LA SFIDA del REFERENDUM

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camillobenso
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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CONTRO IL COLPO DI STATO VOLUTO DA J.P.MORGAN




Diretta a I CITTADINI
Referendum costituzionale. Firma per le ragioni del No e per bloccare l'Italicum

Il Fatto Quotidiano

Manca ormai solo il voto della Camera ad aprile per l'approvazione di una revisione costituzionale che riduce il Senato a un'assemblea non eletta dai cittadini e sottrae poteri alle Regioni per consegnarli al governo, mentre scompaiono le Province.

Potevano essere trovate altre soluzioni, equilibrate, di modifica dell’assetto istituzionale, ascoltando le osservazioni, le proposte, le critiche emerse perfino nel seno della maggioranza. Si è preferito forzare la mano creando un confuso pasticcio istituzionale, non privo di seri pericoli. La revisione sarà oggetto di referendum popolare nel prossimo autunno, ma la conoscenza in proposito è scarsissima. I cittadini, cui secondo Costituzione appartiene la sovranità, non sono mai stati coinvolti nella discussione. Domina la scena la voce del governo che ha voluto e dettato al Parlamento questa deformazione della Costituzione, che viene descritta come passo decisivo per la semplificazione dell'attività legislativa e per il risparmio sui costi della politica: il risparmio è tutto da dimostrare e la semplificazione non ci sarà. Avremo invece la moltiplicazione dei procedimenti legislativi e la proliferazione di conflitti di competenza tra Camera e nuovo Senato, tra Stato e Regioni. Il risultato è prevedibile: sono ridotte le autonomie locali e regionali, l'iniziativa legislativa passa decisamente dal Parlamento al governo, in contraddizione con il carattere parlamentare della nostra Repubblica, e per di più il governo non sarà più l'espressione di una maggioranza del paese.

Già l’attuale parlamento è stato eletto con una legge elettorale definita Porcellum. Ancora di più in futuro: con la nuova legge elettorale (c.d. Italicum) - risultato di forzature parlamentari e di voti di fiducia - una minoranza, grazie ad un abnorme premio di maggioranza e al ballottaggio, si impadronirà alla Camera di 340 seggi su 630.

Ridotto a un'ombra il Senato, il Presidente del consiglio avrà il dominio incontrastato sui deputati in pratica da lui stesso nominati. Gli organi di garanzia (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, Csm) ne usciranno ridimensionati, o peggio subalterni. Se questa revisione costituzionale sarà definitivamente approvata la Repubblica democratica nata dalla Resistenza ne risulterà stravolta in profondità. E’ gravissimo che un Parlamento eletto con una legge giudicata incostituzionale dalla Corte abbia sconvolto il patto costituzionale che sorregge la vita politica e sociale del nostro paese.

Nel deserto della comunicazione pubblica e con la Rai sempre più nelle mani del governo, chiediamo a tutte le persone di cultura e di scienza di esprimersi in un vasto dibattito pubblico, anzitutto per informare e poi per invitare i cittadini a partecipare in tutte le forme possibili per ottenere i referendum, firmando la richiesta, e per bocciare con il voto nei referendum queste pessime leggi. Sentiamo forte e irrinunciabile il compito di costruire e diffondere conoscenza per giungere al voto con una piena consapevolezza popolare, prima nel referendum sulla Costituzione e poi nei referendum abrogativi sulla legge elettorale. Per ottenere questi referendum sulla Costituzione e sulla legge elettorale occorrono almeno 500.000 firme, per questo dal prossimo aprile vi invitiamo a sostenere pienamente questo impegno.

Facciamo appello a tutte le persone di buona volontà affinché diano il loro contributo creativo a questo essenziale dovere civico.

Nicola Acocella, Marco Albeltaro, Vittorio Angiolini, Alberto Asor Rosa, Gaetano Azzariti, Michele Bacci, Andrea Bajani, Laura Barile, Carlo Bertelli, Francesco Bilancia, Franco Bile, Sofia Boesch, Ginevra Bompiani, Sandra Bonsanti, Mario Bova, Giuseppe Bozzi, Alberto Bradanini, Alberto Burgio, Maria Agostina Cabiddu, Giuseppe Campione, Luciano Canfora, Paolo Caretti, Lorenza Carlassare, Loris Caruso, Riccardo Chieppa, Luigi Ciotti, Pasquale Colella, Daria Colombo, Michele Conforti, Fernanda Contri, Girolamo Cotroneo, Nicola D’Angelo, Claudio De Fiores, Claudio Della Valle, Ida Dominijanni, Angelo D’Orsi, Roberto Einaudi, Vittorio Emiliani, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Vincenzo Ferrari, Maria Luisa Forenza, Patrizia Fregonese, Mino Gabriele, Alberto Gajano, Giuseppe Rocco Gembillo, Roberto Giannarelli, Paul Ginsborg, Antonio Giuliano, Fabio Grossi, Riccardo Guastini, Monica Guerritore, Elvira Guida, Leo Gullotta, Alexander Hobel, Elena Lattanzi, Paolo Leon, Antonio Lettieri, Rosetta Loy, Paolo Maddalena, Valerio Magrelli, Luciano Manisco, Fiorella Mannoia, Maria Mantello, Ivano Marescotti, Annibale Marini, Anna Marson, Federico Martino, Enzo Marzo, Citto Maselli, Stefano Merlini, Gian Giacomo Migone, Giuliano Montaldo, Tomaso Montanari, Paolo Napolitano, Giorgio Nebbia, Guido Neppi Modona, Diego Novelli, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Oldoni, Moni Ovadia, Alessandro Pace, Valentino Pace, Antonio Padellaro, Giovanni Palombarini, Giorgio Parisi, Gianfranco Pasquino, Valerio Pocar, Daniela Poggi, Michele Prospero, Alfonso Quaranta, Antonella Ranaldi, Norma Rangeri, Ermanno Rea, Giuseppe Ugo Rescigno, Marco Revelli, Stefano Rodotà, Umberto Romagnoli, Gennaro Sasso, Vincenzo Scalisi, Giacomo Scarpelli, Silvia Scola, Giuseppe Sergi, Tullio Seppilli, Toni Servillo, Salvatore Settis, Armando Spataro, Barbara Spinelli, Corrado Stajano, Mario Tiberi, Alessandro Torre, Aldo Tortorella, Nicola Tranfaglia, Marco Travaglio, Nadia Urbinati, Gianni Vattimo, Daniele Vicari, Massimo Villone, Maurizio Viroli, Mauro Volpi, Roberto Zaccaria, Gustavo Zagrebelsky, Alex Zanotelli.
camillobenso
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

Messaggio da camillobenso »

CHI DIMENTICA LA STORIA E' COSTRETTO A RIVIVERLA
Primo Levi


E gli italiani se la sono dimenticata, o i giovani la ignorano.



Legge Acerbo
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Legge Acerbo
Titolo esteso Legge 18 novembre 1923. Modificazioni alla legge elettorale politica N. 2444, testo unico 2 settembre 1919, D. 1495.
Tipo Legge
Stato abrogata
Legislatura XXVI
Proponente Giacomo Acerbo
Schieramento PNF, PLI, PLD, PDSI, PA, PPI, PRI
Date fondamentali
Promulgazione 18 novembre 1923
A firma di Vittorio Emanuele III
Abrogazione 10 marzo 1946
Testo
Link al testo Legge 18 novembre 1923. Modificazioni alla legge elettorale politica N. 2444, testo unico 2 settembre 1919, D. 1495.

Giacomo Acerbo, redattore della legge che portò il suo nome
La legge 18 novembre 1923, n. 2444, nota come Legge Acerbo (dal nome del deputato Giacomo Acerbo che ne redasse il testo)[1], fu una legge elettorale del Regno d'Italia, adottata dal Regno nelle elezioni politiche italiane del 1924.

Fu voluta da Benito Mussolini per assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare.

Indice [nascondi]
1 L'iter parlamentare
2 Il meccanismo elettorale
3 Gli effetti
4 Note
5 Bibliografia
6 Voci correlate
7 Collegamenti esterni
L'iter parlamentare[modifica | modifica wikitesto]
Il disegno di legge, redatto dall'allora sottosegretario alla presidenza del consiglio Giacomo Acerbo, fu approvato il 4 giugno 1923 dal Consiglio dei ministri presieduto da Mussolini. Il successivo 9 giugno venne presentato alla Camera dei deputati e sottoposto all'esame di una commissione – detta dei “diciotto” – nominata dal presidente Enrico De Nicola, secondo il criterio della rappresentanza dei gruppi.

La commissione fu composta da Giovanni Giolitti (con funzioni di presidente), Vittorio Emanuele Orlando per il gruppo della "Democrazia" e Antonio Salandra per i liberali di destra (entrambi con funzioni di vicepresidente), Ivanoe Bonomi per il gruppo riformista, Giuseppe Grassi per i demoliberali, Luigi Fera e Antonio Casertano per i demosociali, Alfredo Falcioni per la “Democrazia Italiana” (nittiani e amendoliani), Pietro Lanza di Scalea per gli agrari, Alcide De Gasperi e Giuseppe Micheli per i popolari, Giuseppe Chiesa per i repubblicani, Costantino Lazzari per i socialisti, Filippo Turati per i socialisti unitari, Antonio Graziadei per i comunisti, Raffaele Paolucci e Michele Terzaghi per i fascisti e Paolo Orano per il gruppo misto (in realtà era anche lui fascista)[2].

Il sistema delineato dal disegno di legge Acerbo andava a modificare il sistema proporzionale in vigore dal 1919, integrandolo con un premio di maggioranza in quota fissa, pari ai 2/3 dei seggi, a beneficio del partito più votato qualora questo avesse superato il quorum del 25%. Durante la discussione in commissione, i popolari avanzarono numerose proposte di modifica, prima cercando di ottenere l'innalzamento del quorum al 40% dei votanti e poi l'abbassamento del premio al 60% dei seggi. Ogni tentativo di mediazione fu però vano e la commissione licenziò l'atto nel suo impianto originale, esprimendo parere favorevole a seguito di una votazione terminata 10 a 8.[3][4].

Il disegno di legge venne quindi rimesso al giudizio dell'aula, dove le opposizioni tentarono nuovamente di modificarlo: esse confluirono attorno ad un emendamento presentato da Bonomi, che proponeva ancora di alzare il quorum per lo scatto del premio di maggioranza dal 25% al 33% dei voti espressi. Il tentativo fallì, anche per la rigida posizione assunta dal governo, che, opponendo la fiducia, riuscì a prevalere (seppur di stretta misura): su 336 presenti in 178 votarono a favore della fiducia e contro l'emendamento, 157 a favore dell'innalzamento della soglia e contro il governo. Decisivo risultò il numero degli assenti - ben 53 - che avrebbero potuto orientare in modo diverso l'esito del voto[5][6].

Il 21 luglio del 1923 il disegno di legge Acerbo venne infine approvato dalla Camera con 223 sì e 123 no. A favore si schierarono il Partito Nazionale Fascista, buona parte del Partito Popolare Italiano (il cui deputato più noto fu Stefano Cavazzoni, poi espulso dal partito con gli altri dissidenti)[7], una vasta maggioranza dei componenti dei gruppi parlamentari di tendenze liberali e la quasi totalità degli esponenti della destra, fra i quali Antonio Salandra. Negarono il loro appoggio i deputati dei gruppi socialisti, i comunisti, la sinistra liberale e quei popolari che facevano riferimento a don Sturzo. La riforma entrò in vigore con l'approvazione del Senato del Regno, avvenuta il 18 novembre, secondo altre fonti il 14 novembre,[8] con 165 sì e 41 no. Nella discussione del disegno di legge presso il Senato ebbe un ruolo di primo piano il senatore Gaetano Mosca.

Il meccanismo elettorale[modifica | modifica wikitesto]
La Legge Acerbo prevedeva l'adozione di un sistema proporzionale con premio di maggioranza, all'interno di un collegio unico nazionale, suddiviso in 16 circoscrizioni elettorali. A livello circoscrizionale ogni lista poteva presentare un numero di candidati che oscillava da un minimo di 3 a un massimo dei due terzi di quelli eleggibili (non più di 356 su 535); oltre al voto di lista era ammesso il voto di preferenza.

Il risultato nel collegio unico era decisivo per determinare la distribuzione dei seggi: nel caso in cui la lista più votata a livello nazionale avesse superato il 25% dei voti validi, avrebbe automaticamente ottenuto i 2/3 dei seggi della Camera dei Deputati, eleggendo in blocco tutti i suoi candidati; in questo caso tutte le altre liste si sarebbero divise il restante terzo dei seggi, sulla base di criteri simili a quelli della legge elettorale del 1919. Nel caso in cui nessuna delle liste concorrenti avesse superato il 25% dei voti, non sarebbe stato assegnato alcun premio di maggioranza e la totalità dei seggi sarebbe stata ripartita tra le liste concorrenti in proporzione ai voti ricevuti ancora secondo i principi della legge elettorale del 1919.

In sede di approvazione la propaganda fascista spacciò per democratico tale meccanismo di ripartizione dei seggi, affermando che il diritto di tribuna alle minoranze era garantito da quel terzo dei seggi dell'assise parlamentare, che sarebbe stato loro assegnato comunque, anche qualora fossero complessivamente rimaste al di sotto del 33% dei suffragi.

Rispetto alla precedente legge elettorale, la legge Acerbo ridusse inoltre l'età minima per l'eleggibilità da 30 a 25 anni, abolì l'incompatibilità per le cariche amministrative di sindaco e deputato provinciale, e per i funzionari pubblici (ad eccezione di prefetti, viceprefetti e agenti di pubblica sicurezza). Altra importante innovazione fu l'adozione della scheda elettorale al posto della busta.[9]

Gli effetti[modifica | modifica wikitesto]
Le elezioni del 6 aprile 1924 avvennero in un clima di intimidazioni (un candidato socialista fu ucciso, diversi candidati di sinistra furono feriti, ovunque furono impediti i comizi, bruciati i giornali, impedito l'attacchinaggio dei manifesti, anche attaccando le stamperie) e con brogli anche superiori alla media (alta) dell'Italia dell'epoca. Il Listone Mussolini prese il 60,09% dei voti, un livello, come previsto, di molto superiore al quorum del 25% che assicurava il premio di maggioranza: i fascisti trovarono il modo di limare anche il numero di seggi garantiti alle minoranze, alla cui spartizione riuscirono a partecipare mediante una lista civetta (la lista bis) che, presentata in varie regioni, strappò ulteriori 19 scranni. Le opposizioni di centro e sinistra ottennero solo 161 seggi, nonostante al Nord fossero in maggioranza con 1.317.117 voti contro i 1.194.829 del Listone.

Nel complesso, le opposizioni raccolsero 2.511.974 voti, pari al 35,1%. In diverse circoscrizioni, soprattutto meridionali, il voto non fu esercitato in condizioni di libertà, ma in maniera palese e con la presenza di esponenti fascisti nei seggi e nelle cabine elettorali, mentre i prefetti ebbero ordini di contrastare l'astensionismo convogliando voti a favore del governo, il che rende rimarchevole il risultato delle opposizioni. Inoltre il listone nazionale di Mussolini aveva assorbito le macchine elettorali di molti partiti di centro e di centro destra, e transfughi (detti "traditori") del sardismo e del partito popolare, garantendosi una base elettorale più larga del semplice fascismo, oltre che vari specialisti del voto di scambio.

Alessandro Visani scrisse sull'importanza politica della legge[10]:

« L'approvazione di quella legge fu - questa la tesi sostenuta da Giovanni Sabbatucci, pienamente condivisibile - un classico caso di "suicidio di un'assemblea rappresentativa", accanto a quelli "del Reichstag che vota i pieni poteri a Hitler nel marzo del 1933 o a quello dell'Assemblea Nazionale francese che consegna il paese a Pétain nel luglio del 1940". La riforma fornì all'esecutivo "lo strumento principe – la maggioranza parlamentare – che gli avrebbe consentito di introdurre, senza violare la legalità formale, le innovazioni più traumatiche e più lesive della legalità statuaria sostanziale, compresa quella che consisteva nello svuotare di senso le procedure elettorali, trasformandole in rituali confirmatori da cui era esclusa ogni possibilità di scelta »
camillobenso
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

Messaggio da camillobenso »

20 APR 2016 11:09
FELTRI: "ABBIAMO SOSTITUITO IL VOTO POLITICO CON I REFERENDUM. DOPO LE TRIVELLE, IL PLEBISCITO D'AUTUNNO, CHE SARA' PRIVO DI QUORUM, NON VERTERÀ SULLA SOSTANZA DELLE QUESTIONI, BENSÌ SU RENZI. UN VOTO IN MENO E VA A CASA”
Feltri: “Del Senato più che dimezzato non importa un'acca a nessuno, idem delle Regioni; l' opposizione sarà dunque impegnata a detronizzare Renzi, e la maggioranza, viceversa, a difenderlo e mantenerlo a Palazzo Chigi…”


http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 123094.htm
camillobenso
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

Messaggio da camillobenso »

L’ULTIMA BATTAGLIA


.
Mussolini per prendere il potere è stato costretto a fare la Marcia su Roma. Con il consenso dei poteri forti dell’epoca.

A Mussolini II, è bastato l'incarico dell'agente della CIA e della Massoneria su ordine dall'alto.



Adesso si tratta di formalizzare il COLPO DI STATO, con il voto referendario sul cambio della Costituzione ad ottobre.

Come Mussolini I lo ha formalizzato con il voto della legge Acerbo nel 1924.

Con la valutazione odierna, che la libertà di stampa in Italia, siamo posti al 77esimo posto nel mondo, dopo il Nicaragua, si può comprendere che abbiamo perso la libertà, e siamo immersi in un regime di tipo fascista, mascherato da “democrazia”.

L’ultima formalità è a ottobre per dare il via al Pinocchione fiorentino che aspira a diventare MUSSOLINI II.

Noi abbiamo l’ultima possibilità per fermarlo.

Ma gli italiani sono narcotizzati, e con il cervello in lavatrice che sta facendo i vari programmi.

LAVAGGIO, CONTROLAVAGGIO, CANDEGGIO, CENTRIFUGA.

DOMANDA

NOI COSA POSSIAMO FARE PER NON PERDERE L’ULTIMA BATTAGLIA DI LIBERTA’?????



^^^^^


“Renzi sbaglia, il referendum
può diventare un autogol”



» LUCA DE CAROLIS
L’unica vera arma degli
oppositori della
riforma costituzionale
è trasformare il
referendum di ottobre in un
voto contro Matteo Renzi. E
il paradosso è che quest’arma
gliel’ha fornita proprio il presidente
del Consiglio”. Il politologo
Piero Ignazi ne è
convinto: “Renzi si sarà pentito
di aver definito il referendum
una consultazione su di
sé e sul proprio governo”.
Perché?
Mesi fa il presidente del Consiglio
disse che questa sarà la
partita in cui si giocherà tutto,
e che se la perde andrà a
casa. Ma quando ha pronunciato
queste parole era molto
più popolare nel Paese, e pensava
che personalizzare la
consultazione potesse solo
giovargli. Alla luce del minore
consenso di cui gode ora, si
può dire che abbia commesso
un errore esponendosi così.
Non a caso, negli ultimi giorni
Renzi ha ricalibrato il messaggio.
A guardare i risultati del referendum
sulle trivelle però
non pare rischiare. Renzi ha
vinto, non crede?
No, non ha vinto nessuno. Il
risultato galleggia tra il positivo
e il negativo, per tutti.
Perché è vero che il livello di
partecipazione è rimasto
lontano dal quorum. Ma è altrettanto
evidente che, stando
a questi numeri, in Italia
esiste un’opposizione.
Per merito di chi, della sinistra o del M5S?
Il fronte del sì non ha avuto
un vero araldo. I Cinque Stelle
non sono stati in prima fila,
anche per motivi contingenti
come la scomparsa di Casaleggio.
Di fatto, il referendum
sulle piattaforme petrolifere
non era caratterizzato politicamente.
Però in alcune regioni,
quelle dove il problema
è più sentito, c’è stata una mobilitazione.
La campagna referendaria è
stata anche un congresso
del Pd? Renzi è andato dritto
contro il governatore della
Puglia Emiliano.
Assolutamente no. Il dibattito
interno nel Pd si sta rianimando
solo ora, per due anni
la minoranza si è limitata a
malumori.
Però ora si viaggia verso il
referendum di ottobre. Renzi
parte in vantaggio?
Certamente, perché potrà
puntare su slogan semplici ed
efficaci, come il taglio dei senatori,
e quindi dei costi. Per
le opposizioni sarà durissima.
Su cosa potranno puntare?
Sulla riduzione degli spazi
democratici?
No, quello è un argomento
che non può stare in piedi.
Piuttosto, potrebbero mettere
in luce la ridicola composizione
del nuovo Senato,
formato da consiglieri regionali
senza indennità, che verranno
in gita a Roma. Ma non
potrà bastare.
La forza degli slogan...
Guardi, sarà anche un confronto
tra il populismo degli
slogan del governo e la razionalità,
che non può che mettere
in luce le contraddizioni
e i nodi di una legge pessima,
confusa. L’hanno approvata
con una maggioranza governativa,
senza un vero e approfondito
dibattito pubblico.
E allora?
E allora torniamo al punto di
partenza, l’unica strada per
fermare questa riforma è trasformare
il referendum in un
voto su Renzi, politicizzarlo
il più possibile. Come si dice,
à la guerre comme à la guerre.
Per vincerla serve un leader
degli oppositori? Luigi Di
Maio ha detto di essere
pronto a candidarsi premier:
potrebbe giocare da
anti-Renzi anche la battaglia
referendaria?
Dipende da cosa decidedecideranno
i 5Stelle, che sono una
pentola a pressione: soprattutto
ora. Se Grillo non torna
in prima linea, mettendo da
parte i suoi spettacoli, rischiano
di implodere.
Hanno un Direttorio, una
struttura: potrebbero
reggere.
Sì, però i tempi dell’infanzia
sono finiti. Ormai il M5S è entrato
nell’età matura.
Per vincere dovrà fare asse
con la sinistra, quella dentro
e fuori il Pd.
Sono mondi diversi, non possono
viaggiare assieme.
Renzi è davvero in grande
vantaggio.
Sì. Ma la partita va ancora
giocata. E mancano ancora
dei mesi.
Twitter @lucadecarolis
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Da Il Fatto Quotidiano di oggi

Intervista a PIERO IGNAZI
camillobenso
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

Messaggio da camillobenso »

Secondo le rilevazioni dell'Istituto Ixè in esclusiva per Agorà Rai3 il partito del presidente del Consiglio a una settimana dalla consultazione sulle trivelle segna un meno 1,3 per cento. Se si votasse oggi al referendum confermativo del ddl Boschi, il 53% sarebbe per il sì e il 47% per il no
di F. Q. | 22 aprile 2016


COSA POSSIAMO FARE PER EVITARE DI SPERIMENTARE L'AVVENTURA DI MUSSOLINI II, SE DOVESSE VINCERE IL REFERENDUM DI OTTOBRE?????????


SECONDO I DETTAMI DI J.P. MORGAN. CHE RITIENE LA NOSTRA COSTITUZIONE TROPPO SOCIALISTA
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

Messaggio da camillobenso »

L’ULTIMA BATTAGLIA


Il Potere si è messo in moto per far vincere i SI a ottobre.

Ieri, Mattarella è uscito dal congelatore e ha parlato.

Ovviamente è schierato dalla parte dei suoi padroni.


Ieri sul Fatto Quotidiano si poteva leggere:

Mattarella stile Re Giorgio:
“La riforma ci serve”


Nuova Costituzione. Il Quirinale scrive sulla rivista Italiani Europei:
“La Repubblica deve saper rinnovarsi servono strumenti più efficaci”

Sergio Mattarella mente sapendo di mentire.

La Repubblica in questo momento ha bisogno di mettere da parte i ladri, i corrotti e i banditi che infestano il Parlamento.

Su questo il Presidente tace e vuole dare un aiuto alla seconda legge Acerbo per dare il via al secondo fascismo mascherato travestito impropriamente da democrazia.

Secondo i dettami dei suoi padroni di oltre Atlantico:

J.P. Morgan

JP Morgan all’Eurozona: “Sbarazzatevi delle costituzioni antifasciste”
18 giugno 2013, di Redazione Wall Street Italia


http://www.wallstreetitalia.com/jp-morg ... ifasciste/
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

Messaggio da camillobenso »

Luciano Canfora: attacco alla Costituzione, una lunga storia
Scritto il 27/4/16 • nella Categoria: segnalazioni

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L’attacco alla Costituzione partì già quasi all’indomani del suo varo. Il 2 agosto 1952 Guido Gonella, all’epoca segretario politico della Democrazia cristiana, chiedeva – in un pubblico comizio – di riformare la Costituzione italiana, entrata in vigore appena tre anni e mezzo prima, il 1 gennaio 1948. Si trattava di un discorso tenuto a Canazei, in Trentino, e la richiesta di riforma mirava – come egli si espresse – a «rafforzare l’autorità dello Stato», ad eliminare cioè quelle «disfunzioni della vita dello Stato che possono avere la loro radice nella stessa Costituzione». E concludeva, sprezzante: «la Costituzione non è il Corano!» (Il nuovo Corriere, Firenze, 3 agosto 1952). Nello stesso intervento, il segretario della Dc, richiamandosi più volte a De Gasperi, chiedeva di modificare la legge elettorale, che – essendo proporzionale – dava all’opposizione (Pci e Psi) una notevole rappresentanza parlamentare. L’idea lanciata allora, in piena estate, era di costituire dei «collegi plurinominali», onde favorire i partiti che si presentassero alle elezioni politiche «apparentati» (Dc e alleati).Come si vede, sin da allora l’attacco alla Costituzione e alla legge elettorale proporzionale (la sola che rispetti l’articolo 48 della Costituzione, che sancisce il «voto uguale») andavano di pari passo. Pochi mesi dopo, alla ripresa dell’attività parlamentare fu posto in essere il progetto di legge elettorale (scritta da Scelba e dall’ex-fascista Tesauro, rettore a Napoli e ormai parlamentare democristiano) che è passata alla storia come «legge truffa». Imposta, contro l’ostruzionismo parlamentare, da un colpo di mano del presidente del senato Meuccio Ruini, quella legge fu bocciata dagli elettori, il cui voto (il 7 giugno 1953) non fece scattare il cospicuo «premio di maggioranza» previsto per i partiti «apparentati». L’istanza di cambiare la Costituzione al fine di dare più potere all’esecutivo divenne poi, per molto tempo, la parola d’ordine della destra, interna ed esterna alla Dc, spalleggiata dal movimento per la «Nuova Repubblica» guidato da Randolfo Pacciardi (repubblicano poi espulso da Pri), postosi in pericolosa vicinanza – nonostante il suo passato antifascista – con i vari movimenti neofascisti, che una «nuova Repubblica» appunto domandavano.La sconfitta della «legge truffa» alle elezioni del 1953 mise per molto tempo fuori gioco le spinte governative in direzione delle due riforme care alla destra: cambiare la Costituzione e cambiare in senso maggioritario la legge elettorale proporzionale. Che infatti resse per altri 40 anni. Quando, all’inizio degli anni Novanta, la sinistra, ansiosa di cancellare il proprio passato, capeggiò il movimento – ormai agevolmente vittorioso – volto ad instaurare una legge elettorale maggioritaria, il colpo principale alla Costituzione era ormai sferrato. Ammoniva allora, inascoltato, Raniero La Valle che cambiare legge elettorale abrogando il principio proporzionale significava già di per sé cambiare la Costituzione. (Basti pensare, del resto, che, con una rappresentanza parlamentare truccata grazie alle leggi maggioritarie, gli articoli della Costituzione che prevedono una maggioranza qualificata per decisioni cruciali perdono significato). Ma la speranza della nuova leadership di sinistra (affossatasi più tardi nella scelta suicida di assumere la generica veste di partito democratico) era di vincere le elezioni al tavolo da gioco. Oggi è il peggior governo che l’ex-sinistra sia stata capace di esprimere a varare, a tappe forzate e a colpi di voti di fiducia, entrambe le riforme: quella della legge elettorale, finalmente resa conforme ad un tavolo da poker, e quella della Costituzione.Ma perché, e in che cosa, la Costituzione varata alla fine del 1947 dà fastidio? Si sa che la destra non l’ha mai deglutita, non solo per principi fondamentali (e in particolare per l’articolo 3) ma anche, e non meno, per quanto essa sancisce sulla prevalenza dell’«utilità sociale» rispetto al diritto di proprietà (agli articoli 41 e 42). Più spiccio di altri, Berlusconi parlava – al tempo suo – della nostra Costituzione come di tipo «sovietico»; il 19 agosto 2010 il “Corriere della Sera” pubblicò un inedito dell’appena scomparso Cossiga in cui il presidente-gladiatore definiva la nostra costituzione come «la nostra Yalta». E sullo stesso giornale il 12 agosto 2003 il solerte Ostellino aveva richiesto la riforma dell’articolo 1 a causa dell’intollerabile – a suo avviso – definizione della Repubblica come «fondata sul lavoro». E dieci anni dopo (23 ottobre 2013) tornava alla carica (ma rimbeccato) chiedendo ancora una volta la modifica del nostro ordinamento: questa volta argomentando «che nella stesura della prima parte della Costituzione – quella sui diritti – ebbe un grande ruolo Palmiro Togliatti, l’uomo che avrebbe voluto fare dell’Italia una democrazia popolare sul modello dell’Urss». Di tali parole non è tanto rimarchevole l’incultura storico-giuridica quanto commovente è il pathos, sia pure mal riposto.Dà fastidio il nesso che la Costituzione, in ogni sua parte, stabilisce tra libertà e giustizia. Dà fastidio – e lo lamentano a voce spiegata i cosiddetti «liberali puri» convinti che finalmente sia giunta la volta buona per il taglio col passato – che la nostra Costituzione sancisca oltre ai diritti politici i diritti sociali. Vorrebbero che questi ultimi venissero confinati nella legislazione ordinaria, onde potersene all’occorrenza sbarazzare a proprio piacimento, come è accaduto dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La coniugazione di libertà e giustizia era già nei principi generali della Costituzione della prima Repubblica francese (1793): «La libertà ha la sua regola nella giustizia». Ed è stata poi presente nelle costituzioni – italiana, francese della IV Repubblica, tedesca – sorte dopo la fine del predominio fascista sull’Europa: fine sanguinosa, cui i movimenti di resistenza diedero un contributo che non solo giovò all’azione degli eserciti (alleati e sovietico) ma che connotò politicamente quella vittoria. Nel caso del nostro paese, è ben noto che l’azione politico-militare della Resistenza fu decisiva per impedire che – secondo l’auspicio ad esempio di Churchill – il dopofascismo si risolvesse nel mero ripristino dell’Italia prefascista magari serbando l’istituto monarchico.La grande sfida fu, allora, di attuare un ordinamento, e preparare una prassi, che andassero oltre il fascismo: che cioè tenessero nel debito conto le istanze sociali che il fascismo, pur recependole, aveva però ingabbiato, d’intesa coi ceti proprietari, nel controllo autoritario dello Stato di polizia, e sterilizzato con l’addomesticamento dei sindacati. La sfida che ebbe il fulcro politico-militare nell’insurrezione dell’aprile ‘45 e trovò forma sapiente e durevole nella Costituzione consisteva dunque – andando oltre il fascismo – nel coniugare rivoluzione sociale e democrazia politica. Perciò Calamandrei parlò, plaudendo, di «Costituzione eversiva» (1955), e perciò la vita contrastata di essa fu regolata dai variabili rapporti di forza della lunga «guerra fredda» oltre che dalle capacità soggettive dei protagonisti. C’è un abisso tra Palmiro Togliatti e il clan di Banca Etruria. Va da sé che l’estinguersi dei «socialismi» con la conseguente deriva in senso irrazionalistico-religioso delle periferie interne ed esterne all’Occidente illusoriamente vittorioso hanno travolto il quadro che s’è qui voluto sommariamente delineare. La carenza di statisti capaci e la autoflagellazione della fu sinistra non costituiscono certo il terreno più favorevole alla pur doverosa prosecuzione della lotta.
(Luciano Canfora, “Attacco alla Costituzione, una lunga storia”, da “Il Manifesto” del 24 aprile 2015).
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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OPINIONI

Michele Ainis
Legge e Libertà
Uno strano referendum senza libertà di scelta
La consultazione sulle riforme ci obbliga 
ad approvarle o rifiutarle in blocco. Mentre sarebbe 
giusto poter giudicare votandole una per una
Uno strano referendum senza libertà di scelta
Che strana bestia, questo referendum. Deciderà le sorti della legislatura, il destino politico di Renzi, l’architettura delle nostre istituzioni nei decenni a venire, ma non ha ancora deciso su se stesso. Perché ha tre facce, tre dimensioni che si sovrappongono e s’oscurano a vicenda: un piano politico, un piano costituzionale, un piano istituzionale nel senso più lato, il senso stesso della democrazia.

Gli effetti politici, anzitutto. Renzi ha già detto che se la sua riforma più importante verrà scomunicata dagli italiani, lui prenderà cappello, chiuderà lì la sua avventura. Trasformando quindi il referendum in un voto di fiducia sul governo, anzi sul governatore. Ha fatto bene? No, ha commesso un errore di grammatica. In primo luogo perché la sua minaccia potrebbe venire interpretata dagli elettori come una promessa, spingendo chi detesta il nostro Premier a votare contro al solo scopo di disfarsene. Risultato: dopo aver rottamato l’universo mondo, con questa strategia rottamerà se stesso.

In secondo luogo - e soprattutto - perché le questioni costituzionali si dispongono su un territorio diverso e separato rispetto alle terre su cui detta legge ogni esecutivo. Nel 1947, dopo il celebre viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti, socialisti e comunisti vennero estromessi dalla coalizione di governo, segnando la fine dell’unità resistenziale e l’avvio della lunga stagione del centrismo. Una tempesta politica, ma non ne arrivò neanche uno spiffero tra i banchi dell’Assemblea costituente. Che infatti approvò all’unisono la Carta repubblicana, da Togliatti a De Gasperi, da Einaudi a Nenni.

Dopo di che, certo: il referendum che s’annunzia in ottobre non lascerà indenne la legislatura. Se vince il Gran Rifiuto, è altrettanto annunziata una crisi di governo, lo scioglimento delle Camere, il ritorno alle urne. E se invece vince il sì? Idem. Giacché a quel punto Renzi passerà all’incasso, pregustando un successo elettorale sulla scia del successo referendario. La politica vive d’opportunità, chiunque farebbe lo stesso al posto suo. E del resto l’interruzione della legislatura viene sospinta in questo caso da una logica istituzionale, oltre che politica. Come potrebbe mantenersi in funzione un Senato che non esiste più? Le istituzioni sono corpi vivi, non un esercito di zombie.

E c'è poi il secondo piano di lettura di questo referendum, l’unico davvero rilevante. Perché attiene al merito della riforma, alle sue soluzioni tecniche, alle finalità che la pervadono. Le relazioni fra i poteri dello Stato diventeranno più semplici o più complicate? Perderemo garanti e garanzie in nome della stabilità governativa? C’è insomma il rischio di un’involuzione autoritaria del nostro sistema? Di ciò dovremo discutere in dettaglio nei prossimi mesi. Non di Renzi, che a occhio e croce non ha la stoffa del tiranno. Però ogni Costituzione sopravvive agli uomini che l’hanno generata, non è un abito cucito sul loro corpaccione. E dopo Matteo può arrivare Benito.

Sennonché, quando avremo consumato una per una tutte le nostre riflessioni, ci troveremo a svolgere il massimo esercizio democratico con modalità antidemocratiche. Qui s’affaccia il terzo livello di questo saliscendi, le cui asperità non dipendono affatto dall’assenza del quorum di votanti per la validità del referendum. Vero: nel referendum abrogativo il quorum c’è, in quello costituzionale no. Ma dopotutto non c’è quorum nemmeno alle elezioni: se vanno a votare soltanto mia nonna e mia sorella, le elezioni sono valide. E dopotutto nell’ultimo referendum costituzionale si presentò alle urne il 53,6% degli italiani.

Ma allora come oggi, rispondendo a un quesito enciclopedico, che investe bicameralismo e federalismo, Cnel e Senato, leggi popolari e decreti del governo. E se tu vuoi separare il loglio dal grano? Non puoi: o un «sì» o un «no» in blocco, prendere o lasciare. Questo referendum ci confisca il diritto di scegliere fra i suoi diversi petali, ma la colpa non è dei costituenti: l’articolo 138 venne concepito per interventi singoli, chirurgici, puntuali. D’ora in avanti, sarà bene ricordarsene.
29 gennaio 2016© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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MUSSOLONI: CAMERATI HO BISOGNO DI VOI
Anche da noi: LUI E' TORNATO






Renzi dà il via alla campagna per il referendum
‘Ho bisogno di voi, sfida tra Italia del sì e del no’


Il presidente del consiglio lancia la corsa per la consultazione sulle riforme istituzionali di ottobre
“Faremo 10mila comitati. Due anni di cambiamenti, ma è la prova più grande. E la vinceremo”


Politica

“Io non sarei mai arrivato a Palazzo Chigi se non avessi avuto una straordinaria esperienza di popolo”. Lo ha detto Matteo Renzi a Firenze, dove ha aperto la campagna per il sì al referendum costituzionale di autunno. “Ora c’è una partita che da solo potrei anche vincere ma non basterebbe. Nel referendum la domanda è molto semplice: sì o no. Ma lì dentro c’è molto di più: c’è la riforma istituzionale”, ha aggiunto ribadendo che “la riforma non è contro chi ha combattuto per la libertà”. “Il lavoro di questi due anni ha prodotto un cambiamento radicale ma la sfida più grande inizia adesso”
Ultima modifica di camillobenso il 02/05/2016, 13:12, modificato 1 volta in totale.
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM

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Anche da noi: LUI E' TORNATO







Referendum riforme, Renzi dà il via alla campagna del sì: “Due anni di cambiamenti, ma è la sfida più grande”

Politica

Il presidente del consiglio lancia la corsa per la consultazione sulle riforme istituzionali di ottobre. "Faremo 10mila comitati in tutto il Paese. Due anni di cambiamenti, ma questa è la prova più grande. E la vinceremo"
di F. Q. | 2 maggio 2016


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05 ... qus_thread
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