Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Quello che personalmente mi dà fastidio non è tanto l'ennesimo buco nell'acqua. Gli interessi in gioco sono tali che molti sono interessati a piazzare alla Corte Costituzionale un loro uomo per condizionare le porcate che hanno messo in atto negli anni precedenti.
Sappiamo che tutte le istituzioni sono saltate e che quindi non c'è niente da fare.
Mi infastidisce INVECE la sicurezza sbruffona avidenziata nel primo Tg7 delle 07,30 di stamani del capogruppo del PD Rosato, che si diceva arcisicuro che oggi sarebbe andato tutto a posto.
Gli sbruffoni del PD seguono l'indirizzo del Califfo di Rignano.
Per loro governare è mettere insieme una dopo l'altra una serie infinita di sbruffonate che poi non si realizzano.
Tanto c'è lo zoccolo duro dei merli DOC, che prendono per oro colato tutte le bufale quotidiane che il Califfo s'inventa per stare a galla.
Da queste parti ci si chiede perchè gli italiani ritornano sempre a commettere gli stessi errori.
Ieri Benito, poi è arrivato Bettino seguito da Silvietto che è durato come suo padre(politico) un ventennio e dopo un attimo di respiro con due cacciaviti, Monti e Letta, sotto i nuovo con le bufale im quantità industriale un'altra volta.
PERCHE' GLI ITALIANI SONO FATTI COSI'??????????
MA CHE RAZZA DI FUTURO PUO' AVERE QUESTO PAESE???????
Consulta, ennesima fumata nera
“Ora faremo sedute a oltranza”
Pitruzzella (Antitrust) si ritira
(Di F. Q.)
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... o/2268004/
Sappiamo che tutte le istituzioni sono saltate e che quindi non c'è niente da fare.
Mi infastidisce INVECE la sicurezza sbruffona avidenziata nel primo Tg7 delle 07,30 di stamani del capogruppo del PD Rosato, che si diceva arcisicuro che oggi sarebbe andato tutto a posto.
Gli sbruffoni del PD seguono l'indirizzo del Califfo di Rignano.
Per loro governare è mettere insieme una dopo l'altra una serie infinita di sbruffonate che poi non si realizzano.
Tanto c'è lo zoccolo duro dei merli DOC, che prendono per oro colato tutte le bufale quotidiane che il Califfo s'inventa per stare a galla.
Da queste parti ci si chiede perchè gli italiani ritornano sempre a commettere gli stessi errori.
Ieri Benito, poi è arrivato Bettino seguito da Silvietto che è durato come suo padre(politico) un ventennio e dopo un attimo di respiro con due cacciaviti, Monti e Letta, sotto i nuovo con le bufale im quantità industriale un'altra volta.
PERCHE' GLI ITALIANI SONO FATTI COSI'??????????
MA CHE RAZZA DI FUTURO PUO' AVERE QUESTO PAESE???????
Consulta, ennesima fumata nera
“Ora faremo sedute a oltranza”
Pitruzzella (Antitrust) si ritira
(Di F. Q.)
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Re: Diario della caduta di un regime.
VISTI DA LONTANO
........“Piazza vuota urne piene”?, chiediamo a Zanda, che risponde ironico: “Molte televisioni, molti elettori”
Buono per i calli,.....Zanda l'uomo di Cossiga......
5 dicembre 2015 | di Manolo Lanaro
Pd, banchetti #italiacoraggio: “Portiamo il renzismo a Roma”. E a Poletti tocca difendersi
Piazza Campo de’ Fiori, via Catania nel quartiere Nomentano e Tor Bella Monaca. I banchetti del Partito democratico a Roma non brillano certo per partecipazione. Ma per il presidente dei senatori Pd Luigi Zanda “nessuno ha il nostro stato di salute, siamo l’unico partito che prende iniziative di questa portata, con tanta partecipazione”. Ma così non sembra. La piazza è piena, sì, ma perché lì si svolge il famoso mercato. “Piazza vuota urne piene”?, chiediamo a Zanda, che risponde ironico: “Molte televisioni, molti elettori”. Intanto passa un ex elettore Pd – operaio in pensione ci tiene a precisare – che sentenzia lapidario: “Il Pd? E’ finito, è diventato un partito di centro. O fai qualcosa per i deboli o non lo fai: decidi”. “Il partito c’ha anche tante persone che hanno voglia di mettersi a lavorare”; “lo stato di salute del partito è buono, anche se a Roma abbiamo qualche difficoltà”; “Stiamo iniziando a portare il renzismo a Roma”, dicono i pochi militanti in attesa di Giuliano Poletti nel banchetto a via Catania, che quando arriva sull’iniziativa di oggi dice: “Siamo in una fase di grande cambiamento, quella di oggi è un ottima occasione di confronto, di apertura e di coraggio”. Poletti visita il mercato rionale nelle vicinanze del banchetto e tra strette di mano e saluti qualcuno lo avvicina per dirgli: “Qui gli italiani sono alla frutta”. Il più netto è Gianni Cuperlo: “I banchetti, pur essendo una buona iniziativa, ovviamente non bastano. Nel partito ci sono difficoltà, io ho fatto una proposta a Matteo Renzi, un congresso straordinario nei primi mesi dell’anno, che non si occupi della leadership ma del partito”. Matteo Orfini, che ha scelto di presenziare al banchetto nel quartiere di Tor Bella Monaca, mostra a Mirko ‘Missouri 4′ (l’inviato del programma tv ‘Gazebo’, ndr) un grafico con i dati delle ultime elezioni europee: “Il Problema del Pd a Roma sono le periferie“
VIDEO
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/12/ ... si/448744/
........“Piazza vuota urne piene”?, chiediamo a Zanda, che risponde ironico: “Molte televisioni, molti elettori”
Buono per i calli,.....Zanda l'uomo di Cossiga......
5 dicembre 2015 | di Manolo Lanaro
Pd, banchetti #italiacoraggio: “Portiamo il renzismo a Roma”. E a Poletti tocca difendersi
Piazza Campo de’ Fiori, via Catania nel quartiere Nomentano e Tor Bella Monaca. I banchetti del Partito democratico a Roma non brillano certo per partecipazione. Ma per il presidente dei senatori Pd Luigi Zanda “nessuno ha il nostro stato di salute, siamo l’unico partito che prende iniziative di questa portata, con tanta partecipazione”. Ma così non sembra. La piazza è piena, sì, ma perché lì si svolge il famoso mercato. “Piazza vuota urne piene”?, chiediamo a Zanda, che risponde ironico: “Molte televisioni, molti elettori”. Intanto passa un ex elettore Pd – operaio in pensione ci tiene a precisare – che sentenzia lapidario: “Il Pd? E’ finito, è diventato un partito di centro. O fai qualcosa per i deboli o non lo fai: decidi”. “Il partito c’ha anche tante persone che hanno voglia di mettersi a lavorare”; “lo stato di salute del partito è buono, anche se a Roma abbiamo qualche difficoltà”; “Stiamo iniziando a portare il renzismo a Roma”, dicono i pochi militanti in attesa di Giuliano Poletti nel banchetto a via Catania, che quando arriva sull’iniziativa di oggi dice: “Siamo in una fase di grande cambiamento, quella di oggi è un ottima occasione di confronto, di apertura e di coraggio”. Poletti visita il mercato rionale nelle vicinanze del banchetto e tra strette di mano e saluti qualcuno lo avvicina per dirgli: “Qui gli italiani sono alla frutta”. Il più netto è Gianni Cuperlo: “I banchetti, pur essendo una buona iniziativa, ovviamente non bastano. Nel partito ci sono difficoltà, io ho fatto una proposta a Matteo Renzi, un congresso straordinario nei primi mesi dell’anno, che non si occupi della leadership ma del partito”. Matteo Orfini, che ha scelto di presenziare al banchetto nel quartiere di Tor Bella Monaca, mostra a Mirko ‘Missouri 4′ (l’inviato del programma tv ‘Gazebo’, ndr) un grafico con i dati delle ultime elezioni europee: “Il Problema del Pd a Roma sono le periferie“
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Re: Diario della caduta di un regime.
Nelle prossime settimane si svilupperà anche questo tema.
Palazzi & Potere
Inchiesta sui segreti del potere – 1° parte
La portavoce e le carriere dei prefetti: le
chiamate svelano il sistema delle nomine
Di Marco Lillo
^^^^^^^^^^^
Tronca e le carriere dei prefetti, a decidere è la portavoce. Le telefonate svelano il sistema delle nomine
Palazzi & Potere
I SEGRETI DEL POTERE/1 - Isabella Votino da 9 anni è la collaboratrice più stretta del governatore lombardo Roberto Maroni: a lei si rivolgono gli aspiranti a una carica, per informazioni e aiuto. In una conversazione intercettata nel 2012 racconta i retroscena sull'arrivo in prefettura a Milano dell'attuale commissario al Comune di Roma, Francesco Paolo Tronca. Che al Fatto dice: "Escludo categoricamente di averle chiesto una raccomandazione"
di Marco Lillo | 8 dicembre 2015
A chi ha chiesto una mano per agguantare la poltrona di prefetto di Milano nel 2013 Francesco Paolo Tronca? Secondo Isabella Votino, la storica portavoce di Roberto Maroni, il prefetto si sarebbe raccomandato a lei e al potere leghista. Non è l’unica questione che emerge dalle intercettazioni telefoniche di un’indagine della Procura di Reggio Calabria che oggi sveliamo. Qual è l’imprenditore che Silvio Berlusconi sponsorizza per i lavori della Città della Salute a due passi da Milano in occasione di Expo? E come ricatta Maroni per ottenere l’alleanza alla vigilia delle elezioni che determineranno l’attuale equilibrio politico italiano e lombardo?
Con quali parole l’ex premier minaccia di sguinzagliare i giornali di destra alla stregua di pit bull per indurre a più miti consigli l’alleato riottoso? Come si sono accordati Berlusconi e Maroni per convincere Umberto Bossi a mettersi da parte in silenzio? Come fa l’amministratore delegato della maggiore impresa di costruzioni italiana, Pietro Salini di Impregilo, a tentare di “fottere” lo Stato (a partire dal presidente della Repubblica) con la complicità della portavoce dell’allora segretario della Lega, Isabella Votino, per ottenere il pagamento delle penali per un miliardo di euro della mancata costruzione del Ponte sullo Stretto?
Come fa il presidente del Coni Giovanni Malagò a proporre alla Lega un’alleanza tra padani e generone romano? Con quali parole vanta le potenzialità di una macchina di consenso con milioni di tesserati per ottenere un voto utile a sbaragliare il rivale Raffaele Pagnozzi?
E quali trattative ci sono tra Matteo Salvini e i vecchi leghisti dietro al patto del febbraio 2013 tra il nuovo segretario federale del Carroccio e Bossi? Perché la Lega ha evitato di costituirsi parte civile contro l’ex tesoriere Francesco Belsito nei processi per le ruberie dalle casse del partito? Come rispondono i vari procuratori interessati dalle manovre dell’avvocato Domenico Aiello quando il legale dei leghisti chiede con tono perentorio informazioni e audizioni? Perché un procuratore “duro e puro” chiude ogni comunicazione con parole secche mentre altri pm lasciano le porte aperte e qualcun altro chiede all’avvocato della Lega un favore? Infine, come si decidono le nomine dei commissari strapagati delle grandi aziende in crisi firmate dal ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi nel 2014?
E tanto altro ancora. A partire da oggi, per molti giorni, Il Fatto Quotidiano pubblicherà le intercettazioni telefoniche e ambientali dell’indagine Breakfast della Procura di Reggio Calabria, condotte dal Centro operativo della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria sotto il coordinamento del pm Giuseppe Lombardo e del procuratore capo Federico Cafiero De Raho. L’indagine va avanti in gran segreto da tempo. Tanto segreto. Troppo tempo. Probabilmente le intercettazioni nei confronti dell’avvocato Aiello (attivate nel 2012 per appurare i suoi rapporti con il consulente legale Bruno Mafrici, che era indagato) e sulla portavoce di Maroni Isabella Votino non porteranno a nulla. A prescindere dalla rilevanza penale, quelle conversazioni devono essere pubblicate perché i fatti che svelano sono di rilievo pubblico. La sensazione anzi è che qualcuno abbia messo un coperchio su un pentolone pieno di storie imbarazzanti per i poteri dello Stato. Il Fatto ha visionato le telefonate e ha deciso di far conoscere all’opinione pubblica come funziona dietro le quinte il potere sull’asse Roma-Milano.
Le nomine dei prefetti spettano al Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Interno. Però c’è una bella signorina di 36 anni, nata a Montesarchio in provincia di Benevento, che sembra avere influenza sulle scelte. Si chiama Isabella Votino e gli aspiranti a una carica le chiedono informazioni e aiuto. Da nove anni è la collaboratrice più stretta di Roberto Maroni. Il suo potere però è più penetrante di quello di una mera portavoce di un governatore lombardo. Sarà per i suoi rapporti stretti con Silvio Berlusconi che poi l’ha voluta nel gennaio 2014 per vitalizzare la comunicazione del Milan, ma tra la fine del 2012 e inizio del 2014, quando è intercettata dalla Dia di Reggio Calabria, sembra una sorta di zarina del Viminale, nonostante Maroni non sia più il ministro.
Il 18 dicembre del 2012 a Palazzo Chigi c’è Mario Monti e al Viminale c’è la Cancellieri. La Votino è “solo” la collaboratrice più intima del neo-segretario della Lega Nord, Roberto Maroni quando Luciana Lamorgese, Capo del Dipartimento personale e risorse del ministero dell’Interno, la chiama. Votino le racconta i retroscena della carriera del prefetto Francesco Paolo Tronca. L’attuale commissario nominato da Alfano e Renzi al Comune di Roma, secondo Votino, si sarebbe fatto raccomandare dalla Lega per diventare prefetto di Milano nel 2013, trampolino di lancio per la sua carriera.
Isabella Votino (V): Avevo incrociato Tronca, dopo di che lui mi ha chiamato dicendomi..
Luciana Lamorgese (L): Ma lui ti ha chiamato?
V: Perché io l’avevo incrociato… poi avevo parlato con te e tu, onestamente, mi avevi lasciato intendere che, come dire, non se ne faceva nulla e allora io gli ho detto guarda dico, vuoi che ti dica, cioè…
L: Ma perché lui voleva sapere da te i fatti?
V: No no lui ovviamente voleva in qualche modo che si caldeggiasse… perché non ne fa mistero che vuole venire a Milano
L: Eh certo! (ride)
V: Ma questo cioè legittimamente e allora ma sai fuori dai giochi tu che, ovviamente voglio dire … meglio lui che un altro, cioè, che noi neanche conosciamo (…) Luciana, io non te lo devo dire che … cioè, noi preferiamo che vieni tu che…
L:(ride) (…) io voglio prima capire qual è la situazione … cioè, nel senso, anche da vedere Roma che cosa…
Il Prefetto Luciana Lamorgese in sostanza fa presente all’amica che la sua prima scelta è la nomina a Roma e Milano è per lei una subordinata. Nel luglio 2013 sarà nominata capo di gabinetto dal ministro Angelino Alfano, al posto di Giuseppe Procaccini, travolto dal caso Shalabayeva. La sera del primo giugno 2013 Isabella Votino chiama Maroni per sapere se il vicecapo della polizia Alessandro Marangoni andrà a fare il prefetto di Milano (alla fine ci andrà solo due anni dopo, pochi giorni fa, per pura coincidenza, ndr). La sta cercando Tronca e Maroni commenta che certamente Tronca la sta chiamando perché vuole sponsorizzare la sua nomina.
Due minuti dopo Votino chiama Tronca. L’allora capo dipartimento dei Vigili del fuoco la invita a essere sua ospite nelle tribune riservate alla festa del 2 giugno a Roma. Lei declina l’invito e prende il discorso della nomina sostenendo che è stata rinviata a luglio. Tronca le chiede di continuare a seguire lei la vicenda. Votino conclude dicendo che però circola voce che potrebbe essere nominato Marangoni. Invece l’8 agosto del 2013 il nuovo ministro dell’interno Angelino Alfano nomina Tronca prefetto. A settembre 2013 la Dia intercetta la conversazione tra un funzionario molto importante della polizia di Milano, Maria José Falcicchia, e la sua amica Isabella Votino. Falcicchia (prima donna nominata proprio in quel periodo capo della anticrimine della Squadra mobile di Milano) chiede se Tronca è stato scelto da loro, cioè dalla Lega nord. La portavoce di Maroni risponde che loro lo hanno messo a capo dei Vigili del fuoco e che lo hanno sponsorizzato loro.
Tronca non è l’unico prefetto di Milano che ha rapporti con Isabella Votino. Dal 2005 al gennaio del 2013 su quella poltrona c’era Gian Valerio Lombardi, famoso per come ha accolto nel 2010 l’amica di Berlusconi Marysthell Polanco in Prefettura e per la frase sfortunata (ma gradita a Maroni) sulla mafia che a Milano “non esiste”.
Il 22 novembre 2012 il prefetto Lombardi, nato a Napoli nel 1946, chiede alla portavoce di Maroni: “Come sono i rapporti tra il nostro (Roberto Maroni, ndr) e il presidente della Regione Veneto?”. Votino risponde che con Luca Zaia i rapporti sono buoni. E Lombardi pronto: “Quindi se gli dobbiamo chiedere una cortesiola per una mia lontana parente che aveva un’aspirazione che dipende proprio da lui… possiamo vedere…”. Votino lo rinvia a un caffè nel fine settimana.
Passa qualche mese e il Prefetto, dopo la scadenza del mandato, è a caccia di poltrone. Il 17 giugno 2013, dopo la nascita del governo Letta, si propone come sottosegretario perché “anche Alfano potrebbe aver bisogno di qualcuno fidato…”. Invece Alfano sceglie altre persone. E così a lui ci devono pensare i lombardi.
Isabella Votino dimostra di non essere una portavoce qualunque quando suggerisce a Maroni di nominare Lombardi commissario dell’Aler, l’Azienda lombarda edilizia residenziale. Il governatore chiama il vicepresidente Mario Mantovani (poi arrestato per altre vicende) e ottiene il suo ok alla nomina. Ed è proprio Votino a comunicare la lieta notizia al prefetto che ringrazia ma aggiunge: “Si guadagna una qualcosetta?”. Rassicurato (da commissario prende il 60 per cento in meno ma oggi da presidente Aler guadagna 75 mila euro lordi all’anno) accetta l’incarico. Il 18 giugno Isabella Votino lo chiama per dirgli che appena è uscito il suo nome sui giornali è scoppiata la polemica per le sue vecchie dichiarazioni sulla mafia che a Milano non esiste. Però nessuno ferma Maroni e così Lombardi è tuttora al suo posto.
Il prefetto Tronca, sentito dal Fatto Quotidiano, spiega: “Non ricordo questa telefonata con Isabella Votino. Non avevo una confidenza particolare con lei. Può darsi che le abbia detto, come mi è capitato con tante altre persone, che aspiravo a diventare prefetto di Milano. È una carica così importante che ci vuole la non controindicazione soprattutto delle istituzioni più rilevanti, e Maroni era allora presidente della Regione Lombardia”.
E quella frase di Isabella Votino? Perché dice al telefono a una sua amica che loro hanno sponsorizzato Tronca e che l’avevano nominato prima anche a Capo del dipartimento dei Vigili del fuoco? “Io sono stato nominato capo dipartimento da Maroni e fu un gradito fulmine a ciel sereno: da prefetto di Brescia diventavo capo dipartimento dei vigili del fuoco. C’è una spiegazione però. Io – prosegue Tronca – mi ero occupato di Protezione civile anche da funzionario alla Prefettura di Milano. Ho gestito il coordinamento dell’incidente di Linate nel 2001 e in quel frangente ho conosciuto l’allora ministro dell’interno Maroni però non ho mai chiesto una raccomandazione anche perché non avevo particolari rapporti”.
Allora perché chiede a Votino di “continuare a seguire la vicenda” della nomina a prefetto? Perché la invita a Roma per la festa del 2 giugno del 2013? “Probabilmente volevo che mi tenesse informato visto che Maroni avrebbe saputo come finiva. Mentre escludo categoricamente di avere chiesto alla Votino una raccomandazione. Comunque io sono stato nominato dal ministro Alfano”.
da Il Fatto Quotidiano del 08/12/2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... e/2286922/
Palazzi & Potere
Inchiesta sui segreti del potere – 1° parte
La portavoce e le carriere dei prefetti: le
chiamate svelano il sistema delle nomine
Di Marco Lillo
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Tronca e le carriere dei prefetti, a decidere è la portavoce. Le telefonate svelano il sistema delle nomine
Palazzi & Potere
I SEGRETI DEL POTERE/1 - Isabella Votino da 9 anni è la collaboratrice più stretta del governatore lombardo Roberto Maroni: a lei si rivolgono gli aspiranti a una carica, per informazioni e aiuto. In una conversazione intercettata nel 2012 racconta i retroscena sull'arrivo in prefettura a Milano dell'attuale commissario al Comune di Roma, Francesco Paolo Tronca. Che al Fatto dice: "Escludo categoricamente di averle chiesto una raccomandazione"
di Marco Lillo | 8 dicembre 2015
A chi ha chiesto una mano per agguantare la poltrona di prefetto di Milano nel 2013 Francesco Paolo Tronca? Secondo Isabella Votino, la storica portavoce di Roberto Maroni, il prefetto si sarebbe raccomandato a lei e al potere leghista. Non è l’unica questione che emerge dalle intercettazioni telefoniche di un’indagine della Procura di Reggio Calabria che oggi sveliamo. Qual è l’imprenditore che Silvio Berlusconi sponsorizza per i lavori della Città della Salute a due passi da Milano in occasione di Expo? E come ricatta Maroni per ottenere l’alleanza alla vigilia delle elezioni che determineranno l’attuale equilibrio politico italiano e lombardo?
Con quali parole l’ex premier minaccia di sguinzagliare i giornali di destra alla stregua di pit bull per indurre a più miti consigli l’alleato riottoso? Come si sono accordati Berlusconi e Maroni per convincere Umberto Bossi a mettersi da parte in silenzio? Come fa l’amministratore delegato della maggiore impresa di costruzioni italiana, Pietro Salini di Impregilo, a tentare di “fottere” lo Stato (a partire dal presidente della Repubblica) con la complicità della portavoce dell’allora segretario della Lega, Isabella Votino, per ottenere il pagamento delle penali per un miliardo di euro della mancata costruzione del Ponte sullo Stretto?
Come fa il presidente del Coni Giovanni Malagò a proporre alla Lega un’alleanza tra padani e generone romano? Con quali parole vanta le potenzialità di una macchina di consenso con milioni di tesserati per ottenere un voto utile a sbaragliare il rivale Raffaele Pagnozzi?
E quali trattative ci sono tra Matteo Salvini e i vecchi leghisti dietro al patto del febbraio 2013 tra il nuovo segretario federale del Carroccio e Bossi? Perché la Lega ha evitato di costituirsi parte civile contro l’ex tesoriere Francesco Belsito nei processi per le ruberie dalle casse del partito? Come rispondono i vari procuratori interessati dalle manovre dell’avvocato Domenico Aiello quando il legale dei leghisti chiede con tono perentorio informazioni e audizioni? Perché un procuratore “duro e puro” chiude ogni comunicazione con parole secche mentre altri pm lasciano le porte aperte e qualcun altro chiede all’avvocato della Lega un favore? Infine, come si decidono le nomine dei commissari strapagati delle grandi aziende in crisi firmate dal ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi nel 2014?
E tanto altro ancora. A partire da oggi, per molti giorni, Il Fatto Quotidiano pubblicherà le intercettazioni telefoniche e ambientali dell’indagine Breakfast della Procura di Reggio Calabria, condotte dal Centro operativo della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria sotto il coordinamento del pm Giuseppe Lombardo e del procuratore capo Federico Cafiero De Raho. L’indagine va avanti in gran segreto da tempo. Tanto segreto. Troppo tempo. Probabilmente le intercettazioni nei confronti dell’avvocato Aiello (attivate nel 2012 per appurare i suoi rapporti con il consulente legale Bruno Mafrici, che era indagato) e sulla portavoce di Maroni Isabella Votino non porteranno a nulla. A prescindere dalla rilevanza penale, quelle conversazioni devono essere pubblicate perché i fatti che svelano sono di rilievo pubblico. La sensazione anzi è che qualcuno abbia messo un coperchio su un pentolone pieno di storie imbarazzanti per i poteri dello Stato. Il Fatto ha visionato le telefonate e ha deciso di far conoscere all’opinione pubblica come funziona dietro le quinte il potere sull’asse Roma-Milano.
Le nomine dei prefetti spettano al Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Interno. Però c’è una bella signorina di 36 anni, nata a Montesarchio in provincia di Benevento, che sembra avere influenza sulle scelte. Si chiama Isabella Votino e gli aspiranti a una carica le chiedono informazioni e aiuto. Da nove anni è la collaboratrice più stretta di Roberto Maroni. Il suo potere però è più penetrante di quello di una mera portavoce di un governatore lombardo. Sarà per i suoi rapporti stretti con Silvio Berlusconi che poi l’ha voluta nel gennaio 2014 per vitalizzare la comunicazione del Milan, ma tra la fine del 2012 e inizio del 2014, quando è intercettata dalla Dia di Reggio Calabria, sembra una sorta di zarina del Viminale, nonostante Maroni non sia più il ministro.
Il 18 dicembre del 2012 a Palazzo Chigi c’è Mario Monti e al Viminale c’è la Cancellieri. La Votino è “solo” la collaboratrice più intima del neo-segretario della Lega Nord, Roberto Maroni quando Luciana Lamorgese, Capo del Dipartimento personale e risorse del ministero dell’Interno, la chiama. Votino le racconta i retroscena della carriera del prefetto Francesco Paolo Tronca. L’attuale commissario nominato da Alfano e Renzi al Comune di Roma, secondo Votino, si sarebbe fatto raccomandare dalla Lega per diventare prefetto di Milano nel 2013, trampolino di lancio per la sua carriera.
Isabella Votino (V): Avevo incrociato Tronca, dopo di che lui mi ha chiamato dicendomi..
Luciana Lamorgese (L): Ma lui ti ha chiamato?
V: Perché io l’avevo incrociato… poi avevo parlato con te e tu, onestamente, mi avevi lasciato intendere che, come dire, non se ne faceva nulla e allora io gli ho detto guarda dico, vuoi che ti dica, cioè…
L: Ma perché lui voleva sapere da te i fatti?
V: No no lui ovviamente voleva in qualche modo che si caldeggiasse… perché non ne fa mistero che vuole venire a Milano
L: Eh certo! (ride)
V: Ma questo cioè legittimamente e allora ma sai fuori dai giochi tu che, ovviamente voglio dire … meglio lui che un altro, cioè, che noi neanche conosciamo (…) Luciana, io non te lo devo dire che … cioè, noi preferiamo che vieni tu che…
L:(ride) (…) io voglio prima capire qual è la situazione … cioè, nel senso, anche da vedere Roma che cosa…
Il Prefetto Luciana Lamorgese in sostanza fa presente all’amica che la sua prima scelta è la nomina a Roma e Milano è per lei una subordinata. Nel luglio 2013 sarà nominata capo di gabinetto dal ministro Angelino Alfano, al posto di Giuseppe Procaccini, travolto dal caso Shalabayeva. La sera del primo giugno 2013 Isabella Votino chiama Maroni per sapere se il vicecapo della polizia Alessandro Marangoni andrà a fare il prefetto di Milano (alla fine ci andrà solo due anni dopo, pochi giorni fa, per pura coincidenza, ndr). La sta cercando Tronca e Maroni commenta che certamente Tronca la sta chiamando perché vuole sponsorizzare la sua nomina.
Due minuti dopo Votino chiama Tronca. L’allora capo dipartimento dei Vigili del fuoco la invita a essere sua ospite nelle tribune riservate alla festa del 2 giugno a Roma. Lei declina l’invito e prende il discorso della nomina sostenendo che è stata rinviata a luglio. Tronca le chiede di continuare a seguire lei la vicenda. Votino conclude dicendo che però circola voce che potrebbe essere nominato Marangoni. Invece l’8 agosto del 2013 il nuovo ministro dell’interno Angelino Alfano nomina Tronca prefetto. A settembre 2013 la Dia intercetta la conversazione tra un funzionario molto importante della polizia di Milano, Maria José Falcicchia, e la sua amica Isabella Votino. Falcicchia (prima donna nominata proprio in quel periodo capo della anticrimine della Squadra mobile di Milano) chiede se Tronca è stato scelto da loro, cioè dalla Lega nord. La portavoce di Maroni risponde che loro lo hanno messo a capo dei Vigili del fuoco e che lo hanno sponsorizzato loro.
Tronca non è l’unico prefetto di Milano che ha rapporti con Isabella Votino. Dal 2005 al gennaio del 2013 su quella poltrona c’era Gian Valerio Lombardi, famoso per come ha accolto nel 2010 l’amica di Berlusconi Marysthell Polanco in Prefettura e per la frase sfortunata (ma gradita a Maroni) sulla mafia che a Milano “non esiste”.
Il 22 novembre 2012 il prefetto Lombardi, nato a Napoli nel 1946, chiede alla portavoce di Maroni: “Come sono i rapporti tra il nostro (Roberto Maroni, ndr) e il presidente della Regione Veneto?”. Votino risponde che con Luca Zaia i rapporti sono buoni. E Lombardi pronto: “Quindi se gli dobbiamo chiedere una cortesiola per una mia lontana parente che aveva un’aspirazione che dipende proprio da lui… possiamo vedere…”. Votino lo rinvia a un caffè nel fine settimana.
Passa qualche mese e il Prefetto, dopo la scadenza del mandato, è a caccia di poltrone. Il 17 giugno 2013, dopo la nascita del governo Letta, si propone come sottosegretario perché “anche Alfano potrebbe aver bisogno di qualcuno fidato…”. Invece Alfano sceglie altre persone. E così a lui ci devono pensare i lombardi.
Isabella Votino dimostra di non essere una portavoce qualunque quando suggerisce a Maroni di nominare Lombardi commissario dell’Aler, l’Azienda lombarda edilizia residenziale. Il governatore chiama il vicepresidente Mario Mantovani (poi arrestato per altre vicende) e ottiene il suo ok alla nomina. Ed è proprio Votino a comunicare la lieta notizia al prefetto che ringrazia ma aggiunge: “Si guadagna una qualcosetta?”. Rassicurato (da commissario prende il 60 per cento in meno ma oggi da presidente Aler guadagna 75 mila euro lordi all’anno) accetta l’incarico. Il 18 giugno Isabella Votino lo chiama per dirgli che appena è uscito il suo nome sui giornali è scoppiata la polemica per le sue vecchie dichiarazioni sulla mafia che a Milano non esiste. Però nessuno ferma Maroni e così Lombardi è tuttora al suo posto.
Il prefetto Tronca, sentito dal Fatto Quotidiano, spiega: “Non ricordo questa telefonata con Isabella Votino. Non avevo una confidenza particolare con lei. Può darsi che le abbia detto, come mi è capitato con tante altre persone, che aspiravo a diventare prefetto di Milano. È una carica così importante che ci vuole la non controindicazione soprattutto delle istituzioni più rilevanti, e Maroni era allora presidente della Regione Lombardia”.
E quella frase di Isabella Votino? Perché dice al telefono a una sua amica che loro hanno sponsorizzato Tronca e che l’avevano nominato prima anche a Capo del dipartimento dei Vigili del fuoco? “Io sono stato nominato capo dipartimento da Maroni e fu un gradito fulmine a ciel sereno: da prefetto di Brescia diventavo capo dipartimento dei vigili del fuoco. C’è una spiegazione però. Io – prosegue Tronca – mi ero occupato di Protezione civile anche da funzionario alla Prefettura di Milano. Ho gestito il coordinamento dell’incidente di Linate nel 2001 e in quel frangente ho conosciuto l’allora ministro dell’interno Maroni però non ho mai chiesto una raccomandazione anche perché non avevo particolari rapporti”.
Allora perché chiede a Votino di “continuare a seguire la vicenda” della nomina a prefetto? Perché la invita a Roma per la festa del 2 giugno del 2013? “Probabilmente volevo che mi tenesse informato visto che Maroni avrebbe saputo come finiva. Mentre escludo categoricamente di avere chiesto alla Votino una raccomandazione. Comunque io sono stato nominato dal ministro Alfano”.
da Il Fatto Quotidiano del 08/12/2015
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Re: Diario della caduta di un regime.
Questi sono tempi in cui siamo immersi nel kaos. Anche le parole spesso sono usate a sproposito e generano kaos nel kaos.
Una di queste è la parola “populismo”.
Dizionario di Italiano
il Sabatini ColettiDizionario della Lingua Italiana
populista
[po-pu-lì-sta] s.m. e f. (pl.m. -sti)
• 1 Seguace, esponente del populismo
• 2 Chi sostiene e pratica una politica che asseconda le aspettative popolari, perlopiù in modo demagogico
• • Anche in funzione di agg.: arte, politica p.
• • a. 1919
La seconda definizione è certamente pertinente. In modo particolare evidenziando quando si assume l’aspetto demagogico.
• 2 Chi sostiene e pratica una politica che asseconda le aspettative popolari, perlopiù in modo demagogico
populismo
[po-pu-lì-smo] s.m.
• 1 Atteggiamento o movimento politico tendente a esaltare il ruolo e i valori delle classi popolari
• 2 spreg. Atteggiamento demagogico volto ad assecondare le aspettative del popolo, indipendentemente da ogni valutazione del loro contenuto, della loro opportunità
• 3 Movimento rivoluzionario russo della fine del sec. XIX, che propugnava l'emancipazione delle classi contadine e dei servi della gleba attraverso la realizzazione di una sorta di socialismo rurale
• 4 In ambito artistico, raffigurazione idealizzata del popolo, presentato come modello etico positivo
• • a. 1921
Populismo
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Disambiguazione – Se stai cercando il movimento rivoluzionario russo del XIX secolo, vedi Populismo russo.
Il populismo (dall’inglese populism, traduzione del russo народничество narodničestvo)[1] è un atteggiamento culturale e politico che esalta il popolo, sulla base di principi e programmi ispirati al socialismo, anche se il suo significato viene spesso confuso con quello di demagogia. Il populismo può essere sia democratico e costituzionale, sia autoritario. Nella sua variante conservatrice è spesso detto populismo di destra.
Prende il nome dall'omonimo movimento sviluppatosi in Russia tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento che proponeva un miglioramento delle condizioni di vita delle classi contadine e dei servi della gleba, attraverso la realizzazione di un socialismo basato sulla comunità rurale russa, in antitesi alla società industriale occidentale.
Un Partito del Popolo (Populist o People’s party) venne fondato nel 1891 anche negli Stati Uniti da gruppi di operai e agricoltori che si battevano per la libera coniazione dell’argento, la nazionalizzazione dei mezzi di comunicazione, la limitazione nell’emissione di azioni, l’introduzione di tasse di successione adeguate e l’elezione di presidente, vicepresidente e senatori con un voto popolare diretto; sciolto dopo le elezioni presidenziali del 1908.[2]
Il termine è stato riferito alla prassi politica di Juan Domingo Perón (vedi la voce peronismo e la sua recente variante di sinistra, il kirchnerismo), al bolivarismo e al chavismo, in quanto spesso fanno riferimento alle consultazioni popolari e ai plebisciti, perché il popolo decida direttamente nei limiti della Costituzione. Il movimento precursore di questa idea di democrazia può essere indicato e riconosciuto nel bonapartismo (Napoleone I e Napoleone III, in accezione cesaristica) e nella rivoluzione francese, specialmente nelle fazioni che si rifacevano alle idee politiche del filosofo Jean-Jacques Rousseau, come i giacobini.[3]
In Italia è stato spesso usato con accezione negativa, nei confronti del fascismo o del berlusconismo, e di vari movimenti leaderistici, spesso affini alla destra, ma anche al centro-sinistra (come l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro); spesso questi gruppi hanno rifiutato questa etichetta.[4] L'accezione del termine in senso positivo, come "vicinanza al popolo e ai suoi valori", è stata invece rivendicata da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio per il Movimento 5 Stelle.[5][
^^^^^^^^^
Errori
Populista è ormai un insulto non una categoria politica
Le classi dirigenti accusano gli avversari vincitori di essere rozzi, plebei e di aver vinto con un voto «di pancia». Ma è pericolosa questa presunta superiorità antropologica perché allontana dalla realtà e fa il gioco dei demagoghi
di Pierluigi Battista
shadow
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Nel secolo che si è da poco inaugurato, «populista» è il nuovo «fascista», in auge nel ventesimo secolo. È un insulto, non una categoria politica. Un anatema, non una descrizione passabilmente precisa. È l’indicazione di un mostro, o di una strega da bruciare, se si tratta di una donna come Marine Le Pen. Esprime uno stato d’animo di frustrazione. La frastornata incapacità delle classi dirigenti europee di decifrare quel che sta accadendo nel profondo del «popolo» che la retorica democratica continua a definire, sempre più di malavoglia, «sovrano». E allora meglio una moratoria, almeno provvisoria. La messa al bando di un termine che non significa niente ma che funziona come segno di appartenenza a quell’establishment che è la bestia nera dei partiti e dei movimenti sbrigativamente e superficialmente scomunicati come populisti.
Sembra un gioco degli specchi, e purtroppo ad andarci di mezzo è l’Europa, o l’illusione che l’Europa potesse essere qualcosa di diverso, di attraente, capace di suscitare, nientemeno, un sentimento di appartenenza. «Populismo» è l’arma contundente che si usa come fallo di reazione. I cosiddetti «populisti» amplificano l’ostilità per l’establishment, l’élite, la finanza, il «grande», l’«alto», i ricchi, i padroni della cultura, i grandi media («i giornaloni» è diventato il loro mantra, a destra e a sinistra), i partiti tradizionali, il potere della burocrazia, i mandarini di un regolismo ossessivo e asfissiante. Dicono di voler dare voce ai «senza voce», rappresentanza ai «piccoli», esprimere ciò che ribolle nel «popolo»: ma come in un massacrante gioco degli specchi, le élite, l’establishment, la burocrazia del potere rispondono con il disprezzo, la supponenza, l’alterigia. Non con la severità, che pure ha una sua autorevolezza se esercitata con schiettezza ed equanimità, ma con la boria di chi pretende di vantare una superiorità antropologica sul «popolo» grossolano e ignorante. Attenzione al lessico di chi abusa del termine «populismo», basta scorrere anni di rassegna stampa. Quando il popolo dà retta ai «populisti», scatta l’automatismo dei presuntuosi per dire che il popolo vota con la «pancia». Che è preda di un «umore » (mentre gli ottimati usano solo la fredda ragione). Che è «irrazionale», infantile, vulnerabile a ogni «sirena». «Rozzo» (anche questo è stato scritto). «Plebe» (anche questo è stato scritto). E, soprattutto, dominato dalla «paura». Dicono che il trionfo del partito della Le Pen sia il frutto dell’angoscia del Bataclan, ma tutti i sondaggi davano vincente il Front National anche prima del 13 novembre. Quanto avrà portato la paura del Bataclan alla Le Pen: l’1, il 2 per cento? E l’altro 28, come mai nessuno era riuscito a parlarci prima? Perché veniva disprezzato, confinato in un recinto infetto. Una reazione «di pancia» e irrazionale dell’élite: insultare chi ti volta le spalle, non cercare di capire cosa sta accadendo.
Chi ha creduto nell’Europa, nella possibilità che un continente intero vivesse la sua unificazione come un incremento della libertà, libertà di circolazione delle idee, delle persone e delle merci, una casa comune fondata sulla pace e sul benessere che ti faceva sentire cittadino di una stessa patria morale europea, con una moneta unica e istituzioni democratiche aperte ed inclusive, con un solidale sistema di difesa anche militare, oggi non solo deve constatare che almeno un terzo dell’elettorato nei vari Paesi europei dà stabilmente il suo consenso a movimenti e partiti (di destra o si sinistra importa poco) che fanno dell’Europa il loro bersaglio, ma deve anche assistere a una classe dirigente arroccata e senza idee, che insulta ed esorcizza chi si sente ai margini, minacciato nella propria identità e nel proprio benessere. E ora anche con l’Isis. Colpiscono la Francia? Se la veda Parigi, noi al massimo esprimiamo solidarietà. Il centro di Bruxelles a pochi passi dalle maggiori istituzioni europee viene messo sotto attacco? Ci pensi la polizia belga. Non l’Europa, ma il Belgio. L’Europa pensa ad affibbiare l’etichetta «populista». Una moratoria urgente che metta da parte il «populismo»: giusto il tempo di cominciare a pensare.
9 dicembre 2015 (modifica il 9 dicembre 2015 | 09:36)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/opinioni/15_dice ... 1ca0.shtml
Una di queste è la parola “populismo”.
Dizionario di Italiano
il Sabatini ColettiDizionario della Lingua Italiana
populista
[po-pu-lì-sta] s.m. e f. (pl.m. -sti)
• 1 Seguace, esponente del populismo
• 2 Chi sostiene e pratica una politica che asseconda le aspettative popolari, perlopiù in modo demagogico
• • Anche in funzione di agg.: arte, politica p.
• • a. 1919
La seconda definizione è certamente pertinente. In modo particolare evidenziando quando si assume l’aspetto demagogico.
• 2 Chi sostiene e pratica una politica che asseconda le aspettative popolari, perlopiù in modo demagogico
populismo
[po-pu-lì-smo] s.m.
• 1 Atteggiamento o movimento politico tendente a esaltare il ruolo e i valori delle classi popolari
• 2 spreg. Atteggiamento demagogico volto ad assecondare le aspettative del popolo, indipendentemente da ogni valutazione del loro contenuto, della loro opportunità
• 3 Movimento rivoluzionario russo della fine del sec. XIX, che propugnava l'emancipazione delle classi contadine e dei servi della gleba attraverso la realizzazione di una sorta di socialismo rurale
• 4 In ambito artistico, raffigurazione idealizzata del popolo, presentato come modello etico positivo
• • a. 1921
Populismo
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Disambiguazione – Se stai cercando il movimento rivoluzionario russo del XIX secolo, vedi Populismo russo.
Il populismo (dall’inglese populism, traduzione del russo народничество narodničestvo)[1] è un atteggiamento culturale e politico che esalta il popolo, sulla base di principi e programmi ispirati al socialismo, anche se il suo significato viene spesso confuso con quello di demagogia. Il populismo può essere sia democratico e costituzionale, sia autoritario. Nella sua variante conservatrice è spesso detto populismo di destra.
Prende il nome dall'omonimo movimento sviluppatosi in Russia tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento che proponeva un miglioramento delle condizioni di vita delle classi contadine e dei servi della gleba, attraverso la realizzazione di un socialismo basato sulla comunità rurale russa, in antitesi alla società industriale occidentale.
Un Partito del Popolo (Populist o People’s party) venne fondato nel 1891 anche negli Stati Uniti da gruppi di operai e agricoltori che si battevano per la libera coniazione dell’argento, la nazionalizzazione dei mezzi di comunicazione, la limitazione nell’emissione di azioni, l’introduzione di tasse di successione adeguate e l’elezione di presidente, vicepresidente e senatori con un voto popolare diretto; sciolto dopo le elezioni presidenziali del 1908.[2]
Il termine è stato riferito alla prassi politica di Juan Domingo Perón (vedi la voce peronismo e la sua recente variante di sinistra, il kirchnerismo), al bolivarismo e al chavismo, in quanto spesso fanno riferimento alle consultazioni popolari e ai plebisciti, perché il popolo decida direttamente nei limiti della Costituzione. Il movimento precursore di questa idea di democrazia può essere indicato e riconosciuto nel bonapartismo (Napoleone I e Napoleone III, in accezione cesaristica) e nella rivoluzione francese, specialmente nelle fazioni che si rifacevano alle idee politiche del filosofo Jean-Jacques Rousseau, come i giacobini.[3]
In Italia è stato spesso usato con accezione negativa, nei confronti del fascismo o del berlusconismo, e di vari movimenti leaderistici, spesso affini alla destra, ma anche al centro-sinistra (come l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro); spesso questi gruppi hanno rifiutato questa etichetta.[4] L'accezione del termine in senso positivo, come "vicinanza al popolo e ai suoi valori", è stata invece rivendicata da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio per il Movimento 5 Stelle.[5][
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Errori
Populista è ormai un insulto non una categoria politica
Le classi dirigenti accusano gli avversari vincitori di essere rozzi, plebei e di aver vinto con un voto «di pancia». Ma è pericolosa questa presunta superiorità antropologica perché allontana dalla realtà e fa il gioco dei demagoghi
di Pierluigi Battista
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Nel secolo che si è da poco inaugurato, «populista» è il nuovo «fascista», in auge nel ventesimo secolo. È un insulto, non una categoria politica. Un anatema, non una descrizione passabilmente precisa. È l’indicazione di un mostro, o di una strega da bruciare, se si tratta di una donna come Marine Le Pen. Esprime uno stato d’animo di frustrazione. La frastornata incapacità delle classi dirigenti europee di decifrare quel che sta accadendo nel profondo del «popolo» che la retorica democratica continua a definire, sempre più di malavoglia, «sovrano». E allora meglio una moratoria, almeno provvisoria. La messa al bando di un termine che non significa niente ma che funziona come segno di appartenenza a quell’establishment che è la bestia nera dei partiti e dei movimenti sbrigativamente e superficialmente scomunicati come populisti.
Sembra un gioco degli specchi, e purtroppo ad andarci di mezzo è l’Europa, o l’illusione che l’Europa potesse essere qualcosa di diverso, di attraente, capace di suscitare, nientemeno, un sentimento di appartenenza. «Populismo» è l’arma contundente che si usa come fallo di reazione. I cosiddetti «populisti» amplificano l’ostilità per l’establishment, l’élite, la finanza, il «grande», l’«alto», i ricchi, i padroni della cultura, i grandi media («i giornaloni» è diventato il loro mantra, a destra e a sinistra), i partiti tradizionali, il potere della burocrazia, i mandarini di un regolismo ossessivo e asfissiante. Dicono di voler dare voce ai «senza voce», rappresentanza ai «piccoli», esprimere ciò che ribolle nel «popolo»: ma come in un massacrante gioco degli specchi, le élite, l’establishment, la burocrazia del potere rispondono con il disprezzo, la supponenza, l’alterigia. Non con la severità, che pure ha una sua autorevolezza se esercitata con schiettezza ed equanimità, ma con la boria di chi pretende di vantare una superiorità antropologica sul «popolo» grossolano e ignorante. Attenzione al lessico di chi abusa del termine «populismo», basta scorrere anni di rassegna stampa. Quando il popolo dà retta ai «populisti», scatta l’automatismo dei presuntuosi per dire che il popolo vota con la «pancia». Che è preda di un «umore » (mentre gli ottimati usano solo la fredda ragione). Che è «irrazionale», infantile, vulnerabile a ogni «sirena». «Rozzo» (anche questo è stato scritto). «Plebe» (anche questo è stato scritto). E, soprattutto, dominato dalla «paura». Dicono che il trionfo del partito della Le Pen sia il frutto dell’angoscia del Bataclan, ma tutti i sondaggi davano vincente il Front National anche prima del 13 novembre. Quanto avrà portato la paura del Bataclan alla Le Pen: l’1, il 2 per cento? E l’altro 28, come mai nessuno era riuscito a parlarci prima? Perché veniva disprezzato, confinato in un recinto infetto. Una reazione «di pancia» e irrazionale dell’élite: insultare chi ti volta le spalle, non cercare di capire cosa sta accadendo.
Chi ha creduto nell’Europa, nella possibilità che un continente intero vivesse la sua unificazione come un incremento della libertà, libertà di circolazione delle idee, delle persone e delle merci, una casa comune fondata sulla pace e sul benessere che ti faceva sentire cittadino di una stessa patria morale europea, con una moneta unica e istituzioni democratiche aperte ed inclusive, con un solidale sistema di difesa anche militare, oggi non solo deve constatare che almeno un terzo dell’elettorato nei vari Paesi europei dà stabilmente il suo consenso a movimenti e partiti (di destra o si sinistra importa poco) che fanno dell’Europa il loro bersaglio, ma deve anche assistere a una classe dirigente arroccata e senza idee, che insulta ed esorcizza chi si sente ai margini, minacciato nella propria identità e nel proprio benessere. E ora anche con l’Isis. Colpiscono la Francia? Se la veda Parigi, noi al massimo esprimiamo solidarietà. Il centro di Bruxelles a pochi passi dalle maggiori istituzioni europee viene messo sotto attacco? Ci pensi la polizia belga. Non l’Europa, ma il Belgio. L’Europa pensa ad affibbiare l’etichetta «populista». Una moratoria urgente che metta da parte il «populismo»: giusto il tempo di cominciare a pensare.
9 dicembre 2015 (modifica il 9 dicembre 2015 | 09:36)
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http://www.corriere.it/opinioni/15_dice ... 1ca0.shtml
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Re: Diario della caduta di un regime.
La bomba a orologeria dei derivati nelle Regioni
09/12/2015 di triskel182
“Sapete cosa stanno facendo Lazio, Campania, Liguria, Lombardia, Marche e Puglia, nel silenzio della stampa? Per allungare i loro debiti nel tempo, spostandoli pericolosamente in avanti, stanno procedendo al riacquisto dei loro stessi prestiti obbligazionari emessi tempo fa. Si tratta degli stessi debiti che hanno dato vita alla vicenda dei contratti derivati che tanti problemi ha causato alle finanze pubbliche, soprattutto alle casse del Tesoro e che è stata oggetto di continue interrogazioni e recenti interpellanze urgenti del Movimento.
Non è la prima volta che tentano questa operazione: un primo tentativo si era già arenato lo scorso dicembre, nello stesso periodo in cui il governo garantiva (con le nostre tasche) le banche internazionali sui propri immensi debiti in derivati (oltre 40 miliardi) con una specifica legge in finanziaria; questo in un periodo in cui nelle casse dello stato non c’erano manco i soldi per piangere.
In perfetto stile Tesoro/Governo – ovvero in assoluto silenzio e opacità – l’operazione è ripartita. Dalle segnalazioni che ci sono arrivate, pare che le obbligazioni oggetto di riacquisto, che solo il giorno prima venivano offerte a un prezzo assai contenuto che rifletteva gli alti rischi e la modesta qualità, ora sono richieste dalle stesse regioni a prezzi stellari, persino superiori a quelli di titoli di stato. Che significa? Che le regioni pagheranno molto di più del prezzo “equo” e comunque un costo eccessivo per garantire il riacquisto totale. Tanto la differenza in eccesso la paga il contribuente! Pensate che, solo per la regione Puglia, per fare un esempio, la perdita secca per i contribuenti può arrivare fino a 200 milioni!
Quindi, mentre la gente vive in contesti in cui rischia che crolli un tetto in una scuola, se non a casa propria e le imprese chiudono per mancanza anche di un solo euro di investimento per garantirne la sopravvivenza, le regioni si prodigano, ancora una volta, per far concludere alle banche solo l’ultimo dei loro affari con lo Stato e/o la pubblica amministrazione.
Tutto qui? Ovviamente no.
Ci saranno da chiudere i derivati in corso, cosa che ovviamente avverrà (come sempre in passato) nella opacità più assoluta.
Chi sono questi sagaci “consulenti” che assistono le regioni? Sono in grado di comprendere le contorte architetture degli squali delle banche? Soprattutto, data l’entità di milioni di euro, sono persone davvero indipendenti?
Con che soldi le regioni ricompreranno i bond? Ma ovviamente facendo nuovi debiti (a tassi ancora non noti) e di certo il rimborso si allungherà: la norma parla di 30 anni su un debito che era già stato procrastinato di lustri! A chi lasciamo questi debiti originari? Forse ai nipoti di coloro che se li sono assunti? Ma andiamo avanti.
Poiché il prolungamento a 30 anni consentirà esborsi finanziari sensibilmente più ridotti rispetto a quelli delle vecchie obbligazioni, permetterà a queste Regioni di disporre di nuove risorse che prima erano destinate al rimborso del debito. Insomma sì, nuova “cassa” ma a fronte di maggiori costi economici!
E non finisce qui. Cosa faranno le regioni di quei soldi “risparmiati”? Saranno opportunamente accantonati a copertura dei futuri impegni o spesi per le necessità “correnti”, magari per chiudere qualche buco qua e la?
Ma insomma qualcuno verificherà che queste operazioni garantiscano una reale convenienza economica per il contribuente e non solo una costosa disponibilità di cassa? Non è che ci si ritroverà nelle aule tribunali tra qualche anno come successo e come sta ancora succedendo sui derivati degli enti locali?
La cosa fa rabbia se si pensa che nel nostro paese ci sono organismi di controllo PUBBLICI come, tra l’altro la CONSOB, dotata peraltro di un ufficio ultra specializzato per valutare obbligazioni e derivati, ma come in tutti i casi precedenti non è stato interpellato. Forse ancora una volta non c’è “interesse” affinché questo possa esprimere un giudizio tecnico, stavolta nell’interesse pubblico e non in quello delle banche?
Non ci arrenderemo di fronte a questi silenzi assordanti del Governo. Andremo avanti. Con tutti gli strumenti democratici a disposizioni. Finchè non arriverà il giorno, assai vicino ormai, in cui i cittadini, con un tratto di penna, decideranno di VOTARLI VIA!”
Di Carla Ruocco, M5S Camera da beppegrillo.it
09/12/2015 di triskel182
“Sapete cosa stanno facendo Lazio, Campania, Liguria, Lombardia, Marche e Puglia, nel silenzio della stampa? Per allungare i loro debiti nel tempo, spostandoli pericolosamente in avanti, stanno procedendo al riacquisto dei loro stessi prestiti obbligazionari emessi tempo fa. Si tratta degli stessi debiti che hanno dato vita alla vicenda dei contratti derivati che tanti problemi ha causato alle finanze pubbliche, soprattutto alle casse del Tesoro e che è stata oggetto di continue interrogazioni e recenti interpellanze urgenti del Movimento.
Non è la prima volta che tentano questa operazione: un primo tentativo si era già arenato lo scorso dicembre, nello stesso periodo in cui il governo garantiva (con le nostre tasche) le banche internazionali sui propri immensi debiti in derivati (oltre 40 miliardi) con una specifica legge in finanziaria; questo in un periodo in cui nelle casse dello stato non c’erano manco i soldi per piangere.
In perfetto stile Tesoro/Governo – ovvero in assoluto silenzio e opacità – l’operazione è ripartita. Dalle segnalazioni che ci sono arrivate, pare che le obbligazioni oggetto di riacquisto, che solo il giorno prima venivano offerte a un prezzo assai contenuto che rifletteva gli alti rischi e la modesta qualità, ora sono richieste dalle stesse regioni a prezzi stellari, persino superiori a quelli di titoli di stato. Che significa? Che le regioni pagheranno molto di più del prezzo “equo” e comunque un costo eccessivo per garantire il riacquisto totale. Tanto la differenza in eccesso la paga il contribuente! Pensate che, solo per la regione Puglia, per fare un esempio, la perdita secca per i contribuenti può arrivare fino a 200 milioni!
Quindi, mentre la gente vive in contesti in cui rischia che crolli un tetto in una scuola, se non a casa propria e le imprese chiudono per mancanza anche di un solo euro di investimento per garantirne la sopravvivenza, le regioni si prodigano, ancora una volta, per far concludere alle banche solo l’ultimo dei loro affari con lo Stato e/o la pubblica amministrazione.
Tutto qui? Ovviamente no.
Ci saranno da chiudere i derivati in corso, cosa che ovviamente avverrà (come sempre in passato) nella opacità più assoluta.
Chi sono questi sagaci “consulenti” che assistono le regioni? Sono in grado di comprendere le contorte architetture degli squali delle banche? Soprattutto, data l’entità di milioni di euro, sono persone davvero indipendenti?
Con che soldi le regioni ricompreranno i bond? Ma ovviamente facendo nuovi debiti (a tassi ancora non noti) e di certo il rimborso si allungherà: la norma parla di 30 anni su un debito che era già stato procrastinato di lustri! A chi lasciamo questi debiti originari? Forse ai nipoti di coloro che se li sono assunti? Ma andiamo avanti.
Poiché il prolungamento a 30 anni consentirà esborsi finanziari sensibilmente più ridotti rispetto a quelli delle vecchie obbligazioni, permetterà a queste Regioni di disporre di nuove risorse che prima erano destinate al rimborso del debito. Insomma sì, nuova “cassa” ma a fronte di maggiori costi economici!
E non finisce qui. Cosa faranno le regioni di quei soldi “risparmiati”? Saranno opportunamente accantonati a copertura dei futuri impegni o spesi per le necessità “correnti”, magari per chiudere qualche buco qua e la?
Ma insomma qualcuno verificherà che queste operazioni garantiscano una reale convenienza economica per il contribuente e non solo una costosa disponibilità di cassa? Non è che ci si ritroverà nelle aule tribunali tra qualche anno come successo e come sta ancora succedendo sui derivati degli enti locali?
La cosa fa rabbia se si pensa che nel nostro paese ci sono organismi di controllo PUBBLICI come, tra l’altro la CONSOB, dotata peraltro di un ufficio ultra specializzato per valutare obbligazioni e derivati, ma come in tutti i casi precedenti non è stato interpellato. Forse ancora una volta non c’è “interesse” affinché questo possa esprimere un giudizio tecnico, stavolta nell’interesse pubblico e non in quello delle banche?
Non ci arrenderemo di fronte a questi silenzi assordanti del Governo. Andremo avanti. Con tutti gli strumenti democratici a disposizioni. Finchè non arriverà il giorno, assai vicino ormai, in cui i cittadini, con un tratto di penna, decideranno di VOTARLI VIA!”
Di Carla Ruocco, M5S Camera da beppegrillo.it
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Re: Diario della caduta di un regime.
Pd, l’analisi: ‘Bassa fedeltà, poche tessere’. Orgoglio di partito? Solo ai seggi
09/12/2015 di triskel182
https://triskel182.wordpress.com/2015/1 ... more-83439
09/12/2015 di triskel182
https://triskel182.wordpress.com/2015/1 ... more-83439
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Re: Diario della caduta di un regime.
Il Sole 9.12.15
La politica in numeri
Il «Front national» italiano? È il M5S, non la Lega Nord
di Roberto D’Alimonte
L’Italia non è la Francia. E Matteo Salvini non è Marine Le Pen. Sembra una cosa scontata e invece pare che lo si debba rammentare. L’uno è il leader di un partito che si chiama Lega Nord per l’indipendenza della Padania. L’altra guida un partito che si chiama Front National. Come si fa a pensare che siano la stessa cosa? È vero che Salvini cerca di far dimenticare le origini del suo partito non parlando più di Padania e omettendo sempre più di frequente il riferimento al Nord, ma è un espediente che funziona poco. La Lega di Salvini non è un partito nazionale. Il suo elettorato si concentra prevalentemente nelle regioni del Nord dove alle ultime europee ha preso il 12% dei voti contro l’1% nelle regioni del Sud. E non è nemmeno un partito nazionalista perché non è l’Italia, ma la Padania il suo riferimento ideale e il suo obiettivo politico. Nel suo statuto si parla esplicitamente di indipendenza della Padania e del suo riconoscimento internazionale quale “Repubblica federale indipendente e sovrana”. Tutto il contrario del partito di Marine Le Pen che invece ha fatto della identità nazionale il nocciolo duro del suo programma.
Né è credibile l’idea che Salvini possa convocare in un prossimo futuro un congresso straordinario per trasformare la Lega Nord in Lega nazionale. La Lega è quella che è. E lo sarà ancora a lungo. Ancorata a un passato che oggi sta stretto a Salvini, le cui ambizioni- queste sì - sono uguali a quelle di Marine Le Pen. Anche se volesse il leader della Lega Nord non si può permettere cambiamenti radicali che distruggerebbero l’attuale Lega senza certezze sulla possibilità di creare un partito di destra nazionale simile a quello francese. In questi casi l’ambiguità è una soluzione obbligata. Ed è questa la strategia oggi. In fondo la Lega Nord di Salvini è un po’ come il vecchio Pci. L’obiettivo del superamento del capitalismo era sempre lì, ma non se ne parlava mai. Così è per l’indipendenza della Padania. Ma Salvini ha certamente un merito. Ha ereditato una Lega Nord ridotta ai minimi termini e ne ha fatto il maggior partito del centro-destra italiano. Non è poco, ma non basta a farne il Fronte italiano.
Una cosa accomuna Lega Nord e Front National: la loro posizione fortemente critica su Europa e immigrazione. Queste sono questioni che oggi pagano sul piano elettorale. Ma non bastano a Salvini per far dimenticare agli elettori del centro-sud che il suo è un partito del Nord. L’espediente di attrarre questi elettori con una lista diversa da quella della Lega Nord, una lista incentrata sul suo nome, non ha funzionato alle ultime elezioni regionali ed è molto improbabile che possa funzionare alle prossime. In Puglia la lista Noi con Salvini ha preso il 2% dei voti. In Campania non si è nemmeno presentata.
L’Italia non è la Francia per un altro motivo che nuoce a Salvini. In Francia il Front National è la vera alternativa ai partiti tradizionali. Come tale raccoglie non solo i voti di coloro che vogliono meno Europa, meno immigrazione e più sicurezza, ma anche di quelli che puntano a un cambiamento radicale di classe dirigente. È il partito anti-establishment della Quinta Repubblica. Un partito tenuto ai margini per decenni da un sistema istituzionale ed elettorale che lo ha penalizzato. Ancora oggi dentro l’assemblea nazionale ci sono solo due deputati del Fronte su 577, pur avendo ottenuto quasi il 14% dei voti alle ultime elezioni politiche nel 2012. Ma questa emarginazione è diventata ora un vantaggio perché consente al partito di Marine Le Pen di apparire come diverso dagli altri e quindi di capitalizzare la voglia di cambiamento cui i partiti tradizionali non riescono a rispondere. La Lega di Salvini non ha questo vantaggio. È un partito che è stato a lungo al governo. E oggi si presenta ancora come alleato di un partito come Forza Italia che è membro del partito popolare europeo. È come se Sarkozy e Le Pen andassero a braccetto.
Da molti punti di vista, ma non tutti, è il M5s ad essere molto più simile al Front National. È questo il partito percepito da tanti elettori italiani, in tutte le zone del paese e in tutti i ceti sociali, come la vera alternativa alla casta. Le sue posizioni sulla immigrazione non sono quelle del Fronte di Marine Le Pen, nonostante gli ammiccamenti di Grillo verso gli elettori leghisti. Su questo tema il M5s non può permettersi di rincorrere la Lega Nord. La sua componente di sinistra si ribellerebbe. Ma sull’Europa invece è molto vicino alle posizioni del Front National e questo gli consente di togliere spazio a Salvini. Inoltre come il Front National beneficia della crisi economica e delle paure a essa associate. Insomma, il quadro politico italiano è molto più complesso e frammentato di quello francese e questo rende difficile per Salvini imitare Marine Le Pen. I due sistemi partitici sono semplicemente troppo diversi. Le vicende politiche francesi non avranno un effetto politico duraturo da noi, anche se i problemi che sollevano ci toccano da vicino. Oggi in Italia esiste certamente uno spazio politico per un partito come il Front National, ma è occupato da troppe formazioni in competizione tra loro.
In ogni caso solo domenica si vedrà cosa succederà veramente in Francia. Il primo turno ha fotografato le prime preferenze degli elettori e il Front National è arrivato primo, così come aveva già fatto alle ultime europee. Ma la sinistra e la destra hanno preso complessivamente più voti. La prima 7.806.562 e la seconda 6.884.785 contro i 6.052.733 del partito di Le Pen. Trattandosi di un sistema maggioritario non sono questi totali a decidere la partita, ma la distribuzione dei voti nelle varie regioni. Ma questi voti dicono che destra e sinistra rappresentano insieme ancora due terzi degli elettori francesi. Dipenderà da loro il risultato finale. Dipenderà soprattutto dal comportamento degli elettori dei partiti di sinistra esclusi dal secondo turno. Il bello dei secondi turni è che gli elettori, sia quelli dei partiti esclusi dal secondo turno sia quelli dei partiti presenti, sono davanti ad una scelta chiara. Dal loro voto dipende chi governa, e lo sanno. Di fronte a questa responsabilità molte cose possono cambiare, o nulla. Nell’un caso o nell’altro all’indomani del voto ne sapremo molto di più su quello che bolle all'interno della società francese.
La politica in numeri
Il «Front national» italiano? È il M5S, non la Lega Nord
di Roberto D’Alimonte
L’Italia non è la Francia. E Matteo Salvini non è Marine Le Pen. Sembra una cosa scontata e invece pare che lo si debba rammentare. L’uno è il leader di un partito che si chiama Lega Nord per l’indipendenza della Padania. L’altra guida un partito che si chiama Front National. Come si fa a pensare che siano la stessa cosa? È vero che Salvini cerca di far dimenticare le origini del suo partito non parlando più di Padania e omettendo sempre più di frequente il riferimento al Nord, ma è un espediente che funziona poco. La Lega di Salvini non è un partito nazionale. Il suo elettorato si concentra prevalentemente nelle regioni del Nord dove alle ultime europee ha preso il 12% dei voti contro l’1% nelle regioni del Sud. E non è nemmeno un partito nazionalista perché non è l’Italia, ma la Padania il suo riferimento ideale e il suo obiettivo politico. Nel suo statuto si parla esplicitamente di indipendenza della Padania e del suo riconoscimento internazionale quale “Repubblica federale indipendente e sovrana”. Tutto il contrario del partito di Marine Le Pen che invece ha fatto della identità nazionale il nocciolo duro del suo programma.
Né è credibile l’idea che Salvini possa convocare in un prossimo futuro un congresso straordinario per trasformare la Lega Nord in Lega nazionale. La Lega è quella che è. E lo sarà ancora a lungo. Ancorata a un passato che oggi sta stretto a Salvini, le cui ambizioni- queste sì - sono uguali a quelle di Marine Le Pen. Anche se volesse il leader della Lega Nord non si può permettere cambiamenti radicali che distruggerebbero l’attuale Lega senza certezze sulla possibilità di creare un partito di destra nazionale simile a quello francese. In questi casi l’ambiguità è una soluzione obbligata. Ed è questa la strategia oggi. In fondo la Lega Nord di Salvini è un po’ come il vecchio Pci. L’obiettivo del superamento del capitalismo era sempre lì, ma non se ne parlava mai. Così è per l’indipendenza della Padania. Ma Salvini ha certamente un merito. Ha ereditato una Lega Nord ridotta ai minimi termini e ne ha fatto il maggior partito del centro-destra italiano. Non è poco, ma non basta a farne il Fronte italiano.
Una cosa accomuna Lega Nord e Front National: la loro posizione fortemente critica su Europa e immigrazione. Queste sono questioni che oggi pagano sul piano elettorale. Ma non bastano a Salvini per far dimenticare agli elettori del centro-sud che il suo è un partito del Nord. L’espediente di attrarre questi elettori con una lista diversa da quella della Lega Nord, una lista incentrata sul suo nome, non ha funzionato alle ultime elezioni regionali ed è molto improbabile che possa funzionare alle prossime. In Puglia la lista Noi con Salvini ha preso il 2% dei voti. In Campania non si è nemmeno presentata.
L’Italia non è la Francia per un altro motivo che nuoce a Salvini. In Francia il Front National è la vera alternativa ai partiti tradizionali. Come tale raccoglie non solo i voti di coloro che vogliono meno Europa, meno immigrazione e più sicurezza, ma anche di quelli che puntano a un cambiamento radicale di classe dirigente. È il partito anti-establishment della Quinta Repubblica. Un partito tenuto ai margini per decenni da un sistema istituzionale ed elettorale che lo ha penalizzato. Ancora oggi dentro l’assemblea nazionale ci sono solo due deputati del Fronte su 577, pur avendo ottenuto quasi il 14% dei voti alle ultime elezioni politiche nel 2012. Ma questa emarginazione è diventata ora un vantaggio perché consente al partito di Marine Le Pen di apparire come diverso dagli altri e quindi di capitalizzare la voglia di cambiamento cui i partiti tradizionali non riescono a rispondere. La Lega di Salvini non ha questo vantaggio. È un partito che è stato a lungo al governo. E oggi si presenta ancora come alleato di un partito come Forza Italia che è membro del partito popolare europeo. È come se Sarkozy e Le Pen andassero a braccetto.
Da molti punti di vista, ma non tutti, è il M5s ad essere molto più simile al Front National. È questo il partito percepito da tanti elettori italiani, in tutte le zone del paese e in tutti i ceti sociali, come la vera alternativa alla casta. Le sue posizioni sulla immigrazione non sono quelle del Fronte di Marine Le Pen, nonostante gli ammiccamenti di Grillo verso gli elettori leghisti. Su questo tema il M5s non può permettersi di rincorrere la Lega Nord. La sua componente di sinistra si ribellerebbe. Ma sull’Europa invece è molto vicino alle posizioni del Front National e questo gli consente di togliere spazio a Salvini. Inoltre come il Front National beneficia della crisi economica e delle paure a essa associate. Insomma, il quadro politico italiano è molto più complesso e frammentato di quello francese e questo rende difficile per Salvini imitare Marine Le Pen. I due sistemi partitici sono semplicemente troppo diversi. Le vicende politiche francesi non avranno un effetto politico duraturo da noi, anche se i problemi che sollevano ci toccano da vicino. Oggi in Italia esiste certamente uno spazio politico per un partito come il Front National, ma è occupato da troppe formazioni in competizione tra loro.
In ogni caso solo domenica si vedrà cosa succederà veramente in Francia. Il primo turno ha fotografato le prime preferenze degli elettori e il Front National è arrivato primo, così come aveva già fatto alle ultime europee. Ma la sinistra e la destra hanno preso complessivamente più voti. La prima 7.806.562 e la seconda 6.884.785 contro i 6.052.733 del partito di Le Pen. Trattandosi di un sistema maggioritario non sono questi totali a decidere la partita, ma la distribuzione dei voti nelle varie regioni. Ma questi voti dicono che destra e sinistra rappresentano insieme ancora due terzi degli elettori francesi. Dipenderà da loro il risultato finale. Dipenderà soprattutto dal comportamento degli elettori dei partiti di sinistra esclusi dal secondo turno. Il bello dei secondi turni è che gli elettori, sia quelli dei partiti esclusi dal secondo turno sia quelli dei partiti presenti, sono davanti ad una scelta chiara. Dal loro voto dipende chi governa, e lo sanno. Di fronte a questa responsabilità molte cose possono cambiare, o nulla. Nell’un caso o nell’altro all’indomani del voto ne sapremo molto di più su quello che bolle all'interno della società francese.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Non sapevano che prima o poi sarebbe successo? E sono sicuri che succederà ancora?
Siamo cresciuti con la presenza principale della religione Cattolica, che in materia del dopo vita è piuttosto vaga.
L'islamismo dà soluzioni di fantasia. Settantadue vergini a disposizione di un uomo solo. Per le donne niente. Sottomesse di qua e sottomesse di là.
Gli ateni non si aspettano evidentemente niente.
Per i buddisti vige la reincarnazione.
Comunque sia, e ognuno è libero di pensarla come vuole, rimane che questa vita è una sola.
E nessuno di noi ha il diritto, ripeto, il diritto di accorciare la vita a nessuno dei suoi simili, al di là di quello che la natura consente.
Salva banche, pensionato si uccide. ‘Istigato’
Ue: ‘Istituti vendevano a gente prodotti inadatti’
L’uomo aveva perso tutti i risparmi in Pop Etruria. Accuse in una lettera. Esposto consumatori in Procura
Commissario Hill: ‘Governo guida salvataggio, ne ha responsabilità’/ Renzi: ‘Senza Dl situazione peggiore’
Economia & Lobby
Le ultime parole in una lettera ritrovata dalla moglie 11 giorni dopo la morte. Un 68enne di Civitavecchia ha deciso di farla finita dopo aver scoperto di aver perso i risparmi nel salvataggio di Banca Etruria. (leggi) Da Bankitalia ammissione di impotenza. Nei negoziati aveva proposto approcci alternativi, ma nessuna proposta è stata accolta. Ma nel frattempo non è intervenuta su gestioni modalità fraudolente di collocamento di prodotti finanziari (l’analisi di P. Fior). E ora anche l’Europa ce lo rinfaccia: “Istituti vendevano prodotti inadatti ai clienti”
^^^^^^
Salva banche, pensionato si suicida. “Aveva perso i risparmi, le accuse in una lettera”
Il 68enne di Civitavecchia aveva perso 100mila euro, affidati alla Banca dell'Etruria. Nel documento trovato sul computer accusa l’istituto di avergli "cambiato il profilo da basso ad alto rischio". Il Codacons presenta un esposto alla Procura della Repubblica per istigazione al suicidio. Salvini: "Suicidio di Stato, se fossi governo chiederei dimissioni Visco"
di F. Q. | 9 dicembre 2015
La lettera è stata trovata dai familiari soltanto mercoledì 9 dicembre: 11 giorni dopo il suicidio. Poche righe scritte al computer, nelle quali Luigino D’Angelo, pensionato 68enne di Civitavecchia, ex operaio dell’Enel, racconta di aver perso 100mila euro (suddivisi tra obbligazioni, un lingotto d’oro e contanti) che aveva affidato alla Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, filiale di Civitavecchia. Uno dei quattro istituti in crisi “risolti” dal governo con il decreto Salva banche, che ha azzerato il valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate emesse dagli istituti (leggi). E i risparmi di una vita azzerati dal giorno alla notte sono stati il motivo per cui il 28 novembre scorso ha deciso di prendere una corda e impiccarsi nella sua villetta.
A ritrovare il corpo è stata la moglie, che ha avvertito la polizia e chiamato i soccorsi. La lettera lasciata sul pc, secondo il direttore della testata online locale Etruria News Paolo Gianlorenzo, “è un atto di accusa nei confronti della banca Etruria. Il signore era un correntista da 50 anni e da mesi cercava di rientrare in possesso dei suoi soldi: aveva anche proposto alla banca di accontentarsi di una somma più bassa”. Non solo: “L’uomo accusa l’istituto di credito Etruria di avergli cambiato il profilo da basso ad alto rischio e di avergli addirittura mandato un funzionario da Arezzo per rassicurarlo che i suoi risparmi sarebbero stati in buone mani”. Secondo l’Ansa, invece, la lettera è stato ritrovata dalla moglie di fianco al corpo il giorno stesso del suicidio.
Il Codacons ha deciso di presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Civitavecchia per il reato di istigazione al suicidio. “Chiediamo alla Procura di Civitavecchia di aprire una indagine sulla base dell’art. 580 del Codice Penale, volta ad accertare eventuali responsabilità di terzi nel suicidio del pensionato – afferma il presidente Carlo Rienzi – In particolare vogliamo sapere se eventuali comportamenti di organi pubblici o soggetti privati abbiano potuto in quale modo contribuire al tragico gesto, spingendo l’uomo alla disperazione e quindi al suicidio”.
Il gruppo Vittime del salva-banche ha scritto una nota di condoglianze alla famiglia, come le associazioni di consumatori Adusbef e Federconsumatori, che parlano di “esproprio criminale del risparmio anticipato del bail-in”. Adesso le associazioni chiedono al procuratore capo di Civitavecchia, Gianfranco Amendola, di aprire un’indagine per verificare se il decreto sulla risoluzione delle quattro banche sia “compatibile con le norme penali e con la Costituzione”. E, secondo quanto si apprende, la procura di Civitavecchia ha già puntato la sua lente sulla vicenda.
In un post pubblicato su Facebook Matteo Salvini parla di “suicidio di Stato”, mentre su Twitter scrive: “Se salta una banca devono pagare i clienti o chi non ha vigilato? C’è qualcuno che ha fatto il furbo”. Se “fossi al governo chiederei le dimissioni del governatore della Banca d’Italia” Ignazio Visco. Il leader della Lega giovedì sarà ad Arezzo “per incontrare i risparmiatori fregati da Banca Etruria, dall’Europa e dal governo”. E proprio i titolari di obbligazioni subordinate di Banca Etruria si sono riuniti mercoledì presso la Borsa merci di Arezzo per fare il punto sulla situazione e decidere come muoversi per cercare di recuperare i risparmi perduti. Non sono mancati attimi di tensione nei confronti del governo, accusato di “non aver fatto niente” per evitare quella che in diversi hanno definito “una catastrofe”: “Avete salvato le banche, avete inguaiato noi”. Un pensionato ha detto di aver perduto i suoi unici ventimila euro messi da parte. La maggior parte dei partecipanti si è detta contraria all’ipotesi di poter rientrare in possesso di solo una parte di quanto perduto.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... a/2291590/
^^^^^^^^^
I commenti della vox populi sono numerosi, 1783 all'atto della pubblicazione del post.
Per chi interessa compaiono dopo l'articolo dopo aver cliccato il link sopra riportato.
Siamo cresciuti con la presenza principale della religione Cattolica, che in materia del dopo vita è piuttosto vaga.
L'islamismo dà soluzioni di fantasia. Settantadue vergini a disposizione di un uomo solo. Per le donne niente. Sottomesse di qua e sottomesse di là.
Gli ateni non si aspettano evidentemente niente.
Per i buddisti vige la reincarnazione.
Comunque sia, e ognuno è libero di pensarla come vuole, rimane che questa vita è una sola.
E nessuno di noi ha il diritto, ripeto, il diritto di accorciare la vita a nessuno dei suoi simili, al di là di quello che la natura consente.
Salva banche, pensionato si uccide. ‘Istigato’
Ue: ‘Istituti vendevano a gente prodotti inadatti’
L’uomo aveva perso tutti i risparmi in Pop Etruria. Accuse in una lettera. Esposto consumatori in Procura
Commissario Hill: ‘Governo guida salvataggio, ne ha responsabilità’/ Renzi: ‘Senza Dl situazione peggiore’
Economia & Lobby
Le ultime parole in una lettera ritrovata dalla moglie 11 giorni dopo la morte. Un 68enne di Civitavecchia ha deciso di farla finita dopo aver scoperto di aver perso i risparmi nel salvataggio di Banca Etruria. (leggi) Da Bankitalia ammissione di impotenza. Nei negoziati aveva proposto approcci alternativi, ma nessuna proposta è stata accolta. Ma nel frattempo non è intervenuta su gestioni modalità fraudolente di collocamento di prodotti finanziari (l’analisi di P. Fior). E ora anche l’Europa ce lo rinfaccia: “Istituti vendevano prodotti inadatti ai clienti”
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Salva banche, pensionato si suicida. “Aveva perso i risparmi, le accuse in una lettera”
Il 68enne di Civitavecchia aveva perso 100mila euro, affidati alla Banca dell'Etruria. Nel documento trovato sul computer accusa l’istituto di avergli "cambiato il profilo da basso ad alto rischio". Il Codacons presenta un esposto alla Procura della Repubblica per istigazione al suicidio. Salvini: "Suicidio di Stato, se fossi governo chiederei dimissioni Visco"
di F. Q. | 9 dicembre 2015
La lettera è stata trovata dai familiari soltanto mercoledì 9 dicembre: 11 giorni dopo il suicidio. Poche righe scritte al computer, nelle quali Luigino D’Angelo, pensionato 68enne di Civitavecchia, ex operaio dell’Enel, racconta di aver perso 100mila euro (suddivisi tra obbligazioni, un lingotto d’oro e contanti) che aveva affidato alla Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, filiale di Civitavecchia. Uno dei quattro istituti in crisi “risolti” dal governo con il decreto Salva banche, che ha azzerato il valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate emesse dagli istituti (leggi). E i risparmi di una vita azzerati dal giorno alla notte sono stati il motivo per cui il 28 novembre scorso ha deciso di prendere una corda e impiccarsi nella sua villetta.
A ritrovare il corpo è stata la moglie, che ha avvertito la polizia e chiamato i soccorsi. La lettera lasciata sul pc, secondo il direttore della testata online locale Etruria News Paolo Gianlorenzo, “è un atto di accusa nei confronti della banca Etruria. Il signore era un correntista da 50 anni e da mesi cercava di rientrare in possesso dei suoi soldi: aveva anche proposto alla banca di accontentarsi di una somma più bassa”. Non solo: “L’uomo accusa l’istituto di credito Etruria di avergli cambiato il profilo da basso ad alto rischio e di avergli addirittura mandato un funzionario da Arezzo per rassicurarlo che i suoi risparmi sarebbero stati in buone mani”. Secondo l’Ansa, invece, la lettera è stato ritrovata dalla moglie di fianco al corpo il giorno stesso del suicidio.
Il Codacons ha deciso di presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Civitavecchia per il reato di istigazione al suicidio. “Chiediamo alla Procura di Civitavecchia di aprire una indagine sulla base dell’art. 580 del Codice Penale, volta ad accertare eventuali responsabilità di terzi nel suicidio del pensionato – afferma il presidente Carlo Rienzi – In particolare vogliamo sapere se eventuali comportamenti di organi pubblici o soggetti privati abbiano potuto in quale modo contribuire al tragico gesto, spingendo l’uomo alla disperazione e quindi al suicidio”.
Il gruppo Vittime del salva-banche ha scritto una nota di condoglianze alla famiglia, come le associazioni di consumatori Adusbef e Federconsumatori, che parlano di “esproprio criminale del risparmio anticipato del bail-in”. Adesso le associazioni chiedono al procuratore capo di Civitavecchia, Gianfranco Amendola, di aprire un’indagine per verificare se il decreto sulla risoluzione delle quattro banche sia “compatibile con le norme penali e con la Costituzione”. E, secondo quanto si apprende, la procura di Civitavecchia ha già puntato la sua lente sulla vicenda.
In un post pubblicato su Facebook Matteo Salvini parla di “suicidio di Stato”, mentre su Twitter scrive: “Se salta una banca devono pagare i clienti o chi non ha vigilato? C’è qualcuno che ha fatto il furbo”. Se “fossi al governo chiederei le dimissioni del governatore della Banca d’Italia” Ignazio Visco. Il leader della Lega giovedì sarà ad Arezzo “per incontrare i risparmiatori fregati da Banca Etruria, dall’Europa e dal governo”. E proprio i titolari di obbligazioni subordinate di Banca Etruria si sono riuniti mercoledì presso la Borsa merci di Arezzo per fare il punto sulla situazione e decidere come muoversi per cercare di recuperare i risparmi perduti. Non sono mancati attimi di tensione nei confronti del governo, accusato di “non aver fatto niente” per evitare quella che in diversi hanno definito “una catastrofe”: “Avete salvato le banche, avete inguaiato noi”. Un pensionato ha detto di aver perduto i suoi unici ventimila euro messi da parte. La maggior parte dei partecipanti si è detta contraria all’ipotesi di poter rientrare in possesso di solo una parte di quanto perduto.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... a/2291590/
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I commenti della vox populi sono numerosi, 1783 all'atto della pubblicazione del post.
Per chi interessa compaiono dopo l'articolo dopo aver cliccato il link sopra riportato.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Anche il TG3 apre con questa notizia.
Salva banche, Bruxelles scarica Renzi, Bankitalia e Consob: “Venduti prodotti inadatti ai clienti”
Lobby
Il commissario Ue ai servizi finanziari offre un inaspettato assist ai risparmiatori che da settimane lamentano di aver subito una truffa e accusa il governo: "Questo apre una questione più ampia di tutela dei consumatori. La responsabilità del salvataggio è dell'esecutivo italiano"
di F. Q. | 10 dicembre 2015
Le quattro banche salvate dall’Italia, CariChieti, CariFerrara, Cassa Marche e Banca Etruria, “vendevano alla gente prodotti inadatti ai clienti che probabilmente non sapevano cosa stessero comprando” e questo ha avuto “conseguenze personali per alcune persone in Italia”. Il commissario Ue ai servizi finanziari Jonathan Hill ha così messo la parola fine al gioco delle parti che si sta consumando da 20 giorni sull’ultimo episodio di risparmio tradito e avallato per decreto. “Questo – ha aggiunto – apre una questione più ampia di tutela dei consumatori“.
L’affermazione è cruciale e offre un inaspettato assist agli obbligazionisti subordinati dei quattro istituti che, in seguito al decreto del governo del 22 novembre scorso, hanno visto i loro risparmi azzerarsi da un giorno con l’altro. Alla luce della valutazione del commissario Hill, infatti, la loro posizione giuridica cambia radicalmente: non sono più dei giocatori d’azzardo che hanno perso una scommessa dei cui rischi erano consapevoli, bensì delle vittime di una truffa. Su cui Bankitalia e Consob non hanno evidentemente vigilato e il governo ha agito di conseguenza, scegliendo di mettere la polvere sotto il tappeto, utilizzando i soldi dei truffati per aggirare l’ostacolo degli aiuti di Stato e saldare il conto non pagato dai truffatori.
Ma ha evidentemente sottovalutato le reazioni dei risparmiatori che, previa la prova della truffa, hanno diritto ad essere risarciti e non semplicemente assistiti come degli indigenti vittime di ludopatia. Decisamente sottovalutata anche Bruxelles che, chiamata in causa da governo e Bankitalia come cattivo della situazione, non è stata al gioco e ha duramente respinto le accuse al mittente. “E’ il governo italiano a essere alla guida” del processo di salvataggio delle 4 banche italiane “ed ha la responsabilità per questo”, ha detto Hill, sottolineando che l’esecutivo italiano “ha discusso a lungo con la Commissione, in particolare con la Direzione generale concorrenza” che ha “ritenuto che le misure prese erano compatibili con la legislazione Ue” sui salvataggi bancari.
“La Commissione non ha avuto obiezioni di principio sull’uso dei soldi provenienti dallo schema di garanzie italiano per i depositi per intervenire nel salvataggio delle 4 banche – ha aggiunto un portavoce dell’esecutivo Ue rispondendo a una domanda dell’Ansa – Il punto è che interventi simili devono essere o senza aiuti di stato o devono rispettare le regole Ue sugli aiuti di Stato”.
Affermazioni che Matteo Renzi non deve aver sentito, visto che proprio mentre Hill parlava ha continuato a ripetere come un disco rotto la sua versione, che è poi la stessa che Bankitalia aveva ribadito a chiare lettere mercoledì per bocca del capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo e, prima di lei, il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, venerdì. Il punto, secondo il capo del governo e la vigilanza di credito e mercato che continuano a ignorare le truffe e le malversazioni a valle dei quattro crac bancari sfiorati, è che le regole comunitarie non permettono allo Stato di salvare gli istituti in difficoltà. Peccato che la legge permetta alla vigilanza di vigilare e alle procure di indagare sugli eventuali reati.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... i/2292694/
Salva banche, Bruxelles scarica Renzi, Bankitalia e Consob: “Venduti prodotti inadatti ai clienti”
Lobby
Il commissario Ue ai servizi finanziari offre un inaspettato assist ai risparmiatori che da settimane lamentano di aver subito una truffa e accusa il governo: "Questo apre una questione più ampia di tutela dei consumatori. La responsabilità del salvataggio è dell'esecutivo italiano"
di F. Q. | 10 dicembre 2015
Le quattro banche salvate dall’Italia, CariChieti, CariFerrara, Cassa Marche e Banca Etruria, “vendevano alla gente prodotti inadatti ai clienti che probabilmente non sapevano cosa stessero comprando” e questo ha avuto “conseguenze personali per alcune persone in Italia”. Il commissario Ue ai servizi finanziari Jonathan Hill ha così messo la parola fine al gioco delle parti che si sta consumando da 20 giorni sull’ultimo episodio di risparmio tradito e avallato per decreto. “Questo – ha aggiunto – apre una questione più ampia di tutela dei consumatori“.
L’affermazione è cruciale e offre un inaspettato assist agli obbligazionisti subordinati dei quattro istituti che, in seguito al decreto del governo del 22 novembre scorso, hanno visto i loro risparmi azzerarsi da un giorno con l’altro. Alla luce della valutazione del commissario Hill, infatti, la loro posizione giuridica cambia radicalmente: non sono più dei giocatori d’azzardo che hanno perso una scommessa dei cui rischi erano consapevoli, bensì delle vittime di una truffa. Su cui Bankitalia e Consob non hanno evidentemente vigilato e il governo ha agito di conseguenza, scegliendo di mettere la polvere sotto il tappeto, utilizzando i soldi dei truffati per aggirare l’ostacolo degli aiuti di Stato e saldare il conto non pagato dai truffatori.
Ma ha evidentemente sottovalutato le reazioni dei risparmiatori che, previa la prova della truffa, hanno diritto ad essere risarciti e non semplicemente assistiti come degli indigenti vittime di ludopatia. Decisamente sottovalutata anche Bruxelles che, chiamata in causa da governo e Bankitalia come cattivo della situazione, non è stata al gioco e ha duramente respinto le accuse al mittente. “E’ il governo italiano a essere alla guida” del processo di salvataggio delle 4 banche italiane “ed ha la responsabilità per questo”, ha detto Hill, sottolineando che l’esecutivo italiano “ha discusso a lungo con la Commissione, in particolare con la Direzione generale concorrenza” che ha “ritenuto che le misure prese erano compatibili con la legislazione Ue” sui salvataggi bancari.
“La Commissione non ha avuto obiezioni di principio sull’uso dei soldi provenienti dallo schema di garanzie italiano per i depositi per intervenire nel salvataggio delle 4 banche – ha aggiunto un portavoce dell’esecutivo Ue rispondendo a una domanda dell’Ansa – Il punto è che interventi simili devono essere o senza aiuti di stato o devono rispettare le regole Ue sugli aiuti di Stato”.
Affermazioni che Matteo Renzi non deve aver sentito, visto che proprio mentre Hill parlava ha continuato a ripetere come un disco rotto la sua versione, che è poi la stessa che Bankitalia aveva ribadito a chiare lettere mercoledì per bocca del capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo e, prima di lei, il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, venerdì. Il punto, secondo il capo del governo e la vigilanza di credito e mercato che continuano a ignorare le truffe e le malversazioni a valle dei quattro crac bancari sfiorati, è che le regole comunitarie non permettono allo Stato di salvare gli istituti in difficoltà. Peccato che la legge permetta alla vigilanza di vigilare e alle procure di indagare sugli eventuali reati.
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Re: Diario della caduta di un regime.
La vox populi
Gen_Desaix • 20 minuti fa
Chi si fida più dei nostri politici, rispetto ai burocrati europei, è servito.
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traurig • 32 minuti fa
Forse era meglio lasciar FALLIRE le banche....
Alla fine il contribuente onesto dovrà PAGARE per il salvataggio di questi carrozzoni e per il rimborso di tutti i suoi creditori, correntisti, detentori di azioni, obbligazioni, swap, derivate ed integrali di primo, secondo e terzo grado....
Il Decreto salva i quattro carrozzoni (CariChieti, CariFerrara, BancaMarche e BancaEtruria) sottraendo al Tribunale ed alla Magistratura l'esame dell'operato degli Amministratori. Insomma si salvano i "capitani coraggiosi", i truffatori, i politicanti, i sindacalisti collusi e si penalizzano i disgraziati adescati con il miraggio di facili guadagni.
Certe cose non succedono solo nel Paese di Acchiappacitrulli, ma anche qui da noi....
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gigi • 44 minuti fa
1° mettere tutti i risparmi su un unico investimento è semplicemente da pazzi. Diversificare è la regola numero 1 di chi investe
2° altra regola elementare è che nessuno regala mai nulla per nulla. Possibile che nessuno mai si ponga la domanda sul perché certe obbligazioni rendano il 7-10 % quando dei semplici titoli di stato danno il 2-3%?
Detto questo vorrei sapere da tutti coloro che per anni hanno sempre detto che non bisogna salvare le banche, Salvini e Meloni in testa, perché ora sbraitano per la vicenda del pensionato. Se la banca fosse fallita come loro hanno sempre predicato costui non ci avrebbe rimesso i soldi comunque? Ossia riassumendo in breve, secondo costoro non bisogna dare soldi alle banche ma devono fallire, tuttavia nello stesso tempo non ci devono rimettere i correntisti, gli azionisti e gli obbligazionisti...
Gradirei molto sapere come si fa a fare una cosa del genere. Attendo fiducioso... (ma temo che l'attesa resterà vana)
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kasperbau • un'ora fa
Mi viene da pensare che un sistema che promuove il raggiro come modo di vitae di cui sto governo é solo degno rappresentante.....insomma non ci si poteva aspettare poi molto.....
Chiediamoci un pò xché in sti paese le class action son quasi impossibili o quantomeno scoraggiate..... Io direi per permettere ai furbi del raggiro di continuare a guadagnare ed a far eleggere politici a loro favorevoli
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Gen_Desaix • 20 minuti fa
Chi si fida più dei nostri politici, rispetto ai burocrati europei, è servito.
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traurig • 32 minuti fa
Forse era meglio lasciar FALLIRE le banche....
Alla fine il contribuente onesto dovrà PAGARE per il salvataggio di questi carrozzoni e per il rimborso di tutti i suoi creditori, correntisti, detentori di azioni, obbligazioni, swap, derivate ed integrali di primo, secondo e terzo grado....
Il Decreto salva i quattro carrozzoni (CariChieti, CariFerrara, BancaMarche e BancaEtruria) sottraendo al Tribunale ed alla Magistratura l'esame dell'operato degli Amministratori. Insomma si salvano i "capitani coraggiosi", i truffatori, i politicanti, i sindacalisti collusi e si penalizzano i disgraziati adescati con il miraggio di facili guadagni.
Certe cose non succedono solo nel Paese di Acchiappacitrulli, ma anche qui da noi....
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gigi • 44 minuti fa
1° mettere tutti i risparmi su un unico investimento è semplicemente da pazzi. Diversificare è la regola numero 1 di chi investe
2° altra regola elementare è che nessuno regala mai nulla per nulla. Possibile che nessuno mai si ponga la domanda sul perché certe obbligazioni rendano il 7-10 % quando dei semplici titoli di stato danno il 2-3%?
Detto questo vorrei sapere da tutti coloro che per anni hanno sempre detto che non bisogna salvare le banche, Salvini e Meloni in testa, perché ora sbraitano per la vicenda del pensionato. Se la banca fosse fallita come loro hanno sempre predicato costui non ci avrebbe rimesso i soldi comunque? Ossia riassumendo in breve, secondo costoro non bisogna dare soldi alle banche ma devono fallire, tuttavia nello stesso tempo non ci devono rimettere i correntisti, gli azionisti e gli obbligazionisti...
Gradirei molto sapere come si fa a fare una cosa del genere. Attendo fiducioso... (ma temo che l'attesa resterà vana)
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kasperbau • un'ora fa
Mi viene da pensare che un sistema che promuove il raggiro come modo di vitae di cui sto governo é solo degno rappresentante.....insomma non ci si poteva aspettare poi molto.....
Chiediamoci un pò xché in sti paese le class action son quasi impossibili o quantomeno scoraggiate..... Io direi per permettere ai furbi del raggiro di continuare a guadagnare ed a far eleggere politici a loro favorevoli
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