Integrazione, razzismo e razzismo inverso
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Re: Integrazione, razzismo e razzismo inverso
SE POTESSI AVERE.............
Si cantava nel 1939,
https://www.youtube.com/watch?v=IEZDTOfduEQ
Mille lire al mese
Gilberto Mazzi
Che disperazione, che delusione dover campar,
sempre in disdetta, sempre in bolletta!
Ma se un posticino domani cara io troverò,
di gemme d'oro ti coprirò!
Se potessi avere mille lire al mese,
senza esagerare, sarei certo di trovar
tutta la felicità!
Un modesto impiego, io non ho pretese,
voglio lavorare per poter alfin trovar
tutta la tranquillità!
Una casettina in periferia, una mogliettina
giovane e carina, tale e quale come te.
Se potessi avere mille lire al mese,
farei tante spese, comprerei fra tante cose
le più belle che vuoi tu!
Ho sognato ancora, stanotte amore l'eredità
d'uno zio lontano americano!
Ma se questo sogno non si avverasse,
come farò.... il ritornello ricanterò!
Se potessi avere . . .
^^^^
Oggi invece si canta:
Se potessi avere 24mila euro al giorno...........
Ecco chi è l'uomo in Ferrari che fa i milioni con i profughi
Si chiama Paolo Di Donato, gestisce quasi mille richiedenti asilo, incassa 30mila euro al giorno. E tra barche e auto di lusso non si fa mancare nulla
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 28464.html
Si cantava nel 1939,
https://www.youtube.com/watch?v=IEZDTOfduEQ
Mille lire al mese
Gilberto Mazzi
Che disperazione, che delusione dover campar,
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Ma se un posticino domani cara io troverò,
di gemme d'oro ti coprirò!
Se potessi avere mille lire al mese,
senza esagerare, sarei certo di trovar
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Un modesto impiego, io non ho pretese,
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Una casettina in periferia, una mogliettina
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Se potessi avere mille lire al mese,
farei tante spese, comprerei fra tante cose
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Ho sognato ancora, stanotte amore l'eredità
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Ma se questo sogno non si avverasse,
come farò.... il ritornello ricanterò!
Se potessi avere . . .
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Oggi invece si canta:
Se potessi avere 24mila euro al giorno...........
Ecco chi è l'uomo in Ferrari che fa i milioni con i profughi
Si chiama Paolo Di Donato, gestisce quasi mille richiedenti asilo, incassa 30mila euro al giorno. E tra barche e auto di lusso non si fa mancare nulla
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Re: Integrazione, razzismo e razzismo inverso
IL DRAMMA EUROPEO COMINCIA STANOTTE???????
calais, francia manda le ruspe a smantellare campo profughi
Crea Alert
CALAIS _ L'ultimatum sta per scadere: questa notte la polizia francese andr? con dei bulldozer a smantellare il campo di accoglienza per rifugiati di Calais noto come "la Giungla". E' questa la ..
http://247.libero.it/mfocus/192947345/a ... -profughi/
LA NOTIZIA E' PASSATA ANCHE NEL TG7 DI MENTANA.
Il vicino Belgio ha dato disposizione di chiudere le frontiere.
Quei migranti volevano andare da Camerone. Ma lui non ci pensa nemmeno.
Rimane quindi l'Italia.
E' una situazione che ci riporta indietro nel tempo quando un nave piena di ebrei venne rifiutata da tutti.
Adesso cosa succederà in Europa??????
calais, francia manda le ruspe a smantellare campo profughi
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http://247.libero.it/mfocus/192947345/a ... -profughi/
LA NOTIZIA E' PASSATA ANCHE NEL TG7 DI MENTANA.
Il vicino Belgio ha dato disposizione di chiudere le frontiere.
Quei migranti volevano andare da Camerone. Ma lui non ci pensa nemmeno.
Rimane quindi l'Italia.
E' una situazione che ci riporta indietro nel tempo quando un nave piena di ebrei venne rifiutata da tutti.
Adesso cosa succederà in Europa??????
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Re: Integrazione, razzismo e razzismo inverso
Il Sole 24.2.16
L’effetto domino che mina l’Unione
Profughi. Il ritorno dei controlli alle frontiere costerebbe dai 100 ai 140 miliardi di euro in più all’anno secondo stime di due think tank europei
di Vittorio Da Rold
Germania, Francia, Danimarca, Austria, Norvegia, Svezia e ora Belgio hanno sospeso Schengen reintroducendo il controllo alle frontiere. Un “effetto domino” che tende a scaricare sul vicino il problema dei migranti secondo il detto: non nel mio cortile di casa. Il Belgio, ultimo entrato in questa speciale classifica, teme che i migranti sloggiati dal campo di Calais chiamato la Jungla, si trasferiscano nel suo territorio.
La Svezia nel frattempo ha sbarrato il ponte che la unisce alla Danimarca e nei Balcani si è innestata una reazione a catena che parte da Vienna con le sue mini-quote giornaliere di accoglienza e arriva fino all’ex Repubblica jugoslava di Macedonia che sigilla le frontiere con la Grecia. Atene rischia così di trasformarsi, secondo la frase del ministro greco dell’immigrazione Mouzalas, che ieri sembra sia stato a un passo dalla dimissioni poi ritirate, in un “cimitero di anime” o meno poeticamente in uno zona cuscinetto a difesa dei paesi del Nord Europa.
Anche il premier greco, Alexis Tsipras, ha comunicato all’Ue il suo «scontento» per l’inasprimento dei controlli sulla cosiddetta «rotta» dei Balcani e, parlando con il premier olandese Mark Rutte, alla presidenza di turno dell’Ue, si è lamentato del fatto che il suo Paese non sia stato incluso tra i partecipanti oggi all’incontro organizzato dall’Austria sull’emergenza migratoria lungo la rotta balcanica. Insomma per Vienna, già pronta a sigillare anche il Brennero con 100 nuovi doganieri come era prima del 1995, anno di ingresso in vigore degli accordi di Schengen, Atene non è parte della soluzione, ma solo del problema.
Non a caso il governo greco «non ha escluso» di porre il veto all’adesione alla Ue di paesi che non lavorano verso una politica comune europea sui migranti. Parola del portavoce del governo di Atene, Olga Gerovasili, l’irritata per le misure che stanno bloccando il flusso dei migranti lungo la rotta dei Balcani. La portavoce ovviamente, come si fa in questi casi, non ha citato nessun paese in particolare, ma le sue parole sono chiaramente dirette a Serbia e Macedonia, due paesi candidati all’ingresso nell’Ue che hanno imposto limitazioni al passaggio dei migranti.
Ma se saltasse Schegen ci troveremmo in un Europa con, parzialmente una sola moneta in tasca e il ritorno dei controlli alle frontiere per merci e persone. Un passo indietro al 1995. I costi economici sarebbero salatissimi per il mercato interno: secondo France Strategie, un think tank francese, si arriverebbe a 100 miliardi di euro all’anno con il ritorno ai controlli alle frontiere, mentre la tedesca Bertelsmann stima la perdita in 140 miliardi annui, che nel decennio fanno ben 1.400 miliardi, il 10% del Pil dei 28 Paesi Ue.
Non solo.L’anacronistico ritorno dei doganieri in Europa farebbe aumentare i prezzi tra l’1% e il 3% nell’ipotesi più negativa, sul costo dei beni importati con le prevedibili ricadute negative sulla già fragile crescita interna europea.
Senza contare che le nuove restrizioni al passaggio dei migranti lungo la rotta balcanica, come ha denunciato l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, stanno «creando caos ai posti di confine». In sostanza le misure adottate dall’Austria e da diversi paesi dei Balcani «pongono particolare pressione sulla Grecia» che deve occuparsi di un ampio numero di migranti. Le quote massime giornaliere di migranti e le misure contro determinate nazionalità fanno sì che i migranti restino bloccati alle frontiere senza rifugio, con il rischio che finiscano nelle mani di trafficanti di uomini senza scrupoli, avverte l’agenzia Onu per i rifugiati prendendo di mira il tetto di 80 richieste da asilo al giorno imposto dall'Austria e il divieto della Macedonia al passaggio dei migranti afghani.
A mancare all’appello all’Europa di oggi è la capacità di trovare soluzioni comuni e la volonta politica di attuarle senza tentare facile scorciatoie che scaricano più in là il problema. L’Europa, sui migranti, sembra essere tornata a pensare di risolvere il problema con la Grexit, l’espulsione di Atene, da Schengen. Ma la perdita, alla fine, sarebbe un suicidio geopolitico di Bruxelles.
L’effetto domino che mina l’Unione
Profughi. Il ritorno dei controlli alle frontiere costerebbe dai 100 ai 140 miliardi di euro in più all’anno secondo stime di due think tank europei
di Vittorio Da Rold
Germania, Francia, Danimarca, Austria, Norvegia, Svezia e ora Belgio hanno sospeso Schengen reintroducendo il controllo alle frontiere. Un “effetto domino” che tende a scaricare sul vicino il problema dei migranti secondo il detto: non nel mio cortile di casa. Il Belgio, ultimo entrato in questa speciale classifica, teme che i migranti sloggiati dal campo di Calais chiamato la Jungla, si trasferiscano nel suo territorio.
La Svezia nel frattempo ha sbarrato il ponte che la unisce alla Danimarca e nei Balcani si è innestata una reazione a catena che parte da Vienna con le sue mini-quote giornaliere di accoglienza e arriva fino all’ex Repubblica jugoslava di Macedonia che sigilla le frontiere con la Grecia. Atene rischia così di trasformarsi, secondo la frase del ministro greco dell’immigrazione Mouzalas, che ieri sembra sia stato a un passo dalla dimissioni poi ritirate, in un “cimitero di anime” o meno poeticamente in uno zona cuscinetto a difesa dei paesi del Nord Europa.
Anche il premier greco, Alexis Tsipras, ha comunicato all’Ue il suo «scontento» per l’inasprimento dei controlli sulla cosiddetta «rotta» dei Balcani e, parlando con il premier olandese Mark Rutte, alla presidenza di turno dell’Ue, si è lamentato del fatto che il suo Paese non sia stato incluso tra i partecipanti oggi all’incontro organizzato dall’Austria sull’emergenza migratoria lungo la rotta balcanica. Insomma per Vienna, già pronta a sigillare anche il Brennero con 100 nuovi doganieri come era prima del 1995, anno di ingresso in vigore degli accordi di Schengen, Atene non è parte della soluzione, ma solo del problema.
Non a caso il governo greco «non ha escluso» di porre il veto all’adesione alla Ue di paesi che non lavorano verso una politica comune europea sui migranti. Parola del portavoce del governo di Atene, Olga Gerovasili, l’irritata per le misure che stanno bloccando il flusso dei migranti lungo la rotta dei Balcani. La portavoce ovviamente, come si fa in questi casi, non ha citato nessun paese in particolare, ma le sue parole sono chiaramente dirette a Serbia e Macedonia, due paesi candidati all’ingresso nell’Ue che hanno imposto limitazioni al passaggio dei migranti.
Ma se saltasse Schegen ci troveremmo in un Europa con, parzialmente una sola moneta in tasca e il ritorno dei controlli alle frontiere per merci e persone. Un passo indietro al 1995. I costi economici sarebbero salatissimi per il mercato interno: secondo France Strategie, un think tank francese, si arriverebbe a 100 miliardi di euro all’anno con il ritorno ai controlli alle frontiere, mentre la tedesca Bertelsmann stima la perdita in 140 miliardi annui, che nel decennio fanno ben 1.400 miliardi, il 10% del Pil dei 28 Paesi Ue.
Non solo.L’anacronistico ritorno dei doganieri in Europa farebbe aumentare i prezzi tra l’1% e il 3% nell’ipotesi più negativa, sul costo dei beni importati con le prevedibili ricadute negative sulla già fragile crescita interna europea.
Senza contare che le nuove restrizioni al passaggio dei migranti lungo la rotta balcanica, come ha denunciato l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, stanno «creando caos ai posti di confine». In sostanza le misure adottate dall’Austria e da diversi paesi dei Balcani «pongono particolare pressione sulla Grecia» che deve occuparsi di un ampio numero di migranti. Le quote massime giornaliere di migranti e le misure contro determinate nazionalità fanno sì che i migranti restino bloccati alle frontiere senza rifugio, con il rischio che finiscano nelle mani di trafficanti di uomini senza scrupoli, avverte l’agenzia Onu per i rifugiati prendendo di mira il tetto di 80 richieste da asilo al giorno imposto dall'Austria e il divieto della Macedonia al passaggio dei migranti afghani.
A mancare all’appello all’Europa di oggi è la capacità di trovare soluzioni comuni e la volonta politica di attuarle senza tentare facile scorciatoie che scaricano più in là il problema. L’Europa, sui migranti, sembra essere tornata a pensare di risolvere il problema con la Grexit, l’espulsione di Atene, da Schengen. Ma la perdita, alla fine, sarebbe un suicidio geopolitico di Bruxelles.
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Re: Integrazione, razzismo e razzismo inverso
Il Sole 24.2.16
Schengen in crisi. Il Belgio ripristina i controlli alle frontiere con la Francia
Crisi dei migranti, l’Europa teme la polveriera Balcani
Sempre più profughi ammassati in Grecia dopo la chiusura dei confini in Macedonia
di Beda Romano
Bruxelles A due settimane da un prossimo vertice europeo, che si terrà probabilmente il 7 marzo, l’emergenza rifugiati continua a tenere drammaticamente banco in Europa. Mentre nei Balcani la situazione umanitaria è gravissima, soprattutto alla frontiera tra la Macedonia e la Grecia dove il passaggio è praticamente bloccato, sul fronte occidentale il Belgio ha annunciato di essere diventato il settimo paese dello Spazio Schengen a reintrodurre i controlli alle frontiere.
In un comunicato inusuale, la Commissione europea e la presidenza olandese dell’Unione si sono dette «preoccupate dagli sviluppi lungo la rotta dei Balcani e dalle crisi umanitarie che potrebbero materializzarsi in alcuni paesi, in particolare in Grecia». Il commissario all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos e il ministro olandese responsabile dello stesso portafoglio Klaas Dijkhoff hanno spiegato che le istituzioni comunitarie stanno valutando il daffarsi per evitare il peggio.
«Esortiamo – hanno aggiunto i due uomini politici – tutti gli Stati e gli attori lungo la rotta a preparare i necessari piani d’emergenza per poter rispondere alle esigenze umanitarie, incluse le capacità di ricezione». Da domenica, la Macedonia sta bloccando il transito lungo il suo territorio alla frontiera con la Grecia. In questo momento gli afghani non possono più passare liberamente per raggiungere il Nord Europa mentreSkopje ha deciso di rafforzare i controlli d’identità anche dei siriani e degli iracheni.
La scelta è indotta sia dall’arrivo di migliaia di persone in questi ultimi mesi sia dalla recente decisione austriaca di mettere limiti all’ingresso di rifugiati sul territorio nazionale (si veda Il Sole/24 Ore del 19 febbraio). Nell’optare per un controllo degli arrivi, Vienna ha spostato verso Sud il controllo delle frontiere. Il timore dei paesi a Sud dell’Austria è di diventare un enorme campo-profughi, ormai il destino della Grecia che ieri ha protestato vivacemente per le scelte dei suoi vicini.
Il premier greco Alexis Tsipras ha espresso al premier olandese Mark Rutte il suo «malcontento», ricordando che nel vertice europeo della settimana scorsa aveva ricevuto rassicurazioni che le frontiere balcaniche sarebbero rimaste aperte. Secondo le ultime informazioni si terrà oggi a Vienna un incontro tra l’Austria e i suoi vicini balcanici a cui però non è stato invitato il governo greco. Interpellata ieri, la Commissione ha fatto capire che vorrebbe maggiore collaborazione tra i paesi europei.
Sempre ieri, il Belgio ha deciso di reintrodurre il controllo alle frontiere con la Francia, nel timore che la chiusura del campo-profughi francese di Calais provocherà l’arrivo di rifugiati a Zeebrugge, una cittadina belga sul Mare del Nord dal quale i profughi potrebbero tentare il passaggio in Inghilterra. «Abbiamo informato la Commissione europeo che sospendiamo temporaneamente le regole dello Spazio Schengen», ha annunciato il ministro degli Interni belga Jan Jambon.
Il Belgio segue l’esempio di altri sei paesi: Germania, Francia, Danimarca, Austria, Norvegia, Svezia. Le nuove tensioni sul fronte dei rifugiati giungono a ridosso di due riunioni politiche. Domani è previsto un incontro dei ministri degli Interni dei Ventotto, mentre il 7 marzo dovrebbero tornare a riunirsi i leader. Sul tavolo dei capi di stato e di governo sempre il programma (disatteso) di ricollocamento dei profughi arrivati in Grecia e Italia. Ieri Madrid ha accettato di accogliere appena 1000 persone.
Schengen in crisi. Il Belgio ripristina i controlli alle frontiere con la Francia
Crisi dei migranti, l’Europa teme la polveriera Balcani
Sempre più profughi ammassati in Grecia dopo la chiusura dei confini in Macedonia
di Beda Romano
Bruxelles A due settimane da un prossimo vertice europeo, che si terrà probabilmente il 7 marzo, l’emergenza rifugiati continua a tenere drammaticamente banco in Europa. Mentre nei Balcani la situazione umanitaria è gravissima, soprattutto alla frontiera tra la Macedonia e la Grecia dove il passaggio è praticamente bloccato, sul fronte occidentale il Belgio ha annunciato di essere diventato il settimo paese dello Spazio Schengen a reintrodurre i controlli alle frontiere.
In un comunicato inusuale, la Commissione europea e la presidenza olandese dell’Unione si sono dette «preoccupate dagli sviluppi lungo la rotta dei Balcani e dalle crisi umanitarie che potrebbero materializzarsi in alcuni paesi, in particolare in Grecia». Il commissario all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos e il ministro olandese responsabile dello stesso portafoglio Klaas Dijkhoff hanno spiegato che le istituzioni comunitarie stanno valutando il daffarsi per evitare il peggio.
«Esortiamo – hanno aggiunto i due uomini politici – tutti gli Stati e gli attori lungo la rotta a preparare i necessari piani d’emergenza per poter rispondere alle esigenze umanitarie, incluse le capacità di ricezione». Da domenica, la Macedonia sta bloccando il transito lungo il suo territorio alla frontiera con la Grecia. In questo momento gli afghani non possono più passare liberamente per raggiungere il Nord Europa mentreSkopje ha deciso di rafforzare i controlli d’identità anche dei siriani e degli iracheni.
La scelta è indotta sia dall’arrivo di migliaia di persone in questi ultimi mesi sia dalla recente decisione austriaca di mettere limiti all’ingresso di rifugiati sul territorio nazionale (si veda Il Sole/24 Ore del 19 febbraio). Nell’optare per un controllo degli arrivi, Vienna ha spostato verso Sud il controllo delle frontiere. Il timore dei paesi a Sud dell’Austria è di diventare un enorme campo-profughi, ormai il destino della Grecia che ieri ha protestato vivacemente per le scelte dei suoi vicini.
Il premier greco Alexis Tsipras ha espresso al premier olandese Mark Rutte il suo «malcontento», ricordando che nel vertice europeo della settimana scorsa aveva ricevuto rassicurazioni che le frontiere balcaniche sarebbero rimaste aperte. Secondo le ultime informazioni si terrà oggi a Vienna un incontro tra l’Austria e i suoi vicini balcanici a cui però non è stato invitato il governo greco. Interpellata ieri, la Commissione ha fatto capire che vorrebbe maggiore collaborazione tra i paesi europei.
Sempre ieri, il Belgio ha deciso di reintrodurre il controllo alle frontiere con la Francia, nel timore che la chiusura del campo-profughi francese di Calais provocherà l’arrivo di rifugiati a Zeebrugge, una cittadina belga sul Mare del Nord dal quale i profughi potrebbero tentare il passaggio in Inghilterra. «Abbiamo informato la Commissione europeo che sospendiamo temporaneamente le regole dello Spazio Schengen», ha annunciato il ministro degli Interni belga Jan Jambon.
Il Belgio segue l’esempio di altri sei paesi: Germania, Francia, Danimarca, Austria, Norvegia, Svezia. Le nuove tensioni sul fronte dei rifugiati giungono a ridosso di due riunioni politiche. Domani è previsto un incontro dei ministri degli Interni dei Ventotto, mentre il 7 marzo dovrebbero tornare a riunirsi i leader. Sul tavolo dei capi di stato e di governo sempre il programma (disatteso) di ricollocamento dei profughi arrivati in Grecia e Italia. Ieri Madrid ha accettato di accogliere appena 1000 persone.
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Re: Integrazione, razzismo e razzismo inverso
Repubblica 24.2.16
Migranti, sfida di Vienna vertice senza Ue e Atene La rabbia di Tsipras
Più controlli di Austria e paesi balcanici, caos in Grecia Bruxelles: “Un piano per l’emergenza umanitaria”
di Andrea Bonanni
BRUXELLES. L’Austria e i Paesi dei Balcani stanno chiudendo le frontiere e rafforzando i controlli sul confine macedone, bloccando i migranti che cercano di lasciare la Grecia e aumentando il rischio di una emergenza umanitaria ad Atene. Ieri il commissario europeo alle migrazioni, Dimitris Avramopouolos e il ministro degli interni olandese, Klaas Dijkhoff, che ha la presidenza di turno del Consiglio Ue, hanno emesso un comunicato congiunto: «Siamo inquieti per gli sviluppi lungo la rotta dei Balcani e per la crisi umanitaria che si potrebbe creare in alcuni Paesi e in particolare in Grecia». La Commissione ha reso noto che sta preparando «un piano d’urgenza per offrire il suo aiuto in caso di crisi umanitaria all’interno o all’esterno della Ue».
La Grecia ha presentato una formale protesta diplomatica contro l’Austria, mossa rarissima nei rapporti tra partner europei, definendo «un gesto unilaterale e non amichevole» la riunione che il governo di Vienna ha convocato per oggi con i responsabili di Albania, Bosnia, Bulgaria, Kosovo, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia and Slovenia per gestire i flussi dei migranti. Alla riunione non è stato invitato nessun rappresentante del governo greco, nè della Commissione, nè della presidenza olandese della Ue. Il premier greco Alexis Tsipras ha espresso il proprio «malconento» in una lettera inviata al premier danese Rutte. Secondo Atene, lo stop ai migranti è stato deciso dall’Austria e dai Paesi dei Balcani in una riunione che si è tenuta il 18 febbraio a Zagabria senza consultare gli altri partner.
Al Consiglio europeo della settimana scorsa, la Grecia aveva ottenuto assicurazioni che la frontiera con la Macedonia sarebbe rimasta aperta almeno fino al prossimo vertice con la Turchia, in programma il 7 marzo. Ma già da domenica le guardie di frontiera macedoni, rafforzate a quanto pare da personale arrivato da altri Paesi vicini, non lasciano più passare i migranti provenienti dall’Afghanistan. Solo siriani e iracheni possono varcare il confine e solo se hanno documenti in regola e se sono stati registrati al loro arrivo in Grecia. Ieri le autorità elleniche hanno trasportato circa settecento rifugiati afgani che si accalcavano alla frontiera macedone verso i centri di accoglienza di Atene. Dall’inizio dell’anno sono centomila i migranti già sbarcati sulle coste greche.
Intanto, dopo che la Francia ha cominciato a smantellare a Calais l’accampamento dei profughi che cercano di raggiungere la Gran Bretagna, il Belgio ha attivato controlli lungo le sue frontiere meridionali per evitare che i migranti cerchino di imbarcarsi nel porto belga di Zeebrugge.
Il segretario di Stato americano John Kerry ha dichiarato ieri che «l’Europa è profondamente minacciata» dal fenomeno migratorio e ha promesso «tutto l’aiuto necessario da parte americana». Ma il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha spiegato che l’Alleanza si limiterà a fornire assistenza a Grecia e Turchia, senza intervenire direttamente: «Aiuteremo le autorità e le forze locali a fare il loro lavoro, ma non faremo il loro lavoro».
Migranti, sfida di Vienna vertice senza Ue e Atene La rabbia di Tsipras
Più controlli di Austria e paesi balcanici, caos in Grecia Bruxelles: “Un piano per l’emergenza umanitaria”
di Andrea Bonanni
BRUXELLES. L’Austria e i Paesi dei Balcani stanno chiudendo le frontiere e rafforzando i controlli sul confine macedone, bloccando i migranti che cercano di lasciare la Grecia e aumentando il rischio di una emergenza umanitaria ad Atene. Ieri il commissario europeo alle migrazioni, Dimitris Avramopouolos e il ministro degli interni olandese, Klaas Dijkhoff, che ha la presidenza di turno del Consiglio Ue, hanno emesso un comunicato congiunto: «Siamo inquieti per gli sviluppi lungo la rotta dei Balcani e per la crisi umanitaria che si potrebbe creare in alcuni Paesi e in particolare in Grecia». La Commissione ha reso noto che sta preparando «un piano d’urgenza per offrire il suo aiuto in caso di crisi umanitaria all’interno o all’esterno della Ue».
La Grecia ha presentato una formale protesta diplomatica contro l’Austria, mossa rarissima nei rapporti tra partner europei, definendo «un gesto unilaterale e non amichevole» la riunione che il governo di Vienna ha convocato per oggi con i responsabili di Albania, Bosnia, Bulgaria, Kosovo, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia and Slovenia per gestire i flussi dei migranti. Alla riunione non è stato invitato nessun rappresentante del governo greco, nè della Commissione, nè della presidenza olandese della Ue. Il premier greco Alexis Tsipras ha espresso il proprio «malconento» in una lettera inviata al premier danese Rutte. Secondo Atene, lo stop ai migranti è stato deciso dall’Austria e dai Paesi dei Balcani in una riunione che si è tenuta il 18 febbraio a Zagabria senza consultare gli altri partner.
Al Consiglio europeo della settimana scorsa, la Grecia aveva ottenuto assicurazioni che la frontiera con la Macedonia sarebbe rimasta aperta almeno fino al prossimo vertice con la Turchia, in programma il 7 marzo. Ma già da domenica le guardie di frontiera macedoni, rafforzate a quanto pare da personale arrivato da altri Paesi vicini, non lasciano più passare i migranti provenienti dall’Afghanistan. Solo siriani e iracheni possono varcare il confine e solo se hanno documenti in regola e se sono stati registrati al loro arrivo in Grecia. Ieri le autorità elleniche hanno trasportato circa settecento rifugiati afgani che si accalcavano alla frontiera macedone verso i centri di accoglienza di Atene. Dall’inizio dell’anno sono centomila i migranti già sbarcati sulle coste greche.
Intanto, dopo che la Francia ha cominciato a smantellare a Calais l’accampamento dei profughi che cercano di raggiungere la Gran Bretagna, il Belgio ha attivato controlli lungo le sue frontiere meridionali per evitare che i migranti cerchino di imbarcarsi nel porto belga di Zeebrugge.
Il segretario di Stato americano John Kerry ha dichiarato ieri che «l’Europa è profondamente minacciata» dal fenomeno migratorio e ha promesso «tutto l’aiuto necessario da parte americana». Ma il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha spiegato che l’Alleanza si limiterà a fornire assistenza a Grecia e Turchia, senza intervenire direttamente: «Aiuteremo le autorità e le forze locali a fare il loro lavoro, ma non faremo il loro lavoro».
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Re: Integrazione, razzismo e razzismo inverso
IL PROGETTO SOROS-CIA COMINCIA A DARE I SUOI FRUTTI
Migranti. Scontro Grecia-Austria al vertice Ue, Atene richiama l’ambasciatore: “Non diventeremo il Libano d’Europa”
di F. Q. | 25 febbraio 2016
La Grecia passa alle vie di fatto contro l’Austria. Mentre i ministri dell’Interno Ue sono riuniti a Bruxelles per discutere della chiusura delle frontiere decisa da diversi Stati dei Balcani dopo la decisione di Vienna di limitare gli ingressi dei migranti diretti verso il Nord Europa, Atene ha richiamato il proprio ambasciatore a Vienna, Chrysoula Aleiferi. Lo rende noto un comunicato del ministero degli Esteri ellenico, per il quale le consultazioni con l’ambasciatore hanno “il fine di preservare le relazioni amichevoli tra i popoli e gli Stati di Grecia ed Austria”.
La decisione di Vienna di limitare gli ingressi giornalieri (massimo di 80 richieste di asilo al giorno e passaggio consentito a non più di 3.200 persone che intendono chiedere rifugio in Germania o in altri paesi dell’Ue) ha spinto diversi Paesi dei Balcani a organizzarsi per limitare il passaggio dei migranti provenienti dalla Grecia e diretti verso il Nord Europa. Il 18 febbraio i responsabili delle polizie di Austria, Croazia, Macedonia, Slovenia e Serbia avevano definito un accordo che prevede una forma unica di registrazione in Macedonia, e nella pratica l’ingresso viene ora consentito solo ai profughi di nazionalità siriana o irachena. I migranti di tutte le altre nazionalità, compresi gli afghani, vengono bloccati.
“Non accetterermo azioni unilaterali – ha dichiarato il viceministro per l’Immigrazione greco Ioannis Mouzalas al suo arrivo al consiglio Ue – anche noi possiamo farle. Non accetteremo di diventare il Libano d’Europa e di diventare un magazzino di anime, anche se questo comporta un aumento di fondi”.
L’Austria risponde dando la colpa alla Grecia. La ministra dell’Interno Johanna Mikl-Leitner ha giustificato il rafforzamento dei controlli alla frontiera e l’imposizione dei limiti all’accoglienza dei rifugiati attribuendone la responsabilità alla Grecia e sostenendo che, se Atene controllasse come si deve i suoi confini esterni, non sarebbe necessario intervenire. “La Grecia dice sempre che non è possibile controllare la frontiera esterna. E se la Grecia non può farlo, dà il migliore argomento agli altri per imporre misure” individuali, ha sostenuto Mikl-Leitner dopo avere partecipato a una colazione di lavoro con i Paesi più colpiti dagli arrivi di migranti attraverso la rotta balcanica.
La ministra ha spiegato ancora che, nella riunione che si è tenuta mercoledì a Vienna con i Paesi dei Balcani occidentali, alla quale non ha partecipato la Grecia, tutti i partecipanti si sono trovati d’accordo sul fatto che “mancano soluzioni europee” e che deve finire la politica del “lasciare passare” rifugiati e migranti. “Il ‘lasciare passare’ comincia già in Grecia. Se la Grecia non è capace di agire, devono agire altri”, ha attaccato la ministra austriaca.
Onu contro chiusura delle frontiere nel Balcani: “Preoccupazione” – La Commissione diritti umani dell’Onu esprime “seria preoccupazione” per le misure decise la scorsa settimana a Zagabria dai capi della polizia di Macedonia, Serbia, Croazia, Slovenia e Austria. L’accordo per un nuovo sistema di controlli, selezione e registrazione dei migranti che verranno eseguiti una sola volta, al confine tra Grecia e Macedonia, comporta “conseguenze negative per i diritti umani dei migranti”, sottolinea l’Alto commissario Zeid Ràad Al Hussein in un comunicato.
Ministri dell’Interno: “Controlli sistematici alle frontiere esterne” – Intanto il Consiglio dei ministri dell’Interno si è espresso a favore dell’introduzione di controlli sistematici alle frontiere esterne dell’Ue su tutte le persone, comprese su quelle che già godono del diritto di libertà di movimento in base alle norme europee. Lo rende noto un comunicato, sottolineando che l’obiettivo è “verificare che queste persone non rappresentino una minaccia all’ordine pubblico e alla sicurezza interna”.
Durante i controlli, spiega il documento del Consiglio, verrà usato un database contenente informazioni su documenti perduti o rubati. Le verifiche d’identità potranno avvenire “in tutti i confini esterni dell’Unione (aria, mare e terra), sia in entrata che in uscita”, recita il comunicato. Il Consiglio “è d’accordo che i Paesi membri possano usare questa possibilità, ma solo durante un periodo transitorio di sei mesi dall’entrata in vigore del regolamento emendato”.
Olanda: “7 marzo è la data cruciale” – La data del vertice Ue-Turchia “il 7 marzo è una data cruciale – ha detto il ministro dell’Immigrazione olandese Klaas Dijkhoff – se per allora i flussi alla frontiera tra Turchia e Grecia non saranno stati ridotti, si dovranno trovare altre misure e fare più piani di emergenza."
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02 ... e/2495344/
Migranti. Scontro Grecia-Austria al vertice Ue, Atene richiama l’ambasciatore: “Non diventeremo il Libano d’Europa”
di F. Q. | 25 febbraio 2016
La Grecia passa alle vie di fatto contro l’Austria. Mentre i ministri dell’Interno Ue sono riuniti a Bruxelles per discutere della chiusura delle frontiere decisa da diversi Stati dei Balcani dopo la decisione di Vienna di limitare gli ingressi dei migranti diretti verso il Nord Europa, Atene ha richiamato il proprio ambasciatore a Vienna, Chrysoula Aleiferi. Lo rende noto un comunicato del ministero degli Esteri ellenico, per il quale le consultazioni con l’ambasciatore hanno “il fine di preservare le relazioni amichevoli tra i popoli e gli Stati di Grecia ed Austria”.
La decisione di Vienna di limitare gli ingressi giornalieri (massimo di 80 richieste di asilo al giorno e passaggio consentito a non più di 3.200 persone che intendono chiedere rifugio in Germania o in altri paesi dell’Ue) ha spinto diversi Paesi dei Balcani a organizzarsi per limitare il passaggio dei migranti provenienti dalla Grecia e diretti verso il Nord Europa. Il 18 febbraio i responsabili delle polizie di Austria, Croazia, Macedonia, Slovenia e Serbia avevano definito un accordo che prevede una forma unica di registrazione in Macedonia, e nella pratica l’ingresso viene ora consentito solo ai profughi di nazionalità siriana o irachena. I migranti di tutte le altre nazionalità, compresi gli afghani, vengono bloccati.
“Non accetterermo azioni unilaterali – ha dichiarato il viceministro per l’Immigrazione greco Ioannis Mouzalas al suo arrivo al consiglio Ue – anche noi possiamo farle. Non accetteremo di diventare il Libano d’Europa e di diventare un magazzino di anime, anche se questo comporta un aumento di fondi”.
L’Austria risponde dando la colpa alla Grecia. La ministra dell’Interno Johanna Mikl-Leitner ha giustificato il rafforzamento dei controlli alla frontiera e l’imposizione dei limiti all’accoglienza dei rifugiati attribuendone la responsabilità alla Grecia e sostenendo che, se Atene controllasse come si deve i suoi confini esterni, non sarebbe necessario intervenire. “La Grecia dice sempre che non è possibile controllare la frontiera esterna. E se la Grecia non può farlo, dà il migliore argomento agli altri per imporre misure” individuali, ha sostenuto Mikl-Leitner dopo avere partecipato a una colazione di lavoro con i Paesi più colpiti dagli arrivi di migranti attraverso la rotta balcanica.
La ministra ha spiegato ancora che, nella riunione che si è tenuta mercoledì a Vienna con i Paesi dei Balcani occidentali, alla quale non ha partecipato la Grecia, tutti i partecipanti si sono trovati d’accordo sul fatto che “mancano soluzioni europee” e che deve finire la politica del “lasciare passare” rifugiati e migranti. “Il ‘lasciare passare’ comincia già in Grecia. Se la Grecia non è capace di agire, devono agire altri”, ha attaccato la ministra austriaca.
Onu contro chiusura delle frontiere nel Balcani: “Preoccupazione” – La Commissione diritti umani dell’Onu esprime “seria preoccupazione” per le misure decise la scorsa settimana a Zagabria dai capi della polizia di Macedonia, Serbia, Croazia, Slovenia e Austria. L’accordo per un nuovo sistema di controlli, selezione e registrazione dei migranti che verranno eseguiti una sola volta, al confine tra Grecia e Macedonia, comporta “conseguenze negative per i diritti umani dei migranti”, sottolinea l’Alto commissario Zeid Ràad Al Hussein in un comunicato.
Ministri dell’Interno: “Controlli sistematici alle frontiere esterne” – Intanto il Consiglio dei ministri dell’Interno si è espresso a favore dell’introduzione di controlli sistematici alle frontiere esterne dell’Ue su tutte le persone, comprese su quelle che già godono del diritto di libertà di movimento in base alle norme europee. Lo rende noto un comunicato, sottolineando che l’obiettivo è “verificare che queste persone non rappresentino una minaccia all’ordine pubblico e alla sicurezza interna”.
Durante i controlli, spiega il documento del Consiglio, verrà usato un database contenente informazioni su documenti perduti o rubati. Le verifiche d’identità potranno avvenire “in tutti i confini esterni dell’Unione (aria, mare e terra), sia in entrata che in uscita”, recita il comunicato. Il Consiglio “è d’accordo che i Paesi membri possano usare questa possibilità, ma solo durante un periodo transitorio di sei mesi dall’entrata in vigore del regolamento emendato”.
Olanda: “7 marzo è la data cruciale” – La data del vertice Ue-Turchia “il 7 marzo è una data cruciale – ha detto il ministro dell’Immigrazione olandese Klaas Dijkhoff – se per allora i flussi alla frontiera tra Turchia e Grecia non saranno stati ridotti, si dovranno trovare altre misure e fare più piani di emergenza."
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Re: Integrazione, razzismo e razzismo inverso
Migranti, Libera e Cittadinanzattiva: “Sistema di accoglienza è fallito, gestione opaca e volontà di non farlo funzionare”
Cronaca
Poca trasparenza su affidamenti e finanziamenti, nessun elenco pubblico dei centri, richiedenti asilo curati con il paracetamolo. E' quanto si legge nel report pubblicato dalle due associazioni con i promotori della campagna LasciateCIEntrare. Di fronte alla richiesta dei dati alle prefetture "su 106 hanno risposto solo 53 e soltanto 2 (Arezzo e Bari) hanno fornito quasi tutte le informazioni richieste". Nei centri del Sud episodi di caporalato. E il ministero dell'Interno parla di "inopportuna diffusione di notizie"
di Alex Corlazzoli | 25 febbraio 2016
Commenti (45)
Il sistema d’accoglienza italiano dei richiedenti asilo è fallito: non esiste un elenco pubblico dei cosiddetti Cas, centri di accoglienza straordinaria; della loro ubicazione e della loro gestione. Non c’è trasparenza sugli affidamenti, sui finanziamenti. Gli immigrati sono ospitati in pizzerie o vecchi casolari convertiti in centri di accoglienza; gli operatori spesso non conoscono l’inglese e sono a tempo pieno a fronte di contratti di lavoro part-time. Di fronte a qualsiasi malattia, in alcuni centri, si somministrano paracetamolo e nimesulide e in alcune zone, l’accoglienza risulta essere gestita da soggetti già denunciati in passato. In poche parole: la situazione è fuori controllo. A lanciare una forte denuncia, con dati puntuali, copie di missive alle Prefetture e loro risposte, resoconti di visite ai Cas, sono due note associazioni Libera e Cittadinanzattiva, oltre ai promotori della campagna LasciateCIEntrare. Che questa mattina a Roma, alla federazione nazionale della stampa, hanno presentato il rapporto Sull’accoglienza, la detenzione amministrativa e i rimpatri forzati.
Le parole usate nella presentazione del rapporto sono eloquenti: siamo di fronte ad “un altro pezzo di business che, a quanto sembra, sfugge ad un controllo preciso, dettagliato e sistematico”.
A finire sotto accusa sono il ministero dell’Interno e le prefetture cui le associazioni hanno inviato una formale richiesta di accesso civico, secondo il Decreto legislativo 33/2013: “La risposta ufficiale pervenuta – viene citato nel dossier – è stata perlopiù evasiva. Su 106 prefetture hanno risposto solo 53 e soltanto 2 (Arezzo e Bari) hanno fornito quasi tutte le informazioni richieste”.
“Siamo di fronte – spiega Gabriella Guido, portavoce di LasciateCIEntrare – ad una colpevole incapacità di gestire il fenomeno da parte delle prefetture. Ci domandiamo perché quella di Arezzo è stata precisa e puntuale e tutte le altre no. Ci chiediamo perché gli Sprar funzionano e il resto no. C’è la volontà di non ottimizzare un sistema: i flussi migratori non sono un’emergenza. Non siamo la Svezia, sappiamo che i migranti sbarcano da noi: possibile che in tutti questi anni non siamo stati in grado di mettere in funzione un sistema che regge?”.
A Cittadinanzattiva, Libera e LasciateCIEntrare non è piaciuta la risposta degli uffici diretti dal ministro Angelino Alfano: “In ordine alla nostra richiesta di avere l’elenco completo delle strutture temporanee presenti nel territorio di competenza della Prefettura, il ministero ha ritenuto che per tale informazione non sia previsto alcun obbligo di pubblicazione”, appellandosi ad una “inopportuna diffusione di notizie a tutela della sicurezza dei richiedenti asilo accolti nelle strutture”.
Impossibile avere dagli uffici del ministero l’elenco dei soggetti gestori e il numero delle persone ospitate in ciascuna struttura: tutto demandato alle prefetture. Una raccolta dati inaccessibile visto che – come hanno spiegato gli estensori del rapporto – solo 8 prefetture su 52 hanno fornito l’elenco e l’ubicazione delle strutture e solo nove la lista dei soggetti gestori.
Siamo di fronte, secondo la fotografia fornita nel dossier, a 3.090 centri di accoglienza straordinaria; 430 Sprar (sistemi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati gestiti da enti locali); 133 Cara (centri governativi) per un totale di 98.632 migranti di cui 70.918, ossia il 72%, accolti nei Cas.
Un sistema che nel 2015 è costato 1, 16 miliardi di euro, ovvero lo 0,14% della spesa pubblica nazionale: “A fronte di questi dati non vi è trasparenza – denunciano le tre associazioni – sugli affidamenti, sui finanziamenti, sul rispetto degli standard di erogazione dei servizi previsti da convenzioni e capitolati d’appalto”. Gli autori del dossier non esitano a fare nomi e cognomi della “mala –accoglienza”: “La cooperativa “Malgrado tutto” in Calabria, nonostante la più che discutibile gestione del Cie di Lamezia Terme nel passato, più volte denunciata dall’associazione “Kasbah” continua a gestire nello stesso luogo un Cas”.
La lista di ciò che non va è lunga: dagli staff sprovvisti di formazione in materia di protezione internazionale all’hotel “Flumina” di Sarno o al Cas di Feroleto (Catanzaro); alle strutture, in particolare lungo il litorale Domizio, dotate di un unico operatore che fa tutto; ai casi di immigrati a Lamezia e Amantea dove gli ospiti raccontano di essere finiti nelle mani del “caporalato”; alle strutture lontanissime dai centri abitati nell’Agrigentino o nel Cosentino.
“Questi migranti – dice Gabriella Guido – rimangono nei centri un tempo infinito: diventano un costo per lo Stato e vivono per un anno o più in un limbo senza fare nulla per l’inclusione. La sensazione conclamata è che sono solo numeri e servono solo a fare cassa per alcuni imprenditori. Ci spiace dirlo ma dobbiamo domandarci perché in Trentino i centri funzionano a differenza di molti al Sud dove c’è una mala gestione”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02 ... e/2494546/
Cronaca
Poca trasparenza su affidamenti e finanziamenti, nessun elenco pubblico dei centri, richiedenti asilo curati con il paracetamolo. E' quanto si legge nel report pubblicato dalle due associazioni con i promotori della campagna LasciateCIEntrare. Di fronte alla richiesta dei dati alle prefetture "su 106 hanno risposto solo 53 e soltanto 2 (Arezzo e Bari) hanno fornito quasi tutte le informazioni richieste". Nei centri del Sud episodi di caporalato. E il ministero dell'Interno parla di "inopportuna diffusione di notizie"
di Alex Corlazzoli | 25 febbraio 2016
Commenti (45)
Il sistema d’accoglienza italiano dei richiedenti asilo è fallito: non esiste un elenco pubblico dei cosiddetti Cas, centri di accoglienza straordinaria; della loro ubicazione e della loro gestione. Non c’è trasparenza sugli affidamenti, sui finanziamenti. Gli immigrati sono ospitati in pizzerie o vecchi casolari convertiti in centri di accoglienza; gli operatori spesso non conoscono l’inglese e sono a tempo pieno a fronte di contratti di lavoro part-time. Di fronte a qualsiasi malattia, in alcuni centri, si somministrano paracetamolo e nimesulide e in alcune zone, l’accoglienza risulta essere gestita da soggetti già denunciati in passato. In poche parole: la situazione è fuori controllo. A lanciare una forte denuncia, con dati puntuali, copie di missive alle Prefetture e loro risposte, resoconti di visite ai Cas, sono due note associazioni Libera e Cittadinanzattiva, oltre ai promotori della campagna LasciateCIEntrare. Che questa mattina a Roma, alla federazione nazionale della stampa, hanno presentato il rapporto Sull’accoglienza, la detenzione amministrativa e i rimpatri forzati.
Le parole usate nella presentazione del rapporto sono eloquenti: siamo di fronte ad “un altro pezzo di business che, a quanto sembra, sfugge ad un controllo preciso, dettagliato e sistematico”.
A finire sotto accusa sono il ministero dell’Interno e le prefetture cui le associazioni hanno inviato una formale richiesta di accesso civico, secondo il Decreto legislativo 33/2013: “La risposta ufficiale pervenuta – viene citato nel dossier – è stata perlopiù evasiva. Su 106 prefetture hanno risposto solo 53 e soltanto 2 (Arezzo e Bari) hanno fornito quasi tutte le informazioni richieste”.
“Siamo di fronte – spiega Gabriella Guido, portavoce di LasciateCIEntrare – ad una colpevole incapacità di gestire il fenomeno da parte delle prefetture. Ci domandiamo perché quella di Arezzo è stata precisa e puntuale e tutte le altre no. Ci chiediamo perché gli Sprar funzionano e il resto no. C’è la volontà di non ottimizzare un sistema: i flussi migratori non sono un’emergenza. Non siamo la Svezia, sappiamo che i migranti sbarcano da noi: possibile che in tutti questi anni non siamo stati in grado di mettere in funzione un sistema che regge?”.
A Cittadinanzattiva, Libera e LasciateCIEntrare non è piaciuta la risposta degli uffici diretti dal ministro Angelino Alfano: “In ordine alla nostra richiesta di avere l’elenco completo delle strutture temporanee presenti nel territorio di competenza della Prefettura, il ministero ha ritenuto che per tale informazione non sia previsto alcun obbligo di pubblicazione”, appellandosi ad una “inopportuna diffusione di notizie a tutela della sicurezza dei richiedenti asilo accolti nelle strutture”.
Impossibile avere dagli uffici del ministero l’elenco dei soggetti gestori e il numero delle persone ospitate in ciascuna struttura: tutto demandato alle prefetture. Una raccolta dati inaccessibile visto che – come hanno spiegato gli estensori del rapporto – solo 8 prefetture su 52 hanno fornito l’elenco e l’ubicazione delle strutture e solo nove la lista dei soggetti gestori.
Siamo di fronte, secondo la fotografia fornita nel dossier, a 3.090 centri di accoglienza straordinaria; 430 Sprar (sistemi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati gestiti da enti locali); 133 Cara (centri governativi) per un totale di 98.632 migranti di cui 70.918, ossia il 72%, accolti nei Cas.
Un sistema che nel 2015 è costato 1, 16 miliardi di euro, ovvero lo 0,14% della spesa pubblica nazionale: “A fronte di questi dati non vi è trasparenza – denunciano le tre associazioni – sugli affidamenti, sui finanziamenti, sul rispetto degli standard di erogazione dei servizi previsti da convenzioni e capitolati d’appalto”. Gli autori del dossier non esitano a fare nomi e cognomi della “mala –accoglienza”: “La cooperativa “Malgrado tutto” in Calabria, nonostante la più che discutibile gestione del Cie di Lamezia Terme nel passato, più volte denunciata dall’associazione “Kasbah” continua a gestire nello stesso luogo un Cas”.
La lista di ciò che non va è lunga: dagli staff sprovvisti di formazione in materia di protezione internazionale all’hotel “Flumina” di Sarno o al Cas di Feroleto (Catanzaro); alle strutture, in particolare lungo il litorale Domizio, dotate di un unico operatore che fa tutto; ai casi di immigrati a Lamezia e Amantea dove gli ospiti raccontano di essere finiti nelle mani del “caporalato”; alle strutture lontanissime dai centri abitati nell’Agrigentino o nel Cosentino.
“Questi migranti – dice Gabriella Guido – rimangono nei centri un tempo infinito: diventano un costo per lo Stato e vivono per un anno o più in un limbo senza fare nulla per l’inclusione. La sensazione conclamata è che sono solo numeri e servono solo a fare cassa per alcuni imprenditori. Ci spiace dirlo ma dobbiamo domandarci perché in Trentino i centri funzionano a differenza di molti al Sud dove c’è una mala gestione”.
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Re: Integrazione, razzismo e razzismo inverso
Il Sole 25.2.16
Esito scontato. Budapest dirà «no» chiudendosi in se stessa
Una «ribellione» che rischia di destabilizzare l’Europa
di Attilio Geroni
Più di ogni altra crisi precedente, è quella dei migranti a mettere in pericolo la tenuta dell’Unione europea.
Nel 2012 il rischio di disgregazione era stato monetario, con la possibile reversibilità dell’euro.
Nel 2016 questo rischio è politico-istituzionale, in mancanza di un’azione condivisa sul controllo delle frontiere esterne della Ue, sulla gestione degli arrivi dei profughi in base a quote nazionali e sull’attuazione del piano di ricollocamento.
La decisione del premier ungherese Viktor Orban purtroppo non è sorprendente. Il referendum nazionale per dire sì o no alle quote obbligatorie di migranti è la logica conseguenza di una politica che ha nell’ultranazionalismo la sua ragion d’essere. Già oggi possiamo dire che non vi è alcun dubbio sull’esito del voto, la cui data non è stata resa nota. Budapest dirà uno scontato «no» ai rifugiati e si chiuderà ancora di più in sé stessa dopo aver costruito, per prima in Europa, un nuovo muro al confine con la Serbia ricacciando nei Balcani l’umanità in fuga dalle guerre. La maggioranza dell’opinione pubblica ungherese è in sintonia con Orban e con il suo disegno di rinazionalizzare le prerogative politiche più importanti o di non cedere la sovranità residua.
Si crea così un pericoloso precedente e non è escluso che la Polonia, guidata dal Partito Diritto e Giustizia di Jaroslaw Kaczynski e già impegnata attivamente in politiche di limitazione delle libertà d’espressione, decida al più presto una simile iniziativa. Da quando la crisi dei migranti è esplosa in Europa tra l’estate e l’autunno dello scorso anno, e centinaia di migliaia di profughi si sono incanalati nella Mitteleuropa per raggiungere il ricco Nord (Germania e Paesi scandinavi) la reazione dei Paesi dell’Est è stata univoca, compatta: non vogliamo i migranti sul nostro territorio. Le ragioni della chiusura sono in parte storiche. Ungheria, Polonia, ma anche Repubblica Ceca e Slovacchia non hanno esperienze recenti di afflussi migratori extra-europei; sono popolazioni etnicamente ancora molto omogenee che i decenni di dominio comunista hanno reso poco esposte a contaminazioni e integrazioni, se non qualche folcloristico esempio di innesti di comunità vietnamite concordati dai rispettivi regimi.
A Budapest, ma anche a Varsavia, viene alzato e agitato lo scudo delle radici cristiane, della perdita d’identità che l’arrivo di profughi islamici causerebbe alle popolazioni locali. Il cristianesimo in Europa Centrale è diventato in questa fase una sorta di menù à la carte dal quale è facile dimenticarsi di scegliere uno degli ingredienti più importanti, quello della solidarietà. Eppure di solidarietà, anche materiale (si veda il grafico in pagina) i Paesi dell’Est ne hanno ricevuto tanta dall’Europa. Il loro ancoraggio ai valori dell’Unione, allo stato di diritto, sono stati fondamentali per una relativamente rapida emancipazione economica, istituzionale e sociale dai decenni del partito e del pensiero unico.
Il fronte anti-migranti di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia sovverte inoltre gli equilibri geopolitici del Vecchio Continente. Strettamente legati alla Germania, per ognuno di essi di gran lunga il più importante partner politico ed economico, ora stanno esattamente agli antipodi della posizione tedesca in materia. Questi quattro Paesi formano oggi il Gruppo di Visegrad, nato nel 1991 (allora erano in tre perché c’era ancora la Cecoslovacchia) per aiutare il loro cammino verso l’integrazione europea. Pochi giorni fa hanno celebrato a Praga il 25° anniversario, ma il significato della loro alleanza è cambiato brutalmente e si ritrova nella parola stessa, Visegrad: non solo una località ungherese che domina da una collina un’ansa del Danubio, ma una parola slava per dire, grosso modo, fortezza. Protetta quindi da alte mura.
Esito scontato. Budapest dirà «no» chiudendosi in se stessa
Una «ribellione» che rischia di destabilizzare l’Europa
di Attilio Geroni
Più di ogni altra crisi precedente, è quella dei migranti a mettere in pericolo la tenuta dell’Unione europea.
Nel 2012 il rischio di disgregazione era stato monetario, con la possibile reversibilità dell’euro.
Nel 2016 questo rischio è politico-istituzionale, in mancanza di un’azione condivisa sul controllo delle frontiere esterne della Ue, sulla gestione degli arrivi dei profughi in base a quote nazionali e sull’attuazione del piano di ricollocamento.
La decisione del premier ungherese Viktor Orban purtroppo non è sorprendente. Il referendum nazionale per dire sì o no alle quote obbligatorie di migranti è la logica conseguenza di una politica che ha nell’ultranazionalismo la sua ragion d’essere. Già oggi possiamo dire che non vi è alcun dubbio sull’esito del voto, la cui data non è stata resa nota. Budapest dirà uno scontato «no» ai rifugiati e si chiuderà ancora di più in sé stessa dopo aver costruito, per prima in Europa, un nuovo muro al confine con la Serbia ricacciando nei Balcani l’umanità in fuga dalle guerre. La maggioranza dell’opinione pubblica ungherese è in sintonia con Orban e con il suo disegno di rinazionalizzare le prerogative politiche più importanti o di non cedere la sovranità residua.
Si crea così un pericoloso precedente e non è escluso che la Polonia, guidata dal Partito Diritto e Giustizia di Jaroslaw Kaczynski e già impegnata attivamente in politiche di limitazione delle libertà d’espressione, decida al più presto una simile iniziativa. Da quando la crisi dei migranti è esplosa in Europa tra l’estate e l’autunno dello scorso anno, e centinaia di migliaia di profughi si sono incanalati nella Mitteleuropa per raggiungere il ricco Nord (Germania e Paesi scandinavi) la reazione dei Paesi dell’Est è stata univoca, compatta: non vogliamo i migranti sul nostro territorio. Le ragioni della chiusura sono in parte storiche. Ungheria, Polonia, ma anche Repubblica Ceca e Slovacchia non hanno esperienze recenti di afflussi migratori extra-europei; sono popolazioni etnicamente ancora molto omogenee che i decenni di dominio comunista hanno reso poco esposte a contaminazioni e integrazioni, se non qualche folcloristico esempio di innesti di comunità vietnamite concordati dai rispettivi regimi.
A Budapest, ma anche a Varsavia, viene alzato e agitato lo scudo delle radici cristiane, della perdita d’identità che l’arrivo di profughi islamici causerebbe alle popolazioni locali. Il cristianesimo in Europa Centrale è diventato in questa fase una sorta di menù à la carte dal quale è facile dimenticarsi di scegliere uno degli ingredienti più importanti, quello della solidarietà. Eppure di solidarietà, anche materiale (si veda il grafico in pagina) i Paesi dell’Est ne hanno ricevuto tanta dall’Europa. Il loro ancoraggio ai valori dell’Unione, allo stato di diritto, sono stati fondamentali per una relativamente rapida emancipazione economica, istituzionale e sociale dai decenni del partito e del pensiero unico.
Il fronte anti-migranti di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia sovverte inoltre gli equilibri geopolitici del Vecchio Continente. Strettamente legati alla Germania, per ognuno di essi di gran lunga il più importante partner politico ed economico, ora stanno esattamente agli antipodi della posizione tedesca in materia. Questi quattro Paesi formano oggi il Gruppo di Visegrad, nato nel 1991 (allora erano in tre perché c’era ancora la Cecoslovacchia) per aiutare il loro cammino verso l’integrazione europea. Pochi giorni fa hanno celebrato a Praga il 25° anniversario, ma il significato della loro alleanza è cambiato brutalmente e si ritrova nella parola stessa, Visegrad: non solo una località ungherese che domina da una collina un’ansa del Danubio, ma una parola slava per dire, grosso modo, fortezza. Protetta quindi da alte mura.
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