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camillobenso
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«Non vedo l’ora di capire cosa ci riserva la Natura»


Non le basta la presenza di Antonio Razzi, Angelino Alfano, Matteo Salvini, Matteo La Qualunque, Maurizio Gasparri, Daniela Santadeché, per sapere cosa ci riserva la Natura?



La Stampa TuttoScienze 13.1.16
Dal 1° gennaio Fabiola Gianotti è alla guida del Cern
«Non vedo l’ora di capire cosa ci riserva la Natura»


Eccellenza e innovazione, attenzione alla formazione dei giovani e l'emozione di trovarsi sulla soglia di qualcosa di nuovo e imprevisto: Fabiola Gianotti è dal 1° gennaio la prima donna alla guida del Cern in 61 anni di storia. «Non vedo l'ora di scoprire cosa la Natura ci riserva», ha dichiarato.
Con lei, per la terza volta, un italiano è a capo del più importante laboratorio di fisica delle particelle al mondo. Il primo era stato il Nobel Carlo Rubbia, dal 1989 al 1994, seguito da Luciano Maiani dal 1999 al 2003. Un altro italiano, Edoardo Amaldi, era stato tra i fondatori del Cern stesso. Al momento della nomina, annunciata nel novembre 2014, Gianotti aveva detto di voler lavorare in nome di scienza e pace e adesso è pronta a realizzare il suo programma: «Mi adopererò per espandere l'eccellenza del Cern nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie innovative. La formazione dei giovani e la collaborazione pacifica di migliaia di scienziati di tutto il mondo sono altri aspetti cruciali della missione del Cern».
Nata a Roma 53 anni fa, Gianotti è stata, nel luglio 2012, tra i protagonisti della scoperta del bosone di Higgs, la particella che dà massa a tutte le altre.
camillobenso
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E questo avrà in mano la valigetta per far partire le testate atomiche.



24 gen 16:43
CHIAMATE LA CROCE VERDE

- FORTE E SICURO DEL CONSENSO CHE LO CONFERMA NETTAMENTE IN TESTA TRA I CANDIDATI REPUBBLICANI ALLA CASA BIANCA, TRUMP SE NE È USCITO CON UN’ALTRA DELLE SUE: ‘’POTREI SPARARE A QUALCUNO E NON PERDEREI NEANCHE UN VOTO’’ (VIDEO)


Trump l'ha sparata ad un comizio rifiutandosi poi di rispondere ai giornalisti che gli hanno chiesto di chiarire esattamente cosa intendesse...


http://www.dagospia.com/?refresh_ce
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Corriere 26.1.16
Shoah, memoria di ieri e impegno per il futuro
di Giovanni Maria Ficà


Il «Giorno della Memoria», a quindici anni di distanza dalla legge del 2000 che lo ha istituito, è l’occasione per un bilancio. È certamente positivo, con alcune perplessità in parte originarie e in parte dovute al passare del tempo. Non si tratta di cambiare la legge, ma di interpretarla perché possa cercare di rispondere agli interrogativi per i quali è nata: che cosa, come e perché ricordiamo.
Ricordiamo «l’abbattimento dei cancelli di Auschwitz il 27 gennaio 1945», quando ad essi giunsero i primi soldati russi che — racconta Primo Levi all’inizio de La Tregua — incontrarono il nulla, gli spettri, la vergogna, la fine dell’umanità. Ricordare la fine di Auschwitz è una scelta: ma è altrettanto se non più giusto — anche se più difficile — ricordarne le cause, le premesse e l’inizio. La legge richiama in effetti «le leggi razziali» e «la persecuzione italiana dei cittadini ebrei»: questa può e deve essere l’occasione per sfatare la leggenda degli «italiani brava gente» che troppo spesso falsa la prospettiva storica e dimentica le nostre responsabilità di italiani, individuali e collettive. È doveroso ricordare i tantissimi che hanno subito la deportazione e la morte e i pochi giusti che si sono battuti per la loro salvezza: a patto però di non dimenticare i troppi carnefici e i complici nelle deportazioni, ancor più numerosi per indifferenza, paura, coinvolgimento burocratico, scopo di profitto o rancore nelle deportazioni.
Come ricordiamo? Organizzando secondo la legge, cerimonie, incontri nelle scuole, iniziative (come i viaggi degli studenti ad Auschwitz). È necessario per tenere viva la memoria nel cuore e nell’emozione; per evitare che la Shoah diventi soltanto astratta nozione per la mente nei libri di storia. Ma occorre evitare anche che con il passare del tempo e la ripetitività quel giorno si trasformi soltanto in un’occa- sione rituale, retorica e celebrativa; in una memoria burocratica e imposta, come la toponomastica stradale; o — più ancora — che diventi soltanto un’occasione per operazioni editoriali. È difficile distin-guere in concreto fra il fine della conoscenza e quello del portafoglio: ogni contributo (libri, film) alla prima è prezioso, per passare dalla conoscenza alla coscienza e per non delegare soltanto alla legge e al giudice la risposta al negazionismo; ma può rischiare l’assuefazione e quindi il rifiuto.
Perché ricordiamo? La legge guarda al passato e al futuro: «conservare la memoria di un tragico e oscuro periodo … affinché simili eventi non possano mai più accadere». Non un risarcimento tardivo e insufficiente al popolo ebraico, per la tragedia di cui è stato vittima; tanto meno — come pretende il negazionismo, sia quello più becero che quello più pretenzioso — una assurda connivenza con la bestemmia della «menzogna ebraica» sulla Shoah o sulla sua enfatizzazione, una cambiale oscena per la fondazione dello Stato di Israele; né un’inammissibile pretesto per equiparare gli ebrei vittime del nazismo e i palestinesi, nonostante le legittime riserve su taluni aspetti della politica repressiva israeliana. Ma la consapevolezza che la Shoah è ammonimento per tutti noi, più che memoria per gli ebrei; è un delitto incommensurabile contro la dignità e l’umanità.
Il decorso del tempo e la cancellazione delle tracce dello sterminio rischiano di far trascurare i sintomi premonitori di altri stermini; se Auschwitz è stata il cimitero dell’Europa di ieri, il Mediterraneo sta diventando il cimitero dell’Europa di oggi e di domani. Per questo il Giorno della Memoria del passato deve restare; ma deve diventare — effettivamente, non soltanto a parole — anche il giorno dell’impegno per il presente e per il futuro.
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La Stampa 26.1.16
Shoah, l’incredulità dei bambini è più forte del male
di Gavriel Levi
Professore emerito Sapienza Università di Roma

La memoria è un motore della individualità umana. Finché posso giocare con i miei ricordi, scomponendoli e ricomponendoli, sento di essere una persona.
La memoria condivisa è il collante di ogni relazione umana. Finché so che tu ti ricordi di me e finché tu sai che io mi ricordo di te, noi siamo noi. Siamo qualcosa in più.
La memoria è il contenitore collettivo di ogni gruppo, piccolo o grande. Finché scambiamo e confrontiamo ricordi comuni, possiamo pensare ad una storia che sa usare i ricordi del passato per costruire un futuro comunque migliore.
La potenza di tutte queste memorie sta nel riuscire ad essere memorie aperte. Sempre innovative e mai celebrative.
Possiamo identificarci con le nostre foto di quando eravamo bambini, se sappiamo che stiamo guardando con gli occhi di adesso. Possiamo comprenderci meglio, se possiamo immaginare di guardarci adesso con gli occhi che avevamo allora. Questo doppio confronto è emozionante, perché in fondo in fondo è il confronto tra ricordare e progettare.
L’emozione del ricordo che si rinnova e si confronta con altri ricordi è la stessa emozione del sogno, che cerca sempre la strada per trasformare il passato in una nuova realtà.
In sintesi: la memoria può essere maestra di libertà soltanto se non è una memoria prigioniera, perché dolorosamente ripetitiva.
Questo discorso è particolarmente valido quando lavoriamo con la memoria traumatica, con la memoria etica e con la memoria educativa.
Siamo davanti alla scommessa e alle domande che ci pone ogni anno la Giornata della Memoria.
Dopo la catastrofe universale della Shoah, causata volontariamente dalla mano dell’uomo, è possibile guardare dentro la malvagità umana? E cioè, senza fuggire dichiarandoci subito buoni?
Dopo un trauma subito quasi passivamente, è possibile usare la memoria attivamente? Per documentare il trauma e non per fissarlo, per combattere il trauma oggettivamente e non per riprodurlo soggettivamente.
Nel conflitto quotidiano che ogni persona ha, quando deve scegliere tra bene e male, è possibile costruire un patto educativo fra una generazione e l’altra?
Non penso che queste domande debbano e possano avere una risposta. Credo che queste domande debbano rimanere domande tanto inquietanti quanto fiduciose. I superstiti della Shoah tuttora viventi hanno guardato in faccia il male, allora, quando erano bambini. Con occhi di bambino. Adesso i superstiti della Shoah ragionano e soffrono con la forza e con lo sfinimento di una vita combattuta, per capire e contrastare l’esistenza del male assoluto.
Allora guardavano e capivano il male come i bambini guardano il dolore e l’ingiustizia: con lo stupore assoluto e con il rifiuto più totale. Non è così, non può essere così, non sarà cosi… un giorno sarò grande, non farò e non farò fare così…
Se vogliamo comprendere e sgretolare il male della Shoah, forse possiamo immaginare e introiettare quegli sguardi di bambini. Quell’incredulità totale è veramente più forte del male, perché nasce dalla speranza e dalla certezza che il male può non esistere. Non deve esistere.
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Giorno della Memoria, 10 cose che forse non sai sulla Shoah (per esempio gli Stati che respinsero gli ebrei in fuga)

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... a/2401087/
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Giorno della Memoria, a 16 anni rinchiuso a Buchenwald: “Per tornare a casa viaggiai anche su trattori e chiatte sui fiumi”
di Renzo Parodi

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... i/2402032/
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Giorno della Memoria 2016, Armando il Bolero sopravvissuto ai lager: “Ho taciuto per 50 anni: nessuno mi credeva”
di Annalisa Dall'Oca

L'OLOCAUSTO 71 ANNI DOPO - Intervista a Gasiani, tra i circa 24mila deportati per ragioni politiche: "Ci tolsero la nostra umanità, trasformandoci in cose, animali. La notte sognavi casa, i genitori, il profumo del pane caldo. E quando sono tornato e raccontavo agli amici, mi rispondevano: non è possibile. Per questo ho taciuto per decine di anni. Fino alla Vita è bella di Benigni"
di Annalisa Dall'Oca | 24 gennaio 2016



Appesa al muro della sua abitazione di Bologna, a Battindarno, una foto lo ritrae con Roberto Benigni. Armando Gasiani, classe 1927, nome di battaglia Bolero, fu tra i 23.826 italiani deportati per ragioni politiche nei campi di concentramento. E quando tornò da Mauthausen, con 34 chili e i polmoni gravemente malati, dell’orrore che aveva vissuto, visto e subito, non riusciva a parlare. Non poteva, perché nessuno riusciva a credere alle sue parole, neanche a casa. Perciò rimase in silenzio, anno dopo anno. Per cinquant’anni. Finché non arrivò La vita è bella, Benigni appunto. “Quel film, per me cambiò tutto – racconta Gasiani a ilfattoquotidiano.it – Mi aiutò a ritrovare la voce”. Oggi Gasiani viaggia per l’Italia per raccontare agli studenti della prigionia nei lager. “Devono sapere che la libertà di cui godono ci è costata tante vite. E tanti sacrifici”.


Armando, quando la catturarono?
Il 5 dicembre del 1944, avevo 17 anni. Io e la mia famiglia vivevamo ad Anzola dell’Emilia, eravamo agricoltori. Ma visto ciò che stava succedendo, al di qua e al di là delle Alpi, io e mio fratello Serafino decidemmo di unirci alla Resistenza. Non andammo mai a combattere, ma per i partigiani eravamo parte della cosiddetta “rete di supporto”. Quindi, in pratica, offrivamo cibo, assistenza, li aiutavamo a rimanere nascosti. Fu per quello che ci presero.

Le SS sapevano che ad Anzola c’era una base partigiana?
Sì, perché a guidarli fu un traditore, un ex partigiano che si unì alle SS. Arrivarono all’improvviso, e non ci fu tempo di scappare. Ci portarono in una scuola, eravamo circa 200, ci processarono, se così si può dire, e poi ci smistarono. Una parte di noi, me e mio fratello compresi, finì nel carcere di San Giovanni in Monte, a Bologna. Poi, da lì, fummo deportati. In 100 viaggiammo stipati su tre camion fino a Bolzano, e poi salimmo su un treno merci, direzione Mauthausen. Di quel gruppo siamo tornati in Italia solo in 17. Nessuno di noi pesava più di 38 chili.

Qual è il primo ricordo che ha del campo di concentramento?
La voce di un ragazzo, sul treno con noi, che mi disse: “Se finiamo a Mauthausen, nessuno saprà più nulla di noi”. Perché girava voce che quello non fosse un campo di lavoro, come inizialmente era stato impropriamente considerato. O meglio, si lavorava, sì, ma solo per morire. Quello era il fine di chi aveva creato il campo. Ma il viaggio fu talmente terribile che capimmo solo un paio d’ore dopo l’arrivo dove ci trovavamo.


Quando, di preciso?
Quando ci assegnarono un numero. Quando ci tolsero la nostra umanità, trasformandoci in cose, animali. Io ero il 115523. Mio fratello, il 115524.

Quanto tempo ha passato a Mauthausen?
Mauthausen 9-10-11 maggio 2014 124Arrivammo al campo il 12 gennaio 1945, la liberazione fu il 5 maggio. Dopo l’arrivo, però, venni smistato a Gusen II, uno dei sottocampi di Mauthausen. Fu anche il momento più difficile di tutta la mia prigionia, perché mi separarono da mio fratello, che finì a Gusen I. Non l’ho mai più rivisto.

Cosa ricorda di quei mesi?
La fatica, straziante, ci svegliavano alle 4.30 del mattino, e si lavorava nella fabbrica di aerei fino a sera, poi si tornava al campo. E il giorno dopo uguale. La fame, quella vera, che ti consuma, che divora il tuo corpo finché non rimangono solo le ossa. E poi il freddo. L’aspettativa di vita media, a Mauthausen, era di 4 mesi, al massimo 4 mesi e mezzo. Io ci arrivai per miracolo.

In che senso?
A salvarmi la vita fu il consiglio che mi diede un romagnolo. Mi disse: “Quando te lo chiederanno, di’ che sei un meccanico, e non un contadino”. Fu la mia salvezza: lavorare in fabbrica significava stare al riparo dagli elementi, sebbene in galleria ci fossero appena 10 gradi. E poi ti davano qualcosa da mangiare. Avessi lavorato all’esterno, probabilmente sarei morto molto prima. Si moriva facilmente: di malattia, di fame, di consunzione, per le violenze subite.

Un incubo.
Sopravvivevamo aggrappati a una sola speranza: che la guerra finisse presto. Era come vivere continuamente in un incubo di dolore, sofferenza, circondati dalla morte, e quando certe notti sognavi casa, i tuoi genitori, il profumo del pane caldo appena sfornato, era persino peggio. Perché poi aprivi gli occhi, la mattina, ed eri ancora lì. Ho pianto tanto.

Lei ha scritto un libro su ciò che ha vissuto, si intitola Finché avrò voce”.
Sì, molti anni dopo essere tornato a casa. All’inizio non riuscivo a parlare dell’orrore. Il fatto grave è che non eri creduto. Raccontavi, ma nemmeno gli amici o i genitori riuscivano a crederti. Mi rispondevano sempre “non è possibile”. Dicevano: “La guerra l’abbiamo vissuta anche noi”. Ma non capivano che i campi di concentramento erano fabbriche di morte: non andavi lì a combattere, non avevi difese. Eri lì per morire.

Poi cosa è successo?
Ho visto il film di Roberto Benigni, La vita è bella, e per me è stata una seconda Liberazione. Era tutto lì, sul grande schermo, e mi sono sbloccato. L’ho incontrato, dopo, Benigni, per ringraziarlo.

Cosa racconta oggi ai ragazzi delle scuole che le domandano dell’Olocausto?
Ricordo loro che la libertà l’abbiamo pagata a caro prezzo, e che quella parola, libertà, scopri cos’è davvero solo quando l’hai persa. Che bisogna fare attenzione all’odio, al razzismo, perché oggi in Italia queste parole dominano, ma sono pericolose. Sono ciò che ha dato il via a tutto. Non bisogna mai dimenticare. Dobbiamo stringere tra le mani, con forza, la nostra democrazia, e scegliere sempre il dialogo, il rispetto reciproco.

Ha mai rimpianto di essersi unito ai partigiani?
Io? No, assolutamente no. Anche dopo ciò che ho sofferto.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... a/2392000/
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Re: Top News

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Dando per scontato che questa indagine sia vera, può contribuire a comprendere cosa sia successo al popolo russo all'inizio del 1900.

E' una dimostrazione di come sia sifficile vivere su questo pianeta, e spinge fortemente a chiedersi il significato della vita.

Con il comunismo si era rimossa la dinastia dei Romanov e si era instaurata quella dei Stalin.


Adesso regna lo zar Putin, ma gli ultimi fanno sempre fatica a vivere, come allora.


^^^^^^


29 gen 2016 17:08
IL LIBRO “THE ROMANOVS: 1613-1918” SVELA VIZI E SEGRETI DELLA DINASTIA DEGLI ZAR

- LA FAMIGLIA AVEVA 14 STANZE DI TORTURA, I PRIGIONIERI VENIVANO SQUARTATI E LE INTERIORA ERANO DATE IN PASTO AI CANI

- E A CORTE SI GIOCAVA A “SBALLOTTARE IL NANO"


Dodici zar furono uccisi. Per 304 anni i Romanov furono megalomani, mostri e santi, eredi del selvaggio Ivan il Terribile. Confiscarono proprietà, bruciarono palazzi, uccisero e depredarono senza mai fidarsi dei consiglieri - A corte si tenevano banchetti di 70 portate, la vodka scorreva a fiumi e l’intrattenimento più gradito era lo sballottamento del nano… -

Roger Lewis per “Daily Mail“


http://www.dagospia.com/rubrica-2/media ... 117581.htm
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Re: Top News

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Sulla prima pagina del Fatto Quotidiano di stamani, balzava all'occhio questa notizia:

"Marò liberi in cambio di un dossier sui Gandhi"


Una notizia che indica che siamo all'interno di un mondo criminale.


“Marò liberi in cambio di un dossier sui Gandhi
Lo ha proposto il premier indiano Modi a Renzi”


Ecco il contenuto della lettera inviata da un ex agente di Finmeccanica alle corti competenti sul caso dei fucilieri di marina. Con il retroscena dell’incontro di fine 2015 tra i due capi di governo – IL DOCUMENTO
Cronaca

Un patto segreto è stato proposto a Matteo Renzi dal primo ministro indiano Narendra Modi per scambiare le prove del processo Finmeccanica-India contro la famiglia di Sonia Gandhi con la libertà dei due marò arrestati nel 2012 per la morte di due pescatori indiani. Massimiliano La Torre e Salvatore Girone sarebbero ostaggi di questo scambio. Lo afferma un ex agente commerciale di Finmeccanica, Christian James Michel, già processato e assolto dai giudici di Busto Arsizio per le presunte mazzette sulla vendita degli elicotteri all’India nel 2010 da parte di Agusta Westland, gruppo Finmeccanica
di Marco Lillo
Cronaca

Un patto segreto è stato proposto a Matteo Renzi dal primo ministro indiano Narendra Modi per scambiare le prove del processo Finmeccanica-India contro la famiglia di Sonia Gandhi con la libertà dei due marò arrestati nel 2012 per la morte di due pescatori indiani. Massimiliano La Torre e Salvatore Girone sarebbero ostaggi di questo scambio. Lo afferma un ex agente commerciale di Finmeccanica, Christian James Michel, già processato e assolto dai giudici di Busto Arsizio per le presunte mazzette sulla vendita degli elicotteri all’India nel 2010 da parte di Agusta Westland, gruppo Finmeccanica

di Marco Lillo
http://www.ilfattoquotidiano.it/?refresh_ce
^^^^^^^^^

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02 ... i/2429632/
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Re: Top News

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giulio regeni era sparito il 25 gennaio scorso nella capitale egiziana
Italiano scomparso al Cairo, «Il corpo di Giulio Reggiani in un fosso». La Farnesina: serve chiarezza
«Segni di torture» sul corpo dell’italiano studente a Cambridge. Il ragazzo era sparito il 25 gennaio, i genitori erano invano andati nella capitale egiziana per chiedere sue notizie al governo, che aveva smentito l’ipotesi di un arresto o una detenzione
di Fabrizio Caccia

http://www.corriere.it/esteri/16_febbra ... 3351.shtml
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