi sarà ricordato come un pugnalatore seriale. Enrico Letta ne sa qualcosa. Renzi non può permettersi di eliminare sindaci eletti come se fossero personaggi di un gioco elettronico da sconfiggere. L’Italia non è la sua playstation. Rammento al presidente Renzi il significato dell’acronimo Pd: la “D” dopo la “P” sta per “democratico”. Ma oggi il partito di Renzi è davvero democratico? E cosa resta dell’eredità di Berlinguer? Possibile che si è passati dalla coerenza di Antonio Gramsci agli annusatori di poltrone come Gennaro Migliore?
Questi intrichi e tradimenti di palazzo sono all’origine della costante disaffezione dei cittadini dalla politica. La democrazia della rappresentanza è sempre meno credibile. Oramai è chiaro a molti che i politici sono stati relegati al ruolo di esecutori di volontà dettate da potentati economico finanziari. La democrazia, come suggerito dal filosofo tedesco Jurgen Habermas, in Europa, è sempre più solo di facciata. E Habermas non è certo un estremista.
In Italia la triste tendenza è quella di far spazio a duci e ducetti. A maggior ragione in questa delicata fase storica non bisogna smettere di seminare democrazia e magari finalmente avere il coraggio individuale di non essere più pecora ma pastore di se stesso.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... a/2176672/
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TUTTO FUNZIONA REGOLARMENTE SECONDO LOGICA




Mentana apre il Tg7 delle 20,00 annunciando che a livello nazionale se si và al ballottaggio, adesso, anche se per pochi decimali vince il M5S.

La scorsa scorsa settimana il PD spurghi era avanti di 1 punto.


==========
M5S = 50,6 %
PD = 49,4 %

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Poi viene annunciata la rivolta delle Regioni guidata dal Chiampa.


Più il Duce và avanti con le sue puttanate più i 5S aumenterenno il consenso.


Elementare Watson.


Ma poi cosa succederà???????????????


Quali sono i rapporti del M5S con i poteri forti nazionali ed internazionali??????????????????????????


Sabato scorso un grillino cresciuto, ad una postazione Pc, in Biblioteca, ha ascoltato le riflessioni dei dinosauri al tavolo.


Al dubbio nostro sugli esiti di una vittoria dei 5S, si è inserito sostenendo che metteranno a posto tutto loro.


ALE' SI RICOMINCIA.

Confondono la propaganda trascurando troppo facilmente come si possono risolvere i problemi dello Stivalone.
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