Come se ne viene fuori ?
Re: Come se ne viene fuori ?
snello ? ( mi rotolo )... se ne esce con "snello" ....
facce nuove ... serracchiani sbolognata in europa e comunque non convince , renzi non piace, civati oscurato.
( fra i meno cenozoici Marino... ancora ci deve spiegare il votaccio ....)
per quanto riguarda Napolitano...
non mi sembra inconcepibile che un ottantenne ,col suo vissuto, con una certa visione della politica e della democrazia possa esprimersi a favore di uno che parla di salme, mummie e diarree .... e poi , se le parole hanno ancora un senso, il boom sarebbe stato vincere , ovvero superare il 50 % . che sia stato un successo è innegabile, ma il presidente lo vive come un voto di protesta , forse estremizzandolo troppo , associandolo all'atteggiamento del leader .
i candidati sindaco sono sicuramente più "moderati" del comico , ma questa "normalità" viene oscurata dal profluvio di parolacce del capo. è visibile e palpabile a livello locale, a livello nazionale, dai tg , arriva solo il carico populista e " di panza", non paghiamo i debiti e usciamo dall'euro non mi sembrano ricette da prendere in considerazione seriamente.
è una presa in giro.
facce nuove ... serracchiani sbolognata in europa e comunque non convince , renzi non piace, civati oscurato.
( fra i meno cenozoici Marino... ancora ci deve spiegare il votaccio ....)
per quanto riguarda Napolitano...
non mi sembra inconcepibile che un ottantenne ,col suo vissuto, con una certa visione della politica e della democrazia possa esprimersi a favore di uno che parla di salme, mummie e diarree .... e poi , se le parole hanno ancora un senso, il boom sarebbe stato vincere , ovvero superare il 50 % . che sia stato un successo è innegabile, ma il presidente lo vive come un voto di protesta , forse estremizzandolo troppo , associandolo all'atteggiamento del leader .
i candidati sindaco sono sicuramente più "moderati" del comico , ma questa "normalità" viene oscurata dal profluvio di parolacce del capo. è visibile e palpabile a livello locale, a livello nazionale, dai tg , arriva solo il carico populista e " di panza", non paghiamo i debiti e usciamo dall'euro non mi sembrano ricette da prendere in considerazione seriamente.
è una presa in giro.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Madre de Dios volvió a los desaparecidos
Lo spieghi ai forchettoni del Pd che i moderati sono sotto le macerie. Lo spieghi soprattutto a Dalemoni e Bersani che non hanno ancora capito,....o lo hanno capito ma hanno in dispregio la democrazia.
L'ANALISI DEL LEADER UDC DOPO IL VOTO
Casini: moderati sotto un cumulo di macerie
«I partiti tradizionali sono stati sconfitti. Un segnale serio per assumersi responsabilità e non per togliere sostegno a Monti»
MILANO - I risultati del voto amministrativo sono favorevoli per l'Udc ma non soddisfano affatto il leader Pier Ferdinando Casini che si dice «estremamente scontento». «I partiti tradizionali sono stati sconfitti e i moderati sono sotto un cumulo di macerie», dice in una pausa del Consiglio nazionale del suo partito riunito per una prima analisi dell'esito delle amministrative. «Se qualcuno pensa che il messaggio del voto è scaricare Monti, sbaglia. Il risultato - ribadisce Casini - è un segnale molto serio che impone di assumersi responsabilità, non certo di togliere il sostegno al governo».
RIPENSARE IL TERZO POLO - Insomma, secondo Casini «ora più che mai è necessario procedere con le riforme di cui il Paese ha bisogno». Ma per il leader centrista il dato emerso dalle urne riapre le future strategie per l'Udc e più in generale per i moderati. «C'è da andare molto oltre l'Udc, molto oltre il Terzo Polo» dice Casini.
«ME NE ANDREI IN UN EREMO» - Sottolineando la necessità che la politica si fermi per riflettere su quanto sta accadendo, Casini aggiunge; «Io rifletto, sto riflettendo, in politica ogni tanto bisogna fermarsi a pensare». E per ribadire il concetto aggiunge: «Adesso me ne andrei, quasi, in un eremo per poter pensare meglio».
CONFRONTO CON GRILLO -«L'analisi del voto risulta positiva per noi, ma solo in termini strettamente numerici. Siamo l'unico partito oltre i grillini che cresce. Ma questo non significa affatto che siamo contenti. Anzi...». L'ex presidente della Camera non crede «che nel nostro Paese i grillini siano in grado di governare».
VOTI DEL PDL - «I voti di Pdl e Lega non li abbiamo certo presi noi» spiega Casini. Dopo la debacle alle amministrative ripete Casini, «i moderati sono sotto un cumulo di macerie» e ci vogliano «progetti politici nuovi».
VERTICI ABC- «Ho vissuto tanti anni senza vertici, posso continuare a farne a meno» afferma il leader dell'Udc commentando le parole di Angelino Alfano che lunedì ha detto basta ai vertici Abc. «Ho vissuto con e senza vertici e non ho visto tanta differenza» ironizza.
SBAGLIO A PALERMO - «La differenza dello 0,1% con il Pd, questo vi sembra il fallimento di Palermo? Certo sul candidato...». Così Casini commenta l'esito della corsa di Massimo Costa a sindaco di Palermo. «Abbiamo avuto il 26-27% con le liste -fa notare il leader centrista arrivando al consiglio nazionale dell'Udc- e il 12% con il candidato. Qualcosa che non fila c'è, non c'è bisogno di una laurea ad Oxford per capirlo» conclude Casini.
Redazione online
8 maggio 2012 | 13:32
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere.it
Lo spieghi ai forchettoni del Pd che i moderati sono sotto le macerie. Lo spieghi soprattutto a Dalemoni e Bersani che non hanno ancora capito,....o lo hanno capito ma hanno in dispregio la democrazia.
L'ANALISI DEL LEADER UDC DOPO IL VOTO
Casini: moderati sotto un cumulo di macerie
«I partiti tradizionali sono stati sconfitti. Un segnale serio per assumersi responsabilità e non per togliere sostegno a Monti»
MILANO - I risultati del voto amministrativo sono favorevoli per l'Udc ma non soddisfano affatto il leader Pier Ferdinando Casini che si dice «estremamente scontento». «I partiti tradizionali sono stati sconfitti e i moderati sono sotto un cumulo di macerie», dice in una pausa del Consiglio nazionale del suo partito riunito per una prima analisi dell'esito delle amministrative. «Se qualcuno pensa che il messaggio del voto è scaricare Monti, sbaglia. Il risultato - ribadisce Casini - è un segnale molto serio che impone di assumersi responsabilità, non certo di togliere il sostegno al governo».
RIPENSARE IL TERZO POLO - Insomma, secondo Casini «ora più che mai è necessario procedere con le riforme di cui il Paese ha bisogno». Ma per il leader centrista il dato emerso dalle urne riapre le future strategie per l'Udc e più in generale per i moderati. «C'è da andare molto oltre l'Udc, molto oltre il Terzo Polo» dice Casini.
«ME NE ANDREI IN UN EREMO» - Sottolineando la necessità che la politica si fermi per riflettere su quanto sta accadendo, Casini aggiunge; «Io rifletto, sto riflettendo, in politica ogni tanto bisogna fermarsi a pensare». E per ribadire il concetto aggiunge: «Adesso me ne andrei, quasi, in un eremo per poter pensare meglio».
CONFRONTO CON GRILLO -«L'analisi del voto risulta positiva per noi, ma solo in termini strettamente numerici. Siamo l'unico partito oltre i grillini che cresce. Ma questo non significa affatto che siamo contenti. Anzi...». L'ex presidente della Camera non crede «che nel nostro Paese i grillini siano in grado di governare».
VOTI DEL PDL - «I voti di Pdl e Lega non li abbiamo certo presi noi» spiega Casini. Dopo la debacle alle amministrative ripete Casini, «i moderati sono sotto un cumulo di macerie» e ci vogliano «progetti politici nuovi».
VERTICI ABC- «Ho vissuto tanti anni senza vertici, posso continuare a farne a meno» afferma il leader dell'Udc commentando le parole di Angelino Alfano che lunedì ha detto basta ai vertici Abc. «Ho vissuto con e senza vertici e non ho visto tanta differenza» ironizza.
SBAGLIO A PALERMO - «La differenza dello 0,1% con il Pd, questo vi sembra il fallimento di Palermo? Certo sul candidato...». Così Casini commenta l'esito della corsa di Massimo Costa a sindaco di Palermo. «Abbiamo avuto il 26-27% con le liste -fa notare il leader centrista arrivando al consiglio nazionale dell'Udc- e il 12% con il candidato. Qualcosa che non fila c'è, non c'è bisogno di una laurea ad Oxford per capirlo» conclude Casini.
Redazione online
8 maggio 2012 | 13:32
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Re: Come se ne viene fuori ?
Se il PDL continua a sostenere Monti frenando sul da farsi, cosa aspetta Bersani , assicuri a Monti di governare ancora un anno, ma andiamo a votare, con il nuovo Parlamento sarà più semplice fare le giuste riforme.
Re: Come se ne viene fuori ?
Uno se ne voleva andare in Africa. Quest'altro vorrebbe andarsene in un eremo.«ME NE ANDREI IN UN EREMO» - Sottolineando la necessità che la politica si fermi per riflettere su quanto sta accadendo, Casini aggiunge; «Io rifletto, sto riflettendo, in politica ogni tanto bisogna fermarsi a pensare». E per ribadire il concetto aggiunge: «Adesso me ne andrei, quasi, in un eremo per poter pensare meglio».
Ma perché non ci vanno? Andate! Andate!
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Re: Come se ne viene fuori ?
Fassino a Ballarò ci ha ulteriormente fatto capire perché siamo in mezzo a un disastro clamoroso.
Con politici di quel tipo essere a due passi dal disastro è una cosa normalissima. E per fortuna sono stati comunisti.....
Con politici di quel tipo essere a due passi dal disastro è una cosa normalissima. E per fortuna sono stati comunisti.....
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Re: Come se ne viene fuori ?
Questa metamofosi di Fassino rispecchia la situazione che stiamo vivendo. Una situazione al ribasso.camillobenso ha scritto:Fassino a Ballarò ci ha ulteriormente fatto capire perché siamo in mezzo a un disastro clamoroso.
Con politici di quel tipo essere a due passi dal disastro è una cosa normalissima. E per fortuna sono stati comunisti.....
Succede un po' troppo spesso in questi anni che chi si dichiarava di sinistra diventi di destra e viceversa.
C'e'e solo da sperare che questo non possa succedere durante la gestione di un governo.
Ci mancherebbe solo questo per fare bingo
un salutone da Juan
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
Re: Come se ne viene fuori ?
Chi ha paura delle elezioni
di BARBARA SPINELLI
TUTTI ricordiamo le parole che Roosevelt pronunciò il 4 marzo 1933, appena eletto. La crisi che s'accingeva a fronteggiare era simile alla nostra, e disse: "La sola cosa che dobbiamo temere è la paura stessa: l'indicibile, irragionevole, ingiustificato terrore che paralizza gli sforzi necessari per convertire una ritirata in avanzata". Dopo le elezioni in Francia, Italia, Grecia, potremmo applicare la frase ai timori suscitati in molte capitali dai verdetti delle urne.
"La sola cosa che l'Europa deve temere, oggi, è la paura che i tribunali elettorali suscitano nei governanti, nei partiti classici, in chiunque difenda lo status quo pensando che ogni sentiero che si biforca e tenta il nuovo sia una temibile devianza".
È con grande sospetto infatti che si guarda al nuovo Presidente socialista, e non solo quando in gioco è l'economia. Anche la sua politica estera è temuta: la volontà di uscire fin da quest'anno dall'Afghanistan, il rifiuto opposto nel 2009 quando Sarkozy decise di rientrare nel comando militare integrato della Nato. Ma il mutamento che maggiormente indispone e terrorizza è il rinegoziato del patto fiscale (fiscal compact) approvato a marzo da 25 Stati dell'Unione. È qui il nodo più difficile da sciogliere.
I capi d'Europa non troveranno salvezza che in simili mutamenti, ma cocciutamente rifiutano quel che li può salvare, considerandolo dinamite. Si sentono destabilizzati nelle loro certezze, e poco importa se
son certezze empiricamente confutate, se la Merkel dovrà retrocedere comunque, perché senza socialdemocratici il fiscal compact non passerà in Parlamento. Giungono sino a dire che la formidabile spinta a cambiare politica è antipolitica, o conservatrice.
In Grecia il partito d'estrema sinistra (Syriza, Coalizione radicale della sinistra) è divenuto il secondo partito, superando i socialisti del vecchio Pasok, e il suo leader, Alexis Tsipras, sta tentando di formare un governo. Anche lui è tacciato di antipolitica, eppure è un europeista che profetizza il precipizio nella povertà e nel risentimento degli anni '30, se Angela Merkel non capirà la speranza racchiusa nella rabbie popolari. "L'Europa ha disperatamente bisogno di un New Deal stile Roosevelt": non è disfattismo quello di Tsipras, ma ardente appello a un'Unione più forte.
Di questa paura del nuovo converrà liberarsi, in Europa e America, perché anch'essa è terrore irragionevole, non già volontà di ripensare gli errori ma, come la chiamava Tommaso d'Aquino, chiusa non-volontà, nolitio perfecta. Non è un magnifico status quo quello che Hollande vuol rimettere in questione, non è una stabilità radiosa, che avrebbe dato chissà quali buoni frutti. Le urne dicono questo: il bisogno di Europa, di una politica che salvi il continente dal naufragio della disperazione sociale e di una guerra di tutti contro tutti. Il continuo accenno alla Grecia come spauracchio - e capro espiatorio - agitato dai nostri governi a ogni piè sospinto, non è altro che ritorno al vecchio bellicoso equilibrio di potenze nazionali, tra Stati egemoni e Stati protettorati.
Hollande ha in mente non solo l'economia, ma anche l'inerte mutismo europeo su pace e guerra. In Afghanistan la guerra iniziata dall'Occidente sta finendo in catastrofe, come ha spiegato con efficacia il generale Fabio Mini sul Corriere della sera: "È una guerra che stiamo combattendo con onore al fianco degli americani fingendo di non vedere che l'hanno già perduta. Sono stati sconfitti sul campo di battaglia nel 2003, quando dovettero coinvolgere la Nato per l'incapacità di gestire la violenza dei talebani e la corruzione del governo che avevano instaurato. Sono sconfitti ogni giorno sul campo dell'etica militare per l'incapacità di gestire l'eccesso di potenza, la frustrazione e i comportamenti degli squilibrati".
Lo stesso vale per la Nato: strumento che dopo la guerra fredda ha subito modifiche radicali, imposte da Washington e mai seriamente discusse tra europei. Da alleanza difensiva puramente militare, la Nato è divenuta un organo eminentemente politico, che esporta democrazia senza riuscirci, secernendo caos e Stati deboli, dipendenti o riottosi. Non stupisce dunque il fastidio manifestato da Hollande verso la scelta che ha coinvolto Parigi in un comando militare dominato dalla declinante potenza Usa. È bene che un Paese europeo di prima importanza chieda di fermarsi, e si interroghi sul punto cui siamo arrivati: che critichi lo status quo mentale che è dietro le guerre occidentali e dietro alleanze surrettiziamente snaturate. L'Unione, la Nato, i nostri rapporti col nuovo mondo multipolare: la mutazione già è avvenuta; sono la politica e l'Europa a esser sordo-mute, non all'altezza.
Queste battaglie di politica estera, così come le battaglie per un'Europa che sappia resistere alle forze disgregatrici dei mercati, dovranno tuttavia partire da un'unione di forze, da istituzioni comuni che durino più dei governi e diano sicurezza ai cittadini tutti. Che non si limitino più a eseguire gli ordini degli Stati più forti, e di un'ortodossia che non tollera pensieri eretici. Per questo Hollande non va lasciato solo, alle prese con le paure che suscita a Berlino o nelle accademie. Sul tema pace-guerra, come sulle discipline di rigore, occorre che gli Europei si radunino e definiscano senza paura i loro interessi, e le lezioni che vogliono trarre dai voti dei giorni scorsi.
Cosa dicono in ultima istanza le urne, oltre al rifiuto dell'austerità? Dicono che un numero crescente di elettori, a destra e sinistra, cede al richiamo del nazionalismo, della xenofobia, dell'antipolitica perché, pur conoscendo i disastri del richiamo, non vede formarsi uno spazio pubblico, un'agorà europea, in cui vien disegnato un nuovo ordine mondiale. Perché vedono candidati spesso corrotti, oppure governanti ingabbiati in dottrine economiche calamitose e in un ordine mondiale obsoleto, somma caotica di vizi e impotenze nazionali. Non vedono un'Europa ambiziosa, che proponga un modello di pace mondiale e non sia il Leviatano di Hobbes: potere sganciato dalle leggi civili, in assenza del quale (questa la sua propaganda) la vita è destinata a esser "solitaria, povera, incattivita, brutale, e corta". Grillo in Italia non è insensibile a questi richiami, anche se tanti suoi candidati e amministratori non credo siano d'accordo.
La sera della vittoria, alla Bastiglia, Hollande ha annunciato che la Francia vuol divenire un modello in Europa. Ma il grande salto qualitativo lo compirà il giorno in cui, negoziando con i partner, comincerà a esigere che l'Europa in quanto tale divenga modello. Quando dirà: tornerete ad avere fiducia nell'Unione creata nel dopoguerra, perché le abbiamo dato una voce unica e un governo federale dotato di risorse sufficienti a rilanciare l'economia al posto degli Stati costretti al rigore.
La volontà di ripensare la questione pace-guerra ha senso solo se partirà dall'Unione, non da un Paese isolato. L'idea di Kohl, quando nacque l'euro, va ripresa, continuata. La Germania sacrificò il marco sovrano, sperando nell'Europa politica e nella difesa comune. Il no di Mitterrand scatenò nei tedeschi diffidenze che perdurano. Quella stortura va corretta. Non dimentichiamolo: il federalismo europeo è ben più inviso a Parigi che a Berlino.
Lo stesso si dica per le politiche, che non possiamo più delegare agli Usa, verso paesi arabi, Palestina, Russia. Occorre che l'Europa decida se vuol divenire potenza. Una potenza che non getti fuoribordo Atene, trattando i deboli come perdenti in guerra. La fierezza d'esser europei cresce solo così: risuscitando il modello sociale, l'ambizione politica degli inizi. Facendo di tutto perché i presenti tumulti popolari non siano un'occasione di regresso, ma si convertano in ripresa e ricominciamento.
(09 maggio 2012)
http://www.repubblica.it/esteri/2012/05 ... ef=HREC1-2
di BARBARA SPINELLI
TUTTI ricordiamo le parole che Roosevelt pronunciò il 4 marzo 1933, appena eletto. La crisi che s'accingeva a fronteggiare era simile alla nostra, e disse: "La sola cosa che dobbiamo temere è la paura stessa: l'indicibile, irragionevole, ingiustificato terrore che paralizza gli sforzi necessari per convertire una ritirata in avanzata". Dopo le elezioni in Francia, Italia, Grecia, potremmo applicare la frase ai timori suscitati in molte capitali dai verdetti delle urne.
"La sola cosa che l'Europa deve temere, oggi, è la paura che i tribunali elettorali suscitano nei governanti, nei partiti classici, in chiunque difenda lo status quo pensando che ogni sentiero che si biforca e tenta il nuovo sia una temibile devianza".
È con grande sospetto infatti che si guarda al nuovo Presidente socialista, e non solo quando in gioco è l'economia. Anche la sua politica estera è temuta: la volontà di uscire fin da quest'anno dall'Afghanistan, il rifiuto opposto nel 2009 quando Sarkozy decise di rientrare nel comando militare integrato della Nato. Ma il mutamento che maggiormente indispone e terrorizza è il rinegoziato del patto fiscale (fiscal compact) approvato a marzo da 25 Stati dell'Unione. È qui il nodo più difficile da sciogliere.
I capi d'Europa non troveranno salvezza che in simili mutamenti, ma cocciutamente rifiutano quel che li può salvare, considerandolo dinamite. Si sentono destabilizzati nelle loro certezze, e poco importa se
son certezze empiricamente confutate, se la Merkel dovrà retrocedere comunque, perché senza socialdemocratici il fiscal compact non passerà in Parlamento. Giungono sino a dire che la formidabile spinta a cambiare politica è antipolitica, o conservatrice.
In Grecia il partito d'estrema sinistra (Syriza, Coalizione radicale della sinistra) è divenuto il secondo partito, superando i socialisti del vecchio Pasok, e il suo leader, Alexis Tsipras, sta tentando di formare un governo. Anche lui è tacciato di antipolitica, eppure è un europeista che profetizza il precipizio nella povertà e nel risentimento degli anni '30, se Angela Merkel non capirà la speranza racchiusa nella rabbie popolari. "L'Europa ha disperatamente bisogno di un New Deal stile Roosevelt": non è disfattismo quello di Tsipras, ma ardente appello a un'Unione più forte.
Di questa paura del nuovo converrà liberarsi, in Europa e America, perché anch'essa è terrore irragionevole, non già volontà di ripensare gli errori ma, come la chiamava Tommaso d'Aquino, chiusa non-volontà, nolitio perfecta. Non è un magnifico status quo quello che Hollande vuol rimettere in questione, non è una stabilità radiosa, che avrebbe dato chissà quali buoni frutti. Le urne dicono questo: il bisogno di Europa, di una politica che salvi il continente dal naufragio della disperazione sociale e di una guerra di tutti contro tutti. Il continuo accenno alla Grecia come spauracchio - e capro espiatorio - agitato dai nostri governi a ogni piè sospinto, non è altro che ritorno al vecchio bellicoso equilibrio di potenze nazionali, tra Stati egemoni e Stati protettorati.
Hollande ha in mente non solo l'economia, ma anche l'inerte mutismo europeo su pace e guerra. In Afghanistan la guerra iniziata dall'Occidente sta finendo in catastrofe, come ha spiegato con efficacia il generale Fabio Mini sul Corriere della sera: "È una guerra che stiamo combattendo con onore al fianco degli americani fingendo di non vedere che l'hanno già perduta. Sono stati sconfitti sul campo di battaglia nel 2003, quando dovettero coinvolgere la Nato per l'incapacità di gestire la violenza dei talebani e la corruzione del governo che avevano instaurato. Sono sconfitti ogni giorno sul campo dell'etica militare per l'incapacità di gestire l'eccesso di potenza, la frustrazione e i comportamenti degli squilibrati".
Lo stesso vale per la Nato: strumento che dopo la guerra fredda ha subito modifiche radicali, imposte da Washington e mai seriamente discusse tra europei. Da alleanza difensiva puramente militare, la Nato è divenuta un organo eminentemente politico, che esporta democrazia senza riuscirci, secernendo caos e Stati deboli, dipendenti o riottosi. Non stupisce dunque il fastidio manifestato da Hollande verso la scelta che ha coinvolto Parigi in un comando militare dominato dalla declinante potenza Usa. È bene che un Paese europeo di prima importanza chieda di fermarsi, e si interroghi sul punto cui siamo arrivati: che critichi lo status quo mentale che è dietro le guerre occidentali e dietro alleanze surrettiziamente snaturate. L'Unione, la Nato, i nostri rapporti col nuovo mondo multipolare: la mutazione già è avvenuta; sono la politica e l'Europa a esser sordo-mute, non all'altezza.
Queste battaglie di politica estera, così come le battaglie per un'Europa che sappia resistere alle forze disgregatrici dei mercati, dovranno tuttavia partire da un'unione di forze, da istituzioni comuni che durino più dei governi e diano sicurezza ai cittadini tutti. Che non si limitino più a eseguire gli ordini degli Stati più forti, e di un'ortodossia che non tollera pensieri eretici. Per questo Hollande non va lasciato solo, alle prese con le paure che suscita a Berlino o nelle accademie. Sul tema pace-guerra, come sulle discipline di rigore, occorre che gli Europei si radunino e definiscano senza paura i loro interessi, e le lezioni che vogliono trarre dai voti dei giorni scorsi.
Cosa dicono in ultima istanza le urne, oltre al rifiuto dell'austerità? Dicono che un numero crescente di elettori, a destra e sinistra, cede al richiamo del nazionalismo, della xenofobia, dell'antipolitica perché, pur conoscendo i disastri del richiamo, non vede formarsi uno spazio pubblico, un'agorà europea, in cui vien disegnato un nuovo ordine mondiale. Perché vedono candidati spesso corrotti, oppure governanti ingabbiati in dottrine economiche calamitose e in un ordine mondiale obsoleto, somma caotica di vizi e impotenze nazionali. Non vedono un'Europa ambiziosa, che proponga un modello di pace mondiale e non sia il Leviatano di Hobbes: potere sganciato dalle leggi civili, in assenza del quale (questa la sua propaganda) la vita è destinata a esser "solitaria, povera, incattivita, brutale, e corta". Grillo in Italia non è insensibile a questi richiami, anche se tanti suoi candidati e amministratori non credo siano d'accordo.
La sera della vittoria, alla Bastiglia, Hollande ha annunciato che la Francia vuol divenire un modello in Europa. Ma il grande salto qualitativo lo compirà il giorno in cui, negoziando con i partner, comincerà a esigere che l'Europa in quanto tale divenga modello. Quando dirà: tornerete ad avere fiducia nell'Unione creata nel dopoguerra, perché le abbiamo dato una voce unica e un governo federale dotato di risorse sufficienti a rilanciare l'economia al posto degli Stati costretti al rigore.
La volontà di ripensare la questione pace-guerra ha senso solo se partirà dall'Unione, non da un Paese isolato. L'idea di Kohl, quando nacque l'euro, va ripresa, continuata. La Germania sacrificò il marco sovrano, sperando nell'Europa politica e nella difesa comune. Il no di Mitterrand scatenò nei tedeschi diffidenze che perdurano. Quella stortura va corretta. Non dimentichiamolo: il federalismo europeo è ben più inviso a Parigi che a Berlino.
Lo stesso si dica per le politiche, che non possiamo più delegare agli Usa, verso paesi arabi, Palestina, Russia. Occorre che l'Europa decida se vuol divenire potenza. Una potenza che non getti fuoribordo Atene, trattando i deboli come perdenti in guerra. La fierezza d'esser europei cresce solo così: risuscitando il modello sociale, l'ambizione politica degli inizi. Facendo di tutto perché i presenti tumulti popolari non siano un'occasione di regresso, ma si convertano in ripresa e ricominciamento.
(09 maggio 2012)
http://www.repubblica.it/esteri/2012/05 ... ef=HREC1-2
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Re: Come se ne viene fuori ?
Barbara Spinelli scrive un ottimo articolo,
in particolare
Alexis Tsipras, sta tentando di formare un governo. Anche lui è tacciato di antipolitica, eppure è un europeista che profetizza il precipizio nella povertà e nel risentimento degli anni '30.
Si tratta di passare dall'Europa delle banche a quella dei popoli
in particolare
Alexis Tsipras, sta tentando di formare un governo. Anche lui è tacciato di antipolitica, eppure è un europeista che profetizza il precipizio nella povertà e nel risentimento degli anni '30.
Si tratta di passare dall'Europa delle banche a quella dei popoli
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Re: Come se ne viene fuori ?
Bisogna vedere se glielo permettono(le banche). Potrebbe avere la soluzione ma se poi costoro ti chiudono tutte le porte sei da capo.iospero ha scritto:Barbara Spinelli scrive un ottimo articolo,
in particolare
Alexis Tsipras, sta tentando di formare un governo. Anche lui è tacciato di antipolitica, eppure è un europeista che profetizza il precipizio nella povertà e nel risentimento degli anni '30.
Si tratta di passare dall'Europa delle banche a quella dei popoli
Pensa te, se dovrebbe trovare la soluzione, cambierebbe tutta questa ns. Europqa (dis)Unita?
Che ne dici?
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Come se ne viene fuori ?
Day after day
A 48 ore dal termine di un weekend di paura ci accorgiamo che queste elezioni sono state un vero terremoto per la politica italiana.
Chi ha dato la migliore interpretazione di quello che è accaduto è Pierazzurro che dichiara che i “moderati” sono sotto le macerie.
Leggere oggi La Repubblica è più divertente che andare al Bagaglino, e in più il biglietto, pardon, ticket, costa decisamente di meno.
Scrive Carmelo Lopapa che si occupa del Pdl:
Riabbracciare Casini, unire due debolezze, un Pdl sull’orlo del crac elettorale e un terzo polo rimasto al palo. Silvio Berlusconi rientra da Mosca d’umore nero. E detta le condizioni per rilanciare il partito che rischia di piaggiarsi all’ombra del governo Monti negli ultimi mesi di legislatura., se non di esplodere.
*
Sarà anche una cattiveria, ma ogni volta che leggo che Silviolo è nero mi torna il buonumore.
E’ musica celestiale leggere che il Pdl potrebbe esplodere prossimamente qui su questo schermo.Nanni Moretti non aveva previsto questo finale con il partito del caimano che esplode. Dopo quasi vent’anni di minchiate di tutti i generi sentire che si avvicina l’ora fatale della fine è liberatorio e consolatorio.
E’ divertente anche apprendere che il caimano vorrebbe riabbracciare Pier. E’ proprio vero, il luogo della politica è una grande casa di tolleranza. Ma nella pagina accanto si legge che Pierconfusionando, ha sciolto il terzo pollo e sta facendo un pensierino ad un nuovo partito dei moderati ma senza Berlusconi. I tempi in cui saltavano tutti felici sui palchi gridando: <<Chi non salta comunista è..>>, sono oramai consegnati alla storia,… appartengono ad un'altra era glaciale.
Tra le macerie uno gira cercando l’altro per sorreggersi a Vicenza. L’altro, il più giovane, scantona perché ha altro per la testa. Silvio bollito non convince più nessuno. Tutti e due comunque sognano di diventare i nuovi padroni dei “moderati”.
Moderati? …..Ma che moderati e moderati, in fondo alla pagina ci sta pure l’intervista a quella marescialla dei Lagunari di nome Santadeché. Moderata lei??????????? Allora Borghezio è un santo.
A 48 ore dal termine di un weekend di paura ci accorgiamo che queste elezioni sono state un vero terremoto per la politica italiana.
Chi ha dato la migliore interpretazione di quello che è accaduto è Pierazzurro che dichiara che i “moderati” sono sotto le macerie.
Leggere oggi La Repubblica è più divertente che andare al Bagaglino, e in più il biglietto, pardon, ticket, costa decisamente di meno.
Scrive Carmelo Lopapa che si occupa del Pdl:
Riabbracciare Casini, unire due debolezze, un Pdl sull’orlo del crac elettorale e un terzo polo rimasto al palo. Silvio Berlusconi rientra da Mosca d’umore nero. E detta le condizioni per rilanciare il partito che rischia di piaggiarsi all’ombra del governo Monti negli ultimi mesi di legislatura., se non di esplodere.
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Sarà anche una cattiveria, ma ogni volta che leggo che Silviolo è nero mi torna il buonumore.
E’ musica celestiale leggere che il Pdl potrebbe esplodere prossimamente qui su questo schermo.Nanni Moretti non aveva previsto questo finale con il partito del caimano che esplode. Dopo quasi vent’anni di minchiate di tutti i generi sentire che si avvicina l’ora fatale della fine è liberatorio e consolatorio.
E’ divertente anche apprendere che il caimano vorrebbe riabbracciare Pier. E’ proprio vero, il luogo della politica è una grande casa di tolleranza. Ma nella pagina accanto si legge che Pierconfusionando, ha sciolto il terzo pollo e sta facendo un pensierino ad un nuovo partito dei moderati ma senza Berlusconi. I tempi in cui saltavano tutti felici sui palchi gridando: <<Chi non salta comunista è..>>, sono oramai consegnati alla storia,… appartengono ad un'altra era glaciale.
Tra le macerie uno gira cercando l’altro per sorreggersi a Vicenza. L’altro, il più giovane, scantona perché ha altro per la testa. Silvio bollito non convince più nessuno. Tutti e due comunque sognano di diventare i nuovi padroni dei “moderati”.
Moderati? …..Ma che moderati e moderati, in fondo alla pagina ci sta pure l’intervista a quella marescialla dei Lagunari di nome Santadeché. Moderata lei??????????? Allora Borghezio è un santo.
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